5 idee per la pensione

Confederazione Italiana
Sindacati Lavoratori
Dipartimento Democrazia Economica, Economia Sociale,
Fisco, Previdenza e Riforme Istituzionali
Cinque idee per la pensione
In pensione un po’ prima: per un nuovo patto fra le generazioni, per una
previdenza più equa e sostenibile, per il lavoro dei giovani
Sommario
Premessa
1.
2.
3.
4.
5.
Reintrodurre la flessibilità nel sistema pensionistico
Pensioni più giuste ed adeguate
Un nuovo patto per i giovani
Previdenza complementare
Informazione sulla previdenza e sul risparmio previdenziale
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Internazionale dei Sindacati
Premessa
Le modifiche dei requisiti di accesso al pensionamento, realizzate tra il 2004 e
il 2011 (dalla legge “Maroni, fino alla legge “Fornero”) sono state segnate da
una visione solo quantitativa, finalizzata alla quadratura del cerchio dei conti
pubblici, al di fuori di un quadro di riforma del sistema previdenziale attento
alle nuove emergenze sociali.
L’eventuale abrogazione della sola legge Fornero, quindi, pur ripristinando la
pensione di anzianità, lascerebbe irrisolti ed inevasi tutti i problemi non
affrontati ed aggravati dagli interventi previdenziali precedenti.
La “questione previdenziale” rimarrebbe aperta, con particolare riguardo ai
problemi dei giovani, dei lavoratori e delle lavoratrici con carriere discontinue e
retribuzioni basse, all’età di pensionamento delle donne e di chi svolge attività
particolarmente faticose e pesanti. Il sistema previdenziale costruito negli ultimi
10 anni non fornisce soluzioni socialmente sostenibili al progressivo
incremento dell’aspettativa di vita, che non può essere risolto con l’aumento
continuo e ravvicinato dell’età pensionabile.
Un intervento di risanamento finanziario del sistema previdenziale che non
tiene conto delle esigenze di riorganizzazione del lavoro e dei sistemi produttivi
delle imprese e del lavoro usurante, che ostacola la crescita del tasso di attività
dei giovani, che non valorizza il ruolo della contrattazione collettiva a livello
aziendale e territoriale e che trasforma centinaia di migliaia di persone ormai
prossime alla pensione in “casi di assistenza” è destinato ad un rapido
fallimento, riproducendo, come sta accadendo, diseconomie, sprechi, disagio
economico e sociale.
Il tema dell’innalzamento dell’età di lavoro è ineludibile ma questo risultato
non si raggiunge aumentando coattivamente i requisiti legali per il
pensionamento, con effetti deleteri sul versante del funzionamento del mercato
del lavoro e della gestione delle crisi aziendali ma facendo crescere, insieme,
l’occupazione dei giovani e delle donne e favorendo l’innalzamento spontaneo
dell’età effettiva di pensionamento. Qualunque approccio che non tenga
insieme sostenibilità finanziaria e sostenibilità sociale è destinato ad essere
perdente. Questo risultato dipenderà sempre di più anche dalla capacità del
sistema previdenziale di realizzare un adeguato livello di copertura
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pensionistica, obiettivo che si regge sull’equilibrio fra la pensione pubblica e la
previdenza complementare
1. Reintrodurre la flessibilità nel sistema pensionistico
Pensiamo sia necessario reintrodurre meccanismi di flessibilità nell’accesso alla
pensione per rispondere alle esigenze di vita delle persone e ai cambiamenti
dell’organizzazione del lavoro e dei sistemi produttivi..
L’accesso al pensionamento dovrebbe superare la distinzione attualmente
esistente fra i requisiti validi per coloro che conservano il diritto alla pensione
calcolata con il sistema misto (retributivo/contributivo) e i requisiti per coloro
che hanno pensioni calcolate interamente con il metodo contributivo:

Pensione di vecchiaia, al compimento dei 66 anni e 3 mesi di età con 20
anni di contributi. Questo requisito, potrebbe rimanere assoggettato
all’adeguamento periodico all’aspettativa di vita;

Pensione anticipata, con la possibilità di accesso al pensionamento
secondo due diversi canali alternativi:

-
pensione anticipata tramite una “quota”, derivante
dalla combinazione fra età anagrafica e anzianità
contributiva;
-
pensione anticipata flessibile, alla quale si dovrebbe
poter accedere liberamente, per scelta volontaria dei
lavoratori, fermo restando un range d’età variabile, con
incentivi, in caso di pensionamento dopo i 66 anni e
disincentivi, in caso di accesso anticipato.
Pensione anticipata per anzianità contributiva con 42 anni e 6 mesi di
contributi per gli uomini e di 41 anni e 6 mesi per le donne a prescindere
dall’età e senza alcuna penalizzazione in caso di accesso al
pensionamento prima dei 62 anni. Il requisito, attualmente vincolato alla
variazione dell’aspettativa di vita, non deve superare per il futuro il tetto
dei 43 anni per gli uomini e 42 anni per le donne. Attualmente è stata
promossa una procedura di infrazione contro l’Italia per questa disparità
di requisiti tra uomini e donne. Nel caso in cui dovesse concludersi con la
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condanna per l’Italia a nostro avviso il requisito contributivo non
dovrebbe nel futuro poter superare i 43 anni di contribuzione per tutti, a
prescindere dall’età anagrafiche (l’eventuale aumento del requisito per le
donne dovrebbe, tuttavia, essere graduale nell’arco di un determinato
intervallo di tempo).
 Pensione anticipata in particolari situazioni
a) Lavori particolarmente faticosi e pesanti
Pensiamo debbano essere introdotti, accanto alla normativa già esistente sui
lavori usuranti, strumenti, governati dalla contrattazione collettiva che - sulla
base di criteri generali definiti dalla legge - consentano ai contratti e agli
accordi collettivi di definire la possibilità di cessazione dal lavoro prima del
termine previsto per il pensionamento, tenendo conto delle caratteristiche dei
diversi settori produttivi e delle condizioni oggettive e soggettive di usura e
pesantezza del lavoro.
La contrattazione potrebbe prevedere strumenti di sostegno al reddito,
opportunamente incentivati dal punto di vista fiscale e previdenziale, diretti ad
ampliare il numero dei lavoratori tutelati, realizzabili con il concorso dei fondi
di solidarietà, dei fondi pensione e/o della bilateralità di settore, attraverso
integrazioni e prestazioni dirette a:
• sostenere il reddito del lavoratore interessato fino al momento dell’accesso al
pensionamento, con l’intervento della contribuzione figurativa per la copertura
previdenziale dei relativi periodi di non lavoro;
• compensare eventualmente il più ridotto trattamento pensionistico, anche
mediante un’integrazione della contribuzione, a carico della contrattazione o
della bilateralità di settore, destinata alle forme pensionistiche complementari
istituite dai medesimi accordi o contratti collettivi.
b) Ristrutturazioni aziendali
Attualmente l’unica possibilità di pensionamento anticipato concessa dalle
norme è quella offerta dall’art. 4 della legge 92/2012 di riforma del mercato del
lavoro che consente alle imprese e alle OO.SS. di stipulare accordi aziendali nei
casi di eccedenza di personale per incentivare l'esodo dei lavoratori più anziani.
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Una possibilità che si rivela di fatto inattuabile visti i costi ingenti a carico delle
imprese, perché obbliga il datore di lavoro a corrispondere ai lavoratori una
prestazione pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole
vigenti e all'INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti
pensionistici.
Si potrebbe pervenire ad un diverso equilibrio che consenta di ripartire più
equamente gli oneri connessi al pensionamento anticipato su tutti e tre i
soggetti coinvolti: Stato, imprese e lavoratori, dando soluzione alle vertenze
specifiche d’impresa. Si può lavorare ad un accordo triangolare che regoli gli
impegni del Governo, delle OO. SS e dell’impresa per ripristinare elementi di
flessibilità nell’accesso al pensionamento governati all’interno dell’impresa.
L’accordo potrebbe individuare una quota derivante dalla somma fra anzianità
contributiva ed età anagrafica al raggiungimento della quale i lavoratori e le
lavoratrici interessati possano accedere al pensionamento, prevedendo tre
combinazioni. A solo titolo di esempio ipotizziamo le seguenti possibilità:
97 (38 e 59)
97 (39 e 58)
97 (40 e 57)
Rispetto all’art. 4 della legge 92/2012 la misura appare più coerente con
l’obiettivo di reintrodurre una flessibilità in uscita dal mercato del lavoro perché
consente l’immediato accesso al pensionamento dei lavoratori in modo meno
oneroso per l’impresa.
La norma legislativa potrebbe fissare i casi, i criteri e le modalità entro i quali le
aziende possono utilizzare lo strumento, prevedendo con accordo aziendale
sottoscritto presso il Ministero del lavoro le tipologie di lavoratori e di
lavoratrici che possono usufruire dell’accesso anticipato al pensionamento.
Parte dei maggiori oneri sostenuti dall’ente previdenziale per assicurare
l’accesso anticipato al pensionamento, in modo da rendere sostenibile la misura
sul piano dell’equilibrio dei conti previdenziali, verrebbero posti a carico
dell’impresa, consentendo ai lavoratori di ottenere il trattamento pensionistico
maturato senza decurtazioni, all’impresa di disporre di un utile strumento per la
gestione degli esuberi e la ristrutturazione aziendale, risparmiando sui costi
connessi al finanziamento degli ammortizzatori sociali sostitutivi e della
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procedura di mobilità e allo Stato di ridurre i costi relativi alla reintroduzione
della flessibilità.
2. Pensioni più giuste ed adeguate
2.1. Rivedere i coefficienti di trasformazione del contributivo
Bisogna rivedere le modalità e i criteri dei coefficienti di trasformazione per il
calcolo della pensione con il metodo contributivo, in modo da tenere conto
della differente aspettativa di vita nei vari settori
L’aspettativa di vita dei prossimi titolari di pensione è sicuramente un elemento
cruciale per garantire il pagamento delle future pensioni e condividiamo il fatto
che questo aspetto venga tenuto in considerazione nella definizione dei
coefficienti di trasformazione. Tuttavia, pensiamo che applicare coefficienti
differenti a lavoratori nati nello stesso anno e quindi con aspettative di vita
sostanzialmente analoghe solo perché accedono alla pensione in momenti
diversi produca differenze non giustificabili e, paradossalmente, incentivi i
lavoratori ad andare in pensione il prima possibile per evitare di incappare nella
revisione successiva che, stante l’attuale andamento della variazione
dell’aspettativa di vita, determinerà la progressiva riduzione dei coefficienti.
Riteniamo quindi che sia necessario rendere più equa la revisione periodica dei
coefficienti di trasformazione, ad esempio introducendo il criterio del “pro-rata”
con l’applicazione dei nuovi coefficienti revisionati solamente alle quote di
montante contributivo tempo per tempo maturate.
2.2. Garantire un tasso di capitalizzazione minimo
La legge 335/1995 nel definire le regole di calcolo della pensione con il metodo
contributivo ha previsto che il montante contributivo, calcolato sulle
retribuzioni di tutta la vita lavorativa, venga rivalutato sulla base della
variazione della media quinquennale del PIL nominale dei cinque anni
precedenti l’anno da rivalutare. Stante il lungo protrarsi della recessione
economica, nel 2015 questo dato, per la prima volta, assumerà valore negativo.
E’ necessario evitare a tutti i costi il rischio che l’applicazione di questo
meccanismo di rivalutazione produca un nocumento ai futuri pensionati.
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E’ quindi indispensabile chiarire, anche a livello normativo, che il tasso di
capitalizzazione applicabile non può in alcun caso avere segno negativo ma che
è comunque garantita una rivalutazione minima del montante.
2.3. Valorizzare la contribuzione figurativa
E’ necessario rafforzare la copertura figurativa per i periodi di vita impegnati
nei lavori di cura o nei casi di sospensione dal lavoro e disoccupazione
involontaria e consentire l’utilizzo di tali periodi ai fini del raggiungimento del
diritto a pensione e del calcolo dell’assegno.
2.4. Il diritto alla giusta pensione non può decadere
L’articolo 38 del Decreto legge 98/2011, convertito nella legge 111/2011 ha
ridotto a soli tre anni il termine entro il quale chiedere il ricalcolo della
pensione qualora, dopo la liquidazione, ci si accorga della mancanza di periodi
contributivi o di errori dell’INPS nella determinazione dell’assegno. Entro tale
scadenza deve essere promossa una causa giudiziale, in caso contrario la
pensione rimarrà per sempre quella originaria e non ci sarà più alcuna
possibilità di correggerla. In precedenza erano previsti solo termini di
prescrizione, peraltro più ampi, suscettibili di interruzione con meri atti
amministrativi, che si limitavano ad incidere sugli eventuali arretrati. La norma
del 2011 invece compromette nel profondo la fiducia del cittadino/pensionato
nei confronti dello Stato e deve quindi essere al più presto modificata per
ripristinare il diritto dei pensionati a godere della giusta pensione.
2.5. Rivalutazione delle pensioni
E’ necessario sostenere, anche tramite la fiscalità, i redditi di chi è già in
pensione con particolare riguardo alle fasce di popolazione che percepisce
assegni di importo limitato.
Nella prospettiva futura di ripresa economica ed occupazionale occorre creare
le premesse per tutelare più efficacemente il potere di acquisto delle pensioni in
essere, sia rimuovendo le attuali limitazioni sulla perequazione al costo della
vita per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo , sia
tramite la riduzione del carico fiscale che grava su di esse. Inoltre l’integrazione
al trattamento minimo dovrebbe essere rivalutata in base agli incrementi della
produttività del paese.
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3. Un nuovo patto per i giovani
3.1. Tutela previdenziale dei giovani e gestione separata INPS
E' necessario che i giovani recuperino fiducia nel sistema previdenziale
pubblico e perché questo avvenga bisogna dare garanzie sull’adeguatezza delle
pensioni future a chi svolge lavori saltuari, parasubordinati, con retribuzioni
basse o è entrato tardi nel mercato del lavoro.
L’equilibrio tra contributi versati e prestazioni erogate deve essere sicuramente
perseguito ma nello stesso tempo questo principio non può penalizzare coloro
che per ragioni prevalentemente legate alla crisi economica e alla scarsità di
lavoro scontano lunghi periodi di lavoro precario o scarsamente retribuito e di
conseguenza potranno contare su prestazioni previdenziali limitate. Risorse
derivanti dalla fiscalità generale dovrebbero sostenere maggiormente le tutele
previdenziali. Vanno migliorate e rafforzate le prestazioni sociali e assistenziali
a beneficio dei lavoratori iscritti alla gestione separata, che siano titolari o meno
di partita iva e senza che questo comporti un ulteriore aggravio degli oneri posti
a carico dei lavoratori stessi. Per conseguire tale obiettivo la Cisl ritiene utile
agire, nell’immediato, attraverso i seguenti assi di intervento:
• ripartire diversamente il carico contributivo fra collaboratori e committenti,
rispettando la stessa proporzione che oggi è a carico dei lavoratori dipendenti e
delle imprese. I contributi versati a beneficio del collaboratore, infatti, sono
attualmente posti a carico per 1/3 del lavoratore e per 2/3 del committente. Con
l’aumento dell’aliquota al 30% dal 1 gennaio 2015 i collaboratori si trovano a
pagare contributi per una percentuale maggiore di quella attualmente sopportata
dai lavoratori dipendenti (i collaboratori pagheranno il 10% cui si aggiunge lo
0,72% mentre i dipendenti pagano il 9,19%);
• migliorare le tutele previdenziali e fiscali per maternità e paternità degli
iscritti alla gestione separata, estendendo i periodi di fruizione del congedo
parentale in linea con quello che avviene per i lavoratori dipendenti.
• introdurre per i collaboratori sprovvisti di partita iva, che quindi non sono
titolari in proprio del versamento dei contributi previdenziali, il “principio di
automaticità delle prestazioni”, rendendo anche per i lavoratori parasubordinati
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“automatico” il diritto alle prestazioni, anche in caso di omessa contribuzione
previdenziale da parte dei datori di lavoro committenti;
• sostenere, attraverso contributi figurativi aggiuntivi, le posizioni
previdenziali di coloro che fra il 1996 e il 2006 hanno versato alla Gestione
Separata Inps contributi poco più che simbolici, compresi tra il 10% e il 17%
del reddito percepito, e che rischiano cosi di non poter realizzare nell’età
anziana una pensione dignitosa.
3.2. Il lavoro nell’età anziana
Il lavoro nell’età anziana deve diventare uno degli elementi qualificanti della
contrattazione attraverso strumenti, anche formativi, che consentano
nell’impresa l’utilizzo di questi lavoratori in modo adeguato rispetto alle loro
caratteristiche psico-fisiche e al contributo che possono offrire in termini di
esperienza.
Va promosso ed incentivato l’uso volontario del part time o dell’orario ridotto
negli ultimi anni della carriera lavorativa, senza penalizzazioni contributive per
i lavoratori interessati, attraverso il riconoscimento della contribuzione
figurativa corrispondente alla riduzione di orario, condizionandola
all’assunzione di lavoratori giovani di età inferiore con contratto di lavoro
subordinato. A tale scopo va incentivato anche sul piano fiscale l’eventuale
ricorso a forme integrative di sostegno retributivo, promosse dai contratti e
accordi collettivi, anche aziendali, nel caso di passaggio dal tempo pieno al
tempo parziale, con contestuale assunzione e inserimento lavorativo dei giovani
coinvolti in specifici progetti di tutoraggio che richiedano un ruolo attivo da
parte dei lavoratori anziani.
4. Previdenza complementare
L’agire combinato del ritardato accesso al mercato del lavoro dei giovani, la
maggiore discontinuità e precarietà delle carriere lavorative, l’incremento
dell’aspettativa di vita e la ridotta crescita delle dinamiche retributive, in
termini reali, sono tutti fattori che agiscono in modo controverso sul calcolo
contributivo della pensione.
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Da un lato l’aumento dell’età pensionabile, imponendo l’accesso alla pensione
ad età più elevate, determina un innalzamento del tasso di sostituzione teorico
finale per un lavoratore o una lavoratrice tipo; dall’altro la revisione periodica
dei coefficienti di trasformazione per il calcolo contributivo comporta nel
tempo, a parità di età anagrafica di accesso al pensionamento, una riduzione
della prestazione ottenibile. Alla progressiva caduta dei tassi di sostituzione,
generata dal combinato agire dell’introduzione del metodo di calcolo
contributivo e dalla maggiore discontinuità delle carriere lavorative, vanno
aggiunti gli effetti prodotti dall’inadeguato meccanismo di protezione del
potere di acquisto delle pensioni, con il rischio di un progressivo
impoverimento in termini relativi delle prestazioni per i soggetti che vivano più
a lungo.
Per questi motivi uno sviluppo diffuso della previdenza complementare fra i
lavoratori e le lavoratrici e in tutti i settori produttivi continua a rappresentare
un elemento fondamentale per garantire il raggiungimento di un adeguato
livello di copertura pensionistica, per assicurare un maggiore livello di equità
sociale e per concorrere alla realizzazione della stabilità macroeconomica,
sostenendo la crescita nel lungo periodo.
Il livello delle adesioni ai fondi pensione permane assai critico specie nelle
piccole e piccolissime imprese e nel comparto del pubblico impiego, dove sono
emersi aspetti critici dovuti anche alla differente disciplina normativa della
previdenza complementare, rispetto ai lavoratori del settore privato, specie con
riferimento al trattamento fiscale delle prestazioni erogate.
Bisogna realizzare un percorso che renda di fatto obbligatoria la previdenza
complementare favorendo, almeno sul piano contrattuale, l’adesione
generalizzata dei lavoratori ai fondi pensione, nella forma della destinazione
obbligatoria del contributo contrattuale posto a carico del datore di lavoro
(lasciando al lavoratore la scelta ulteriore di conferimento del TFR, da
incentivare anche tramite la forma tacita del “silenzio – assenso” e strumenti
normativi che agevolino l’accesso al credito delle imprese che destinano il TFR
dei propri dipendenti alla previdenza complementare). Occorre rilanciare la
previdenza complementare attraverso un progetto straordinario che coinvolga il
Governo, le istituzioni pubbliche e private dedicate, le parti sociali e i fondi
pensione.
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La situazione economica e sociale del Paese obbliga a riconsiderare l’ottica
della solidarietà, anche tramite un decisivo rafforzamento dell’intervento
sussidiario. Lo sviluppo della previdenza complementare richiede di:
 promuovere un progetto straordinario di educazione previdenziale e
di comunicazione istituzionale che coinvolga il Governo, le
istituzioni pubbliche e private dedicate, le parti sociali e i fondi
pensione;
 individuare una nuova finestra temporale entro la quale i lavoratori
attivi devono manifestare, anche mediante il “silenzio – assenso”, le
proprie scelte relative al conferimento del trattamento di fine
rapporto ai fondi pensione;
 creare le condizioni affinché i fondi pensione possano realizzare
politiche di investimento di lungo periodo, più calibrate sulla finalità
previdenziale, favorendo, nel contempo, lo sviluppo dell’economia
reale nazionale e locale e il finanziamento delle piccole e medie
imprese;
 completare la razionalizzazione dell’offerta dei fondi pensione
esistenti, in modo da pervenire ad assetti organizzativi maggiormente
efficienti ed efficaci per gli iscritti e per i potenziali aderenti;
 armonizzando il regime fiscale della previdenza complementare dei
pubblici dipendenti con quello più favorevole, vigente per i
lavoratori del settori privato.
5. Informazione sulla previdenza e sul risparmio previdenziale
Uno dei campi in cui il ruolo dello Stato resta indispensabile ed ineludibile è
quello della diffusione dell’informazione e della cultura previdenziale.
La Cisl chiede al Governo di promuovere un’adeguata campagna di
sensibilizzazione informativa e formativa, coinvolgendo le parti sociali e la
Covip.
Tutti i cittadini devono essere effettivamente in grado di ricevere e accedere al
proprio estratto contributivo che deve rappresentare correttamente l’intera
posizione assicurativa.
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