ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA DEI SERVI Il Gibbo Postepay 4023 6005 5139 7310 Domenica delle palme e della Passione del Signore www.ilgibbo.it 29.03.15 Gubbio - Lectio divina in S. Maria de’ Servi a Corso Garibaldi sabato 28 marzo, ore 15-16 O s a n n a ! Prima lettura (Is 50,4-7:terzo canto del Servo del Signore) Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. Seconda lettura (Fil 2, 6-11) Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Vangelo (Mc 11,1-10) Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betania, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». *** COMMENTO DELLA COMUNITÀ DI BOSE e alla LETTURA DEL COMMENTO DI DUE ECCELLENTI MAESTRI DI SPIRITO RIFLESSIONE SUL VANGELO DELLA PROCESSIONE La radice e la qualità della sua autorevolezza I1 vangelo presenta il cammino di avvicinamento di Gesù a Gerusalemme, movimento che introduce Gesù negli eventi dell’ultima settimana della sua vita e dunque nella sua passione e morte. Gesù appare abitato da grande autorità: egli sa il senso del cammino che sta compiendo, sa dove lo sta portando, e lo accoglie con libertà e risolutezza (cfr. Mc 10 32-34). La sua autorevolezza, il suo prevedere gli eventi, la sua determinazione, nascono dalla sua conoscenza della volontà di Dio e dalla sua obbedienza alla parola della Scrittura. La sua é l’autorevolezza dell’obbediente. La volontà di Dio diviene volontà di Gesù. Il senso di una “requisizione” I1 gesto profetico che Gesù decide di compiere inviando due discepoli a cercare, sciogliere e condurgli un asino che gli servirà di cavalcatura, non é equiparabile alle requisizioni che i re potevano permettersi di perpetrare (cfr 1 Sam 8,16). Gesù si premura di dire ai due discepoli che non tratterrà per sé l‘asino, ma lo restituirà subito (cfr. Mc 11,3). Il testo sottolinea la povertà di Gesù, il suo essere un paradossale “signore”: signore che ha bisogno di un asino, se lo fa portare ma promette di restituirlo subito. Gesù dispone gli eventi perché alla luce delle Scritture emerga la qualità messianioca del cammino verso Gerusalemme: l’asino é la cavalcatura del Messia povero e mite di Zc 9,9; é 1’asino legato del quale aveva parlato Giacobbe morente a suo figlio Giuda benedicendolo nella profezia messianica di Gn 49 10-11; il corteo che accompagnerà questo ingresso mostra tratti regali come appare dai mantelli stesi sulla strada e dalle parole di ovazione (cfr. 2Re 9, 13). E tuttavia la concezione messianica che Gesù vive è molto distante da quella che viene intesa dalla folla come appare dalle parole del salmo 118 utilizzate dai presenti per acclamare Gesù (cfr Sal118, 25-26 in Mc 11,9-10) e da quelle, tratte dallo stesso salmo, che Gesù userà per rivelare il rigetto del Figlio da parte dei vignaioli omicidi, cioè i1 rigetto dell’inviato di Dio da parte dei capi d’Israele, insomma, per annunciare l’evento pasquale: la pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d‘angolo; dal Signore é stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri (Sal 118,22-23 in Mc 12 10-11). Lo acclamano e ne sminuiscono la regalità L’autentica messianicità di Gesù si manifesterà in tutta la sua portata solo negli eventi tragici e gloriosi della morte e della resurrezione. Invece l’acclamazione che echeggia durante l’ingresso in Gerusalemme e rivela con quale tipo di fede la gente lo vive proietta su Gesù una messianicità che non gli compete, la messianicità dinastica dei discendenti di David e connette a lui le attese politico-nazionalistiche legate a tale immagine messianica: “Benedetto il regno del nostro padre David”. Di più: il dilagare di questo grido toglie a Gesù la sua novità assoluta e dirompente e gli viene attribuita la dimensione già nota del “regno del nostro padre David”. I presenti non vengono nemmeno sfiorati dalla novità di questa regalità, ma fanno rientrare Gesù nella loro attesa, nei loro desiderata, e cosi ne ammortizzano 1o scandalo; quasi che bastasse dire: “Abbiamo David per padre” per essere beneficiati della salvezza! Gesù annuncia e vive “il Regno di Dio”, non “di David”: è questa la regalità totalmente nuova che apparirà nel1’evento pasquale. Da preghiera a formula celebrativa Anche 1’invocazione “Osanna”, che letteralmente significa “Signore, salva!”, diviene formula stereotipa che non invoca ma celebra, non supplica ma manifesta una certezza, non chiede ma presume. Mentre invochiamo la salvezza già presumiamo salvezza. Mentre dichiariamo di attendere il Signore, ne addomestichiamo la figura perché ci confermi nelle nostre attese. E cosi il testo vaglia il possibile traviamento operato dalle nostre ermeneutiche esistenziali, ecclesiali e storiche di Gesù e del suo cammino. I1 cammino di Gesù non è solo sottoposto al rischio dell'incomprensione, ma anche della cattiva comprensione, dell’interpretazione interessata, che non scomoda, non mette in crisi, ma conferma. Il “cammino della Chiesa” “Un uomo impara in base alle vie che percorre”, dice un testo della tradizione ebraica. La Chiesa, al1’ inizio della settimana santa é più che mai chiamata a interrogarsi sui sentieri che percorre e ad imparare dal cammino di Gesù per giungere a camminare tra gli uomini come lui ha camminato. RIFLESSIONE SULLA LITURGIA DELLA PAROLA EUCARISTICA NELLA CELEBRAZIONE (Is 50,4-7; Fil 2, 6-11; Mc 14,1-15,47) Le linee portanti della nostra salvezza Obbediente al Padre, massacrato per amore, sprofondato nella nostra umanità: sono le linee portanti del nostra salvezza. La figura del Servo del Signore, che obbedisce al Padre che ha parlato e nella fiducia in lui trova la forza per sopportare violenze e sofferenze (II lettura), introduce al momento centrale della liturgia della parola di oggi; la contemplazione di Gesù nella sua passione (vangelo), che per l’uomo di Nazaret è stata lo sprofondamento (la chènosi), il culmine di un movimento di abbassamento iniziato con l’incarnazione (II lettura): fin da allora umiliò se stesso, e adesso sprofonda fino alla parte infima dell’humus in cui vivono i suoi fratelli uomini (umiltà viene da humus), facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8). Scelte stilistiche ricche di contenuto Nel raccontare la passione Marco adotta come modalità espressive di fondo due figure retoriche, due procedimenti stilistici presenti in tutte le letterature del mondo: il PARADOSSO (dal greco παρά, leggi parà, = dietro, vicino a + δώχα, leggi docsa, = verità) è un forma di ragionamento che a prima vista sembra inaccettabile, ma che invece, in seconda battuta, si rivela giusto (es: la vita più è vuota, più è pesante); l’OSSÌMORO (dal greco ὀξύς, leggi ocsûs, = acuto + μωρός, leggi moròs = ottuso) è una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini di senso totalmente contrario. Esempi? La potenza di Dio si manifesta nella debolezza umana di Gesù. La sua morte infamante e orrenda proclama Gesù Figlio di Dio (cfr. Mc 15,39); quel1’uomo vilipeso, quel corpo percosso, quel volto negato (cfr. Mc 14,65) e diretta rivelazione del volto di Dio. Gesù, profeta ridotto al mutismo (cfr. Mc 14,65), veggente a cui é velata la faccia (cfr. Mc 14,65), re deriso (cfr. Mc 15,1213), Messia impotente (cfr. Mc 15,32), Salvatore perduto (cfr. Mc 15,29-32). Il paradosso e l’ossimoro nelle varie letterature o sono trucchetti adatti a stupire o sono scelte serie che aiutano a ricordare meglio un qualcosa che sta a cuore a chi li adopera. Nel vangelo di Marco, secondo lo stile che adottano tutti i testi che vogliono dire agli uomini verità di capitale importanza, l’uso del paradosso o dell’ossimoro, come d’altra parte tutte le immagini religiose e sacrali con cui l’uomo ammanta il divino, devono passare attraverso il vaglio impietoso della passione di Gesù perché si possa raggiungere il cuore dell’esperienza religiosa: incontrare il vero volto di Dio. QUALCHE SUGGERIMENTO PER “LEGGERE” LA PASSIONE DI GESÙ Scandalo! La passione ci introduce nell’ultima fase della vita di Gesù. Fase scandalosa nel senso letterale della parola: σκάνδαλον (scàndalon) è il sasso pizzuto emergente dalla superficie di una strada perfettamente piana, e uno ci inciampa facilmente. La passione mette alla prova lo sguardo di fede dell‘uomo, in quanto costituisce l’ angolo prospettico che sembra smentire tutto ciò che Gesù ha fatto ed é stato. Colui che ha attirato folle e creato una comunità itinerante di discepoli viene rigettato dalle folle e abbandonato dai discepoli. Colui che ha curato e guarito molti malati, ora si trova nell’impotenza di salvare chicchessia. Colui che ha annunciato il Vangelo del Regno con potenza di parola, ora entra progressivamente nel silenzio totale. Colui che ha vissuto una vita di fedeltà al Dio unico, viene condannato dalle legittime autorità religiose e dal popolo di Dio. Colui che ha sempre nutrito una relazione personalissima di confidenza con il Dio che chiamava Abbà, ora gli si rivolge con una domanda che grida l’enigma del sentirsi abbandonato da Lui. Oltre lo scandalo, il fallimento totale? In questi eventi vi è qualcosa che sembrerebbe dichiarare falsa tutta la vita di Gesù, la sua fede, il suo amore, la sua speranza. E cosi un’intera vita spesa nella donazione di sé per gli uomini e nella fedeltà obbediente al Padre, nell’amare e nel benedire, si trova come sepolta sotto il peso dell’infamia che Gesù vive e subisce nei suoi ultimi momenti. Ma anche il discepolo può terminare la sua vita sotto il peso infamante di una calunnia o di una caduta che ottenebrano la luce che ha sparso in tutta la sua vita: ma un uomo è sempre tutta la sua vita, non un solo momento, fosse pure quello estremo. La passione di Gesù purifica lo sguardo del credente liberandolo dalla tentazione di giudicare, emettere sentenze, condannare. Signore perché ubbidiente fino al fallimento E fecondo nella sua solitudine NELLA PASSIONE EMERGE POI LA SIGNORIA DI GESÙ. Egli affronta gli eventi con la grande libertà che gli deriva dall’obbedienza alle Scritture (cfr. Mc 14,18.27.62) e con la forza che gli viene dalla preghiera (cfr. Mc 14,32-42): preghiera inesaudita, ma che gli fa accettare il cammino tragico che lo attende come occasione di fede, speranza e amore nel suo Dio (Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu: Mc 14,36). IL LIBERO ABBANDONO AL VOLERE DEL PADRE É LA FORZA PROFONDA DI GESÙ. Forza che manca ai discepoli che non vegliano né pregano e sono perciò sorpresi dagli eventi e abbandonano la sequela (cfr. Mc 14,50). LA FINE DI GESÙ E ANCHE IL FALLIMENTO DELLA SUA COMUNITÀ. Il momento dello scacco del gruppo di coloro che egli aveva scelto perché stessero con lui. ALTRI DISCEPOLI. Eppure, proprio allora emergono altri discepoli, là dove nessuno se lo sarebbe aspettato: la donna di Betania che profuma il corpo di Gesù in vista della sua sepoltura (cfr. Mc 14,39), Simone di Cirene che porta la croce dietro a Gesù (cfr. Mc 15, 21), il centurione che confessa Figlio di Dio il crocifisso (cfr. Mc 15,39), Giuseppe di Arimatea, che aspettava il Regno di Dio e riceve il corpo di Gesù (cfr. Mc 15,43-46). I1 chicco di grano caduto a terra trova inattesi e impensabili terreni buoni che lo accolgono e portano frutto. *** IL COMMENTO DI S. AGOSTINO Chi mi vuol servire mi segua (Gv 12,26). “Mi segua” significa “mi imiti”: Cristo, infatti, patì per noi dice l’aposto1o Pietro - 1asciandoci un esempio, affinché seguiamo le sue orme (1Pt 2,21). Questo e il senso delle parole Chi mi vuol servire mi segua. E con quale frutto? Con quale ricompensa? Con quale premio? E dove sono io - dice - là sarà anche il mio servo. Amiamolo disinteressatamente e la ricompensa del nostro servizio sarà quella di essere con lui. Come si può star bene senza di lui, o stare male con lui? Ascolta ciò che vien detto in maniera più chiara..Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà (Gv 12,26). Con quale onore, se non con quello di poter essere suo figlio? Ciò che ha detto qui sopra (Dove sono io, là sarà anche il mio servo) é la spiegazione delle parole: Il Padre mio lo onorerà. Quale maggior onore può ricevere il figlio adottivo che quello di essere la dove é il Figlio unico, non fatto uguale a lui nella divinità, ma associato a lui nell’eternità? Dobbiamo chiederci che cosa si intenda per servire Cristo, servizio al quale viene riservata una cosi grande ricompensa. [...] Servono Gesù Cristo coloro che non cercano i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo. <<Mi segua» vuol dire: segua le mie vie, non le sue, cosi come altrove sta scritto: Chi dice di essere in Cristo, deve camminare come Egli ha camminato (1 Gv 2,6). Cosi, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato dalla misericordia, non da vanità, non deve cercare in quel gesto nient’altro che l’opera buona, senza che la sinistra sappia ciò che fa la destra (cfr. Mt 6,3), in modo che l’opera di carità non debba essere sciupata da secondi fini. Chi opera in questo modo, serve Cristo e giustamente sarà detto di lui: Ogni volta che avete fatto questo a uno dei miei più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Chi compie per Cristo non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona - e qualsiasi opera é buona quando obbedisce alle parole il fine di tutta la Legge è Cristo, a giustizia di ognuno che crede (Rm 10,4) - egli é servo di Cristo e giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nel dare la propria vita per i fratelli, che equivale a darla a Cristo. AGOSTINO DI IPPONA, Commento al Vangelo di Giovanni 51,1l,12, *** IL COMMENTO DI GUERRICO D‘IGNY La processione e la passione Molti furono stupiti della sua gloria, simile a quella di un trionfatore vittorioso, nel momento in cui entrava in Gerusalemme, ma poco dopo, nel momento in cui affrontava la passione, il suo volto era privo di gloria e umiliato. [...] Se dunque si considera ad un tempo la processione di quest’oggi e la passione, Gesù appare sublime e glorioso da una parte e umiliato e sofferente dall’altra. La processione fa pensare all’onore riservato ai re; la Passione mostra la punizione riservata al ladrone. Qui lo circondano gloria e onore, là non ha né forma né bellezza» (Is 53,2). Qui é la gioia degli uomini e il vanto del popolo, lì l’obbrobrio degli uomini, l’oggetto di disprezzo del popolo» (Sal 21[22],7). Qui lo si acclama: “Osanna al figlio di David! Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore» (Mc 11,10); là lo si proclama degno di morte e lo si deride perché si é fatto re di Israele. Qui gli si va incontro con rami di palma; là con le loro mani lo percuotono sul volto e gli colpiscono la testa con una canna. Qui è colmo di lodi; là è saziato di insulti. Qui, a gara, si ricopre la sua via con vesti altrui; lì é spogliato delle proprie vesti. Qui é accolto a Gerusalemme come il re giusto e il Salvatore (cfr. Zc 9,9); la é scacciato da Gerusalemme come un criminale e un impostore. Qui siede sopra un asino, avvolto di onore; la é appeso al legno della croce, straziato dalle verghe, coperto di piaghe, abbandonato dai suoi. [...] Fratelli, se vogliamo seguire la nostra guida senza vacillare tanto nei momenti felici che in quelli avversi, contempliamolo avvolto di onore nella processione delle Palme, sottoposto agli oltraggi e alle sofferenze nella passione, ma in tale mutamento di circostanze non mutò i suoi pensieri. [...] Signore Gesù, tutti ti benedicano, tu gioia e salvezza di tutti, sia che ti vedano seduto sull’asino, sia che ti vedano sospeso al legno della croce. Vedendoti regnare sul trono ti lodino nei secoli dei secoli. A te lode e onore per tutti i secoli dei secoli. GUERRICO D’IGNY (+1157), abate cistercense francese, fondatore dell'abbazia di La Valroy , Terzo Discorso sulle Palme 2.5
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