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17/02/2015
COME GESTIRE LA CRISI:
licenziamenti e forme alternative
Avv.
Evangelista Basile
LE FORME DI DISTACCO DEI LAVORATORI
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17/02/2015
LE FORME DI DISTACCO DEI LAVORATORI
DISTACCO ORDINARIO
(art. 30, D. lgs. 276/2003; Circ. Min. Lav., 15 gennaio 2004, n. 3)
• Il distacco si realizza quando il datore di lavoro pone temporaneamente uno o più
lavoratori a disposizione di un altro soggetto per lo svolgimento di una determinata
attività lavorativa.
• Il distacco può anche essere parziale:
- il lavoratore continua a svolgere parte della prestazione anche presso l’originario datore
di lavoro distaccante;
- previo consenso del lavoratore distaccato, il lavoratore distaccato può subire un
mutamento di mansioni o un trasferimento ad un’unità produttiva situata a più di 50 km
da quella in cui è normalmente adibito, purché sussistano comprovate ragioni tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive.
- segue -
LE FORME DI DISTACCO DEI LAVORATORI
• Ai fini del distacco deve in ogni caso sussistere un interesse
produttivo del datore di lavoro distaccante che sia specifico,
concreto, rilevante e persistente per tutto il periodo del distacco.
• Il distacco non può mai consistere in un mero interesse al
corrispettivo per la fornitura altrui (in questo caso, si ha la diversa
ipotesi della somministrazione di lavoro).
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LE FORME DI DISTACCO DEI
LAVORATORI
DISTACCO AL FINE DI EVITARE RIDUZIONE DI PERSONALE
(art. 8, c. 3, D.L. 148/1993, conv. in L. 236/1993)
Gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale,
possono regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori da
un’impresa ad un’altra per una durata temporanea.
LE FORME DI DISTACCO DEI
LAVORATORI
DISTACCO TRANSNAZIONALE
(d.
d. lgs.
lgs. 25 febbraio 2000, n. 72,
72 che ha dato attuazione alla direttiva 96/71/CE in materia
di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi)
Art. 1 D. lgs. 72/2000
•Il distacco transnazionale si verifica in occasione di una prestazione di servizi
transnazionale.
transnazionale
• Le imprese stabilite in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia
distaccano un lavoratore, per conto proprio e sotto la loro direzione, in territorio
nazionale italiano, nell'ambito di un contratto concluso con il destinatario della
prestazione di servizi che opera in territorio italiano;
oppure
•distaccano un lavoratore in territorio nazionale italiano, presso un'unità produttiva
della medesima impresa o presso altra impresa appartenente allo stesso gruppo
•In entrambi i casi, durante il periodo di distacco, deve continuare ad esistere un
rapporto di lavoro tra il lavoratore distaccato e l'impresa distaccante.
distaccante
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LE FORME DI DISTACCO DEI
LAVORATORI
DISTACCO TRANSNAZIONALE
art. 2 D. lgs. 72/2000
• Il lavoratore distaccato in occasione di una prestazione di servizi
transnazionale è abitualmente occupato in uno Stato membro
dell’Unione Europea diverso dall’Italia e, per un periodo limitato,
svolge il proprio lavoro in territorio nazionale italiano.
• La durata del distacco del lavoratore in territorio nazionale italiano è
sin dall’inizio predeterminata o predeterminabile con riferimento ad
un evento futuro ed incerto.
LE FORME DI DISTACCO DEI LAVORATORI
DISTACCO TRANSNAZIONALE
Art. 3 D. lgs. 72/2000
• Durante il periodo di distacco transnazionale ai lavoratori distaccati si applicano le
medesime condizioni di lavoro applicabili ai lavoratori che effettuano prestazioni
lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui i lavoratori distaccati svolgono la propria
attività in posizione di distacco.
distacco
• In occasione di una prestazione di servizi transnazionale, committente e appaltatore
sono tenuti in solido a:
- corrispondere ai lavoratori dipendenti un trattamento minimo inderogabile
retributivo;
- assicurare un trattamento normativo non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da
loro dipendenti.
• I diritti spettanti ai prestatori di lavoro dipendenti dall’appaltatore transnazionale
possono essere esercitati nei confronti dell’imprenditore appaltante durante
l’esecuzione dell’appalto e fino ad un anno dopo la data di cessazione del medesimo.
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ACCORDI DI SECONDO LIVELLO:
IL CONTRATTO DI PROSSIMITA’
ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
Il contratto di prossimità
• La contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale) – i c.d. contratti
di prossimità – ha in genere la funzione di integrare il C.C.N.L. per meglio rispondere
ai bisogni della singola azienda o delle aziende di una determinata area territoriale.
• Attraverso i contratti di prossimità i datori di lavoro possono regolamentare, a certe
condizioni tassativamente previste dalla legge, anche in deroga alla legge e al
contratto nazionale (ma nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle
norme comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro), determinati aspetti
del rapporto di lavoro mediante intese aventi efficacia generale nei confronti di tutti i
lavoratori interessati.
• A tal fine, è necessario che l’azienda sottoscriva contratti collettivi aziendali o
territoriali con un soggetto sindacale che rappresenti la maggioranza dei lavoratori.
• In ogni caso, non possono essere derogate le disposizioni in materia di licenziamento
discriminatorio in concomitanza del matrimonio o durante il periodo protetto di
maternità, paternità, adozione o affidamento.
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ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
il contratto di prossimità
Materie disciplinabili nella generalità delle aziende
Impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie;
Mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale;
Contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della
solidarietà negli appalti e ipotesi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
Disciplina dell’orario di lavoro;
Modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni a
progetto e il lavoro autonomo abituale;
Trasformazione e conversione dei contratti di lavoro;
Conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro.
ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
il contratto di prossimità
Possono sottoscrivere le intese:
• Le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale o territoriale oppure con esclusivo riferimento ai contratti
aziendali;
• le loro rappresentanze sindacali operanti in azienda (RSU nel settore
industriale; RSA in tutti i settori, compresa, ove manchino RSU, l’industria).
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ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
il contratto di prossimità
• I contratti di prossimità possono essere stipulati in qualsiasi forma, ma nella prassi è
utilizzata la forma scritta, al fine di consentire la certezza del diritto.
• La durata dei contratti di prossimità è fissata dalle parti, ma generalmente è di tre anni.
Raramente, quando non viene predeterminata la durata, il contratto si considera a
tempo indeterminato.
• Recesso del datore di lavoro:
- da un contratto di prossimità a tempo determinato prima della sua scadenza:
inadempimento contrattuale, nonché condotta antisindacale;
- da un contratto a tempo indeterminato nel rispetto del periodo di preavviso
(generalmente, di tre mesi): legittimo
• Le controversie relative all’applicazione delle clausole del contratto di prossimità devono
essere affrontate, innanzitutto, in sede di conciliazione tra le organizzazioni di
rappresentanza delle imprese e dei lavoratori stipulanti il CCNL, prima in sede territoriale
e poi a livello nazionale. Se la controversia non viene risolta, si può adire un collegio di
arbitrato.
ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
il contratto di prossimità
• Confindustria, CGIL, CISL e UIL hanno stipulato vari Accordi Interconfederali (A.I.) che
disciplinano la contrattazione collettiva aziendale (28 giugno 2011, 21 settembre 2011,
10 gennaio 2014)
• Per la misura e la certificazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali
aderenti alle Confederazioni firmatarie degli Accordi Interconfederali, ai fini della
contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono:
- dati associativi (deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori);
- dati elettorali ottenuti (voti espressi) in occasione delle elezioni delle rappresentanze
sindacali unitarie.
• Il datore di lavoro provvede ad effettuare la rilevazione del numero delle deleghe dei
dipendenti iscritti alle organizzazioni sindacali di categoria aderenti alle Confederazioni
firmatarie dei tre accordi interconfederali.
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ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
il contratto di prossimità
• I contratti approvati dalle RSA devono essere sottoposti al voto dei lavoratori
promosso dalle stesse RSA a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni
dalla conclusione del contratto, da almeno un’organizzazione sindacale
espressione di una delle Confederazioni sindacali firmatarie dell’Accordo
Interconfederale o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa.
• Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più
uno degli aventi diritto al voto.
• L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti.
ACCORDI DI SECONDO LIVELLO
il contratto di prossimità
Materie disciplinabili nelle aziende iscritte a Confindustria
In mancanza di procedure espresse e in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel
CCNL applicato in azienda, i contratti aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali
operanti in azienda, d’intesa con le organizzazioni sindacali di categoria espressione
delle Confederazioni sindacali firmatarie degli accordi interconfederali, possono definire
intese modificative con riferimento agli istituti del CCNL che disciplinano:
- prestazione lavorativa;
- orari;
- organizzazione del lavoro.
FINALITA’
- gestire situazioni di crisi;
- in presenza di investimenti significativi, favorire lo sviluppo economico ed
occupazionale dell’impresa.
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA
DEFINIZIONE DELLE CRITICITA’ TRA LE
PARTI
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E OBBLIGO DI REPÊCHAGE
Il licenziamento legato a ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro
e il regolare funzionamento di essa è legittimo se il datore di lavoro:
• opera un riassetto organizzativo effettivo e non pretestuoso, fondato su circostanze
realmente esistenti al momento del recesso e non riguardante circostanze future ed
eventuali;
• sussista il nesso di causalità tra il recesso e le ragioni inerenti l’attività produttiva;
• verifica la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti nell’ambito
dell’organizzazione aziendale e ne ha accertato l’impossibilità nell’ambito dell’intera
struttura aziendale (c.d. OBBLIGO DI REPÊCHAGE);
• sceglie il dipendente da licenziare rispettando i principi di correttezza e buona fede e
non ponendo in essere atti discriminatori;
• rispetta il periodo di preavviso o corrisponde la relativa indennità sostitutiva.
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
OBBLIGO DI REPÊCHAGE
Cass. civ., Sez. Lav., 16 maggio 2003, n. 7717:
«Nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo obbiettivo, ai sensi dell'art. 3 l. n.
604 del 1966, l'onere del datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di un'altra
utilizzazione dei lavoratori licenziati va assolto, concernendo un fatto negativo, mediante
la dimostrazione - fuori da un rigido prefissato schema di prova - di fatti positivi
corrispondenti, come il fatto che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni
equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, e
il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non sia stata effettuata
alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati, tale
dimostrazione deve concernere tutte le sedi dell'attività aziendale, essendo sufficiente la
limitazione alla sede cui erano addetti i lavoratori licenziati solo nell'ipotesi di
preliminare rifiuto dei medesimi a trasferirsi altrove»
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA
DEFINIZIONE DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
OBBLIGO DI REPÊCHAGE
Cass. civ., Sez. Lav., 15 aprile 2005, n. 7832
«Il ricorrere di nuove assunzioni a fronte di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo non è
ontologicamente incompatibile con l'esistenza di un ridimensionamento aziendale e non è, quindi, di
per sé stesso fonte di illegittimità del licenziamento. Il rapporto fra esigenze di ridimensionamento
aziendale e licenziamento per giustificato motivo oggettivo ad esse ricollegabile va sempre valutato
con riferimento al ruolo ed alle mansioni di pertinenza del singolo lavoratore all'interno dell'azienda»
Cass. civ., 23 maggio 2013, n. 12810
«L'onere del datore di lavoro di provare l'impossibilità di ricollocare il lavoratore da licenziare in
mansioni analoghe a quelle proprie della posizione lavorativa occupata, per quanto debba essere
inteso con elasticità, non può essere considerato assolto con la prova di aver proposto al dipendente
un'attività di natura autonoma, esterna all'azienda e priva di qualsiasi garanzia reale in termini di
flusso di lavoro e di reddito, specialmente se agli altri dipendenti siano state offerte ben più valide
alternative»
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
OBBLIGO DI REPÊCHAGE
Cass. civ., 1 luglio 2011, n. 14517
«In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro che adduca a
fondamento del recesso la soppressione del posto di lavoro, cui era addetto il lavoratore licenziato,
ha l'onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di
lavoro analoga a quella soppressa, alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore per
l'espletamento di mansioni equivalenti a quelle dapprima svolte, ma anche di aver prospettato, senza
ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio
professionale, purché tali mansioni siano compatibili con l'assetto organizzativo aziendale
insindacabilmente stabilito dall'imprenditore»
Cass. civ., Sez. Lav., 11 marzo 2013, n. 5963
«L'obbligo di ripescaggio gravante sul datore di lavoro in caso di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo va riferito esclusivamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore è
dotato al momento del licenziamento, con esclusione, in capo al datore, dell'obbligo di fornire tale
lavoratore di un'ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro (nella specie,
è stato reputato legittimo il licenziamento irrogato al dipendente, addetto al reparto manutenzione
carrozzeria dei veicoli della società, benché egli fosse in possesso della patente K, necessaria per la
guida di tutti i veicoli in dotazione alla società)»
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA
DEFINIZIONE DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
OBBLIGO DI REPÊCHAGE
Cass. civ., Sez. Lav., 28 ottobre 2013, n. 24259
«È legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del dipendente che rifiuta il distacco
presso l'azienda dove è stato esternalizzato il servizio a cui è adibito allorché all'interno dell'azienda,
a seguito di riorganizzazione, siano venute a mancare posizioni lavorative coerenti con la posizione e
la qualificazione professionale del lavoratore».
Cass. civ., Sez. Lav., 1 agosto 2013, n. 18416
«In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove il datore di lavoro abbia assunto,
successivamente al recesso, nuovo personale, è necessario, al fine di ritenere raggiunta la prova
dell'inutilizzabilità "aliunde" del lavoratore licenziato, che il datore medesimo, su cui grava l'onere
probatorio, indichi le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le qualifiche e le mansioni affidate ai
nuovi dipendenti e dimostri che queste ultime non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal
lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità da questi raggiunta (Nella specie, la S.C., in
applicazione del su esteso principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato
l'impugnativa del licenziamento, rilevando che l'impresa aveva affidato in appalto ad una società
esterna l'attività di gestione del magazzino cui i lavoratori licenziati erano addetti e ritenendo
irrilevanti le nuove assunzioni operate in relazione a mansioni del tutto diverse)»
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
(art. 5, c.1-3, D. lgs. 61/2000; Circ. Min. Lav., 18 marzo 2004, n. 9)
o Le parti possono decidere di trasformare l’originario rapporto di lavoro da tempo pieno
in rapporto part-time o viceversa mediante atto scritto integrante l’originario rapporto
di lavoro.
o La trasformazione è illegittima se proviene dalla decisione unilaterale del datore di
lavoro (dettata, ad esempio, da crisi aziendale).
o E’ infondata la pretesa del lavoratore di convertire unilateralmente il rapporto di lavoro
da tempo pieno a parziale senza il consenso del datore.
o Il licenziamento eventualmente irrogato al lavoratore che si rifiuti di trasformare il
proprio rapporto di lavoro è considerato discriminatorio e quindi nullo, con
applicazione della tutela reintegratoria.
o La trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time non richiede più la convalida
del relativo atto da parte della Direzione Territoriale del Lavoro.
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Art. 22, c. 4, L. 183/2011
•
In particolare, mediante atto scritto le parti possono trasformare il rapporto di lavoro da
tempo pieno in tempo parziale.
•
Qualora venga assunto nuovo personale a tempo parziale, il datore di lavoro deve
informare tempestivamente – anche mediante comunicazione scritta affissa nei locali
d’impresa, in luogo accessibile a tutti – il personale già dipendente con rapporto a tempo
pieno, occupato in unità produttive collocate nello stesso ambito comunale, e prendere
in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto
dei dipendenti.
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Lavoratori affetti da patologie oncologiche
(Art. 12 bis, c. 1, D. lgs. 61/2000; Circ. Min. Lav., 22 dicembre 2005, n. 40)
• I lavoratori affetti da patologie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità
lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una
commissione medica istituita presso l'azienda unità sanitaria locale territorialmente
competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in
lavoro a tempo parziale, verticale od orizzontale.
• Per la quantificazione dell’orario ridotto e per la scelta tra part-time orizzontale o
part-time verticale, le parti devono prendere in considerazione sia le esigenze del
lavoratore, sia quelle aziendali.
• Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in
rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore ove lo stato di salute lo
renda possibile.
• Restano in ogni caso salve le disposizioni più favorevoli per il lavoratore.
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
Art. 12 bis, c. 2 e 3, D. lgs. 61/2000
E’ riconosciuta una priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo
pieno a tempo parziale in caso di:
• patologie oncologiche riguardanti coniuge, figli o genitori del lavoratore;
• lavoratore che assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità
lavorativa che assuma connotazione di gravità alla quale è stata riconosciuta una
percentuale di invalidità pari al 100% con necessità di assistenza continua perché
incapace di compiere atti quotidiani della vita;
• richiesta del lavoratore o della lavoratrice con figlio convivente di età non superiore a
tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap.
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
I contratti collettivi possono prevedere ulteriori ipotesi di priorità.
Cass. civ., Sez. Lav., 4 maggio 2011, n. 9769
«In tema di prestazioni di lavoro subordinato (nella specie, presso
aziende di credito), la mancata concessione della trasformazione a part
time del rapporto a tempo pieno, ove nel caso concreto quest'ultima
risulti giuridicamente doverosa, ai sensi e per gli effetti della
contrattazione collettiva, costituisce violazione dei criteri di buona fede
e correttezza che debbono ispirare l'esecuzione del contratto e, quindi,
inadempimento contrattuale, di cui si può chiedere l'accertamento in
relazione alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla
mancata trasformazione del rapporto di lavoro.
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
• In linea generale, l’adibizione a mansioni inferiori rispetto a quelle
concordate in sede di assunzione è vietata e ogni patto contrario è nullo.
• Il divieto opera anche nell’ipotesi di assegnazione a mansioni ricomprese nel
livello o nella categoria contrattuale di appartenenza, ma inferiori nella
sostanza, perché non aderenti alla specifica competenza del dipendente
oppure recanti un pregiudizio al graduale avanzamento gerarchico dello
stesso.
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
Tuttavia, la giurisprudenza ha ammesso, in alcuni casi, la possibilità di modificare in
peggio le mansioni del lavoratore in presenza di determinate condizioni.
1. Mansioni inferiori marginali ed accessorie rispetto a quelle di competenza
«Una volta che l'attività prevalente e assorbente del lavoratore rientri fra le mansioni
corrispondenti alla qualifica di appartenenza, non viola i limiti esterni dello "ius
variandi" del datore di lavoro - né frustra la funzione di tutela della professionalità l'adibizione del lavoratore stesso a mansioni inferiori, purché si tratti di mansioni che,
oltre ad essere marginali e accessorie rispetto a quelle di competenza, non rientrino
nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata (Nella
specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto ingiustificato
il rifiuto del lavoratore, adibito in maniera prevalente e assorbente a mansioni
corrispondenti alla qualifica di appartenenza, di svolgere in via del tutto marginale la
inferiore mansione di dattiloscrittura)» (Cass. civ., Sez. Lav., 2 maggio 2003, n. 6714).
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
2. Riclassamento del personale
«In tema di rapporto di lavoro contrattualizzato dei dipendenti postali, la nullità di
patti contrari al divieto di declassamento di mansioni previsto dal capoverso dell'art.
2103 c.c., pur trovando applicazione anche alla contrattazione collettiva, non esclude
che un nuovo contratto collettivo possa prevedere il riclassamento del personale
consistente in un riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni,
fatta salva in ogni caso la tutela della professionalità già raggiunta dal lavoratore
quale prescritta dal comma 1 dello stesso articolo. Ne consegue che è legittima
l'attribuzione della nuova qualifica, risultante dal riclassamento, al lavoratore le cui
mansioni siano rimaste immutate, mentre sarebbe illegittima l'assegnazione di nuove
mansioni non coerenti con la professionalità di quest'ultimo, anche se equivalenti ad
altre rientranti nella nuova qualifica attribuita a seguito del riclassamento» (Cass., 3
settembre 2002, n. 12821)
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
3. Temporanea adibizione a diverse mansioni, anche non strettamente corrispondenti
a quelle di appartenenza
«Il rifiuto del lavoratore di svolgere mansioni non equivalenti a quelle di appartenenza,
per un periodo transitorio, finalizzato all'apprendimento di nuove tecniche lavorative in
vista dell'acquisizione di una più ampia professionalità, non è giustificato dall'eccezione
di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., peraltro invocabile solo a fronte di un
inadempimento totale della controparte, e legittima il licenziamento per giusta causa».
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
4. Demansionamento diretto ad evitare la sospensione o la cessazione del rapporto di
lavoro
a) per eventi morbosi che abbiano determinato l’inidoneità al lavoro:
«In caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, l'impossibilità della
prestazione lavorativa quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal
contratto di lavoro subordinato (art. 1 e 3 l. n. 604 del 1966 e art. 1463 e 1464 c.c.) non è
ravvisabile per effetto della sola ineseguibilità dell'attività attualmente svolta dal
prestatore di lavoro, perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad
una diversa attività, che sia riconducibile - alla stregua di un'interpretazione del contratto
secondo buona fede - alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art.
2103 c.c.) o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia
utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito
dall'imprenditore» (Cass. civ.,
Sez. Un., 7 agosto 1998, n. 7755).
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
4. Demansionamento diretto ad evitare la sospensione o la cessazione del rapporto di lavoro
b) in caso di esternalizzazione dei servizi o di loro riduzione da parte di un’azienda in crisi o che
abbia subìto processi di riconversione o ristrutturazione aziendale
«Il demansionamento del dipendente si configura soltanto quando le nuove funzioni da svolgere sono
decisamente dequalificanti, mentre non può essere evocato in caso di trasferimento ad altro settore
per la soppressione del vecchio servizio di appartenenza, qualora tale trasferimento costituisca,
nell’ambito di un’azienda in crisi, "extrema ratio" rispetto al licenziamento o alla mobilità (nella
specie, la Corte ha accolto il ricorso di un’azienda contro la sentenza di merito che affermava
l’avvenuta dequalificazione di tre guardie giurate assegnate a mansioni produttive dopo
l’esternalizzazione del servizio di guardiania, avvenuta in una fase di crisi, dalla quale l’impresa
voleva uscire senza espellere nessun dipendente dal circuito produttivo)» (Cass. civ., Sez. Lav., 18
febbraio 2008, n. 4000).
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
DEMANSIONAMENTO
Patto di demansionamento
• È lecito il patto di dequalificazione, se è l'unico modo per evitare il licenziamento, a condizione che il
dipendente sia d'accordo. Il consenso del lavoratore non deve essere esplicito, ma può anche desumersi
da fatti concludenti (Cass., 25 novembre 2010, n. 23926).
• La dequalificazione è possibile, quindi, solo in presenza di un preventivo accordo con il lavoratore che
abbia manifestato la sua disponibilità alla propria dequalificazione finalizzata alla conservazione del
posto di lavoro e l’abbia di fatto accettata (Cass., 18 settembre 2013, n. 21356).
• In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al
risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva non può prescindere da una
specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del
pregiudizio medesimo. Deve quindi trattarsi di un pregiudizio di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile – che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri,
inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel
mondo esterno (Cass., 4 settembre 2014, n. 18673).
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE DELLE
CRITICITA’ TRA LE PARTI
TRASFERIMENTO
Art. 2103 c.c.
« … (il lavoratore) non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se
non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive».
In assenza di un’espressa definizione legislativa, il trasferimento è stato definito
dalla giurisprudenza come lo spostamento del lavoratore definitivo e senza limiti
di durata, che può essere disposto unilateralmente dal datore di lavoro in presenza
di determinate condizioni o previo consenso del lavoratore oppure, ancora, su
espressa richiesta di quest’ultimo.
GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA DEFINIZIONE
DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
Trasferimento individuale del lavoratore disposto su iniziativa individuale del datore di
lavoro
Riguarda il singolo lavoratore e può essere disposto su iniziativa del datore di lavoro solo
se vengono rispettate le seguenti condizioni (in caso contrario, il lavoratore può
legittimamente rifiutare il trasferimento):
• per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive di carattere oggettivo ed
effettivamente sussistenti nel momento in cui viene deciso il trasferimento;
• a patto che avvenga da un’unità produttiva ad un’altra nell’ambito della stessa
azienda («unità produttiva»: una consistente e vasta entità aziendale che, pur
articolata in organismi minori, si caratterizza per condizioni imprenditoriali di
indipendenza tecnica ed amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo
relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva).
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GLI ACCORDI INDIVIDUALI PER LA
DEFINIZIONE DELLE CRITICITA’ TRA LE PARTI
Trasferimento collettivo dei lavoratori
• E’ il trasferimento che riguarda un’intera parte dell’impresa (reparto, filiale)
o dell’azienda nel suo complesso.
• In tali casi, il trasferimento è legittimo se il datore di lavoro ha affrontato
preventivamente i motivi aziendali di trasferimento con le organizzazioni
sindacali, al fine di determinare le modalità di attuazione dello stesso.
CONTRATTO DI RETE DI IMPRESE
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17/02/2015
CONTRATTO DI RETE DI IMPRESE
Art. 3, c. 4-ter, D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, così come modificato da L. n. 134/2012 e
D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012
•
Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di
accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità
innovativa e la propria competitività sul mercato.
•
A tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a
collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio
delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni
di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero
ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti
nell'oggetto della propria impresa.
•
Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale
comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e
per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi
dello stesso.
- segue -
CONTRATTO DI RETE DI IMPRESE
Il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per
atto firmato digitalmente da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti,
trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese e indicare:
• nome, ditta, ragione o denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione
del contratto o per adesione successiva, nonché denominazione e sede della rete, qualora sia
prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune;
• indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità
competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare
l'avanzamento verso tali obiettivi;
• definizione di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi
assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia
prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei
conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a
versare al fondo, nonché le regole di gestione dello stesso;
• durata del contratto, modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause
facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto.
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CONTRATTO DI RETE DI IMPRESE
• Art. 3, c. 4-quater, D.L. 10 febbraio 2009, n. 5
• Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese
presso cui è iscritto ciascun partecipante;
• l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle
iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari;
• le modifiche al contratto di rete sono redatte e depositate per l'iscrizione, a cura
dell'impresa indicata nell'atto modificativo, presso la sezione del registro delle
imprese presso cui è iscritta la stessa impresa.
JOB SHARING o CONTRATTO DI LAVORO
RIPARTITO
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17/02/2015
JOB SHARING O CONTRATTO DI LAVORO RIPARTITO
(Art. 41, 42 e 43 D. lgs. 10 settembre 2003, n. 276)
• Il contratto di lavoro ripartito è uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori
assumono in solido l'adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa.
• Fermo restando il vincolo di solidarietà e fatta salva una diversa intesa tra le parti contraenti, ogni
lavoratore resta personalmente e direttamente responsabile dell'adempimento dell’intera
obbligazione lavorativa.
• Generalmente, i lavoratori hanno la facoltà di determinare discrezionalmente e in qualsiasi
momento sostituzioni tra di loro, nonché di modificare consensualmente la collocazione
temporale dell'orario di lavoro, nel qual caso il rischio dell’impossibilità della prestazione per fatti
attinenti a uno dei coobbligati è posta in capo all'altro obbligato.
• Eventuali sostituzioni da parte di terzi, nel caso di impossibilità di uno o entrambi i lavoratori
coobbligati, sono vietate e possono essere ammesse solo previo consenso del datore di lavoro.
JOB SHARING O CONTRATTO DI LAVORO
RIPARTITO
• Salvo diversa intesa tra le parti, le dimissioni o il licenziamento di uno dei lavoratori
coobbligati comportano l'estinzione dell'intero vincolo contrattuale;
• Se, tuttavia, su richiesta del datore di lavoro, l'altro prestatore di lavoro si rende
disponibile ad adempiere l'obbligazione lavorativa, integralmente o parzialmente, il
contratto di lavoro ripartito si trasforma in un normale contratto di lavoro
subordinato.
• In caso di impedimento di entrambi i lavoratori coobbligati:
- l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la
prestazione diventa impossibile;
- se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è
responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se
l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla
natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la
prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
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17/02/2015
JOB SHARING O CONTRATTO DI LAVORO
RIPARTITO
Il contratto di lavoro ripartito è stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti
elementi:
• la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero,
settimanale, mensile o annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei lavoratori
coobbligati, secondo le intese tra loro intercorse, ferma restando la possibilità per gli
stessi lavoratori di determinare discrezionalmente, in qualsiasi momento, la
sostituzione tra di loro ovvero la modificazione consensuale della distribuzione
dell'orario di lavoro;
• luogo di lavoro, nonché trattamento economico e normativo spettante a ciascun
lavoratore;
• eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività
dedotta in contratto.
PROCEDURE INDIVIDUALI DI
LICENZIAMENTO
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17/02/2015
PROCEDURE INDIVIDUALI DI LICENZIAMENTO
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO
Art. 2118 C.C.
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il
preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente
all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso
Art. 3 Legge n. 604/66
Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole
inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni
inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di
essa.
C.C.N.L.
Procedure individuali di licenziamento
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Codice Civile: Art. 2119
«Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del
termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è
a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la
prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto»
Art. 1, L. n. 604/66
C.C.N.L.
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17/02/2015
IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
«In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto
addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la
sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far
ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi
aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto
di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue
concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in
dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione
ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio
comportamento ai canoni di buona fede e correttezza».
(Cass. civ., Sez. Lav.,16 gennaio 2013, n. 892)
IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
«Nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio della immediatezza della
contestazione dell'addebito e della tempestività del recesso datoriale, che si
configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro,
deve essere inteso in senso relativo,
relativo potendo in concreto essere compatibile con
un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione
dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore, ovvero quando la complessità
della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di
recesso; in ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività costituisce giudizio
di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato"
(Cass. civ., Sez. Lav., 26 marzo 2013, n. 7499)
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17/02/2015
RITO SPECIALE PER LE CONTROVERSIE IN TEMA DI
LICENZIAMENTI
(C.D. «RITO FORNERO»)
o La L. 92/2012 ha introdotto un rito speciale applicabile alle controversie aventi ad
oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dal nuovo testo
dell’art. 18 Stat. Lav. (licenziamenti per motivi discriminatori o illeciti), anche
quando debbano essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto
di lavoro.
o Si tratta – nelle intenzioni del Legislatore – di un rito particolarmente snello che,
prevedendo l’eliminazione delle formalità non essenziali all’instaurazione di un
pieno contraddittorio, consente di ottenere una tutela rapida ed efficace.
Rito speciale per le controversie in tema di
licenziamenti
Il rito di primo grado è suddiviso in due fasi:
1. una prima fase necessaria, di natura urgente, nella quale il giudice, con
ordinanza, accoglie o rigetta la domanda del lavoratore;
2. una seconda fase, a carattere eventuale, che consegue all’opposizione
proposta avverso l’ordinanza di accoglimento o di rigetto sopra citata e
che è assimilabile al giudizio di merito di primo grado davanti al giudice
del lavoro.
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17/02/2015
LICENZIAMENTI DISCRIMINATORI
(Art. 18 c. 1)
Sono discriminatori i licenziamenti:
determinati da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza a
un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali (art. 4, L. 604/66);
diretti a fini di discriminazione sindacale, politica, religiosa, razziale, di lingua,
di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle
convinzioni personali (art. 15, L. n. 300/70, come modificato dal D. Lgs. n.
216/2003).
Sono equiparati ai licenziamenti discriminatori – quanto al regime
sanzionatorio – i licenziamenti:
intimati dal momento della richiesta di pubblicazioni del matrimonio sino a
un anno dopo la celebrazione del medesimo (art. 35, D. Lgs. n. 198/2006);
intimati dall’inizio della gravidanza della lavoratrice fino al compimento di un
anno di età del bambino o causati dalla domanda o dalla fruizione del
congedo parentale e per malattia del bambino da parte della lavoratrice o del
lavoratore (art. 54, commi 1, 6, 9, D. Lgs. n. 151/2001);
determinati da un motivo illecito ai sensi dell’art. 1345 c.c.
1
LE NOVITA’ DELLA RIFORMA FORNERO
L’art. 1 co. 42 della L. 92/2012 sostituisce i commi da 1 a 6 dell’art. 18 Stat. Lav.,
riconfigurando la disciplina vigente in tema di definizione dell’apparato sanzionatorio
del licenziamento nullo, illegittimo e inefficace.
Rimane immutato il campo di applicazione dell’art. 18, il quale comprende i datori di
lavoro, imprenditori e non imprenditori, che occupano più di 15 dipendenti nella
singola unità produttiva o nell’ambito comunale, o più di 60 nell’ambito nazionale.
Pertanto, il regime applicabile ai licenziamenti illegittimi intimati dalle piccole imprese
continua ad essere fissato dall’art. 8 L. 604/1966, così come resta invariata la
definizione del licenziamento legittimo dal punto di vista sostanziale che si ritrova
sempre nell’art. 3 L. 604/1966.
27
17/02/2015
IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
PRIMA DELLA LEGGE FORNERO
Il previgente apparato sanzionatorio presentava DUE REGIMI
di TUTELA:
1. TUTELA OBBLIGATORIA
datori di lavoro, imprenditori e non
imprenditori, che occupano meno di 15 dipendenti. Risarcimento del
danno tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. TUTELA REALE
datori di lavoro, imprenditori e non
imprenditori, che occupano più di 15 dipendenti. Reintegrazione nel posto
di lavoro, oltre risarcimento del danno pari alle retribuzioni tra la data del
licenziamento e la data della sentenza e comunque non inferiore a 5
mensilità (oltre alla copertura contributiva per il periodo). Possibilità per il
lavoratore di optare per 15 mensilità in sostituzione della reintegrazione.
IL NUOVO SISTEMA DI TUTELE
TUTELA
MISURA SANZIONE
VIZIO LICENZIAMENTO
“VECCHIA” Tutela
OBBLIGATORIA
Indennità da 2,5 a 6 mensilità
Per le aziende con meno di 15
dipendenti
REALE FORTE
Reintegrazione con
risarcimento pieno (ex art. 18
St. Lav.)
Licenziamento discriminatorio
/ Licenziamento orale
REALE DEBOLE
Reintegrazione con indennizzo Licenziamento gravemente
limitato (max 12 mensilità)
ingiustificato
OBBLIGATORIA FORTE
Solo indennizzo compreso tra
12 e 24 mensilità
Licenziamento lievemente
ingiustificato
OBBLIGATORIA DEBOLE
solo indennizzo compreso tra
6 e 12 mensilità
vizi formali/procedurali nel
recesso
28
17/02/2015
TENTATIVO OBBLIGATORIO DI
CONCILIAZIONE NEI LICENZIAMENTI PER
GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
ESAME CONGIUNTO PREVENTIVO E TENTATIVO
DI CONCILIAZIONE
L’art. 1, c. 40, L. 92/2012, sostituendo l’art. 7 L. 604/1966, introduce una
procedura di conciliazione davanti alla Commissione provinciale di
conciliazione presso la Direzione territoriale del lavoro, che il datore di
lavoro, avente i requisiti dimensionali previsti dal nuovo articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori, deve obbligatoriamente esperire prima di intimare il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia il licenziamento
determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del
lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3, L. 604/1966).
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17/02/2015
ESAME CONGIUNTO PREVENTIVO E TENTATIVO
DI CONCILIAZIONE
• Tale procedura costituisce condizione
dell’intimazione del licenziamento.
di
procedibilità
ai
fini
• In caso di violazione della procedura in questione, il licenziamento è
inefficace, in base a quanto previsto dal nuovo testo dell’articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori.
ESAME CONGIUNTO PREVENTIVO E TENTATIVO
DI CONCILIAZIONE
• Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere preceduto da una
richiesta di conciliazione avanzata dal datore di lavoro alla Direzione Territoriale del
Lavoro del luogo ove il lavoratore presta la sua opera e trasmessa per conoscenza al
lavoratore.
• Nella richiesta il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al
licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo
nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
• La Direzione Territoriale del Lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al
lavoratore nel termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta.
• In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare
all’incontro, la procedura può essere sospesa per un massimo di 15 giorni.
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17/02/2015
ESAME CONGIUNTO PREVENTIVO E TENTATIVO DI
CONCILIAZIONE
• Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono
iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza
sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
• La procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della
Commissione, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si
conclude entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione Territoriale del Lavoro ha
trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di
comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al
raggiungimento di un accordo.
ESAME CONGIUNTO PREVENTIVO E TENTATIVO
DI CONCILIAZIONE
• Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, in caso di mancata convocazione della DTL
entro il termine di 7 giorni, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
• Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro:
indennità di disoccupazione a favore del lavoratore a carico dell’Assicurazione Sociale per
l’Impiego (ASpI) e eventuale suo affidamento a un’agenzia per il lavoro (art. 4, co. 1, lett. a) e b),
D. Lgs. 276/2003).
• In caso di mancata presentazione del datore di lavoro nel giorno della convocazione per
l’espletamento del tentativo di conciliazione, il personale incaricato provvederà a redigere il
verbale di mancata presenza e la procedura si considera comunque espletata.
• Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di
Commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è
valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, co. 7, L.
300/1970 e per l'applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (condanna alle spese di procedimento).
31
17/02/2015
DECORRENZA DEGLI EFFETTI DEL
LICENZIAMENTO
• Ai sensi dell’art. 1 co. 41 L. 92/2012, il licenziamento intimato all’esito del
procedimento disciplinare di cui all’art. 7 L. 300/1970, oppure all’esito del
procedimento di conciliazione preventiva di cui al novellato art. 7 L. 604/1966,
produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è
stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa
indennità sostitutiva.
• È fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme in materia di
tutela della maternità e della paternità di cui al D. Lgs. 151/2001. Gli effetti rimangono
altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro.
• Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come
preavviso lavorato.
Novità introdotte dalla legge 9 agosto 2013 n. 99
(di conversione del d.l. 28 giugno 2013, n. 76, c.d.
«Decreto del Fare»)
La procedura relativa al tentativo di conciliazione obbligatorio in caso di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo non trova applicazione nei
seguenti casi:
• Licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c.;
• Licenziamento per cambio appalto (assorbimento dei lavoratori da parte
dell’impresa subentrante, v. ad es. art. 4 Ccnl Pulizie-Multiservizi);
• Licenziamento in edilizia per fine cantiere o fine fase lavorativa.
32
17/02/2015
JOBS ACT
• Scopi della riforma:
• Incentivare occupazione stabile
• property liability rule
• Riduzione degli spazi di cd tutela reale (reintegrazione) nel caso
di licenziamento illegittimo
• Prospettiva di miglioramento degli ammortizzatori sociali
(trattamento di disoccupazione universale rafforzato) e dei
servizi di ricollocamento
I testi normativi della riforma
• Decreto Poletti (conv. in L. 16 maggio 2014 n. 78): contratto a termine, apprendistato,
somministrazione
• Legge di stabilità (23 dicembre 2014 n. 190): esonero contributivo e Irap per le
assunzioni a tempo indeterminato (cui si applicano tutele crescenti)
• Legge-delega 10 dicembre 2014 n. 183 (contratto a tutele crescenti, cod. lav.
semplificato, ammortizzatori e servizi per l’impiego)
I.
schema di decreto attuativo (dell’art.1, co.7): «Disposizioni in materia di
contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti»
II.
schema di decreto attuativo (dell’art. 1, co. 2): «Disciplina della Nuova ASpI
(NASpI)»
33
17/02/2015
Il contratto di lavoro a tempo indeterminato a
tutele crescenti
Novità principali
• Riduzione dei casi di licenziamento illegittimo sanzionati con la reintegrazione del
lavoratore (tutela reale)
• Agevolazioni per la conciliazione standard
• Esclusione applicabilità del cd Rito Fornero
• Esclusione della procedura di tent. obbligatorio conc. ex art. 7 L. n. 604 del 1966
Campo di applicazione
• Operai, impiegati, quadri (esclusi dirigenti) assunti dopo entrata in vigore del decreto delegato;
• + dipendenti (anche con assunzioni precedenti il d.lgs.) di DDL che, in forza di assunzioni successive,
hanno superato i limiti dimensionali di cui all’art. 18, co. 8-9, Statuto dei lavoratori.
Ratio:
Quei dipendenti non avevano la tutela reale neppure prima.
Non disincentivare le assunzioni.
• Pubblico Impiego?
• Dipendenti di Partiti e organizzazioni di tendenza?
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17/02/2015
I licenziamenti
Tutela reintegratoria resta per:
A. Licenziamenti discriminatori (art. 2, co. 1)
B. Licenziamenti in forma orale (ib.)
C. Licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo
soggettivo in cui venga direttamente dimostrata
l’inesistenza del fatto materiale contestato (art. 3, co.
2) e fondati su inidoneità fisica/psichica (art. 3, co.3)
[tranne per piccole imprese ex art. 18, co. 8-9, St. lav.
(art. 9)]
D. Licenziamenti collettivi (artt. 4, 24, l. 223/91) senza
forma scritta (art.10)
I licenziamenti
Solo tutela risarcitoria per:
E. Tutti gli altri casi di licenziamento illegittimo per giustificato
motivo (ogg. e sogg.) e giusta causa (art. 3, co.1)
F. Licenziamenti con soli vizi formali e/o motivazionali (art. 4)
G. I licenziamenti collettivi in violazione della procedura di
mobilità ex art. 4, l. n. 223/1991 o dei criteri di scelta di cui al
successivo art. 5, co. 1 (art. 10, secondo periodo)
35
17/02/2015
Entità risarcimenti – tutela reale
• Nei casi di reintegra (A, B, D): retribuzione non percepita, dedotto quanto
eventualmente percepito, tra licenziamento e reintegra (min = 5 mensilità),
con contributi (art. 2, co. 2)
• Nei casi di reintegra per insussistenza del fatto contestato (C): retribuzione
non percepita, dedotto quanto percepito, nonché quanto percepibile
accettando congrua offerta di lavoro (art. 4, co. 1, lett. c, d. lgs. 21 aprile
2000, n. 181), tra licenziamento e reintegra (no min; ma max 12 mensilità)
(art. 3, co. 2)
• In tutti i casi di reintegra, il dipendente può scegliere un’indennità
(alternativa alla reintegra): 15 mensilità senza contributi (art. 2, co. 3)
=> per questi casi non cambia nulla rispetto a disciplina vigente (cfr. art. 18,
co. 1-4, St. lav. previgente)
Entità risarcimenti – tutela obbligatoria
• Nei casi di infondatezza del motivo/causa (E) e mancato rispetto della disciplina dei l.
collettivi (G):
• 2 mensilità per ogni anno di servizio, ma comunque
• Min = 4 mensilità
• Max = 24 mensilità
• No contributi
(art. 3, co. 1; art. 10, secondo periodo)
• Nei casi di vizi formali/motivazionali (F): valori dimezzati (1 mensilità per ogni anno;
min=2 mens.; max=12 mens.) (art. 4)
• Nel caso di datori senza requisiti dimensionali di art. 18, co. 8-9, St. lav., gli importi
rispettivi alle due fattispecie sono dimezzati e mai superiori a 6 mensilità (art. 9, co. 1)
=> È diminuito il minimo (era 12 mensilità nei casi base) e si è resa rilevante l’anzianità
36
17/02/2015
Conciliazione
• Con la conciliazione entro il termine di impugnazione stragiudiziale
è possibile offrire 1 mensilità per ogni anno di servizio (min=2
mensilità; max=18 mensilità), non soggetto a tributi e contributi,
mediante assegno(art. 6)
=> Si è introdotta una rilevante esenzione fiscale e contributiva
Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per
l’Impiego (NASpI)
Sostituisce ASpI e MiniASpI ex art. 2, l. 28 giugno 2012, n. 92 rispetto alle quali
• Richiede almeno:
• 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti
• 18 giornate di lavoro effettivo nell’anno precedente
• invece di 2 anni di contributi, di cui 1 anno nei 2 anni precedenti (o, per MiniAspi, 13 settimane
nell’anno precedente)
• Durata:
• la metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni (dedotti i periodi contributivi
che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione); con max = 18 mesi
• invece, nel 2015 l’ASpI sarebbe durata: 10 mesi (per età<50 anni); 12 mesi (50<età<55 anni); 16
mesi (età>55)
• Riduzione progressiva dell’importo (immutato) del 3% ogni mese dopo il quinto (invece di una
riduzione del 15% dal sesto mese e di un ulteriore 15% dal dodicesimo)
• Espressamente concessa anche a chi si dimette per giusta causa
• + DIS-COLL per co.co.co. e co.co.pro. (con 3 mesi di contributi tra l’anno solare precedente e quello in
corso, di cui almeno 1 nell’ultimo)
• Assegno di disoccupazione per chi non abbia trovato lavoro durante erogazione NASpI
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17/02/2015
Dubbi
• licenziamento disciplinare per bagatelle o fatti insignificanti
(ti licenzio per un minuto di ritardo, o e perché hai detto una
parolaccia): in questi casi, se il fatto materiale è dimostrato
(anzi: se il lavoratore non ne dimostra l’inesistenza), non c’è
reintegrazione, ma solo l’indennizzo standard, non avendo il
Giudice più alcun «potere di valutazione circa la proporzione
del licenziamento». Il problema non è di facile soluzione: è
probabile che i Giudici ricorrano alla fattispecie del
licenziamento
arbitrario,
capriccioso
o
ritorsivo,
deducendone dunque la natura discriminatoria (con le
conseguenze del caso).
Dubbi
• Sul nodo del licenziamento per scarso rendimento sarebbe stato opportuno
un chiarimento da parte del legislatore. La giurisprudenza ammette che il
licenziamento per scarso rendimento possa avere natura disciplinare (se lo
scarso rendimento deriva da negligenza nel lavoro) o anche oggettiva
(eccessiva morbilità). In questi casi, pertanto, trovano applicazione le tutele
viste: la sanzione della reintegra sarà limitata all’ipotesi in cui lo scarso
rendimento viene smentito del tutto oppure nei casi in cui il licenziamento
venga dichiarato illegittimo perché discriminatorio (ragioni di malattia) o
sussunto nella fattispecie della inidoneità psico-fisica.
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Dubbi
• D’altro canto, l’esenzione fiscale è limitata alla sola conciliazione
standard: conciliazioni raggiunte su livelli più bassi o più alti rispetto allo
standard non beneficerebbero della detassazione?
• Qual è la sanzione per il licenziamento intimato per superamento del
comporto ma in violazione dell’art. 2110 c.c.?
• Il nuovo regime di applica anche in caso di conversione a tempo
indeterminato di precedente contratto a tempo determinato?
COME GESTIRE IL CONTENZIOSO POSTLICENZIAMENTO
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GLI ACCORDI TRA DATORE DI LAVORO E
DIPENDENTE:
RINUNCE E TRANSAZIONI
Art. 2113 c.c.:
• «Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro
derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi
concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono
valide.
• L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data
di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste
sono intervenute dopo la cessazione medesima.
• Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con
qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la
volontà.
• Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai
sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile o
conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato».
- segue -
GLI ACCORDI TRA DATORE DI LAVORO E
DIPENDENTE
RINUNCIA
• Dichiarazione unilaterale di volontà con cui il lavoratore decide di non esercitare più
un suo diritto.
• Può essere espressa anche con un comportamento concludente, purché non vi siano
dubbi sulla volontà di rinunciare e non vi sia possibilità di una diversa interpretazione.
• La rinuncia è valida se ha per oggetto diritti contemplati da norme derogabili di legge
o di C.C.N.L. o derivanti dal contratto individuale di lavoro quando questi diritti siano
migliorativi e non lesivi rispetto a quelli stabiliti dalla legge o dal C.C.N.L.(es.: diritti al
superminimo, ad ulteriori mensilità aggiuntive, a permessi aggiuntivi non previsti dal
C.C.N.L.).
• Non è possibile disporre – a pena di nullità – dei diritti non ancora maturati (ad es., la
retribuzione prima della maturazione del diritto) sia nella fase di stipulazione del
contratto, sia successivamente.
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GLI ACCORDI TRA DATORE DI LAVORO E DIPENDENTE
TRANSAZIONE
• La transazione rientra nella categoria dei contratti a prestazioni
corrispettive. Pertanto i suoi elementi costitutivi sono:
- la volontà di porre fine ad una lite già insorta o prevenire l’insorgenza
della stessa;
- la reciprocità delle concessioni delle parti;
- la consapevolezza dei diritti di cui si sta disponendo;
- la sussistenza di una volontà abdicativa.
• Affinché la transazione sia valida, è necessario che il suo oggetto sia lecito,
determinato o determinabile.
• La forma scritta non è prevista ad substantiam, ma soltanto ad
probationem, ossia per provare l’accordo transattivo.
STRUMENTI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE:
LE TRANSAZIONI «TOMBALI»
Sono valide (NON impugnabili ex art. 2113 c.c.) le transazioni tra datore di lavoro e lavoratore
contenute nei verbali di conciliazione sottoscritti:
• in sede giudiziale;
• davanti alla commissione di conciliazione istituita presso la Direzione Territoriale del Lavoro (art.
410 c.p.c.) o presso le sedi di certificazione, comprese le Università (art. 31, c. 13, L. 183/2010;
Risp. Interpello Min. Lav., 9 agosto 2011, n. 34);
• davanti alla commissione di conciliazione istituita in sede sindacale (art. 412-ter c.p.c.);
• presso i collegi di conciliazione e arbitrato irrituale.
In tali casi, le rinunce e le transazioni sono possibili in quanto il lavoratore è adeguatamente protetto
per effetto dell’intervento, in funzione garantista, di un terzo (autorità amministrativa, sindacale e
giudiziaria): viene quindi meno l’esigenza di tutela posta alla base del divieto di cui all’art. 2113 c.c.
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Requisiti delle rinunce contenute nell’accordo
conciliativo
• le rinunce devono essere accettate dalla controparte;
• necessità che le stesse siano dettagliate e analitiche (quindi con
indicazione dei diversi Istituti oggetto delle rinunce);
• rinunce anche nei confronti del Gruppo cui la Società datrice di
lavoro eventualmente appartiene.
Non opponibilità ai terzi delle rinunce
• Di regola le rinunce non sono opponibili ai terzi;
• clausola usualmente inserita nei casi in cui viene rivendicata la
subordinazione:
“Il Ricorrente, anche a seguito di approfondita e completa
ricognizione, dichiara e riconosce che non è sussistito alcun
rapporto di lavoro subordinato con la Società”.
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le rinunce del datore di lavoro
• non è necessario essere analitici come nel caso delle rinunce
formulate dal lavoratore
• - esempio di clausola:
“La Società riconosce di non avere pretese nei confronti del lavoratore e, in
ogni caso, dichiara di rinunziare a ogni pretesa connessa all’esecuzione e
cessazione del rapporto di lavoro e/o a qualsivoglia rapporto per ipotesi
intercorso, per qualsiasi titolo, credito o ragione – contrattuale o
extracontrattuale – derivante dalla legge e/o dal CCNL applicabile e/o dal
contratto di lavoro individuale”.
STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
CONCILIAZIONE DAVANTI ALLA COMMISSIONE DI CONCILIAZIONE
(art. 410 c.p.c.)
o Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti
dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla
quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione
presso la commissione di conciliazione.
o La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione
interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di
conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di
ogni termine di decadenza.
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STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
LA RICHIESTA DEL TENTATIVO DI CONCILIAZIONE
• La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita
mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di
conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno
a cura della stessa parte istante alla controparte.
• La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto
sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza
deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza
alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al
momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla
procedura;
4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
LA RICHIESTA DEL TENTATIVO DI CONCILIAZIONE
• Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la
commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della
richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché
le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti
è libera di adire l'autorità giudiziaria.
• Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle
parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta
giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da
un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
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STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
Art. 411 c.p.c.:
• Se la conciliazione esperita ai
limitatamente ad una parte della
verbale sottoscritto dalle parti
conciliazione. Il giudice, su istanza
con decreto.
sensi dell’art. 410 c.p.c. riesce, anche
domanda, viene redatto separato processo
e dai componenti della commissione di
della parte interessata, lo dichiara esecutivo
• Se, invece, le parti non giungono ad un accordo, la commissione di conciliazione
deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se
anche la proposta non viene accettata, i termini di essa sono riassunti nel
verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze
della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata
motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.
STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
CONCILIAZIONE DAVANTI ALLA COMMISSIONE ISTITUITA IN SEDE SINDACALE (art. 412 ter
c.p.c.)
«La conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’art. 409, possono essere
svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi
sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative».
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STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
CONCILIAZIONE DAVANTI AI COLLEGI DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO IRRITUALE
(art. 412 quater c.p.c.)
• In alternativa al ricorso davanti al giudice, le controversie di lavoro possono essere
altresì proposte davanti al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale.
irrituale.
• Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna
delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo
dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati
ammessi al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione.
STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
PROCEDURA
• La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare
all’altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica
amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito
mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio.
• Il ricorso deve contenere:
- la nomina dell’arbitro di parte;
- l’oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la
domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si
intende limitare la domanda;
- il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e
l’eventuale richiesta di decidere secondo equità.
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17/02/2015
STRUMENTI STRAGIUDIZIALI DI RISOLUZIONE DELLE
CONTROVERSIE
• Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato
nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del
ricorso procede, ove possibile, concordemente con l’altro arbitro, alla scelta del
presidente e della sede del collegio.
• Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina
sia fatta dal presidente del Tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato.
• Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al
presidente del Tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova
l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale
egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.
Strumenti stragiudiziali di risoluzione delle
controversie
• In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio,
collegio la parte convenuta,
entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una
memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da
un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio.
• La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali
domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova.
• Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare
presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del
ricorso.
• Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una
controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.
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Strumenti stragiudiziali di risoluzione delle
controversie
1) Il collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del
termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel
domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.
2) All’udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione:
• se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell’art. 411, commi primo e terzo.
• se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e
ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all’immediata discussione orale.
Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di
dieci giorni di distanza, l’assunzione delle stesse e la discussione orale.
3) La controversia è decisa, entro venti giorni dall’udienza di discussione, mediante un
lodo, che ha efficacia di titolo esecutivo a seguito del provvedimento del giudice su
istanza della parte interessata.
QUIETANZA LIBERATORIA E
TRANSAZIONE
• La quietanza liberatoria o quietanza a saldo è una dichiarazione,
generalmente sottoscritta a fine rapporto, in cui il lavoratore attesta di
avere ricevuto dal datore di lavoro una determinata somma a totale
soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non avere altro da pretendere.
• Trattandosi di una dichiarazione di scienza o di opinione, il lavoratore potrà
comunque agire, in caso di errore, per il riconoscimento giudiziale dei propri
diritti che risultino insoddisfatti.
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QUIETANZA LIBERATORIA E
TRANSAZIONE
• La quietanza può assumere il valore negoziale di una rinuncia o di una transazione se
esprime la volontà di privarsi di diritti specifici e determinati di cui il lavoratore abbia
piena consapevolezza; le dichiarazioni ampie ed indeterminate sono, invece, mere
clausole di stile in quanto non sufficienti a comprovare l’effettiva sussistenza di una
volontà dispositiva del lavoratore.
• Ricorre una vera e propria transazione quando nella quietanza rilasciata al lavoratore
viene indicata una somma aggiuntiva, con carattere autonomo rispetto ai crediti di
lavoro, corrisposta a titolo di liberalità e/o compensazione di eventuali somme non
corrisposte.
• In generale, le quietanze liberatorie non implicano di per sé l’accettazione del
licenziamento e la rinuncia ad impugnarlo o all’impugnazione già proposta, a meno
che non ricorrano altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente
concludenti che dimostrino l’intenzione del lavoratore di accettare la risoluzione del
rapporto.
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