SCOPPIO DEL CONFLITTO: RECLUTAMENTO E FRONTE BALCANICO-RUSSO A cura della prof.ssa Marina Rossi Dalla Stazione Meridionale ebbe inizio l'inedito percorso di guerra di tanti giovani triestini, a partire dall'estate del 1914. Scoppiava una guerra che nessuno immaginava dovesse durare tanto: la prima guerra di massa della storia dell'umanità. che fu accolta in tutti i paesi belligeranti inizialmente con eccitazione, era un avvenimento! Era qualcosa che sottraeva il singolo alla monotonia della vita quotidiana. La stessa sensazione si avvertì a Trieste. 28 luglio 1914: l'Austria dichiara guerra alla Serbia in conseguenza dell'attentato di Sarajevo. Dopo quella data comincia la mobilitazione e poi la partenza dei soldati per il fronte balcanico, che è considerato in sede storica un fronte minore. Inizia subito anche la mobilitazione per il fronte russo: il nemico da battere è considerato la Russia. Vengono mobilitati a Trieste e nel suo territorio complessivamente 32.500 coscritti, 2.000 a Trieste, 30.000 nel Friuli orientale, 40.000 nel Trentino, tra i 18 e i 42 anni. Le cronache dell'epoca parlano, in particolare quella di Silvio Benco, di questa massa di ragazzi che partono spesso coi cappelli infiorati, cappelli di paglia adorni di fiori gialli, sono rossi in volto per tutte le baldorie che avevano fatto nei giorni precedenti, ma può essere un rossore dovuto anche al pianto e all'emozione. Si crede, come al solito, di partire per una grande avventura: tutte le guerre purtroppo sono all'inizio considerate guerre-lampo. Quando si parte non si va normalmente subito sulla linea del fuoco, ma la maggior parte dei coscritti affrontano un breve periodo di addestramento in alcuni depositi militari non lontani da Trieste. Le popolazioni italiana, slovena, croata, del Friuli Orientale (lo Judrio era lo spartiacque tra il Friuli Orientale e il Friuli Occidentale, passato al Regno d'Italia nel 1866, dopo la III guerra di'indipendenza) venivano inquadrate in unità che finivano tutte col numero 7: si enfatizza ora particolarmente il reggimento 97°, perché in esso confluirono la maggior parte dei triestini e proprio loro furono la prima carne da macello, in Galizia, nei pressi della capitale Lemberg 1 (Leopoli), investita da ingenti formazioni russe. Il 97° aveva il deposito (Kader) a Trieste (sino al maggio 1915, poi a Radkersburg in Stiria); l'87° Kader a Pola ed il 47° e il 27° avevano rispettivamente stanza a Marburg e a Graz; i reggimenti di fanteria territoriale (Landwehr) 27° e 5° avevano stanza rispettivamente a Laibach (Lubiana) e a Pola. La Galizia era una regione caduta in mano all'impero asburgico nel 1772, in seguito alla guerra che si concluse con la spartizione della Polonia tra Austria, Prussia e Russia: ognuno se ne prende un pezzetto, all'Austria tocca la Galizia, che corrisponde oggi alla Polonia sudorientale ed all'Ucraina occidentale. I coscritti vanno nei luoghi loro assegnati per l'addestramento per prepararsi sommariamente alla guerra, ma l'Austria non era attrezzata per la guerra, come forse non lo era nessuno. Stranamente nessuno voleva la guerra, però poi tutti l'hanno sottoscritta. Dalle lettere emerge chiaramente che l'Austria non è preparata. Sarà pubblicata prossimamente uni un libro da me curato che uscirà con Il Piccolo, la lettera di un soldato, un bravo ragazzo che scrive alla mamma mentre è in viaggio per la linea del fuoco, pregandola di mandargli una pistola, mutande, generi di conforto, con la promessa che poi lo stato rimborserà le spese. Dato che poi l'Austria perse la guerra, figurarsi se la famiglia avrà avuto i soldi! Il 97° va a combattere intorno a Leopoli: alla fine di agosto del 1914 ci sono combattimenti sanguinosissimi, questi reggimenti sono polverizzati, il 97° viene quasi interamente distrutto, muoiono quasi tutti. Ci sono diserzioni: questi ragazzi, abituati alla pace, all'osteria, alla vita brillante di Trieste, non si ritrovano sotto la terribile disciplina di generali e colonnelli: tentano di ammutinarsi, molti vengono fucilati. Molti soldati vengono feriti in battaglia, restano mutilati, alcuni impazziscono, finiscono negli ospedali militari. I soldati austriaci vengono assediati nella famigerata citta-fortezza di Przemysl. Molti triestini vi si trovano con istriani, sloveni e croati. L'assedio dura dal settembre 1914 al marzo 1915. Il comando della guarnigione austriaca assediata è in mano al generale ceco Schmanek (?), e purtroppo dopo alterne vicende - ora prevalgono i russi, ora prevalgono gli austriaci - gli austriaci devono cedere per fame. I russi sono stati abili nell'attuare la loro strategia, hanno chiuso a tenaglia gli assediati in modo che nella fortezza non possa entrare nulla. All'inizio la fortezza era fornita di tutto, ma a un certo punto i rifornimenti sono al termine, i russi 2 intercettano le lettere del generale Schmanek che rivelano quello che sta succedendo all'interno della fortezza: soprattutto lo strazio delle ultime settimane, quando mangiano i loro cavalli, ma prima di mangiare i cavalli, dovevano nutrirli, e alla fine davano loro segatura, legno… avevano 15.000 cavalli. I soldati sono laceri, senza abbigliamento invernale, perché sono partiti d'estate, senza stivali e senza scarpe. Chi può si confeziona delle ciabatte con quel che trova, finchè il 22 marzo 1915 la fortezza cade in mano russa. Intorno a Leopoli i russi avevano già catturato 80.000 prigionieri, a Przemlys ne prendono 130.000: è una bella batosta, di cui sarà molto orgogliosa la Russia e soprattutto lo zar Nicola II, che presto vedrete girare per Leopoli in eccezionali immagini tratte da cinegiornali russi dell'epoca. Fanno parte di un video da me curato per il Museo della Guerra di Rovereto nel 1996. Ho studiato questi avvenimenti a partire dal 1977, quando ho registrato la prima testimonianza di un reduce dal fronte russo. Solo dagli anni '80 si poté cominciare a parlare da queste cose, perché la storia la scrivono i vincitori e queste vicende furono e in parte sono ancora travisate: in Italia si continua a credere che tutti a Trieste piangessero di dolore sotto l'Austria, mentre certamente se una parte dei triestini era irredentista e sognava l'arrivo dell'Italia, molti altri non lo desideravano affatto. Quindi i vincitori hanno deciso che la linea da seguire era quella del patriottismo italiano, anche perché con la sconfitta dell'Austria, 3 novembre 1918, l'impero crolla, non esiste più e quindi diventa inutile parlarne. Gli austriaci stessi si ritrovarono cittadini di un piccolo stato, ed ebbero un tale complesso per la distruzione di questo immenso impero multinazionale, che non ne vollero parlare. Ci furono poi le tragiche vicende della seconda guerra mondiale, con l'annessione al terzo Reich. Solo negli ultimi anni i giovani austriaci ricominciano a studiare la Grande Guerra. Anche in Italia queste vicende che riguardano Trieste e il fronte balcanico-russo sono molto poco studiate, non fanno parte del discorso storico che si fa a scuola sulla Grande Guerra. Gli Austro germanici - l'Austria era alleata della Prussia, paese dalla vocazione militare, che era molto più preparato alla guerra dell'Austria - dopo queste terribili sconfitte di Leopoli, preparano una controffensiva, che ha luogo nella primavera del 1915. La controffensiva di Gorlice Tarnow - località in cui si trovano ancora tanti piccoli cimiteri di guerra sia dei nostri soldati che di quelli nemici - si svolge nell'aprile e maggio del '15 e porta gli austro germanici alla riconquista di tutti i territori perduti, quindi la Galizia, riescono a spingersi anche più a nord, verso la Volinia e la Curlandia e il fronte si assesta in queste zone, la Galizia 3 occidentale che oggi è in Polonia. Leopoli-Lemberg è di nuovo austriaca. La linea del fuoco si sposta più a est, sul fiume Dnjestr, in piena Ucraina. I russi a questo punto devono preparare una risposta. L'esercito russo è un esercito coraggiosissimo, più che preparato, poco dotato di mezzi, figuratevi che i soldati russi dovevano andare all'assalto togliendo il fucile all'austriaco morto, ma si distinguono per il loro valore. La guerra su questo fronte conosce a questo punto un momento di stasi anche a causa del clima: d'inverno non si combatte, ma si prepara l'offensiva della primavera tenendo le posizioni. Dal maggio all'agosto del 1916 un generale valorosissimo, il generale Brusilov, scatena una potentissima offensiva contro gli austro-germanici e la vince. 356.000 austriaci sono fatti prigionieri: una quantità enorme. Su questo vi posso rimandare al mio libro I prigionieri dello Zar (Mursia, Milano, 1997). Nel febbraio del 1917 in Russia scoppia una rivoluzione. Le condizioni di vita in Russia sono insopportabili, già nel settembre 1915 nei centri industriali erano scoppiati degli scioperi politici. Anche nell'esercito le condizioni sono di estrema sofferenza e disagio: il contadino russo, il mugik, deve andare all'assalto anche a mani nude, se non è riuscito a rubare un'arma al nemico morto. Quindi con la rivoluzione si rovescia il potere teocratico dello Zar - lo Zar è tale per designazione divina: gli ufficiali dello Zar giuravano davanti a Dio di dare la loro vita per un uomo designato da Dio - , lo Zar è deposto e si crea un governo provvisorio, con a capo Kerenskj. La monarchia aveva la possibilità di accettare una forma di governo democratica, dopo secoli di teocrazia. La rivoluzione significa un miglioramento delle condizioni di vita sui posti di lavoro. Negli altiforni del Tonbas (?) - territorio ora tristemente alla ribalta per la questione ucraina - si lavorava 14 ore al giorno. La rivoluzione di febbraio porta alla giornata lavorativa di 8 ore, porta anche all'abolizione del lavoro nel giorno festivo, al riposo settimanale. Questo per i prigionieri austrogermanici che sono là e devono lavorare è un grande sollievo: anche tra questi prigionieri c'è in seguito alla rivoluzione un senso di sollievo e di felicità. La primavera, la Pasqua del 1917 passa alla storia come la primavera della pace, la Pasqua della pace: tutti sognano, dopo tante sofferenze, che la guerra finisca. Purtroppo l'errore di Kerenskj fu proprio quello di non porvi fine: si trattò di una grande stupidità, perché esasperare ulteriormente milioni di uomini, che avevano già tanto sofferto, porta ad un'estremizzazione dei rapporti politici, quindi nell'ottobre del '17 scoppia un'altra rivoluzione, non governata dal partito moderato liberale di Kerenskij, 4 menscevico, ma dal partito bolscevico, che vuole finire la guerra e instaurare un tipo di potere che non dia tregua neanche ai liberali, che non avevano capito di dover sospendere la guerra. Anche in questa situazione i prigionieri di guerra vivono sulla loro pelle gli avvenimenti. Le autorità militari dell'Intesa cercano di conquistare il favore dei prigionieri di nazionalità non tedesca, cioè di sottrarre all'Austria l'adesione politica dei propri prigionieri. In Russia tutta questa gente che rimane là o partecipa direttamente alla rivoluzione - ci sono militari anche nostri che aderiscono alla rivoluzione russa e diventano guardie rosse-, o stanno a guardare e sono liberi di farlo, o sono coinvolti dalle potenze dell'Intesa, le forze antibolsceviche - Francia, Inghilterra Italia, Stati Uniti, Giappone - e sono pressati affinché entrino nel corpo speciale di spedizione contro i bolscevichi. L'Italia ne ha uno, fa arrivare dall'Africa truppe coloniali e riesce a far aderire al suo progetto 1.600 prigionieri austroungarici di lingua italiana, gente del Litorale e del Trentino. Questi vivranno una straordinaria vicenda, andranno in Siberia, saranno coinvolti nella guerra civile, vedranno stragi, saranno obbligati anche a coprire il lavoro delle armate bianche antibolsceviche e vivranno delle peripezie per cui dalla Cina, dove l'Italia aveva delle concessioni militari, a Pechino e a Tien Tsin, devono arrivare all'unico porto interalleato delle forze antibolsceviche, Vladivostok: sarà un bel problema arrivarci, anche perché i comandi del corpo di spedizione italiano guardano con sospetto a questi prigionieri, anche se dicono di avere sentimenti di italianità. li esaminano con attenzione e non vogliono che tornino a casa, vogliono dei trattamenti rieducativi, così questi uomini torneranno a casa appena nel febbraio 1920, se avranno la fortuna di trovare un imbarco sulle navi che l'Italia mandava, anche sequestrate alla marina austroungarica. Altrimenti si tornava a casa con mezzi di fortuna, in treno o piedi. C'è chi resterà in Russia fino al 1923 o al 1926, in un'Europa sconvolta. Io ho studiato la guerra dalla parte di chi l'ha sofferta, vissuta e non scelta, quindi ho studiato lettere, diari, memorie, anche di ufficiali, che riflettono diversi atteggiamenti: prima vi ho ricordato l'euforia della partenza, la delusione quando sono poi entrati nel vivo dei combattimenti, ma certo in questa massa di uomini, circa 62.000, provenienti da queste zone, c'erano diversi orientamenti: ci poteva essere l'ufficiale fedele, leale all'imperatore, che quindi combatteva per un senso di onore, c'è chi è cattolico ed è fedele al quinto comandamento "non uccidere": non se la sente di ammazzare degli sconosciuti e ha già in mente di disertare. Il fronte russo è il fronte delle grandi diserzioni: si calcola che tra l'esercito russo e quello 5 austriaco i disertori siano stati non meno di 1.200.000. Il fronte russo era un fronte che permetteva la diserzione, perché era un fronte ancora ottocentesco, fatto di grandi avanzate e grandi ritirate, quindi c'era molta distanza tra le linee nemiche, una terra di nessuno abbastanza larga, dove di notte sia gli austriaci che i russi si trovavano magari assieme a rubare patate nei campi, quindi c'è il motivo ideale e ideologico, ci sono ragazzi, magari anche delle nostre terre, che condividono l'ideale socialista, che li porta ad essere fratelli di tutti i nemici, quindi combattono fino a un certo punto, non vogliono uccidere, volentieri preferiscono la prigionia. Disertano anche gli irredentisti. C'è una minoranza di soldati di qua, che hanno in cuore l'ideale italiano, sognano che queste terre entrino a far parte del Regno d'Italia, hanno magari studiato nei licei di lingua italiana - in Austria si potevano scegliere le scuole delle minoranze nazionali, anche se il tedesco si studiava in tutte le scuole - e leggendo quella letteratura si sentono italiani pur essendo ufficiali austroungarici. In realtà gli ufficiali di nazionalità non tedesca non arrivavano mai ai gradi più alti, perché l'Austria voleva che questi fossero di provata fede filo asburgica. Anche gli sloveni sognavano la creazione di un grande stato degli slavi del sud, la Jugoslavia. Paradossalmente irredentisti italiani e irredentisti sloveni sul momento sono felici di disertare insieme sul fronte russo, perché odiano l'Austria e non vogliono sprecare la propria vita per la bandiera giallo-nera. Disertano insieme e si ritrovano poi in quel grande calderone, che era la Russia dell'epoca, in cui succede di tutto. Le mie ricerche si sono svolte in importanti archivi, come quello di Mosca e quello di Tarnow, dove furono internati tutti i prigionieri di lingua italiana. Non mi sono limitata ai documenti scritti, ma anche alle immagini fotografiche e filmiche. Nel 1996 ho collaborato alla realizzazione, per una mostra del Museo di Rovereto sulla grande offensiva Brusilov del 1916 quella che ha portato al maggior numero di perdite per l'esercito austroungarico -di un filmato del regista armeno Jervant Gianikian (?), che è proprietà della Russia, quindi non può essere duplicato e divulgato: ci sono cinegiornali russi e foto private e un commento musicale straordinario, con l'inno dello zar, la sinfonia 1812 di Ciaikowski, che celebra la vittoria russa su Napoleone, un altro inno religioso Bog's nami (?) - Dio è con noi, come vogliono credere tutti gli eserciti -. Ve ne propongo una parte. 6
© Copyright 2024 ExpyDoc