Privatizzazioni, il grande rebus delle Poste Doveva essere la prima e più grande operazione del genere per il governo Renzi e invece si è arenata, lasciando insoddisfatto il ministro Padoan. Per le incertezze sui conti e sui tagli nei piccoli comuni. Mentre la concorrenza continua a crescere di Luca Piana 04 marzo 2015 Pier Carlo Padoan non ha usato mezze parole: «C’è una cosa che mi vede insoddisfatto: il ritmo delle privatizzazioni. Si è rivelato inferiore a quello che si doveva fare», ha detto il ministro dell’Economia nell’ intervista rilasciata a “l’Espresso” la scorsa settimana . Un mea culpa, un’ammissione di errore che in politica, dove prevale l’arte dello scaricabarile, non è frequente ascoltare. Anche perché Padoan ha voluto assumere su di sé l’intera responsabilità degli errori per lo zero assoluto ottenuto dal governo di Matteo Renzi su questo fronte: «Mi sono reso conto che privatizzare entità importanti come Poste e Ferrovie non significa semplicemente vendere qualcosa. La privatizzazione richiede una valorizzazione industriale, se non si vuole svendere il patrimonio», ha ammesso. Venerdì 20 febbraio, lo stesso giorno in cui l’intervista veniva pubblicata, dal governo partiva in direzione di Bruxelles il documento ufficiale per sottoporre alla Commissione europea le riforme strutturali avviate negli ultimi mesi. Un passaggio cruciale per Renzi e per Padoan, che aspettano il via libera dei tecnici del presidente Jean-Claude Juncker alla legge di Stabilità e, in generale, alla politica economica del governo. Ebbene, nel documento le privatizzazioni fallite tornano a occupare un ruolo centrale. Viene infatti fissato un programma che, visti gli insuccessi ottenuti finora, può sembrare ambizioso: l’obiettivo è vendere il 5 per cento dell’Enel, il 49 per cento dell’Enav e il 40 per cento delle Poste entro quest’anno, mentre la complicata cessione di una quota delle Ferrovie slitta ulteriormente e viene ora indicata per il 2016. Considerando che l’Enel è già quotata in Borsa da tempo e che la società per il controllo del traffico aereo - l’Enav - è certamente più piccola, non c’è dubbio che le maggiori aspettative siano concentrate sulle Poste. Se si vanno a riascoltare le prime affermazioni del manager scelto nove mesi fa da Renzi per guidare il gruppo, Francesco Caio, privatizzare potrebbe sembrare una cosa da nulla. «Saremo pronti entro il 2014», aveva detto nel giugno scorso, un mese dopo la nomina, pur sottolineando che l’azienda andava ribaltata rispetto alla gestione precedente. Passate poche settimane da questa prima uscita, i dubbi erano però diventati subito espliciti: «Novembre (sempre del 2014, ndr) potrebbe essere un po’ presto», ammetteva Caio in luglio, annunciando di fatto lo slittamento che poi si è verificato, con grande delusione del ministro Padoan, a cui l’incasso che dovrebbe venire dalle cessioni serve come il pane per ridurre il debito pubblico. Ora l’obiettivo è il 2015, e il numero uno delle Poste assicura di «essere al lavoro per farcela», nel momento in cui il governo vorrà suonare il gong. Anche se, tra gli addetti ai lavori, non sono stati fugati del tutto i dubbi che hanno finora frenato l’operazione. Ribaltone ai vertici L’indizio che rivela come l’arrivo delle Poste in Borsa non sarà cosa semplice è la sostituzione, annunciata in gennaio, di una figura chiave per un progetto di quotazione: quella di direttore finanziario. Per ricoprire l’incarico, soltanto nel giugno scorso Caio aveva scelto un manager in arrivo da Finmeccanica, Luigi Calabria. Passano pochi mesi ed è già il momento del cambio: Calabria viene promosso a occuparsi di “fusioni e acquisizioni”, con riporto diretto a Caio, mentre la sua posizione viene affidata a Luigi Ferraris, che all’Enel quel lavoro l’ha fatto per lunghi anni, intrattenendo rapporti continui con l’azionista Tesoro nel corso di importanti operazioni finanziarie, dall’acquisizione della spagnola Endesa al collocamento a Piazza Affari della controllata Enel Green Power. Francesco Caio Sul ribaltone, che in Poste ribadiscono essere un semplice avvicendamento per trovare le competenze professionali più adatte ai compiti che aspettano il nuovo direttore finanziario, circolano diverse indiscrezioni: c’è chi dice che la sostituzione di Calabria sia stata decisa da Caio e accolta con perplessità da Padoan, scettico su un cambio tanto repentino, che poco si addice a un’azienda pubblica; e chi ritiene che Ferraris, legato da rapporti di fiducia con il Tesoro, abbia il compito di lavorare perché il progetto di privatizzazione non finisca nuovamente su un binario morto. A ben vedere, però, le difficoltà da superare non sono poche. Per comprenderlo basta spulciare le carte di una delle tante amministrazioni pubbliche che, delle Poste, sono clienti per intrattenere i rapporti con i cittadini. L’Asl di Bologna, ad esempio: lo scorso mese di ottobre gli uffici incaricati hanno deciso il vincitore della gara per la consegna della corrispondenza di una serie di importanti ospedali, tra i quali l’Istituto ortopedico Rizzoli e il Sant’Orsola. La base d’asta era di 900 mila euro l’anno Iva esclusa, per un periodo di quattro anni rinnovabile per ulteriori 24 mesi. Ebbene, all’apertura delle buste con le offerte dei due concorrenti rimasti in gara dopo una prima scrematura, Poste e Nexive (vedi riquadro in basso), la sorpresa non è stata da poco. L’azienda guidata da Caio aveva offerto infatti un ribasso molto consistente, pari al 36,2 per cento dell’importo indicato nel bando di gara. E si è così aggiudicata l’appalto. Per gli ospedali interessati, per i primi quattro anni il risparmio complessivo è di 1,3 milioni (sempre al netto dell’Iva), a fronte di una spesa di 2,2 milioni. Vai col ribasso In giro per l’Italia, gli esempi di questo genere cominciano a essere numerosi. Anche perché, se l’unico concorrente con una presenza quasi nazionale resta proprio Nexive (copre l’80 per cento delle famiglie), su base locale ci sono diversi piccoli che scalpitano e che riescono a intercettare la corrispondenza, soprattutto quella delle aziende private. Nelle gare e negli appalti, va detto, le Poste riescono spesso a vincere; ma talvolta, quando non possono fare affidamento soltanto sulla loro caratteristica più forte, ovvero sulla diffusione capillare in tutto il territorio nazionale, sono costrette a concedere forti sconti. A Firenze, in una gara indetta dal Comune con una base d’asta da 1,2 milioni, si sono aggiudicate l’appalto offrendo un prezzo di quasi 400 mila euro in meno. In Val d’Aosta, lo sconto è stato di quasi 200 mila euro, su un valore iniziale del contratto di 978 mila. E non sempre tanta aggressività è sufficiente, come mostra l’esito dell’appalto più sanguinoso, almeno per i bilanci dei concorrenti in gara, avvenuto nuovamente a Bologna. Lo scorso mese di agosto, infatti, gli uffici del Comune guidato da Virginio Merola hanno ricevuto le offerte per il recapito della posta per il triennio che arriva al settembre 2017. La base d’asta era di 900 mila euro: Nexive ha offerto 820 mila euro, CityPost 604 mila, Poste 541 mila. Ma a vincere è stata la piccola Smmart Post, che ha sbaragliato la concorrenza mettendo nero su bianco la cifra di 351 mila euro. Un risultato che ha lasciato di stucco il rappresentante di Poste presente all’apertura delle buste, il quale - informa il verbale di gara - ha annunciato che «sarà presentata richiesta di accesso agli atti». Il modello di business È chiaro che, di fronte agli effetti della competizione fra operatori, i contribuenti non possono che gioire, perché i risparmi delle amministrazioni pubbliche dovrebbero, in fin dei conti, produrre dei benefici anche per le loro tasche. Allo stesso tempo, però, questo fenomeno fa nascere diversi interrogativi. Perché questi ribassi sono possibili solo oggi? Chi ha finora dominato il mercato, ovvero Poste Italiane, ha lucrato sulla propria posizione di numero uno, a scapito della collettività? Oppure, al contrario, l’azienda di Caio oggi è costretta a dissanguarsi per tenere botta di fronte a una concorrenza che, unita alla diminuzione dei volumi della corrispondenza indotta dal Web, sta mettendo in difficoltà il proprio modello di business? È probabile che ci sia del vero in entrambi questi estremi. Le Poste hanno finora approfittato della loro posizione e, allo stesso tempo, oggi faticano a far quadrare i conti. Lo suggeriscono gli ultimi dati di bilancio noti, quelli relativi al primo semestre del 2014, se messi a confronto con quelli degli anni precedenti. Dai numeri riportati a pagina 105, si può vedere come i ricavi semestrali dei servizi postali sono diminuiti in un solo biennio di oltre 300 milioni, mentre il gruppo ha fatto il botto con la raccolta dei premi sulle polizze assicurative vendute nelle filiali. Sempre facendo il confronto tra il primo semestre del 2014 e lo stesso periodo di due esercizi prima, la raccolta premi è salita di oltre 2 miliardi di euro, spingendo i ricavi complessivi da 11,1 a 12,8 miliardi. Aumenti in vista? Al di là dell’andamento dei bilanci, la gara al ribasso nelle gare aperte alla concorrenza apre però vari problemi. Se le Poste sono in grado di offrire tariffe così scontate, quanto chiederanno allo Stato come contributi pubblici per le perdite subite con il servizio universale, ovvero con l’obbligo di recapitare la posta in ogni singola abitazione, dai villaggi della Valle Aurina, in Alto Adige, ai casolari dell’Aspromonte, in Calabria? Caio, in una recente intervista al “Corriere della Sera”, ha messo le mani avanti: «Faccio notare che senza interventi correttivi, nel giro di tre anni, il servizio universale aprirebbe un buco di 1,5 miliardi di euro l’anno. Non sarebbe una perdita di Poste ma collettiva perché lo Stato poi dovrebbe ripianarla». Il manager doveva difendersi dalle critiche piovute dopo le richieste avanzate di un aumento alle tariffe postali che più interessano i comuni cittadini. Una mossa che, nelle intenzioni dell’azienda, dovrebbe far balzare il costo di una missiva spedita con posta prioritaria da 80 centesimi a 3 euro, mentre la garanzia di consegna entro le 24 ore scenderebbe all’80 per cento dei casi, dall’89 effettivamente raggiunto adesso. Illustrazione di Valeria Ghion Le proteste dei territori Se le polemiche sul fronte delle tariffe sono assicurate, comunque decida l’Agcom, Caio dalla sua può dire di aver dato il via a un piano industriale che prevede interventi radicali, con l’obiettivo di puntare forte sulla creazione di un gruppo capace di recapitare a casa degli italiani i prodotti che sempre più vengono acquistati on line. Servizi per l’economia digitale, un sistema logistico in grado di raggiungere ogni angolo del Paese, facilità dei pagamenti elettronici sono le carte che il manager vuole giocare, investendo in tecnologie 3 miliardi di qui al 2020, assumendo 8 mila persone e puntando a raggiungere 30 miliardi di ricavi annui. Il contraltare sono i tagli, con la chiusura di centinaia di filiali, una prospettiva che ha messo in allarme le comunità più piccole. Perché in molti paesini, l’ufficio postale è cruciale per le persone anziane che devono ritirare la pensione o pagare le bollette. E così, dalla frazione di Campeglio, nel comune friulano di Faedis, al centro di Torregrotta, nella valle messinese del Niceto, sono partite le proteste, che minacciano di aumentare man mano che si conosceranno i nomi delle località colpite. Nella dialettica con il governo, però, Caio sa di poter contare su un fatto determinante: se Padoan vorrà veder andare in porto il piano di privatizzazione, dovrà fornire ai potenziali investitori un quadro il più possibile certo di come si muoveranno nel prossimo futuro i conti del gruppo, perché una vendita al buio penalizzerebbe i prezzi di collocamento delle azioni e l’introito per le casse dello Stato sarebbe ridotto al lumicino. Per vedere se il piano di sviluppo darà i frutti previsti, però, il 2015 certamente non basterà. Mentre i tagli ai costi e gli aumenti delle tariffe avrebbero un effetto immediato sui conti. Permettendo al governo di rispettare gli impegni presi con la Commissione europea. ha collaborato Michele Di Branco Il caso Cantone chiede il bollino blu per gli appalti E per le Poste potrebbe essere un grosso guaio L'Autorità anticorruzione ha diffuso le nuove linee guida sugli affidamenti pubblici. E il gruppo, che non ha ancora neppure chiesto il riconoscimento, deve correre ai ripari per non essere superato dai concorrenti olandesi di Luca Piana 04 marzo 2015 Raffaele Cantone Alle Poste hanno capito al volo i rischi della questione. Il 9 dicembre l’Autorità Nazionale Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone ha diffuso nuove linee guida per l’affidamento degli appalti pubblici di servizi postali. Il motivo è legato ad «alcune criticità» rilevate nei mesi passati, che hanno spinto gli uomini di Cantone a intervenire rapidamente. Nel documento che riporta le procedure che gli enti pubblici dovranno d’ora in poi adottare per affidare il servizio di consegna della corrispondenza, c’è però un preciso riferimento a uno strumento che esiste fin dal 2012 ma che, finora, non è stato granché utilizzato. Si tratta del cosiddetto “rating di legalità”, rilasciato dall’Autorità Antitrust. Nella direttiva di Cantone, si suggerisce a chi fa gli appalti di attribuire «un punteggio aggiuntivo e proporzionato alle imprese in possesso del rating di legalità». La raccomandazione vale solo per i contratti superiori ai 2 milioni di euro, poiché è quella la soglia di fatturato sopra la quale un’azienda può effettivamente chiedere all’Antitrust di emettere il proprio giudizio, che tiene conto, fra l’altro, di eventuali condanne o misure di prevenzione a carico degli amministratori, di sentenze di patteggiamento di reati tributari, ma anche di illeciti antitrust o del mancato rispetto delle norme sulla salute. Per le Poste, tuttavia, questa prescrizione può rappresentare un problema. Perché il gruppo guidato da Francesco Caio il rating finora non l’ha mai nemmeno chiesto. Mentre l’ha ottenuto fin dal 2013 il principale concorrente, Nexive, come si chiama oggi l’ex Tnt Italia, controllata dalle poste olandesi. Nexive rappresenta, in effetti, una minaccia non da poco per le Poste, dato che ha raggiunto una quota di mercato nel settore postale stimata nel 15,1 per cento. Ed è riuscita a strappare a Poste diversi clienti importanti nel settore pubblico, come ad esempio le Regioni Veneto e Piemonte. Di qui la reazione di Caio: la documentazione per ottenere il rating, fanno sapere alle Poste, verrà consegnata all’Antitrust nelle prossime settimane.
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