La voluntary disclosure e i reati di autoriciclaggio e

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La voluntary disclosure e i reati di
autoriciclaggio e antiriciclaggio
La procedura di voluntary disclosure e i reati di autoriciclaggio e antiriciclaggio che
hanno destato un po' di clamore; il contesto internazionale e la necessità dello scambio
di informazioni fiscali cross­border per archiviare le varie procedure di scudo e mettere
un punto fermo per arrivare alla regolarizzazione delle posizioni fiscali e ad una
uniformità nello scambio di informazioni; le linee guida degli adempimenti legati alla
procedura volontaria di rientro dei capitali; la voluntary disclosure a livello nazionale
per consentire anche a chi avesse patrimoni non dichiarati in Italia di regolarizzare la
propria posizione col fisco; gli adempimenti degli intermediari: sono i temi di cui si è
parlato al convegno organizzato da La Scala Studio Legale a cui hanno partecipato l'Avv.
Sabrina Galmarini, Partner responsabile del Team Regulatory di La Scala Studio Legale,
l'Avv. Peter André Jäggi, socio dello Studio Legale Tributario Jäggi & Scheller SA e
docente al Centro Studi Bancari di Lugano­Vezia, il Dott. Angelo Cisotto di Ergon
Commercialisti e l'Avv. Fabrizio Manganiello, responsabile del Team Penale
Commerciale di La Scala Studio Legale.
Recentemente l'Italia si è impegnata, oltre che con i Paesi blacklist come Svizzera,
Liechtenstein, Monaco, a incrementare anche con altri paesi gli accordi di scambio di
informazioni che permetteranno facilitazioni a chi aderirà alla procedura di
collaborazione volontaria. I paesi che non hanno ancora aderito lo faranno a breve.
Siamo all'ultima chiamata.
L'Avv. Peter André Jäggi ha inizialmente fornito una descrizione del contesto storico e
politico che permette di capire cosa stia succedendo in Svizzera. Il segreto bancario in
Svizzera è nato nel 1700 senza fini fiscali. L'aspetto fiscale è diventato il driver in anni
recenti. L'ordinamento interno svizzero non concede l'accesso alle informazioni coperte
da segreto bancario alle autorità fiscali domestiche, perché deve esserci rapporto di
fiducia con il cittadino e lo Stato. Per questo, in Svizzera esiste la differenza tra
sottrazione di imposta e frode fiscale. Queste particolarità della Svizzera erano applicate
anche nei rapporti con l'estero. In ambito transnazionale, il segreto bancario ha subìto una forte erosione nel tempo fino
alle svolte del 2009, quando la Finma ha costretto UBS a dare i nomi di 4500 clienti alle
autorità USA ed il Governo federale ha ritirato la riserva all'art. 26 M­OCSE. La Svizzera
ha deciso di puntare, per adeguarsi alle posizioni adottate da vari Paesi del G20, allo
scambio automatico delle informazioni e ha oggi 50 convenzioni negoziate con Paesi
importanti e 7 trattati che regolano la materia. Il Paese ha anche modificato la normativa
interna. Si è allora posta la questione di come risolvere il passato e sanare le posizioni.
Ciò, sia dal punto di vista dei clienti che da quello di banchieri, fiduciari e professionisti,
che hanno in qualche modo agevolato l'afflusso di beni non dichiarati. A chi non conosce
l'economia elvetica può stupire il dato che il settore finanziario (comprensivo di banche
ed assicurazioni) pesi in Svizzera solo per il 10,5% della creazione del PIL. Di questo
10,5% solo la metà – pari a 2700 miliardi di franchi ­ deriva da depositi esteri e solo 500
miliardi deriva dai depositi privati. L'Avv. Jäggi ritiene un po' eccessiva la stima dello
Stato italiano che crede di poter recuperare circa 200 miliardi dalle casse svizzere, anche
perché nessuno sa quali siano i fondi dichiarati e quelli non dichiarati. Già nel 2012,
Patrick Raaflaub, direttore di FINMA, diceva "I capitali non dichiarati sono un modello
commerciale superato". In realtà, gli intermediari finanziari svizzeri sono già abituati
alle voluntary disclosure grazie ai programmi di regolarizzazione fiscale già adottati da
Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia. Nel caso della Germania, il problema dei
capitali non dichiarati sembra essere stato quasi del tutto risolto, con la notevole
soddisfazione di aver visto gran parte di questi capitali rimanere presso gli intermediari
svizzeri. Nei rapporti con l'Italia, la Svizzera è ancora uno Stato blacklist, ma per quanto
riguarda la voluntary disclosure è blacklist con accordo. Il cliente italiano non subirà
quindi il raddoppio dei termini e le sanzioni previste sono parificate a quelle dei paesi
whitelist. Questo era un problema per gli intermediari finanziari svizzeri perché le multe
da pagare rappresentano un deflusso dalle casse svizzere. Da ultimo, l'avv. Jäggi ha messo in risalto i conflitti di giurisdizioni e fra norme di diversi
ordinamenti giuridici che si pongono attualmente. Per esempio, alcuni clienti italiani,
negli ultimi mesi, hanno cercato di ritirare il contante dalle banche o di effettuare
bonifici per l'acquisto di oggetti di valore o verso lidi più lontani. Ultimamente le banche
svizzere, preoccupate dei rischi legati al fatto di vedersi accusate di riciclaggio dalla
magistratura italiana, si sono opposte a questi atti, perfettamente legittimi secondo la
legge svizzera, visti come volti a rendere più difficile la tracciabilità degli averi,
ottenendo giudizi altalenanti da parte dei tribunali svizzeri.
La parola passa al Dott. Angelo Cisotto di Ergon Commercialisti, secondo cui la circolare
dell'Agenzia delle Entrate è considerata solo un primo passo e quindi ancora non
risponde a tutti i quesiti. La circolare risolve alcuni aspetti procedurali, ma non affronta
quasi mai i nodi. Vengono specificati i soggetti che potranno usufruire della
collaborazione volontaria dal punto di vista di cointestazioni, eredità e residenza, dando
prevalenza alla sostanza rispetto alla forma, anche per società, enti o trust: non ha
validità solo la sede legale ma anche quella dove viene svolta l'attività effettiva. Per
quanto riguarda l'ambito oggettivo, la circolare ha chiarito un punto molto importante:
chi aderisce alla collaborazione volontaria deve dichiarare anche i redditi che non sono
connessi alla detenzione dei patrimoni esteri o ai flussi di reddito da patrimoni esteri.
Chi aderisce alla voluntary disclosure internazionale dovrà dire quali sono i patrimoni
che detiene all'estero, quali sono i redditi che in passato hanno determinato la creazione
di quel patrimonio, con riferimento solo ai redditi accertabili, dovrà dichiarare i flussi di
reddito, gli imponibili che sono stati il frutto di quelli investimenti e tutti i flussi
eventualmente non dichiarati non connessi alla detenzione dei patrimoni all'estero. Si
tratta di una sorta di confessione totale per i periodi soggetti ancora ad accertamento.
Il motivo per cui è stata introdotta anche la voluntary disclosure nazionale è legato
all'esigenza di manifestare la propria identità. Spesso chi aderisce alla voluntary
disclosure internazionale dovrà coinvolgere altri soggetti che non possono aderire alla
voluntary disclosure internazionale (modello RW) e che, in assenza della voluntary
disclosure nazionale, non avrebbero potuto in alcun modo sanare la propria posizione. La circolare non ha fornito indicazioni sui patrimoni formati da denaro contante o
gioielli o da beni per i quali non è possibile provare quando sono stati generati. Tra i
beni oggetto della voluntary disclosure figurano anche gli immobili detenuti sul suolo
italiano tramite soggetti interposti esteri.
La circolare ha delineato le modalità del regime forfettario e spiegato, in parte, le cause
ostative all'ammissione alla procedura di voluntary disclosure.
La dichiarazione, molto stringata, dovrà essere sempre accompagnata da una relazione
che dia tutte le informazioni sul patrimonio, sui coobbligati e su come si siano stati
ottenuti i redditi. La relazione deve essere prodotta entro i 30 giorni successivi alla
dichiarazione; potrà essere integrata successivamente, ma solo fino alla scadenza
dell'ultimo termine (30 settembre 2015). Successivamente sarà possibile integrare solo
per le documentazioni richieste. Anche se la dichiarazione viene sottoposta attraverso il
supporto di un professionista intermediario, la responsabilità della trasmissione rimane
in capo al contribuente. Restano dubbi nel caso delle fatture false: chi accede alla collaborazione volontaria può
coinvolgere il fornitore della fattura falsa che non può ripararsi o accedere in nessun
modo alla voluntary, neppure in forma nazionale. Ciò crea difficoltà che il legislatore
dovrà chiarire.
I costi variano caso per caso. L'emersione dei patrimoni costa il 3% nel caso dei paesi
whitelist o blacklist con accordo, il doppio per i paesi della lista nera, ma non per i redditi
antecedenti al 2009, per i quali il costo è del 5%. Se il contribuente accetta la
conciliazione proposta dall'ufficio senza ulteriori obiezioni, però, le sanzioni saranno
ridotte a 1/6 del minimo edittale della pena più grave; se invece decide di discutere, ma
poi si arriva all'adesione, la sanzione sarà di un terzo del minimo edittale della sanzione
più grave. A tutte queste situazioni si applica il cumulo delle sanzioni, piuttosto
complicato, che normalmente consente qualche ulteriore abbattimento. Il tema
sanzionatorio, però, è assai più complesso in relazione alla dichiarazione dei redditi che
fruttarono i patrimoni detenuti all'estero e di quelli che da tali patrimoni sono derivati.
In alcuni casi si rischia di incorrere in costi molto elevati. Per quanto riguarda l'ambito di
applicazione temporale, gli anni accertabili vanno, normalmente, dal 2010 al 2013 se i
patrimoni sono in ambito non blacklist; in ambito blacklist il periodo si raddoppia.
Nel suo intervento, l'Avv. Fabrizio Manganiello ha chiarito quali sono le cause di non
punibilità previste dall'articolo 5 quinquies della legge n. 186 del 2014 per il
contribuente scrupoloso e ravveduto che decide di aderire alla voluntary disclosure. Si
tratta, oltre che dei delitti di riciclaggio e reimpiego, di alcuni reati tributari, quali:
dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti; dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; dichiarazione infedele;
omessa dichiarazione; omesso versamento di ritenute certificate; omesso versamento di
IVA. Per tali fattispecie non è prevista la punibilità per autoriciclaggio con il limite
temporale del 30 Settembre 2015. Sono invece esclusi: l'emissione di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti; l'occultamento o la distruzione di strutture
contabili; la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
L'Avv. Manganiello ha parlato del nuovo reato di autoriciclaggio illustrando l'art. 648
ter. 1 che, al primo comma, prevede che: "Si applica la pena della reclusione da due a otto
anni e della multa da euro 5.000 ad euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o
concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in
attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o altre
attività provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare
concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa." Emergono i primi dubbi: cos'è un'attività speculativa? Una qualunque attività che generi
un profitto? L'interpretazione del termine rappresenta uno dei problemi che si verranno
a creare nell'applicazione del delitto di autoriciclaggio. Manganiello ha analizzato le
strutture dei vari reati che hanno preceduto l'autoriciclaggio, dalla ricettazione, al
riciclaggio, fino al reimpiego, evidenziando la progressione che c'è stata.
L'autoriciclaggio ha colmato il vuoto normativo che non prevedeva la partecipazione del
soggetto che aveva commesso o concorso a commettere il delitto presupposto nel
reimpiego, nella ricettazione e nel riciclaggio.
Il delitto di autoriciclaggio presenta varie problematiche: in primis è un reato proprio,
implica che il soggetto possieda determinate qualifiche. Poiché, in caso di concorso in
reato proprio da parte di chi non rivesta tali qualifiche è previsto che risponda anch'egli
di reato proprio, questo comporta che il soggetto che era stato autore di riciclaggio
divenendo un concorrente nel delitto di autoriciclaggio, si troverebbe a beneficiare di un
trattamento sanzionatorio sulla carta più mite (il riciclaggio è punito con una pena
prevista nel massimo di dodici anni, l'autoriciclaggio, come detto, prevede la pena
massima di otto anni). Quindi, paradossalmente, può trarne benefici. Altra difficoltà è data dall'utilizzo dell'avverbio "concretamente" che espone l'autore del
delitto a una discrezionalità dell'organo accertatore, quindi dell'Agenzia delle Entrate,
decisamente ampia. Altro problema è la formulazione incerta della clausola di non
punibilità: non sono punibili le condotte per mera utilizzazione o godimento personale. Un'ulteriore difficoltà è legata alla competenza territoriale, che è determinata dal luogo
in cui il delitto è stato commesso, quindi dove è avvenuto il reato di autoriciclaggio
qualora sia più grave del delitto presupposto. Questo, in ragione delle norme sulla
competenza per connessione, potrà generare confusione per il fiorire di eccezioni di
incompetenza territoriale.
Ultimo aspetto è quello dell'illecito quale presupposto non punibile. Cosa succede se il
reato presupposto all'autoriciclaggio, di cui il soggetto deve essere autore o concorrente,
non è più punibile? Si avrà un reato presupposto generante un'utilità economica che, se
non impiegata per fini personali, risulterà punibile ai sensi del nuovo art. 648 ter.1 c.p..
Ancora: quello che ho ricavato nel delitto presupposto lo impiego in più attività
economiche; ho commesso un solo reato di autoriciclaggio o più di uno? In questo può
essere d'aiuto l'aspetto temporale che può rappresentare una linea guida: se le attività
sono ravvicinate o connesse avrò commesso un solo reato; se non sono collegabili l'una
all'altra avrò commesso più delitti di autoriciclaggio.
L'articolo 5 quinquies genera un ulteriore problema legato al c.d. "risparmio fiscale". Se
commetto un reato tributario non pago imposte che avrei dovuto pagare. Questo
risparmio potrà essere considerato un profitto perché comporterà un vantaggio rispetto
ai concorrenti. Ciò fa sì che in futuro si potrà essere accusati di autoriciclaggio. Oltre a
registrare una disparità temporale tra il momento in cui viene commesso il reato e il
momento in cui dovrò presentare la dichiarazione dei redditi, momento consumativo del
reato tributario, la difficoltà sta nell'individuare il momento in cui il risparmio fiscale
esce dal mio patrimonio per avviare un'attività economica, finanziaria, imprenditoriale o
speculativa. Come può essere dimostrato l'ostacolo alla verifica? Se il risparmio fiscale
rimane nel patrimonio, come può essere contestato il delitto di autoriciclaggio?
Possibile criterio discriminante risulta essere quello secondo cui il risparmio fiscale,
rimanendo inglobato nel patrimonio dell'autore del reato presupposto, non
determinando un ostacolo concreto all'identificazione della sua provenienza delittuosa,
non sarà punibile ex art. 648 ter.1. Se, invece, per qualunque motivo, ne fuoriesce, sarà
più agevole contestare il delitto di autoriciclaggio.
Per quanto riguarda la malleva per il professionista, la legge prevede una fattispecie
autonoma di reato per cui, nel corso della procedura di voluntary disclosure, se io
produco documenti falsi e comunico dati non corrispondenti al vero commetto un
delitto punito da 1 anno e sei mesi a 6 anni. Il legislatore ha cercato di spronare il
contribuente a far emergere i beni detenuti all'estero con l'obiettivo di "fare cassa"
utilizzando come forte incentivo il delitto di nuova introduzione che, abbracciando tutti i
delitti precedenti finisce per primeggiare sugli stessi.
L'Avv. Sabrina Galmarini, Partner responsabile del Team Regulatory di La Scala Studio
Legale, ha concluso i lavori parlando degli adempimenti antiriciclaggio, ed in particolare
degli obblighi di segnalazione di operazione sospetta di antiriciclaggio in operazione di
voluntary disclosure, su cui permangono vari dubbi. L'Avv. Galmarini inizia illustrando l'intervento al Senato del Direttore della UIF, Dott.
Claudio Clemente, che ha chiarito che per UIF, e quindi Banca d'Italia, la collaborazione
volontaria non ha impatto, e non deve averlo, sui presidi di prevenzione previsti dal
d.lgs. 231/2007. Non vanno, infatti, dimenticate le linee indicate dal Gruppo di Azione
Finanziaria Internazionale (GAFI) secondo le quali i programmi di regolarizzazione
fiscale devono essere compatibili con l'effettiva applicazione di misure preventive
antiriciclaggio; non possono ammettere esenzioni, né totali né parziali, dall'osservanza
dei presidi antiriciclaggio; devono assicurare la necessaria cooperazione fra tutte le
Autorità interessate e lo scambio di informazioni nei procedimenti investigativi e
giudiziari.
Si passa, quindi, alla circolare del Ministero dell'Economia e delle Finanza del 9 gennaio
2015 che ha confermato quanto anticipato dal Dott. Clemente e cioè che non ci sono
sconti circa l'applicazione della normativa antiriciclaggio: restano pertanto immutati (i)
l'obbligo di attivare le procedure di adeguata verifica della clientela, incluso l'obbligo di
identificazione del T.E. e l'applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica della
clientela, nel caso di elevato rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, gli
restano gli obblighi di registrazione e di segnalazione di eventuali operazioni sospette
La mancata segnalazione di una SOS comporta una sanzione amministrativa, dall'1 al
40% dell'operazione non segnalata. Un quesito successivo del MEF e la sua risposta hanno fatto emergere ulteriori dubbi
circa la figura del professionista. Il quesito dice: "Nel caso in cui un professionista
consigli al proprio assistito di non accedere alla procedura di collaborazione volontaria
ovvero l'assistito decida autonomamente di non accedere alla procedura di voluntary,
l'obbligo si segnalazione di operazione sospetta è escluso in virtù dell'esonero di cui
all'art. 12 co. 2 del D.Lgs. 231/2007?". E la risposta: "L'obbligo di segnalazione di
operazioni sospette non si applica all'esame della posizione giuridica del cliente in
relazione a un procedimento giudiziario, compresa la consulenza sull'eventualità di
intentare o evitare un procedimento. L'esonero di cui all'art. 12 co. 2 del D.Lgs.
231/2007 non si estende quindi a tutti i casi di consulenza ma solo a quelli collegati a
procedimenti giudiziari." L'Avv. Galmarini non condivide appieno la risposta. Il MEF sembra quasi sostenere che l'apporto del professionista nelle operazioni di
voluntary disclosure non sia volto a evitare un procedimento.
Certamente la collaborazione volontaria costituisce, di contro, l'ultimo ed il solo
strumento per evitare l'accertamento dell'Agenzia delle Entrate (ed in conseguente
possibile giudizio) e il procedimento penale per i reati fiscali connessi.
L'Avv. Galmarini, in ogni caso, conclude suggerendo di prestare particolare attenzione
alle eventuali SOS relative a vecchi clienti, per i quali il professionista già sapeva delle
condotte potenzialmente illecite poste in essere.
L'Avv. Galmarini auspica che si arrivi ad ulteriori quesiti e risposte del MEF, prima del
30 settembre 2015, perché i vari soggetti coinvolti che potrebbero fare una SOS abbiano
indicazioni più precise.
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