Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 78 (46.916) Città del Vaticano domenica 5 aprile 2015 . Al termine della Via crucis al Colosseo il Papa prega per i cristiani perseguitati sotto gli occhi indifferenti del mondo Silenzio complice E ricorda che la croce è via alla risurrezione e strada verso la Pasqua Venerdì Santo di preghiera per i cristiani perseguitati nel mondo. Prima nella basilica vaticana, dove nel pomeriggio il Papa ha presieduto la celebrazione della Passione del Signore, e poi nel suggestivo scenario del Colosseo, dove in serata si è svolta la tradizionale Via crucis, è risuonata l’invocazione per tutti i credenti vittime della violenza in varie parti del mondo. «In te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice», ha scandito con voce severa Francesco dalla terrazza del colle Palatino, in uno dei passaggi più significativi della preghiera pronunciata al termine del rito. Un’invocazione — ripresa anche in una delle meditazioni proposte quest’anno dal vescovo Renato Corti — che si è fatta denuncia dei «nostri quotidiani tradimenti» e delle «nostre consuete infedeltà»; della «brutalità dei nostri peccati», della «crudeltà del nostro cuore e delle nostre azioni». Una preghiera che al tempo stesso si è fatta richiesta di aiuto per «tutti gli abbandonati dai familiari, dalla società, dall’attenzione e dalla solidarietà», e per i «nostri fratelli abbandonati lungo le strade, sfigurati dalla nostra negligenza e dalla nostra indifferenza». Ma in tutte le croci che rappresentano le immani sofferenze dell’umanità, il Pontefice ha indicato una «via alla risurrezione». Perché — ha spiegato — «il venerdì santo è strada verso la Pasqua della luce». Da qui l’invito a «trasformare la nostra conversione fatta di parole, in Dopo la strage perpetrata dai jihadisti somali di Al Shabaab in Kenya Uniti nel dolore e nella condanna conversione di vita e di opere». Infatti, ha commentato, «il peso della croce ci libera da tutti i nostri fardelli», dalla «nostra ribellione e disobbedienza». Ecco allora il messaggio di speranza racchiuso nella Pasqua, che consente al credente di invocare Gesù crocifisso, affinché rafforzi «in noi la fede che non crolli di fronte alle tentazioni», ravvivi «in noi la speranza, che non si smarrisca seguendo le seduzioni del mondo», custodisca «in noi la carità che non si lasci ingannare dalla corruzione e dalla mondanità». La preghiera per le vittime delle «forme nuove e spaventose di crudeltà e di barbarie» che prendono di mira i credenti si era levata anche durante la celebrazione della Passione del Signore svoltasi nel pomeriggio in San Pietro. Davanti a Papa Francesco il predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, aveva ricordato la ferocia della strage avvenuta nel campus universitario in Kenya e aveva denunciato «la inquietante indifferenza delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica» di fronte a un’escalation di atrocità che lascia «inorriditi» e chiama i cristiani a scelte coraggiose di riconciliazione e di perdono. PAGINA 8 L’accordo internazionale raggiunto a Losanna sul programma nucleare iraniano Nuova fase di cooperazione y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"!&!z!,! Studenti dell’università di Garissa scampati al massacro (Afp) NAIROBI, 4. La terrificante strage perpetrata dal gruppo terrorista somalo Al Shabaab nel campus dell’università di Garissa, in Kenya, vede uniti nel dolore e nella condanna i cristiani, contro i quali era espressamente diretto l’attacco — erano tutti cristiani, in massima parte studenti, i 148 morti accertati e l’ottantina di feriti — e i musulmani del Kenya. Al cordoglio e alla preghiera per le vittime, per i loro familiari e per il popolo kenyano espresso dai rappresentanti delle comunità cristiane, a partire da Papa Francesco, si sono uniti quelli dei principali esponenti islamici del Paese. Nell’esprimere tali sentimenti, il segretario del Consiglio degli imam e dei predicatori del Kenya, lo sceicco Khalifa, ha anche denunciato l’irresponsabilità di alcuni kenyani che attraverso i social media «diffondono immagini disgustose e messaggi che istigano all’odio». Dalla stessa Garissa, Abdullah Salat, esponente del Consiglio supremo dei musulmani del Kenya, ha detto che la comunità islamica locale «condanna con forza gli atti barbari commessi contro studenti universitari innocenti». Il religioso ha rivolto poi un appello al Governo di Nairobi affinché con l’aiuto della comunità internazionale sradichi «il mostro del terrorismo». Sostegno al Governo di Nairobi nella lotta al terrorismo hanno promesso tanto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, quanto l’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Federica Mogherini. Sotto questo aspetto, comunque, in Kenya crescono le critiche negative. Il giorno prima dell’attacco, il presidente kenyano, Uhuru Kenyatta, aveva definito il suo Paese un luogo «sicuro come ogni altro del mondo». Ora in molti accusano il Governo di non avere preso adeguate misure di sicurezza e di avere sottovalutato la minaccia di Al Shabaab, che mostra da tempo una progressiva radicalizzazione jihadista, e l’allerta lanciata da alcuni Paesi stranieri come la Gran Bretagna. Anche secondo padre Nicolas Mutua, parroco a Garissa, l’attacco ai cristiani non sarebbe giunto in maniera del tutto inaspettata. La comunità aveva infatti subito minacce. «Me lo aspettavo perché eravamo stati minacciati», ha raccontato il sacerdote a Radio Vaticana, aggiungendo di non essere tranquillo anche se la polizia protegge normalmente le chiese. Il ministro dell’Interno kenyano, Joseph Nkaissery, ha intanto riferito dell’arresto di cinque persone sospettate di essere coinvolte nell’organizzazione del massacro. Secondo la Bbc, all’interno dell’ateneo sono stati trovati quattro sopravvissuti, due dei quali sono stati ritenuti sospetti. Uno di questi sarebbe un cittadino della Tanzania che non ha alcun legame con l’università. Il che, se confermato, costituirebbe un’ulteriore riprova dell’adesione ad Al Shabaab di estremisti islamici di altri Paesi. Con l’obiettivo di soccorrere i civili intrappolati nei combattimenti Riunione all’O nu per una tregua in Yemen PAGINA 3 Tra l’altro, proprio dopo che le truppe kenyane l’avevano scacciata da Chisimaio, seconda città della Somalia, Al Shabaab aveva dichiarato di aderire ad Al Qaeda e, quindi, di collocarsi nella galassia del terrorismo jihadista. Anche la scelta di un’università come obiettivo conferma questa deriva jihadista del gruppo somalo. Sull’esempio di altre milizie — solo per restare all’Africa, si pensi a Boko Haram — nel suo mirino è entrata infatti un’istituzione considerata espressione dell’educazione occidentale. Così come in anni recenti diversi attacchi e attentati di Al Shabaab avevano già preso di mira le comunità cristiane. Il gruppo islamista somalo, che aveva rivendicato l’attacco all’università di Garissa mentre era ancora in corso, ha fatto ieri nuove minacce, rivolgendosi direttamente a tutti i kenyani. «Nessuna precauzione sarà in grado di garantire la vostra sicurezza, o sventerà un nuovo attacco o impedirà un bagno di sangue nelle vostre città», si legge in una dichiarazione, nella quale le milizie somale confermano di essere in guerra con il Kenya. Come noto, questo Paese è diventato il loro principale obiettivo fuori dai confini nazionali dopo che il Governo di Nairobi ha inviato contro di loro truppe in Somalia. Se queste non verranno ritirate, il gruppo chiama in causa ora anche le popolazioni civili: «Non solo accettate le politiche oppressive del vostro Governo, ma neanche alzate la voce contro queste posizioni e anzi rafforzate le scelte dei vostri governanti rieleggendoli. Pertanto sarete voi a pagare il prezzo con il vostro sangue», si legge nella dichiarazione. TEHERAN, 4. Mentre l’Iran esulta e rassicura sulla serietà degli impegni presi con l’intesa di Losanna, da Israele giungono reazioni critiche e una bocciatura dell’accordo sul programma nucleare di Teheran. Secondo il presidente iraniano, Hassan Rohani, l’intesa con il gruppo cinque più uno apre una nuova fase nei rapporti fra Teheran e il mondo intero. Le sanzioni saranno revocate con l’entrata in vigore dell’accordo finale prevista entro giugno, afferma il presidente, che rilancia le promesse fatte all’inizio del suo mandato: il Paese si riaprirà al mondo, perché l’accordo non riguarda solo il nucleare, ma è il primo passo verso una «costruttiva cooperazione» con le altre Nazioni, anche con quelle con cui vi sono «tensioni e ostilità». L’intesa di Losanna, tuttavia, non convince Israele. Dopo una riunione di tre ore svoltasi ieri, il Gabinetto di sicurezza ha respinto senza mezzi termini l’accordo raggiunto dal gruppo cinque più uno e Teheran. Secondo il premier Netanyahu, l’intesa «non ferma un singolo impianto, non distrugge una sola centrifuga. Al contrario legittima il pro- Il dialogo tra Gesù e la Maddalena davanti al sepolcro vuoto Come nel giardino del Cantico dei cantici Jean Guitton, «Gesù appare alla Maddalena» (1970) MARIDA NICOLACI A PAGINA 5 gramma nucleare illegale». Ogni accordo finale con l’Iran — ha aggiunto il leader del Likud — deve includere un «chiaro e non ambiguo riconoscimento del diritto di Israele di esistere». Parole, quelle di Netanyahu, che Obama aveva già ascoltato direttamente in un colloquio telefonico nel quale il premier israeliano aveva appunto ribadito che l’intesa, a suo avviso, mette a repentaglio la sopravvivenza stessa di Israele. E in questo senso vanno lette le rassicurazioni degli Stati Uniti che — come ha oggi affermato il portavoce della Casa Bianca, Eric Schultz, parlando con i giornalisti a bordo dell’Air Force One — non firmerebbero mai un accordo sul programma nucleare iraniano se questo potesse costituire una minaccia per Israele. Di questo Obama dovrà ora convincere anche il Congresso, a maggioranza repubblicana, che nelle settimane scorse aveva ospitato Netanyahu, ascoltando la sua perorazione contro i colloqui con Teheran. Il capo della Casa Bianca ha intanto avuto una serie di contatti con i leader di alcuni Paesi del Golfo persico ai quali ha illustrato i dettagli dell’accordo raggiunto con l’Iran. Obama ha parlato con il re del Bahrain, Hamad Al Khalifa, con l’emiro del Kuwait, Sabah Al Sabah, con quello del Qatar, Tamim Al Thani, e con il principe Mohammed Al Nahyan degli Emirati Arabi Uniti. Con ognuno di loro ha sottolineato che i prossimi mesi verranno impiegati per finalizzare i dettagli tecnici di una soluzione duratura e completa che garantisca la natura pacifica del programma nucleare iraniano. Il presidente statunitense ha inoltre invitato a Camp David i leader del Consiglio di cooperazione del Golfo persico per un incontro, previsto per questa primavera. In occasione delle festività pasquali il nostro giornale non uscirà. La pubblicazione riprenderà con la data 7-8 aprile. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 5 aprile 2015 Bambino trasporta un pacco della Croce Rossa a Vuhlehirsk (Ap) Tsipras a Mosca l’8 aprile per colloqui con il presidente Putin sulla crisi greca Atene pronta a risarcire il Fondo monetario internazionale ATENE, 4. Mentre continuano le trattative con l’Europa per la riqualificazione del debito, il Governo greco assicura che non ci sarà nessuno “strappo” con il Fondo monetario internazionale (Fmi). Atene ha infatti comunicato che il 9 aprile la tranche di debiti da 450 milioni di euro nei confronti del Fondo monetario internazionale verrà regolarmente pagata. Intanto, il premier greco, Alexis Tsipras, sarà a Mosca dall’8 al 9 aprile per discutere con il presidente russo, Vladimir Putin, della crisi greca e della situazione in Ucraina. E il 14 aprile dovranno essere pagati stipendi pubblici e pensioni. Intanto, il quotidiano britannico «Telegraph» cita anonime fonti di Syriza, il partito di Tsipras, secondo cui l’Esecutivo sta mettendo a punto un drastico piano di emergenza da mettere in atto in caso di fallimento delle trattative con Bruxelles. Gli interventi previsti vanno dalla nazionalizzazione delle banche al ritorno alla dracma (che in teoria co-esisterebbe comunque con l’euro). Passando Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis (Reuters) Obama e Castro s’incontreranno al vertice delle Americhe WASHINGTON, 4. Il settimo vertice delle Americhe — che si terrà venerdì e sabato prossimi a Panamá per iniziativa dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) — sarà occasione del primo incontro ufficiale tra il presidente statunitense, Barack Obama, e quello cubano, Raúl Castro, dopo la breve stretta di mano scambiata lo scorso anno ai funerali di Nelson Mandela. Ne ha dato conferma ieri Roberta Jacobson, che guida la delegazione di Washington nei negoziati con L’Avana per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Jacobson ha ricordato che Obama, quando ha accettato di partecipare al vertice a Panamá, sapeva che Cuba era per la prima volta tra i Paesi invitati e quindi della probabile presenza di Castro. Durante questi vertici i leader sono spesso insieme sia per gli appuntamenti formali sia in occasioni informali. Di conseguenza «ci sarà una interazione con Castro», ha detto la diplomatica statunitense, senza peraltro specificare se questo possa o meno comportare un incontro bilaterale, ma aggiungendo che «ovviamente i due si sono già parlati al telefono». La presenza di Cuba al vertice delle Americhe per la prima volta è ritenuta un successo importante dal Segretario generale uscente dell’O sa, il cileno José Miguel Insulza, che sarà a breve sostituito dall’uruguayano Luis Almagro. «Abbiamo deciso di revocare tutte le sanzioni contro Cuba e di aprire la strada affinché rientri nel sistema interamericano e spero che ciò avvenga» ha detto Insulza, sottolineando che «l’Osa è molte cose» e il suo ruolo è legato «alla pace e alla democrazia» e a scongiurare o risolvere «i conflitti e le crisi nei Paesi membri». Dal 1994, data d’inizio dei vertici delle Americhe, l’Osa non aveva mai invitato Cuba, da tempo sospesa dall’organizzazione. Questa volta, prima ancora che fosse annunciato il disgelo tra Washington e L’Avana, la politica dell’Osa è cambiata, grazie anche alle pressioni di molti Paesi che avevano minacciato di disertare il vertice qualora si fosse insistito sul veto per Cuba. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va per la messa in mora dei pagamenti all’Fmi. «Chiuderemo le banche e le nazionalizzeremo, quindi emetteremo certificati di debito se dobbiamo. E sappiamo tutti cosa questo significhi. Di certo non diventeremo un protettorato dell’Ue» afferma la fonte citata dal quotidiano britannico. Secondo il Telegraph, questo equivale «a un ritorno alla dracma»: nel Paese la vecchia valuta ricomincerà a circolare insieme all’euro e sarà utilizzata per pagare gli stipendi. «Siamo un Governo di sinistra e se dobbiamo scegliere tra non pagare il Fmi e non pagare i nostri cittadini, la scelta è scontata» riporta un dirigente del partito del premier — citato dal «Telegraph» — parlando del rimborso della prossima rata del prestito dovuta al Fondo, in calendario, come detto, per il 9 aprile. «Vogliono costringerci al rituale dell’umiliazione. Stanno cercando di metterci con le spalle al muro: di farci scegliere tra il default e la sottoscrizione di un accordo che è per noi politicamente impossibile. Se questo è il loro obiettivo, noi non ci stiamo». L’Osce forma dei gruppi di lavoro Migliora la situazione nell’est dell’Ucraina KIEV, 4. Spiragli di distensione in Ucraina. Il ministro degli Esteri serbo e presidente in carica dell’Osce, Ivica Dačić, ha reso noto ieri che la situazione nel Paese sembra migliorare: attualmente è in corso la formazione di gruppi di lavoro per affrontare la sicurezza, i problemi umanitari ed economici, nonché le riforme politiche e costituzionali nel Paese. La situazione è dunque migliorata, nonostante il fatto che il cessate Inferiore alle attese il dato sulla creazione di nuovi posti Delude il mercato del lavoro statunitense WASHINGTON, 4. Delude il dato sull’occupazione americana, segno che la crisi continua a pesare. Nell’ultimo mese gli Stati Uniti, ha comunicato ieri il dipartimento del Lavoro, hanno creato in marzo solo 126.000 posti, mentre il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 5,5 per cento. Il dato è nettamente inferiore alle attese degli analisti, che scommettevano su 245.000 posti ed è il più basso incremento mensile dal dicembre del 2013. Il settore privato ha creato 129.000 posti, mentre quello pubblico ne ha tagliati tremila. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è sceso al 62,7 dal 62,8 per cento. Il dipartimento del Lavoro ha rivisto al ribasso i dati di gennaio e febbraio, quando sono stati creati 201.000 e 264.000 posti di lavoro rispetto ai 239.000 e 295.000 precedentemente stimati. Immediata la reazione dei mercati. Chiuse le Borse europee e Wall Street per le festività pasquali, è stato il mercato valutario a reagire in maniera assai brusca. In particolare, l’euro è risalito decisamente sul dollaro. E anche sul mercato obbligazionario non sono mancate le reazioni a un dato che segna la prima vera battuta d’arresto da mesi per l’occupazione americana. Il rendimento dei Treasury decennali è sceso di undici punti base, passando dall’1,92 all’1,81 per cento, e il prezzo è salito in maniera speculare, segno che gli investitori sono tornati a comprare titoli di Stato americani di fronte alla prospettiva che il rialzo dei tassi possa slittare alla fine dell’anno o anche oltre. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Una fiera del lavoro per veterani di guerra a Burbank (Reuters) Gaetano Vallini Violenti scontri in una favela di Rio de Janeiro impeachment di un premier dal 1968. Lo scandalo era esploso il 19 marzo, quando la rivista «Correo Semanal» aveva pubblicato una lista di personalità, tra cui molti esponenti della politica e dell’economia, spiati fin dal 2005 dall’agenzia nazionale per l’intelligence chiusa a inizio febbraio dal Governo. La Jara ha dovuto assumersi la responsabilità politica per il caso anche se la stessa opposizione ha ammesso che non aveva mai autorizzato o avallato il programma di spionaggio. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione Tesoro — è solo un singolo dato che fa parte di una serie molto volatile, tanto più che il maltempo e il blocco dei porti sulla West Coast hanno pesato non poco. I fondamentali dell’economia americana restano solidi e lo si vedrà nei prossimi mesi». Trecento migranti soccorsi al largo della Libia Nominato il premier peruviano LIMA, 4. Il Presidente del Perú, Ollanta Humala, ha nominato Pedro Cateriano nuovo premier. Cateriano succede ad Ana Jara, sfiduciata dal Congresso, dopo uno scandalo riguardante politici, giornalisti e uomini d’affari spiati dai servizi segreti. Nuovo ministro degli Esteri è Ana María Sánchez, che era stata nominata 24 ore prima ambasciatrice in Francia. Il Congresso peruviano, che aveva destituito Ana Jara, con 72 voti a favore e 42 contrari, ha portato a completamento il suo primo Il Governo americano minimizza il dato e afferma che la situazione sta migliorando, visto il fatto che i fondamentali dell’economia a stelle e strisce restano solidi. «Il rapporto di marzo del dipartimento del Lavoro — ha osservato Karen Dynan, capo economista del il fuoco sia stato ancora violato e che il ritiro delle armi pesanti non sia stato ancora verificato del tutto. Come annunciato, attualmente è in corso la formazione di gruppi di lavoro che affronteranno questioni specifiche previste nell’accordo di Minsk. «C’è l’auspicio di Russia e Ucraina — ha detto Dačić — che la missione Osce raggiunga i suoi obiettivi, tra cui l’aumento del numero di osservatori e la messa in azione del maggior numero di dispositivi tecnici possibili per sorvegliare la situazione». Nel frattempo, in un’intervista il premier ucraino, Arseny Yatsenyuk, ha comunicato ieri che il Paese ha «del tutto perso» il mercato russo per le sue esportazioni, ma è riuscito «in larga misura» a compensare con vendite a nuovi clienti in Europa, Medio Oriente, Africa e Stati Uniti. E, intanto, Ankara scende in campo a difesa della minoranza tatara turcofona in Crimea. Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha lamentato gli abusi commessi nei confronti dei tatari nella penisola annessa dalla Russia un anno fa e ha fatto sapere che il suo Paese manderà presto una missione informale di osservatori. «Il popolo della Crimea e in particolare i tatari di Crimea — ha detto — sono oppressi, attaccati e i loro diritti vengono violati. Manderemo presto una missione informale per osservare le violazioni dei diritti umani» nella penisola. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va RIO DE JANEIRO, 4. Violenti scontri sono stati segnalati ieri fra polizia e alcuni residenti del Complexo do Alemão (una delle più estese e pericolose favela di Rio de Janeiro), che stavano manifestando contro l’escalation di violenza. I dimostranti, che avevano iniziato a protestare pacificamente, sono entrati in contatto con gli agenti dopo che questi ultimi, secondo i media locali, sono stati raggiunti dal lancio di pietre e bottiglie. Nelle ultime ore, nel Complexo do Alemão sono Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale morte cinque persone nel corso di sparatorie tra narcos e polizia. È il caso di Eduardo de Jesus Ferreira, di soli dieci anni, colpito due giorni fa alla testa da una pallottola vagante sulla porta di casa. Altra vittima innocente è stata una casalinga di 41 anni, raggiunta mercoledì scorso dentro le mura domestiche da un altro proiettile vagante. Testimoni sostengono che i colpi sarebbero partiti da fucili delle forze dell’ordine. Le armi usate sono state confiscate e sui casi sono state aperte due inchieste. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 ROMA, 4. Resta difficile la situazione nel Mediterraneo: continuano infatti senza sosta le operazioni di salvataggio dei migranti alla deriva. La Guardia costiera italiana ha soccorso ieri al largo della Libia un barcone con più di trecento migranti di origine subsahariana. Sono state dirottate sul posto diverse navi che rientrano nel dispositivo di sicurezza della Frontex (l’agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri). Tutti i migranti arriveranno oggi a Pozzallo, in Sicilia. Non si ferma intanto la protesta inscenata da ieri mattina da alcuni richiedenti asilo davanti al commissariato di Lamezia Terme, in Calabria. Il sit-in, infatti, sta proseguendo senza incidenti. Gli immigrati con coperte e altri ausili di fortuna, hanno trascorso la notte sulla strada. Il traffico automobilistico viene ancora deviato per ragioni di sicurezza in quanto gli immigrati hanno occupato l’intera sede stradale. Non mancano i disagi. Alla base della protesta pacifica c’è soprattutto la richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato politico che — riferiscono le agenzie — non può essere assegnato a tutti i manifestanti. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 aprile 2015 pagina 3 Forze irachene dopo la riconquista di una base a Tikrit (Ap) Con l’obiettivo di soccorrere i civili intrappolati nei combattimenti Riunione all’O nu per una tregua in Yemen SAN’A, 4. Le forze navali della coalizione guidata dall’Arabia Saudita hanno bombardato nella notte la periferia di Aden ancora controllata dai ribelli sciiti. I miliziani seguaci dell’imam Al Huthi infatti si sono ritirati verso quelle postazioni dopo Pyongyang lancia quattro missili a corto raggio PYONGYANG, 4. La Corea del Nord ha lanciato ieri pomeriggio quattro missili a corto raggio in mare, per una gittata stimata in circa 140 chilometri: lo riferisce lo Stato maggiore sudcoreano, precisando che i vettori sono caduti nei pressi della costa occidentale. Il regime comunista di Pyongyang ha avviato una serie di test balistici a inizio marzo in risposta alle esercitazioni militari congiunte di Corea del Sud e Stati Uniti, in programma ogni anno, e considerate dalle autorità della Corea del Nord come «la prova generale di una invasione» ai suoi danni. E mentre resta alta la tensione nella penisola coreana, il Giappone ha recentemente deciso di estendere le sue sanzioni contro il regime comunista di Pyongyang in mancanza di progressi nelle indagini nordcoreane sul sequestro di alcuni cittadini giapponesi negli anni Settanta e Ottanta. L’embargo commerciale approvato dal Governo di Tokyo e altre misure unilaterali nei confronti di Pyongyang dureranno altri due anni, anziché scadere, come previsto inizialmente, il 13 aprile. Nello scorso luglio, dopo che la Corea del Nord aveva promesso di avviare una nuova indagine sul destino dei cittadini giapponesi rapiti decenni fa, le autorità di Tokyo avevano attenuato alcune sanzioni. Nonostante tutto, per il momento, non sono stati segnalati progressi. Secondo le autorità di Tokyo i suoi cittadini sono stati sequestrati per costringerli a fornire informazioni ai nordcoreani. Nel 2012 il regime comunista nordcoreano aveva ammesso i sequestri e liberato cinque delle 17 vittime. Pyongyang aveva inoltre comunicato che altri otto giapponesi erano morti, ma senza fornire prove. Le autorità del regime comunista avevano anche negato che quattro dei giapponesi scomparsi fossero entrati in Corea del Nord. Due battelli affondano in Bangladesh DACCA, 4. Almeno dodici persone sono morte ieri nell’affondamento di due battelli nel Bangladesh centrale. Numerosi i dispersi. L’incidente più grave è avvenuto sul fiume Buriganga, nell’area di Aliganj, quando un traghetto con a bordo ottanta passeggeri ha urtato un mercantile carico di sabbia e si è inabissato. I soccorritori, dopo diverse ore di ricerche, hanno recuperato otto corpi. La maggior parte dei passeggeri sono riusciti a mettersi in salvo nuotando a riva, ma all’appello mancano ancora decine di persone. Nella seconda tragedia hanno invece perso la vita quattro persone, tra cui una bambina, che viaggiavano su un altro battello che si è capovolto sul fiume Meghna, nei pressi di una località del distretto di Munshiganj. aver lasciato ieri il centro della città portuale. Il bilancio delle vittime ad Aden dall’inizio del conflitto è di 182 morti e 1.285 feriti. I bombardamenti di ieri hanno colpito soprattutto la zona di Al Ilam, all’ingresso orientale della città. Per fare fronte a questo conflitto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si riunisce oggi — su richiesta della Russia — con l’obiettivo di ottenere una tregua umanitaria finalizzata al soccorso dei civili intrappolati nei combattimenti. Negli ultimi giorni Mosca ha ripetutamente chiesto la sospensione delle ostilità e l’avvio di un negoziato tra i ribelli sciiti huthi e il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, le cui forze armate hanno ricevuto il sostegno dalla coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita. Intanto, Al Qaeda nella penisola arabica continua a espandersi verso est, approfittando del caos generato dagli scontri nel sud tra miliziani sciiti huthi e le forze fedeli al presidente yemenita. In uno scenario sempre più drammatico, è prosegui- ta anche ieri l’evacuazione di centinaia di stranieri da Aden epicentro dei combattimenti. Gli huthi sono in ritirata dopo che Riad ha fatto giungere alle forze fedeli al presidente Hadi carichi di armi lanciati dall’aviazione della coalizione. Lo scorso settembre gli huthi avevano preso il potere a San’a, la capitale, costringendo Hadi a rifugiarsi ad Aden, e successivamente a fuggire in Arabia Saudita. Nel frattempo, due guardie di confine saudite sono state uccise da colpi provenienti dallo Yemen. Lo si apprende oggi da fonti governative riprese dalle agenzie di stampa internazionali. Lo scontro a fuoco è avvenuto in un posto di frontiera nella regione di Asir. Nella stessa zona un’altra guardia saudita era stata uccisa ieri. Infine, il ministro degli Esteri yemenita, Riad Yasin, ha riferito che l’ex presidente Ali Abdulla Saleh accusato di essere alleato dei ribelli sciiti huthi, sarebbe fuggito nei giorni scorsi dallo Yemen a bordo di un aereo russo. Morti nove poliziotti in perlustrazione nella città strappata all’Is Mine uccidono a Tikrit BAGHDAD, 4. Sette agenti della polizia federale irachena sono stati uccisi e due sono stati feriti ieri dalle esplosioni di diverse mine nell’area di Tikrit, capoluogo della provincia di Salahuddin strappato questa settimana al cosiddetto Stato islamico (Is) dalle forze governative affiancate da milizie sia sciite sia sunnite. Gli agenti uccisi stavano perlustrando la zona di Dayyum, alla periferia occidentale di Tikrit. La bonifica dell’area dalle mine si annuncia lunga e difficile. Tutto conferma, infatti, la massiccia presenza di ordigni disseminati dall’Is nella zona, cosa che aveva contribuito a frenare l’offensiva governativa sferrata a inizio marzo. Prossimo obiettivo di tale offensiva, secondo fonti concordi e sempre più insistenti, dovrebbe essere Mosul, nella cui area si stanno concentrando da tempo i bombardamenti aerei della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. In uno di questi raid ieri è stato colpito un campo di addestramento dell’Is a una cinquantina di chilometri da Mosul, quello situato nell’ex base militare di Al Qayyarah. Fonti della sicurezza irachena riferiscono dell’uccisione di una ventina di miliziani e della distruzione di depositi di armi e munizioni. Nel frattempo, il quotidiano panarabo «Al Hayat» riporta la notizia, attribuita a un ex esponente di Al Qaeda, Ayman al Din, definito ora «spia dei servizi segreti britannici», che il leader della stessa Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, avrebbe deciso di permettere ai vari rami dell’organizzazione nei diversi Paesi liberi di aderire ad altri movimenti jihadisti, come appunto l’Is. Tra Governo e gruppi etnici ribelli Intesa per un cessate il fuoco nel Myanmar Guerriglieri appartenenti ai ribelli kachin NAYPYIDAW, 4. Alla presenza del presidente del Myanmar, Thein Sein, i negoziatori governativi, i comandanti dell’esercito e i rappresentanti della maggioranza dei gruppi etnici armati hanno dichiarato il loro sostegno per un cessate il fuoco, che, se approvato e firmato, potrebbe porre fine al conflitto che per decenni ha lacerato il Paese del sud-est asiatico. «Sono davvero felice — ha affermato Thein Sein — che le parti abbiano raggiunto un accordo. Questo apre la porta al dialogo politico e a futuri colloqui di pace». Nei giorni scorsi, il Comitato di lavoro per la pacificazione dell’Unione si è nuovamente incontrato con il Comitato di coordinamento nazionale per il cessate il fuo- co (Ncct, che raccoglie sedici gruppi etnici) ed entrambe le parti sono state in grado di appianare le differenze sul contenuto di un testo unico per un accordo nazionale di cessate il fuoco. I colloqui di pace sono iniziati a metà del 2013, ma ben presto sono stati interrotti a causa di profonde divergenze. Da allora, combattimenti sempre più intensi si sono verificati tra le forze governative e i gruppi armati kachin e palaung. A metà febbraio, un conflitto su vasta scala è scoppiato nel nord dello Stato di Shan tra l’esercito e il gruppo armato kokang, minoranza di etnia cinese. Gli scontri hanno causato decine di morti e la fuga di migliaia di civili nella vicina regione cinese. Il gruppo kokang aderisce all’Ncct, ma il Governo finora si è rifiutato di riconoscerlo come soggetto autonomo. Allo stesso tempo, il gruppo armato di liberazione nazionale Ta’ang, attivo sempre nello Stato di Shan, si è rifiutato di firmare l’intesa. Nel tentativo di fermare la rivolta kokang, alcuni giorni fa aerei da combattimento di Naypyidaw avrebbero bombardato il territorio cinese, provocando la dura reazione di Pechino. L’aviazione del Myanmar ha negato che propri aerei possano avere colpito il territorio cinese, lasciando intendere che potrebbero essere stati i kokang ad avere creato l’incidente per provocare l’intervento di Pechino. Cina e Myanmar condividono circa duemila chilometri di confine e in Cina ci sono già trentamila profughi kokang che fuggono dalle violenze. Il Governo di Naypyidaw è stato sempre protetto da Pechino di fronte al boicottaggio internazionale, ma negli ultimi anni le aperture democratiche del presidente Sein hanno avvicinato il Paese all’O ccidente. Già avviato lo sgombero delle zone più a rischio Allerta per un tifone nelle Filippine nordorientali MANILA, 4. Allarme nelle Filippine per l’arrivo del tifone Maysak. Le autorità hanno esteso lo stato di emergenza a ventiquattro province del Paese. Le prime a essere colpite, domani, dal tifone saranno le province nordorientali di Aurora e di Isabela. Per quanto abbia ridotto la sua forza, il tifone è ancora molto pericoloso, con raffiche di vento fino a centosessanta chilometri l’ora. Sono previste anche piogge intense e onde alte più di due metri. Le autorità locali hanno già avviato lo sgombero delle zone più a rischio, mentre la popolazione è stata avvertita della possibilità di frane e inondazioni. Le Filippine sono colpite, in media, da una ventina di tifoni l’anno. Maysak è il terzo del 2015, ma il primo da decenni a colpire il Paese asiatico nel periodo pasquale. Prima di abbattersi sulle Filippine, il tifone Maysak ha colpito alcune isole della Micronesia, uccidendo nove persone. Pesanti anche i costi economici in questo gruppo di seicento isole del Pacifico, dove piantagioni e coltivazioni sono state azzerate, le fonti d’acqua sono in buona parte contaminate: case, scuole ed edifici pubblici sono stati dichiarati inagibili dopo il passaggio del tifone. Con un messaggio inviato dalla capitale, Pohnpei, la missione dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) ha indicato quale principale priorità quella di garantire acqua potabile alle comunità più isolate. Il personale dell’Oim — dicono fonti di stampa — era già presente nell’area per garantire assistenza dopo il passaggio del tifone Pam, che a metà marzo ha colpito il vicino arcipelago delle Vanuatu. Blitz dell’esercito pakistano nel Baluchistan ISLAMABAD, 4. Sei militanti fondamentalisti sono stati uccisi nel Baluchistan, nel sud-ovest del Pakistan, durante un blitz per la liberazione di alcuni ostaggi. Lo riferisce oggi «The Express Tribune» citando un portavoce della forza paramilitare Frontier Corps (Fc). Tra le vittime ci sono anche due attentatori suicidi che si sono fatti esplodere quando sono stati circondati dalle forze di sicurezza. Lo scoppio ha ferito due militari. Oltre 400 uomini della forza paramilitare sono stati impegnati in una retata a Sanjawi per liberare 9 funzionari governativi sequestrati la scorsa settimana. E, intanto, l’esercito pakistano sta portando avanti — tra le montagne al confine con l’Afghanistan — una battaglia decisiva per riprendere una delle roccaforti dei talebani locali: la valle di Tirah, rifugio di centinaia di insorti e ritenuta impenetrabile. Nel frattempo, almeno sette persone appartenenti alla stessa famiglia sono state uccise ieri dall’esplosione di una bomba collocata dai talebani nella provincia di Logar, nell’Afghanistan orientale. L’incidente è avvenuto nel distretto di Barakibarak. I familiari stavano tornando da un mercato locale dove si erano recati per fare degli acquisti quando il veicolo su cui viaggiavano ha urtato un ordigno sulla strada. Proteste degli operai in Vietnam HÀ NÔI, 4. Decine di migliaia di lavoratori vietnamiti sono in sciopero da sette giorni presso una delle maggiori fabbriche di calzature e abbigliamento per marchi internazionali nel Paese. I motivi della protesta riguardano un provvedimento che rimanderebbe al momento della pensione l’erogazione del trattamento di fine rapporto anche in caso di licenziamento o di dimissioni. Nello sciopero sono coinvolti tutti gli stabilimenti di Pou Yuen, che impiegano circa ottantamila lavoratori e sono controllati dalla cinese Yue Yuen Industrial Holdings Ltd, a sua volta posseduta dalla Pou Chen Corp di Taiwan. La nuova legge sulla previdenza dovrebbe entrare in vigore nel gennaio del prossimo anno. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 5 aprile 2015 La croce di Odisseo L’ultimo ritorno di MARCO BECK Giunse infine l’anima del tebano Tiresia, (...) mi riconobbe e mi disse: «(...) Un dolce ritorno tu cerchi, glorioso Odisseo; amaro invece te lo farà un dio. (...) Ma quando, nella tua casa, avrai ucciso i Pretendenti, (...) prendi allora l’agile remo e rimettiti in viaggio: va’, fino a che giungerai presso genti che non conoscono il mare, che non mangiano cibi conditi col sale, che non conoscono navi dalle prore dipinte di rosso, né gli agili remi che sono ali alle navi. Ti indicherò un chiaro segno perché non ti possa sbagliare: quando un altro viandante, incontrandoti, ti dirà che sulla nobile spalla porti un ventilabro, pianta allora in terra il tuo agile remo, offri al dio Poseidone sacrifici perfetti (...) e fa’ ritorno a casa (...). La morte verrà per te lontano dal mare, ti coglierà dolcemente in una vecchiaia serena. Avrai intorno a te un popolo ricco e felice. Questa è la verità che ti dico» (Omero, Odissea XI 90-137, traduzione di Maria Grazia Ciani). Stampa internazionale ed eccidio dei cristiani I più perseguitati n Te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in Te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice». Le parole pronunciate dal Papa nella tarda serata del 3 aprile, venerdì santo, al termine della Via Crucis al Colosseo, sono state riprese dai giornali di tutto il mondo, che dedicano ampio spazio alla tragedia dei cristiani perseguitati. In Italia il «Corriere della Sera» riserva all’eccidio di studenti in Kenya e alle parole di Francesco il titolo di apertura della Josef Neškudla e bottega di Jablonné nad Orlicí, «Gesù cade sotto il peso della croce» prima e sei pagine interne, offrendo una mappa degli attacchi e delle violenze contro i cristiani. «Ogni mese 322 vittime. Cristiani più perseguitati in un mondo intollerante», titola il quotidiano milanese, sottolineando, a commento di una mappa sul grado di violazione della libertà religiosa, come si tratti «di uno stillicidio che si consuma ogni giorno». Tra i commenti, quello dello scrittore Paolo Giordano prende spunto da una foto scattata dalla polizia. Essa ritrae decine di corpi senza vita ammassati in uno degli edifici del campus di Garissa. «Se azzeriamo per un istante la distanza dal Kenya, se proviamo a riguardare l’immagine e sostituire alla pelle scura dei volti schiacciati una carnagione chiara, ci riconosceremo», scrive Giordano. «La Stampa» di Torino pubblica un eloquente «Bollettino della guerra ai cristiani», riprendendo il rapporto del World Watch Monitor, in base al quale ogni giorno dieci persone vengono uccise a causa della loro fede, soprattutto in Africa e, in modo particolare, in Kenya. Da parte sua «la Repubblica» offre un reportage dell’inviato Pietro del Re con interviste ad alcuni dei superDalla terza pagina del «Corriere della Sera» del 4 aprile stiti di Garissa, uno dei «I quali racconta di essere stato risparmiato perché conosceva alcuni versi del Corano. «È in questo modo che i jihadisti ci hanno separato: chiedendoci di recitare almeno un brano del loro testo sacro. Se eri in grado di farlo venivi salvato perché musulmano, altrimenti, se facevi scena muta, eri freddato perché cristiano». La stampa francese dedica da mesi grande attenzione alle persecuzione subite dai cristiani, e non fa eccezione la recente strage in Kenya. Su «Le Monde» un articolo in prima pagina, firmato da Christophe Châtelot, analizza i motivi profondi dell’attentato e delle violenze: paradossalmente, non è la povertà diffusa, ma lo sviluppo economico delle comunità cristiane della regione ad attirare l’odio. Il quotidiano «La Croix» — che da tempo, come peraltro «Le Figaro», denuncia la silenziosa strage dei cristiani — parla diffusamente dei tragici fatti kenyani, e dedica ampio spazio alle parole del Papa durante la Via crucis al Colosseo. Ieri, durante la celebrazione nella basilica vaticana della Passione del Signore, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ricordando un editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul «Corriere della Sera» del 24 luglio 2014, ha detto: «C’è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di denunciare, da laico, la inquietante indifferenza delle istituzioni mondiali e dell’opinione pubblica di fronte a tutto ciò, ricordando a che cosa una tale indifferenza ha portato nel passato. Rischiamo di essere tutti, istituzioni e persone del mondo occidentale, dei Pilato che si lavano le mani». Ricordo di Manoel De Oliveira scomparso a 106 anni Prodigi della staticità di EMILIO RANZATO Quello di vivere fino a 106 anni, ma soprattutto di girare film praticamente fino alla fine, è stato il più bel regalo che Manoel De Oliveira — nato nel 1908 a Porto, dove si è anche spento lo scorso 2 aprile — poteva fare al cinema contemporaneo, così povero di veri autori. E proprio il deserto di creatività che ha ultimamente circondato questo grande vecchio del cinema lo ha portato forse a essere alla lunga un po’ sopravvalutato, magari da quegli stessi critici che trent’anni prima abbandonavano la sala di fronte a uno dei suoi tour de force senza facili soluzioni. Eppure nel caso del regista portoghese non conta tanto la qualità dei film, quanto la filosofia che li sottende. Quel modo di accostarsi al grande schermo con un atteggiamento unico e già di per sé disorientante. Molti suoi detrattori, soprattutto in passato, hanno per esempio parlato di teatro filmato, per la staticità del suo linguaggio cinematografico e per l’apparente predominanza della parola sull’immagine. C’era da chiedersi però in tal caso perché il regista avesse allora scelto il cinema e non più semplicemente il teatro. E la risposta è che ovviamente sul palcoscenico proprio quella staticità non avrebbe avuto lo stesso effetto. De Oliveira si è quindi servito di alcuni mezzi espressivi del teatro per decostruire quelli del cine- Il regista portoghese ma. Intravedendo con molta lucidità in questo atteggiamento il modo più diretto ed efficace per esprimere la propria poetica, che è quella dello sfuggente — ma non per questo inesistente — senso della vita, della misteriosa complessità del reale. Allora più che di film migliori, ha senso parlare di film più rappresentativi. Come I misteri del convento (1995), storia di uno studioso che assieme alla moglie visita la biblioteca di un convento per cercare conferme alla sua ipotesi secondo cui Shakespeare era in realtà un ebreo spagnolo, ma il soggiorno metterà in dubbio la solidità della coppia. Partendo da un soggetto volutamente strampalato, in poche stanze e poche azioni vengono coinvolti tutti i piani dell’esistenza umana: l’amore, la storia, la cultura. E De Oliveira sembra prima volerli sprofondare in una mancanza di senso, dovuta al loro essere imperscrutabili e continuamente sfuggenti all’uomo. Poi però ne sottolinea le misteriose interconnessioni, fino a farne delle forze metafisiche. E finendo dunque per esaltarli, a dispetto del distacco beffardo nel tono del racconto. I misteri del convento è anche il film che dimostra come nel suo cinema elementi trasgressivi e anche anticlericali, se non antireligiosi, vengano sublimati in una visione alta dell’esistenza, e pregna di quel senso di mistero che ha al contrario molto di religioso. Perché a farne davvero la spese è sempre la ragione, non ciò che vi si nasconde. Francisca (1981) è invece l’esempio tipico dei suoi melodrammi: statico, fluviale, elegante fino all’astrattismo. Eppure, anche stavolta, lo sguardo non è affatto quello dell’entomologo, piuttosto quello attonito di chi si cala nelle passioni che attraversano il racconto al punto da raggiungere un senso di paralisi. E qui ben si coglie anche il significato del suo fare cinema: la mancanza di montaggio Nel caso del regista portoghese più che la qualità dei film conta la filosofia che li sottende Quell’accostarsi allo schermo in modo unico e disorientante all’interno delle scene è una precisa scelta di montaggio, radicale e coraggiosa ma soprattutto efficace, che meglio di quanto farebbe qualsiasi opera teatrale esprime tutto questo. E lo stile particolarissimo lo mette anche ovviamente al riparo dall’invecchiamento. Difficile scorgere una mano senile nei suoi film più recenti, se li si confronta con i precedenti. E allora con Ritorno a casa (2001), Un film parlato (2003), Singolarità di una ragazza bionda (2009), oltre a trovare finalmente il favore unanime della critica — suffragato da premi alla carriera a Cannes e Venezia — continua a mantenersi fedele alla sua visione del mondo. Con una coerenza e una tenacia che probabilmente vanno oltre i suoi meriti strettamente cinematografici. o visto che scendevi dalla snella nave, al porto, senza il sacro remo con il quale eri partito. Sei riuscito, dunque, a conficcarlo al suolo in qualche terra forestiera?» gli chiese trepidante la sua sposa, un velo d’incertezza inquieta steso sopra gli occhi di color del fiordaliso. Si limitò, con un cenno del capo ormai quasi del tutto incanutito, l’eroe navigatore ad annuire. «E ciò significa» Penelope riprese a interrogarlo, un sorriso esitante sulle labbra di color del croco, «che oggi sei tornato per non più salpare?». E con le braccia affusolate di color del giglio le spalle avvolse del suo uomo, ancora muscolose, e fremendo di passione se lo strinse al seno. Con la stessa intensità con cui, giovane sposo, l’aveva contemplata nel concedersi all’amore, Odisseo la fissò. Rivide concentrate sul suo viso le fattezze di Circe, di Calipso, di Nausicaa, di tutte le umane o sovrumane donne delle quali s’era, navigando interminabilmente, innamorato, senza mai nessuna amare quanto aveva amato, quanto ancora adesso amava lei, la sua regina. Saggia e nobile e matura come prima la recuperava, e insieme la trovava fresca e vitale e giovanile, come sarebbe potuta a quell’epoca apparire la figlia così desiderata che non aveva fatto in tempo, prima che gli Achei dirigessero la flotta verso Troia, a seminare in grembo alla sua sposa, donando al piccolo Telemaco, in sua assenza, una sorella. «È il mio ultimo ritorno» garantì l’eterno viaggiatore. «Accanto a te io rimarrò sino alla morte. Se questa, almeno, è volontà di Poseidone, o piuttosto di quell’eccezionale personaggio che m’indusse a piantare in terra l’agile remo della profezia». «Il viandante, intendi?». Di bruciante aspettativa s’accese lo sguardo di color acquamarina della donna. «Sì, proprio il viandante misterioso che Tiresia mi vaticinò quando, scavata una profonda fossa, dall’abisso dell’Ade lo evocai perché mi rivelasse il mio destino, la conclusione del mio peregrinare». Un’ombra attraversò quel maschio volto modellato dai venti di tempesta e dagli spruzzi. Apparve a un tratto in preda a un intenso turbamento. «In realtà non udii il viandante pronunciare — seguitò — testuali le parole tanto attese, le parole decisive che l’anima del vecchio di Tebe, l’indovino cieco, m’aveva infisso in fondo alla memoria e al cuore. Nel venirmi incontro in cima a un colle desolato, al centro d’una terra da popoli abitata che né l’uso conoscevano del sale né le navi dalle rosse prore, disse: “Quello che potrebbe sembrare un ventilabro e invece è un remo, deponi, straniero, dalla spalla e dallo a me”. S’ergeva in controluce, non riuscivo a vederne chiaramente i lineamenti. Ebbi comunque l’impressione che fosse un uomo giovane, prestante. Per un attimo pensai (sperai? temetti?) d’aver di fronte un dio disceso dall’Olimpo con sembianze umane. Ma ciò che più mi sbalordì fu che anch’egli portava sulla schiena un legno simile a un remo, ed era invece... Cosa fosse, trasalendo lo compresi quando al mio remo lo congiunse di traverso, ne formò una croce con due assi perpendicolari, e poi mi chiese di spingerne la base a fondo nel terreno: sinistro monumento, immagine tremenda, tenebrosa. E tenebre improvvise calarono in effetti su di noi, sul colle arcigno, sull’intero paesaggio circostante. E intravidi in quell’oscurità un corpo umano ap- «H peso, braccia spalancate e piedi sovrapposti e capo chino, ai legni che il viandante aveva poco prima, incrociandoli, saldato in modo che ne scaturisse quell’imprevedibile, infamante patibolo mortale. Intorno mi guardai: ed ecco che il viandante era scomparso. E di colpo mi resi allora conto ch’era lui l’uomo inchiodato alla croce, agonizzante. E mentre assistevo al suo martirio, ebbi un’intuizione: non c’era più bisogno di offrire ecatombi d’animali, carni dilaniate e sangue ruscellante, a Poseidone o ad altri dèi, essendo quello il solo perfetto sacrificio che tutti i precedenti olocausti annullava e superava. Un grido l’aria lacerò, più forte ancora dell’urlo del ciclope Polifemo. Violentemente la terra sussultò. Poi persi conoscenza, caddi in una notte fonda». «Quando mi svegliai (quanto tempo dopo, non lo so: un giorno intero? o forse due, tre giorni?), lo rividi, il viandante misterioso, il misterioso uomo crocifisso, nella luce Bassorilievo con Ulisse e Penelope (III-II secolo prima dell’era cristiana) di un’alba inconcepibilmente dolce, in mezzo a un giardino profumato di silenzio e pace. Era d’un candore abbacinante la sua lunga tunica e il suo volto più del sole, che stava in quel momento sorgendo (o risorgendo) all’orizzonte, sfolgorava. “E adesso”, prima che di nuovo scomparisse mormorò con voce molto più che solamente umana, “riparti, Odisseo, riattraversa l’invisibile confine che ti è stato donato di varcare. Fai ritorno, e sia l’ultima volta, alla tua Itaca. E godi la vita, d’ora innanzi, con la sposa che ami per tutti i giorni che mio Padre ancora ti concede sotto il sole. Sappi che ciò che hai visto uscendo dal tuo mito è destinato ad avverarsi nella storia dell’umanità, perché la sua salvezza giunga a compimento”. “Dimmi il tuo nome” avrei voluto supplicarlo. Ma s’era dileguato. Ogni cosa taceva, tranne il vento... Quanto alle vicende più o meno avventurose di questo mio ultimo ritorno, te le narrerò domani. Scende la notte. Il talamo nuziale attende i nostri corpi». «Di tutti i tuoi racconti, veritieri, verosimili o fittizi, è questo, Odisseo, certo il più incredibile; ed anche il più avvincente. Solo ti chiedo — Penelope concluse — se tu credi che potremo mai lasciare la perenne fissità del mito per entrare nel mutevole mondo della storia e le nostre vite, uomini tra uomini, nel tempo terminare. O forse poi, oltre la morte, uniti, tu e io, ancora». «Non a me — lo sposo per sempre ritrovato le rispose — ma a un altro lo dovresti domandare: a colui che, là dove il mio remo è diventato la sua croce, m’è apparso come un viandante e un essere divino, come Uomo e Dio». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 aprile 2015 pagina 5 Il dialogo tra Gesù e Maria Maddalena davanti al sepolcro vuoto Come nel giardino del Cantico dei cantici di MARIDA NICOLACI ome prima «stava» insieme alle altre donne e al discepolo amato presso la croce di Gesù così ora «sta» davanti al sepolcro. La sua presenza insaziata, tenace, nel luogo della morte e della sepoltura ricorda anche lo «stare» del testimone Giovanni dal quale prende avvio la storia discepolare (cfr. 1, 35). Il suo «stare», dunque, definisce un arco tra inizio e fine del discepolato storico di Gesù e, al contempo, inaugura l’inizio della testimonianza pasquale del Risorto. Prima dell’in- C Quattro bibliste Pubblichiamo uno stralcio del commento a Giovanni pubblicato nel libro I Vangeli tradotti e commentati da quattro bibliste (Roma, Àncora Editrice, 2015, pagine 1900, euro 46,75). contro con il Risorto, però, lo stare di Maria è caratterizzato da un lutto senza consolazione. Il verbo «piangere», che ricorre tre volte, è l’azione che maggiormente identifica la Maddalena; evoca il pianto di Maria di Betania e dei Giudei per la morte di Lazzaro (11, 31-33) ma anche il pianto dei discepoli annunziato da Gesù nell’ora delle doglie (cfr. 16, 20). Col suo pianto la Maddalena esprime tutto il peso dell’assenza del Signore e della separazione determinata dalla sua morte che, solo dopo, sarà riconosciuta come preludio di una vita ulteriore, sovrabbondante, non «toglibile» (cfr. 16, 22). Il suo piangere, tuttavia, si accompagna al medesimo gesto compiuto dal discepolo amato: chinarsi per guardare dentro (cfr. versetto 5). Il racconto giovanneo richiama, a questo punto, la tradizione sulla visione angelica avuta dalle donne (cfr. Matteo, 2-7; Marco, 5-7; Luca, 4-7.23), ma attribuisce a essa tutt’altra funzione. Dalla bocca degli angeli in bianche vesti, infatti, non viene alcun annunzio pasquale. Il dialogo con loro serve perché la Maddalena espliciti nuovamente, stavolta in prima persona singolare, il profondo smarrimento per la perdita del «suo Signore» che essa cerca cadavere («Donna, perché piangi?»). Con la loro presenza, d’altronde, essi esprimono già l’irruzione della vita divina nel luogo della morte. La loro posizione fisica, che evoca quella dei cherubini l’uno di fronte all’altro ai lati del propiziatorio dell’arca dell’alleanza (cfr. Esodo, 25, 17-22; ,6-9; Numeri, 7, 89; I Re 8, 6s), richiama al lettore la verità sul «corpo» di Gesù, «santuario» della presenza di Dio, e il segno promesso del suo rialzamento (cfr. 2, 18-22). Nemmeno la parola degli angeli, però, determina alcun cambiamento della situazione. L’azione trasformatrice è riservata al propria identità («Sono io») e consegnanSignore stesso. I versi sono aperti e chiusi dosi liberamente in vista della morte (cfr. dalla ricorrenza del verbo «volgersi». Giovanni, 18, 1-11), alla ricerca della disceAll’inizio Maria volge il suo sguardo all’in- pola nel giardino della sepoltura Gesù ridietro, cioè fuori dal sepolcro dove esso sponde chiamandola per nome («Maria!»), era fissato nel desiderio del corpo-cadave- dicendo cioè la sua identità così come egli re, e vede Gesù presente pur senza ricono- la conosce. La risposta di riconoscimento scerlo (versetto 14); alla fine, lo volge nuo- della discepola, udita la voce del Maestro, vamente a Gesù in risposta al suo richiamo a questo punto non si fa più attendere ed personale riconosciuto e inequivocabile è ben espressa dall’appellativo aramaico (versetto 16). Il riconoscimento, infatti, av- con cui si rivolge con intimità a Gesù (rabviene attraverso il dialogo con lui in un bunì, versetto 16). Il suo incontro con il Riduplice scambio di battute. sorto, fatto di reciproco riconoscimento, riNel primo (versetto 15) Gesù ripete la chiama l’incontro di Gesù con Natanaele, domanda degli angeli ma la amplifica in- ultimo dei primi cinque discepoli (cfr. 1, terrogando la donna anche sul termine 47-49). La risurrezione, dunque, non è anpersonale della ricerca che il suo pianto nunciata formalmente («È risorto», cfr. esprime («Chi cerchi?»). La domanda di Matteo, 28, 6; Marco, 16, 6; Luca, 24, 6) ma Gesù richiama quella con cui egli aveva esperita come inveramento pieno, oltre la esplicitato e accolto l’intenzione di sequela morte, della relazione personale e della codei primi discepoli (cfr. 1, 38: «Che cosa noscenza reciproca storicamente vissuta col cercate?»). Maestro. Il contesto scenico, quello del «giardiLa parola che Gesù rivolge a Maria dono» in cui il sepolcro si trova, permette po essersi fatto riconoscere presuppone un l’equivoco della Maddalena che scambia Gesù per il «giardiniere» e chiede a lui conto del suo stesso corpo («Se lo hai portato via tu»)! L’ironia nascosta nel fraintendimento si colora di ANNA ACHMATOVA dell’allusione al Canti- La crocifissione co che paragona l’amata a un giardino (4, 12-5, 1; 6, 1-2) e la ritrae alla ricerca dell’amato (3, 1-4; 5, 6-8), per due volte invitata a voltarsi (7, 1). A differenza della ricerca che si svolge nel «giardino» dell’arresto alla quale Gesù risponde dicendo la Non piangere per Me, Madre, vedendomi nella tomba 1. Salutò l’ora suprema un coro d’angeli e i cieli si dissolsero nel fuoco Disse al Padre: «Perché Mi hai abbandonato?» E alla Madre: «Oh, non piangere per Me» 2. Si straziava e singhiozzava Maddalena il discepolo amato era impietrito Ma là dove muta stava la Madre nessuno osò neppure guardare gesto che il testo non descrive («Non continuare a tenermi», versetto 17a) e risponde alla mancata conoscenza del «dove» di Gesù («Salgo al Padre mio», versetto 17b) che determinava l’angoscia della donna. Il gesto presupposto, che implica la soluzione del problema della scomparsa del corpo di Gesù dal punto di vista della trama di azione, è il contatto fisico di Maria con il corpo del Maestro (cfr. Cantico, 3, 4). Benché sperimentato come segno della verità della risurrezione, questo contatto però non può essere prolungato ulteriormente. La glorificazione-innalzamento di Gesù, cioè il suo «passaggio» pasquale dal mondo al Padre (cfr. 13, 1) come vittoria piena sulla morte, sul mondo e sul suo «principe» (cfr. 12, 31-33; 16, 33), comprende necessariamente la fine delle modalità storiche del suo incontro e contatto con «i suoi». Non è attraverso distinte e interminabili apparizioni individuali che egli sarà presente e riconoscibile come vivente, bensì nel potere — espresso nel dono dello Spirito (cfr. 7, 39; 16, 7; 20, 21-23) — di associarli pienamente a sé e al proprio rapporto col Padre in una relazione di reciproca immanenza consentita dall’amore per lui e per i fratelli e dalla custodia fattiva della sua parola (cfr. 6, 56s; 13, 34s; 14, 15-26; 15, 9-17). La metafora spaziale del «salire al» Padre, dal quale Gesù viene e al quale deve tornare, esprime ora più chiaramente l’alterità divina e permette di comprendere il fine e significato ultimo della relazione discepolare stabilita storicamente con Gesù: originata da e nel rapporto con Dio Padre (cfr. 6, 45) termina essenzialmente in lui. La relazione col Padre, la destinazione a lui, è il «dove» di Gesù Figlio (cfr. 14, 10s; 16, 28) e nel suo movimento compiuto, incessante e perfetto, verso il Padre (cfr. 1, 18) sarà anche il «dove» dei discepoli (cfr. 12, 26; 14, 3s; 17, 24), diventati a loro volta figli di Dio, partecipi come singoli e come La Risurrezione secondo Matthias Grünewald di BO GDAN TATARU-CAZABAN* I Vangeli sono tutti di una sconvolgente discrezione: annunciano la Risurrezione senza descriverla; ne proclamano la realtà senza dire come Cristo è risorto dai morti. Essi preservano così il cuore del mistero e scelgono di comunicarlo attraverso le apparizioni di Cristo che, dopo la Risurrezione, è in un’altra condizione — può essere presente senza essere riconosciuto, può attraversare le porte sbarrate — e si rivela rivolgendosi ai suoi, come fa con Maria di Magdala, quando la chiama per nome, o attraverso le parole che accendono in quelli che ascoltano il fuoco della fede. Cristo risorto si comunica già attraverso una sottigliezza della parola in grado di farci vedere con gli occhi dello spirito e del cuore. È lo stesso e tuttavia è diverso, portatore di un’alterità che non altera l’identità della persona, ma la colloca in una realtà in cui il corpo non veste lo spirito, ma lo svela; non è contro lo spirito, ma ne è proprio l’espressione e manifesta il volto interiore. Il mondo che Cristo rende presente attraverso la sua Risurrezione è il mondo della trasparenza, della piena coincidenza del corpo con lo spirito, della loro unità trasfigurata attraverso la vittoria sulla morte. Ciò che i Vangeli non dicono non è rimasto, tuttavia, nella zona dell’ineffabile e dell’invisibile, non era possibile. La storia del cristianesimo è anche una storia delle forme che riflettono significati che attribuiamo alla Risurrezione. In questa prospettiva, tra i maestri Hans Holbein il Giovane, «Noli me tangere» (1524, particolare) Trafitto il velo della notte dell’arte occidentale, Matthias Grünewald (1480-1528) trasmette in modo diverso il mistero della Risurrezione, con un’intensità e una profondità teologale mai raggiunte prima di lui. Sull’altare di Isenheim la sua singolarità artistica si manifesta pienamente nella rappresentazione del Cristo risorto che non vediamo uscire vittorioso dal sepolcro mentre solleva il vessillo crociato come, per esempio, in Piero della Francesca o in tanti altri. Sebbene la parte inferiore della tavola conservi la scena tradizionale delle guardie del sepolcro, sorprese dal sonno e terrorizzate da ciò che accade, Grünewald dipinge un Cristo trasfigurato che infilza il “velo” della notte cosmica del silenzio e dell’attesa. Il suo corpo diffonde la luce interiore della natura divina; è, di fatto, una concentrazione di luce, un «riflesso della divinità», come diceva Gregorio Nazianzeno, che si fa visibile attraverso una creatura trasparente, di una mitezza infinita, la cui vittoria ha il volto eterno dell’amore. Matthias Grünewald, «Risurrezione» (1512-1516) Il potere di Cristo risorto è, nella visione di Grünewald, l’espressione del suo amore che si mostra ai nostri occhi attraverso la manifestazione riconciliata — sotto la forma di una croce che comprende tutto l’universo — dei segni della sofferenza divenuti sorgente di luce. La porpora del sudario, che lo accompagna nel suo fluttuare immateriale, si trasforma nella luce dorata della gloria che travolge il suo corpo e lo trasfigura. La porpora del sacrificio con il quale attraversa i cieli è assorbita dalla luce della gloria increata. Comunicando tra loro nella persona del Cristo, il creato e il non-creato svelano nella Risurrezione il cuore della loro relazione misteriosa. Sorprende come questo maestro dell’arte occidentale riesca a trasmettere i sensi più sottili della teologia orientale sul corpo di Cristo. In Oriente, si sa, l’icona della Risurrezione mostra il Cristo disceso agli inferi, mentre ne frantuma le porte e attira a sé, attraverso Adamo ed Eva, quelli che aspettano la redenzione. L’Oriente non immagina la Risurrezione come un trionfo singolare nella persona di Cristo, ma proprio in quest’atto trionfale sulla morte la Risurrezione viene intesa come una discesa per gli altri, un atto di umiltà che Cristo assume nell’Incarnazione. Perché soltanto attraverso questo svuotamento di sé, nel nascondimento della sua divinità, il Cristo-uomo popolo della nuova alleanza compiuta nel Cristo davidico (cfr. II Samuele 7, 14;89, 27; Osea, 2, 25; Geremia, 31, 33; Giovanni, 1, 12s; 1 Giovanni, 3, 1-2; Apocalisse, 21,7). Alla fine del racconto, dunque, il corpo di Gesù è recuperato e il suo «dove» è svelato perché ne sia manifestato il significato relazionale ai discepoli-fratelli e al Padre. Nella «ascensione» al Padre, che definisce metaforicamente la sua nuova condizione di esistenza in quanto innalzato-glorificato, non è rivelato solo il compimento Il «non continuare a tenermi» non è la fine di una storia relazionale Ma la condizione perché sia feconda del destino di Gesù ma anche la vocazione ultima dei credenti in lui, ormai definiti «fratelli». Ancora una volta, non è l’uso formale della categoria di «risurrezione» che caratterizza il racconto pasquale di Giovanni, bensì quella relazionale del movimento definitivo verso il Padre in atto di compiersi e di esser partecipato ai discepoli anzitutto mediante la parola che lo annunzia. Il nuovo rapporto della Maddalena con il corpo del «suo Signore» risorto starà tutto dentro questa parola («Non continuare a tenermi... Va’, invece, dai miei fratelli e di’ loro»): la parola della glorificazione, infatti, dovrà dirla Maria e risuonerà come parola-azione del Risorto proprio nella bocca della discepola. Il «non continuare a tenermi» non è la fine di una storia relazionale ma la condizione perché essa, inverata e rinnovata nella sua struttura, sia feconda e si traduca in missione di annunzio. ria». La trasfigurazione del corpo, dell’umanità unita alla divinità, è l’espressione stessa della comunione trinitaria: attraverso il suo corpo, dal figlio sgorgano luce, santità e divinità, in quanto egli è in piena comunione con il Padre e con lo Spirito. ha ingannato gli inferi. Pagine di Non comprenderemmo lo shock Gregorio di Nissa, per esempio, ri- dell’apparizione di Cristo risorto, se flettono sull’«astuzia» divina dell’as- non lo rapportassimo all’Uomo dei sunzione della natura umana e dolori che Grünewald ha dipinto per dell’accettazione della morte, in virtù gli infermi accuditi dai membri della quale il Figlio di Dio rende dell’Ordine di Sant’Antonio di Isepossibile l’incontro tra realtà che nheim. L’uomo che «non ha appanon potevano incontrarsi: «Per la renza né bellezza», profetizzato da prossimità della morte alla vita, del Isaia (53,2), il corpo che si è fatto febuio alla luce, della corruzione rita, che strazia lo sguardo, si manifesta, dopo la Risurrezione, come bellezza soprannaSorprende turale e sovrana. I segni della flagellacome questo maestro dell’arte occidentale zione e della deririesca a trasmettere sione sono immersi nella luce, e tuttavia i sensi più sottili della teologia orientale le ferite della Croce sul corpo di Cristo non spariscono dal corpo di colui che è risorto: sono le feriall’incorruttibile viene allontanato e te attraverso cui egli ha vinto e reannientato il male». La discesa agli dento il mondo, per cui la natura inferi ha il senso di questa prossimi- umana è stata liberata e innalzata. Il tà inimmaginabile che ha ribaltato la bizantino Cabasilas diceva che Crilogica del peccato e l’ordine della sto ha conservato «sul corpo la testimorte. monianza del suo sacrificio, volendo La tavola di Grünewald non ci di- mostrare che anche nella seconda vece niente della Risurrezione che co- nuta, nella luce accecante sarà, per i mincia negli abissi della terra, tra cosuoi servi, lo stesso crocifisso e traloro che si trovano «nell’ombra della morte», né però si allontana dal sen- fitto, le cui ferite hanno preso il poso della spiritualizzazione del corpo sto degli ornamenti regali». di Cristo che irradia, secondo la visione del teologo ortodosso romeno *Ambasciatore di Romania presso Dumitru Stăniloae, «potere e glo- la Santa Sede L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 5 aprile 2015 Dai musulmani in Russia una fatwa contro l’Is Piano della polizia di Delhi per proteggere scuole e istituzioni cattoliche Una Pasqua sotto sorveglianza DELHI, 4. È stata una settimana santa inevitabilmente condizionata dalle misure per la sicurezza, quella vissuta dai cristiani in India. Presso numerose chiese, ma anche presso gli istituti scolastici gestiti da istituzioni religiose, la polizia ha predisposto presidi e pattugliamenti, nel timore che nuovi attacchi possano funestare le festività pasquali. Le misure più estese riguardano Delhi, dove il piano di protezione ha riguardato 259 fra chiese, scuole e centri cattolici. La misura — ha scritto il quotidiano «The Indian Express» — si è resa necessaria dopo che dal novembre scorso si sono ripetuti episodi di attacchi a edifici cattolici, fra cui cinque chiese. Un alto responsabile della polizia della capitale indiana ha detto che «dopo l’attacco dell’1 febbraio scorso all’Auxilium School di Vasant Vihar abbiamo realizzato un’ampia revisione dei piani di protezione, che sono stati rafforzati per le 259 istituzioni identificate». Nei giorni scorsi, la polizia di Delhi ha anche attivato una pagina facebook per raccogliere ed esaminare le denunce dei cittadini cristiani in materia di sicurezza e ordine pubblico. Il provvedimento è stato varato dopo l’escalation di attacchi che si è verificata negli ultimi mesi. Nella nuova pagina in rete, intitolata «Delhi Police Minority Brethren», la polizia scrive: «Fratelli e sorelle cristiani, questa pagina è stata progettata dalla polizia per dare al popolo cristiano a Delhi la possibilità di segnalare questioni relative all’ordine pubblico, con particolare riferimento alla sicurezza delle chie- L’iniziativa di riformati e anglicani membri del Wcc Misure eccezionali contro la crisi climatica GINEVRA, 4. Nuove, significative iniziative in tema di giustizia ambientale sono state lanciate da anglicani e riformati del World Council of Churches (Wcc). In Scozia, il sinodo della United Reformed Church ha stabilito recentmente di ritirare ogni investimento nel settore dei combustibili fossili e di non effettuarne altri in futuro. La decisione dei riformati ha fatto seguito a all’analoga dichiarazione «The World is Our Host: A Call to Urgent Action for Climate Justice», diffusa alla fine del mese scorso alla Comunione anglicana, che detta la strategia in materia di difesa del clima e dell’ambiente per gli 85 milioni di suoi fedeli sparsi nel mondo. In particolare, la dichiarazione anglicana impegna i vescovi a intraprendere una serie di iniziative concrete. Tra queste, la riduzione dei consumi energetici nei luoghi di culto, l’utilizzo di energia rinnovabile; l’applicazione di tecniche di coltivazione biodinamiche nei terreni della chiesa. Ora, il gruppo formato da vescovi riformati e anglicani del Wcc, provenienti da quei Paesi che sono tra i principali responsabili del cambiamento climatico e da Paesi che producono bassi livelli di carbonio ma sono fortemente colpiti dall’emergenza climatica, ha deciso di intraprendere un’azione comune. L’arcivescovo anglicano di Città del Capo e primate del Sud Africa, Thabo Makgoba, ha spiegato che è necessario accettare il fatto scientifico che «l’attività umana, soprattutto le economie basate sui combustibili fossili, è la causa principale della crisi climatica. Il problema è spirituale oltre che economico, scientifico e politico. Siamo stati complici in una teologia di dominio. Mentre Dio ci ha affidato la cura del creato, noi siamo stati incuranti. Ma non senza speranza». I vescovi anglicani infatti hanno elogiato le iniziative in corso a difesa del clima, fra le quali i digiuni e le preghiere da scolgere ogni primo del mese, e hanno evidenziato come siano le donne a essere la maggioranza dei più poveri del mondo e quindi le persone colpite più duramente dal cambiamento climatico. In alcune aree del mondo, le donne, ha spiegato il vescovo anglicano di Swaziland, Ellinah Wamukoya, dipendono in maniera più stretta dalle risorse naturali per la loro sussistenza, «pertanto il loro contributo è essenziale nelle decisioni che riguardano il cambiamento climatico.». Il vescovo anglicano di Salisbury, Nicholas Holtam, ha accolto con favore l’invito ad affrontare ciò che viene definita una «crisi climatica senza precedenti». In generale, secondo alcuni membri del gruppo del Wcc, rilasciare questa dichiarazione durante la settimana santa, sollecitando la risposta di tutte le comunità ecclesiali su questo tema «è un segno della serietà con la quale guardiamo alla crisi derivante dal cambiamento climatico». Per quanto riguarda i riformati scozzesi la risoluzione approvata durante il loro sinodo avrà come conseguenza la revisione dei propri accordi finanziari e l’analisi degli investimenti al fine di verificare che questi non mettano in pericolo l’ambiente. Secondo John Humphreys, moderatore del sinodo della United Reformed Church della Scozia, il sinodo «ha dimostrato un chiaro impegno a favore degli investimenti etici attraverso un’azione positiva contro i cambiamenti climatici». Humphreys ha parlato anche del ruolo che tutte le comunità ecclesiali possono svolgere nel dibattito sul cambiamento climatico. «Speriamo e preghiamo — ha concluso — che le altre Chiese si sentano in grado di rispondere eticamente alla crescente minaccia di questo catastrofico cambiamento». se e delle istituzioni educative». Un funzionario è stato incaricato di seguire, in particolare, i problemi delle comunità di minoranza. Qualcosa, a favore della sicurezza dei cristiani, sembra dunque muoversi, almeno a livello locale. Il mese scorso, il primo ministro Narendra Modi, dopo la lunga scia di episodi di violenza, aveva detto che il suo Governo non permetterà a nessun gruppo religioso di «incitare all’odio o di compiere violenza religiosa». Alcune ong tuttavia ritengono che, nonostante le rassicurazioni, gli attacchi, a tutti i livelli, contro le comunità cristiane continuino, dando l’impressione che «ai fondamentalisti venga dato il via libera. Sembra che ci sia un piano sinistro per disturbare il tessuto laico e pluralista dello Stato». Intanto, mentre l’arcivescovado di Delhi ha mostrato nei giorni scorsi di non lasciarsi intimidire dalle violenze, annunciando un fitto un piano di celebrazioni religiose nella cattedrale del Sacro Cuore e nelle altre chiese della capitale, proseguono le inchieste sugli attacchi terroristici avvenuti nel Paese. Altre quattro persone sono state arrestate in relazione allo stupro dell’anziana religiosa avvenuto nel Bengala occidentale. La polizia ha precisato che tutti e quattro gli uomini sono del Bangladesh e che sono stati fermati nello Stato settentrionale del Punjab. Nella sofferenza la speranza dei nuovi battezzati indiani MUMBAI, 4. Sono molti gli adulti che, nella diocesi di Vasai (nello Stato indiano di Maharashtra), hanno chiesto di essere battezzati. Il rito sarà celebrato nella notte di Pasqua e rappresenta un segno di grande speranza per una comunità che sta soffrendo la persecuzione. «Noi cristiani — ha spiegato ad AsiaNews monsignor Felix Anthony Machado, vescovo di Vasai e presidente dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Federazione delle conferenze episcopali asiatiche — siamo fortunati, perché Cristo non solo ci ha insegnato il significato della redenzione della sofferenza, ma ce lo ha mostrato anche con l’esempio. È questo ciò che noi stiamo celebrando. Infatti la sofferenza va oltre la comprensione umana. Ma la fede della Chiesa ci fa scoprire di essere in unione con il Signore e capire, in questo modo, il senso della sua sofferenza». La Chiesa «non attira né forza nessuno alla fede — ha precisato in vescovo — ed è perciò straordinario che tanti adulti abbiano richiesto di abbracciare il cristianesimo. Come pastore è molto consolante vedere tante persone in cerca di Dio, che hanno avuto un incontro con Cristo e sono venute liberamente a chiedere di essere battezzate. La preparazione al sacramento dell’iniziazione cristiana dura per gli adulti circa un anno, e queste persone sono affamate di conoscere la fede». MOSCA, 4. Il Consiglio spirituale musulmano della Russia ha emesso, martedì scorso, una fatwa nella quale viene sottolineato che l’ideologia del cosiddetto Stato islamico (Is) è essenzialmente antireligiosa. «Gli aderenti all’Is — si legge nella dichiarazione — erroneamente interpretano l’islam come una religione rozza, di brutalità, di tortura, di violenza, di uccisione di chiunque sia in disaccordo con loro. Questo è un grave crimine contro l’islam e i musulmani di tutto il mondo», sottolinea la fatwa, rilasciata dal consiglio degli ulema e pubblicata sul sito in rete dell’organismo islamico. Chi sposa tali credenze, continua la dichiarazione, merita l’isolamento: «Militarmente, jihad significa per i musulmani combattere coloro che combattono contro di loro, ma non combattere coloro che non sono in contrasto con loro, né significa opprimere quelli che non li opprimono. L’islam proibisce l’uccisione di civili, detenuti, emissari (la fatwa sostiene che i giornalisti possano essere considerati emissari) e di operatori umanitari. Il Corano — prosegue il documento — prescrive pene rigorose per gli atti violenti come bombardamenti, omicidi, sequestro di ostaggi e altri atti terroristici. Se persone innocenti muoiono in un atto terroristico, quest’ultimo diventa ancora più peccaminoso». Inoltre, secondo i musulmani russi, «l’islam vieta a qualsiasi territorio di dichiararsi califfato senza una shura o una consultazione con la comunità musulmana locale». «Dichiarare un califfato senza shura — conclude il decreto diffuso dai musulmani della Russia — è una forma di fitna (sedizione) perché lascia un gran numero di musulmani che sono in disaccordo con questo califfato fuori da esso. Inoltre, porterà alla nascita di una moltitudine di califfati rivali isolati, e successivamente a disordini e discordia tra i musulmani». I salesiani unici sacerdoti presenti nello Yemen Nel buio una candela SAN’A, 4. «Anche se già prima era in corso una guerra civile, Aden era un luogo sicuro, con la presenza stabile di numerose ambasciate, i loro servizi di sicurezza e l’esercito. Ma ora è diverso. Attualmente non ci sono ambasciate ad Aden e quei Paesi presenti con forze di protezione o impegnate nell’addestramento militare hanno richiamato il proprio personale. Anche molte grandi compagnie, aziende e famiglie benestanti se ne sono andate». Dallo Yemen lacerato dal conflitto arriva la testimonianza dei salesiani presenti (da ventotto anni) a San’a, la capitale, e ad Aden, Taiz e Hodeida. La loro sicurezza è seriamente minacciata e nei giorni scorsi non sono mancati momenti di grande paura, per il lancio di razzi, «spari e grida attorno alla chiesa, il boato delle esplosioni e dei missili caduti a cinque, dieci chilometri di distanza». Abitualmente i religiosi si riuniscono una volta al mese, per avere un momento di condivisione e confronto e fare esperienza di comunità, anche per affrontare le difficoltà dovute alla loro condizione di vita solitaria in un am- biente totalmente non cristiano. I cinque salesiani presenti — riferisce l’Ans, che ha pubblicato una breve cronaca dei fatti accaduti negli ultimi giorni — sono gli unici sacerdoti cattolici nello Yemen. Si prendono cura delle tre chiese riconosciute ad Aden e dei cattolici immigrati lì, provenienti in particolare da Filippine e India, molti dei quali lavorano come infermieri. Inoltre i religiosi assicurano l’assistenza spirituale alle Suore della Carità (l’unica altra congregazione religiosa cattolica presente) impegnate in una serie di attività umanitarie negli ospedali, nei centri per gli anziani, gli infermi e i bambini bisognosi. A San’a i salesiani offrono assistenza spirituale anche ai funzionari cattolici delle missioni diplomatiche di varie nazioni. I recenti avvenimenti rendono la vita più difficile che mai. La mancanza di un potere centrale autorevole, la divisione in fazioni dei militari e di altri settori delle istituzioni, il ritiro delle missioni diplomatiche estere e anche il richiamo da parte dell’India dei suoi circa quattromila cittadini, sono fonti di ulteriore incertezza. I presuli filippini favorevoli alla regione autonoma Per la pace a Mindanao MANILA, 4. L’istituzione, in via definitiva, di una regione autonoma musulmana è essenziale per pacificare le Filippine del Sud. È quanto, nella sostanza, sostiene la comunità cattolica locale in una fase cruciale per la storia del Paese. È infatti all’esame del Congresso l’approvazione di un disegno di legge che, ratificando l’accordo siglato un anno fa, prevede l’istituzione della regione del «Bangsamoro», nel quadro di una autonomia amministrativa per le popolazioni musulmane (oltre 5 milioni di cittadini) residenti a Mindanao. L’accordo è però in bilico dopo il clamore suscitato dalla strage di Mamapasano, dove il 25 gennaio scorso 44 militari filippini sono stati uccisi da un attacco dei guerriglieri. L’opinione pubblica è divisa e molti vorrebbero interrompere il processo di pace. In questo scenario, il presidente Benigno Aquino III ha invitato i cardinali Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, e Orlando B. Quevedo, arcivescovo di Cotabato, nonché il presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, Socrates B. Villegas, a prendere parte a uno speciale «Consiglio dei leader». Gli ecclesiastici saranno accanto a politici e giuristi per studiare la legge su Bangsamoro, proponendo miglioramenti e modifiche. Si tratta di un vertice che chiama a raccolta le energie migliori del Paese, nel tentativo di raggiungere il sospirato obiettivo della pace. Il cardinale Tagle ha già accettato, mentre il cardinale Quevedo, residente a Mindanao, in una lettera aperta ai legislatori, ha affermato che la Chiesa vede nella nuova regione autonoma per i musulmani una «reale chance per la pace». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 aprile 2015 pagina 7 Dopo il fallimento dei colloqui di pace in Sud Sudan si continua a morire Un nuovo grido di dolore A lezione da madre Rosemary Così in Uganda tornano a vivere le ex bambine soldato KAMPALA, 4. «Nel 2001, andai a Gulu per rilanciare la scuola di sartoria per le ragazze del luogo. La scuola di Santa Monica era in uno stato di abbandono e in un complesso scolastico costruito per ospitare trecento studentesse ne erano rimaste soltanto una trentina». Madre Rosemary Nyirumbe ricorda così gli esordi della sua missione in Uganda. Fu in quella occasione che scoprì che parecchie ragazze erano state rapite dai ribelli dell’Lra, la milizia che per venticinque anni ha terrorizzato la popolazione dell’Uganda settentrionale, saccheggiato villaggi, compiuto stragi. E, appunto, rapito circa 30.000 bambini e bambine. Le bambine subirono la stessa sorte dei loro compagni maschi, addestrate a usare le armi e costrette a compiere atrocità anche contro i loro famigliari. A ciò si aggiunse l’atrocità della violenza sessuale. La pace in Uganda è tornata nel 2007, ma per le ex bambine soldato è come se la guerra non fosse finita perché hanno subito traumi che continuano a segnare la loro vita e hanno bisogno di sostegno nel lungo cammino di guarigione e riconciliazione interiore. Madre Rosemary ne è consapevole ed è per questo che prosegue con determinazione i programmi di formazione umana e professionale presso quella stessa scuola di Santa Monica, che oggi comprende anche corsi di cucina etnica e catering. La religiosa ha anche lanciato un messaggio radiofonico invitando le ragazze scappate dai ribelli a frequentare la scuola, per imparare un mestiere e sostenersi economicamente. Queste ragazze, spiega la religiosa all’agenzia Misna, hanno ancora oggi un enorme bisogno di essere ascoltate e di condividere con persone di fiducia quanto hanno patito, ma sono bloccate dalla paura. «Un giorno — ricorda madre Rosemary — chiesi a una delle ragazze, Jewel, perché non guardava mai in faccia le persone. “Perché ho un forte bruciore agli occhi”, mi disse. La risposta era poco convincente. Alla fine, si decise a parlare. Rapita da bambina era rimasta per nove anni con i ribelli dell’Lra. Sfruttata, addestrata all’uso delle armi, una volta diventata comandante aveva guidato razzie nei villaggi, derubato la gente e chiunque avesse fatto resistenza. Ora guardava per terra e non negli occhi delle persone per timore che qualcuno la riconoscesse. Dopo aver guadagnato la sua fiducia la invitai un giorno a venire con me al mercato e piano piano cominciò a liberarsi dalla paura e ad aprirsi». C’è, insomma, una forte resistenza da parte delle ragazze a parlare del loro passato. Per madre Rosemary, «ciò che dobbiamo fare è amarle, accettarle così come sono senza giudicarle, ascoltarle e guadagnare la fiducia. Non cerchiamo di far ricordare loro il passato. Quando saranno pronte parleranno, si confideranno. Si portano dentro storie tremende difficili da sopportare anche per un adulto. Alcune di loro sono state violentate davanti ai genitori prima di essere rapite e portate nella foresta. Altre dopo essere state sequestrate sono state rimandate indietro nelle proprie famiglie costrette a uccidere genitori, fratelli, sorelle e parenti». Storie raccapriccianti di fronte alle quali, «la cosa importante è manifestare un amore incondizionato. Sentendosi amate, le ragazze gradualmente arrivano ad accettare anche i figli frutto di violenza, liberandosi da sentimenti di odio». Così, piano piano le ragazze acquistano fiducia. «Molte ragazze con cui ho lavorato hanno imparato a perdonare i loro rapitori, ma non se stesse. Sono ancora angosciate, oppresse dal senso di colpa per gli atti brutali che sono state forzate a commettere per salvare la propria vita. A loro ripeto sempre che non c’è peccato che Dio non possa perdonare, e aggiungo: “Voi siete già state perdonate. Gesù inviato dal Padre ha dato la sua vita per renderci liberi”». Tuttavia, aggiunge la religiosa, «il perdono è un lungo cammino. Non si può pretendere che memorie dolorose del passato siano sanate in un’ora, in un giorno. Sta a noi camminare al fianco di queste persone ferite, sostenendole nei momenti di debolezza e scoraggiamento. L’amore incondizionato che manifestiamo le aiuta a risollevarsi e ripristinare dignità e pace della mente e del cuore. Spero che una volta uscite dalla scuola abbiano la capacità di perdonare gli altri così come Dio ha perdonato loro, e accettare gli altri nello stesso modo in cui loro sono state accettate». I vescovi francesi sul progetto di legge di riforma del sistema sanitario nazionale Difesa integrale della persona PARIGI, 4. Soppressione del periodo di riflessione prima di un’interruzione volontaria di gravidanza, autorizzazione al prelievo di organi anche senza l’autorizzazione del donatore o dei familiari, sperimentazione delle sale di consumo a minore rischio (le cosiddette salles de shoot) per i tossicodipendenti, contraccezione d’urgenza per le mino- Lutto nell’episcopato Monsignor William Benedict Friend, vescovo emerito di Shreveport, negli Stati Uniti d’America, è morto giovedì 2 aprile a Coral Springs, in Florida, all’età di 83 anni. Il compianto presule era nato a Miami il 22 ottobre 1931 ed era stato ordinato sacerdote il 7 maggio 1959. Eletto alla Chiesa titolare di Pomaria e nel contempo nominato ausiliare di Alexandria-Shreveport il 31 agosto 1979, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 30 ottobre. Trasferito ad Alexandria-Shreveport il 17 novembre 1982, quando il 12 ottobre 1986 le due sedi erano state separate, era rimasto alla guida della diocesi di Shreveport. Il 20 dicembre 2006 aveva rinunciato al governo pastorale. Le esequie saranno celebrate il 14 aprile nella cattedrale di Saint John Berchmans a Shreveport, in Louisiana. ri: sono i quattro punti affrontati dalla Conferenza episcopale francese nel comunicato dal titolo «Loi santé: la personne humaine risque d’être dégradée», diffuso mercoledì scorso sul progetto di legge riguardante la modernizzazione del sistema sanitario, dal 31 marzo in discussione all’Assemblea nazionale. Misure che, per i vescovi, «rappresentano una minaccia per la giusta comprensione della persona umana». Adottato in Commissione affari sociali, l’emendamento che sopprimerebbe il periodo di riflessione (tra la prima e la seconda consultazione) di fronte a un’interruzione volontaria di gravidanza «rafforza la banalizzazione dell’aborto, atto che porta a eliminare la vita». Ma abortire — si legge nella nota — «non sarà mai banale, qualunque siano le ragioni». Il periodo di riflessione garantisce una reale presa di coscienza della donna e la sua libertà di scelta. Eliminarlo riduce il concetto di dignità umana «facendo del nascituro un semplice oggetto di cui si può disporre liberamente e togliendo alla donna incinta i modi per esercitare la sua piena libertà di coscienza». La Chiesa al riguardo «continuerà ad accompagnare le coppie e le donne poste di fronte a questo doloroso problema». Altro aspetto controverso del disegno di legge è la possibilità del prelievo di organi senza consultazione dei familiari nel caso in cui il defunto non sia iscritto nel registro nazionale dei rifiuti, quando cioè non abbia messo nero su bianco il suo no alla donazione dei propri organi. Secondo l’episcopato è «un passo indietro» poiché, dal 1994, in assenza di tale iscrizione la famiglia della persona deceduta deve essere ascoltata dai medici per dare l’assenso al prelievo. «L’emendamento che propone di eliminare la consultazione dei parenti, al fine di consentire più prelievi, è una pura negazione di questa ultima libertà che occorre lasciare al defunto e alla sua famiglia», e «rischia di provocare una sfiducia ancora più grande di fronte alla donazione di organi e di raggiungere un obiettivo contrario a quello cercato». La donazione di organi — scrivono i vescovi — «è atto di grande dignità perché resta un dono, espressione di una libertà individuale pienamente consentita, segno di solidarietà da parte del donatore che bisogna incoraggiare». La legge deve promuovere la donazione di organi attraverso campagne d’informazione basate sulla responsabilità, «non ridurre il cittadino a un semplice serbatoio di organi». Netta contrarietà poi alla sperimentazione delle salles de shoot, dove i tossicodipendenti potrebbero consumare la loro dose di droga sotto stretto controllo medico. «La legge deve porre dei limiti, non proporre delle trasgressioni. Il pericolo è di dare un cattivo segnale ai giovani», si afferma. Riguardo infine alla contraccezione d’urgenza per le minori, alcune modifiche limitanti l’intervento degli adulti rischiano, per i vescovi, di lasciare le adolescenti sole nell’esercizio dei primi discernimenti sul loro corpo, «facendo scintillare una falsa immagine della libertà, fatta non di scelta ma di assenza di scelta». JUBA, 4. «Fermate subito questa guerra insensata», è stato l’appello lanciato dai leader cristiani del Sud Sudan e contenuto in un messaggio pubblicato al termine della riunione del South Sudan Council of Churches (Sscc) dopo il fallimento dei colloqui di pace, avviati diversi mesi fa ad Addis Abeba. «Se i nostri leader politici non sono in grado di raggiungere un accordo da soli — viene sottolineato nel documento — allora devono essere persuasi ad accettare una soluzione che le parti neutrali, e soprattutto i cittadini del Sud Sudan, ritengono ragionevole». Dopo aver elogiato gli sforzi fatti dai diversi mediatori internazionali per mettere fine al conflitto civile esploso nel dicembre 2013, i leader delle comunità cristiane ribadiscono che «non c’è una giustificazione per i continui combattimenti e le uccisioni. Nella guerra del 1955-1972 e in quella del 1983-2005 si è combattuto per la liberazione, ma per cosa si combatte adesso?» «È inaccettabile — proseguono i responsabili religiosi — negoziare per posti di potere, mentre la popolazione uccide e rimane uccisa. I combattimenti devono fermarsi. Le parti hanno già firmato diversi accordi di cessate il fuoco che hanno poi ignorato: ripetiamo che gli accordi devono essere rispettati senza ulteriori ritardi». Il vescovo di Wau, Rudolf Deng Majak, in una recente dichiarazione, aveva spiegato che «l’inesperienza e la corruzione, più che il tribalismo, sono la causa della guerra civile in Sud Sudan». Per il presule, il conflitto deriva infatti dagli errori di una nuova leadership, perché governare «è qualcosa che si impara con l’esperienza e dai propri errori. Le comunità sud sudanesi — aveva spiegato — non hanno mai avuto l’opportunità di vivere insieme come nazione. È vero, abbiamo sofferto insieme, ma non abbiamo approfondito la nostra formazione come nazione. Ci vuole tempo, sia a livello di leadership che di popolo». In effetti, aveva fatto notare monsignor Majak, «per la prima volta nella sua storia, il popolo del Sud Sudan ha un proprio parlamento, un Governo sovrano e un proprio esercito. E oc- corre tempo perché queste grandi responsabilità maturino, permettendo lo sviluppo di una comunità pacifica, stabile e prospera». Le sanzioni economiche che l’Onu vuole imporre ai responsabili della guerra, secondo il presule, sono inutili, perché le persone prese di mira «continueranno ad accumulare ricchezze a modo loro», mentre «a essere colpite saranno le popolazioni innocenti». Iniziative di solidarietà in vari Paesi europei verso i fratelli perseguitati nel Vicino oriente Un aiuto per restare BRUXELLES, 4. D all’appello comune alla solidarietà lanciato dalle comunità ecclesiali in Belgio alla grande disponibilità ad accogliere dichiarata dalla Francia; dalla colletta in coincidenza con la settimana santa sostenuta in Svizzera all’aiuto, non solo di carattere economico, delle comunità della Germania: è concreto l’impegno dei cristiani europei a sostegno dei fratelli perseguitati nel Vicino oriente anche in adesione ai continui e accorati inviti di Papa Francesco. L’impegno — riferisce il Sir che all’argomento dedica un approfondimento — è a non abbandonare alla loro sorte i cristiani che vivono in queste terre martoriate, a trovare vie percorribili affinché i residenti possano rimanere nelle loro case e gli emigrati ritornare in patria. In Belgio ortodossi e protestanti si sono ritrovati in quell’«ecumenismo del sangue» che sta tracciando un cammino doloroso. «La Via della Croce dei cristiani d’Oriente» è del resto il titolo dell’appello comune che i leader ecclesiali hanno lanciato alle loro comunità affinché, fino alla celebrazione della Pasqua, si preghi e si organizzino collette di solidarietà. Per i suoi storici legami con il Vicino oriente, la Francia accoglie sul suo territorio migliaia di cristiani delle Chiese caldea, greco-siriaca e greco-melkita. Nell’ultimo periodo, con l’intensificarsi del conflitto, sono arrivati molti rifugiati politici da Iraq e Siria, i quali hanno ricevuto subito il permesso di soggiorno dal Governo francese. «Sono per lo più famiglie traumatizzate che non conoscono la lingua e hanno bisogno di aiuto», racconta monsignor Pascal Gollnisch, direttore generale dell’Œuvre d’Orient, il quale è in Kurdistan per vivere con i cristiani del luogo il venerdì santo e la Pasqua. In Svizzera i vescovi cattolici sottolineano in un documento «l’emergenza degli sfollati, le violenze e le sofferenze di un numero troppo grande di persone» e come la soluzione dei conflitti «dipenda fortemente dagli interessi di parte e da fattori politico-economici». Mentre dall’Inghilterra, per iniziativa del vescovo Declan Ronan Lang, direttore del dipartimento della Conferenza episcopale per gli affari internazionali, sono stati inviati ai difensori dei diritti civili detenuti in varie parti del mondo cartoline di auguri per Pasqua e messaggi di incoraggiamento. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 5 aprile 2015 Al termine della Via crucis al Colosseo il Papa prega per i cristiani perseguitati sotto gli occhi indifferenti del mondo Silenzio complice Nella tarda serata del venerdì santo, 3 aprile, il Papa ha presieduto la Via crucis al Colosseo. Di seguito le parole pronunciate al termine delle quattordici stazioni. O Cristo crocifisso e vittorioso, la tua Via Crucis è la sintesi della tua vita; è l’icona della tua obbedienza alla volontà del Padre; è la realizzazione del tuo infinito amore per noi peccatori; è la prova della tua mis- «Il Venerdì santo è strada verso la Pasqua della luce». Di fronte alle immani sofferenze dell’umanità, in particolare quelle dei «nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede», Francesco torna a levare alta la voce della speranza. Al termine della tradizionale Via crucis al Colosseo, pronuncia poche parole, che interrogano le coscienze delle decine di migliaia di fedeli presenti e dei milioni di spettatori che hanno seguito la mondovisione sugli schermi da casa o attraverso la radio e la rete web. Nel suggestivo scenario del colle Palatino illuminato dalle fiaccole, Francesco ha indicato ai cristiani di oggi l’itinerario da percorrere per «trasformare la nostra Con i poveri di Roma Nelle stesse ore in cui Papa Francesco presiedeva la Via crucis al Colosseo, l’elemosiniere ha recato ai poveri di Roma un segno di vicinanza da parte del Pontefice. Per il secondo anno consecutivo, la sera del venerdì santo, l’arcivescovo Krajewski, accompagnato dal capo ufficio monsignor Ravelli, si è recato nelle principali stazioni ferroviarie cittadine e nei rifugi e nei dormitori di tanti poveri intorno a piazza San Pietro, per consegnare loro il pensiero del Papa: «Una piccola carezza» l’hanno definita, distribuendo a circa trecento tra donne e uomini buste contenenti un biglietto di auguri pasquali, l’immagine del Papa e una somma di denaro. E molti, visibilmente commossi, hanno baciato la fotografia di Francesco, chiedendo di ringraziarlo personalmente. sione; è il compimento definitivo della rivelazione e della storia della salvezza. Il peso della tua croce ci libera da tutti i nostri fardelli. Nella tua obbedienza alla volontà del Padre, noi ci accorgiamo della nostra ribellione e disobbedienza. In te venduto, tradito e crocifisso dalla tua gente e dai tuoi cari, noi vediamo i nostri quotidiani tradimenti e le nostre consuete infedeltà. Nella tua innocenza, Agnello immacolato, noi vediamo la nostra colpevolezza. Nel tuo viso schiaffeggiato, sputato e sfigurato, noi vediamo tutta la brutalità dei nostri peccati. Nella crudeltà della tua Passione, noi vediamo la crudeltà del nostro cuore e delle nostre azioni. Nel tuo sentirti “abbandonato”, noi vediamo tutti gli abbandonati dai familiari, dalla società, dall’attenzione e dalla solidarietà. Nel tuo corpo scarnificato, squarciato e dilaniato, noi vediamo i corpi dei nostri fratelli abbandonati Verso la luce conversione fatta di parole, in conversione di vita e di opere». Nella serata del 3 aprile, il vescovo di Roma ha presieduto la processione che ripercorre le tappe del cammino di Gesù verso la morte e per circa due ore ha pregato in silenzioso raccoglimento, seguendo lo svolgimento della processione della croce iniziata tra le penombre delle arcate dell’anfiteatro Flavio. Giunto con qualche minuto di anticipo sulla terrazza adiacente alla chiesa di Santa Francesca Romana, il Papa ha introdotto con il segno di croce il rito diretto da monsignor Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Seguendo lo schema classico delle quattordici stazioni, si sono alternati nel portare la croce lignea, per la prima e l’ultima stazione, il cardinale vicario di Roma, Vallini; per la seconda, la terza e la quarta, tre famiglie italiane, una con ben sei figli e una con due bambini adottati in Brasile; per la quinta, una disabile accompagnata da un barelliere e una dama dell’Unitalsi. Dalla sesta alla nona, erano rappresentate aree geografiche in cui i cristiani vivono il calvario delle persecuzioni: Iraq, Siria, Nigeria, Egitto. Ma è alla decima stazione che il vescovo Renato Corti, autore delle meditazioni, ha riservato i pensieri più toccanti, quando a sorreggere il legno c’erano due cinesi e le voci degli speaker — quest’anno Orazio Coclite era affiancato da Francesca Fialdini — hanno evocato le piaghe che violano la dignità dell’uomo: il traffico di esseri umani, i bambini soldato, le moderne schiavitù, i ragazzi e gli adolescenti feriti nella loro intimità e barbaramente profanati. Attingendo all’insegnamento dei padri della Chiesa, ma anche di pastori poi divenuti Pontefici come Joseph Ratzinger e Giovanni Battista Monti- ni, del cardinale Carlo Maria Martini e di un martire del nostro tempo — il pakistano Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze, ucciso da uomini armati il 2 marzo 2011 — l’autore ha sviluppato una preghiera che non dimentica le donne, né i bisogni delle famiglie, in vista del Sinodo dei vescovi. Per le ultime quattro scene, quelle finali della crocifissione, il testimone è passato infine dalle mani di due suore di un istituto secolare a quelle di due francescani della Custodia di Terra Santa e di religiose dell’America latina. Ai lati della croce le torce sostenute da due giovani romani. Al termine, dopo aver indossato la stola rossa e benedetto i presenti, Francesco ha improvvisato un breve saluto. «E adesso torniamo a casa — ha invitato — col ricordo di Gesù, della sua Passione, del suo grande amore. E anche con la speranza della sua gioiosa Risurrezione». Presenti, tra gli altri, i cardinali Pell, prefetto della Segreteria per l’economia, Castrillón Hoyos, e il vescovo Sánchez Sorondo. Con il cardinale vicario di Roma erano l’arcivescovo vicegerente Iannone e i vescovi ausiliari della diocesi. Tra le autorità civili, il sindaco Ignazio Marino. Hanno accompagnato il Pontefice gli arcivescovi Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Gänswein, prefetto della Casa pontificia; i monsignori Wells, assessore della Segreteria di Stato, e Sapienza, reggente della Prefettura; il medico personale, Polisca, e l’aiutante di Camera, Zanetti. Tutti presenti anche alla celebrazione della Passione del Signore presieduta nel pomeriggio da Papa Francesco. lungo le strade, sfigurati dalla nostra negligenza e dalla nostra indifferenza. Nella tua sete, Signore, noi vediamo la sete del Tuo Padre misericordioso che in Te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l’umanità. In Te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in Te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice. Nella penombra silenziosa della basilica di San Pietro, il Pontefice si è prostrato a terra davanti all’altare della Confessione e vi è rimasto per circa due minuti. Poi ha preso posto sul lato sinistro della navata di fronte alla statua di San Pietro. Il racconto della Passione secondo Giovanni è stato cantato in latino da tre diaconi, accompagnati dal coro della Cappella Sistina diretta dal maestro Palombella. Dopo l’omelia di padre Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, il Pontefice ha introdotto la preghiera universale, seguita dall’adorazione della croce. Dal fondo della basilica, il diacono ministrante e due accoliti con i candelieri hanno portato la croce facendo tre soste. Alla terza il Papa, indossando solo il camice bianco e la stola rossa, si è inchinato per compiere l’adorazione. La croce è stata poi portata all’altare della Confessione, dove è stata baciata da 37 cardinali — tra i quali Parolin, segretario di Stato, e Sodano, decano del Collegio cardinalizio — e dagli altri presuli e prelati della Curia romana presenti, come pure dai rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con i quali erano l’arcivescovo Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e i monsignori Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, e Bettencourt, capo del Protocollo. Imprimi, Signore, nei nostri cuori sentimenti di fede, speranza, di carità, di dolore dei nostri peccati e portaci a pentirci per i nostri peccati che ti hanno crocifisso. Portaci a trasformare la nostra conversione fatta di parole, in conversione di vita e di opere. Portaci a custodire in noi un ricordo vivo del tuo Volto sfigurato, per non dimenticare mai l’immane prezzo che hai pagato per liberarci. Gesù crocifisso, rafforza in noi la fede che non crolli di fronte alle tentazioni; ravviva in noi la speranza, che non si smarrisca seguendo le seduzioni del mondo; custodisci in noi la carità che non si lasci ingannare dalla corruzione e dalla mondanità. Insegnaci che la Croce è via alla Risurrezione. Insegnaci che il venerdì santo è strada verso la Pasqua della luce; insegnaci che Dio non dimentica mai nessuno dei suoi figli e non si stanca mai di perdonarci e di abbracciarci con la sua infinita misericordia. Ma insegnaci anche a non stancarci mai di chiedere perdono e di credere nella misericordia senza limiti del Padre. Anima di Cristo, santificaci. Corpo di Cristo, salvaci. Sangue di Cristo, inebriaci. Acqua del costato di Cristo, lavaci. Passione di Cristo, confortaci. O buon Gesù, esaudiscici. Dentro le tue piaghe nascondici. Non permettere che ci separiamo da te. Dal nemico maligno difendici. Nell’ora della nostra morte chiamaci. E comanda che noi veniamo a te affinché ti lodiamo con i tuoi santi, nei secoli dei secoli. Amen. L’arcivescovo José Rodríguez Carballo presenta il congresso internazionale sulla formazione dei religiosi in programma dal 7 aprile a Roma Sfida digitale di NICOLA GORI La sfida del digitale, la giustizia, la pace, la difesa del creato: sono le nuove frontiere della formazione dei religiosi e delle religiose. Se ne discuterà al congresso internazionale in programma a Roma dal 7 all’11 aprile sul tema «Formati alla vita consacrata nel cuore della Chiesa e del mondo». Ce ne parla l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. cattolica, perché molti religiosi sono sacerdoti e anche perché gran parte dei religiosi e delle religiose di tutto il mondo studiano nelle pontificie università che dipendono dalla Congregazione per l’educazione cattolica. Numerosi sono i documenti scritti da questi dicasteri sul tema della formazione. È una relazione che vogliamo potenziare con questo congresso. rilievo spetta al linguaggio, che influenza in modo determinante l’organizzazione e il funzionamento della mente e, di conseguenza, le tecnologie preposte alla comunicazione. L’uso dei mezzi di comunicazione presenta alcuni problemi ai quali si deve prestare attenzione. L’uso di internet favorisce la risoluzione rapida dei problemi, ma non agevola il pensiero profondo e rende più diffi- Perché un congresso internazionale sulla formazione? L’emergenza educativa e formativa è una priorità per la vita consacrata. Dalla formazione che riceviamo e offriamo dipende in gran parte il presente e il futuro della vita consacrata. Non c’è fedeltà creativa, non c’è possibilità di vivere il presente con passione e abbracciare il futuro con speranza — obiettivi dell’anno della vita consacrata — senza una formazione di qualità e adeguata ai nostri tempi. D’altra parte, per noi consacrati la formazione è un’urgenza tale che non usiamo più distinguere la formazione iniziale da quella permanente, come si faceva precedentemente, ma ora sentiamo la necessità di parlare di formazione continua. D’altra parte sentiamo l’urgenza della formazione dei formatori. Ecco il perché di questo congresso, che prevede la presenza di 1500 partecipanti, con diverse relazioni offerte da specialisti nell’ambito formativo e più di trenta laboratori. Ci sarà pure un foro interdicasteriale e una tavola rotonda per condividere esperienze. Esistono forme di collaborazione con gli altri dicasteri in tema di formazione? C’è una buona collaborazione fra i dicasteri, in particolare fra il nostro e quello del clero e dell’educazione Come affrontano i religiosi la sfida della comunicazione digitale? Formare a un adeguato utilizzo dei mezzi di comunicazione è una grande sfida che abbiamo davanti a noi. I media digitali non sono neutrali, ma modificano l’organizzazione del nostro cervello che è un organo estremamente elastico. Numerosi studi scientifici provano che nell’organizzazione di reti neuronali gioca un ruolo decisivo la nostra attività quotidiana. Un posto di particolare cile la memoria a lungo termine. Questo modo di interagire potrebbe avere delle conseguenze negative sulla disposizione dei consacrati allo studio, alla meditazione della Parola, alla introspezione e alla riflessione profonda, al discernimento. Un altro problema da non sottovalutare è quello dell’uso del tempo. Un religioso ha bisogno di regolare la sua vita secondo priorità ben precise. La preghiera, lo studio, il lavoro, l’ascolto delle persone, la vita fraterna in comunità richiedono una gran quantità di tempo e di energie e soprattutto la presenza fisica e intellettuale. Un uso sconsiderato dei mezzi di telecomunicazione digitale potrebbe penalizzare in modo significativo alcune di queste attività e appiattire la vita del religioso su un livello più virtuale che reale. Che cosa si può fare in questo ambito? Da quanto detto emerge l’urgenza di una educazione-formazione alla responsabilità. Siamo consapevoli che anche noi consacrati dobbiamo confrontarci con un mondo che sotto l’aspetto della comunicazione è ormai profondamente cambiato. Per quanto riguarda la formazione da offrire ai consacrati che vogliono gestire la sfida dell’era digitale ritengo che sia il modello legalista (ossia un rigido rifiuto del digitale), sia il modello lassista (ossia un fluido appiattimento e una semplice uniformazione al mondo) siano da evitare. Propongo perciò a tutti i formatori di educare a un uso responsabile di questi mezzi avendo come guida il pieno rispetto dell’identità dello stato di vita religiosa. Non tutto ciò che è possibile è lecito. Questo vale per ogni cristiano e, a fortiori, per il consacrato. Perché si parla dei poveri come agenti della formazione? Ecco un’altra grande sfida che abbiamo davanti a noi: lasciarci formare dai poveri stessi. Loro hanno tanto da insegnarci, principalmente a essere solidali, a fidarci della Provvidenza e a contentarci dell’essenziale. Frequentare la scuola dei poveri con cuore disponibile e mente aperta, in atteggiamento di profondo ascolto, ci aiuterà tanto ad assimilare questi valori profondamente evangelici. Che posto occupano nell’ambito formativo temi come la giustizia, la pace e la tutela del creato? Poiché l’ambito formativo riguarda tutto l’uomo, ogni tema può essere affrontato con grande interesse. Senz’altro i temi dalla giustizia, della pace e del rispetto del creato sono temi di grande attualità. Diceva Platone che il male più grande per l’uomo è commettere un’ingiustizia e che il bene maggiore è essere giusti. Socrate arriva a dire che è molto meglio subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla. Se queste cose potevano scaturire dalla retta ragione di un filosofo pre-cristiano, tanto più dovrebbero essere nel cuore di chi ha ricevuto la rivelazione, ossia di ogni cristiano, e tanto più dei consacrati, i quali devono essere formati per testimoniare con la vita che non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono. Lo stesso discorso vale per l’ecologia. Per quanto riguarda il rispetto del creato ritengo che sia un tema importantissimo nella formazione dei consacrati. L’uomo, in quanto essere creato a immagine di Dio, deve ricordare che è un semplice amministratore della creazione e non un padrone libero di usurpare e di distruggere l’ambiente. L’amministratore deve rendere conto della sua gestione e il Signore giudicherà le sue azioni. La legittimità morale e l’efficacia dei mezzi impiegati dall’amministratore costituiscono i criteri di tale giudizio. Né la scienza, né la tecnologia sono fini a se stesse; ciò che è tecnicamente possibile non è necessariamente anche ragionevole o etico. La scienza e la tecnologia devono essere messe al servizio del di- segno divino per l’insieme della creazione e per tutte le creature, e non devono mai diminuire l’identità dell’uomo creato a immagine di Dio, né alterare e abbrutire la sua altissima dignità. E poi non possiamo mai dimenticare che la creazione è “segno” del Dio creatore, come sottolineava san Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature. Esiste anche un’attenzione particolare al dialogo ecumenico e tra le religioni in questo processo? In quanto persona creata a immagine di Dio, l’essere umano è capace di intessere rapporti di comunione con il Padre e con altre persone umane. Una buona formazione umana e spirituale penso che sia la base sicura per un dialogo rispettoso delle differenze culturali e religiose. Gesù ha dialogato e si è messo in relazione con ogni tipo di persona, credente, non credente, giudeo, samaritano, pagano. E ci ha comandato di predicare innanzitutto con la vita e non solo con le parole la buona novella fino ai confini della terra. Proprio perché la formazione tende all’identificazione con Cristo, con i suoi sentimenti, allora uno degli obiettivi della formazione è proprio quello di preparare gli uomini e le donne del ventunesimo secolo a essere testimoni del Vangelo con le opere, affinché gli altri vedano e diano gloria a Dio. Quindi, il dialogo ecumenico e interreligioso dovrebbero far parte di ogni normale progetto formativo che vuole stare nella linea del concilio Vaticano II e dare risposte alle sfide del momento attuale. Dialogo deve essere una parola e un atteggiamento fondamentali nella vita del consacrato. Quindi dialogo ecumenico e interreligioso non possono mancare in una formazione integrale del consacrato. In questo campo credo che dobbiamo ancora fare dei passi importanti.
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