Riflessioni quaresimali

ASSOCIAZIONE CATTOLICA OPERATORI SANITARI
Ente Morale D.P.R. n.° 975 del 17-11-1986
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Ecclesiastico Nazionale
“NOI AMIAMO PERCHÈ EGLI CI HA AMATO PER PRIMO” (1Gv 4,19)
Riflessioni per le domeniche di Quaresima Anno B
I Domenica
(Mc 1,12-15)
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; e nel deserto rimase per quaranta giorni,
tentato da Satana. Stava tra le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni
fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: «Il
tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo».
L’esperienza della quaresima è sotto l’azione dello Spirito Santo come del resto tutta la
nostra vita spirituale. Siamo guidati dallo Spirito Santo a compiere una sorta di esercizi spirituali
che durano quaranta giorni. E il numero quaranta richiama i quarant’anni nel del popolo nel deserto.
I quaranta giorni in cui Ninive rischia di essere distrutta. I quaranta giorni in cui il popolo rimane
sotto il monte mentre Mosè dialoga sul monte con Dio. Le tentazioni sono tante, la paura della
caduta è sempre in agguato. Ma Gesù supera tutto facendo riferimento alla Parola di Dio. Non
dobbiamo aver paura il tempo è tempo di grazia perché Egli è il nostro tempo ed Egli è anche il
Regno: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, ai poveri è annunciata la lieta notizia. Dunque ciò
che è necessario è cambiare mentalità credendo in Lui, l’evangelo della nostra vita. E tutto rinasce.
II Domenica
(Mc 9,2-10)
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo, Giovanni e li condusse soli, in
disparte, sopra un alto monte. E fu trasfigurato in loro presenza; le sue vesti divennero
sfolgoranti, candidissime, di un tal candore che nessun lavandaio sulla terra può dare. E
apparve loro Elia con Mosè, i quali stavano conversando con Gesù. Pietro, rivoltosi a Gesù,
disse: «Rabbì, è bello stare qua; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia».
Infatti non sapeva che cosa dire, perché erano stati presi da spavento. Poi venne una nuvola che
li coprì con la sua ombra; e dalla nuvola una voce: «Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo».
E a un tratto, guardatisi attorno, non videro più nessuno con loro, se non Gesù solo.
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Poi, mentre scendevano dal monte, egli ordinò loro di non raccontare a nessuno le cose che
avevano viste, se non quando il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Essi tennero per sé
la cosa, domandandosi tra di loro che significasse quel risuscitare dai morti.
Siamo ammagliati dall’effimero e non comprendiamo il cammino della Croce, perché è
faticoso, perché non ci sta bene, perché vogliamo tutto e subito e se possibile senza alcun sacrificio.
Siamo immersi nella mentalità del “mordi e fuggi”, dell’attimo fuggente. E Gesù con la santa
pazienza ci fa fare l’esperienza dell’annuncio della sua Risurrezione portandoci sul Tabor per darci
coraggio, far farci intravedere la meta e riattizzare il fuoco della passione per il regno del Padre.
Con Pietro, Giacomo e Giovanni ci siamo anche noi poveri increduli. Alla vista del Maestro con
quelle vesti bianchissime, balbettiamo, non sappiamo cosa dire ed anche noi come loro pensiamo di
poter fermare la scena. Tutto è bello. Finalmente felici. Si, ma non adesso, Egli ci fa capire. Ora è
necessario prendere con responsabilità e serietà la propria vita camminando dietro il Maestro e
salendo verso Gerusalemme. Nella fatica della salita c’è già la gioia della vetta.
Gesù Cristo porta anche noi sul monte, il nostro cuore; la sede dei nostri desideri,
aspirazioni, sentimenti, affetti, relazioni; il luogo in cui Gesù ci invita a stare con lui per aprirci
in un dialogo trasformante. Questa esperienza si chiama preghiera ed il risultato di chi entra in
essa è che ne esce trasfigurato. È lo Spirito Santo che nella preghiera ridisegna sul nostro volto
gli stessi lineamenti di Gesù. La sua Parola ascoltata non rimane lettera morta ma diventa carne,
viva e palpitante in noi. Abbiamo bisogno di tempi e spazi per adorarlo in Spirito e verità. È tutta
la nostra vita che diventa luogo teologico e tempo di grazia in cui possiamo agire alla sua
presenza. Ripartiamo da lui! Egli ci vuole uomini e donne nuovi. Persone che sanno discendere
dal monte, l’incontro con Lui, rinnovati nella mente e nel cuore per camminare condividendo
gioie e speranze con i fratelli e annunciando loro Cristo come unica speranza del mondo.
III Domenica
(Gv 2,13-25)
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente
che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei
cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui
queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono
che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli
dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete
questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è
stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del
tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che
aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa,molti, vedendo i segni che
egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva
tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva
quello che c’è nell’ uomo.
L’essenziale. Di fronte all’apparire, all’immagine, all’effimero Gesù ci riconduce
all’essenziale. Egli si oppone a una religione superficiale, fondata sull’interesse dell’uomo e
ci propone la purezza della fede nella sua persona. Dio non lo si incontra nella materialità di
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un tempio reso luogo di commercio, ma piuttosto nella persona stessa del suo Figlio. Ecco il
segno per la nostra fede.
Cristo è distrutto – ucciso, ma il terzo giorno risorge da morte per riscattarci dalla nostra
morte. Perché continuare a profanare il suo corpo glorioso? Questi giorni siano per noi il
caso serio della nostra fede affinché non ci siano più tentennamenti o ripensamenti.
IV Domenica
(Gv 3,14-21)
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio
dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede
in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel
mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede
in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel
nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli
uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non
vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che
le sue opere sono state fatte in Dio».
La Croce ci fa vedere il Cristo innalzato di fronte a noi. La Croce è la nostra salvezza.
Come nel deserto gli israeliti guardando il serpente innalzato da Mosè trovarono la vita così
noi guardando Cristo. Dio vuole che ognuno di noi abbia la vita e l’abbia in abbondanza. Se
crediamo nell’unigenito Figlio di Dio siamo strappati dall’impero del male. Spesso,
purtroppo, preferiamo le tenebre alla luce perché è più comodo, più facile, più allettante, più
seducente. Preferiamo abbassare lo sguardo e ricurvi su noi stessi ci accontentiamo di una
vita mediocre e senza senso. Perché non profittiamo di questa opportunità di salvezza che
Cristo ci dà soltanto se fissiamo lo sguardo su di Lui autore e perfezionatore della nostra vita
e della nostra fede?
V Domenica
(Gv 12,20-33)
Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono:
«Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo
andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia
glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore,
rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi
odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole
servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo
onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma
proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una
voce dal cielo: « L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
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La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano:
«Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora
è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io,
quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale
morte doveva morire.
Giovanni ci presenta Gesù in cammino verso l’“ora” della sua morte – glorificazione. Qui
i greci domandano ai discepoli di essere introdotti presso Gesù “vogliono vedere Gesù” (Gv
12,21). E si intuisce subito che non si tratta di curiosità, ma di una ricerca religiosa profonda;
e per giungere a questo punto i pagani hanno bisogno della mediazione dei discepoli. Come
non intravedere in questo il compito della comunità cristiana che deve testimoniare e
annunciare Cristo per rendere possibile l’incontro con gli uomini che lo cercano. Come
Filippo, anche noi oggi dobbiamo accompagnare i fratelli all’incontro personale e concreto
con Lui. È già questo un segno della presenza di Cristo ovvero nell’amore che unisce i
fratelli. Gesù morendo sulla croce sconfigge le potenze di questo mondo. Egli è il chicco di
grano che marcisce nella terra per portare frutto. Dalla sua morte nasce una vita nuova quella
vissuta in Dio, l’uomo cosi è redento e ha accesso al Padre. Infatti colui che “vede” e “crede”
in Gesù elevato da terra ottiene la salvezza. Per questo è necessario cambiare modo di
intendere Dio sapendo discernere le proprie attese spesso prigioniere degli schemi
umani. L’unico modo per non perdere la propria vita è quello di spenderla come l’ha spesa
Gesù, donandola.
Roma, 18 Febbraio 2015
Sac. Francesco Coluccia
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