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Indennità di maternità per le libere professioniste
Renzo La Costa
Il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste,
a norma dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 379 del 1990 (come sostituito dall'art. 70
del DLgs 151/01), è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali
nel secondo anno precedente a quello della domanda. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione
in sentenza nr. 23809/2014. La Corte di Appello, confermando la sentenza del Tribunalea,
accoglieva la domanda di A.M. - titolare di farmacia ed iscritta all'ordine dei farmacisti -proposta nei confronti dell'ENPAF avente ad oggetto la condanna del predetto ente, a cui
era iscritta, al pagamento delle differenze per indennità di maternità ai sensi della L. n. 379
del 1990, art. 1, comma 2, rispetto a quanto erogatole in applicazione del comma 3 del
medesimo articolo. I giudici di appello ritenevano che il dato testuale non permetteva di
desumere una differenziazione a seconda delle forme in cui era stata svolta l'attività
professionale, considerato che anche il reddito d'impresa era soggetto al prelievo fiscale e
doveva intendersi come reddito ai fini fiscali; inoltre l'interpretazione accolta risultava
coerente con la ratio della legge, di tutela della maternità per le libere professioniste. La
Cassa previdenziale ricorreva per Cassazione sostenendo che - ai fini della determinazione
dell'indennità - deve essere preso in considerazione soltanto il reddito derivante
dall'attività autonoma di farmacista e non già, quindi, anche quelli di diversa natura, quale
quello di partecipazione in società esercente attività di impresa. La suprema Corte , con
riferimento alla disciplina (che qui specificamente rileva) vigente anteriormente
all'emanazione della L. n. 289 del 2003, è nuovamente intervenuta, dopo la sentenza n.
12260/2005 di rottura con il precedente orientamento di cui alle sentenze nn. 5221/91,
15222/2000 e 15301/2001, riaffermando il principio che il criterio di determinazione
dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste, che, a norma dell'art. 1,
secondo comma, della legge n. 379 del 1990 (come sostituito dall'art. 70 del DLgs 151/01),
è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera
professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda, trova applicazione,
nella vigenza di tale norma e pur in considerazione della Legge n. 289 del 2003, a
prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l'attività professionale e anche
quando il reddito conseguito abbia natura mista, professionale e di impresa. A tale ultimo
orientamento il Collegio ha inteso dare continuità giuridica per la condivisibilità del rilievo
che il diverso indirizzo segnato da Cass. n. 12260/2005 non tiene conto che la
utilizzazione, nella relazione alla proposta di legge di modifica del D.Lgs. n. 151 del 2001
art. 70, della locuzione "si intende chiarire" non si è tradotto nell'emanazione di una norma
di espressa portata retroattiva, né di natura interpretativa della normativa preesistente e
che, invece, è stata emanata una disposizione modificativa, destinata a produrre i propri
effetti, secondo i principi generali, per il tempo successivo alla sua entrata in vigore e che
proprio la circostanza che sia stata emanata una norma modificativa testimonia l'esistenza
di un progresso diverso regime, che il legislatore ha inteso mutare. Con la seconda censura
l'Istituto ricorrente propone eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 379 del
1990, art. 1, come sostituito dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, nell'interpretazione seguita
dalla Corte territoriale, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., assumendo che si
verificherebbe una evidente disparità di trattamento tra le farmaciste libere professioniste
e coloro che sono percettrici di un reddito di impresa. Su tale eccezione la medesima
suprema Corte, con la citata sentenza n. 11935/08, già si è pronunciata affermando, con
argomentazione pienamente condivisa dal Collegio, che a fronte della interpretazione
accolta dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 379 del 1990 (come sostituito dall'art. 70
del DLgs 151/01) non è giustificatamente prospettabile, e la violazione del principio
costituzionale di uguaglianza, attesa la ratio legis di consentire alla professionista di
dedicarsi con serenità alla maternità, prevenendo che a questa si colleghi uno stato di
bisogno o una diminuzione del tenore di vita , e la violazione dell'art. 38 Cost., a causa
dello squilibrio che potrebbe verificarsi tra erogazioni previdenziali e contributi, ove siano
ammissibili indennità di ammontare particolarmente elevato, posto che l'art. 5 della legge
n. 379 del 1990 consente l'eventuale aumento, con decreto, del contributo annuale in
misura fissa ivi previsto, al fine di assicurare l'equilibrio delle gestioni ed infine che gli enti
previdenziali dei liberi professionisti possono deliberare la ridefinizione dei contributi ai
fini del trattamento di maternità. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso è stato
rigettato.