La Russia: da Pietro il Grande a Nicola II

La Russia: da Pietro il Grande a Nicola II La Russia è un grande Paese che ha vissuto una fase economica espansiva all’inizio del Settecento. Nel 1722 Pietro il Grande (1689 – 1725) si era proclamato zar di tutte le Russie dopo aver ottenuto successi militari contro la Svezia e le potenze baltiche. La politica economica dello zar Pietro è verso l’occidentalizzazione della Russia: vengono presi provvedimenti e misure per dare impulso alla nascita di imprese nel settore delle costruzioni navali, dove lo stesso Pietro il Grande ha lavorato come carpentiere ad Amsterdam. Lo Zar introduce profonde riforme anche nell’economia con la forza delle armi più che sul convincimento “democratico”. Promuove il monopolio delle manifatture tessili, la costruzione dei canali e dei porti, dà impulso alla formazione scolastica di livello superiore e istituisce l’Accademia delle Scienze nella capitale dell’impero, Pietroburgo, da lui fondata nel 1703. Nel nuovo secolo l’invasione di Napoleone all’inizio del XIX° secolo provoca la distruzione di gran parte delle industrie della Russia con il saccheggio di Mosca e dei dintorni. La successiva sconfitta di Napoleone accredita lo zar Alessandro I come fedele alleato delle potenze europee antifrancesi e la nazione come grande potenza militare: la Russia espande i suoi confini a Nord conquistando le regioni baltiche (Lituania, Lettonia e Finlandia) e a Sud le regioni dell’Impero Persiano e dell’Impero Ottomano. La ripresa economica rimane vincolata all’industria delle armi e il successore di Alessandro, Nicola I, istaura un regime autoritario incapace di far fare progressi significativi sul fronte della crescita economica per questo grande Paese. La Russia rimane nazionalista, con un’economia arretrata, prevalentemente agricola e con il rifiuto da parte del governo di avviare e potenziare i processi di modernizzazione e, primo fra tutti, le costruzioni ferroviarie. Il sistema delle strade e delle vie di comunicazione restava arcaico e la sconfitta nella guerra di Crimea del 1855 contro le potenze europee, dimostra l’ineluttabilità di cambiare rotta per lo sviluppo economico e per l’assetto giuridico – istituzionale. Nel 1861 Alessandro II abolisce le leggi sulle servitù feudali per i 47 milioni di contadini dell’impero, ma non concede la proprietà delle terre. L’effetto è la liberazione di manodopera disponibile per le attività di trasformazione che si stanno affermando grazie soprattutto al contributo di capitali e di tecnici stranieri. Le industrie tradizionali, come il settore tessile, la produzione del vetro, la siderurgia, l’estrazione dei minerali e le industrie alimentari registrano una fase espansiva in coincidenza con gli anni delle riforme giuridico istituzionali, mentre le prime linee ferroviarie congiungono Mosca con Pietroburgo e con l’Ucraina e il Mar Nero: si avvia nel Paese il passaggio dalla predominanza economica dell’agricoltura all’industria. Il decennio Novanta dell’Ottocento rappresenta la fase più consistente per la fase della trasformazione economica. Il nuovo zar, Alessandro III, succeduto a Nicola I, assassinato nel 1881, chiama al governo il ministro Sergiei Witte, politico energico, con chiarezza di vedute, carismatico e tale da introdurre profondi cambiamenti. Le sue scelte di politica economica vanno nella direzione di attrarre i capitali stranieri, istaurare un più marcato protezionismo economico e definire una politica di sviluppo industriale dirigista. Le complessità di questo grande Paese pare che rendano problematica ogni grande iniziativa di riforma profonda capace di interessare l’economia, ma ancor prima l’assetto sociale e la diffusione dei principi di libertà di azione e di pensiero: sia Alessandro III che Nicola II, suo successore, mantengono la dominante di un governo repressivo e poco propenso al cambiamento sociale ed economico necessario per giungere all’industrializzazione completa. Witte promuove le grandi infrastrutture, come la costruzione della ferrovia transiberiana, e promuove un vasto piano per l’affermazione dell’industria meccanica e siderurgica. Contro ogni ostacolo la sua azione tende ad attirare e a sostenere il capitalismo privato nell’industria pesante e i risultati alla sua perdurante azione registrano la crescita della produzione siderurgica tra la fine dell’Ottocento e Tommaso Fanfani, Storia Economica, McGraw‐Hill, © 2010, ISBN 6608‐7 l’inizio del Novecento, al punto che per ricchezza prodotta nel settore della trasformazione la Russia raggiunge un posto tra i primi paesi industriali d’Europa. Permane però la difficoltà di adeguare lo sviluppo sociale con la crescita economica: le condizioni degli operai sono miserevoli e l’agricoltura resta ad un livello di totale arretratezza. L’agricoltura è organizzata dalle comunità (mir) di villaggio cui spetta ogni decisione sulla distribuzione della proprietà, sulla scelta delle coltivazioni, organizzazione che ostacola irreversibilmente ogni duraturo processo di modernizzazione e cambiamento: predomina la coltivazione dei cereali e la conduzione della terra rimane ancora legata a metodi arretrati. Anche in Russia, analogamente a quanto succede in molti altri paesi, lo sviluppo cresce in maniera duale: da una parte una moderna industria meccanico ‐ siderurgica e dall’altra un’arretrata economia agricola. La crescente influenza dello Stato nelle attività industriali è tale da scoraggiare il permanere del capitalismo straniero nelle attività imprenditoriali e alimenta il dualismo economico aggravato dal profondo malcontento degli operai e dei contadini. La rivoluzione russa del 22 gennaio 1905 avviata a Pietroburgo contro l’assolutismo dello Zar, contagia molti centri della nazione e registra episodi di eccezionale violenza che rallentano il processo verso la modernizzazione industriale ed economica in generale. Altrove le agitazioni degli operai e dei contadini avevano contribuito a che i governi dei singoli stati scegliessero la via delle riforme economiche e sociali, facilitando l’obiettivo della crescita economica e con i socialisti che avevano partecipato alla costruzione della nuova società industriale, mentre in Russia il socialismo prende la strada della rivoluzione violenta per la conquista del potere da parte del proletariato. I tentativi d’inizio Novecento per costruire uno Stato a regime costituzionale falliscono miseramente di fronte all’intransigenza dello zar Nicola II e lo sbocco finale sarà la rivoluzione dell’ottobre 1917 quando il Paese dovrà fare i conti con una situazione politica, sociale ed economica disastrosa. Da allora inizia un’altra pagina nella storia di questo grande Paese e nella storia del mondo. Lo zar Nicola II è deposto, Lenin assume il potere e il collettivismo diviene il sistema di organizzazione della società in ogni sua forma, compresa ovviamente l’organizzazione della produzione spinta nella frontiera dell’industria pesante e nella modernizzazione dell’agricoltura. Tommaso Fanfani, Storia Economica, McGraw‐Hill, © 2010, ISBN 6608‐7