L`OSSERVATORE ROMANO - Amazon Web Services

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 78 (46.916)
Città del Vaticano
domenica 5 aprile 2015
.
Al termine della Via crucis al Colosseo il Papa prega per i cristiani perseguitati sotto gli occhi indifferenti del mondo
Silenzio complice
E ricorda che la croce è via alla risurrezione e strada verso la Pasqua
Venerdì Santo di preghiera per i cristiani perseguitati nel mondo. Prima
nella basilica vaticana, dove nel pomeriggio il Papa ha presieduto la celebrazione della Passione del Signore, e poi nel suggestivo scenario del
Colosseo, dove in serata si è svolta
la tradizionale Via crucis, è risuonata
l’invocazione per tutti i credenti vittime della violenza in varie parti del
mondo.
«In te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro
fede in te, sotto i nostri occhi o
spesso con il nostro silenzio complice», ha scandito con voce severa
Francesco dalla terrazza del colle Palatino, in uno dei passaggi più significativi della preghiera pronunciata
al termine del rito. Un’invocazione
— ripresa anche in una delle meditazioni proposte quest’anno dal vescovo Renato Corti — che si è fatta denuncia dei «nostri quotidiani tradimenti» e delle «nostre consuete infedeltà»; della «brutalità dei nostri
peccati», della «crudeltà del nostro
cuore e delle nostre azioni». Una
preghiera che al tempo stesso si è
fatta richiesta di aiuto per «tutti gli
abbandonati dai familiari, dalla società, dall’attenzione e dalla solidarietà», e per i «nostri fratelli abbandonati lungo le strade, sfigurati dalla
nostra negligenza e dalla nostra indifferenza».
Ma in tutte le croci che rappresentano
le
immani
sofferenze
dell’umanità, il Pontefice ha indicato
una «via alla risurrezione». Perché —
ha spiegato — «il venerdì santo è
strada verso la Pasqua della luce».
Da qui l’invito a «trasformare la nostra conversione fatta di parole, in
Dopo la strage perpetrata dai jihadisti somali di Al Shabaab in Kenya
Uniti nel dolore e nella condanna
conversione di vita e di opere». Infatti, ha commentato, «il peso della
croce ci libera da tutti i nostri fardelli», dalla «nostra ribellione e disobbedienza».
Ecco allora il messaggio di speranza racchiuso nella Pasqua, che
consente al credente di invocare Gesù crocifisso, affinché rafforzi «in
noi la fede che non crolli di fronte
alle tentazioni», ravvivi «in noi la
speranza, che non si smarrisca seguendo le seduzioni del mondo»,
custodisca «in noi la carità che non
si lasci ingannare dalla corruzione e
dalla mondanità».
La preghiera per le vittime delle
«forme nuove e spaventose di crudeltà e di barbarie» che prendono di
mira i credenti si era levata anche
durante la celebrazione della Passione del Signore svoltasi nel pomeriggio in San Pietro. Davanti a Papa
Francesco il predicatore della Casa
pontificia, padre Raniero Cantalamessa, aveva ricordato la ferocia della strage avvenuta nel campus universitario in Kenya e aveva denunciato «la inquietante indifferenza
delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica» di fronte a un’escalation di atrocità che lascia «inorriditi» e chiama i cristiani a scelte coraggiose di riconciliazione e di perdono.
PAGINA 8
L’accordo internazionale raggiunto a Losanna sul programma nucleare iraniano
Nuova fase di cooperazione
y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"!&!z!,!
Studenti dell’università di Garissa scampati al massacro (Afp)
NAIROBI, 4. La terrificante strage
perpetrata dal gruppo terrorista somalo Al Shabaab nel campus
dell’università di Garissa, in Kenya,
vede uniti nel dolore e nella condanna i cristiani, contro i quali era
espressamente diretto l’attacco —
erano tutti cristiani, in massima
parte studenti, i 148 morti accertati
e l’ottantina di feriti — e i musulmani del Kenya.
Al cordoglio e alla preghiera per
le vittime, per i loro familiari e per
il popolo kenyano espresso dai rappresentanti delle comunità cristiane,
a partire da Papa Francesco, si sono
uniti quelli dei principali esponenti
islamici del Paese.
Nell’esprimere tali sentimenti, il
segretario del Consiglio degli imam
e dei predicatori del Kenya, lo
sceicco Khalifa, ha anche denunciato l’irresponsabilità di alcuni kenyani che attraverso i social media
«diffondono immagini disgustose e
messaggi che istigano all’odio».
Dalla stessa Garissa, Abdullah
Salat, esponente del Consiglio supremo dei musulmani del Kenya,
ha detto che la comunità islamica
locale «condanna con forza gli atti
barbari commessi contro studenti
universitari innocenti». Il religioso
ha rivolto poi un appello al Governo di Nairobi affinché con l’aiuto
della comunità internazionale sradichi «il mostro del terrorismo».
Sostegno al Governo di Nairobi
nella lotta al terrorismo hanno promesso tanto il presidente degli Stati
Uniti, Barack Obama, quanto l’alto
rappresentante per la politica estera
e di sicurezza comune dell’Unione
europea, Federica Mogherini.
Sotto questo aspetto, comunque,
in Kenya crescono le critiche negative. Il giorno prima dell’attacco, il
presidente kenyano, Uhuru Kenyatta, aveva definito il suo Paese un
luogo «sicuro come ogni altro del
mondo». Ora in molti accusano il
Governo di non avere preso adeguate misure di sicurezza e di avere
sottovalutato la minaccia di Al Shabaab, che mostra da tempo una
progressiva radicalizzazione jihadista, e l’allerta lanciata da alcuni
Paesi stranieri come la Gran Bretagna. Anche secondo padre Nicolas
Mutua, parroco a Garissa, l’attacco
ai cristiani non sarebbe giunto in
maniera del tutto inaspettata. La
comunità aveva infatti subito minacce. «Me lo aspettavo perché eravamo stati minacciati», ha raccontato il sacerdote a Radio Vaticana,
aggiungendo di non essere tranquillo anche se la polizia protegge normalmente le chiese.
Il ministro dell’Interno kenyano,
Joseph Nkaissery, ha intanto riferito
dell’arresto di cinque persone sospettate di essere coinvolte nell’organizzazione del massacro. Secondo la Bbc, all’interno dell’ateneo
sono stati trovati quattro sopravvissuti, due dei quali sono stati ritenuti sospetti. Uno di questi sarebbe
un cittadino della Tanzania che non
ha alcun legame con l’università. Il
che, se confermato, costituirebbe
un’ulteriore riprova dell’adesione ad
Al Shabaab di estremisti islamici di
altri Paesi.
Con l’obiettivo
di soccorrere i civili intrappolati
nei combattimenti
Riunione all’O nu
per una tregua
in Yemen
PAGINA 3
Tra l’altro, proprio dopo che le
truppe kenyane l’avevano scacciata
da Chisimaio, seconda città della
Somalia, Al Shabaab aveva dichiarato di aderire ad Al Qaeda e,
quindi, di collocarsi nella galassia
del terrorismo jihadista.
Anche la scelta di un’università
come obiettivo conferma questa deriva jihadista del gruppo somalo.
Sull’esempio di altre milizie — solo
per restare all’Africa, si pensi a Boko Haram — nel suo mirino è entrata infatti un’istituzione considerata
espressione dell’educazione occidentale. Così come in anni recenti
diversi attacchi e attentati di Al
Shabaab avevano già preso di mira
le comunità cristiane.
Il gruppo islamista somalo, che
aveva rivendicato l’attacco all’università di Garissa mentre era ancora
in corso, ha fatto ieri nuove minacce, rivolgendosi direttamente a tutti
i kenyani. «Nessuna precauzione
sarà in grado di garantire la vostra
sicurezza, o sventerà un nuovo attacco o impedirà un bagno di sangue nelle vostre città», si legge in
una dichiarazione, nella quale le
milizie somale confermano di essere
in guerra con il Kenya. Come noto,
questo Paese è diventato il loro
principale obiettivo fuori dai confini nazionali dopo che il Governo di
Nairobi ha inviato contro di loro
truppe in Somalia.
Se queste non verranno ritirate, il
gruppo chiama in causa ora anche
le popolazioni civili: «Non solo accettate le politiche oppressive del
vostro Governo, ma neanche alzate
la voce contro queste posizioni e
anzi rafforzate le scelte dei vostri
governanti rieleggendoli. Pertanto
sarete voi a pagare il prezzo con il
vostro sangue», si legge nella dichiarazione.
TEHERAN, 4. Mentre l’Iran esulta e
rassicura sulla serietà degli impegni
presi con l’intesa di Losanna, da
Israele giungono reazioni critiche e
una bocciatura dell’accordo sul programma nucleare di Teheran.
Secondo il presidente iraniano,
Hassan Rohani, l’intesa con il gruppo cinque più uno apre una nuova
fase nei rapporti fra Teheran e il
mondo intero. Le sanzioni saranno
revocate con l’entrata in vigore
dell’accordo finale prevista entro
giugno, afferma il presidente, che rilancia le promesse fatte all’inizio del
suo mandato: il Paese si riaprirà al
mondo, perché l’accordo non riguarda solo il nucleare, ma è il primo
passo verso una «costruttiva cooperazione» con le altre Nazioni, anche
con quelle con cui vi sono «tensioni
e ostilità».
L’intesa di Losanna, tuttavia, non
convince Israele. Dopo una riunione
di tre ore svoltasi ieri, il Gabinetto
di sicurezza ha respinto senza mezzi
termini l’accordo raggiunto dal
gruppo cinque più uno e Teheran.
Secondo il premier Netanyahu, l’intesa «non ferma un singolo impianto, non distrugge una sola centrifuga. Al contrario legittima il pro-
Il dialogo tra Gesù e la Maddalena davanti al sepolcro vuoto
Come nel giardino
del Cantico dei cantici
Jean Guitton, «Gesù appare alla Maddalena» (1970)
MARIDA NICOLACI
A PAGINA
5
gramma nucleare illegale». Ogni accordo finale con l’Iran — ha aggiunto il leader del Likud — deve includere un «chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di
esistere».
Parole, quelle di Netanyahu, che
Obama aveva già ascoltato direttamente in un colloquio telefonico nel
quale il premier israeliano aveva appunto ribadito che l’intesa, a suo avviso, mette a repentaglio la sopravvivenza stessa di Israele. E in questo
senso vanno lette le rassicurazioni
degli Stati Uniti che — come ha oggi
affermato il portavoce della Casa
Bianca, Eric Schultz, parlando con i
giornalisti a bordo dell’Air Force
One — non firmerebbero mai un accordo sul programma nucleare iraniano se questo potesse costituire
una minaccia per Israele. Di questo
Obama dovrà ora convincere anche
il Congresso, a maggioranza repubblicana, che nelle settimane scorse
aveva ospitato Netanyahu, ascoltando la sua perorazione contro i colloqui con Teheran.
Il capo della Casa Bianca ha intanto avuto una serie di contatti con
i leader di alcuni Paesi del Golfo
persico ai quali ha illustrato i dettagli dell’accordo raggiunto con l’Iran.
Obama ha parlato con il re del
Bahrain, Hamad Al Khalifa, con
l’emiro del Kuwait, Sabah Al Sabah,
con quello del Qatar, Tamim Al
Thani, e con il principe Mohammed
Al Nahyan degli Emirati Arabi Uniti. Con ognuno di loro ha sottolineato che i prossimi mesi verranno
impiegati per finalizzare i dettagli
tecnici di una soluzione duratura e
completa che garantisca la natura
pacifica del programma nucleare iraniano. Il presidente statunitense ha
inoltre invitato a Camp David i leader del Consiglio di cooperazione
del Golfo persico per un incontro,
previsto per questa primavera.
In occasione delle festività pasquali
il nostro giornale non uscirà.
La pubblicazione riprenderà con la data
7-8 aprile.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
domenica 5 aprile 2015
Bambino trasporta un pacco
della Croce Rossa a Vuhlehirsk (Ap)
Tsipras a Mosca l’8 aprile per colloqui con il presidente Putin sulla crisi greca
Atene pronta a risarcire
il Fondo monetario internazionale
ATENE, 4. Mentre continuano le trattative con l’Europa per la riqualificazione del debito, il Governo greco
assicura che non ci sarà nessuno
“strappo” con il Fondo monetario
internazionale (Fmi). Atene ha infatti comunicato che il 9 aprile la tranche di debiti da 450 milioni di euro
nei confronti del Fondo monetario
internazionale verrà regolarmente
pagata. Intanto, il premier greco,
Alexis Tsipras, sarà a Mosca dall’8 al
9 aprile per discutere con il presidente russo, Vladimir Putin, della
crisi greca e della situazione in
Ucraina. E il 14 aprile dovranno essere pagati stipendi pubblici e pensioni.
Intanto, il quotidiano britannico
«Telegraph» cita anonime fonti di
Syriza, il partito di Tsipras, secondo
cui l’Esecutivo sta mettendo a punto
un drastico piano di emergenza da
mettere in atto in caso di fallimento
delle trattative con Bruxelles. Gli interventi previsti vanno dalla nazionalizzazione delle banche al ritorno alla dracma (che in teoria co-esisterebbe comunque con l’euro). Passando
Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis (Reuters)
Obama e Castro
s’incontreranno
al vertice
delle Americhe
WASHINGTON, 4. Il settimo vertice
delle Americhe — che si terrà venerdì
e sabato prossimi a Panamá per iniziativa dell’Organizzazione degli
Stati americani (Osa) — sarà occasione del primo incontro ufficiale tra il
presidente statunitense, Barack Obama, e quello cubano, Raúl Castro,
dopo la breve stretta di mano scambiata lo scorso anno ai funerali di
Nelson Mandela. Ne ha dato conferma ieri Roberta Jacobson, che guida
la delegazione di Washington nei
negoziati con L’Avana per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche.
Jacobson ha ricordato che Obama, quando ha accettato di partecipare al vertice a Panamá, sapeva che
Cuba era per la prima volta tra i
Paesi invitati e quindi della probabile presenza di Castro. Durante questi vertici i leader sono spesso insieme sia per gli appuntamenti formali
sia in occasioni informali. Di conseguenza «ci sarà una interazione con
Castro», ha detto la diplomatica statunitense, senza peraltro specificare
se questo possa o meno comportare
un incontro bilaterale, ma aggiungendo che «ovviamente i due si sono già parlati al telefono».
La presenza di Cuba al vertice
delle Americhe per la prima volta è
ritenuta un successo importante dal
Segretario generale uscente dell’O sa,
il cileno José Miguel Insulza, che sarà a breve sostituito dall’uruguayano
Luis Almagro.
«Abbiamo deciso di revocare tutte
le sanzioni contro Cuba e di aprire
la strada affinché rientri nel sistema
interamericano e spero che ciò avvenga» ha detto Insulza, sottolineando che «l’Osa è molte cose» e il
suo ruolo è legato «alla pace e alla
democrazia» e a scongiurare o risolvere «i conflitti e le crisi nei Paesi
membri».
Dal 1994, data d’inizio dei vertici
delle Americhe, l’Osa non aveva mai
invitato Cuba, da tempo sospesa
dall’organizzazione. Questa volta,
prima ancora che fosse annunciato il
disgelo tra Washington e L’Avana,
la politica dell’Osa è cambiata, grazie anche alle pressioni di molti Paesi che avevano minacciato di disertare il vertice qualora si fosse insistito
sul veto per Cuba.
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
per la messa in mora dei pagamenti
all’Fmi. «Chiuderemo le banche e le
nazionalizzeremo, quindi emetteremo certificati di debito se dobbiamo.
E sappiamo tutti cosa questo significhi. Di certo non diventeremo un
protettorato dell’Ue» afferma la fonte citata dal quotidiano britannico.
Secondo il Telegraph, questo equivale «a un ritorno alla dracma»: nel
Paese la vecchia valuta ricomincerà a
circolare insieme all’euro e sarà utilizzata per pagare gli stipendi. «Siamo un Governo di sinistra e se dobbiamo scegliere tra non pagare il
Fmi e non pagare i nostri cittadini,
la scelta è scontata» riporta un dirigente del partito del premier — citato dal «Telegraph» — parlando del
rimborso della prossima rata del prestito dovuta al Fondo, in calendario,
come detto, per il 9 aprile. «Vogliono costringerci al rituale dell’umiliazione. Stanno cercando di metterci
con le spalle al muro: di farci scegliere tra il default e la sottoscrizione di un accordo che è per noi politicamente impossibile. Se questo è il
loro obiettivo, noi non ci stiamo».
L’Osce forma dei gruppi di lavoro
Migliora la situazione
nell’est dell’Ucraina
KIEV, 4. Spiragli di distensione in
Ucraina. Il ministro degli Esteri
serbo e presidente in carica
dell’Osce, Ivica Dačić, ha reso noto ieri che la situazione nel Paese
sembra migliorare: attualmente è in
corso la formazione di gruppi di
lavoro per affrontare la sicurezza, i
problemi umanitari ed economici,
nonché le riforme politiche e costituzionali nel Paese.
La situazione è dunque migliorata, nonostante il fatto che il cessate
Inferiore alle attese il dato sulla creazione di nuovi posti
Delude
il mercato del lavoro statunitense
WASHINGTON, 4. Delude il dato
sull’occupazione americana, segno
che la crisi continua a pesare.
Nell’ultimo mese gli Stati Uniti, ha
comunicato ieri il dipartimento del
Lavoro, hanno creato in marzo solo
126.000 posti, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al
5,5 per cento.
Il dato è nettamente inferiore alle
attese degli analisti, che scommettevano su 245.000 posti ed è il più
basso incremento mensile dal dicembre del 2013. Il settore privato
ha creato 129.000 posti, mentre
quello pubblico ne ha tagliati tremila. Il tasso di partecipazione al
mercato del lavoro è sceso al 62,7
dal 62,8 per cento. Il dipartimento
del Lavoro ha rivisto al ribasso i
dati di gennaio e febbraio, quando
sono stati creati 201.000 e 264.000
posti di lavoro rispetto ai 239.000 e
295.000 precedentemente stimati.
Immediata la reazione dei mercati. Chiuse le Borse europee e Wall
Street per le festività pasquali, è
stato il mercato valutario a reagire
in maniera assai brusca. In particolare, l’euro è risalito decisamente
sul dollaro.
E anche sul mercato obbligazionario non sono mancate le reazioni
a un dato che segna la prima vera
battuta d’arresto da mesi per l’occupazione americana. Il rendimento
dei Treasury decennali è sceso di
undici
punti
base,
passando
dall’1,92 all’1,81 per cento, e il prezzo è salito in maniera speculare, segno che gli investitori sono tornati
a comprare titoli di Stato americani
di fronte alla prospettiva che il rialzo dei tassi possa slittare alla fine
dell’anno o anche oltre.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Una fiera del lavoro per veterani di guerra a Burbank (Reuters)
Gaetano Vallini
Violenti scontri
in una favela di Rio de Janeiro
impeachment di un premier dal
1968. Lo scandalo era esploso il 19
marzo, quando la rivista «Correo
Semanal» aveva pubblicato una lista di personalità, tra cui molti
esponenti della politica e dell’economia, spiati fin dal 2005
dall’agenzia nazionale per l’intelligence chiusa a inizio febbraio dal
Governo. La Jara ha dovuto assumersi la responsabilità politica per
il caso anche se la stessa opposizione ha ammesso che non aveva
mai autorizzato o avallato il programma di spionaggio.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
segretario di redazione
Tesoro — è solo un singolo dato
che fa parte di una serie molto volatile, tanto più che il maltempo e
il blocco dei porti sulla West Coast
hanno pesato non poco. I fondamentali dell’economia americana restano solidi e lo si vedrà nei prossimi mesi».
Trecento migranti
soccorsi
al largo della Libia
Nominato il premier
peruviano
LIMA, 4. Il Presidente del Perú,
Ollanta Humala, ha nominato Pedro Cateriano nuovo premier. Cateriano succede ad Ana Jara, sfiduciata dal Congresso, dopo uno
scandalo riguardante politici, giornalisti e uomini d’affari spiati dai
servizi segreti. Nuovo ministro degli Esteri è Ana María Sánchez,
che era stata nominata 24 ore prima ambasciatrice in Francia.
Il Congresso peruviano, che
aveva destituito Ana Jara, con 72
voti a favore e 42 contrari, ha portato a completamento il suo primo
Il Governo americano minimizza
il dato e afferma che la situazione
sta migliorando, visto il fatto che i
fondamentali dell’economia a stelle
e strisce restano solidi.
«Il rapporto di marzo del dipartimento del Lavoro — ha osservato
Karen Dynan, capo economista del
il fuoco sia stato ancora violato e
che il ritiro delle armi pesanti non
sia stato ancora verificato del tutto.
Come annunciato, attualmente è in
corso la formazione di gruppi di
lavoro che affronteranno questioni
specifiche previste nell’accordo di
Minsk. «C’è l’auspicio di Russia e
Ucraina — ha detto Dačić — che la
missione Osce raggiunga i suoi
obiettivi, tra cui l’aumento del numero di osservatori e la messa in
azione del maggior numero di dispositivi tecnici possibili per sorvegliare la situazione».
Nel frattempo, in un’intervista il
premier ucraino, Arseny Yatsenyuk,
ha comunicato ieri che il Paese ha
«del tutto perso» il mercato russo
per le sue esportazioni, ma è riuscito «in larga misura» a compensare
con vendite a nuovi clienti in Europa, Medio Oriente, Africa e Stati
Uniti.
E, intanto, Ankara scende in
campo a difesa della minoranza tatara turcofona in Crimea. Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha lamentato gli abusi
commessi nei confronti dei tatari
nella penisola annessa dalla Russia
un anno fa e ha fatto sapere che il
suo Paese manderà presto una missione informale di osservatori. «Il
popolo della Crimea e in particolare i tatari di Crimea — ha detto —
sono oppressi, attaccati e i loro diritti vengono violati. Manderemo
presto una missione informale per
osservare le violazioni dei diritti
umani» nella penisola.
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
RIO DE JANEIRO, 4. Violenti scontri
sono stati segnalati ieri fra polizia e
alcuni residenti del Complexo do
Alemão (una delle più estese e pericolose favela di Rio de Janeiro),
che stavano manifestando contro
l’escalation di violenza. I dimostranti, che avevano iniziato a protestare pacificamente, sono entrati
in contatto con gli agenti dopo che
questi ultimi, secondo i media locali, sono stati raggiunti dal lancio
di pietre e bottiglie. Nelle ultime
ore, nel Complexo do Alemão sono
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
morte cinque persone nel corso di
sparatorie tra narcos e polizia.
È il caso di Eduardo de Jesus
Ferreira, di soli dieci anni, colpito
due giorni fa alla testa da una pallottola vagante sulla porta di casa.
Altra vittima innocente è stata una
casalinga di 41 anni, raggiunta mercoledì scorso dentro le mura domestiche da un altro proiettile vagante. Testimoni sostengono che i colpi sarebbero partiti da fucili delle
forze dell’ordine. Le armi usate sono state confiscate e sui casi sono
state aperte due inchieste.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
ROMA, 4. Resta difficile la situazione nel Mediterraneo: continuano
infatti senza sosta le operazioni di
salvataggio dei migranti alla deriva.
La Guardia costiera italiana ha soccorso ieri al largo della Libia un
barcone con più di trecento migranti di origine subsahariana. Sono state dirottate sul posto diverse
navi che rientrano nel dispositivo
di sicurezza della Frontex (l’agenzia europea per la gestione della
cooperazione internazionale alle
frontiere esterne degli Stati membri). Tutti i migranti arriveranno
oggi a Pozzallo, in Sicilia.
Non si ferma intanto la protesta
inscenata da ieri mattina da alcuni
richiedenti asilo davanti al commissariato di Lamezia Terme, in Calabria. Il sit-in, infatti, sta proseguendo senza incidenti. Gli immigrati con coperte e altri ausili di
fortuna, hanno trascorso la notte
sulla strada. Il traffico automobilistico viene ancora deviato per ragioni di sicurezza in quanto gli immigrati hanno occupato l’intera sede stradale. Non mancano i disagi.
Alla base della protesta pacifica
c’è soprattutto la richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato
politico che — riferiscono le agenzie — non può essere assegnato a
tutti i manifestanti.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Banca Carige
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 aprile 2015
pagina 3
Forze irachene dopo la riconquista
di una base a Tikrit (Ap)
Con l’obiettivo di soccorrere i civili intrappolati nei combattimenti
Riunione all’O nu
per una tregua in Yemen
SAN’A, 4. Le forze navali della coalizione guidata dall’Arabia Saudita
hanno bombardato nella notte la
periferia di Aden ancora controllata
dai ribelli sciiti. I miliziani seguaci
dell’imam Al Huthi infatti si sono
ritirati verso quelle postazioni dopo
Pyongyang
lancia
quattro missili
a corto raggio
PYONGYANG, 4. La Corea del
Nord ha lanciato ieri pomeriggio
quattro missili a corto raggio in
mare, per una gittata stimata in
circa 140 chilometri: lo riferisce lo
Stato maggiore sudcoreano, precisando che i vettori sono caduti
nei pressi della costa occidentale.
Il regime comunista di Pyongyang ha avviato una serie di test
balistici a inizio marzo in risposta alle esercitazioni militari congiunte di Corea del Sud e Stati
Uniti, in programma ogni anno,
e considerate dalle autorità della
Corea del Nord come «la prova
generale di una invasione» ai
suoi danni.
E mentre resta alta la tensione
nella penisola coreana, il Giappone ha recentemente deciso di
estendere le sue sanzioni contro
il regime comunista di Pyongyang in mancanza di progressi
nelle indagini nordcoreane sul sequestro di alcuni cittadini giapponesi negli anni Settanta e Ottanta. L’embargo commerciale
approvato dal Governo di Tokyo
e altre misure unilaterali nei confronti di Pyongyang dureranno
altri due anni, anziché scadere,
come previsto inizialmente, il 13
aprile.
Nello scorso luglio, dopo che
la Corea del Nord aveva promesso di avviare una nuova indagine
sul destino dei cittadini giapponesi rapiti decenni fa, le autorità
di Tokyo avevano attenuato alcune sanzioni. Nonostante tutto,
per il momento, non sono stati
segnalati progressi.
Secondo le autorità di Tokyo i
suoi cittadini sono stati sequestrati per costringerli a fornire informazioni ai nordcoreani. Nel
2012 il regime comunista nordcoreano aveva ammesso i sequestri
e liberato cinque delle 17 vittime.
Pyongyang aveva inoltre comunicato che altri otto giapponesi erano morti, ma senza fornire prove.
Le autorità del regime comunista
avevano anche negato che quattro dei giapponesi scomparsi fossero entrati in Corea del Nord.
Due battelli
affondano
in Bangladesh
DACCA, 4. Almeno dodici persone
sono morte ieri nell’affondamento
di due battelli nel Bangladesh centrale. Numerosi i dispersi. L’incidente più grave è avvenuto sul fiume Buriganga, nell’area di Aliganj,
quando un traghetto con a bordo
ottanta passeggeri ha urtato un
mercantile carico di sabbia e si è
inabissato. I soccorritori, dopo diverse ore di ricerche, hanno recuperato otto corpi. La maggior parte
dei passeggeri sono riusciti a mettersi in salvo nuotando a riva, ma
all’appello mancano ancora decine
di persone. Nella seconda tragedia
hanno invece perso la vita quattro
persone, tra cui una bambina, che
viaggiavano su un altro battello che
si è capovolto sul fiume Meghna,
nei pressi di una località del distretto di Munshiganj.
aver lasciato ieri il centro della città
portuale. Il bilancio delle vittime ad
Aden dall’inizio del conflitto è di
182 morti e 1.285 feriti. I bombardamenti di ieri hanno colpito soprattutto la zona di Al Ilam, all’ingresso
orientale della città.
Per fare fronte a questo conflitto
il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunisce oggi — su richiesta della Russia — con l’obiettivo di ottenere una tregua umanitaria finalizzata al soccorso dei civili
intrappolati nei combattimenti.
Negli ultimi giorni Mosca ha ripetutamente chiesto la sospensione
delle ostilità e l’avvio di un negoziato tra i ribelli sciiti huthi e il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi,
le cui forze armate hanno ricevuto il
sostegno dalla coalizione sunnita
guidata dall’Arabia Saudita.
Intanto, Al Qaeda nella penisola
arabica continua a espandersi verso
est, approfittando del caos generato
dagli scontri nel sud tra miliziani
sciiti huthi e le forze fedeli al presidente yemenita. In uno scenario
sempre più drammatico, è prosegui-
ta anche ieri l’evacuazione di centinaia di stranieri da Aden epicentro
dei combattimenti.
Gli huthi sono in ritirata dopo
che Riad ha fatto giungere alle forze fedeli al presidente Hadi carichi
di armi lanciati dall’aviazione della
coalizione. Lo scorso settembre gli
huthi avevano preso il potere a
San’a, la capitale, costringendo Hadi a rifugiarsi ad Aden, e successivamente a fuggire in Arabia Saudita.
Nel frattempo, due guardie di
confine saudite sono state uccise da
colpi provenienti dallo Yemen. Lo si
apprende oggi da fonti governative
riprese dalle agenzie di stampa internazionali. Lo scontro a fuoco è
avvenuto in un posto di frontiera
nella regione di Asir. Nella stessa
zona un’altra guardia saudita era
stata uccisa ieri.
Infine, il ministro degli Esteri yemenita, Riad Yasin, ha riferito che
l’ex presidente Ali Abdulla Saleh
accusato di essere alleato dei ribelli
sciiti huthi, sarebbe fuggito nei
giorni scorsi dallo Yemen a bordo
di un aereo russo.
Morti nove poliziotti in perlustrazione nella città strappata all’Is
Mine uccidono a Tikrit
BAGHDAD, 4. Sette agenti della polizia federale irachena
sono stati uccisi e due sono stati feriti ieri dalle esplosioni di diverse mine nell’area di Tikrit, capoluogo della
provincia di Salahuddin strappato questa settimana al
cosiddetto Stato islamico (Is) dalle forze governative affiancate da milizie sia sciite sia sunnite. Gli agenti uccisi
stavano perlustrando la zona di Dayyum, alla periferia
occidentale di Tikrit. La bonifica dell’area dalle mine si
annuncia lunga e difficile. Tutto conferma, infatti, la
massiccia presenza di ordigni disseminati dall’Is nella
zona, cosa che aveva contribuito a frenare l’offensiva
governativa sferrata a inizio marzo.
Prossimo obiettivo di tale offensiva, secondo fonti
concordi e sempre più insistenti, dovrebbe essere Mosul, nella cui area si stanno concentrando da tempo i
bombardamenti aerei della coalizione internazionale
guidata dagli Stati Uniti. In uno di questi raid ieri è
stato colpito un campo di addestramento dell’Is a una
cinquantina di chilometri da Mosul, quello situato
nell’ex base militare di Al Qayyarah. Fonti della sicurezza irachena riferiscono dell’uccisione di una ventina
di miliziani e della distruzione di depositi di armi e munizioni.
Nel frattempo, il quotidiano panarabo «Al Hayat» riporta la notizia, attribuita a un ex esponente di Al Qaeda, Ayman al Din, definito ora «spia dei servizi segreti
britannici», che il leader della stessa Al Qaeda, Ayman
al Zawahiri, avrebbe deciso di permettere ai vari rami
dell’organizzazione nei diversi Paesi liberi di aderire ad
altri movimenti jihadisti, come appunto l’Is.
Tra Governo e gruppi etnici ribelli
Intesa per un cessate il fuoco nel Myanmar
Guerriglieri appartenenti ai ribelli kachin
NAYPYIDAW, 4. Alla presenza del
presidente del Myanmar, Thein
Sein, i negoziatori governativi, i comandanti dell’esercito e i rappresentanti della maggioranza dei gruppi
etnici armati hanno dichiarato il loro
sostegno per un cessate il fuoco,
che, se approvato e firmato, potrebbe porre fine al conflitto che per decenni ha lacerato il Paese del sud-est
asiatico. «Sono davvero felice — ha
affermato Thein Sein — che le parti
abbiano raggiunto un accordo. Questo apre la porta al dialogo politico
e a futuri colloqui di pace».
Nei giorni scorsi, il Comitato di
lavoro
per
la
pacificazione
dell’Unione si è nuovamente incontrato con il Comitato di coordinamento nazionale per il cessate il fuo-
co (Ncct, che raccoglie sedici gruppi
etnici) ed entrambe le parti sono state in grado di appianare le differenze sul contenuto di un testo unico
per un accordo nazionale di cessate
il fuoco.
I colloqui di pace sono iniziati a
metà del 2013, ma ben presto sono
stati interrotti a causa di profonde
divergenze. Da allora, combattimenti
sempre più intensi si sono verificati
tra le forze governative e i gruppi armati kachin e palaung.
A metà febbraio, un conflitto su
vasta scala è scoppiato nel nord dello Stato di Shan tra l’esercito e il
gruppo armato kokang, minoranza
di etnia cinese. Gli scontri hanno
causato decine di morti e la fuga di
migliaia di civili nella vicina regione
cinese. Il gruppo kokang aderisce
all’Ncct, ma il Governo finora si è
rifiutato di riconoscerlo come soggetto autonomo. Allo stesso tempo,
il gruppo armato di liberazione nazionale Ta’ang, attivo sempre nello
Stato di Shan, si è rifiutato di firmare l’intesa. Nel tentativo di fermare
la rivolta kokang, alcuni giorni fa
aerei da combattimento di Naypyidaw avrebbero bombardato il territorio cinese, provocando la dura reazione di Pechino.
L’aviazione del Myanmar ha negato che propri aerei possano avere
colpito il territorio cinese, lasciando
intendere che potrebbero essere stati
i kokang ad avere creato l’incidente
per provocare l’intervento di Pechino. Cina e Myanmar condividono
circa duemila chilometri di confine e
in Cina ci sono già trentamila profughi kokang che fuggono dalle violenze. Il Governo di Naypyidaw è
stato sempre protetto da Pechino di
fronte al boicottaggio internazionale,
ma negli ultimi anni le aperture democratiche del presidente Sein hanno avvicinato il Paese all’O ccidente.
Già avviato lo sgombero delle zone più a rischio
Allerta per un tifone nelle Filippine nordorientali
MANILA, 4. Allarme nelle Filippine per l’arrivo del tifone Maysak.
Le autorità hanno esteso lo stato
di emergenza a ventiquattro province del Paese. Le prime a essere
colpite, domani, dal tifone saranno le province nordorientali di
Aurora e di Isabela.
Per quanto abbia ridotto la sua
forza, il tifone è ancora molto pericoloso, con raffiche di vento fino
a centosessanta chilometri l’ora.
Sono previste anche piogge intense e onde alte più di due metri.
Le autorità locali hanno già avviato lo sgombero delle zone più a
rischio, mentre la popolazione è
stata avvertita della possibilità di
frane e inondazioni. Le Filippine
sono colpite, in media, da una
ventina di tifoni l’anno. Maysak è
il terzo del 2015, ma il primo da
decenni a colpire il Paese asiatico
nel periodo pasquale.
Prima di abbattersi sulle Filippine,
il tifone Maysak ha colpito alcune
isole della Micronesia, uccidendo nove persone. Pesanti anche i costi economici in questo gruppo di seicento
isole del Pacifico, dove piantagioni e
coltivazioni sono state azzerate, le
fonti d’acqua sono in buona parte
contaminate: case, scuole ed edifici
pubblici sono stati dichiarati inagibili
dopo il passaggio del tifone.
Con un messaggio inviato dalla
capitale,
Pohnpei,
la
missione
dell’Organizzazione
internazionale
delle migrazioni (Oim) ha indicato
quale principale priorità quella di garantire acqua potabile alle comunità
più isolate.
Il personale dell’Oim — dicono
fonti di stampa — era già presente
nell’area per garantire assistenza dopo il passaggio del tifone Pam, che a
metà marzo ha colpito il vicino arcipelago delle Vanuatu.
Blitz dell’esercito
pakistano
nel Baluchistan
ISLAMABAD, 4. Sei militanti fondamentalisti sono stati uccisi nel Baluchistan, nel sud-ovest del Pakistan, durante un blitz per la liberazione di alcuni ostaggi. Lo riferisce oggi «The Express Tribune»
citando un portavoce della forza
paramilitare Frontier Corps (Fc).
Tra le vittime ci sono anche due
attentatori suicidi che si sono fatti
esplodere quando sono stati circondati dalle forze di sicurezza.
Lo scoppio ha ferito due militari.
Oltre 400 uomini della forza paramilitare sono stati impegnati in
una retata a Sanjawi per liberare 9
funzionari governativi sequestrati
la scorsa settimana.
E, intanto, l’esercito pakistano
sta portando avanti — tra le montagne al confine con l’Afghanistan
— una battaglia decisiva per riprendere una delle roccaforti dei
talebani locali: la valle di Tirah,
rifugio di centinaia di insorti e ritenuta impenetrabile.
Nel frattempo, almeno sette
persone appartenenti alla stessa
famiglia sono state uccise ieri
dall’esplosione di una bomba collocata dai talebani nella provincia
di Logar, nell’Afghanistan orientale. L’incidente è avvenuto nel distretto di Barakibarak. I familiari
stavano tornando da un mercato
locale dove si erano recati per fare
degli acquisti quando il veicolo su
cui viaggiavano ha urtato un ordigno sulla strada.
Proteste
degli operai
in Vietnam
HÀ NÔI, 4. Decine di migliaia di
lavoratori vietnamiti sono in sciopero da sette giorni presso una delle
maggiori fabbriche di calzature e
abbigliamento per marchi internazionali nel Paese. I motivi della
protesta riguardano un provvedimento che rimanderebbe al momento della pensione l’erogazione
del trattamento di fine rapporto anche in caso di licenziamento o di
dimissioni.
Nello sciopero sono coinvolti tutti gli stabilimenti di Pou Yuen, che
impiegano circa ottantamila lavoratori e sono controllati dalla cinese
Yue Yuen Industrial Holdings Ltd,
a sua volta posseduta dalla Pou
Chen Corp di Taiwan. La nuova
legge sulla previdenza dovrebbe entrare in vigore nel gennaio del prossimo anno.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 5 aprile 2015
La croce di Odisseo
L’ultimo ritorno
di MARCO BECK
Giunse infine l’anima del tebano Tiresia, (...) mi riconobbe e mi disse:
«(...) Un dolce ritorno tu cerchi, glorioso Odisseo; amaro invece te lo farà
un dio. (...) Ma quando, nella tua casa, avrai ucciso i Pretendenti, (...)
prendi allora l’agile remo e rimettiti in viaggio: va’, fino a che giungerai
presso genti che non conoscono il mare, che non mangiano cibi conditi
col sale, che non conoscono navi dalle prore dipinte di rosso, né gli agili
remi che sono ali alle navi. Ti indicherò un chiaro segno perché non ti
possa sbagliare: quando un altro viandante, incontrandoti, ti dirà che sulla
nobile spalla porti un ventilabro, pianta allora in terra il tuo agile remo,
offri al dio Poseidone sacrifici perfetti (...) e fa’ ritorno a casa (...). La
morte verrà per te lontano dal mare, ti coglierà dolcemente in una vecchiaia serena. Avrai intorno a te un popolo ricco e felice. Questa è la verità che ti dico» (Omero, Odissea XI 90-137, traduzione di Maria Grazia
Ciani).
Stampa internazionale ed eccidio dei cristiani
I più
perseguitati
n Te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati,
decapitati e crocifissi per
la loro fede in Te, sotto i
nostri occhi o spesso con il nostro silenzio
complice». Le parole pronunciate dal Papa nella tarda serata del 3 aprile, venerdì
santo, al termine della Via Crucis al Colosseo, sono state riprese dai giornali di
tutto il mondo, che dedicano ampio spazio alla tragedia dei cristiani perseguitati.
In Italia il «Corriere della Sera» riserva
all’eccidio di studenti in Kenya e alle parole di Francesco il titolo di apertura della
Josef Neškudla e bottega di Jablonné nad Orlicí, «Gesù cade sotto il peso della croce»
prima e sei pagine interne, offrendo una
mappa degli attacchi e delle violenze contro i cristiani. «Ogni mese 322 vittime.
Cristiani più perseguitati in un mondo intollerante», titola il quotidiano milanese,
sottolineando, a commento di una mappa
sul grado di violazione della libertà religiosa, come si tratti «di uno stillicidio che
si consuma ogni giorno». Tra i commenti,
quello dello scrittore Paolo Giordano
prende spunto da una foto scattata dalla
polizia. Essa ritrae decine di corpi senza
vita ammassati in uno degli edifici del
campus di Garissa. «Se azzeriamo per un
istante la distanza dal Kenya, se proviamo
a riguardare l’immagine
e sostituire alla pelle
scura dei volti schiacciati una carnagione
chiara, ci riconosceremo», scrive Giordano.
«La Stampa» di Torino pubblica un eloquente «Bollettino della guerra ai cristiani»,
riprendendo il rapporto
del World Watch Monitor, in base al quale
ogni giorno dieci persone vengono uccise a
causa della loro fede,
soprattutto in Africa e,
in modo particolare, in
Kenya.
Da parte sua «la Repubblica» offre un reportage dell’inviato Pietro del Re con interviste ad alcuni dei superDalla terza pagina del «Corriere della Sera» del 4 aprile
stiti di Garissa, uno dei
«I
quali racconta di essere stato risparmiato
perché conosceva alcuni versi del Corano.
«È in questo modo che i jihadisti ci hanno separato: chiedendoci di recitare almeno un brano del loro testo sacro. Se eri in
grado di farlo venivi salvato perché musulmano, altrimenti, se facevi scena muta,
eri freddato perché cristiano».
La stampa francese dedica da mesi
grande attenzione alle persecuzione subite
dai cristiani, e non fa eccezione la recente
strage in Kenya. Su «Le Monde» un articolo in prima pagina, firmato da Christophe Châtelot, analizza i motivi profondi
dell’attentato e delle violenze: paradossalmente, non è la povertà diffusa, ma lo sviluppo economico delle comunità cristiane
della regione ad attirare l’odio. Il quotidiano «La Croix» — che da tempo, come
peraltro «Le Figaro», denuncia la silenziosa strage dei cristiani — parla diffusamente dei tragici fatti kenyani, e dedica
ampio spazio alle parole del Papa durante
la Via crucis al Colosseo.
Ieri, durante la celebrazione nella basilica vaticana della Passione del Signore, il
predicatore della Casa Pontificia, padre
Raniero Cantalamessa, ricordando un editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul «Corriere della Sera» del 24
luglio 2014, ha detto: «C’è stato qualcuno
che ha avuto il coraggio di denunciare, da
laico, la inquietante indifferenza delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica
di fronte a tutto ciò, ricordando a che cosa una tale indifferenza ha portato nel
passato. Rischiamo di essere tutti, istituzioni e persone del mondo occidentale,
dei Pilato che si lavano le mani».
Ricordo di Manoel De Oliveira scomparso a 106 anni
Prodigi della staticità
di EMILIO RANZATO
Quello di vivere fino a 106 anni,
ma soprattutto di girare film praticamente fino alla fine, è stato il
più bel regalo che Manoel De Oliveira — nato nel 1908 a Porto, dove
si è anche spento lo scorso 2 aprile
— poteva fare al cinema contemporaneo, così povero di veri autori. E
proprio il deserto di creatività che
ha ultimamente circondato questo
grande vecchio del cinema lo ha
portato forse a essere alla lunga un
po’ sopravvalutato, magari da quegli stessi critici che trent’anni prima abbandonavano la sala di fronte a uno dei suoi tour de force senza facili soluzioni.
Eppure nel caso del regista portoghese non conta tanto la qualità
dei film, quanto la filosofia che li
sottende. Quel modo di accostarsi
al grande schermo con un atteggiamento unico e già di per sé disorientante.
Molti suoi detrattori, soprattutto
in passato, hanno per esempio parlato di teatro filmato, per la staticità del suo linguaggio cinematografico e per l’apparente predominanza della parola sull’immagine.
C’era da chiedersi però in tal caso
perché il regista avesse allora scelto
il cinema e non più semplicemente
il teatro. E la risposta è che ovviamente sul palcoscenico proprio
quella staticità non avrebbe avuto
lo stesso effetto.
De Oliveira si è quindi servito
di alcuni mezzi espressivi del teatro per decostruire quelli del cine-
Il regista portoghese
ma. Intravedendo con molta lucidità in questo atteggiamento il modo più diretto ed efficace per
esprimere la propria poetica, che è
quella dello sfuggente — ma non
per questo inesistente — senso della vita, della misteriosa complessità
del reale.
Allora più che di film migliori,
ha senso parlare di film più rappresentativi. Come I misteri del
convento (1995), storia di uno studioso che assieme alla moglie visita
la biblioteca di un convento per
cercare conferme alla sua ipotesi
secondo cui Shakespeare era in
realtà un ebreo spagnolo, ma il
soggiorno metterà in dubbio la solidità della coppia.
Partendo da un soggetto volutamente strampalato, in poche stanze
e poche azioni vengono coinvolti
tutti i piani dell’esistenza umana:
l’amore, la storia, la cultura. E De
Oliveira sembra prima volerli sprofondare in una mancanza di senso,
dovuta al loro essere imperscrutabili e continuamente sfuggenti all’uomo. Poi però ne sottolinea le
misteriose interconnessioni, fino a
farne delle forze metafisiche. E finendo dunque per esaltarli, a dispetto del distacco beffardo nel tono del racconto.
I misteri del convento è anche il
film che dimostra come nel suo cinema elementi trasgressivi e anche
anticlericali, se non antireligiosi,
vengano sublimati in una visione
alta dell’esistenza, e pregna di quel
senso di mistero che ha al contrario molto di religioso. Perché a farne davvero la spese è sempre la ragione, non ciò che vi si nasconde.
Francisca (1981) è invece l’esempio tipico dei suoi melodrammi:
statico, fluviale, elegante fino
all’astrattismo. Eppure, anche stavolta, lo sguardo non è affatto
quello dell’entomologo, piuttosto
quello attonito di chi si cala nelle
passioni che attraversano il racconto al punto da raggiungere un senso di paralisi. E qui ben si coglie
anche il significato del suo fare cinema: la mancanza di montaggio
Nel caso del regista portoghese
più che la qualità dei film
conta la filosofia che li sottende
Quell’accostarsi allo schermo
in modo unico e disorientante
all’interno delle scene è una precisa
scelta di montaggio, radicale e coraggiosa ma soprattutto efficace,
che meglio di quanto farebbe qualsiasi opera teatrale esprime tutto
questo.
E lo stile particolarissimo lo
mette anche ovviamente al riparo
dall’invecchiamento. Difficile scorgere una mano senile nei suoi film
più recenti, se li si confronta con i
precedenti. E allora con Ritorno a
casa (2001), Un film parlato (2003),
Singolarità di una ragazza bionda
(2009), oltre a trovare finalmente il
favore unanime della critica — suffragato da premi alla carriera a
Cannes e Venezia — continua a
mantenersi fedele alla sua visione
del mondo. Con una coerenza e
una tenacia che probabilmente
vanno oltre i suoi meriti strettamente cinematografici.
o visto che scendevi
dalla snella nave, al
porto, senza il sacro
remo con il quale eri partito. Sei
riuscito, dunque, a conficcarlo al
suolo in qualche terra forestiera?»
gli chiese trepidante la sua sposa,
un velo d’incertezza inquieta steso
sopra gli occhi di color del fiordaliso. Si limitò, con un cenno del capo ormai quasi del tutto incanutito,
l’eroe navigatore ad annuire. «E ciò
significa» Penelope riprese a interrogarlo, un sorriso esitante sulle
labbra di color del croco, «che oggi
sei tornato per non più salpare?». E
con le braccia affusolate di color
del giglio le spalle avvolse del suo
uomo, ancora muscolose, e fremendo di passione se lo strinse al seno.
Con la stessa intensità con cui,
giovane sposo, l’aveva contemplata
nel concedersi all’amore, Odisseo la
fissò. Rivide concentrate sul suo viso le fattezze di Circe, di Calipso,
di Nausicaa, di tutte le umane o sovrumane donne delle quali s’era,
navigando interminabilmente, innamorato, senza mai nessuna amare
quanto aveva amato, quanto ancora
adesso amava lei, la sua regina.
Saggia e nobile e matura come prima la recuperava, e insieme la trovava fresca e vitale e giovanile, come sarebbe potuta a quell’epoca
apparire la figlia così desiderata
che non aveva fatto in tempo,
prima che gli Achei dirigessero
la flotta verso Troia, a seminare in grembo alla sua sposa, donando al piccolo Telemaco, in sua assenza, una sorella.
«È il mio ultimo ritorno»
garantì l’eterno viaggiatore.
«Accanto a te io rimarrò sino
alla morte. Se questa, almeno, è volontà di Poseidone, o
piuttosto di quell’eccezionale
personaggio che m’indusse a
piantare in terra l’agile remo
della profezia». «Il viandante, intendi?». Di bruciante
aspettativa s’accese lo sguardo di color acquamarina della donna. «Sì, proprio il viandante
misterioso che Tiresia mi vaticinò
quando, scavata una profonda fossa, dall’abisso dell’Ade lo evocai
perché mi rivelasse il mio destino,
la conclusione del mio peregrinare».
Un’ombra attraversò quel maschio volto modellato dai venti di
tempesta e dagli spruzzi. Apparve a
un tratto in preda a un intenso turbamento. «In realtà non udii il
viandante pronunciare — seguitò —
testuali le parole tanto attese, le parole decisive che l’anima del vecchio di Tebe, l’indovino cieco,
m’aveva infisso in fondo alla memoria e al cuore. Nel venirmi incontro in cima a un colle desolato,
al centro d’una terra da popoli abitata che né l’uso conoscevano del
sale né le navi dalle rosse prore,
disse: “Quello che potrebbe sembrare un ventilabro e invece è un
remo, deponi, straniero, dalla spalla
e dallo a me”. S’ergeva in controluce, non riuscivo a vederne chiaramente i lineamenti. Ebbi comunque
l’impressione che fosse un uomo
giovane, prestante. Per un attimo
pensai (sperai? temetti?) d’aver di
fronte un dio disceso dall’Olimpo
con sembianze umane. Ma ciò che
più mi sbalordì fu che anch’egli
portava sulla schiena un legno simile a un remo, ed era invece... Cosa
fosse, trasalendo lo compresi quando al mio remo lo congiunse di traverso, ne formò una croce con due
assi perpendicolari, e poi mi chiese
di spingerne la base a fondo nel
terreno: sinistro monumento, immagine tremenda, tenebrosa. E tenebre
improvvise calarono in effetti su di
noi, sul colle arcigno, sull’intero
paesaggio circostante. E intravidi in
quell’oscurità un corpo umano ap-
«H
peso, braccia spalancate e piedi sovrapposti e capo chino, ai legni che
il viandante aveva poco prima, incrociandoli, saldato in modo che ne
scaturisse quell’imprevedibile, infamante patibolo mortale. Intorno mi
guardai: ed ecco che il viandante
era scomparso. E di colpo mi resi
allora conto ch’era lui l’uomo inchiodato alla croce, agonizzante. E
mentre assistevo al suo martirio, ebbi un’intuizione: non c’era più bisogno di offrire ecatombi d’animali,
carni dilaniate e sangue ruscellante,
a Poseidone o ad altri dèi, essendo
quello il solo perfetto sacrificio che
tutti i precedenti olocausti annullava e superava. Un grido l’aria lacerò, più forte ancora dell’urlo del ciclope Polifemo. Violentemente la
terra sussultò. Poi persi conoscenza,
caddi in una notte fonda».
«Quando mi svegliai (quanto
tempo dopo, non lo so: un giorno
intero? o forse due, tre giorni?), lo
rividi, il viandante misterioso, il misterioso uomo crocifisso, nella luce
Bassorilievo con Ulisse e Penelope
(III-II secolo prima dell’era cristiana)
di un’alba inconcepibilmente dolce,
in mezzo a un giardino profumato
di silenzio e pace. Era d’un candore
abbacinante la sua lunga tunica e il
suo volto più del sole, che stava in
quel momento sorgendo (o risorgendo) all’orizzonte, sfolgorava. “E
adesso”, prima che di nuovo scomparisse mormorò con voce molto
più che solamente umana, “riparti,
Odisseo, riattraversa l’invisibile
confine che ti è stato donato di varcare. Fai ritorno, e sia l’ultima volta, alla tua Itaca. E godi la vita,
d’ora innanzi, con la sposa che ami
per tutti i giorni che mio Padre ancora ti concede sotto il sole. Sappi
che ciò che hai visto uscendo dal
tuo mito è destinato ad avverarsi
nella storia dell’umanità, perché la
sua salvezza giunga a compimento”. “Dimmi il tuo nome” avrei voluto supplicarlo. Ma s’era dileguato. Ogni cosa taceva, tranne il vento... Quanto alle vicende più o meno avventurose di questo mio ultimo ritorno, te le narrerò domani.
Scende la notte. Il talamo nuziale
attende i nostri corpi».
«Di tutti i tuoi racconti, veritieri,
verosimili o fittizi, è questo, Odisseo, certo il più incredibile; ed anche il più avvincente. Solo ti chiedo
— Penelope concluse — se tu credi
che potremo mai lasciare la perenne
fissità del mito per entrare nel mutevole mondo della storia e le nostre vite, uomini tra uomini, nel
tempo terminare. O forse poi, oltre
la morte, uniti, tu e io, ancora».
«Non a me — lo sposo per sempre
ritrovato le rispose — ma a un altro
lo dovresti domandare: a colui che,
là dove il mio remo è diventato la
sua croce, m’è apparso come un
viandante e un essere divino, come
Uomo e Dio».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 aprile 2015
pagina 5
Il dialogo tra Gesù e Maria Maddalena davanti al sepolcro vuoto
Come nel giardino
del Cantico dei cantici
di MARIDA NICOLACI
ome prima «stava» insieme alle altre donne e al discepolo
amato presso la croce di Gesù
così ora «sta» davanti al sepolcro. La sua presenza insaziata, tenace, nel luogo della morte e della
sepoltura ricorda anche lo «stare» del testimone Giovanni dal quale prende avvio
la storia discepolare (cfr. 1, 35). Il suo «stare», dunque, definisce un arco tra inizio e
fine del discepolato storico di Gesù e, al
contempo, inaugura l’inizio della testimonianza pasquale del Risorto. Prima dell’in-
C
Quattro bibliste
Pubblichiamo uno stralcio del
commento a Giovanni pubblicato
nel libro I Vangeli tradotti
e commentati da quattro bibliste
(Roma, Àncora Editrice, 2015, pagine
1900, euro 46,75).
contro con il Risorto, però, lo stare di Maria è caratterizzato da un lutto senza consolazione.
Il verbo «piangere», che ricorre tre volte, è l’azione che maggiormente identifica
la Maddalena; evoca il pianto di Maria di
Betania e dei Giudei per la morte di Lazzaro (11, 31-33) ma anche il pianto dei discepoli annunziato da Gesù nell’ora delle
doglie (cfr. 16, 20). Col suo pianto la Maddalena esprime tutto il peso dell’assenza
del Signore e della separazione determinata dalla sua morte che, solo dopo, sarà riconosciuta come preludio di una vita ulteriore, sovrabbondante, non «toglibile» (cfr.
16, 22). Il suo piangere, tuttavia, si accompagna al medesimo gesto compiuto dal discepolo amato: chinarsi per guardare dentro (cfr. versetto 5).
Il racconto giovanneo richiama, a questo
punto, la tradizione sulla visione angelica
avuta dalle donne (cfr. Matteo, 2-7; Marco,
5-7; Luca, 4-7.23), ma attribuisce a essa
tutt’altra funzione. Dalla bocca degli angeli in bianche vesti, infatti, non viene alcun
annunzio pasquale. Il dialogo con loro serve perché la Maddalena espliciti nuovamente, stavolta in prima persona singolare,
il profondo smarrimento per la perdita del
«suo Signore» che essa cerca cadavere
(«Donna, perché piangi?»). Con la loro
presenza, d’altronde, essi esprimono già
l’irruzione della vita divina nel luogo della
morte. La loro posizione fisica, che evoca
quella dei cherubini l’uno di fronte all’altro
ai lati del propiziatorio dell’arca dell’alleanza (cfr. Esodo, 25, 17-22; ,6-9; Numeri,
7, 89; I Re 8, 6s), richiama al lettore la verità sul «corpo» di Gesù, «santuario» della
presenza di Dio, e il segno promesso del
suo rialzamento (cfr. 2, 18-22).
Nemmeno la parola degli angeli, però,
determina alcun cambiamento della situazione. L’azione trasformatrice è riservata al
propria identità («Sono io») e consegnanSignore stesso. I versi sono aperti e chiusi
dosi liberamente in vista della morte (cfr.
dalla ricorrenza del verbo «volgersi». Giovanni, 18, 1-11), alla ricerca della disceAll’inizio Maria volge il suo sguardo all’in- pola nel giardino della sepoltura Gesù ridietro, cioè fuori dal sepolcro dove esso sponde chiamandola per nome («Maria!»),
era fissato nel desiderio del corpo-cadave- dicendo cioè la sua identità così come egli
re, e vede Gesù presente pur senza ricono- la conosce. La risposta di riconoscimento
scerlo (versetto 14); alla fine, lo volge nuo- della discepola, udita la voce del Maestro,
vamente a Gesù in risposta al suo richiamo a questo punto non si fa più attendere ed
personale riconosciuto e inequivocabile è ben espressa dall’appellativo aramaico
(versetto 16). Il riconoscimento, infatti, av- con cui si rivolge con intimità a Gesù (rabviene attraverso il dialogo con lui in un bunì, versetto 16). Il suo incontro con il Riduplice scambio di battute.
sorto, fatto di reciproco riconoscimento, riNel primo (versetto 15) Gesù ripete la chiama l’incontro di Gesù con Natanaele,
domanda degli angeli ma la amplifica in- ultimo dei primi cinque discepoli (cfr. 1,
terrogando la donna anche sul termine 47-49). La risurrezione, dunque, non è anpersonale della ricerca che il suo pianto nunciata formalmente («È risorto», cfr.
esprime («Chi cerchi?»). La domanda di Matteo, 28, 6; Marco, 16, 6; Luca, 24, 6) ma
Gesù richiama quella con cui egli aveva esperita come inveramento pieno, oltre la
esplicitato e accolto l’intenzione di sequela morte, della relazione personale e della codei primi discepoli (cfr. 1, 38: «Che cosa noscenza reciproca storicamente vissuta col
cercate?»).
Maestro.
Il contesto scenico, quello del «giardiLa parola che Gesù rivolge a Maria dono» in cui il sepolcro si trova, permette po essersi fatto riconoscere presuppone un
l’equivoco della Maddalena che scambia
Gesù per il «giardiniere» e chiede a lui conto del suo stesso corpo («Se lo hai portato
via tu»)! L’ironia nascosta nel fraintendimento
si
colora
di ANNA ACHMATOVA
dell’allusione al Canti-
La crocifissione
co che paragona l’amata a un giardino (4,
12-5, 1; 6, 1-2) e la ritrae alla ricerca dell’amato (3, 1-4; 5, 6-8),
per due volte invitata
a voltarsi (7, 1).
A differenza della
ricerca che si svolge
nel «giardino» dell’arresto alla quale Gesù
risponde dicendo la
Non piangere per Me, Madre, vedendomi nella tomba
1.
Salutò l’ora suprema un coro d’angeli
e i cieli si dissolsero nel fuoco
Disse al Padre: «Perché Mi hai abbandonato?»
E alla Madre: «Oh, non piangere per Me»
2.
Si straziava e singhiozzava Maddalena
il discepolo amato era impietrito
Ma là dove muta stava la Madre
nessuno osò neppure guardare
gesto che il testo non descrive («Non continuare a tenermi», versetto 17a) e risponde
alla mancata conoscenza del «dove» di
Gesù («Salgo al Padre mio», versetto 17b)
che determinava l’angoscia della donna.
Il gesto presupposto, che implica la soluzione del problema della scomparsa del
corpo di Gesù dal punto di vista della trama di azione, è il contatto fisico di Maria
con il corpo del Maestro (cfr. Cantico, 3,
4). Benché sperimentato come segno della
verità della risurrezione, questo contatto
però non può essere prolungato ulteriormente. La glorificazione-innalzamento di
Gesù, cioè il suo «passaggio» pasquale dal
mondo al Padre (cfr. 13, 1) come vittoria
piena sulla morte, sul mondo e sul suo
«principe» (cfr. 12, 31-33; 16, 33), comprende necessariamente la fine delle modalità
storiche del suo incontro e contatto con «i
suoi». Non è attraverso distinte e interminabili apparizioni individuali che egli sarà
presente e riconoscibile come vivente, bensì nel potere — espresso nel dono dello
Spirito (cfr. 7, 39; 16, 7; 20, 21-23) — di associarli pienamente a sé e al proprio rapporto col Padre in una relazione di reciproca immanenza consentita dall’amore
per lui e per i fratelli e dalla custodia fattiva della sua parola (cfr. 6, 56s; 13, 34s; 14,
15-26; 15, 9-17).
La metafora spaziale del «salire al» Padre, dal quale Gesù viene e al quale deve
tornare, esprime ora più chiaramente l’alterità divina e permette di comprendere il fine e significato ultimo della relazione discepolare stabilita storicamente con Gesù:
originata da e nel rapporto con Dio Padre
(cfr. 6, 45) termina essenzialmente in lui.
La relazione col Padre, la destinazione a
lui, è il «dove» di Gesù Figlio (cfr. 14, 10s;
16, 28) e nel suo movimento compiuto, incessante e perfetto, verso il Padre (cfr. 1,
18) sarà anche il «dove» dei discepoli (cfr.
12, 26; 14, 3s; 17, 24), diventati a loro volta
figli di Dio, partecipi come singoli e come
La Risurrezione secondo Matthias Grünewald
di BO GDAN TATARU-CAZABAN*
I Vangeli sono tutti di una sconvolgente discrezione: annunciano la Risurrezione senza descriverla; ne proclamano la realtà senza dire come
Cristo è risorto dai morti. Essi preservano così il cuore del mistero e
scelgono di comunicarlo attraverso
le apparizioni di Cristo che, dopo la
Risurrezione, è in un’altra condizione — può essere presente senza essere riconosciuto, può attraversare le
porte sbarrate — e si rivela rivolgendosi ai suoi, come fa con Maria
di Magdala, quando la chiama per
nome, o attraverso le parole che accendono in quelli che ascoltano il
fuoco della fede. Cristo risorto si comunica già attraverso una sottigliezza della parola in grado di farci vedere con gli occhi dello spirito e del
cuore.
È lo stesso e tuttavia è diverso,
portatore di un’alterità che non
altera l’identità della persona, ma la
colloca in una realtà in cui il corpo
non veste lo spirito, ma lo svela; non
è contro lo spirito, ma ne è proprio
l’espressione e manifesta il volto
interiore. Il mondo che Cristo rende
presente attraverso la sua Risurrezione è il mondo della trasparenza, della piena coincidenza del corpo con
lo spirito, della loro unità trasfigurata attraverso la vittoria sulla morte.
Ciò che i Vangeli non dicono non è
rimasto,
tuttavia,
nella
zona
dell’ineffabile e dell’invisibile, non
era possibile. La storia del cristianesimo è anche una storia delle forme
che riflettono significati che attribuiamo alla Risurrezione.
In questa prospettiva, tra i maestri
Hans Holbein il Giovane, «Noli me tangere» (1524, particolare)
Trafitto il velo della notte
dell’arte occidentale, Matthias Grünewald (1480-1528) trasmette in modo diverso il mistero della Risurrezione, con un’intensità e una profondità teologale mai raggiunte prima
di lui. Sull’altare di Isenheim la sua
singolarità artistica si manifesta pienamente nella rappresentazione del
Cristo risorto che non vediamo uscire vittorioso dal sepolcro mentre solleva il vessillo crociato come, per esempio, in Piero della
Francesca o in tanti
altri. Sebbene la parte inferiore della tavola conservi la scena
tradizionale
delle
guardie del sepolcro,
sorprese dal sonno e
terrorizzate da ciò
che accade, Grünewald dipinge un Cristo trasfigurato che
infilza il “velo” della
notte cosmica del silenzio e dell’attesa. Il
suo corpo diffonde la
luce interiore della
natura divina; è, di
fatto, una concentrazione di luce, un «riflesso della divinità»,
come diceva Gregorio Nazianzeno, che
si fa visibile attraverso una creatura trasparente, di una mitezza infinita, la cui
vittoria ha il volto
eterno dell’amore.
Matthias Grünewald, «Risurrezione» (1512-1516)
Il potere di Cristo
risorto è, nella visione di Grünewald, l’espressione del suo amore
che si mostra ai nostri occhi attraverso la manifestazione riconciliata — sotto la forma di una croce che
comprende tutto l’universo — dei segni della sofferenza divenuti sorgente di luce. La porpora del sudario,
che lo accompagna nel suo fluttuare
immateriale, si trasforma nella luce
dorata della gloria che travolge il
suo corpo e lo trasfigura. La porpora del sacrificio con il quale attraversa i cieli è assorbita dalla luce della
gloria increata. Comunicando tra loro nella persona del Cristo, il creato
e il non-creato svelano nella Risurrezione il cuore della loro relazione
misteriosa.
Sorprende come questo maestro
dell’arte occidentale riesca a trasmettere i sensi più sottili della teologia
orientale sul corpo di Cristo. In
Oriente, si sa, l’icona della Risurrezione mostra il Cristo disceso agli
inferi, mentre ne frantuma le porte e
attira a sé, attraverso Adamo ed Eva,
quelli che aspettano la redenzione.
L’Oriente non immagina la Risurrezione come un trionfo singolare nella persona di Cristo, ma proprio in
quest’atto trionfale sulla morte la Risurrezione viene intesa come una discesa per gli altri, un atto di umiltà
che Cristo assume nell’Incarnazione.
Perché soltanto attraverso questo
svuotamento di sé, nel nascondimento della sua divinità, il Cristo-uomo
popolo della nuova alleanza compiuta nel
Cristo davidico (cfr. II Samuele 7, 14;89, 27;
Osea, 2, 25; Geremia, 31, 33; Giovanni, 1, 12s;
1 Giovanni, 3, 1-2; Apocalisse, 21,7).
Alla fine del racconto, dunque, il corpo
di Gesù è recuperato e il suo «dove» è
svelato perché ne sia manifestato il significato relazionale ai discepoli-fratelli e al Padre. Nella «ascensione» al Padre, che definisce metaforicamente la sua nuova condizione di esistenza in quanto innalzato-glorificato, non è rivelato solo il compimento
Il «non continuare a tenermi»
non è la fine di una storia relazionale
Ma la condizione perché sia feconda
del destino di Gesù ma anche la vocazione
ultima dei credenti in lui, ormai definiti
«fratelli».
Ancora una volta, non è l’uso formale
della categoria di «risurrezione» che caratterizza il racconto pasquale di Giovanni,
bensì quella relazionale del movimento definitivo verso il Padre in atto di compiersi
e di esser partecipato ai discepoli anzitutto
mediante la parola che lo annunzia. Il
nuovo rapporto della Maddalena con il
corpo del «suo Signore» risorto starà tutto
dentro questa parola («Non continuare a
tenermi... Va’, invece, dai miei fratelli e di’
loro»): la parola della glorificazione, infatti, dovrà dirla Maria e risuonerà come parola-azione del Risorto proprio nella bocca
della discepola.
Il «non continuare a tenermi» non è la
fine di una storia relazionale ma la condizione perché essa, inverata e rinnovata nella sua struttura, sia feconda e si traduca in
missione di annunzio.
ria». La trasfigurazione del corpo,
dell’umanità unita alla divinità, è
l’espressione stessa della comunione
trinitaria: attraverso il suo corpo, dal
figlio sgorgano luce, santità e divinità, in quanto egli è in piena comunione con il Padre e con lo Spirito.
ha ingannato gli inferi. Pagine di
Non comprenderemmo lo shock
Gregorio di Nissa, per esempio, ri- dell’apparizione di Cristo risorto, se
flettono sull’«astuzia» divina dell’as- non lo rapportassimo all’Uomo dei
sunzione della natura umana e dolori che Grünewald ha dipinto per
dell’accettazione della morte, in virtù gli infermi accuditi dai membri
della quale il Figlio di Dio rende dell’Ordine di Sant’Antonio di Isepossibile l’incontro tra realtà che nheim. L’uomo che «non ha appanon potevano incontrarsi: «Per la renza né bellezza», profetizzato da
prossimità della morte alla vita, del Isaia (53,2), il corpo che si è fatto febuio alla luce, della corruzione rita, che strazia lo sguardo, si manifesta, dopo la Risurrezione,
come
bellezza soprannaSorprende
turale e sovrana. I
segni della flagellacome questo maestro dell’arte occidentale
zione e della deririesca a trasmettere
sione sono immersi
nella luce, e tuttavia
i sensi più sottili della teologia orientale
le ferite della Croce
sul corpo di Cristo
non spariscono dal
corpo di colui che è
risorto: sono le feriall’incorruttibile viene allontanato e te attraverso cui egli ha vinto e reannientato il male». La discesa agli dento il mondo, per cui la natura
inferi ha il senso di questa prossimi- umana è stata liberata e innalzata. Il
tà inimmaginabile che ha ribaltato la bizantino Cabasilas diceva che Crilogica del peccato e l’ordine della sto ha conservato «sul corpo la testimorte.
monianza del suo sacrificio, volendo
La tavola di Grünewald non ci di- mostrare che anche nella seconda vece niente della Risurrezione che co- nuta, nella luce accecante sarà, per i
mincia negli abissi della terra, tra cosuoi servi, lo stesso crocifisso e traloro che si trovano «nell’ombra della
morte», né però si allontana dal sen- fitto, le cui ferite hanno preso il poso della spiritualizzazione del corpo sto degli ornamenti regali».
di Cristo che irradia, secondo la visione del teologo ortodosso romeno *Ambasciatore di Romania presso
Dumitru Stăniloae, «potere e glo- la Santa Sede
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 5 aprile 2015
Dai musulmani
in Russia
una fatwa
contro l’Is
Piano della polizia di Delhi per proteggere scuole e istituzioni cattoliche
Una Pasqua sotto sorveglianza
DELHI, 4. È stata una settimana santa inevitabilmente condizionata dalle misure per la sicurezza, quella
vissuta dai cristiani in India. Presso
numerose chiese, ma anche presso
gli istituti scolastici gestiti da istituzioni religiose, la polizia ha predisposto presidi e pattugliamenti, nel
timore che nuovi attacchi possano
funestare le festività pasquali. Le
misure più estese riguardano Delhi,
dove il piano di protezione ha riguardato 259 fra chiese, scuole e
centri cattolici. La misura — ha
scritto il quotidiano «The Indian
Express» — si è resa necessaria dopo
che dal novembre scorso si sono ripetuti episodi di attacchi a edifici
cattolici, fra cui cinque chiese. Un
alto responsabile della polizia della
capitale indiana ha detto che «dopo
l’attacco dell’1 febbraio scorso
all’Auxilium School di Vasant Vihar
abbiamo realizzato un’ampia revisione dei piani di protezione, che
sono stati rafforzati per le 259 istituzioni identificate».
Nei giorni scorsi, la polizia di
Delhi ha anche attivato una pagina
facebook per raccogliere ed esaminare le denunce dei cittadini cristiani in materia di sicurezza e ordine
pubblico. Il provvedimento è stato
varato dopo l’escalation di attacchi
che si è verificata negli ultimi mesi.
Nella nuova pagina in rete, intitolata «Delhi Police Minority Brethren», la polizia scrive: «Fratelli e
sorelle cristiani, questa pagina è stata progettata dalla polizia per dare
al popolo cristiano a Delhi la possibilità di segnalare questioni relative
all’ordine pubblico, con particolare
riferimento alla sicurezza delle chie-
L’iniziativa di riformati e anglicani membri del Wcc
Misure eccezionali
contro la crisi climatica
GINEVRA, 4. Nuove, significative
iniziative in tema di giustizia ambientale sono state lanciate da
anglicani e riformati del World
Council of Churches (Wcc).
In Scozia, il sinodo della United Reformed Church ha stabilito recentmente di ritirare ogni investimento nel settore dei combustibili fossili e di non effettuarne altri in futuro. La decisione
dei riformati ha fatto seguito a
all’analoga dichiarazione «The
World is Our Host: A Call to
Urgent Action for Climate Justice», diffusa alla fine del mese
scorso alla Comunione anglicana,
che detta la strategia in materia
di difesa del clima e dell’ambiente per gli 85 milioni di suoi fedeli
sparsi nel mondo. In particolare,
la dichiarazione anglicana impegna i vescovi a intraprendere una
serie di iniziative concrete. Tra
queste, la riduzione dei consumi
energetici nei luoghi di culto,
l’utilizzo di energia rinnovabile;
l’applicazione di tecniche di coltivazione biodinamiche nei terreni della chiesa.
Ora, il gruppo formato da vescovi riformati e anglicani del
Wcc, provenienti da quei Paesi
che sono tra i principali responsabili del cambiamento climatico
e da Paesi che producono bassi
livelli di carbonio ma sono fortemente colpiti dall’emergenza climatica, ha deciso di intraprendere un’azione comune.
L’arcivescovo anglicano di Città del Capo e primate del Sud
Africa, Thabo Makgoba, ha spiegato che è necessario accettare il
fatto scientifico che «l’attività
umana, soprattutto le economie
basate sui combustibili fossili, è
la causa principale della crisi climatica. Il problema è spirituale
oltre che economico, scientifico e
politico. Siamo stati complici in
una teologia di dominio. Mentre
Dio ci ha affidato la cura del
creato, noi siamo stati incuranti.
Ma non senza speranza».
I vescovi anglicani infatti hanno elogiato le iniziative in corso
a difesa del clima, fra le quali i
digiuni e le preghiere da scolgere
ogni primo del mese, e hanno
evidenziato come siano le donne
a essere la maggioranza dei più
poveri del mondo e quindi le
persone colpite più duramente
dal cambiamento climatico. In
alcune aree del mondo, le donne,
ha spiegato il vescovo anglicano
di Swaziland, Ellinah Wamukoya, dipendono in maniera più
stretta dalle risorse naturali per la
loro sussistenza, «pertanto il loro
contributo è essenziale nelle decisioni che riguardano il cambiamento climatico.».
Il vescovo anglicano di Salisbury, Nicholas Holtam, ha accolto con favore l’invito ad affrontare ciò che viene definita
una «crisi climatica senza precedenti». In generale, secondo alcuni membri del gruppo del
Wcc, rilasciare questa dichiarazione durante la settimana santa,
sollecitando la risposta di tutte le
comunità ecclesiali su questo tema «è un segno della serietà con
la quale guardiamo alla crisi derivante dal cambiamento climatico».
Per quanto riguarda i riformati
scozzesi la risoluzione approvata
durante il loro sinodo avrà come
conseguenza la revisione dei propri accordi finanziari e l’analisi
degli investimenti al fine di verificare che questi non mettano in
pericolo l’ambiente. Secondo
John Humphreys, moderatore
del sinodo della United Reformed Church della Scozia, il sinodo «ha dimostrato un chiaro impegno a favore degli investimenti
etici attraverso un’azione positiva
contro i cambiamenti climatici».
Humphreys ha parlato anche del
ruolo che tutte le comunità ecclesiali possono svolgere nel dibattito sul cambiamento climatico.
«Speriamo e preghiamo — ha
concluso — che le altre Chiese si
sentano in grado di rispondere
eticamente alla crescente minaccia di questo catastrofico cambiamento».
se e delle istituzioni educative». Un
funzionario è stato incaricato di seguire, in particolare, i problemi delle comunità di minoranza.
Qualcosa, a favore della sicurezza
dei cristiani, sembra dunque muoversi, almeno a livello locale. Il mese scorso, il primo ministro Narendra Modi, dopo la lunga scia di
episodi di violenza, aveva detto che
il suo Governo non permetterà a
nessun gruppo religioso di «incitare
all’odio o di compiere violenza religiosa». Alcune ong tuttavia ritengono che, nonostante le rassicurazioni,
gli attacchi, a tutti i livelli, contro le
comunità cristiane continuino, dando l’impressione che «ai fondamentalisti venga dato il via libera. Sembra che ci sia un piano sinistro per
disturbare il tessuto laico e pluralista dello Stato».
Intanto, mentre l’arcivescovado di
Delhi ha mostrato nei giorni scorsi
di non lasciarsi intimidire dalle violenze, annunciando un fitto un piano di celebrazioni religiose nella
cattedrale del Sacro Cuore e nelle
altre chiese della capitale, proseguono le inchieste sugli attacchi terroristici avvenuti nel Paese. Altre quattro persone sono state arrestate in
relazione allo stupro dell’anziana religiosa avvenuto nel Bengala occidentale. La polizia ha precisato che
tutti e quattro gli uomini sono del
Bangladesh e che sono stati fermati
nello
Stato
settentrionale
del
Punjab.
Nella sofferenza
la speranza
dei nuovi
battezzati indiani
MUMBAI, 4. Sono molti gli adulti
che, nella diocesi di Vasai (nello
Stato indiano di Maharashtra), hanno chiesto di essere battezzati. Il rito sarà celebrato nella notte di Pasqua e rappresenta un segno di
grande speranza per una comunità
che sta soffrendo la persecuzione.
«Noi cristiani — ha spiegato ad
AsiaNews monsignor Felix Anthony
Machado, vescovo di Vasai e presidente dell’Ufficio per l’ecumenismo
e il dialogo interreligioso della
Federazione delle conferenze episcopali asiatiche — siamo fortunati, perché Cristo non solo ci ha insegnato
il significato della redenzione della
sofferenza, ma ce lo ha mostrato anche con l’esempio. È questo ciò che
noi stiamo celebrando. Infatti la
sofferenza va oltre la comprensione
umana. Ma la fede della Chiesa ci
fa scoprire di essere in unione con il
Signore e capire, in questo modo, il
senso della sua sofferenza».
La Chiesa «non attira né forza
nessuno alla fede — ha precisato in
vescovo — ed è perciò straordinario
che tanti adulti abbiano richiesto di
abbracciare il cristianesimo. Come
pastore è molto consolante vedere
tante persone in cerca di Dio, che
hanno avuto un incontro con Cristo
e sono venute liberamente a chiedere di essere battezzate. La preparazione al sacramento dell’iniziazione
cristiana dura per gli adulti circa un
anno, e queste persone sono affamate di conoscere la fede».
MOSCA, 4. Il Consiglio spirituale musulmano della Russia
ha emesso, martedì scorso, una
fatwa nella quale viene sottolineato che l’ideologia del cosiddetto Stato islamico (Is) è essenzialmente antireligiosa. «Gli
aderenti all’Is — si legge nella
dichiarazione — erroneamente
interpretano l’islam come una
religione rozza, di brutalità, di
tortura, di violenza, di uccisione di chiunque sia in disaccordo con loro. Questo è un grave
crimine contro l’islam e i musulmani di tutto il mondo»,
sottolinea la fatwa, rilasciata
dal consiglio degli ulema e
pubblicata sul sito in rete
dell’organismo islamico. Chi
sposa tali credenze, continua la
dichiarazione, merita l’isolamento: «Militarmente, jihad significa per i musulmani combattere coloro che combattono
contro di loro, ma non combattere coloro che non sono in
contrasto con loro, né significa
opprimere quelli che non li opprimono. L’islam proibisce l’uccisione di civili, detenuti, emissari (la fatwa sostiene che i
giornalisti possano essere considerati emissari) e di operatori
umanitari. Il Corano — prosegue il documento — prescrive
pene rigorose per gli atti violenti come bombardamenti,
omicidi, sequestro di ostaggi e
altri atti terroristici. Se persone
innocenti muoiono in un atto
terroristico, quest’ultimo diventa ancora più peccaminoso».
Inoltre, secondo i musulmani
russi, «l’islam vieta a qualsiasi
territorio di dichiararsi califfato
senza una shura o una consultazione con la comunità musulmana locale».
«Dichiarare un califfato senza shura — conclude il decreto
diffuso dai musulmani della
Russia — è una forma di fitna
(sedizione) perché lascia un
gran numero di musulmani che
sono in disaccordo con questo
califfato fuori da esso. Inoltre,
porterà alla nascita di una moltitudine di califfati rivali isolati,
e successivamente a disordini e
discordia tra i musulmani».
I salesiani unici sacerdoti presenti nello Yemen
Nel buio
una candela
SAN’A, 4. «Anche se già prima era
in corso una guerra civile, Aden
era un luogo sicuro, con la presenza stabile di numerose ambasciate, i loro servizi di sicurezza e
l’esercito. Ma ora è diverso. Attualmente non ci sono ambasciate
ad Aden e quei Paesi presenti con
forze di protezione o impegnate
nell’addestramento militare hanno
richiamato il proprio personale.
Anche molte grandi compagnie,
aziende e famiglie benestanti se
ne sono andate».
Dallo Yemen lacerato dal conflitto arriva la testimonianza dei
salesiani presenti (da ventotto anni) a San’a, la capitale, e ad Aden,
Taiz e Hodeida. La loro sicurezza
è seriamente minacciata e nei giorni scorsi non sono mancati momenti di grande paura, per il lancio di razzi, «spari e grida attorno
alla chiesa, il boato delle esplosioni e dei missili caduti a cinque,
dieci chilometri di distanza».
Abitualmente i religiosi si riuniscono una volta al mese, per avere
un momento di condivisione e
confronto e fare esperienza di comunità, anche per affrontare le
difficoltà dovute alla loro condizione di vita solitaria in un am-
biente totalmente non cristiano. I
cinque salesiani presenti — riferisce l’Ans, che ha pubblicato una
breve cronaca dei fatti accaduti
negli ultimi giorni — sono gli unici sacerdoti cattolici nello Yemen.
Si prendono cura delle tre chiese
riconosciute ad Aden e dei cattolici immigrati lì, provenienti in particolare da Filippine e India, molti
dei quali lavorano come infermieri. Inoltre i religiosi assicurano
l’assistenza spirituale alle Suore
della Carità (l’unica altra congregazione religiosa cattolica presente) impegnate in una serie di attività umanitarie negli ospedali, nei
centri per gli anziani, gli infermi e
i bambini bisognosi.
A San’a i salesiani offrono assistenza spirituale anche ai funzionari cattolici delle missioni diplomatiche di varie nazioni. I recenti
avvenimenti rendono la vita più
difficile che mai. La mancanza di
un potere centrale autorevole, la
divisione in fazioni dei militari e
di altri settori delle istituzioni, il
ritiro delle missioni diplomatiche
estere e anche il richiamo da parte
dell’India dei suoi circa quattromila cittadini, sono fonti di ulteriore incertezza.
I presuli filippini favorevoli alla regione autonoma
Per la pace a Mindanao
MANILA, 4. L’istituzione, in via definitiva, di una regione autonoma musulmana è essenziale per pacificare
le Filippine del Sud. È quanto, nella sostanza, sostiene la comunità cattolica locale in una fase cruciale per
la storia del Paese. È infatti all’esame del Congresso
l’approvazione di un disegno di legge che, ratificando
l’accordo siglato un anno fa, prevede l’istituzione della
regione del «Bangsamoro», nel quadro di una autonomia amministrativa per le popolazioni musulmane (oltre 5 milioni di cittadini) residenti a Mindanao. L’accordo è però in bilico dopo il clamore suscitato dalla
strage di Mamapasano, dove il 25 gennaio scorso 44
militari filippini sono stati uccisi da un attacco dei
guerriglieri. L’opinione pubblica è divisa e molti vorrebbero interrompere il processo di pace.
In questo scenario, il presidente Benigno Aquino III
ha invitato i cardinali Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, e Orlando B. Quevedo, arcivescovo
di Cotabato, nonché il presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, Socrates B. Villegas,
a prendere parte a uno speciale «Consiglio dei leader». Gli ecclesiastici saranno accanto a politici e giuristi per studiare la legge su Bangsamoro, proponendo
miglioramenti e modifiche.
Si tratta di un vertice che chiama a raccolta le energie migliori del Paese, nel tentativo di raggiungere il
sospirato obiettivo della pace. Il cardinale Tagle ha già
accettato, mentre il cardinale Quevedo, residente a
Mindanao, in una lettera aperta ai legislatori, ha affermato che la Chiesa vede nella nuova regione autonoma per i musulmani una «reale chance per la pace».
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 5 aprile 2015
pagina 7
Dopo il fallimento dei colloqui di pace in Sud Sudan si continua a morire
Un nuovo
grido di dolore
A lezione da madre Rosemary
Così in Uganda tornano a vivere
le ex bambine soldato
KAMPALA, 4. «Nel 2001, andai a
Gulu per rilanciare la scuola di sartoria per le ragazze del luogo. La
scuola di Santa Monica era in uno
stato di abbandono e in un complesso scolastico costruito per ospitare trecento studentesse ne erano
rimaste soltanto una trentina». Madre Rosemary Nyirumbe ricorda
così gli esordi della sua missione in
Uganda. Fu in quella occasione
che scoprì che parecchie ragazze
erano state rapite dai ribelli
dell’Lra, la milizia che per venticinque anni ha terrorizzato la popolazione dell’Uganda settentrionale,
saccheggiato villaggi, compiuto
stragi. E, appunto, rapito circa
30.000 bambini e bambine. Le
bambine subirono la stessa sorte
dei loro compagni maschi, addestrate a usare le armi e costrette a
compiere atrocità anche contro i loro famigliari. A ciò si aggiunse
l’atrocità della violenza sessuale.
La pace in Uganda è tornata nel
2007, ma per le ex bambine soldato è come se la guerra non fosse finita perché hanno subito traumi
che continuano a segnare la loro
vita e hanno bisogno di sostegno
nel lungo cammino di guarigione e
riconciliazione interiore. Madre
Rosemary ne è consapevole ed è
per questo che prosegue con determinazione i programmi di formazione umana e professionale presso
quella stessa scuola di Santa Monica, che oggi comprende anche corsi
di cucina etnica e catering. La religiosa ha anche lanciato un messaggio radiofonico invitando le ragazze scappate dai ribelli a frequentare
la scuola, per imparare un mestiere
e sostenersi economicamente.
Queste ragazze, spiega la religiosa all’agenzia Misna, hanno ancora
oggi un enorme bisogno di essere
ascoltate e di condividere con persone di fiducia quanto hanno patito, ma sono bloccate dalla paura.
«Un giorno — ricorda madre Rosemary — chiesi a una delle ragazze,
Jewel, perché non guardava mai in
faccia le persone. “Perché ho un
forte bruciore agli occhi”, mi disse.
La risposta era poco convincente.
Alla fine, si decise a parlare. Rapita
da bambina era rimasta per nove
anni con i ribelli dell’Lra. Sfruttata, addestrata all’uso delle armi,
una volta diventata comandante
aveva guidato razzie nei villaggi,
derubato la gente e chiunque avesse fatto resistenza. Ora guardava
per terra e non negli occhi delle
persone per timore che qualcuno la
riconoscesse. Dopo aver guadagnato la sua fiducia la invitai un giorno a venire con me al mercato e
piano piano cominciò a liberarsi
dalla paura e ad aprirsi».
C’è, insomma, una forte resistenza da parte delle ragazze a parlare
del loro passato. Per madre Rosemary, «ciò che dobbiamo fare è
amarle, accettarle così come sono
senza giudicarle, ascoltarle e guadagnare la fiducia. Non cerchiamo
di far ricordare loro il passato.
Quando saranno pronte parleranno, si confideranno. Si portano
dentro storie tremende difficili da
sopportare anche per un adulto.
Alcune di loro sono state violentate
davanti ai genitori prima di essere
rapite e portate nella foresta. Altre
dopo essere state sequestrate sono
state rimandate indietro nelle proprie famiglie costrette a uccidere
genitori, fratelli, sorelle e parenti».
Storie raccapriccianti di fronte
alle quali, «la cosa importante è
manifestare un amore incondizionato. Sentendosi amate, le ragazze
gradualmente arrivano ad accettare
anche i figli frutto di violenza, liberandosi da sentimenti di odio».
Così, piano piano le ragazze acquistano fiducia. «Molte ragazze con
cui ho lavorato hanno imparato a
perdonare i loro rapitori, ma non
se stesse. Sono ancora angosciate,
oppresse dal senso di colpa per gli
atti brutali che sono state forzate a
commettere per salvare la propria
vita. A loro ripeto sempre che non
c’è peccato che Dio non possa perdonare, e aggiungo: “Voi siete già
state perdonate. Gesù inviato dal
Padre ha dato la sua vita per renderci liberi”». Tuttavia, aggiunge la
religiosa, «il perdono è un lungo
cammino. Non si può pretendere
che memorie dolorose del passato
siano sanate in un’ora, in un giorno. Sta a noi camminare al fianco
di queste persone ferite, sostenendole nei momenti di debolezza e
scoraggiamento. L’amore incondizionato che manifestiamo le aiuta a
risollevarsi e ripristinare dignità e
pace della mente e del cuore. Spero che una volta uscite dalla scuola
abbiano la capacità di perdonare
gli altri così come Dio ha perdonato loro, e accettare gli altri nello
stesso modo in cui loro sono state
accettate».
I vescovi francesi sul progetto di legge di riforma del sistema sanitario nazionale
Difesa integrale della persona
PARIGI, 4. Soppressione del periodo di riflessione prima di un’interruzione volontaria di gravidanza,
autorizzazione al prelievo di organi
anche senza l’autorizzazione del
donatore o dei familiari, sperimentazione delle sale di consumo a minore rischio (le cosiddette salles de
shoot) per i tossicodipendenti, contraccezione d’urgenza per le mino-
Lutto nell’episcopato
Monsignor William Benedict
Friend, vescovo emerito di Shreveport, negli Stati Uniti d’America, è morto giovedì 2 aprile a
Coral Springs, in Florida, all’età
di 83 anni.
Il compianto presule era nato
a Miami il 22 ottobre 1931 ed era
stato ordinato sacerdote il 7
maggio 1959. Eletto alla Chiesa
titolare di Pomaria e nel contempo nominato ausiliare di
Alexandria-Shreveport il 31 agosto 1979, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 30
ottobre. Trasferito ad Alexandria-Shreveport il 17 novembre
1982, quando il 12 ottobre 1986
le due sedi erano state separate,
era rimasto alla guida della diocesi di Shreveport. Il 20 dicembre 2006 aveva rinunciato al governo pastorale.
Le esequie saranno celebrate
il 14 aprile nella cattedrale di
Saint John Berchmans a Shreveport, in Louisiana.
ri: sono i quattro punti affrontati
dalla Conferenza episcopale francese nel comunicato dal titolo «Loi
santé: la personne humaine risque
d’être dégradée», diffuso mercoledì
scorso sul progetto di legge riguardante la modernizzazione del
sistema sanitario, dal 31 marzo in
discussione all’Assemblea nazionale. Misure che, per i vescovi, «rappresentano una minaccia per la
giusta comprensione della persona
umana».
Adottato in Commissione affari
sociali, l’emendamento che sopprimerebbe il periodo di riflessione
(tra la prima e la seconda consultazione) di fronte a un’interruzione
volontaria di gravidanza «rafforza
la banalizzazione dell’aborto, atto
che porta a eliminare la vita». Ma
abortire — si legge nella nota —
«non sarà mai banale, qualunque
siano le ragioni». Il periodo di riflessione garantisce una reale presa
di coscienza della donna e la sua
libertà di scelta. Eliminarlo riduce
il concetto di dignità umana «facendo del nascituro un semplice
oggetto di cui si può disporre liberamente e togliendo alla donna incinta i modi per esercitare la sua
piena libertà di coscienza». La
Chiesa al riguardo «continuerà ad
accompagnare le coppie e le donne
poste di fronte a questo doloroso
problema».
Altro aspetto controverso del disegno di legge è la possibilità del
prelievo di organi senza consultazione dei familiari nel caso in cui il
defunto non sia iscritto nel registro
nazionale dei rifiuti, quando cioè
non abbia messo nero su bianco il
suo no alla donazione dei propri
organi. Secondo l’episcopato è «un
passo indietro» poiché, dal 1994, in
assenza di tale iscrizione la famiglia della persona deceduta deve
essere ascoltata dai medici per dare
l’assenso al prelievo. «L’emendamento che propone di eliminare la
consultazione dei parenti, al fine di
consentire più prelievi, è una pura
negazione di questa ultima libertà
che occorre lasciare al defunto e alla sua famiglia», e «rischia di provocare una sfiducia ancora più
grande di fronte alla donazione di
organi e di raggiungere un obiettivo contrario a quello cercato». La
donazione di organi — scrivono i
vescovi — «è atto di grande dignità
perché resta un dono, espressione
di una libertà individuale pienamente consentita, segno di solidarietà da parte del donatore che bisogna incoraggiare». La legge deve
promuovere la donazione di organi
attraverso campagne d’informazione basate sulla responsabilità, «non
ridurre il cittadino a un semplice
serbatoio di organi».
Netta contrarietà poi alla sperimentazione delle salles de shoot, dove i tossicodipendenti potrebbero
consumare la loro dose di droga
sotto stretto controllo medico. «La
legge deve porre dei limiti, non
proporre delle trasgressioni. Il pericolo è di dare un cattivo segnale ai
giovani», si afferma. Riguardo infine alla contraccezione d’urgenza
per le minori, alcune modifiche limitanti l’intervento degli adulti rischiano, per i vescovi, di lasciare le
adolescenti sole nell’esercizio dei
primi discernimenti sul loro corpo,
«facendo scintillare una falsa immagine della libertà, fatta non di
scelta ma di assenza di scelta».
JUBA, 4. «Fermate subito questa
guerra insensata», è stato l’appello
lanciato dai leader cristiani del Sud
Sudan e contenuto in un messaggio
pubblicato al termine della riunione
del South Sudan Council of Churches (Sscc) dopo il fallimento dei
colloqui di pace, avviati diversi mesi
fa ad Addis Abeba. «Se i nostri leader politici non sono in grado di
raggiungere un accordo da soli —
viene sottolineato nel documento —
allora devono essere persuasi ad accettare una soluzione che le parti
neutrali, e soprattutto i cittadini del
Sud Sudan, ritengono ragionevole».
Dopo aver elogiato gli sforzi fatti
dai diversi mediatori internazionali
per mettere fine al conflitto civile
esploso nel dicembre 2013, i leader
delle comunità cristiane ribadiscono
che «non c’è una giustificazione per
i continui combattimenti e le uccisioni. Nella guerra del 1955-1972 e in
quella del 1983-2005 si è combattuto
per la liberazione, ma per cosa si
combatte adesso?»
«È inaccettabile — proseguono i
responsabili religiosi — negoziare
per posti di potere, mentre la popolazione uccide e rimane uccisa. I
combattimenti devono fermarsi. Le
parti hanno già firmato diversi accordi di cessate il fuoco che hanno
poi ignorato: ripetiamo che gli accordi devono essere rispettati senza
ulteriori ritardi».
Il vescovo di Wau, Rudolf Deng
Majak, in una recente dichiarazione,
aveva spiegato che «l’inesperienza e
la corruzione, più che il tribalismo,
sono la causa della guerra civile in
Sud Sudan». Per il presule, il conflitto deriva infatti dagli errori di
una nuova leadership, perché governare «è qualcosa che si impara con
l’esperienza e dai propri errori. Le
comunità sud sudanesi — aveva
spiegato — non hanno mai avuto
l’opportunità di vivere insieme come
nazione. È vero, abbiamo sofferto
insieme, ma non abbiamo approfondito la nostra formazione come nazione. Ci vuole tempo, sia a livello
di leadership che di popolo». In effetti, aveva fatto notare monsignor
Majak, «per la prima volta nella sua
storia, il popolo del Sud Sudan ha
un proprio parlamento, un Governo
sovrano e un proprio esercito. E oc-
corre tempo perché queste grandi
responsabilità maturino, permettendo lo sviluppo di una comunità pacifica, stabile e prospera».
Le sanzioni economiche che
l’Onu vuole imporre ai responsabili
della guerra, secondo il presule, sono inutili, perché le persone prese
di mira «continueranno ad accumulare ricchezze a modo loro», mentre
«a essere colpite saranno le popolazioni innocenti».
Iniziative di solidarietà in vari Paesi europei verso i fratelli perseguitati nel Vicino oriente
Un aiuto per restare
BRUXELLES, 4. D all’appello comune
alla solidarietà lanciato dalle comunità ecclesiali in Belgio alla grande
disponibilità ad accogliere dichiarata dalla Francia; dalla colletta in
coincidenza con la settimana santa
sostenuta in Svizzera all’aiuto, non
solo di carattere economico, delle
comunità della Germania: è concreto l’impegno dei cristiani europei a
sostegno dei fratelli perseguitati nel
Vicino oriente anche in adesione ai
continui e accorati inviti di Papa
Francesco.
L’impegno — riferisce il Sir che
all’argomento dedica un approfondimento — è a non abbandonare alla loro sorte i cristiani che vivono in
queste terre martoriate, a trovare vie
percorribili affinché i residenti possano rimanere nelle loro case e gli
emigrati ritornare in patria.
In Belgio ortodossi e protestanti
si sono ritrovati in quell’«ecumenismo del sangue» che sta tracciando
un cammino doloroso. «La Via della Croce dei cristiani d’Oriente» è
del resto il titolo dell’appello comune che i leader ecclesiali hanno lanciato alle loro comunità affinché, fino alla celebrazione della Pasqua, si
preghi e si organizzino collette di
solidarietà.
Per i suoi storici legami con il Vicino oriente, la Francia accoglie sul
suo territorio migliaia di cristiani
delle Chiese caldea, greco-siriaca e
greco-melkita. Nell’ultimo periodo,
con l’intensificarsi del conflitto, sono arrivati molti rifugiati politici da
Iraq e Siria, i quali hanno ricevuto
subito il permesso di soggiorno dal
Governo francese. «Sono per lo più
famiglie traumatizzate che non conoscono la lingua e hanno bisogno
di aiuto», racconta monsignor
Pascal Gollnisch, direttore generale
dell’Œuvre d’Orient, il quale è in
Kurdistan per vivere con i cristiani
del luogo il venerdì santo e la
Pasqua.
In Svizzera i vescovi cattolici sottolineano in un documento «l’emergenza degli sfollati, le violenze e le
sofferenze di un numero troppo
grande di persone» e come la soluzione dei conflitti «dipenda fortemente dagli interessi di parte e da
fattori politico-economici».
Mentre dall’Inghilterra, per iniziativa del vescovo Declan Ronan
Lang, direttore del dipartimento
della Conferenza episcopale per gli
affari internazionali, sono stati inviati ai difensori dei diritti civili detenuti in varie parti del mondo cartoline di auguri per Pasqua e messaggi di incoraggiamento.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 5 aprile 2015
Al termine della Via crucis al Colosseo il Papa prega per i cristiani perseguitati sotto gli occhi indifferenti del mondo
Silenzio complice
Nella tarda serata del venerdì santo, 3
aprile, il Papa ha presieduto la Via
crucis al Colosseo. Di seguito le parole
pronunciate al termine delle quattordici
stazioni.
O Cristo crocifisso e vittorioso, la
tua Via Crucis è la sintesi della tua
vita; è l’icona della tua obbedienza
alla volontà del Padre; è la realizzazione del tuo infinito amore per noi
peccatori; è la prova della tua mis-
«Il Venerdì santo è strada verso la Pasqua
della luce». Di fronte alle immani sofferenze
dell’umanità, in particolare quelle dei «nostri
fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per
la loro fede», Francesco torna a levare alta la
voce della speranza. Al termine della tradizionale Via crucis al Colosseo, pronuncia poche
parole, che interrogano le coscienze delle decine di migliaia di fedeli presenti e dei milioni
di spettatori che hanno seguito la mondovisione sugli schermi da casa o attraverso la radio e la rete web. Nel suggestivo scenario del
colle Palatino illuminato dalle fiaccole, Francesco ha indicato ai cristiani di oggi l’itinerario da percorrere per «trasformare la nostra
Con i poveri di Roma
Nelle stesse ore in cui Papa Francesco presiedeva la Via crucis al Colosseo, l’elemosiniere ha recato ai poveri di Roma un segno
di vicinanza da parte del Pontefice. Per il
secondo anno consecutivo, la sera del venerdì santo, l’arcivescovo Krajewski, accompagnato dal capo ufficio monsignor
Ravelli, si è recato nelle principali stazioni
ferroviarie cittadine e nei rifugi e nei dormitori di tanti poveri intorno a piazza San
Pietro, per consegnare loro il pensiero del
Papa: «Una piccola carezza» l’hanno definita, distribuendo a circa trecento tra donne e uomini buste contenenti un biglietto
di auguri pasquali, l’immagine del Papa e
una somma di denaro. E molti, visibilmente commossi, hanno baciato la fotografia di
Francesco, chiedendo di ringraziarlo personalmente.
sione; è il compimento definitivo
della rivelazione e della storia della
salvezza. Il peso della tua croce ci libera da tutti i nostri fardelli.
Nella tua obbedienza alla volontà
del Padre, noi ci accorgiamo della
nostra ribellione e disobbedienza. In
te venduto, tradito e crocifisso dalla
tua gente e dai tuoi cari, noi vediamo i nostri quotidiani tradimenti e
le nostre consuete infedeltà. Nella
tua innocenza, Agnello immacolato,
noi vediamo la nostra colpevolezza.
Nel tuo viso schiaffeggiato, sputato
e sfigurato, noi vediamo tutta la brutalità dei nostri peccati. Nella crudeltà della tua Passione, noi vediamo la crudeltà del nostro cuore e
delle nostre azioni. Nel tuo sentirti
“abbandonato”, noi vediamo tutti gli
abbandonati dai familiari, dalla società, dall’attenzione e dalla solidarietà. Nel tuo corpo scarnificato,
squarciato e dilaniato, noi vediamo i
corpi dei nostri fratelli abbandonati
Verso la luce
conversione fatta di parole, in conversione di
vita e di opere».
Nella serata del 3 aprile, il vescovo di Roma ha presieduto la processione che ripercorre le tappe del cammino di Gesù verso la
morte e per circa due ore ha pregato in silenzioso raccoglimento, seguendo lo svolgimento
della processione della croce iniziata tra le penombre delle arcate dell’anfiteatro Flavio.
Giunto con qualche minuto di anticipo sulla
terrazza adiacente alla chiesa di Santa Francesca Romana, il Papa ha introdotto con il segno di croce il rito diretto da monsignor Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Seguendo lo schema classico delle
quattordici stazioni, si sono alternati nel portare la croce lignea, per la prima e l’ultima
stazione, il cardinale vicario di Roma, Vallini;
per la seconda, la terza e la quarta, tre famiglie italiane, una con ben sei figli e una con
due bambini adottati in Brasile; per la quinta,
una disabile accompagnata da un barelliere e
una dama dell’Unitalsi. Dalla sesta alla nona,
erano rappresentate aree geografiche in cui i
cristiani vivono il calvario delle persecuzioni:
Iraq, Siria, Nigeria, Egitto. Ma è alla decima
stazione che il vescovo Renato Corti, autore
delle meditazioni, ha riservato i pensieri più
toccanti, quando a sorreggere il legno c’erano
due cinesi e le voci degli speaker — quest’anno Orazio Coclite era affiancato da Francesca
Fialdini — hanno evocato le piaghe che violano la dignità dell’uomo: il traffico di esseri
umani, i bambini soldato, le moderne schiavitù, i ragazzi e gli adolescenti feriti nella loro
intimità e barbaramente profanati. Attingendo
all’insegnamento dei padri della Chiesa, ma
anche di pastori poi divenuti Pontefici come
Joseph Ratzinger e Giovanni Battista Monti-
ni, del cardinale Carlo Maria Martini e di un
martire del nostro tempo — il pakistano
Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze,
ucciso da uomini armati il 2 marzo 2011 —
l’autore ha sviluppato una preghiera che non
dimentica le donne, né i bisogni delle famiglie, in vista del Sinodo dei vescovi.
Per le ultime quattro scene, quelle finali
della crocifissione, il testimone è passato infine dalle mani di due suore di un istituto secolare a quelle di due francescani della Custodia
di Terra Santa e di religiose dell’America latina. Ai lati della croce le torce sostenute da
due giovani romani.
Al termine, dopo aver indossato la stola
rossa e benedetto i presenti, Francesco ha improvvisato un breve saluto. «E adesso torniamo a casa — ha invitato — col ricordo di Gesù, della sua Passione, del suo grande amore.
E anche con la speranza della sua gioiosa Risurrezione».
Presenti, tra gli altri, i cardinali Pell, prefetto della Segreteria per l’economia, Castrillón
Hoyos, e il vescovo Sánchez Sorondo. Con il
cardinale vicario di Roma erano l’arcivescovo
vicegerente Iannone e i vescovi ausiliari della
diocesi. Tra le autorità civili, il sindaco Ignazio Marino.
Hanno accompagnato il Pontefice gli arcivescovi Becciu, sostituto della Segreteria di
Stato, e Gänswein, prefetto della Casa pontificia; i monsignori Wells, assessore della Segreteria di Stato, e Sapienza, reggente della
Prefettura; il medico personale, Polisca, e
l’aiutante di Camera, Zanetti. Tutti presenti
anche alla celebrazione della Passione del Signore presieduta nel pomeriggio da Papa
Francesco.
lungo le strade, sfigurati dalla nostra
negligenza e dalla nostra indifferenza. Nella tua sete, Signore, noi vediamo la sete del Tuo Padre misericordioso che in Te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta
l’umanità. In Te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli
perseguitati, decapitati e crocifissi
per la loro fede in Te, sotto i nostri
occhi o spesso con il nostro silenzio
complice.
Nella penombra silenziosa della basilica di
San Pietro, il Pontefice si è prostrato a terra
davanti all’altare della Confessione e vi è rimasto per circa due minuti. Poi ha preso posto sul lato sinistro della navata di fronte alla
statua di San Pietro. Il racconto della Passione secondo Giovanni è stato cantato in latino
da tre diaconi, accompagnati dal coro della
Cappella Sistina diretta dal maestro Palombella.
Dopo l’omelia di padre Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, il Pontefice ha
introdotto la preghiera universale, seguita
dall’adorazione della croce. Dal fondo della
basilica, il diacono ministrante e due accoliti
con i candelieri hanno portato la croce facendo tre soste. Alla terza il Papa, indossando
solo il camice bianco e la stola rossa, si è inchinato per compiere l’adorazione. La croce è
stata poi portata all’altare della Confessione,
dove è stata baciata da 37 cardinali — tra i
quali Parolin, segretario di Stato, e Sodano,
decano del Collegio cardinalizio — e dagli altri presuli e prelati della Curia romana presenti, come pure dai rappresentanti del corpo
diplomatico accreditato presso la Santa Sede,
con i quali erano l’arcivescovo Gallagher, segretario per i Rapporti con
gli Stati, e i monsignori Camilleri, sotto-segretario per i
Rapporti con gli Stati, e
Bettencourt, capo del
Protocollo.
Imprimi, Signore, nei nostri cuori
sentimenti di fede, speranza, di carità, di dolore dei nostri peccati e portaci a pentirci per i nostri peccati
che ti hanno crocifisso. Portaci a trasformare la nostra conversione fatta
di parole, in conversione di vita e di
opere. Portaci a custodire in noi un
ricordo vivo del tuo Volto sfigurato,
per non dimenticare mai l’immane
prezzo che hai pagato per liberarci.
Gesù crocifisso, rafforza in noi la fede che non crolli di fronte alle tentazioni; ravviva in noi la speranza, che
non si smarrisca seguendo le seduzioni del mondo; custodisci in noi la
carità che non si lasci ingannare dalla corruzione e dalla mondanità. Insegnaci che la Croce è via alla Risurrezione. Insegnaci che il venerdì santo è strada verso la Pasqua della luce; insegnaci che Dio non dimentica
mai nessuno dei suoi figli e non si
stanca mai di perdonarci e di abbracciarci con la sua infinita misericordia. Ma insegnaci anche a non
stancarci mai di chiedere perdono e
di credere nella misericordia senza limiti del Padre.
Anima di Cristo, santificaci.
Corpo di Cristo, salvaci.
Sangue di Cristo, inebriaci.
Acqua del costato di Cristo,
lavaci.
Passione di Cristo, confortaci.
O buon Gesù, esaudiscici.
Dentro le tue piaghe nascondici.
Non permettere che ci separiamo
da te.
Dal nemico maligno difendici.
Nell’ora della nostra morte
chiamaci.
E comanda che noi veniamo a te
affinché ti lodiamo con i tuoi
santi,
nei secoli dei secoli. Amen.
L’arcivescovo José Rodríguez Carballo presenta il congresso internazionale sulla formazione dei religiosi in programma dal 7 aprile a Roma
Sfida digitale
di NICOLA GORI
La sfida del digitale, la giustizia, la
pace, la difesa del creato: sono le
nuove frontiere della formazione dei
religiosi e delle religiose. Se ne discuterà al congresso internazionale
in programma a Roma dal 7 all’11
aprile sul tema «Formati alla vita
consacrata nel cuore della Chiesa e
del mondo». Ce ne parla l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di
vita apostolica.
cattolica, perché molti religiosi sono
sacerdoti e anche perché gran parte
dei religiosi e delle religiose di tutto
il mondo studiano nelle pontificie
università che dipendono dalla Congregazione per l’educazione cattolica. Numerosi sono i documenti scritti da questi dicasteri sul tema della
formazione. È una relazione che vogliamo potenziare con questo congresso.
rilievo spetta al linguaggio, che influenza in modo determinante l’organizzazione e il funzionamento della mente e, di conseguenza, le tecnologie preposte alla comunicazione.
L’uso dei mezzi di comunicazione
presenta alcuni problemi ai quali si
deve prestare attenzione. L’uso di
internet favorisce la risoluzione rapida dei problemi, ma non agevola il
pensiero profondo e rende più diffi-
Perché un congresso internazionale sulla formazione?
L’emergenza educativa e formativa
è una priorità per la vita consacrata.
Dalla formazione che riceviamo e offriamo dipende in gran parte il presente e il futuro della vita consacrata. Non c’è fedeltà creativa, non c’è
possibilità di vivere il presente con
passione e abbracciare il futuro con
speranza — obiettivi dell’anno della
vita consacrata — senza una formazione di qualità e adeguata ai nostri
tempi. D’altra parte, per noi consacrati la formazione è un’urgenza tale
che non usiamo più distinguere la
formazione iniziale da quella permanente, come si faceva precedentemente, ma ora sentiamo la necessità
di parlare di formazione continua.
D’altra parte sentiamo l’urgenza della formazione dei formatori. Ecco il
perché di questo congresso, che prevede la presenza di 1500 partecipanti, con diverse relazioni offerte da
specialisti nell’ambito formativo e
più di trenta laboratori. Ci sarà pure
un foro interdicasteriale e una tavola
rotonda per condividere esperienze.
Esistono forme di collaborazione con gli
altri dicasteri in tema di formazione?
C’è una buona collaborazione fra
i dicasteri, in particolare fra il nostro
e quello del clero e dell’educazione
Come affrontano i religiosi la sfida della comunicazione digitale?
Formare a un adeguato utilizzo
dei mezzi di comunicazione è una
grande sfida che abbiamo davanti a
noi. I media digitali non sono neutrali, ma modificano l’organizzazione del nostro cervello che è un organo estremamente elastico. Numerosi
studi scientifici provano che nell’organizzazione di reti neuronali gioca
un ruolo decisivo la nostra attività
quotidiana. Un posto di particolare
cile la memoria a lungo termine.
Questo modo di interagire potrebbe
avere delle conseguenze negative
sulla disposizione dei consacrati allo
studio, alla meditazione della Parola,
alla introspezione e alla riflessione
profonda, al discernimento. Un altro
problema da non sottovalutare è
quello dell’uso del tempo. Un religioso ha bisogno di regolare la sua
vita secondo priorità ben precise. La
preghiera, lo studio, il lavoro,
l’ascolto delle persone, la vita fraterna in comunità richiedono una gran
quantità di tempo e di energie e soprattutto la presenza fisica e intellettuale. Un uso sconsiderato dei mezzi
di telecomunicazione digitale potrebbe penalizzare in modo significativo alcune di queste attività e appiattire la vita del religioso su un livello più virtuale che reale.
Che cosa si può fare in questo ambito?
Da quanto detto emerge l’urgenza
di una educazione-formazione alla
responsabilità. Siamo consapevoli
che anche noi consacrati dobbiamo
confrontarci con un mondo che sotto l’aspetto della comunicazione è
ormai profondamente cambiato. Per
quanto riguarda la formazione da offrire ai consacrati che vogliono gestire la sfida dell’era digitale ritengo
che sia il modello legalista (ossia un
rigido rifiuto del digitale), sia il modello lassista (ossia un fluido appiattimento e una semplice uniformazione al mondo) siano da evitare. Propongo perciò a tutti i formatori di
educare a un uso responsabile di
questi mezzi avendo come guida il
pieno rispetto dell’identità dello stato di vita religiosa. Non tutto ciò
che è possibile è lecito. Questo vale
per ogni cristiano e, a fortiori, per il
consacrato.
Perché si parla dei poveri come agenti
della formazione?
Ecco un’altra grande sfida che abbiamo davanti a noi: lasciarci formare dai poveri stessi. Loro hanno tanto da insegnarci, principalmente a
essere solidali, a fidarci della Provvidenza e a contentarci dell’essenziale.
Frequentare la scuola dei poveri con
cuore disponibile e mente aperta, in
atteggiamento di profondo ascolto,
ci aiuterà tanto ad assimilare questi
valori profondamente evangelici.
Che posto occupano nell’ambito formativo temi come la giustizia, la pace e la
tutela del creato?
Poiché l’ambito formativo riguarda tutto l’uomo, ogni tema può essere affrontato con grande interesse.
Senz’altro i temi dalla giustizia, della
pace e del rispetto del creato sono
temi di grande attualità. Diceva Platone che il male più grande per l’uomo è commettere un’ingiustizia e
che il bene maggiore è essere giusti.
Socrate arriva a dire che è molto
meglio subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla. Se queste cose
potevano scaturire dalla retta ragione di un filosofo pre-cristiano, tanto
più dovrebbero essere nel cuore di
chi ha ricevuto la rivelazione, ossia
di ogni cristiano, e tanto più dei
consacrati, i quali devono essere formati per testimoniare con la vita che
non c’è pace senza giustizia e non
c’è giustizia senza perdono.
Lo stesso discorso vale per l’ecologia.
Per quanto riguarda il rispetto del
creato ritengo che sia un tema importantissimo nella formazione dei
consacrati. L’uomo, in quanto essere
creato a immagine di Dio, deve ricordare che è un semplice amministratore della creazione e non un padrone libero di usurpare e di distruggere l’ambiente. L’amministratore deve rendere conto della sua gestione e il Signore giudicherà le sue
azioni. La legittimità morale e l’efficacia dei mezzi impiegati dall’amministratore costituiscono i criteri di tale giudizio. Né la scienza, né la tecnologia sono fini a se stesse; ciò che
è tecnicamente possibile non è necessariamente anche ragionevole o
etico. La scienza e la tecnologia devono essere messe al servizio del di-
segno divino per l’insieme della
creazione e per tutte le creature, e
non devono mai diminuire l’identità
dell’uomo creato a immagine di Dio,
né alterare e abbrutire la sua altissima dignità. E poi non possiamo mai
dimenticare che la creazione è “segno” del Dio creatore, come sottolineava san Francesco d’Assisi nel
Cantico delle creature.
Esiste anche un’attenzione particolare
al dialogo ecumenico e tra le religioni
in questo processo?
In quanto persona creata a immagine di Dio, l’essere umano è capace
di intessere rapporti di comunione
con il Padre e con altre persone
umane. Una buona formazione umana e spirituale penso che sia la base
sicura per un dialogo rispettoso delle differenze culturali e religiose. Gesù ha dialogato e si è messo in relazione con ogni tipo di persona, credente, non credente, giudeo, samaritano, pagano. E ci ha comandato di
predicare innanzitutto con la vita e
non solo con le parole la buona novella fino ai confini della terra. Proprio perché la formazione tende
all’identificazione con Cristo, con i
suoi sentimenti, allora uno degli
obiettivi della formazione è proprio
quello di preparare gli uomini e le
donne del ventunesimo secolo a essere testimoni del Vangelo con le
opere, affinché gli altri vedano e diano gloria a Dio. Quindi, il dialogo
ecumenico e interreligioso dovrebbero far parte di ogni normale progetto formativo che vuole stare nella linea del concilio Vaticano II e dare
risposte alle sfide del momento attuale. Dialogo deve essere una parola e un atteggiamento fondamentali
nella vita del consacrato. Quindi
dialogo ecumenico e interreligioso
non possono mancare in una formazione integrale del consacrato. In
questo campo credo che dobbiamo
ancora fare dei passi importanti.