aprile 2015:Pag prova.qxd.qxd - Diocesi Suburbicaria Velletri

Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 12, n. 4 (118) - Aprile 2015
Aprile
2015
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Ecclesia in cammino
- In Gesù Cristo, il Nuovo Umanesimo,
+ Vincenzo Apicella
- I figli non sono un peso ma un dono.
Parola di Papa Francesco,
Stanislao Fioramonti
- Anno Santo della Misericordia,
a cura di S. Fioramonti
p. 3
p. 4
- Per chi ha voglia di credere.
L’amore che muore,
don Gaetano Zaralli
p. 18
- Come in uno specchio,
Monica Casini
p. 19
- Colleferro, 2 marzo: il vescovo incontra
i Consigli parrocchiali per una sintesi sulla
visita pastorale (...),
Giovanni Zicarelli
p. 20
Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti
della Curia e pastorale per la vita della
Diocesi di Velletri-Segni
Direttore Responsabile
Mons. Angelo Mancini
p. 5
Collaboratori
Stanislao Fioramonti
- “Tempi di spettacolo, ma di poche verità”
Sara Gilotta
p. 6
- Le nuove paradossali forme di altruismo
e solidarietà, Marta Pietroni
p. 7
- Il Wahhabismo e il nuovo califfato,
Wasim Salman
p. 8
- La preghiera eucaristica. Le Intercessioni,
la Dossologia e il grande amen,
don Alessandro Tordeschi
p. 9
- Il Matrimonio sacramentale è indissolubile / 2,
Chiara Molinari
p.10
- Velletri: Nuovo incontro all’interno degli
“Itinerari di educazione al bene comune”,
Giovanni Zicarelli
p. 22
Tonino Parmeggiani
Mihaela Lupu
Proprietà
Diocesi di Velletri-Segni
Registrazione del Tribunale di Velletri
n. 9/2004 del 23.04.2004
- Educazione finanziaria e uso del denaro:
una prospettiva di fede / 2,
G. Cellitti e R. Caramanica
p. 24
- Celebrazione in ricordo a 50 anni dalla
morte del Card. Clemente Micara,
da Romasette
- P. Ginepro Cocchi e P. Nicola Cerasa,
Sara Calì
- Velletri: avviata la procedura di
progettazione per il nuovo complesso
parrocchiale di Regina Pacis
Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.
Redazione
Corso della Repubblica 343
00049 VELLETRI RM
06.9630051 fax 96100596
[email protected]
A questo numero hanno collaborato inoltre:
p. 26
p. 27
p. 28
S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Franco Risi, don Alessandro
Tordeschi, don Gaetano Zaralli, don Andrea Pacchiarotti,
don Antonio Galati, Frati minori della Comunità di Bellegra,
mons. Ennio Francia, Marta Pietroni, Sara Gilotta,
Wasim Salman, Chiara Molinari, Giovanni Zicarelli,
Elisa Simonetti, Stefano Acchioni, Laura Dalfollo, Monica
Casini, Sara Calì, Giuseppe Cellitti, Roberto Caramanica,
Mara Della Vecchia, Italo Mussa, Roberto Luciani,
Vincenza Calenne.
Consultabile online in formato pdf sul sito:
- Servizio civile nazionale: 4 posti per la Caritas
diocesana di Velletri-Segni,
Elisa Simonetti
p. 11
- Le piccole cose fanno la differenza,
Stefano Acchioni
p.12
- La Pasqua: occasione per ritornare a
testimoniare la fede, mons. Franco Risi
p. 14
- Sabato Santo, un silenzio pieno di speranza,
don Andrea Pacchiarotti
p. 15
- Obbedienza: di fronte a Dio, nella Chiesa,
Laura Dalfollo
- Anno dei religiosi / 6 : Il servizio dell’autorità
alla vita religiosa, don Antonio Galati
- Il Sacro intorno a noi / 12: Eremi di Castrocielo,
Roccasecca e Colle San Magno (FR),
Stanislao Fioramonti
p. 30
- Don Antonio Galati pubblica un saggio su
Teilhard de Chardin a sessant’anni
dalla morte,
p. 32
- 50° anniversario dell’ordinazione
sacerdotale del p. Michele Marinotti
dell’ordine dei frati minori,
Frati Comunità di Bellegra
p. 32
- Mozart. Vesperae Solennes de
Confessore, Mara Della Vecchia
p. 33
- Agostino De Romanis,
mons. Ennio Francia,
Italo Mussa, Roberto Luciani
p. 34
- L’Amore più grande. Sindone 2015,
Giovanni Zicarelli
p. 39
- È Pasqua, Vincenza Calenne
p. 39
www.diocesi.velletri-segni.it
DISTRIBUZIONE GRATUITA
p. 16
p. 17
p. 36
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In copertina:
Cristo coronato di spine,
Beato Angelico, Livorno, 1420 circa.
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Vincenzo Apicella, vescovo
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urante la Quaresima, in ogni
centro della diocesi, si è tenuto un incontro per gli operatori pastorali e chiunque fosse interessato, al fine di prepararci ad un
evento importante per tutte le Chiese
che sono in Italia: il quinto Convegno
Ecclesiale Nazionale, dal titolo “In Gesù
Cristo, il Nuovo Umanesimo”.
Si sono ricordate le tappe dei precedenti Convegni, che scandiscono
ogni decennio dalla chiusura del Concilio
in poi : Roma, Loreto, Palermo, Verona;
altrettante tappe che hanno lasciato il segno nel cammino della Chiesa
italiana per attuare gli insegnamenti conciliari del Vaticano II.
Anche questa volta, nonostante il titolo un po’ specialistico, non si tratterà di una esercitazione accademica
per intellettuali o di una semplice ricerca teorica, quanto dello sforzo di mettere al centro della nostra attenzione la persona umana con quattro atteggiamenti e disposizioni fondamentali: la capacità di ascoltare, la concretezza, la pluralità e la valorizzazione delle diversità, l’apertura alla interiorità e alla trascendenza.
Nel necessario tentativo di interpretare i “segni dei tempi”,
appare evidente che, accanto a un generalizzato individualismo,
a una crisi etica prima e più che economica, a una difficoltà
che riguarda la stessa autocomprensione dell’essere
umano, si possono registrare un bisogno sempre più acuto di relazioni autentiche, a cominciare dalla relazione con
l’ambiente stesso in cui viviamo, un desiderio vivo di partecipazione e di comunione, un’esigenza di autenticità, di
coerenza, di giustizia e di pace. Per trovare la risposta a
tutto questo siamo invitati, ancora una volta, a fissare lo
sguardo su Gesù Cristo, che, rivelando in una dimensione umana il Volto inconoscibile di Dio, ci rivela allo stesso
tempo il vero volto dell’uomo, secondo quanto inconsapevolmente annunciò Pilato: “Ecce homo!” (Gv.19,5).
E’ il Volto coronato di spine, segnato dal dolore e dalla fatica, privo di ogni bellezza, che dimostra quanto onnipotente
possa essere l’amore di un Dio che sa uscire da Se stesso per raggiungerci nelle nostre più infime periferie, ma è
anche il Volto trasfigurato del Tabor, splendente di luce abbagliante, che ci fa intuire a quale destino siamo chiamati e
quale tesoro si nasconde nell’intimo di ogni essere umano. Con i suoi gesti e le sue parole Gesù ci insegna a stabilire tra noi relazioni autentiche e profonde, che si concretizzano
nel farsi prossimo e nella cura spirituale e materiale dell’altro, nella preghiera, che traduce in invocazione ogni grido di aiuto, ogni fatica, persino ogni apparente bestemmia.
Tutto questo continua nella Chiesa, aggregazione visibile,
con le sue debolezze e infermità, ma anche comunità vivificata dallo Spirito del Risorto, Popolo di Dio e Corpo di Cristo;
torniamo, ancora una volta, all’enunciato del Concilio: “la
Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni
celesti, non si devono considerare come due realtà, esse
costituiscono al contrario un’unica realtà complessa, fatta
di un duplice elemento, umano e divino.
Per una non debole analogia essa è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti come la natura umana assunta serve al Verbo divino come vivo organo di salvezza indissolubilmente unito a lui; in modo non dissimile l’organismo
sociale della Chiesa serve allo Spirito vivificante di Cristo
come mezzo per far crescere il corpo” (LG 8).
La Chiesa, quindi, attraverso il discernimento comunitario,
che è l’umile e comune ricerca della volontà di Dio nascosta nel paradosso dell’Incarnazione e del Crocefisso Risorto,
è chiamata a ripercorrere le stesse vie di Cristo, che sono
state sintetizzate in cinque verbi su cui dovrà articolarsi la
riflessione nel Convegno di Firenze, ma su cui, fin da ora,
siamo invitati a interrogarci e confrontarci, portando avanti l’opera iniziata durante la Visita pastorale. Nella Lettera
da inviare alla diocesi in questa Settimana Santa, ho provato a descriverli brevemente, servendomi anche della Traccia
di lavoro che ci è stata offerta dal Comitato preparatorio e
a tradurli in domande concrete che possano servire per il
necessario approfondimento, chiedendoci cosa significhi concretamente per noi e per la nostra Chiesa: Uscire,
Annunciare, Abitare, Educare e Trasfigurare.
Le comunità parrocchiali e le varie realtà diocesane sono
invitate a prendere in considerazione queste tematiche, esposte nella Lettera pastorale, anche in vista del consueto appuntamento assembleare del mese di settembre, tappa utile,
anzi necessaria, nel cammino verso il Convegno Nazionale,
cui la nostra diocesi sarà presente con il sottoscritto e altri
sei delegati. Il Signore crocefisso e risorto ci sostenga e ci
accompagni sempre nel rispondere con gioia al dono della vocazione cristiana che tutti da Lui abbiamo ricevuto.
Nell’immagine del titolo: Gesù davanti al sommo sacerdote Caifa,
Gerrit von Honthorst, 1617, Londra - National Gallery.
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Stanislao Fioramonti
N
ell’udienza generale di mercoledì 11 febbraio
papa Francesco, proseguendo nelle sue catechesi sulla Famiglia in vista del Sinodo sullo stesso tema, ha parlato dei figli. E’ singolare la coincidenza che l’intervento del papa sia giunto proprio il
giorno prima che l’ISTAT annunciasse che in Italia
è stato raggiunto il punto più basso di natalità dall’Unità
del Paese (1861): solo 500 mila nuovi nati in un anno.
Ecco dunque che le considerazioni di Bergoglio acquistano anche un valore di grande attualità, una valenza sociale da tener presente continuamente.
“Dopo aver riflettuto sulle figure della madre e del
padre, in questa catechesi sulla famiglia vorrei parlare del figlio o, meglio, dei figli. Prendo spunto
da una bella immagine di Isaia. Scrive il profeta:
«I tuoi figli si sono radunati, vengono a te. I tuoi
figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore» (60,4-5a). E’
una splendida immagine, un’immagine della felicità che si realizza nel ricongiungimento tra i genitori e i figli, che camminano insieme verso un futuro di libertà e di pace, dopo un lungo tempo di privazioni e di separazione, quando il popolo ebraico si trovava lontano dalla patria.
In effetti, c’è uno stretto legame fra la speranza
di un popolo e l’armonia fra le generazioni. Questo
dobbiamo pensarlo bene. La gioia dei figli fa palpitare i cuori dei genitori e riapre il futuro. I figli
sono la gioia della famiglia e della società. Non
sono un problema di biologia riproduttiva, né uno
dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono
un possesso dei genitori… No. I figli sono un dono,
sono un regalo: capito? I figli sono un dono. Ciascuno
è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici. Essere figlio e
figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa
portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo
la vita di un altro essere umano, originale e nuovo. E per i genitori ogni figlio è se stesso, è differente, è diverso. Permettetemi un ricordo di fami-
glia. Io ricordo mia mamma, diceva di noi – eravamo cinque -: “Ma io ho cinque figli”. Quando le
chiedevano: ”Qual è il tuo preferito, lei rispondeva: “Io ho cinque figli, come cinque dita. Se mi picchiano questo, mi fa male; se mi picchiano quest’altro, mi fa male. Mi fanno male tutti e cinque.
Tutti sono figli miei, ma tutti differenti come le dita
di una mano”. E così è la famiglia! I figli sono differenti, ma tutti figli.
Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché bello, o perché è così o cosà; no, perché è figlio! Non
perché la pensa come me, o incarna i miei desideri. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi
ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell’umanità intera. Di qui viene anche la profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire
la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. E’ la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino.
Quante volte trovo le mamme in piazza che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione … questi bimbi sono amati prima di venire al
mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono
amati prima della nascita, come l’amore di Dio che
ci ama sempre prima. Sono amati prima di aver
fatto qualsiasi cosa per meritarlo, prima di saper
parlare o pensare, addirittura prima di venire al
mondo! Essere figli è la condizione fondamentale per conoscere l’amore di Dio, che è la fonte ultima di questo autentico miracolo. Nell’anima di ogni
figlio, per quanto vulnerabile, Dio pone il sigillo di
questo amore, che è alla base della sua dignità
personale, una dignità che niente e nessuno potrà
distruggere. Oggi sembra più difficile per i figli immaginare il loro futuro. I padri - lo accennavo nelle
precedenti catechesi - hanno forse fatto un passo indietro e i figli sono diventati più incerti nel fare
i loro passi avanti. Possiamo imparare il buon rapporto fra le generazioni dal nostro Padre celeste,
che lascia libero ciascuno di noi ma non ci lascia
mai soli. E se sbagliamo, Lui continua a seguirci
con pazienza senza diminuire il suo amore per noi.
Il Padre celeste non fa passi indietro nel suo amo-
re per noi, mai! Va sempre avanti e se non può
andare avanti ci aspetta, ma non va mai indietro;
vuole che i suoi figli siano coraggiosi e facciano
i loro passi avanti. I figli, da parte loro, non devono aver paura dell’impegno di costruire un mondo nuovo: è giusto per loro desiderare che sia migliore di quello che hanno ricevuto! Ma questo va fatto senza arroganza, senza presunzione.
Dei figli bisogna saper riconoscere il valore, e ai
genitori si deve sempre rendere onore. Il quarto
comandamento chiede ai figli - e tutti lo siamo! di onorare il padre e la madre. Questo comandamento
viene subito dopo quelli che riguardano Dio stesso. Infatti contiene qualcosa di sacro, qualcosa di
divino, qualcosa che sta alla radice di ogni altro
genere di rispetto fra gli uomini. E nella formulazione biblica del quarto comandamento si aggiunge: «perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese
che il Signore tuo Dio ti dà». Il legame virtuoso
tra le generazioni è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana.
Una società di figli che non onorano i genitori è
una società senza onore; quando non si onorano i genitori si perde il proprio onore! È una società destinata a riempirsi di giovani aridi e avidi. Però,
anche una società avara di generazione, che non
ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è
una società depressa. Pensiamo a tante società
che conosciamo qui in Europa: sono società depresse, perché non vogliono i figli, non hanno i figli,
il livello di nascita non arriva all’uno percento. Perché?
Ognuno di noi pensi e risponda. Se una famiglia
generosa di figli viene guardata come se fosse un
peso, c’è qualcosa che non va! La generazione
dei figli dev’essere responsabile, come insegna
anche l’Enciclica Humanae vitae del beato
Papa Paolo VI, ma avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile.
Non avere figli è una scelta egoistica.
La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce! I figli
imparano a farsi carico della loro famiglia, maturano nella condivisione dei suoi sacrifici, crescono nell’apprezzamento dei suoi doni. L’esperienza
lieta della fraternità anima il rispetto e la cura dei
genitori, ai quali è dovuta la nostra riconoscenza.
Tanti di voi qui presenti hanno figli e tutti siamo
figli. Facciamo una cosa, un minuto di silenzio.
Ognuno di noi pensi nel suo cuore ai propri figli se ne ha -; pensi in silenzio. E tutti noi pensiamo ai nostri genitori e ringraziamo Dio per il dono
della vita Il Signore benedica i nostri genitori e benedica i vostri figli. Gesù, il Figlio eterno, reso figlio
nel tempo, ci aiuti a trovare la strada di una nuova irradiazione di questa esperienza umana così
semplice e così grande che è l’essere figli.
Nel moltiplicarsi della generazione c’è un mistero di arricchimento della vita di tutti, che viene da
Dio stesso. Dobbiamo riscoprirlo, sfidando il pregiudizio; e viverlo, nella fede, in perfetta letizia. E
vi dico: quanto è bello quando io passo in mezzo a voi e vedo i papà e le mamme che alzano i
loro figli per essere benedetti; questo è un gesto
quasi divino. Grazie perché lo fate!”.
Nell’immagine del titolo: Celebrazione della nascita,
Jan Steen, 1664, Londra.
Aprile
2015
a cura di Stanislao Fioramonti
Il 13 marzo 2015 papa Francesco ha annunciato nella basilica di San Pietro la celebrazione di un Anno Santo straordinario, un Giubileo
della Misericordia che avrà inizio l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione,
con l’apertura della Porta Santa in San Pietro
e si concluderà il 20 novembre 2016, solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re
dell’Universo.
Lo stesso giorno dell’annuncio la Sala
Stampa Vaticana ha pubblicato sul tema una
“informazione per i mass media” che qui adattiamo e sintetizziamo.
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me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).
Nel primo Angelus dopo la sua elezione, il Santo
Padre diceva: “Sentire misericordia, questa parola cambia tutto. È il meglio che noi possiamo
sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto.
Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che
ha tanta pazienza” (Angelus 17 marzo 2013).
All’inizio dell’anno il Santo Padre aveva detto:
“Questo è il tempo della misericordia. È importante che i fedeli laici la vivano e la portino
nei diversi ambienti sociali. Avanti!”
la misericordia presenti nel Vangelo di Luca: la
pecora smarrita, la dramma perduta, il padre misericordioso.
Anticamente presso gli Ebrei, il giubileo era un
anno dichiarato santo che cadeva ogni 50 anni,
nel quale si doveva restituire l’uguaglianza a tutti i figli d’Israele, offrendo nuove possibilità alle
famiglie che avevano perso le loro proprietà e
perfino la libertà personale. Ai ricchi invece l’anno giubilare ricordava che sarebbe venuto il tempo in cui gli schiavi israeliti, divenuti nuovamente
uguali a loro, avrebbero potuto rivendicare i loro
diritti. “La giustizia, secondo la legge di Israele,
consisteva soprattutto nella protezione dei
deboli” (S. Giovanni Paolo II, Tertio Millennio
Nell’Angelus dell’11 gennaio 2015:
“C’è tanto bisogno oggi di misericordia, ed è importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei
diversi ambienti sociali. Avanti! Noi stiamo vivendo il tempo della misericordia, questo è il tempo della misericordia”.
Nel suo messaggio per la Quaresima 2015:
“Quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre
comunità in particolare, diventino delle isole di
misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!”
Nella esortazione apostolica Evangelii gaudium il
termine misericordia appare ben 31 volte.
Nel Giubileo le letture per le domeniche del tempo ordinario saranno prese dal Vangelo di Luca,
chiamato “l’evangelista della misericordia”.
Dante Alighieri lo definisce “scriba mansuetudinis Christi”, “narratore della mitezza del
Cristo”. Sono molto conosciute le parabole del-
Adveniente 13).
La Chiesa cattolica ha iniziato la tradizione dell’Anno
Santo nel 1300 con Papa Bonifacio VIII, che aveva previsto un giubileo ogni secolo. Dal 1475 per permettere a ogni generazione di vivere almeno un Anno Santo - il giubileo ordinario fu cadenzato con il ritmo dei 25 anni. Gli Anni Santi ordinari celebrati fino ad oggi sono 26. L’ultimo è
stato il Giubileo del 2000. Un giubileo straordinario invece viene indetto in occasione di un
avvenimento di particolare importanza.
La consuetudine di indire giubilei straordinari risale al XVI secolo. Gli ultimi Anni Santi straordinari, del secolo scorso, sono stati quelli del 1933
indetto da Pio XI per il XIX centenario della
Redenzione, e quello del 1983 indetto da Giovanni
Paolo II per i 1950 anni della Redenzione.
Il rito iniziale del giubileo è l’apertura della Porta
L
’annuncio è stato
fatto nel secondo
anniversario dell’elezione di Papa Francesco,
durante l’omelia della
celebrazione penitenziale con la quale il Santo Padre
ha aperto l’iniziativa 24 ore
per il Signore.
Questa iniziativa, proposta dal Pontificio Consiglio
per la Promozione della
Nuova Evangelizzazione,
promuove in tutto il mondo l’apertura straordinaria
delle chiese per invitare a
celebrare il sacramento della riconciliazione. Il tema
di quest’anno è preso
dalla lettera di San Paolo
agli Efesini “Dio ricco di misericordia” (Ef 2,4).
L’annuncio ufficiale e
solenne dell’Anno Santo
avverrà con la lettura e pubblicazione presso la Porta
Santa della Bolla nella
Domenica della Divina
Misericordia, festa istituita da San Giovanni Paolo
II che viene celebrata la domenica dopo
Pasqua.L’apertura del prossimo Giubileo avverrà nel cinquantesimo anniversario della chiusura
del Concilio Ecumenico Vaticano II, nel 1965,
e acquista per questo un significato particolare spingendo la Chiesa a continuare l’opera iniziata con il Vaticano II.
Con il Giubileo della Misericordia Papa Francesco
pone al centro dell’attenzione il Dio misericordioso che invita tutti a tornare da Lui. L’incontro
con Lui ispira la virtù della misericordia.
La misericordia è un tema molto caro a Papa
Francesco che già da vescovo aveva scelto come
suo motto “miserando atque eligendo”.
Si tratta di una citazione presa dalle Omelie di
San Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San
Matteo, scrive: “Vidit ergo Iesus publicanum et
quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere
continua nella pag. 6
Aprile
2015
6
Sara Gilotta
“Tempi di spettacolo, ma di poche verità”:
S
ono parole di David Maria Turoldo, un poeta che amo molto e
che mi piace rileggere di tanto in tanto, per guardare al mondo
sostenuta dalla profondità delle parole di un uomo che ha vissuto nella sofferenza di una fede continuamente ricercata e continuamente rinnovata in un desiderio inesausto ed inesauribile di verità. Verità
espressa innanzitutto in una ricerca linguistica capace di interrogare
davvero la realtà e andando oltre l’azione livellatrice degli eventi della storia ed ancor prima della cronaca.
Turoldo, infatti, dice che il nostro è il tempo dello spettacolo, non delle verità , perché lo spettacolo, dietro il quale, comunque,possono nascondersi anche messaggi positivi, deve suscitare diletto e il diletto, cioè
il piacere o se si vuole il divertimento, è alieno da messaggi immediatamente profondi e perciò comprensibili a tutti anche per la logica
dell’effimero che affligge il nostro tempo assetato di novità e non di veri-
segue da pag. 5
Santa, che viene aperta solo durante l’Anno Santo,
mentre negli altri anni rimane murata.
Il rito di aprire la Porta Santa esprime simbolicamente il concetto che, durante il Giubileo, è
offerto ai fedeli un “percorso straordinario” verso la salvezza. Hanno una Porta Santa le quattro basiliche maggiori di Roma: San Pietro, San
tà. Ecco, Turoldo nei suoi versi mette il lettore nella condizione ineluttabile di meditare su se stesso, oltre che sulla realtà e sul tempo in
cui si trova a vivere e ad agire, facendo in modo che continuamente
il qui ed ora si legga alla luce di una fede che non è mai semplicemente
rasserenatrice, ma al contrario, coltiva, nel dubbio che si fa preghiera, quelle verità di cui il suo spirito, la sua anima e la nostra hanno bisogno per nutrirsi dell’Assoluto.
Un Assoluto che si manifesta in versi dolenti, che però permettono di
avvertire in tutta la sua concretezza il bisogno mai sopito di un approdo sicuro, che sia capace di alleviare forse solo per un attimo, il tormento”creativo” del suo essere e del suo esistere. E così , infatti, dice
Turoldo: “Padre, abbà, se possibile….”E’ Gesù che parla e lo fa invocando dal Padre Suo che voglia allontanare da Lui l’ultimo calice di
sofferenza e morte, ma ( come dice in
altri versi ) Egli sa che il Padre “non può
rispondere”al Figlio , il divino suo
figlio, perché la Sua è “condizionata onnipotenza”.
Parole terribili, che ci mettono di fronte ad una Dio che, nonostante l’ amore per i suoi figli, non può sottrarli al loro
destino, non può rispondere ai loro “perché”. E il perché del continuo soffrire
della vita non può non interrogare tutti, giorno dopo giorno, in una inesausta ricerca di significato e di verità che
supera le possibilità umane circoscritte nell’immanente , anzi nel quotidiano
bisogno di sopravvivenza sulla terra. E
mi piace citare i versi un cui il poeta dice:
”No, credere a Pasqua non è giusta
fede:troppo bello sei a Pasqua! Fede
vera è al venerdì santo, quando Tu non
c’ eri lassù! Quando non una eco risponde al suo alto grido e a stento il Nulla
dà forma alla tua essenza“.
Sono versi questi apparentemente terribili, che sembrano togliere valore a quella che è certamente la celebrazione che
più di ogni altra racchiude l’ essenza della nostra fede, ma, a parer mio, è proprio in versi come quelli citati che si può
scorgere qualcosa che superi il nostro
sempiterno rincorrere la felicità, per sapere accettare il venerdì santo che solo
dà senso al nostro vivere quaggiù in attesa del “Nulla” , il “Divino “Nulla”che nella poesia di Turoldo è l’immensità di Dio,
una infinità tanto superiore al nostro umano capire che rischia di precipitarci n un vuoto assoluto, che è concesso di superare solo con “il canto che colmerà l’abisso”, dice Turoldo,
o più semplicemente con la preghiera, che concederà forse a tutti di
fare luce nella coscienza e nel mondo.
Nell’immagine del titolo: La croce sulla roccia, foto di Gerard Laurenceau.
Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura
e Santa Maria Maggiore. Le Porte Sante di queste ultime verranno aperte dopo l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro.
La Chiesa cattolica ha dato al giubileo ebraico
un significato più spirituale. Consiste in un perdono generale, un’indulgenza aperta a tutti, e
nella possibilità di rinnovare il rapporto con Dio
e il prossimo. Così, l’Anno Santo è sempre un’opportunità per approfondire la fede e vivere con
rinnovato impegno la testimonianza cristiana.
Papa Francesco ha affidato l’organizzazione
del Giubileo della Misericordia al Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Aprile
2015
7
Marta Pietroni
M
arzo è stato per l’Europarlamento
un mese particolarmente intenso per ciò che riguarda la trattazione di temi “caldi” dal punto di vista del
biodiritto. Il Parlamento Europeo di
Strasburgo ha approvato il “Rapporto sull’eguaglianza tra donne e uomini nell’Ue2013” presentato dall’eurodeputato socialista belga Marc Tarabella. Da sottolineare la presenza nel rapporto di un paragrafo
in cui si chiede di garantire alla donna un
“accesso agevole” all’aborto, lungo la linea
di un’informazione più piena circa i diritti
delle donne e i servizi disponibili.
L’approvazione del rapporto rappresenta
purtroppo una sorta di campanello d’allarme
di fronte ad una proposta che vorrebbe il
riconoscimento di un presunto diritto all’aborto, da promuovere a livello europeo e
che ha fatto esultare Taraballa, nonostante venga sottolineato, nel rapporto stesso, il principio di sussidiarietà, secondo il
quale tematiche come l’aborto restano di
competenza esclusiva dei singoli stati. Benché
il rapporto in questione sia una risoluzione non legislativa e quindi non vincolante dal
punto di vista giuridico, non si può sottovalutare il peso socio-politico e culturale di tale approvazione. Essa infatti rappresenta una sorta di
rivincita dopo lo smacco che nel dicembre 2013
aveva subito la relazione della socialista portoghese
Estrela sulla salute riproduttiva.
E’ chiara e manifesta infatti l’intenzione dei socialisti e democratici europei che nel 2014 hanno
sottolineato la necessità di iscrivere l’aborto nella Carta dei Diritti fondamentali. Un’accentuata
mobilitazione a favore dell’aborto che all’interno della sinistra e dei liberali è rinnovata e ha
trovato una breccia aperta nella nuova formazione del Parlamento europeo (rinnovatosi dopo
le elezioni di maggio 2014). Il dialogo su tematiche tanto complesse è sicuramente doveroso,
soprattutto nelle sedi istituzionali e le nuove richieste sulla famiglia, sulle unioni omosessuali con
diritto di adozione, sulla maternità surrogata e
sull’aborto come diritto, rappresentano una sfida culturale e antropologica determinante. In questo clima, inevitabili i rimbalzi tra normative dei
singoli stati e Unione Europea.
Un recente esempio di questa interazione non
sempre idilliaca è stato il parere del Consiglio
Superiore della Sanità italiano che lo scorso 10
marzo ha ribadito i suoi dubbi sul diktat
dell’Agenzia del farmaco europea (Ema) che il
12 gennaio aveva autorizzato l’accesso diretto
al banco delle farmacie per EllaOne, la tanto discussa pillola dei 5 giorni dopo. A differenza di
altri paesi europei, l’Italia ha rinviato al mittente la direttiva, dopo una corale opposizione dei
ginecologi che hanno messo in guardia sui rischi
legati ad un uso sconsiderato del farmaco, soprattutto tra le minorenni.
Tanti dubbi e preoccupazione che hanno portato il Consiglio Superiore di Sanità a stabilire
che Ella One debba essere venduto solo in regi-
me di prescrizione medica. Un no all’Unione Europea
che ha trovato fondamento e giustificazione sulla necessità di una corretta informazione scientifica e sulla tutela della salute delle donne. Non
si può infatti escludere né un effetto abortivo di
tale farmaco né il potenziale effetto dannoso sull’eventuale nascituro.
E mentre in Europa si affrontano delicate questioni sulla vita e sulla riproduzione, in Italia nascono i primi due bambini da fecondazione eterologa, come annunciato dal direttore della clinica romana Alma Res Fertility Pasquale Bigotta.
Una studentessa ventiduenne di Roma ha raccontato di essersi sottoposta, come da protocollo, a stimolazione ovarica, monitoraggi e prelievo al fine di donare i propri ovuli.
Si dovrà indagare se tale donazione è avvenuta
sotto compenso dal momento che in Italia, essendo vietato il commercio di ovociti, è vietata una
retribuzione. Queste donatrici resteranno anonime, selezionate in base al colore degli occhi,
dei capelli, del loro aspetto e della loro salute,
trasmetteranno magari lineamenti estetici e caratteriali a bambini che non hanno il diritto di conoscere la loro “fonte genetica”, la loro madre genetica, le loro origini.
La straordinaria capacità di abituarsi, ha rappresentato
da sempre per l’uomo un’ancora di salvezza, ma
a volte ci si abitua anche alle brutture e alle ingiustizie e all’abitudine si accompagna l’assuefazione e si annulla la capacità critica e di reazione. La nostra società si sta sempre più abituando a pratiche e novità tecniche che richiederebbero invece una costante analisi critica.
Il fatto che oramai sia diffusa una certa pratica
piuttosto che un’idea di liceità, non significa che
non esistano più le differenze etiche di un’azione
e le tante questioni da essa sollevate.
La realtà della riproduzione non può annullare
le controverse implicazioni ad esempio conna-
turate alla fecondazione eterologa, resa possibile in Italia dopo il via libera della Corte Costituzionale
il 9 aprile 2014. Se a dominare è la logica del
mercato con le sue regole e l’assoluto dominio
del desiderio come diritto, le risposte sarebbero sbrigative ed estremamente superficiali, inconsistenti. Ma purtroppo le questioni in gioco sono
ben più complesse e gravose, profonde e difficili. Nell’ottica della generale assuefazione alle
pratiche, il paradosso è che la donazione o compravendita di gameti si presenta come un atto
di altruismo, di solidarietà; la selezione dei donatori, un atto di amore verso quel figlio tanto desiderato.
Un caso su tutti mostra quanto problematiche
siano queste nuove prospettive di giudizio. Il caso,
in Inghilterra, dove una donna di 46 anni ha prestato il suo utero per far crescere e nascere un
bimbo procreato artificialmente con il seme del
figlio omosessuale e l’ovulo di una donatrice; un
bambino partorito da sua nonna, figlio e fratello di un uomo diventato giuridicamente padre
dopo il via libera all’adozione concesso dall’Alta
Corte inglese.
A vent’anni dalla firma dell’Evangelium Vitae sono
più vive che mai le parole di Giovanni Paolo II
che affermava quanto ogni essere umano sia
un capolavoro, il culmine dell’universo e la suprema bellezza di ogni essere creato. Di fronte a
questa suprema bellezza assistiamo anche oggi
alla guerra dei potenti contro i deboli.
Il diritto alla vita deve tramutarsi in un sì incondizionato a difesa dell’essere umano e della sua
integrità, al massimo rispetto dovuto al nascituro e al rispetto pieno di una procreazione che
non sia mero artificio e mercato nelle mani dell’uomo, diventando prodotto. Una nuova vita umana si inaugura fin dal concepimento e quel nuovo essere “non sarà mai reso umano se non lo
è stato fino da allora”.
Nell’immagine del titolo: opera di Enrique Campuzano.
Aprile
2015
8
Wasim Salman
I
l califfo era il successore di Muhammad, capo
dello Stato islamico, che diventò con la dinastia omayyade (661-750) il vicario di Dio sulla terra. L’esperienza della prima comunità islamica a Medina dà vita e continua ad alimentare la genesi di ciò che si impone oggi come modello dell’islam politico.
Tuttavia, il regime teocratico all’epoca moderna coincide con l’emergenza in Arabia del movimento wahhabita che rappresenta una forma di
Islam invariabile, il cui fondatore, Muhammad
Ibn ‘Abd al-Wahhab (1703-1792), sostiene
una forte cooperazione fra autorità politica e autorità legale per stabilire lo Stato islamico.
Questa riforma consiste nel ritorno alle fonti dell’Islam
e nel ricevere la tradizione in modo acritico. Fondando
lo Stato wahhabita nel 1744, egli giurò ai suoi
alleati di usare la forza se necessario affinché
il regno della parola di Dio domini il mondo.
Va osservato che i principi fondamentalisti del
wahhabismo non si ispirarono al corano, ma al
pensiero di due pensatori estremisti della tradizione islamica, e cioè Ibn Hanbal e Ibn Taymiyya.
La sconfitta dell’Impero ottomano portò, però,
all’abolizione del califfato nel 1924, che venne
considerata come un complotto occidentale sostenuto dai fautori dello Stato laico contro i
musulmani. Ispirato dal discorso salafita, la risposta politica ebbe luogo con la fondazione dell’organizzazione dei Fratelli musulmani in Egitto
nel 1928, mirando anzitutto a riabilitare il califfato mediante il
jihad, come realizzazione del regno
della Parola di Dio
e della Sharia.
I Fratelli musulmani credono che
l’islam sia un regime unico perché
rivelato da Dio stesso per organizza-
re tutti gli aspetti della vita; il suo dogma è la
patria e la cittadinanza, la religione e lo Stato,
la spiritualità e l’azione, il Corano e la spada.
In questo contesto, i musulmani dovrebbero ritornare alla fede degli antenati salaf e della comunità umma, abbandonare i codici legali basati
sui codici europei e creare una legislazione basata sulla Sharia. Se il califfo rappresenta il simbolo dell’unità musulmana e del legame tra le
nazioni islamiche, allora occorre continuare a
pensare a questa funzione divina in quanto il
califfo è l’imam che risolve i problemi e unisce
i musulmani che lo amano e lo venerano come
ombra di Dio sulla terra. Certamente, è difficile separare l’Islam politico dal ruolo politico che
gioca il petrolio nella regione dal 1920 fino ad
oggi, così come l’appello al califfato nel discorso
islamico radicale dalla pretesa saudita a presiedere
il mondo islamico; tanto è vero che il re saudita si fa chiamare: Servitore delle due terre sante. Oltre al boom del petrolio, il trionfo di Khomeini
(1979) favorì la crescita del radicalismo islamico, in modo tale che tutti i movimenti islamisti
cercassero di generalizzare la rivoluzione iraniana, radicalizzano le contraddizioni, le opposizioni e le attese messianiche affermate dall’abolizione del califfato (1924).
Le stesse posizioni dell’Università al-Azhar (Cairo)
cambiarono nel corso degli anni ottanta, diventando più tollerante verso gli integralisti che uccidono in nome di Dio, e cominciando a scomunicare i pensatori progressisti. Ecco perché alAzhar mantenne il silenzio dopo l’uccisione dell’autore progressista Farag Foda
nel 1992.
Va osservato che
la violenza in MedioOriente negli ultimi
decenni non muove dal nazionalismo
arabo, ma si fonda
su motivi religiosi,
così che la violen-
za viene legittimata in
nome dell’Islam.
Gli attentati suicidi che si
moltiplicano rilevano indubbiamente dal fanatismo e
l’irrazionalità; perché nessuno potrebbe sacrificare
la propria vita per far saltare in aria un autobus di
civili senza essere fanatico. Ma la cosa sicura è che
i responsabili degli attentati suicidi appartengono quasi tutti a gruppi islamisti come
Hamas, al-Jihad islamico,
al-Qaida e l’ISIS.
Ne consegue che per giustificare l’attentato, la violenza politica richiede delle buone ragioni, essa
ricorre ad una interpretazione ideologica dei testi
religiosi, del loro significato,
struttura e potenzialità. Per capire la storia dell’ISIS
serve anzitutto introdurre tre personaggi:
Osama bin Laden, Ayman al-Zawahiri e Abu Musab
al-Zarqawi. Quest’ultimo è stato uno dei rivali
di bin Laden all’interno di al-Qaida, fondando un
suo proprio gruppo con obiettivi diversi da quelli di al-Qaida tradizionale, per creare un califfato islamico esclusivamente sunnita.
Nel 2003, il gruppo di Zarqawi fece esplodere
un’autobomba in una moschea nella città irachena di Najaf durante la preghiera del venerdì: rimasero uccisi 125 musulmani sciiti.
Nel 2006 Zarqawi era stato ucciso da una bomba americana, e dal 2010 prese il suo posto in
Irak Abu Bakr al-Baghdadi, che cambiò il nome
del suo movimento (AQI) in Stato Islamico dell’Iraq
e del Levante (ISIS). La brutalità dell’ISIS è già
stata notata da al-Qaida nella guerra in Siria.
Ecco perché al-Zawahiri espulse l’ISIS da al-Qaida
nel 2014. La sera del 29 giugno 2014 l’ISIS ha
proclamato la restaurazione del Califfato islamico, con Abu Bakr al-Baghdadi come califfo.
Questo califfato, come afferma il suo portavoce, è un sogno che vive nelle profondità di ogni
credente musulmano, e che i musulmani di tutto il mondo dovrebbero giurare la loro fedeltà
al nuovo califfo.
Infine, dobbiamo prendere in considerazione l’aspetto politico dell’islamismo contemporaneo, il
quale è alla base del terrorismo.
La violenza basata sulla religione deve essere
analizzata con senso critico e serietà, per rilevare il rapporto fra le ideologie religiose e la violenza, riconoscendo il ruolo del wahhabismo nell’aumentare il terrorismo nel mondo. Ma la maggior parte dei musulmani si dissocia da questo
estremismo e desidera di vivere la propria fede
in sintonia con gli altri popoli della terra, senza
rinunciare ai vantaggi che portò la civilità moderna all’umanità. È il nostro compito oggi di dialogare e collaborare con questa maggioranza
dei musulmani, per riuscire ad isolare i terroristi e diminuire il loro impatto sulle nuove generazioni.
Aprile
2015
9
don Alessandro Tordeschi
A
bbiamo visto, la volta
scorsa, cosa succede
durante la preghiera di epiclesi e durante l’anamnesi. Ora preghiamo perché tutto questo possa
essere esteso anche al di là di coloro che sono presenti a questa assemblea. Per usare una espressione di
Sant’Agostino, essi potrebbero
essere chiamati l’icona visibile di “tutta la città redenta”, che come tale
è invisibile a noi, ma non di meno
presente. Le parole che seguono
riconoscono questo, pregano perché sia così, ci rendono consapevoli di una presenza non visibile ai
nostri occhi.
Ognuna delle quattro preghiere eucaristiche esprime queste richieste in
modi diversi, ma sono modi diversi di pregare la stessa cosa. Ci sono
prima di tutto i nomi dei santi in paradiso. In primo luogo tra essi c’è quello di Maria, la Madre di Dio, poi San
Giuseppe suo sposo, i santi Pietro e Paolo e gli altri apostoli, poi i martiri e i santi. Tutti sono presenti e nominarli solo alcuni ha lo scopo di renderci consapevoli della presenza di tutti. Nominiamo anche il papa e il nostro
vescovo. Nella persona del vescovo è nominata tutta la Chiesa locale e
nella persona del Vescovo di Roma, il papa, è nominata la comunione della Chiesa locale con tutte le altre Chiese del mondo. Così, pur non potendo nominare ogni membro della Chiesa nel mondo, tutti sono misteriosamente presenti, e nominare il papa e il vescovo ha lo scopo di renderci
consapevoli di questa presenza. Preghiamo perché “questo sacrifico di riconciliazione doni, Padre, pace e salvezza al mondo intero” .
“Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con
te, hanno lasciato questo mondo” , nominiamo davanti al Padre i defunti.
È un conforto per il nostro amore e il nostro senso di mancanza nominare persone a noi care che sono morte. In alcune messe si può citare qualcuna a voce alta, altre nel nostro cuore; ma alla fine intendiamo nominare davanti a Dio tutti i defunti. È importante pronunciare questi nomi. Nella
rivelazione biblica Dio ci ha insegnato quale mistero meraviglioso sia il nome
di una persona. Il mistero dei nostri nomi ha le radici nel mistero del nome
di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo. Avere un nome significa che qualcuno può chiamarmi. Dio mi dà un nome chiamandomi all’esistenza e i nostri
nomi ci ricordano questo dono. In effetti non so nemmeno di essere un
Io, finché un’altra persona non mi dice il mio nome e io rispondo con il Tu
contenuto in maniera unica nel nome di chi mi chiama. Per cui il nome è
un piccolo canto in cui è incarnato tutto l’essere di una persona.
Usare il nome è una caratteristica fondamentale di queste intercessioni.
Cosa chiediamo quando diciamo il nome? Chiediamo che gli altri non scompaiano da noi nei recessi del tempo, della distanza e della morte. Solo Dio
può renderci uniti come una cosa sola al di là di quello che, altrimenti, sarebbe un enorme sparti acque. Chiediamo allo Spirito Santo di trasformare
questo pane e questo vino e di unire in un solo corpo tutti coloro che si
sono nutriti dello stesso pane e dello stesso vino.
Ora stiamo semplicemente estendendo quella richiesta e quindi esprimendo
il nostro desiderio di essere un solo corpo in Cristo con tutti coloro che
abbiamo nominato; i Santi, la Chiesa nel mondo, i defunti, la gente del mondo. Entriamo già nel nostro futuro, dove saremo perfettamente uniti come
unico corpo di Cristo. “Concedi a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria” . Questo eterno godimento potrebbe essere descritto come comunione con il Padre. La comunione con il Padre è qualcosa
che si può godere solo in comunione con gli altri. Sant’Agostino la esprime così: “Essa è veramente pace in modo che unica pace della creatura
ragionevole dev’essere ritenuta e considerata l’unione sommamente ordinata e concorde di avere Dio come fine e l’un l’altro in lui”.
GLORIFICARE DIO (DOSSOLOGIA) E IL GRANDE AMEN
Dossologia significa Glorificazione di Dio. La dossologia è la parte/battuta finale della grande preghiera eucaristica, che forma un cerchio completo dalla dossologia al prefazio. Il celebrante porta in alto il pane e il vino,
trasformati nel corpo e nel sangue di Gesù, ed elevandoli li presenta a Dio
Padre come il sacrificio perfetto offerto a gloria del suo nome: “Per Cristo,
con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito
Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli” . In quel momento
la Chiesa sta facendo ciò che Cristo ha fatto e sempre farà: offre l’unico
corpo di Gesù, a cui si è unita, al Padre a gloria del suo nome e per la
salvezza del mondo. È questa la nostra comunione al sacrificio di Cristo.
È questa la nostra lode perfetta.
La forma di questa dossologia finale è trinitaria. Con esultanza si dice: per
Cristo, con Cristo, in Cristo – questa è la sola strada per cui possiamo arrivare a Dio Padre. Ci arriviamo nello Spirito Santo, o meglio “nell’unità dello Spirito Santo”. Vediamo qui come la lode (dossologia) sia il perfetto riassunto di ciò che abbiamo ricordato (anamnesi) e di ciò che abbiamo chiesto (epiclesi). Questa è sempre la forma completa della preghiera cristiana. Ricordare quello che Dio ha fatto, chiedere ciò che desideriamo e finire con la lode. Il sacerdote tiene il corpo e il sangue di Gesù, a cui tutti
siamo uniti, e li offre al Padre per dare a Lui onore e gloria.
Stiamo andando verso il Padre per mezzo di Cristo e questa è parimenti
l’opera della Chiesa. Il Padre, in questo momento vede arrivare il Figlio
con tutto il mondo, con tutti noi, riconciliati nel corpo e nel sangue di suo
Figlio. Nel suo sacrificio sulla croce il Figlio distrugge nel suo corpo i peccati di tutti noi. Ora quello stesso corpo, risorto dai morti, ci porta davanti a suo Padre e dice: “Tutto questo è per il tuo onore e per la tua gloria”.
Il Padre vede il Figlio nell’unico modo in cui può vederlo; cioè vestito della nostra carne, nel suo corpo crocifisso e ora risorto. Nel vedere il Figlio,
vede anche noi. Il Padre esclama: “Questo è il figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”. Tutto il mondo è riconciliato a Dio. Questo è ciò
che accade nella messa. Siamo nel nostro futuro definitivo.
A tutto quello che Cristo ha fatto, a quello che sta accadendo l’assemblea
grida un fortissimo AMEN. È l’Amen più grande della messa e quindi è l’amen più grande del mondo. Questo Amen contiene tutti gli altri. Ora abbiamo tutti gli articoli del Credo - Padre, Figlio e Spirito Santo creduti nella
Chiesa - come evento. Questo è l’Amen che riecheggia nel mondo, nei
secoli e in paradiso. Questo Amen non finisce mai.
Nella messa, dal nostro luogo e dal nostro tempo, siamo uniti a questo
Amen eterno e canteremo per sempre quello che stiamo cantando ora.
AMEN!
Aprile
2015
10
Chiara Molinari
I
l matrimonio, in quanto sacramento, è la base
su cui si fonda la famiglia. La famiglia dei
nostri tempi, più di altre istituzioni subisce
le rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono tale realtà nella fedeltà ai valori costitutivi dell’istituto familiare, altre
sono divenute instabili e disperse dinanzi ai loro
incarichi, altre invece sono impedite da situazioni di ingiustizia nel realizzare i loro diritti.
Illuminata dalla fede, la Chiesa, conosce la verità sul bene prezioso del matrimonio e della famiglia ed è profondamente convinta che solo con
l’accoglimento del Vangelo trova piena realizzazione ogni speranza dell’uomo, ma soprattutto,
Essa è indispensabile per la trasmissione dei
valori umani e cristiani del matrimonio e della
famiglia. Oggi il giovane è molto più fragile nei
suoi sentimenti, più esposto allo spirito d’egoismo, meno roccioso nelle sue convinzioni religiose. Ecco così la spiegazione di tanti fallimenti
di matrimoni, del desiderio di riappropriarsi della libertà perduta e della voglia di vivere senza
assumersi responsabilità.
Ormai appaiono ovvi i rapporti prematrimoniali e pressoché normali i divorzi, i cosiddetti “focolari distrutti”, molto spesso come conseguenza
della rottura della fedeltà coniugale, ma rimane forte e diffuso, il desiderio di avere una famiglia stabile: desiderio che si traduce nella realtà di tante famiglie “normali” e anche di numerose famiglie cristiane.
Tra le molteplici ragioni c’è sicuramente la crisi economica, la precarietà del lavoro che rende difficile fare programmi in lungo periodo e fa
sentire precari anche sentimentalmente, a
seguire si concepiscono meno figli, per non parlare poi della crisi dei valori, che vede protagonista
la società odierna, è una crisi generazionale, il
passaggio da un eccesso ad un altro, dall’ave-
re niente o dover faticare per avere qualcosa,
fino all’avere tutto e subito con facilità.
Si stanno abbandonando gli antichi valori, non
esistono quasi più ideali stabili, non si provano
stimoli nei confronti della realtà che li circonda,
perdendo pure la capacità di lottare, prendere
iniziative, reinventarsi in un certo qual modo, con
entusiasmo e decisione. E così il matrimonio perde di valore, di esempio, si preferisce la convivenza e sono in aumento i matrimoni civili, ed
anche se nelle menti esplode un “finalmente, era
ora”, l’importante è che i giovani che si sposano in municipio abbiano chiara la differenza che
esiste tra un matrimonio davanti al Signore e
uno davanti al sindaco!
Forse solo perché costa meno? O forse meno
macchinoso nelle pratiche? Beh, la Chiesa non
è solo un apparato scenico, lì c’è un incontro
importante! E le risposte sono sempre le stesse: l’importante è volersi bene, non voglio impegnarmi, intanto proviamo, così ci abituiamo a vivere insieme, insomma, è una specie di test.
E se ci si permette di dare un consiglio disinteressato, si finisce per esser considerati di mentalità bigotta e ristretta.
Anni fa la convivenza non era proprio contemplata, ci si sposava molto giovani perché era l’unica occasione per “uscire di casa”. La generazione dei nostri genitori non riesce ad accettare tale esigenza di convivere poiché vorrebbe vedere i propri figli sposati piuttosto.
Certo, tutti possono amare, ma pochi si preoccupano di verificare se è vero amore, un amore che travolge la persona tutta, che si volge a
Dio, ma questo amore risulta pesante, monotono, invece la cultura d’oggi presenta un amore fatto di bellezza fisica, senza impegni o responsabilità, frivolo, e non di comprensione, di dedizione, di cura, di fiducia e di complicità.
La visione che emerge, è invece quella di una
convenienza nel convivere, perché ci sono tan-
ti problemi in meno e, se
un rapporto non va, si scioglie senza troppi rimpianti!
E il matrimonio spaventa, fa proprio paura,
abbondano i divorzi e l’alternativa al fatidico “si” sembra esser diventata la convivenza.
Sicuramente perché ci si
devono assumere obblighi, si richiede un impegno “per tutta la vita” e qualche rinuncia, soprattutto
in una società che al contrario, più insegue l’attimo, il cambiamento, il nuovo, ma purtroppo non c’è
stata sufficiente educazione
sul matrimonio, per far comprendere che può esser
l’occasione per stare
meglio in due!
Certo, ci sono situazioni,
ogni pastore lo sa, in cui
la convivenza matrimoniale
diventa praticamente impossibile a causa di gravi motivi, (violenza fisica, psichica, abbandono
del tetto coniugale, maltrattamenti di ogni
genere, infedeltà), ed in queste situazioni dolorose la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare non vivendo più assieme. I pastori e le comunità cristiane si devono
perciò adoperare nel promuovere in ogni modo
la riconciliazione anche in questi casi oppure,
quando ciò non è possibile, nell’aiutare le persone coinvolte ad affrontare nella fede la propria situazione difficile.
L’esortazione apostolica Familiaris consortio,introduce
che anche nel campo della morale coniugale la
Chiesa è ed agisce come “Maestra e Madre”:
Maestra perché non si stanca di proclamare la
norma morale che deve guidare la trasmissione responsabile della vita, Madre, perché si fa
vicina alle molte coppie di sposi che si trovano
in difficoltà e conoscendo la loro situazione tormentata necessitano dell’aiuto della comunità
ecclesiale e dei suoi pastori.
La Chiesa Cattolica ha difeso l’assoluta indissolubilità del matrimonio anche a costo di grandi sacrifici e sofferenze, confermando che corrisponde all’insegnamento del Vangelo, diventando immagine dell’amore di Dio per il suo popolo e fedeltà irrevocabile di Cristo alla sua Chiesa
e se lo si secolarizza o ancora lo si considera
come realtà puramente naturale rimane impedito l’accesso alla sua sacramentalità.
La mentalità contemporanea si pone piuttosto
in contrasto con la comprensione cristiana del
matrimonio, specialmente rispetto alla sua
indissolubilità e all’apertura alla vita. Poiché molti cristiani sono influenzati da tale contesto culturale, i matrimoni sono probabilmente più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà
di sposarsi secondo il senso della dottrina matricontinua nella pag. accanto
Aprile
2015
11
Elisa Simonetti
D
al 16 marzo è attivo il bando per candidarsi come volontari
del Servizio Civile Nazionale, l’ opportunità, per i giovani dai
18 ai 28 anni, di dedicare un anno della propria vita a favore
di un impegno solidaristico inteso come impegno per il bene di tutti e
di ciascuno e quindi come valore di coesione sociale.
Il servizio civile volontario garantisce ai giovani una forte valenza educativa e formativa, una importante e spesso unica occasione di crescita personale, un’ opportunità di educazione alla cittadinanza attiva,
contribuendo allo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro
Paese. Chi sceglie di impegnarsi per dodici mesi nel Servizio civile volontario, sceglie di aggiungere un’esperienza qualificante al proprio bagaglio di conoscenze, spendibile nel corso della vita lavorativa e, nel contempo si assicura una pur minima autonomia economica.
Anche Caritas Italiana promuove e valorizza questa esperienza con
60 posti all’estero e 1200 in Italia. La nostra Caritas diocesana rientra
nella rete del servizio civile con il progetto “A MANI APERTE”, strettamente connesso a Casa Nazareth, la casa famiglia che accoglie donne vittime di violenza, dando la possibilità di vivere questa esperienza a 4 giovani del nostro territorio.
Sono tanti gli enti che propongono i propri progetti, quindi perché fare
il Servizio Civile in Caritas? Perché ti mette in contatto con il povero,
con il bisognoso, con gli ultimi della fila, perché si impara ad aprire la
mente, a scardinare i pregiudizi.
segue da pag. 10
moniale cattolica e anche l’appartenenza ad un
contesto vitale di fede è molto ridotta.
Risulterebbe importante un orientamento pastorale della Chiesa, con dei corsi di preparazione al matrimonio, offrendo una serie di strumenti
e materiali utili per disporsi spiritualmente a tale
cammino. Come in ogni azione pastorale, l’operatore nello svolgere i suoi compiti dovrà comunicare la fede ed essere attento alle condizioni concrete in cui vivono gli uomini e le donne
di oggi, inserendo organicamente la sua opera nella permanente azione educativa svolta dalla Chiesa per lo sviluppo della vocazione battesimale nelle sue diverse specificazioni.
Tutte le famiglie sono oggetto della pastorale
della Chiesa, ovviamente chi fa più fatica, chi
incontra più problemi, ha bisogno di un’attenzione particolare: “ una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza” così definisce il Santo Padre, per realizzare un’azione pastorale a misura del cuore di Cristo.
La solitudine e altre problematiche sono spes-
L’esperienza che si fa in Caritas con il Servizio Civile è, anzitutto, un’esperienza di condivisione: c’è l’incontro reale, il toccare con mano le
diverse situazioni, c’è prendere coscienza di una realtà altra che, sebbene diversa dalla mia, non è così distante. Il servizio civile è un’esperienza comunitaria perché tocca a diversi livelli, non solo la persona seguita dalla Caritas, ma i volontari e gli operatori della struttura. E’ un’opportunità che, se vissuta appieno, può cambiare la vita, “la
tua e quella degli altri” come recitava un vecchio slogan.
Le domande devono essere consegnate entro e non oltre il 16 aprile alle ore 14.00. Possono partecipare al bando giovani che abbiano
compiuto 18 anni e che non abbiano ancora compiuto 29 anni alla data
di presentazione della domanda.
Maggiori informazioni sui progetti e la modulistica per partecipare al
bando sono disponibili sul sito www.caritasitaliana.it
La domanda può essere presentata esclusivamente secondo le seguenti modalità:
- a mezzo “raccomandata A/R” intestata a Caritas Diocesana
Velletri-Segni;
- consegnata a mano presso la sede Caritas nei seguenti
giorni e orari:
Venerdì 3 aprile
h. 9.30 - 11.30
Martedì 7 aprile
h. 18.00 - 19.30
Giovedì 9 aprile
h. 9.30 - 11.30
Martedì 14 aprile
h. 18.00 - 19.30
Giovedì 16 aprile
h. 12.00 - 14.00.
so retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità deve
più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto, anche
a coltivare l’esigenza del perdono e di una volontà riconciliativa propria dell’amore cristiano con
la disponibilità all’eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo il caso del coniuge che ha subito divorzio, che se ben conosce l’indissolubilità del vincolo matrimoniale valido, non si lascia coinvolgere in una nuova unione impegnandosi esclusivamente nell’adempimento dei suoi doveri di
famiglia e delle responsabilità della vita cristiana facendosi testimone di fronte alla società e
alla Chiesa.
Oggi si sceglie ancora il matrimonio, certo, ma
con l’atteggiamento di chi fa un’esperienza da
sottoporre a verifica. Questo approccio è ormai
prevalente rispetto all’atteggiamento di chi fa una
scelta ponderata e consapevole, è un concetto di libertà che svaluta totalmente il senso dell’impegno e della responsabilità che caratteriz-
za l’istituto del matrimonio. Il matrimonio è indissolubile per natura, il divorzio è soltanto una violazione della promessa solenne con cui i coniugi si impegnano per tutta la vita, poiché nell’amore coniugale, due persone si dicono l’un l’altra, in modo cosciente e volontario: sei così importante per me, che voglio stare solamente con
te e per sempre!
Papa Francesco, affrontando questo tema, ha
invitato i giovani a non lasciarsi vincere dalla “cultura del provvisorio” perché l’amore che costituisce una famiglia deve essere eterno e non
“stiamo insieme finchè dura l’amore”, poiché, l’amore cresce, così come una casa, e la casa si
costruisce assieme, non da soli. E la si fonda
non sulla sabbia, ma sulla roccia dell’amore vero,
che viene da Dio. Il matrimonio, aggiunge il Papa,
è anche “un lavoro di tutti i giorni, un lavoro artigianale, un lavoro di oreficeria, dove il marito
fa donna la moglie e la moglie più uomo il marito”, crescendo insieme e non terminando mai
una giornata senza chiedersi: “permesso, perdono, scusa e grazie”!.
Aprile
2015
12
Stefano Acchioni
“Le piccole cose sono di gran lunga le più
importanti” scriveva sir Arthur Conan Doyle nelle sue celebri “Le avventure di Sherlock
Holmes”.
Sono proprio i piccoli gesti quotidiani che facciamo nella nostra vita che dimostrano chi siamo realmente. I piccoli gesti, quelle piccole sciocchezze, inezie potremmo dire, che hanno un potere immenso nei confronti di chi li fa, ma soprattutto nei confronti di chi li riceve.
Nella società attuale capita però che, presi dalle nostre occupazioni, agiamo senza pensare,
in maniera meccanica, credendo quasi che gli
individui accanto a noi siano parte dell’ambiente
circostante, siano inanimati e non abbiano una
loro esistenza. Quelli che soffrono di più questa distratta indifferenza, sono ovviamente le persone considerate dalla società come un peso,
i più deboli che vengono messi agli angoli del
vivere civile, anche se “civile” in questo caso è
un eufemismo: essi sono le persone bisognose, gli anziani, i disabili.
È proprio nel momento in cui ci si accorge di
loro che tutto cambia.
Basta una scintilla per accendere un fuoco, un
fuoco fatto di valori, rapporti interpersonali, rispetto e solidarietà. In questo contesto si colloca il
volontariato, e per una volta possiamo essere
fieri del nostro Paese e di chi lo abita, poiché
l’Italia si colloca al primo posto mondiale per l’impegno profuso nel settore.
Il volontariato, inteso come attività di aiuto per
coloro che sono in difficoltà, eseguito da privati, gruppi e associazioni senza scopo di lucro,
è fondamentale in quanto colma le lacune delle amministrazioni pubbliche grazie alla semplice
spontaneità della gente che pensa che si possa vivere in un mondo migliore facendo qualcosa nel proprio
piccolo: è appunto
attraverso dei primi
piccolissimi gesti
che nascono poi delle iniziative collettive votate a tale
scopo.
È quello che è capitato ad alcuni ragazzi della parrocchia
di San Giovanni
Battista di Velletri i
quali, nel novembre 2013, attraversando la stazione Termini di Roma, in quello che è un itinerario praticamente obbligato per gli studenti
pendolari, si sono “accorti” dei senzatetto che
dimorano tra i binari e nelle zone limitrofe del
più importante snodo ferroviario della Capitale.
Notando la loro sofferenza, i ragazzi hanno cominciato a portare parte del loro pranzo della mensa universitaria a questi clochard, intenzionati
ad alleviare per un momento la loro fame, poi
si sono resi conto che il bisogno primario che
avevano queste persone non era quello di cibo,
bensì di ascolto e comprensione, di essere considerati degli esseri umani dotati di vite, storie
personali e sentimenti come chiunque altro.
Fu così che questi primi due-tre ragazzi cominciarono a coinvolgere sempre più persone, interne ed esterne al loro gruppo di amici, in quello che poi è diventato un incontro a cadenza bisettimanale con i senzatetto della stazione Termini,
portando loro dei viveri e delle bevande, ma soprattutto prestando attenzione alle loro parole, condividendo esperienze, ascoltando quelle incredibili storie di vita che venivano raccontate, spesso con le lacrime agli occhi, dagli “abitanti” della stazione.
Questo gruppo di ragazzi, battezzato poi
“Charity for Friends” e attivo ormai da oltre un
anno, porta avanti dunque quest’esperienza di
condivisione della propria vita con quelle dei loro
nuovi amici, ed è felice di accogliere sempre più
persone che facciano parte del progetto, che credano nella realizzazione materiale di quella stucontinua nella pag. accanto
Aprile
2015
segue da pag. 12
penda virtù descritta da S. Paolo nella prima lettera ai Corinzi grazie ai piccoli gesti, come lo è
stato quello della prima, semplicissima, fetta di
pane donata in quei giorni di novembre 2013.
È felice constatare come poi, prendendo esempio dall’iniziativa di “Charity for Friends” e contagiati dalla loro verve, si stiano attivando parallelamente altri progetti di aiuto sociale nel territorio, come quello di un piccolo gruppo di ragazzi della medesima parrocchia che portano conforto e gioia un paio di volte alla settimana agli
anziani ospiti della casa di riposo “Berardi” in
13
Velletri, con gesti semplici ma al contempo pieni di calore umano, come attività di svago e l’animazione della S. Messa domenicale.
Il gruppo di Charity for Friends continua i suoi
appuntamenti con i clochard della stazione Termini
due volte al mese, la sera del secondo e del quarto sabato del mese, in più invita tutti coloro che
ne vogliano sapere di più e, magari, condividere
con loro questa esperienza, all’incontro mensile della terza domenica del mese dalle ore 18,30
alle 19,30 nei locali della Parrocchia di S. Giovanni
Battista in Velletri, con la speranza di allargare
la loro nuova, bellissima famiglia.
Per maggiori informazioni in merito, gli interessati
possono rivolgersi ai responsabili dei due progetti attraverso i contatti sottostanti:
Per il progetto a Roma Termini:
Matteo: [email protected]
Gian Marco: [email protected]
Noemi: [email protected]
Per il progetto di assistenza anziani:
Luca: [email protected]
Beatrice: [email protected]
Vanessa: [email protected]
Giorgia: [email protected]
Aprile
2015
14
mons. Franco Risi
S
e volgiamo uno sguardo al nostro passato potremmo facilmente avvertire che
la nostra celebrazione pasquale per noi
non sempre ha portato i suoi risultati. Questa
“nuova” Pasqua può essere per ciascuno di noi
l’occasione favorevole per trasformare la nostra
vita. Il Signore aspetta per la nostra conversione
aspetta i nostri tempi.
Noi dobbiamo almeno provare a metterci nella
predisposizione per poter veramente cambiare: per ciascuno di noi e per tutta la comunità
cristiana questa Pasqua di Resurrezione sia un
percorso di ritorno al Padre con un amore e un
atteggiamento di figli, consapevoli delle difficoltà
e delle sfide, che incontriamo nel cammino quotidiano della vita e con la consapevolezza che
troveremo la forza di uscire dal tunnel dell’indifferenza religiosa, e così riacquistare la certezza che Gesù ha già percorso questo cammino, fino in fondo, e che attraverso la sua sofferenza, la sua morte e la sua resurrezione ha
comunicato la vita, la vita nuova, e la comunione
con il Padre.
In questo tempo, credo che la Chiesa rivolga
ai cristiani l’importante invito a vivere da testimoni del Risorto per riscoprire il sacramento della Cresima che, con il dono dello Spirito Santo,
ci dà la forza di gridare al mondo le meraviglie del Signore.
È opportuno che ognuno cerchi di rispondere con sincerità a questa domanda: che
cos’è per me il dono dello Spirito Santo?
L’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli,
ci aiuta a capire ciò che noi oggi
intendiamo per sacramento della Cresima con queste parole:
«Allora gli apostoli, che erano a Gerusalemme, saputo che la Samaria aveva
accolto la Parola di
Dio, mandarono da
loro Pietro e Giovanni.
Essi andarono e pregarono per loro affinché ricevessero lo
Spirito Santo; infatti non
era ancora disceso
su alcuno di loro, ma
erano stati soltanto
battezzati nel nome
del Signore Gesù.
Quindi imposero loro le
mani, ed essi ricevettero lo Spirito Santo»
(At 8,14-17).
Da questo testo comprendiamo che il
Battesimo è la porta della vita cristiana, la sorgente da cui ha inizio
la vita dell’uomo nuovo. Ma ciò non basta.
Infatti il cristiano, giun-
to in un’età matura, deve confermare gli impegni presi il giorno del proprio Battesimo e in modo
solenne, attraverso le mani del Vescovo, riceve nuovamente lo Spirito Santo, questa volta,
però, in modo definitivo.
Con la Cresima ogni battezzato diventa adulto
nella fede, testimone del Signore Risorto,
pronto per andare in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo.
Questo insegnamento è maggiormente messo
in risalto da un altro breve testo degli Atti degli
Apostoli: «Si fecero battezzare nel nome del Signore
Gesù e non appena Paolo ebbe imposto le mani,
scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in
lingue e profetavano» (At 19, 5-6).
Ricevere lo Spirito Santo vuol dire parlare le lingue e profetare. Ma cosa significa ciò? Significa
che possiamo testimoniare Gesù Risorto a tutti con fiducia, forza ed entusiasmo; essere capaci «di portare al mondo la testimonianza dello
spirito fino alla piena maturità del corpo di Cristo»
(Ad gentes, 36) ed essere in grado di parlare
con il linguaggio di oggi di Gesù Risorto in una
società che spesso tende a vivere come se Dio
non esistesse.
Lo Spirito Santo, pertanto, ci dà la forza di scoprire ogni giorno i doni che Dio stesso ci ha donato: certamente non sono tutti uguali, ma la benevolenza di Dio distribuisce a ciascuno secondo le sue capacità. Possiamo dire che la Terza
Persona della Santissima Trinità ci permette non
solo di avere coraggio a testimoniare la nostra
fede, ma ci conduce contro corrente e ci invita
quotidianamente a vivere nella corresponsabilità ovunque ci troviamo.
Scrive l’apostolo Paolo alla comunità di Corinto:
«a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito
per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a
un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a
un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; […] ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole» (1Cor 12, 7-9.11).
Mi piace pensare allo Spirito Santo come a colui
che insegna, ricorda e fa parlare. Prendo questa bella definizione dalle parole di papa
Francesco: «Lo Spirito Santo ci insegna: è il Maestro
interiore. Ci guida per il giusto cammino, attraverso le situazioni della vita […]. Lo Spirito Santo
ci ricorda, ci ricorda tutto quello che Gesù ha
detto. E’ la memoria vivente della Chiesa […].
Lo Spirito Santo ci fa parlare, con Dio e con gli
uomini. Non ci sono cristiani muti».
Durante la celebrazione del Sacramento della
Confermazione in san Pietro, papa Francesco
così si è rivolto ai cresimandi:
«E’ un invito che rivolgo a voi cresimandi e cresimande e a tutti: rimanete saldi nel cammino
della fede con la ferma speranza nel Signore.
Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui
ci dà il coraggio di andare controcorrente.
Sentite bene, giovani: andare controcorrente;
questo fa bene al cuore, ma ci vuole il
coraggio per andare controcorrente
e Lui ci dà questo coraggio! Non ci
sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far
paura se rimaniamo uniti a Dio
come i tralci sono uniti alla
vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita».
Per essere testimoni di Gesù Risorto
e riscoprire il
Sacramento della
Cresima è indispensabile aprirsi
continuamente alle
novità di Dio che sono
sempre belle e
improvvise, nonostante possa capitarci di affrontare
degli ostacoli che
potrebbero rallentare il cammino della vita.
Solo così possiamo
sperimentare quanto
il Signore ripete a ciascuno di noi: «sei
degno di stima e io ti
amo» (Is 43, 4).
Maesta, part., Incredulità di Tommaso, Duccio da Boninsegna, 1308-11, Siena.
Aprile
2015
15
don Andrea Pacchiarotti
P
uò sembrare assurdo parlare del Sabato
Santo perché per tutti noi è un giorno caratterizzato, in mezzo alla frenesia e al frastuono delle
nostre giornate, dal silenzio, un giorno che potrebbe apparire come svuotato di senso.
A proposito, scrive Enzo
Bianchi, che anche i vangeli tacciono su questo “grande sabato”: il racconto
della passione di Gesù si
arresta alla sera del venerdì, all’apparire delle prime
luci del sabato e riprende
solo con l’alba del primo giorno della settimana, il terzo giorno, appunto. Giorno
vuoto, dunque? Nella tradizione cristiana occidentale, il Sabato Santo è l’unico giorno senza
celebrazione eucaristica, l’unico giorno restato
“aliturgico”, senza celebrazioni particolari: tacciono le campane, non ci sono fiammelle accese nelle chiese spoglie, né canti… Tuttavia siamo chiamati a vivere questo giorno cogliendone il messaggio proprio.
Il Sabato Santo, inserito tra il dolore della Croce
e la gioia della Pasqua, si pone al centro della
nostra meditazione. È un giorno denso di sofferenza, di attesa e di speranza, segnato da un
profondo silenzio. I discepoli hanno ancora nel
cuore le immagini dolorose della morte di Gesù
che segna la fine dei loro sogni.
In quel giorno sperimentano il silenzio di Dio,
la pesantezza della sua apparente sconfitta, la
disperazione dovuta all’assenza del Maestro prigioniero della morte. Eppure, i discepoli, proprio
attraverso la porta del Sabato Santo, ci aiutano a riflettere sul senso del nostro tempo e a
leggere il passaggio dei nostri giorni, riconoscendo
nel loro disorientamento, le paure che caratterizzano la nostra vita di credenti nello scenario
odierno. Dov’è Dio? È questa la muta domanda del Sabato Santo. Dov’è quel Dio
che era intervenuto al battesimo di
Gesù, aprendo i cieli per dirgli: “Tu
sei mio figlio, di te provo molta gioia”
(Mc 1,11)? Dov’è quel Dio che era
intervenuto sull’alto monte, nell’ora della trasfigurazione con Mosè
ed Elia e aveva esclamato: “Ecco
mio figlio, l’amato!” (Mc 9,7)?
Nell’ora della croce Dio non è intervenuto, a tal punto che Gesù si è
sentito abbandonato da lui e glielo ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).
Ecco, un giorno intero passa e non
c’è intervento di Dio… Eppure Dio
non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per
i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé
Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito
santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare
anche là la liberazione. “Discese agli inferi” confessiamo nel Credo. Ecco ciò che nel nascondimento avviene al Sabato Santo: giorno vuoto, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma
giorno in cui il Padre - che “opera sempre”, come
ha detto Gesù - attraverso di lui porta negli inferi la salvezza. Come Giona nel ventre del pesce
per tre giorni e tre notti (cf. Mt 12,40), così anche
Gesù dalla croce fu deposto nella tomba e, da
lì, discese ancora, agli inferi, allo sheol dove dimorano i morti. Così la discesa agli inferi diventa
estensione della salvezza a tutto il cosmo, salvezza dell’essere umano nella sua interezza: Cristo
scende nel cuore della terra, nel cuore della creazione, nelle zone infernali che abitano ogni uomo.
(Enzo Bianchi, Dare senso al tempo).
Il Sabato Santo è anche giorno di Maria che lo
vive nelle lacrime unite alla forza della fede. Così
Maria con la sua forza d’animo sorregge la fragile speranza dei discepoli amareggiati e delusi. Sostenuti da Maria, anche noi possiamo leggere le nostre attese, le nostre speranze, le nostre
fatiche. Anche nel sabato di questo nostro tem-
po è necessario riscoprire l’importanza della presenza del Signore nell’assenza di direzione, nella frenesia e nella sofferenza di questo nostro
tempo. Maria ci apre alla speranza che verrà
per tutti il giorno ottavo, il giorno del ritorno del
Signore Gesù, non fuori, ma dentro le contraddizioni
di questa nostra storia.
Per questo, lasciamoci ispirare dalla riflessione sul Sabato Santo per così condividere la sua
e nostra Pasqua e accogliere la stessa gioia degli
apostoli quando incontrano Gesù vivente e risorto. All’indifferenza, alla frustrazione e alla delusione senza attese di futuro, deve opporsi la speranza, non quella fondata su calcoli, ma sull’unico fondamento della promessa di Dio.
Si tratta di rischiarare attorno a noi, con gli atti
semplici della vita quotidiana, e senza forzature, la gioia interiore e la pace, frutti della consolazione dello Spirito. Perché credere in
Cristo, morto e risorto, per noi significa essere
testimoni, con la parola e con la vita, della speranza che non muore.
Nell’immagine del titolo: Lamentazioni sul Cristo morto,
Anthony van Dyck, ante 1630, collezione privata.
Aprile
2015
16
Laura Dalfollo
N
ell’ultima riflessione
proposta, il tema dell’obbedienza è stato trattato in termini ampi, con uno sguardo alla vita cristiana nel suo carattere generale di universale
offerta di relazione a Dio, senza fermarsi al proprio e particolare
carattere che assume nella
consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici, come viene definita nello specifico la vita consacrata nel decreto conciliare Perfectae Caritatis.
I voti religiosi devono essere riconosciuti e vissuti come mezzo
per vivere appieno l’unione a Cristo,
la fedeltà a Lui, alla sua speciale chiamata.
L’obbedienza è non subita,
bensì assunta come perfezione di quell’amore che ha come
modello il Figlio «obbediente fino alla morte, e alla morte di croce». Possiamo
notare che, nella comunione vissuta con il Padre, in un’esistenza orante, dialogica, il Cristo ha vissuto un’obbedienza creativa, ovvero un’unione che nell’amore supera l’immagine della sottomissione soffocante per una liberazione vitale, unificante la persona in un cammino di assimilazione sempre maggiore al Cristo totalmente casto, povero e obbediente, al Cristo amante.
La vita consacrata è tale, non come cocciuta volontà personale, non
come ideale da realizzare personalmente nella propria solitaria
coscienza, bensì come nuovo titolo di partecipazione alla consacrazione
in Cristo in forza della risposta di una vocazione personale, particolare offerta dello Spirito Santo. È inoltre, come già accennato, chiamata creativa, perché la radicalità della sequela è legata al carisma, alla
particolarità dell’incarnarsi nella storia di tale chiamata in ordini o istituti religiosi, oppure in altre forme di consacrazioni riconosciute dalla
Chiesa, collettive o individuali. È dato in queste ultime righe di riconoscere la dimensione personale chiamata all’impegno ecclesiale.
La consacrazione infatti - come il battesimo di cui è perfezione - deve
essere atto pubblico, che possa essere nella sua realtà, percepito dalla Chiesa e dal popolo di Dio attraverso una manifestazione di professione, del proprio impegno nell’accogliere il dono che Dio rende manifesto nel suo amore. In questa azione personale di riconoscimento e
accoglienza della chiamata di Dio davanti alla Chiesa di Cristo in cui si
vive un processo di assimilazione continua, l’obbedienza diviene come
frutto dell’armonia dei consigli evangelici e allo stesso tempo tensione
unificante all’accoglienza incondizionata della volontà di Dio percepita
in coscienza e mediata dalle indicazioni dei legittimi superiori.
In modo chiaro viene illustrato questo ruolo specifico dei superiori, in
un legame dato dalla comprensione dell’obbedienza come espressione della carità, nell’esortazione apostolica del santo Giovanni Paolo II,
Vita consecrata, del 1993 in cui si può leggere: «Nella fraternità, animata dallo Spirito, ciascuno trattiene con l’altro un prezioso dialogo per
scoprire la volontà del Padre, e tutti riconoscono in chi presiede l’espressione
della paternità di Dio e l’esercizio dell’autorità ricevuta da Dio, a servizio del discernimento e della comunione»1.
Santa Teresa l’obbedienza si ritrova in sintonia con tale comprensione,
aggiungendo, nella sua saggezza, un vincolo capace di farci trovare l’equilibrio. Una peculiarità infatti, filo rosso dell’espressione della santa
al riguardo, è la visione dell’obbedienza strettamente connessa all’umiltà, virtù data a chi
nel timore di Dio riconosciuto nella sua grandezza, vive la sua condizione come dono inestimabile, da custodire e realizzare nella semplicità di un’esistenza ordinaria, avendo nell’obbedienza alla
regola dell’istituto, quale esso sia,
e le indicazioni del superiore la
via per la propria crescita nella
comunione con Dio e il rispetto amante nei riguardi della propria chiamata.
Dice infatti la Santa nel prologo alle Fondazioni, che la stessa scrive per obbedienza al proprio confessore, offrendosi in prima persona attraverso la sua esperienza: «Conosco il gran bene
che deriva all’anima dal non mai
allontanarsi dall’obbedienza.
Pur prescindendo dal molto
che ne ho letto in vari libri, so
che da ciò dipende l’avanzamento nella virtù, l’acquisto dell’umiltà, la
sicurezza contro il timore di smarrire la strada del cielo - timore che in
questa vita è sempre bene coltivare - e quella pace tanto grata a chi
desidera piacere a Dio»2.
La dinamica interiore si concentra in una unificazione interiore, equilibrata e di umile affidamento a Dio, nell’attenta presenza e direzione del
superiore. Si tratta, infatti, di una concordia da figurare come cuori che
camminano assieme, cum-cordis, in armonia di volere.
In questo l’obbedienza non è la sottomissione cieca e silente. Si presenta come cammino comune sotto un unico volere nella sempre più
profonda comunione con Dio ogni consacrazione secondo il proprio carisma, via maestra per l’esistenza del soggetto in cammino verso la perfezione. Ognuno secondo la propria particolarità da cui l’esprimersi concreto della consacrazione. Lungimirante in questo senso Santa Teresa
quando richiama all’attenzione al proprio essere, nella propria personale vita, secondo la regola che si è eletto, senza presunzioni di propria bravura, bensì con lo sguardo a Dio e al suo amore liberante.
Possiamo leggere infatti «Non è ragionevole pretendere che camminino tutti per la nostra strada: tanto meno poi insegnare il cammino della perfezione quando non si sa neppure cosa sia. Anche se questi desideri del bene altrui ci siano ispirati da Dio, vi si possono commettere
molti sbagli. Per cui è meglio attenerci a quanto prescrive la nostra Regola,
vale a dire: “Vivere sempre nel silenzio e nella speranza”.
Delle anime altrui avrà cura Iddio; e noi saremo ad esse più utili se cercheremo di raccomandarle al Signore»3.
Impressionante la chiarezza e l’abbandono alla provvidenza divina, obbedienza a cui vengono chiamate tutte le sue figlie. Una obbedienza che
è appunto espressione di fiducia, di relazione viva di amore. Da Dio veniamo e a Dio ci abbandoniamo, nel rispetto di ogni suo figlio per il quale
è desiderata una storia precisa, conosciuta, che solo Lui sa comunicare e che non sarebbe reale se forzata, obbligata.
In questo anno dedicato alla vita consacrata il riflettere sulla particolarità di ognuno dei consigli evangelici e approfondire l’impegno non che
nasce da un voto pubblico, bensì l’impegno che a tale voto porta, continuando a sostenere e animare la risposta alla personale chiamata che
Dio nel suo amore ha voluto pronunciare. È da Lui che tutto nasce e
in Lui tutto deve essere compreso e vissuto. Bene lo spiega Santa Teresa
in riferimento proprio all’obbedienza: «È chiaro che non si può dare quelcontinua nella pag. accanto
Aprile
2015
don Antonio Galati
I
l numero 44 della Lumen gentium, nel capitolo riguardante i religiosi, termina affermando
che lo stato di vita religioso «pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa,
appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita
e alla sua santità» (LG 44). In altre parole, come
conclusione del discorso riguardante la natura
e l’importanza della vita religiosa all’interno della Chiesa, il concilio si propone, nel proprio insegnamento, di affermare e descrivere il tipo di
rapporto che intercorre tra i religiosi e la struttura gerarchica della Chiesa; tema che poi svilupperà nel successivo numero 45 della stessa costituzione sulla Chiesa.
L’affermazione fatta dai padri conciliari si compone di una parte negativa, in cui si distingue
lo stato di vita religioso dalla gerarchia ecclesiale, e di una parte positiva, attraverso la quale si evidenzia un rapporto tra i due termini in
questione. Negativamente parlando, già in precedenza, al numero 43, il concilio aveva introdotto il tema dello stato di vita religioso confrontandolo
con quello clericale e laicale, distinguendolo nettamente da questi: infatti si afferma che i religiosi non si pongono in mezzo come intermediari tra i chierici e i laici (cfr. LG 43).
Di contro, quindi, è possibile affermare che lo
stato di vita religioso è a sé stante, con una natura propria e distinta. Questa, quindi, non è assimilabile o circoscrivibile alla gerarchia ecclesiale,
che ha la propria natura e il proprio fine, stabiliti dalla Tradizione e, sinteticamente, da quanto affermato nel capitolo III della Lumen gentium, secondo cui la gerarchia è costituita dai
soli tre ordini sacramentalmente istituiti dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato (cfr.
LG 18-29).
Stabilito e definito questo, il concilio, però, non
si limita ad affermare la distinzione dei religiosi dai laici e dai chierici, ma si preoccupa anche
di confermarne la piena appartenenza alla Chiesa,
oltre che i comuni intenti. È questo il senso della seconda parte dell’affermazione conclusiva
del numero 44 della Lumen gentium che, sviluppando il tema al numero 45, per poter descrivere la natura dei rapporti tra gerarchia e reli-
17
giosi all’interno della
vita e dell’organizzazione ecclesiale,
ha il consiglio evangelico dell’obbedienza come orizzonte e
come termine principale di riferimento.
Infatti, in quest’ottica,
il numero 45 della
Lumen gentium si
preoccupa di specificare, per prima cosa,
il modo con cui l’autorità ecclesiale si rapporta con i religiosi e, successivamente, come questi si rapportano con la gerarchia, per concludere sulla dimensione liturgica della consacrazione
religiosa, che si rende necessaria per non schiacciare tutto il discorso solo su un aspetto giuridico che, in realtà, deve essere considerato solo
funzionale per il giusto esercizio dei consigli evangelici all’interno della Chiesa.
Avendo come premessa generale il fatto che
l’autorità ecclesiale è il servizio stabilito da Cristo
per condurre il suo Popolo alla salvezza (cfr.
LG 18), si conclude, quasi necessariamente, che
«spetta ad essa regolare sapientemente con le
sue leggi la pratica dei consigli evangelici» (LG 45).
Questo tipo di servizio e di autorità, però, deve
essere considerato nella giusta ottica del
discernimento, per cui la regolamentazione della vita religiosa non è a semplice discrezione
della gerarchia, ma, nell’ottica delle indicazioni paoline (cfr. 1Ts 5, 19-21), è accoglienza dello Spirito e del modo con cui si esprime la concretizzazione della carità nel contesto storico
e sociale (cfr. LG 45).
Se questa dimensione pneumatico-divina è uno
dei criteri che la gerarchia deve tenere da conto per il suo esercizio di servizio e di regolamentazione
della vita religiosa, essa non è sufficiente e deve
andare di pari passo con un’altra caratteristica, questa volta vertente la dimensione umana, che è la “nobiltà” degli uomini e delle donne che propongo alla gerarchia la propria regola di vita per l’approvazione, dove per “nobiltà”
si può intendere la santità che questi uomini e
donne raggiungono ed esprimono con il loro modo
segue da pag. 16
lo che non si ha, e che prima di dare occorre avere. Perciò credetemi:
per acquistare questo tesoro non v’è mezzo migliore che di scavare nella miniera dell’obbedienza ed estrarlo a viva forza. Più scaveremo e più
troveremo; più ci assoggetteremo agli uomini col non volere altra volontà che quella dei superiori, e più ci faremo padroni della nostra per conformarla a quella di Dio”4. Oggi ancora queste parole siano aiuto a com-
di vivere i consigli evangelici e in quella forma
specifica che sottopongono alla decisione
ecclesiastica. In sintesi, il ruolo dell’autorità della Chiesa, è quello del duplice discernimento:
delle mozioni dello Spirito e della concretizzazione, da parte degli uomini, della santità dei
consigli evangelici.
Il ruolo della gerarchia, però, non si limita all’atto dell’approvazione della regola di vita religiosa,
ma, successivamente, diventa esercizio di custodia e di aiuto «agli istituti, dovunque eretti per
l’edificazione del corpo di Cristo, perché abbiano a crescere e fiorire secondo lo spirito dei fondatori» (LG 45). Si esprime, cioè, quell’altra funzione della gerarchia che, oltre a pascere il Popolo
di Dio verso la manifestazione del compimento della storia, è il vigilare sulla fedeltà della Chiesa
alle sue origini (cfr. LG 25).
Se questo vale in generale per tutta la cattolicità, si concretizza anche per le varie espressioni della vita ecclesiale, e quindi, in questo
caso, per la vita religiosa.
In altre parole, il servizio dell’autorità nei confronti dei religiosi è quello di aiutare quest’ultimi a restare fedeli alla volontà del fondatore,
non tanto nella fissità di quanto stabilito una volta per sempre, ma, di più, nel fare in modo che
gli intenti, che si volevano raggiungere con la
regola di vita religiosa originale, continuino a conseguirsi nella mutabilità delle condizioni storiche e sociali.
Nell’immagine del titolo: Storie della vita di Sant’Agostino Alcune leggende riguardanti Agostino (scena 12),
Benozzo Gozzoli,1464-65, San Gimignano.
prendere più profondamente e poter così sostenere con la preghiera al
Signore obbediente chi a Lui si consacra in un amore esclusivo, povero casto e obbediente.
1
VC, 92.
Fondazioni, Prologo, 1.
3 Mansioni, 3,13.
4
Fondazioni, 5,12.
2
3
Nell’immagine del titolo a pag. 16:
Santi e sante religiosi, Altare di san Giovanni,
part., Hans Memling, 1474-79.
Aprile
2015
18
don Gaetano Zaralli
C
he il confronto tra
fidanzati possa portare a crisi anche profonde alla vigilia del matrimonio
non mi è cosa nuova, forse
per questo saluto sempre con
piacere la crudezza del parlare sincero tra i due, prima
di avventurarsi nella storia
di un legame che la Chiesa
vuole indissolubile.
I Corsi Prematrimoniali, se non
sono pura formalità, se non
si affrontano solo per avere
un attestato, scavano nell’intimo
dei nubendi, costringendoli
a riflettere in modo serio, finalmente, sulla qualità del rapporto che insieme hanno
costruito fin lì.
La celebrazione di un matrimonio è una data, è un giorno, è un momento in cui si
bruciano i risparmi che con
fatica qualcuno ha messo da
parte per la festa che, a sua volta, resterà segnata in quelle riprese e
in quelle foto, dove l’abito della sposa è stato l’oggetto delle maggiori
attenzioni e i baci hanno costituito la finzione, la più dolce e la più romantica, che le usanze consumate sugli scenari più astrusi delle mode
desiderano ardentemente.
Mi facevo pena talvolta quando mi scoprivo presso l’altare quale personaggio insignificante che si confonde tra i fiorai avidi di guadagno, i
fotografi padroni della situazione e i suonatori che col soprano di turno inneggiano agli sposi … Quanto è difficile fare emergere in quel contesto l’autenticità dei sentimenti più che lo sfarzo degli addobbi, la semplicità del sacramento più che la complessità del rito esteriore!
- Buona sera, figliolo!… Cosa ci fai qui, a quest’ora?
- Non mi riconosce, Padre? Sono D…. l’ex ragazzo di A…
D... è un giovane assennato, ma sofferente; gentile, ma teso all’inverosimile: ha dovuto interrompere il corso prematrimoniale per volontà
della sua ragazza: si sono lasciati. Quella sera lo trovai giù in fondo
alla chiesa, solo, raccolto nella penombra, attento a non farsi riconoscere dai fidanzati che nel frattempo uscivano dalla sala delle riunioni. Alla sera successiva lo sorpresi fuori dalla chiesa, poggiato allo stipite della porta esterna, e nella piazza c’era un gran freddo. Mi consegnò una lettera, pregandomi di farla conoscere ai ragazzi che in quell’anno si sarebbero sposati. La trascrivo per intero:
“Ciao a tutti, sono D…, il ragazzo della coppia che è venuta
due volte al corso. Con questa lettera vorrei farvi i complimenti
per essere arrivati al termine del lavoro e i migliori auguri perché possiate trascorrere una vita insieme piena di gioia e felicità, anche se i problemi e le difficoltà non mancheranno.
Vorrei che queste mie parole vi aiutassero a riflettere e a tenere
a mente che la persona
che amate e che sposerete dovrete trattarla con
rispetto, più di quanto fate
per voi stessi, imparando
ad ascoltarla, anche
quando i suoi problemi
“sembrano” essere meno
importanti dei vostri.
Io in sette anni ho commesso più volte questo
errore. E’ vero che ero più
piccolo e immaturo e
che ognuno ha i suoi difetti, ma avevo avuto la fortuna di avere accanto un
angelo che ogni volta tornava da me e con tanta
umiltà teneva compatto
il rapporto. Questo non
sta a significare che io mi
potevo comportare come
volevo, perché tanto lei
era sempre lì… Quando
accadevano delle “bisticciate”, era il mio orgoglio
a prevalere e a bloccarmi, nonostante avessi desiderio di chiederle scusa.
Ciò non vuol dire che io non l’amassi, anzi, io l’amo tutt’ora più
di ogni altra cosa, come se fosse la prima volta, anche se l’ho
persa. Il problema è che in quei momenti ritenevo opportuno far
riflettere l’altra persona sull’accaduto, ma mai ci riflettevo a fondo io per primo. Molte volte per amore alcuni problemi non si affrontano e si lasciano correre, arrivando poi a delle incomprensioni
gigantesche che, purtroppo, come è successo a me, si capiscono soltanto dopo, quando è troppo tardi.
Non abbiate vergogna di mostrare i vostri sentimenti o le vostre
paure, è umano e non è indice di debolezza, ma di forza. Io ho
ritrovato ora la fede e con essa i valori e i sani principi. L’unico
dolore che mi porto dietro ogni giorno è quello di volerlo dimostrare alla persona cui, ancora oggi, donerei la vita, ma, purtroppo,
lei non vuole più saperne di me.”
Il rischio che corrono i fidanzamenti che si protraggono per anni, prima di addivenire ad una scelta formale e definitiva di convivenza, si
chiama “assuefazione al facile”. Tutto è provvisorio e le soluzioni ai problemi, pur seri, che si incontrano si rimandano ad altra data, come se,
una volta sistemato l’appartamento in cui si andrà a vivere, tutto si risolverà nell’automatismo degli avvenimenti.
Il rischio più frequente che le giovani coppie corrono, costrette come
sono a rimandare di anno in anno il loro matrimonio, sta anche nella
poca voglia che hanno di conoscersi meglio: vanno a letto insieme, sicuri di trovare nell’amplesso l’intesa necessaria per un futuro più tranquillo,
ma spesso, proprio in quell’atto, emergono i limiti del già vissuto.
Nell’immagine del titolo: opera pittorica di Eduardo Naranjio.
Aprile
2015
Monica Casini
La barbarie ha mostrato ancora una volta il suo
volto, riflettendo nello specchio delle brame del potere tutta la sua ferocia, sputando il suo veleno, emettendo sentenze di morte da reality show realizzando
atroci spot di un militante eccesso.
Fratelli, carne della nostra carne, facili prede ed
inermi vittime di un’esaltazione sanguinaria che
gridano al cielo. Il Leone ruggisce e divora, divulgando la terribile rivendicazione documentata di
questo macabro scempio, mentre l’oscurità dilaga nella storia degli uomini, trascinandosene le tormentose conseguenze. In questo tempo duro di
oppressioni, macerie di guerra, silenziose violenze
e persecuzioni che generano nuovi martiri, la speranza della pace è ciò che ci sostiene edificando
nuovi ponti, elevati sullo scorrere del sangue effuso. Elemosiniamo la pace, senza vergognarci di
farlo, cercando di ottenerla nei cuori di chi Dio ci
fa prossimo. Nel mondo scorre il sangue di tanti
nostri fratelli accerchiati dalle tenebre della morte, vittime del terrore, davanti al fiume dell’odio che
incide e dilania la forza della vita. Il curriculum di
una fine annunciata riempie l’oggi di una realtà spenta, profondamente contaminata che ci svilisce in
quanto creature, uniformandoci a semplici corpi
senza anima, che limita le nostre energie all’unico fine terreno infondendo un senso di inutilità a
termine e generando il non rispetto per la stessa
vita. Pace: concordia sociale, buon accordo tra singoli individui, tranquillità di uno stato sensoriale
che percepisce l’animo di chi non è turbato da passioni o ansie, situazione ipotetica che cavalca il
dolore, che incrocia le strade del disinteresse grondando del sacrificio dei testimoni della fede, figlia
di un’umanità senza anima, speculare immagine
dei suoi modelli, canoni di uno stereotipo legati a
convenzioni; invalicabili dettami d’ottusi limiti in un
immaginario collettivo e di una realtà distorta conseguenza della presunzione. Perché la vera pace
diviene condizione identitaria nella presenza del
Dio della vita che realizza l’incontro con la salvezza!
L’esperienza viva dell’amore profuso che spande
il suo profumo sul mondo in attesa. “ Siano rese
grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipi al suo
trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro
il profumo della sua conoscenza!” (2Cor.2,14).
Quello che ci circonda in questo tempo di prova
impone di guardare più in là e più in alto per andare oltre le forme costrette che impediscono allo
Spirito di respirare.
I costi che stiamo pagando per scelte che sviliscono la necessaria condivisione alla base di ogni
libertà sono quelle che affrescano il nostro quotidiano. L’assolutismo di un terrorismo cieco, mobilitato dalla chiusura di ogni possibilità di dialogo,
i macellai della vita nel delirio dell’onnipotenza dettano le loro condizioni, assetati e lordi delle loro
turpi atrocità, davanti al silenzio degli innocenti
immersi nella falsa panacea di convinzioni blindate, risultato di una ribellione solitaria, polvere
di un’umanità eviscerata da ogni sentimento, intrecciata con l’odio e l’oppressione che atterrano la
speranza. Facciamoci missione viva e operante
per chi oppresso dal superfluo della materia, sta
morendo di fame dell’anima; per quelli che dell’orgoglio si fanno una collana e la violenza è il
19
loro vestito, perché è dalla pace
dei cuori, figlia del perdono, che
comincia la nostra ascesa a Dio.
Viviamo in un mondo zavorrato da errori che sono schegge
impazzite che accecano l’anima, nel carnevale della ragione che uccide ogni proposito,
le buone intenzioni si limitano
ad esserlo propugnando un decisivo lassismo che dimostra
tiepidezza, non convinzione, vigliaccheria.
Lo sforzo di esorcizzare la
paura della morte e dell’orrore
che ci circonda nell’egoismo del
trattenere, la anticipa e la diffonde in tutto l’arco della vita proibendola, contraendola nella
materia fino a renderla definitivamente corruttibile. Ogni irrequietezza che toglie pace è segno
di lontananza da Dio. L’uomo senza Dio, è un uomo senza vita
che si contrappone ad ogni gioia,
che vive nell’assenza di speranza
dove risuona l’eco e il tintinnio
di quelle 30 monete prezzo del
tradimento di ogni Giuda di sempre. Sulla terra ci sono molti uomini che silenziosamente
donano, offrono, condividono, lottano, compatiscono;
pensano e operano con fede, ed è a questo esercito che dobbiamo unirci, a questa schiera dobbiamo seguito, verso quell’arcobaleno di pace e
prosperità che ogni cuore sincero augura a questo pianeta. Questo mare in tempesta agita i cuori e le anime sommergendoli con le onde della superficialità rendendoli preda dei flutti dell’insensibilità, perimetro limitato impedimento a nuovi orizzonti, a nuova vita, fossilizzandoci in una posizione
di stallo che è l’emblema di una realtà che propone chiusura totale, rifiuto, incredulità, derisione di un’armonia celeste, provvidenziale salda zattera per i lidi della salvezza: la professione della
fede in Cristo.
La forza attuata dell’amore plasma il mondo di assoluto, portandoci alla comunione dei santi, la condivisione dei beni, del tempo, dei sentimenti, motore di ogni comunità di intenti, presupposto che sgretola l’intonaco dei ruderi dell’anima, permettendo
al cuore di cavalcare l’onda del Suo rinnovamento!
La Sua Risurrezione è la nostra salvezza, “ Gesù
è la stella polare di ogni duratura speranza”, la certezza dell’incontro con Lui, vivo oggi e sempre che
infiamma ancora adesso i cuori e li converte. Limiti
evidenti circoscrivono l’oggi vissuto come tempo
determinato e sfuggente, seguito da un domani
incerto e nebuloso, preceduto da ieri, passato datato ed incontrovertibile. Solo Gesù è Ieri, Oggi e
Domani, l’imprescindibile legame di ogni tempo,
vivo del Suo amore eterno nella verità della salvezza che con potenza si manifesta al mondo nella gloria di Cristo Salvatore e la Sua Risurrezione.
In quest’epoca dello spreco di tutta una vita, di un’avarizia che possiede e accumula in una logica avida e terminale, del troppo proposto dal mercato
nel tempio, la prodigalità vicendevole può essere il balsamo che lenisce l’indifferenza, il dono gra-
tuito la scintilla per poterci amare di più, lo sprone a esplorare il cuore lasciando che la sua terra assorba lo Spirito di Dio e possa germogliare
quella pace profonda che Gesù donerà al mondo. Quando il traditore esce, dallo stesso Cenacolo
dove poi sarebbe scesa la Pentecoste, Gesù per
rischiarare la notte che vede arrivare sul mondo,
lascia agli apostoli di ogni tempo, il Suo testamento.
Rendiamoci seminatori e testimoni, l’obbedienza
è porta di unione perfetta e forma suprema di libertà. La lotta è fatica, dolore e rende perseverante
l’impegno per il bene comune, nella luce abbagliante
della resurrezione che dona la sicurezza di un eterno vissuto. “Una spiga conta più di tutta la zizzania del campo. Un solo gesto d’amore, anche muto
e senza eco, è più utile al mondo dell’azione più
clamorosa, dell’opera più grandiosa. E’ la rivoluzione totale di Gesù, possibile a tutti, possibile ogni
giorno”(Ermes Ronchi).
Quando non c’è possibilità di confronto, l’orda barbarica di un odio incontrollato scende sul mondo
con la sua antica violenza e le nostre risposte si
adeguano agli orrori subiti, il desiderio di giustizia si fonde con la vendetta cercandone giustificazione, perché l’essenza del male porta con se
il suo veleno di morte. Reagiamo con inni alla vita,
preserviamola facendoci pace, offrendo di noi tutto quanto è possibile condividere; quella pace che
è immenso dono elargito da Cristo Gesù che ne
è il principe, restiamo saldi alla Sua sequela e nella follia della Croce, perché come in uno specchio possiamo riflettere la Beatitudine promessa
, spalancandoci a Lui abiteremo nelle sofferenze
orientando la vela della vita verso la fraternità, il
dono, la collettività, registrando l’altimetro dell’amore sull’osmosi dei cuori e la levitazione dell’anima. La gioia del nostro Dio che apre le braccia
per riceverla santificherà ogni gesto, parteciperà
ogni dono, accrediterà ogni cuore.
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2015
20
Giovanni Zicarelli
D
oppia motivazione, quella dell’incontro del 2 marzo fra il vescovo della nostra diocesi, S. E. mons. Vincenzo Apicella, e le parrocchie di Colleferro presso l’Auditorium della parrocchia
dell’Immacolata: resoconto della Visita pastorale interparrocchiale compiuta dal vescovo in Colleferro nel mese di ottobre 2013, con conclusioni e conseguenti propositi da concretizzare, e l’annuncio del
Convegno ecclesiale nazionale che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 che ha per titolo “In Gesù Cristo il nuovo Umanesimo”. Riguardo
alla Visita pastorale, mons. Apicella ha così, in sintesi, riferito:
È stata notata una grande ricchezza di energia umana da “sfruttare” in
modo ancora più pieno e razionale al fine di massimizzare l’efficacia delle azioni.
È vista positivamente la nascita, con varie finalità, di gruppi parrocchiali
nonché interparrocchiali. Alla base della loro aggregazione, però, si ricorda che deve esservi la parola di Dio a cui dovranno sempre far riferimento. La catechesi deve essere un’azione anche esterna alle mura del-
la parrocchia, volta ad ottenere un’evangelizzazione che nasca già in
ambito familiare.
Il perdurare della crisi delle vocazioni rende necessaria una corresponsabilità
dei laici a cominciare da una maggiore valorizzazione della figura del
diacono. Valorizzare quindi anche il Consiglio pastorale ed il Consiglio
di amministrazione degli affari economici.
Per la Caritas, rimane basilare il coordinamento fra le parrocchie, al fine
di affrontare con sempre maggiore efficacia le varie emergenze che i
tempi odierni sempre più vedono aumentare le preesistenti e nascerne
di nuove.
Il vescovo ha poi lasciato la parola a Claudio Gessi, presidente dell’associazione “Città dell’Uomo”, promotrice di varie iniziative socio-storicoculturali, il quale, con l’aiuto di alcune slide, ha argomentato sul prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze ovvero del quinto incontro dei vescovi della C.E.I..
Dopo un breve ma esauriente excursus storico dei precedenti quattro
convegni, tenutisi sempre, grosso modo, a cadenza decennale (Roma
1976, Loreto 1985, Palermo 1995, Verona 2006), Gessi ha elencato i
punti che il prossimo evento si propone di affrontare per il raggiungimento
dell’obiettivo primario: mettere al centro l’Uomo.
Nelle foto in questa pagina: alcuni momenti dell'intervento del vescovo a Colleferro e un'inquadratura del pubblico presente
presso l’Auditorium della parrocchia dell’Immacolata.
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segue da pag. 20
Cinque le vie (simboleggiate dalle frecce in basso nel logo della locandina) che
saranno indicate perché si realizzi il
“Nuovo Umanesimo” e che, riprendendo
la parola, il vescovo ha illustrato:
Uscire – trovare nuove strade nell’odierna società perché venga al meglio recepita la salvifica parola di Dio.
Annunciare – chiedersi se le attuali
comunità cristiane sono capaci, anche con
l’esempio, di diffondere correttamente ed
efficacemente l’annuncio del Vangelo; se
sanno esprimere pubblicamente la propria
fede senza arroganza ma anche senza paure e falsi pudori; se sanno accendere nei credenti il bisogno di comunione per la preghiera e lo scambio fraterno; se sono dotate di quella
naturale inclinazione volta all’assistenza ai poveri e agli esclusi e della
passione per l’educazione ed il coinvolgimento delle giovani generazioni.
Abitare – chiedersi, nell’ambito delle sfide create dagli
odierni mutamenti sociali,
quale sia il futuro della grande tradizione caritativa e
missionaria del cattolicesimo
italiano e come tener fede
all’imperativo lanciato dai
vescovi negli anni 80:
«Ripartire dagli ultimi».
Educare – chiedersi come una
comunità cristiana possa
radicarsi in una società consumista come quella odierna,
dalle relazioni fragili e conflittuali ed in cui impera l’individualismo e la
tendenza alla solitudine, per far scoprire l’alto valore umano della gratuità, dell’accoglienza e del perdono.
Trasfigurare – chiedersi se le liturgie domenicali sono in grado di compiere nell’animo un’azione di trasfigurazione tale da stimolare, chi vi assiste, a portare nella propria vita e nel mondo quanto celebrato; chiedersi dunque come si può educare alla fede un popolo culturalmente e storicamente tanto variegato così che la misericordia di
Dio operata sulla Terra da
Gesù divenga il sentimento predominante nell’essere umano.
Mons. Apicella conclude con la
consegna che l’azione di catechesi deve sempre mirare a far
sì che la gente si rivolga alla
Chiesa, attraverso le parrocchie,
non come se queste ultime fossero centri di servizi, ma per ricevere la parola di Gesù e, infine, specificando che l’obiettivo
del Convegno di Firenze, “mettere al centro l’Uomo”, non significa concentrarsi su se stessi bensì sul prossimo, sostituendo l’egoismo
con la carità, la quale però non deve mai scadere nel pietismo, cioè nel
conforto, peraltro non sincero, di un momento.
All’interno del programma degli incontri del vescovo con le parrocchie per una
sintesi della Visita Pastorale, martedì 17
marzo S. E. mons. Vincenzo Apicella ha
incontrato, presso il Teatro Aurora, i rappresentanti degli organi partecipazione e i rispettivi sacerdoti della parrocchie di Velletri. Ovviamente lo schema
e le tematiche affrontate sono state del
tutto simile agli incontri che il vescovo ha avuto nelle altre città.
Nelle foto in questa pagina:
alcuni momenti dell'incontro del vescovo
con i rappresentanti delle parrocchie di Velletri
presso il Teatro Aurora.
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Giovanni Zicarelli
“Il futuro del Lavoro” è stata, si può affermare,
la logica conclusione del percorso “Itinerari di
educazione al bene comune”, iniziato il 21 novembre 2014 con “Coscienza e Politica” (di cui si è
scritto nel numero di dicembre 2014) e continuato con il precedente appuntamento del 16
gennaio “Etica, Finanza e Mercati” (di cui si è
scritto nel numero di febbraio 2015).
Con questa terza e conclusiva conferenza si è
completata, grazie alla grande competenza dei
tre relatori, un’esaustiva analisi dell’attuale sistema sociale italiano, coinvolto peraltro in un’innegabile svolta epocale globale, partendo da quel
modello capitalistico-assistenziale nato nel
dopoguerra e andato via via, dopo il “boom economico” degli anni 60, sempre più degradando, fino alla profonda e tragica crisi economica che stiamo vivendo; tragica a causa della crescente povertà, che vede l’Italia tra le nazioni
più colpite in Europa e, soprattutto, dalla prospettiva di un futuro ricco di ipotesi risolutive,
in apparenza più o meno verosimili, ma povero di certezze.
La prospettiva scaturita è praticamente doppia:
- un drastico cambiamento di mentalità per la
creazione di un nuovo modello sociale basato
più che altro sull’iniziativa imprenditoriale in cui
ognuno è chiamato a mettersi in gioco con creazioni di attività commerciali in forme individua-
li, societarie o cooperativistiche, con un numero di cittadini destinati a ruoli impiegatizi o di operai sempre più esiguo e con una politica relegata ad un mero ruolo amministrativo, praticamente senza alcun ruolo sociale;
- un ripristino del modello “anni 60” ma con una
diversa gestione, che dovrà basarsi su una rigida applicazione della meritocrazia e su un duro
contrasto alla criminalità più o meno organizzata, alla corruzione, all’evasione fiscale, al conflitto d’interessi, a ingiustificati privilegi ovvero
a tutti quei fenomeni negativi ritenuti i maggiori responsabili dell’attuale crisi (quindi morale più
che economica), che hanno visto nell’Italia uno
di quei paesi che li ha contrastati sempre troppo timidamente; col pronto e completo rientro
allo Stato dell’eventuale maltolto.
La conferenza “Il futuro del Lavoro” si è tenuta Venerdì 20 marzo nella “Sala card. Clemente
Micara”, sita nel comprensorio della Basilica di
San Clemente, cattedrale di Velletri.
Ultima quindi del trittico di conferenze rientranti
in quel percorso, “Itinerari di educazione al bene
comune”, ideato e promosso dall’“Azione
Cattolica diocesana” con la partecipazione del
“Servizio diocesano per la Pastorale giovanile”
e del “Progetto Policoro” e con la collaborazione del “Servizio Diocesano Formazione
Permanente”.
Una breve introduzione di Costantino Coros, presidente diocesano dell’Azione Cattolica, che ha
presentato al pubblico intervenuto il relatore, prof.
Michele Colasanto, professore emerito
dell’Università Cattolica di Milano.
A seguire, un saluto al relatore e al pubblico da
parte del vescovo, S. E. mons. Vincenzo Apicella,
che ha accennato all’argomento lavoro soffermandosi su come, allo stato d’emergenza attuale, sia ormai chiara la necessità di far fronte all’odierna grave crisi occupazionale del nostro Paese
«attraverso strade nuove».
Infine, prima di entrare con il relatore nel vivo
della conferenza, un intervento del consigliere
comunale con delega all’istruzione del Comune
di Velletri, Carla Caprio, che ha parlato dell’opportunità
di incentivare uno sviluppo economico di qualità nel territorio veliterno attraverso progetti che
comprendano corsi di preparazione professionale.
L’analisi del prof. Colasanto inizia dalle difficoltà
sociali che negli anni hanno portato all’odierna
crisi occupazionale, fenomeno innegabilmente
alla base della profonda crisi economica che stiamo vivendo: globalizzazione senza regole di mercato che, anzi, premia la spregiudicatezza e la
speculazione volte al puro profitto, creando boom
economici da un lato e criticità sociali dall’altra;
terrorismo che allontana investimenti e turismo
dalle zone ove è più attivo; “giochi” geopolitici
che provocano squilibri politico-sociali.
Fa poi notare come sia totalmente cambiata la
continua nella pag. accanto
Aprile
2015
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prospettiva futura, fino ad oggi vista attraverso
quella transizione studio-lavoro considerata per
decenni la migliore garanzia per una vita che
soddisfacesse le proprie aspirazioni o, quanto
meno, che portasse, in un’età piuttosto giovane, ad una relativa tranquillità economica e quindi alla formazione di una propria famiglia circondata
dal necessario, casa in primis, e dal cosiddetto superfluo necessario quali automobile ed elettrodomestici vari per giungere, infine, ad una pensione che avrebbe garantito una serena vecchiaia.
Oggi, dopo decenni in cui si è deliberatamente fatto credere al comune cittadino che questo sarebbe stato il futuro sociale, il migliore concepibile, che si sarebbe rinnovato di generazione
in generazione, arrivando a dargli il sinonimo di
“felicità”, e dopo anni, più o meno venti, di secche smentite sull’avanzare della crisi economica, a quello stesso cittadino bisogna dire ora che
quel modello è superato, da dimenticare, che
era stato un illusione e che non ci sarà più lo
Stato al suo fianco in caso di difficoltà.
Per via della robotica e dell’informatica, si ridurranno al minimo la classe operaia ed impiegatizia e sarà secondario e non sempre redditizio
studiare per poi poter applicare in un lavoro quanto appreso.
Il prof. Colasanto menziona poi l’americano Paul
Krugman, premio nobel per l’economia, il quale prevede che un livello di istruzione superiore non sarà più garanzia per un lavoro migliore e un maggiore guadagno, ragionamento che
si basa su una tendenza che si sta evidenziando
negli USA fin dagli anni 90.
Insomma, quello che adesso si deve inculcare
nei cittadini è di non pensare più al modello societario passato bensì di pensare che quello che
si prospetta è un futuro all’insegna dell’inventarsi il lavoro, soprattutto lanciandosi nell’imprenditoria,
specie agricola o di servizi, in forme principalmente individualistiche o cooperativistiche e, se
proprio si vuole studiare, scegliere materie ingegneristiche, soprattutto nel campo dell’informatica
e della robotica, evitando materie umanistiche,
visto anche l’alto numero di laureati che vi è oggi,
per esempio, in materie
giuridiche.
È già in atto un distacco
della politica, e con essa
dello Stato, dai cittadini
verso i quali spesso vengono anche lanciati eccessivi allarmismi sociali,
così da indurli ad affidarsi,
votandolo, a chi sciorina
poi le soluzioni più rassicuranti.
Un esempio per tutti è l’affermazione che la disoccupazione giovanile è
intorno al 40%; ma questo dato statistico non è
reale perché non si escludono da esso i giovani,
fra i 15 e i 24 anni che
studiano; se si conside-
23
rasse ciò, afferma
il prof. Colasanto,
il dato sarebbe
intorno al 14%. Si
capisce così come
si possa, da parte della politica, giostrare con questi
dati, comunicando i valori più alti
o più bassi a
seconda della convenienza nell’impostazione della
campagna elettorale. Però, nella riflessione post
conferenza, c’è
da osservare che,
se questa è la prospettiva che si vuole dare al
futuro del nostro Paese e della società mondiale
in genere, evidentemente non si è tenuto conto di una caratteristica tanto importante quanto innegabile: la diversità dell’indole umana. Sarà
difficile poter pretendere che tutti siano propensi
all’attività imprenditoriale o che abbiano predisposizione per l’ingegneria ne’, tanto meno, che
vengano scartati, abbandonandoli a loro stessi, coloro che resterebbero fuori da questo gioco e neppure che questi possano vivere di sussidi se pur meritori, come potrebbe essere il reddito minimo garantito o di cittadinanza. Qualunque
sarà il modello di società che alla fine si vorrà
imporre, questo non dovrebbe mai prescindere dal mettere al centro l’uomo con tutte le sue
esigenze ed aspirazioni, così che la vita sulla
Terra possa essere anche contemplazione della vita e non solo corsa per la sopravvivenza.
Il prof. Michele Colasanto.
di Sociologia dell’Università Cattolica;
1978-1985: Incaricato di Sociologia del lavoro presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università
Cattolica;
1986-1990: Associato di Sociologia del lavoro presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università
Cattolica
1986-1987: Segretario AIS (Associazione Italiana
di Sociologia);
1991-1995: Ordinario di Teoria e metodi di pianificazione sociale presso la Facoltà di Sociologia
dell’Università di Trento;
1996-2001: Ordinario di Sociologia del lavoro e
Sociologia economica presso la Facoltà di
Economia dell’Università Cattolica;
1998-2002: Pro-rettore dell’Università Cattolica;
dal 2001: Ordinario di Sociologia delle relazioni
di lavoro presso la Facoltà di Sociologia
dell’Università Cattolica;
2003-2005: Preside della Facoltà di Sociologia
dell’Università Cattolica;
Il prof, Michele Colasanto è professore emerito dal 2006 è Direttore del Dipartimento di Sociologia
dell’Università Cattolica.
dell’Università Cattolica di Milano.
Per le cariche non accademiche si segnalano tra
Le sue cariche accademiche:
1966-1972: Borsista presso l’Istituto di Sociologia le altre:
1996-2001: Presidente Isfol, Istituto per lo
dell’Università Cattolica;
1973-1977: Addetto alle esercitazioni presso l’Istituto Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori;
2002-2007: componente del comitato di valutazione della scuoUn momento della conferenza.
la della provincia di Trento;
dal 1980: Direttore della rivista Professionalità;
dal 2003: Presidente della
Fondazione Giulio Pastore;
dal 2006: componente della
Taskforce FSE provincia di
Trento;
dal 2007: componente della
Commissione per il riordino degli
istituti tecnici;
dal 2007: componente del
Comitato scientifico di Excelsior
(Unioncamere);
dal 2009: Presidente del
Consiglio di Amministrazione
dell’Agenzia del Lavoro della
Provincia di Trento.
Aprile
2015
24
Giuseppe Cellitti e
Roberto Caramanica
I
l 28 febbraio scorso si è tenuto nella
Parrocchia S.Anna
il secondo incontro mensile di pastorale familiare
dell’A.Ge. Valmontone sul
tema dell’educazione
finanziaria e sull’uso
responsabile del denaro (cfr Ecclesia Marzo
2015). Proseguendo lungo il solco tracciato dalle Sacre scritture siamo
ripartiti dalla considerazione di chiusura dell’incontro precedente e
cioè che non è importante
se si possieda poco o tanto denaro e ricchezze;
sono invece importanti la provenienza e l’uso
che se ne fa.
Papa Francesco ha definito il denaro come “uno
strumento che prolunga
e accresce le capacità della libertà umana, consentendole di operare nel mondo, di agire, di
portare frutto”, come nella parabola del buon samaritano.
Purtroppo però, da sempre, il denaro è visto soprattutto segno di potenza, di conquista, di supremazia e “quanto più i quattrini aumentano, tanto più ne aumenta la voglia” (Giovenale – II secolo d.C.); il potere economico è spesso strumento
che produce tesori che si tengono solo per sé,
genera iniquità, perde la sua potenziale valenza positiva e spalanca le porte alle insidie del
maligno, da cui nessuno può dirsi immune. Il dibattito si è quindi sviluppato intorno a due aspetti
principali: il tradimento per denaro di colui che
è nominato sempre in fondo alla lista dei dodici, Giuda Iscariota; i possibili significati, oggi, del
monito di Gesù ai farisei “rendete a Cesare quel
che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Mt
22, 15-22; Lc 20, 20-26; Mc 12, 13-17). I temi,
anche per la loro complessità e delicatezza, sono
stati affrontati sulla base di spunti e indicazioni contenuti in solide fonti bibliografiche, di cui
vengono riportati alcuni stralci.
1. Per inquadrare le ragioni del tradimento di Giuda
ci si è lasciati guidare dalle considerazioni svolte da Benedetto XVI nell’udienza generale del
18 ottobre 2006, in cui emergono varie ipotesi.
Dice Benedetto: “Alcuni ricorrono al fattore della sua cupidigia di danaro (pare che i trenta dena-
ri equivalessero al prezzo di uno schiavo ndr);
altri sostengono una spiegazione di ordine messianico: Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma
la liberazione politico-militare del proprio Paese.
In realtà, i testi evangelici insistono su un altro
aspetto: Giovanni dice espressamente che “il
diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota,
figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2); analogamente
scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3).
In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno.
Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un
mistero. Gesù lo ha trattato da amico (Mt 26,50),
però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana.”
Prosegue Benedetto affermando che “le possibilità
di perversione del cuore umano sono davvero
molte” e “l‘unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù,
assumendo il suo punto di vista” e non quello
degli uomini.
Al di là di quelle che possono essere state le
cause specifiche del tradimento
di Giuda, è interessante
constatare la trasponibilità metaforica della vicenda ai nostri
giorni.
Ampliando la dimensione
del denaro alla smania egoistica di successo, benessere
e visibilità anche fini a se stessi, quanti esempi di tradimento/corruzione riscontriamo oggi? Un’ampia gamma.
Troppo facile sarebbe toccare
il campo della politica, dove
è diventata la regola salire sul
carro del vincitore violando
ideali, amicizie, etica e spirito di servizio pur di restare
egoisticamente in sella. Ma
nelle conclusioni del suddetto
documento del 2006 è citata con abilità anche la Chiesa
dove, si dice, “non mancano
indegni e traditori…”.
Possono riservare brutte
sorprese pure ambiti in apparenza più miti, quali quelli del
volontariato, delle cooperative e delle onlus, che talvolta
tradiscono la buona fede delle persone per perseguire finalità individualistiche molto meno nobili di quelle dichiarate. Non mancano poi esempi di collusione e corruzione, ad ogni livello, nella gestione della cosa pubblica, dove talvolta il binomio
potere/responsabilità degenera in potere/tangenti.
2. Per affrontare la questione (rendete a
Cesare quel che è di Cesare…) siamo partiti dalla recentissima Relatio synodi sulla famiglia (Ottobre
2014, Parte prima, punto 6), che sottolinea “…
una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso
finisce per schiacciare le famiglie. Così è per
la crescente povertà e precarietà lavorativa che
è vissuta talvolta come un vero incubo, o a motivo di una fiscalità troppo pesante che certo
non incoraggia i giovani al matrimonio.
Spesso le famiglie si sentono abbandonate per
il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni. Le conseguenze negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono evidenti: dalla crisi demografica alle difficoltà educative, dalla fatica nell’accogliere la vita nascente all’avvertire la presenza degli anziani come
un peso, fino al diffondersi di un disagio affettivo che arriva talvolta alla violenza.
È responsabilità dello Stato creare le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia.”
continua nella pag. accanto
Aprile
2015
25
Il tema della Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra Domenica
26 Aprile 2015 è “Vocazioni e santità: toccati dalla Bellezza” (Evangelii Gaudium,
167; 264). L’Ufficio Nazionale CEI per la pastorale delle vocazioni, propone uno
slogan che ispira la celebrazione della Giornata in tutte le parrocchie e comunità
cristiane e indica la modalità di sviluppo dei sussidi vocazionali per l’anno pastorale 2014-15. Lo slogan esprime una relazione, un cammino che trasforma il nostro
sguardo di fede e lo rende capace di riconoscere la bellezza del Signore che, anche
oggi, continua a chiamare e a spargere semi di vocazione con abbondanza.
Un itinerario triennale: pedagogia della santità
“Giocate la vita per grandi ideali! …chiedo di orientare la pastorale vocazionale in
questa direzione, accompagnando i giovani su percorsi di santità che, essendo
personali, esigono una vera e propria pedagogia della santità” (Papa Francesco,
Messaggio GMPV, 2014, 4).
A partire da queste indicazioni, l’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni ha elaborato una proposta di itinerario per un triennio: lo stupore per una messe abbondante che Dio solo può elargire (2015); la gratitudine per un amore che
sempre ci previene (2016); l’adorazione per l’opera da Lui compiuta, che richiede
la nostra libera adesione ad agire con Lui e per Lui (2017).
Vocazioni e santità, un binomio molto forte. Parlare di vocazioni e santità tocca la
vita di ogni persona, perchè tutti nella Chiesa siamo chiamati alla santità.
Vocazioni e santità indica un itinerario pedagogico che prende avvio all’esperienza del bello, dall’essere toccati dalla Bellezza. Toccati da Dio stesso!
E’ bello con te, sono parole che possiamo immaginare pronunciate da Dio nei confronti dell’uomo, oppure dall’uomo nei confronti di Dio o, contemporaneamente da
Dio e dall’uomo, l’Uno nei confronti dell’altro!
E’ bello con te, esprime una relazione, un cammino che “tocca” il nostro sguardo e lo trasforma in uno sguardo di fede
capace di riconoscere la bellezza del Signore che, anche oggi,
continua a chiamare, a spargere semi di vocazione
con abbondanza! Rimane un punto di riferimento
il documento Nuove Vocazioni per una nuova Europa. Al n.13 viene ricordato come la cultura vocazionale è anche capacità di sognare in grande, lo stupore che consente di apprezzare la bellezza e sceglierla per il suo
valore intrinseco, perchè
rende bella la vita.
segue da pag. 24
Abbiamo inoltre osservato che, in questo quadro, non può tacersi che nel nostro Paese, anche
a causa della severità della crisi economica, l’evasione fiscale delle piccolissime imprese è spesso condizione necessaria alla sopravvivenza. E
questo pone un dilemma morale: pagare tutte
le tasse rischiando di dover abbandonare l’attività imprenditoriale oppure evaderne una parte per cercare di rimanere in piedi?
E’ ovvio che sul piano legale non si può né si
deve derogare al pagamento dei tributi dovuti;
ma questa risposta può essere riduttiva e insoddisfacente, o per lo meno lo può essere per chi
vive in condizioni di precarietà lavorativa.
Quelle descritte sono circostanze che i veri cristiani non possono più permettersi di ignorare:
l‘”assenteismo sociale è un peccato di omissione”
(card. Bagnasco) e la fede “non è un rifugio per
gente senza coraggio…” (Lumen fidei, par. 53).
Sono necessari impegni concreti, anche da parte di madri e padri di famiglia che quotidianamente vivono sulla loro pelle le problematiche
del tradimento sociale e le pesanti ricadute familiari che a questo conseguono. Vanno riaffermati
i principi di lealtà e di bene comune secondo
Cristo. Certamente non sono realisticamente immaginabili soluzioni immediate o di breve periodo,
visto tra l’altro che le perversioni esposte sembrano aver attraversato indenni secoli e millenni
conservando la loro attualità.
Occorre però rieducare “alla cittadinanza
responsabile… mediante un’ampia diffusione dei
principi della dottrina sociale della Chiesa, anche
rilanciando le scuole di formazione all’impegno
sociale e politico. … Si dovrà sostenere la crescita di una nuova generazione di laici cristiani, capaci di impegnarsi a livello politico con com-
petenza e rigore morale” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54).
E’ un percorso da intraprendere senza titubanza, quand’anche fosse lungo e tortuoso similmente a quello tracciato in versi da don Tonino
Bello1 con riferimento alla pace:
“La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di
sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento.
Non tollera atteggiamenti sedentari. Sì, la
pace prima che traguardo, è cammino. E,
per giunta, cammino in salita.”
[email protected]
Vescovo cattolico italiano (1935-1993) per cui è stato
avviato nel 2007 il processo di beatificazione.
1
Nell’immagine del titolo: Il cambiavalute e la moglie,
Quentin Massys, 1514, Parigi.
26
Presieduta dal cardinale Vallini la
Messa a 50 anni dalla morte del
porporato, dal 1951 vicario di tre
pontefici: Pio XII, Giovanni XIII e
Paolo VI *
R
icordare un sacerdote vuol dire
pensarlo nel cuore di Gesù perché da Lui scelto e chiamato
ad annunciare, con amore per tutti, il
Vangelo. Così il cardinale Agostino Vallini
ha spiegato il senso della Messa commemorativa per il cardinale Clemente
Micara, a 50 anni dalla morte, celebrata
mercoledì nella basilica di Santa Maria
sopra Minerva, dove sono conservate
le sue spoglie.
Nato a Frascati nel 1879, da famiglia
benestante radicata nella fede cristiana, studiò presso il Seminario Romano
e poi all’Università Sant’Apollinare.
Consacrato sacerdote nel 1902, svolse il servizio diplomatico nelle nunziature di Buenos Aires, Bruxelles e
Vienna, fino al 1920.
Per tre anni fu poi in Cecoslovacchia
e di nuovo in Belgio, suo Paese di elezione perché vi rimase per 23 anni. «Erano gli anni difficili del nazismo
– ha spiegato il cardinale Vallini -: Micara, giovane nunzio, servì la Chiesa
e la amò, a servizio dell’uomo, salvando molte vite».
Nel 1940 Micara fu chiamato presso la Segreteria di Stato e nel 1946
fu creato cardinale-vescovo di Velletri, «città a cui rimase sempre molto legato – ha ricordato Vallini – e per la quale, ferita dalla guerra, si diede molto da fare per la ricostruzione delle chiese ma, di più, per la rinascita spirituale di un popolo provato dagli orrori del male».
Nel 1951 fu nominato vicario del Papa a Roma e rese il suo servizio a
tre pontefici: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI.
Il monumento
funebre del
cardinale
Clemente Micara
nella basilica di
Santa Maria
sopra Minerva,
Roma.
Aprile
2015
«A Roma si è speso in un ministero
fecondo – ha continuato Vallini – e negli
anni difficili del dopoguerra promosse lo sviluppo delle vocazioni al sacerdozio e si impegnò per la formazione del laicato, soprattutto nell’ambito dell’Azione cattolica».
Il cardinale Micara promosse anche
l’azione caritativa e la costruzione di
nuove parrocchie – ben 104 -, «strutture che consentissero un più facile
annuncio del Vangelo, a cui fu sempre fedele e alla cui luce visse tutta
la sua vita anche nei momenti non facili, personali e pastorali».
A 50 anni esatti dalla sua morte – si
spense l’11 marzo 1965 – «nel suo
ricordo – ha concluso il porporato –
vogliamo lodare il Signore e pregarlo di riversare sulla Chiesa di Roma
la beatitudine di cui ora il cardinale Micara
gode».
Un ricordo indelebile e pieno di affetto di Micara lo conserva Emilio
Acerna, che ha promosso questa celebrazione commemorativa e che
conobbe il cardinale quando era un
bambino: il padre era un dipendente
della Cancelleria Vaticana.
«Lo ricordo come un uomo autorevole
e molto generoso – racconta -, un uomo
che ha amato Roma, di cui conosceva
le esigenze e che visitò in lungo e in largo con forza giovanile nonostante
avesse già 72 anni quando venne nominato vicario del Papa».
*da Romasette.it 12 marzo 2015
Ndr : Alla solenne celebrazione hanno partecipato tra gli altri i cardinali
Giovanbattista Re, Renato Martino e il vescovo di Velletri-Segni S.E. mons.
Vincenzo Apicella.
Aprile
2015
27
Sara Calì
“Zèfiro torna e il bel tempo rimena” diceva Petrarca, ripensando a
Laura ad un anno dalla sua morte
e anche noi, alle soglie della primavera,
vogliamo ricordare gli anniversari
di due religiosi accomunati non solo
dall’essere entrambi francescani, ma
anche dall’aver legato il proprio operato alla città di Artena e dal condividere un fervore missionario
che li ha portati fino in Cina, dove,
in tempi diversi,
hanno recato il loro
poderoso messaggio di fede.
D’altronde, dobbiamo proprio a
Padre Cerasa
(tornato alla casa
del Padre il 1
aprile 2012) il
forte impegno per
far conoscere ad
Artena la vita del
suo confratello
Padre Ginepro
Cocchi, martire della fede in Cina, il 6 marzo 1939.
Due personalità diverse ma con un sentimento religioso analogo: dinamico e operoso. Padre Ginepro, giovanissimo, pur con il pericolo della guerra tra Giappone e Cina, parte missionario in Cina, a Tayuanfu,
nello Shansi, dove spende tutte le sue energie per la cura delle persone a lui affidate e dove affronta il martirio con la serenità dei Santi.
L’anniversario è stato ricordato con riti religiosi e con una grande manifestazione nella piazza a lui intitolata, organizzata dall’Associazione “Padre
Ginepro Cocchi”, presieduta dall’Arch. Augusto Dolce, in collaborazione
con l’Assessorato alle politiche culturali del Comune di Artena.
Tra i partecipanti anche il Sindaco, dott. Angelini, il Comandante dei
Vigili Urbani, il Vescovo, S.E. Mons. Vincenzo Apicella, i parroci delle Chiese di Artena e alcune classi degli istituti “Serangeli” e “De Gasperi”
che hanno mostrato i propri lavori e letto alcuni dei loro testi.
Ai ragazzi delle Scuole medie sarà proiettato anche il video sulla vita
di Padre Ginepro, realizzato durante la rappresentazione teatrale avvenuta alcuni anni fa.
Padre Nicola, anche lui entrato giovanissimo nel Collegio Serafico di
Artena, dopo pochi mesi dalla morte di Padre Ginepro, parte per la Cina
a soli 19 anni.
A Tayuanfu termina gli studi, impara la lingua
cinese e si laurea in Biologia. Dopo essere stato imprigionato per due anni dai Comunisti, torna in Italia dove ricopre vari importanti incarichi. Nel 1987 è Guardiano al Convento di Artena
e responsabile del Centro profughi. Si prodiga per la causa di beatificazione di Padre Ginepro
e organizza, nel piccolo Museo conventuale,
una sezione con i pochi oggetti appartenuti
al martire. I confratelli di Artena hanno dedicato a lui la Via Crucis che, all’interno del Convento,
parte dal Viale ed arriva fino al bosco. Ogni anno
viene ricordato anche con una S. Messa, animata da giovani musicisti.
PANE E VITA: è FESTA!
Festa del pane per i bambini di I comunione
Acero 18 aprile 2015
Programma:
Ore 15.00 SALUTO DELL’EQUIPE
Bans o balli presso l’angolo del ballo.
Ore 15.15 Inizio dei giri nelle isole
I GRUPPI POTRANNO GIRARE PER I VARI STAND
AVENDO L’OBBLIGO SOLO PER L’ANGOLO DELL’INCONTRO CON DIO E PER L’ANGOLO DELL’ARTE
NEL QUALE REALIZZERANNO UN CARTELLONE DA
PORTARE IN PROCESSIONE E DEPORRE AI PIEDI
DELL’ALTARE.
Per il resto i catechisti potranno decidere arbitrariamente di dividerli
in sottogruppi e fargli girare gli stand di interesse.
Angolo dello sport (Rugby e Pallavolo)
Angolo arte
Angolo del ballo
Angolo del gioco PRATO
Angolo della comunione gazebo
Angolo dell’incontro con Dio
Angolo della creatività
Ore 17.00 Merenda per i bambini con Pane e…..
Ore 17.35 Processione con il Santissimo
Ore 17.45 Preghiera conclusiva IN CHIESA
Le squadre saranno formate dalle diverse parrocchie a cui sarà
assegnato un colore ( lo stesso dello scorso anno)
1 SEGNI-PANTANO-GAVIGNANO = ROSSO
2 MONTELANICO= VERDE
3 COLLEFERRO= BLU
4 LARIANO= GIALLO
5 VELLETRI = BIANCO
6 ARTENA= VIOLA
7 VALMONTONE= ARANCIONE
PER CHI NON AVESSE MAI PARTECIPATO: I colori abbinati ai vari
paesi devono essere “indossati” dai partecipanti sotto la forma a loro
più comoda: Foulard, cappelli, magliette, nastri al braccio, visi o
capelli colorati.... sbizzarrite la fantasia!!!
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2015
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L
a Parrocchia Regina Pacis di Velletri dal 1999 con la nomina del nuovo
parroco nella persona di don Angelo Mancini, per volere del vescovo di
allora mons. Andrea Maria Erba, ha iniziato la procedura per la costruzione del Nuovo Complesso Parrocchiale. Ovvero sono stati richiesti gli strumenti
urbanistici, sono state fatte le indagine preliminari sul terreno ed era stato redatto anche un progetto più volte modificato nel corso degli anni per adeguarlo alle
esigenze diverse che concorrono intorno ad un’opera del genere e ai suoi costi.
Qualche anno fa sembrava che tutto fosse stato sospeso, fino ad arrivare in tempi più recenti nel 2014 quando il vescovo attuale mons. Vincenzo Apicella chiede di verificare le condizioni per la costruzione e quindi riparte l’iter.
Cambiano le linee direttrici per la costruzione del complesso, si pensa ad una
costruzione ridotta nell’ampiezza e si dà avvio ad una “gara di idee” aperta a tre
studi di architettura. Questi ultimi redigono, secondo le disposizione dell’Ufficio
Edilizia di Culto della C.E.I. che ha supportato la nostra Diocesi, una idea del
progetto da realizzare, ovviamente corredata di relazioni di vario tipo.
Una commissione diocesana alla scadenza dei termini ha valutato le tre proposte ritenendole tutte e tre validissime, cariche di impegno e legate al territorio di
ubicazione, ciò nonostante una di esse doveva emergere. A prevalere è stata la
Relazione concorso
Rapporto con l’ambiente urbano:
La nuova chiesa intitolata a Maria Regina della Pace si colloca in posizione eminente sulle
colline a nord di Velletri. Come “casa costruita
sulla roccia” (Mt 7, 24-25) essa si dispone a mo’
di ponte sospeso tra il sagrato e i locali parrocchiali,
proponendosi quale autorevole protagonista e
fulcro visivo della vasta vallata sottostante. Riconvertita
in simbolica “Porta” e luogo di devozione
mariana assimilabile alle antiche
“cappelle di via”, l’originaria
chiesetta introduce alla nuova, nel segno della pace, attraverso un lungo sagrato punteggiato di ulivi, giardino dei
colori e dei profumi ispirato
al Cantico dei Cantici e connotato quale artistica Via Matris:
un itinerario di preghiera plasmato sul ricco immaginario figurale dell’Akathistos, e
inteso quale gioiosa celebrazione dell’amore che
lega il Cristo alla sua Chiesa.
La composizione dei volumi
edilizi ottimizza la visibilità della chiesa nel contesto del territorio, e individua una molteplicità di luoghi distinti e ben
proposta progettuale dello Studio R.T.P. Cossu Toni Architetti con sede in Otranto.
Mentre rimandiamo alla descrizione qui di seguito che gli stessi architetti hanno
redatto, concludiamo dicendo che il progetto del nuovo complesso dedicato alla
Madonna Regina della Pace è stato redatto avendo in mente due titoli della Madonna
che troviamo nell’antico canto della akathistos (poema dedicato alla Vergine Maria
che, nella liturgia bizantina, si canta in piedi il quinto sabato della Quaresima) e
cioè Maria - Ponte e Maria - Rocca.
Come si può facilmente verificare dai prospetti di seguito pubblicati si nota come
in basso c’è una costruzione su due livelli dei locali di ministero pastorale e abitazione che superando il dislivello del terreno della forma un ponte che al di sotto incornicia un sfondo naturale che comprende i Monti Lepini e il mare, e allo
stesso tempo è il supporto dell’edificio chiesa che ha una forma ovale appunto
di rocca. C
onclusa la parte della scelta dell’idea progettuale è iniziata ora la fase preliminare per l’affidamento vero e proprio della progettazione con la raccolta degli strumenti urbanisti richiesti dagli enti (Comune, Regione ecc.) interessati.
Presto per parlare ora di tempi di inizio lavori e consegna degli stessi, sarà compito del parroco ma anche di Ecclesia tenere informati i lettori e i fedeli.
caratterizzati: il giardino-sagrato; il teatrino all’aperto rivolto al vasto paesaggio; l’oratorio che
gravita intorno alla grotta mariana sottostante
la chiesa; il sistema dei campi da gioco. Il tutto ben servito da una fitta trama di percorsi, parcheggi, accessi carrabili e pedonali.
Riconoscibilità
La riconoscibilità del nuovo centro parrocchiale è innanzitutto affidata alla composizione dei
volumi,
che vede il corpo ellittico della chiesa ergersi
sino a dominare l’intero complesso edilizio. La
peculiare geometria conferisce allo spazio
liturgico un preciso orientamento, enfatizzato dalla presenza di due elementi architettonici
opposti e fortemente caratterizzanti: da un lato
il generoso portale, arricchito dalle celle campanarie e da formelle scultoree che rileggono
in chiave mariana la metafora di Cristo-Porta;
dall’altro la snella bifora absidale che effonde
sull’altare la luce dell’oriente simboleggiando
la divino-umanità di Cristo.
Pur attraverso materiali, tecnologie e
forme contemporanee, l’edificio ripropone i tradizionali temi dell’architettura
chiesastica: dal sagrato alla cappella,
dalla porta alla navata, dall’ambulacro
al claristorio. Il segnale notturno della “corona di luce” che sovrasta la chiesa traduce in
colore lo scorrere del tempo liturgico, e suggerisce alla
città la presenza silenziosa
e rassicurante di quella
“brace che cova in fondo al
tabernacolo” (F. CassingenaTrévedy) e che è Presenza
di Dio tra gli uomini. Sostituendo
al consueto verticalismo del
campanile un messaggio
luminoso, essa diviene meta-
Aprile
2015
fora della luce della Parola, dello
splendore della fede, del ruolo della Chiesa nel contesto della società civile.
Impianto liturgico
Pur passibile di adattamenti, l’impianto liturgico connota fortemente lo spazio architettonico, plasmandone le strutture e conferendo
alla geometria ellittica della chiesa una chiara direzione.
All’altare volto ad est fanno da contrappunto la generosa acquasantiera, il fonte battesimale e la venerata icona della Madonna della Pace,
che nel complesso materializzano,
per il tramite dei movimenti liturgici, quel segno di croce che è la
più autentica matrice del luogo di culto cattolico. L’icona mariana, in particolare, potrà favorire il recupero della felice tradizione di concludere la celebrazione eucaristica con una cora-
le invocazione alla Madre celeste, restituendo
alla memoria dei fedeli antiche antifone quali il
Salve Regina, il Regina Coeli o l’Ave Regina
Coelorum. Lo spazio liturgico è parzialmente cinto da un deambulatorio che assolve ad una triplice funzione: ampliare l’area di ingresso, vero
e proprio endonartece dotato di chiara identità
lustrale; accogliere lo spazio battesimale e la contigua penitenzieria; individuare un percorso di
accesso indipendente per la cappella del
SS.mo Sacramento (eventuale cappella feriale) e la sacrestia.
La centralità dell’altare è esaltata dalla luce naturale proveniente dalla bifora absidale, mentre
sui due lati si dispongono l‘ambone e la sede,
visibilmente individui e distinti dal luogo del sacrificio eucaristico. Ai piedi dell’altare l’omphalos
si dispone ad accogliere le sedute degli sposi,
la bara dei defunti e il rito della Santa
Comunione, materializzando così quella terza
direttice verticale che struttura lo spazio liturgico e ricongiunge, agli occhi del fedele, il cielo
con la terra.
Aspetti funzionali
Preso atto della netta divisione del lotto in due
quote altimetriche distinte, e della necessità di
prolungare, per quanto possibile, l’utilizzo del-
29
le strutture esistenti anche in fase di cantiere,
il progetto prevede di posizionare chiesa,
canonica e parcheggio al livello di Via del Cigliolo,
disponendo alla quota inferiore i locali di ministero pastorale, le aree per il gioco e la corte dell’oratorio.
Quest’ultima risulta parzialmente coperta dalla chiesa, e
converge verso una grotta
mariana coincidente con la
soprastante acquasantiera e corredata di una fonte alimentata
dalla medesima acqua.
L’ampio spazio esterno potrà essere utilizzato come meta di processioni, itinerari di preghiera e
celebrazioni all’aperto, e potrà
ospitare le molteplici iniziative
che già caratterizzano la vita parrocchiale, proponendosi come
spazio qualificante offerto
all’intera città. Distribuiti su
due livelli, i locali parrocchiali salvaguardano l’indipendenza delle funzioni pur nell’ottica di una
chiara complementarietà, e
risultano connessi da un unico
sistema di collegamenti verticali.
La canonica, integrata di due unità abitative autonome, favorisce
all’occorrenza le delicate attività
di discernimento vocazionale.
Profilo estetico-formale
Il progetto del nuovo centro parrocchiale persegue l’obiettivo di
restituire ordine, identità, carattere e memoria ad una trama
edilizia troppo spesso informe
e mortificata dalla speculazione. Esso trae spunto da tre principali fonti di ispirazione: il
titolo della parrocchia, dedicata a Maria Regina della Pace;
l’appartenenza di Velletri all’area dei Castelli Romani, gravida di storia e suggestioni formali; e infine la preziosa immagine proposta dall’antico Inno
Akathistos, che riconosce in
Maria il “ponte che conduce gli
uomini al cielo”. Da qui l’idea di
plasmare la chiesa in forma di corona, rocca, ponte, riassumendo nel
volume avvolgente e compatto dello spazio liturgico il potere evocativo di figure fortemente riconoscibili e ben radicate nella memoria collettiva.
Altro
Il corpo di fabbrica della chiesa
poggia su una platea-solaio in conglomerato cementizio armato
realizzata in opera, armata con
un sistema bidirezionale di cavi
post-tesi, alleggerita nelle sezioni meno sollecitate e sostenuta
a sua volta dalle strutture in calcestruzzo dei locali di ministero pastorale. L’involucro esterno della chiesa sarà realizzato con pannelli portanti
prefabbricati tipo platform frame, costituiti da un
telaio in legno lamellare tamponato con materiali coibenti (polistirene e fibra di vetro) aventi anche funzione strutturale secondaria.
L’adozione di un telaio leggero in legno garantisce una ottimale proporzione tra le forze sismiche inerziali e le masse in gioco. In copertura
un sistema di travi lamellari sorregge la porzione
intradossale, su cui si dispongono le vetrate e
il solaio anulare realizzato con un graticcio di
travi lignee. Per i restanti edifici del complesso si prevede un semplice telaio in calcestruzzo armato tamponato con una stratigrafia ad alta
efficienza energetica: risulterà così minimizzato il contributo degli impianti di climatizzazione,
che nella chiesa potranno essere parzializzati
in piccole aree a pavimento.
Aprile
2015
30
Nella foto del titolo:
Roccasecca, resti del castello.
Stanislao Fioramonti
S
e un lunedì di Pasquetta vi trovate in Ciociaria,
passatela tra Catrocielo, Roccasecca (m
245) e Colle S. Magno, un triangolo di
bellezze naturali e culturali poco note ma veramente notevoli.
Catrocielo (m. 220, 3700 abitanti) è un borgo
rustico montano sul versante sudovest del monte Cairo, con case sul ripido pendio. Citato nel
994, l’antico castello di Castrum Coeli sorgeva
sul punto più alto del monte Asprano (m 732);
appartenne all’Abbazia di Montecassino e ai Ruffo
di Scilla. Nel 1601 i suoi abitanti dovettero abbandonarlo per la grave mancanza d’acqua e si trasferirono più in basso, sui due versanti del monte Asprano; quelli che scelsero il fianco verso i
monti fondarono il borgo di Cantalupo e poi il
paese di Colle S. Magno; quelli che optarono
per il lato verso la pianura fondarono l’abitato
di Palazzolo di Castrocielo: così si chiamò il paese fino al 1882, prendendo il nome dalla antica abbazia benedettina di S. Maria di Palazzolo
(monacato di Villa Eucheria, in località Campo),
sorta sui resti di una villa romana.
Sulla cresta del monte, posta in un punto panoramico eccezionale, restò la chiesa dell’Assunta,
che fino all’800 fu la parrocchiale dei paesi (PalazzoloCastrocielo e Cantalupo-Colle S.Magno) sorti
sui due versanti dell’Asprano. Oggi essi ricordano l’antica unione proprio la mattina di Pasquetta,
con due processioni delle loro Madonne che incontrandosi sulla cresta fanno una Inchinata proprio di fronte alla chiesetta; la festa religiosa, accompagnata dalla banda musicale e dagli spari augurali di mortaretti e bombe-carta, si conclude con
una colazione in comune sui prati.
La salita al monte Asprano da Castrocielo, dislivello di 512 metri, è facile ma molto più faticosa di quella da Colle San Magno, dislivello
m. 170, che dura mezz’ora o poco più e sale
per una comoda strada sterrata.
Dal Palazzo Comunale i pellegrini di Castrocielo
salgono una serpentina di scale e vicoli che passano davanti alla chiesa parrocchiale di S. Lucia,
patrona del luogo, e raggiungono il culmine dell’abitato (m 335). Lì inizia un largo sentiero con
staccionata che si inerpica a tornanti fino a un
Castrocielo, chiesa di S. Lucia.
panoramico sperone roccioso
(Loggetta di zio Nicola, m 665),
ruderi di un torrione a pianta quadrata, come tanti
lungo questa traccia che
costeggia i resti delle mura
medievali.
Più avanti, sotto un altro torrione diruto, il sentiero si biforca; proseguendo la salita si
arriva al Torraccio, torre cilindrica del castello poligonale di monte Asprano (m 732),
da dove il panorama è
sconfinato sui monti Cairo,
Salere, Obachelle, Cimarone
e sulla piana di Aquino. Appena
più in basso è la chiesetta
dell’Assunta (m 669) e la sterrata che scende a Colle S.
Magno. Fra Castrocielo e la frazione Castello
di Roccasecca è un’altra minuscola frazione di
Roccasecca, Caprile (m 216), dove si possono fare due cose: o l’arrampicata sportiva sulla splendida falesia a quota 350 m con esposizione sud-ovest sul costone del Monte
Asprano, una parete denominata “Braciere dei
poveri” che, grazie ad un calcare particolarmente
lavorato e ad una inclinazione mai oltre la verticale, è particolarmente adatta per i corsi CAI;
oppure si può salire a piedi verso l’eremo di S.
Angelo in Asprano, risalente all’anno 991.
E’ un percorso non lungo ma ripido, fra terrazze coltivate, caratterizzate da alberi d’ulivo e da
particolari piante subtropicali, in un paesaggio
che si differenzia fortemente da quello circostante
e che ricorda molto quello della Sicilia. L’eremo,
dedicato a S. Michele Arcangelo, è in un luogo
molto suggestivo, che domina l’intera valle e regala splendidi scorci.
Un’altra bellissima passeggiata a piedi - durata circa 2 ore e dislivello di circa 400 metri - può
iniziare da Castello di Roccasecca (m 313),
frazione medievale della cittadina nota anche
per aver dato i natali al flautista Severino Gazzelloni
(1919 – 1992). Dalla chiesa di S. Tommaso d’Aquino
(m 400), la prima dedicata al grande teologo nativo di questi luoghi, si può salire a visitare la rocca e la torre (m 450), fondata nel 994 dall’abate di Montecassino Mansone a guardia della sottostante valle del Liri (stupenda in primavera);
il castello in seguito fu occupato dai Conti di Aquino
e in esso molto probabilmente nacque il grande santo domenicano (1226-1274), per essere
in luogo elevato e lontano dalle paludi malariche della pianura sottostante.
Per un sentiero di crinale si prosegue poi sulla cresta bassa del m. Asprano fino alla cappella
dell’eremita Bonomo, che preannunciò la nascita del grande teologo.
Dopo circa un’ora di cammino tra le rocce e le
piante selvatiche del monte si giunge alla frazione di Cantalupo (m 512) e quindi alle case
di Colle San Magno (m 560, 1300 abitanti).
continua nella pag. accanto
Aprile
2015
Il paese prende il nome dal patrono S. Magno
vescovo di Trani, vissuto nel III secolo e legato alla diffusione del Cristianesimo in Ciociaria
(ha un’area di culto a Fondi, è patrono anche
di Anagni e secondo il Martirologio Romano subì
il martirio il 19 agosto dell’anno 251 a Fabrateria
Vetus, l’attuale Ceccano).
Posto sul versante occidentale del m. Cairo, Colle
San Magno fu fondato dagli abitanti di Castrum
Coeli, trasferitisi più in basso anche da questo
versante per il clima freddo e la mancanza d’acqua del primitivo castello di cresta. Fu feudo di
Montecassino (sec. X), degli Stendardo (1407),
dei Davalos (1504),dei Boncompagni (fine
‘500). Tra i suoi prodotti più tipici, legname, tartufi, funghi, olio d’oliva.
Nella chiesa principale del paese, prima cappella a destra entrando, c’è l’urna di legno con
i resti di Homo Bonus (Bonus Homo), che predisse la nascita di S. Tommaso d’Aquino e di
cui abbiamo incontrato la cappella sul sentiero
poco prima di Cantalupo.
L’eremita Buono (Bonomo),
ritenuto santo dalla pietà
popolare - “Sante Bone” benché non sia mai stata
proposta la sua causa di beatificazione, era un pastore
al servizio dei Conti di Aquino.
Nato a Cantalupo di Colle
San Magno, visse nel sec.
XII-XIII per lo più in una vicina piccola “cella benedettina”, oggi identificabile
con la cappella di S. Rocco,
a circa 500 metri dalla frazione di Cantalupo sul
sentiero che porta al castello di “Rocca Sicca”.
L’eremita Buono è ricordato
per la sua vita di pietà e di
devozione, per alcuni prodigi, ma soprattutto perché in molta letteratura medievale è considerato come il profeta di San Tommaso, avendo
31
Nella foto sopra:
Colle San Magno;
nella foto a sinistra:
il bacio delle Madonne a
Monte Asprano.
preannunciato alla contessa Teodora, moglie del
conte Landolfo d’Aquino, incinta nel castello di
Roccasecca, che avrebbe avuto un figlio a cui
Roccasecca, chiesa di San Tommaso.
sarebbe stato dato il nome
di Tommaso e che sarebbe
diventato dottore della
Chiesa, santo e famoso in
tutto il mondo.
L’eremita Buono fu sepolto
prima nella chiesa di San Pietro
in Cantalupo, poi nella parrocchiale di San Magno su
a Colle.
La memoria popolare di lui
racconta storie e aneddoti che
sanno di straordinario e di
miracoloso, ad esempio l’episodio della tentazione del demonio. Non volendo rinnegare la fede cristiana, il pio eremita era
perseguitato dal maligno, che gli nascondeva
il secchio per impedirgli l’approvvigionamento
dell’acqua. Ma Buono non si scomponeva, perché riusciva a tirar l’acqua dal pozzo con un cesto,
facendola miracolosamente ghiacciare.
Fatta una bella sosta per mangiare qualcosa seduti sulle panchine della piazza, si può poi salire
anche da questo versante alla chiesa dell’Assunta
(m 669) e ai ruderi del castello di Castrum Coeli.
Prima di ripartire, una sosta a Roccasecca.
L’antico centro sorse in posizione strategica per
controllare l’ampia valle del basso Liri ed è posto
all’ingresso di due gole - percorse dal fiume Melfa
(che nasce nei pressi del santuario della
Madonna di Canneto e sbocca nel Liri poco dopo
San Giovanni Incarico) e dalla strada RoccaseccaCasalvieri, 14,5 km, chiamata il Tracciolino - che
costituiscono il collegamento più rapido tra la
valle del Liri e la Val Comino. All’inizio della strada, dal ponte romano (Ponte Vecchio, m. 143)
nei pressi di Roccasecca si può salire a piedi
in circa mezz’ora al santuario dello Spirito Santo
(m 204), alto sulle gole del Melfa.
Aprile
2015
32
Don Antonio Galati pubblica
un saggio su Teilhard de Chardin
a sessant’anni dalla morte
I
l testo esamina il posto che Teilhard de Chardin
(1881-1955) riserva alla Chiesa all’interno della sua riflessione sull’evoluzione dell’universo. Poiché, secondo il gesuita paleontologo, storia naturale e storia della salvezza
coincidono, la Chiesa si inserisce in maniera
«naturale» nel processo evolutivo dell’universo per condurlo verso la fine del percorso, cioè
la fine del mondo: l’unione di tutto e di tutti, con
Cristo, in Dio. Il volume si articola in tre capitoli. Nel primo, partendo da una sintesi biografica
di Teilhard de Chardin, si presenta la sua idea
di universo in evoluzione verso l’unità del Tutto;
nel secondo, si sintetizza il suo pensiero circa l’evoluzione dell’universo e le leggi che la
governano; è durante l’elaborazione di questo
sistema evolutivo universale che il gesuita sviluppa la sua «ecclesiologia», cioè la descrizione
del ruolo della Chiesa all’interno dell’universo,
analizzata nel terzo capitolo.
Teilhard de Chardin è Stato un notevole scienziato (paleontologo) e un convinto Gesuita, e questi due aspetti costituivi della sua personalità lo hanno indotto a dover comporre, prima di
tutto in se stesso e poi a beneficio di coloro cui ha offerto il suo pensiero, le istanze delle grandi moderne scoperte in campo scientifico con
quelle dell’interpretazione religiosa dell’origine e del destino dell’uomo.
Uomo di fede che non ha mai voluto rinunciare alla ragione, ha dovuto
pagare di persona la sua ricerca di un senso dell’avventura umana.
Dotato di un’intelligenza assai audace e animato da un amore profondo indirizzato con eguale passione agli esseri umani e alle cose, ha cercato una sua soluzione ai grandi interrogativi che l’umanità da sempre
Frati Minori della Comunità di Bellegra
“Mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù
vide Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni mentre pescavano. Disse loro: ‘Venite dietro a me,
vi farò pescatori di uomini’. Essi subito lasciarono le reti e lo seguirono”. (Mt 4, 18-22)
50 anni fa anche tu hai risposto sì al Maestro
che ti chiamava, offrendogli con gioia la tua giovinezza, come umile pescatore di anime. 50 anni
di lavoro con il carisma di San Francesco, perché l’amore di Dio trovasse spazio nelle anime,
in parrocchia e nella scuola.
CARISSIMO PADRE MICHELE, con te ringraziamo il Signore, la Vergine Maria e San Francesco
per le tante meraviglie che lo Spirito Santo ha
operato tramite la tua persona.
NOI tuoi confratelli di BELLEGRA poi vogliamo dirti GRAZIE per la dedizione prestata perché il periodico del Santuario del quale sei Direttore
responsabile tornasse a vivere e per l’affetto
si pone, e pur soffrendo per il silenzio impostogli
dall’autorità ecclesiastica mentre era in vita,
ha mantenuta intatta la sua fiducia nella
potenza unitiva dell’amore e nella capacità, insita proprio negli esseri e nelle cose, di sfociare in un esito finale positivo per la specie umana. È in questa cornice che si delinea la sua
vita, divisa tra l’insegnamento e la ricerca a Parigi
e le spedizioni scientifiche in Cina sulle tracce
della presenza dell’uomo nel Paleolitico, e il suo
sviluppo intellettuale, che lo portò a maturare
l’idea di un universo in evoluzione verso una
sintesi unitiva tra materia e spirito.
All’interno di quest’idea la definizione della Chiesa
come “asse principale dell’evoluzione”. Poiché,
secondo il gesuita paleontologo, storia naturale
e storia della salvezza coincidono, la Chiesa
s’inserisce in maniera naturale nel processo evolutivo dell’universo per condurlo verso la fine
del percorso: l’unione di tutto e di tutti, con Cristo,
in Dio. Se la Chiesa ha un ruolo centrale nella storia della salvezza, è inevitabile che abbia
un legame anche con il mondo che attraverso
di essa aspira a salvarsi. In altre parole, la storia evolutiva dell’universo è il modo con cui Dio
conduce concretamente il creato alla comunione perfetta con lui. Nel suo
saggio, Antonio Galati riprende tutto questo, mettendo in evidenza non
soltanto l’originalità del pensiero di de Chardin, ma anche, e soprattutto, la sua incredibile attualità.
Antonio Galati, sacerdote della diocesi di Velletri-Segni, è vicario parrocchiale presso la chiesa di Santa Maria in Trivio, a Velletri (Roma).
Dopo il baccalaureato in teologia (2010), nel 2013 ha ottenuto la licenza in
teologia dogmatica. Attualmente sta proseguendo i suoi studi alla Pontificia
Università Gregoriana per il conseguimento del dottorato in teologia.
Collabora con il Servizio di Pastorale Giovanile diocesano.
che ti lega a questo “Nido di Santi”. La nostra
preghiera al Padrone della mèsse perché il tuo
Sacerdozio sia ancora lungo e ricco di soddisfazioni. AUGURI per il 50° Anniversario del tuo
Sacerdozio celebrato con noi
a Bellegra.
PACE E BENE.
Bellegra 15 marzo 2015,
Domenica IV di Quaresima.
Giovanni Battista Marinotti
(padre Michele) è nato a
Roma il 27 gennaio 1941 da
coniugi valmontonesi (Natalino
e Flora Attiani); nella Collegiata
di Valmontone fu battezzato due
giorni dopo la nascita dal viceparroco don Vincenzo Gabrielli.
Presto è rimasto orfano del-
la madre, trovando però nella seconda moglie
del padre, Rosina Vendetta, l’amore e il sostegno che aveva così prematuramente perduto.
Il 14 luglio 1963 ha emesso la professione solenne nei Frati Minori della Provincia Romana Il 25
ottobre 1964 ha ricevuto il Suddiaconato a Roma
nella Basilica Lateranense.
Il 13 marzo 1965 fu ordinato sacerdote nella basilica francescana dell’Aracoeli da mons. Ugo Poletti,
allora Vice Gerente e poi Cardinale Vicario di
Roma. Padre Michele ha conseguito tre lauree, in Filosofia e in Teologia
presso la Pontificia Università
Lateranense e in Lettere
Classiche presso l’Università
statale “La Sapienza” di
Roma.
Ha svolto il suo ministero di
sacerdote, di professore nei
conventi di San Francesco
a Ripa, Frascati, Artena,
Carpineto, Piglio, Palestrina
e Cori; è stato inoltre preside di diverse scuole medie
del Lazio, in particolare di
Bellegra e Lariano.
Aprile
2015
Mara Della Vecchia
P
arlando di musica sacra torniamo al grande Mozart nella cui sterminata produzione
troviamo tanti capolavori di musica
sacra. I Vespri Solenni del Confessore sono l’ennesima testimonianza della grandezza della musica mozartiana. Si tratta di una composizione
piuttosto breve in sei parti, venne prodotta nel
33
1780 su commissione dell’arcivescovo Colloredo ed
è l’ultimo lavoro del musicista prima di lasciare
Salisburgo per trasferirsi definitivamente nella più grande e internazionale Vienna.
L’aggettivo solenne significa che la voce è accompagnata dagli strumenti, mentre il “de Confessore” fa riferimento, con probabilità, a
San Ruperto Confessore,
patrono della città di
Salisburgo.
L’arcivescovo Colloredo
aveva dato a Mozart l’indicazione precisa che i vespri
non durassero più di 45 minuti e che non contenessero delle ripetizioni del testo
per evidenti esigenze liturgiche, ma nonostante tale
limitazione, Mozart crea un
capolavoro sublime formato
da cinque salmi e il
Magnificat nei quali riesce a rispettare rigorosamente le ragioni liturgiche imposte dall’arcivescovo e nel contempo a conferire al canto
uno stile operistico. Inizia con “Dixit Dominus”:
è una sorta di ouverture, ovvero un’introduzione,
affidata principalmente al coro, mentre il quartetto di voci soliste interviene solo nel Glori Patri;
è una musica energica in tonalità maggiore che
apre come un luminoso sipario l’opera. Segue
il “Confitebor tibi Domine” : ora sono i solisti
che dominano e il coro interviene all’unisono
per cantare il Sanctum, si conclude con
l’”Amen” forte e maestoso.
Il terzo salmo è il “Beatus Vir”, inizia con un introduzione strumentale infatti, in questa sezione,
l’orchestra ha una parte predominante rispetto alle voci, sebbene queste si inseriscano frequentemente.
La quarta sezione è costituita dal “Laudate Pueri”
in tonalità minore che dona al pezzo un senso di austerità , solennità e spiritualità, viene
eseguito esclusivamente dal coro ed inizi con
una fuga a quattro voci con scale discendenti, qui Mozart utilizza le voci in modo tale da
ridurne la durata complessiva, infatti ogni voce
interviene nella fuga non ripetendo, come è usuale, il verso che ha appena pronunciate la voce
precedente, bensì canta il verso successivo, così
che tutto il testo è enunciato in un tempo molto breve.
Ed ecco che arriva il celebre e meraviglioso “Laudate
Dominum” : un’aria per soprano dolce e molto cantabile con un accompagnamento strumentale
che scorre fluido con la voce del solista; il coro
interviene nella parte finale nel “Gloria Patri” questa parte è così bella e compiuta che spesso
viene eseguita da sola in concerto.
La conclusione è affidata al “Magnificat” qui si
esprime tutta la solennità dell’opera, il coro e
i solisti cantano la gioia e l’esultanza del ringraziamento, la conclusione dell’opera, dopo
il “Gloria Patri” presentato dai solisti, è affidato al coro che cantano un potente “Sicut erat
in principio e Amen”.
Aprile
2015
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icordo che quando fu inaugurata la chiesa di Cristo Re a piazza Mazzini,
la prima costruzione condotta con criteri moderni (le ultime chiese costruite in Roma: il Sacro Cuore a Lungotevere Mellini e la chiesa di via Piave
dell’Adorazione Perpetua seguivano ancora la formula gotica) il cardinale Marchetti
Selvaggini fu oggetto di spietate critiche e chiese il mio intervento per spiegare cosa avevano realizzato artisti come Marcello Piacentini, Arturo Mattini,
Achille FW1i e Alfredo Biagini. Forse don Franco Balani non sarà esente dalle riserve e dai commenti meno favorevoli per aver conferito alla sua parrocchia, anche dal punto di vista artistico, una modernità che corrisponde all’ esigenza della cultura moderna.
Cultura, difatti, non è soltanto la pittura dei critici, degli specialisti e dei dotti,
anche se don Balani non ha esitato di accettare le due grandi tele di Agostino
De Romanis garantite da un critico cl’ arte come Itala Mussa specializzato, guarda caso, nella corrente della pittura colta. E “colto” nel senso più proprio del
termine, mi pare che sia il suggerimento da lui dato all’artista, come usavano
gli antichi rettori delle chiese e delle cappelle medievali, proponendo un tema
insolito: l’Alleanza! un termine a sorpresa seguito da un punto esclamativo nella prosa convincente di don Balani. Come non ripensare all’episodio storico
della giornata sulla preghiera ecumenica di tutte le confessioni cristiane
ad Assisi dell’ottobre 1986, radunate intorno al Pontefice Romano?
Alleanza, W1 termine misterioso che andiamo riscoprendo dopo
tante angosciose separazioni e contraddizioni, alleanza dei figli
di Dio che tornano al Padre finalmente riscoperto per esaltarsi a
vicenda, edificarsi e difendersi in un momento tragico come quello che stiamo vivendo, quando il pensiero e la potenza della civiltà nucleare minaccia di distruggere non soltanto l’uomo ma l’umanità tutta quanta. Le due tele presentano un ottimo equilibrio
compositivo, raggiunto tramite un tessuto pittorico di alta qualità che è frutto di lunghi studi e di continue ricerche cromatiche.
È consolante che esista in Roma una comunità come quella di
San Giuseppe Artigiano che superando le siepi storiche d’una
interpretazione eccezionale ma di tutto riposo, accetti di vincere
il terrore dell’odio e della morte creando immagini oltre i confini della carità fino alle soglie di un’ alleanza fraterna.
R
Roma,1987 :
nella Chiesa di S. Giuseppe Artigiano
S.E.R. Card. S. Baggio scopre il dipinto “Nuova Alleanza”.
Novembre 1987
Mons. Ennio Francia
Roma - Abside della Chiesa di S. Giuseppe Artigiano.
continua nella pag. accanto
Aprile
2015
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ITALO MUSSA
ROBERTO LUCIANI*
“Vecchia Alleanza” e “Nuova Alleanza”: la verità e il suo doppio riflesso
nell’esasperata vita terrena; oppure la contrapposizione frontale tra il mondo chiuso del Vecchio Testamento e il mondo aperto del Cristo; e ancora, il passaggio generoso da un’ armonia gerarchica a una” instabilità”
fluida e responsabile che però rifonda la vita dalle sue radici. In queste
due grandi tele Agostino De Romanis, ha raffigurato, senza fare nomi,
il destino che incombe sull’uomo, ricorrendo ad un’astrazione immaginale con forti accenti cromatici. La simbologia, più implicita che esplicita, è visionaria. Essa non descrive singoli episodi, è piuttosto un “insieme” simbolista, dove non c’è alcuna interruzione tra le figure e il contesto. La pittura trascolora, liquefatta penetra le velature surreali. Così le
due opere si riflettono l’una nell’altra: la “Vecchia Alleanza” trapassa drammaticamente in quella “Nuova”, lasciando nel fondo apparentemente immacolato fantasmi arcaici, pietrificati nei lori stessi parametri, Ora la dimensione surreale è meno drammatica, inonda la “Nuova Alleanza” con improvvisi poetici, più problematici e meno terrificanti. Se prima dominava l’incastro assoluto, ora prevale l’ osmosi aerea tra le figure e il fondo in cui
prevale il vissuto degli avvenimenti che la storia ripropone con impeto
drammatico. Anche i colori sono più squillanti, sprofondano ma riemergono per rifondarsi.
Ma che cosa c’è di religioso in tutto questo? Nulla di più di quanto esista nei “bozzetti” di Fontana per le porte del Duomo di Milano, e cioè il
risveglio drammatico della materia dal nulla e il suo imporsi al mondo
della vita. Oppure la policromia di S. Sebastiano di Leoncillo, l’ironia del
S. Rocco di Turcato, il fatalismo allucinato del S. Zeno di Birolli, l’assoluto silenzio della croce di Malevic. In altri termini, c’è l’interrogazione e
l’intrattenimento sull’oscurità e sull’oblio della vita dell’arte.
Ora quanto Agostino De Romanis ha dipinto con orrore troppo umano
è lo specchio mostruoso di una vita in cui tenebre, luci, oblio, sogno,
desiderio si confondono nell’insostenibile bellezza della deformazione.
L’immenso clamore che scaturisce da quella figurazione disorienta, pietrifica lo sguardo. L’occhio è condannato a vedere il bagliore reale della vita. L’artista contemporaneo può solo ricordare, la sua rimembranza riporta alla superficie del passato-presente chiare e articolate possibilità ormai impraticabili. Ma in questa immutabilità s’intravvedono interstizi lasciati dal disegno e dal colore, che separano il magma dell’informe. Nell’universo dipinto da Agostino De Romanis, la deformazione è
quindi la maschera che corrompe il mondo, facendolo precipitare nella
follia e sparire nel caos. La messa-io-scena è medioevale, i “gironi” separano i fedeli alla vita dagli assetati di morte. L’immensa corte di vittime precipita combattente. Volti autoritari schiacciano i
senza volto, ciascun volto è in relazione
ad altri, messi in fila dai lampi di colore.
Tutto tramuta nei colori, situazioni volanti capovolgono questa “performance”
cosmica. Qui Agostino De Romanis dimostra di possedere doti simboliste; infatti accerchia i colori in serrate stesure, armonizzate
tra loro alterando i timbri. L’insieme compositivo sembra scomparire nei dettagli, tutto è labirintico, imprendibile, incoerente, meravigliosamente strano.
“Vecchia e Nuova Alleanza” è una” sfida
infernale” della ragione della pittura contro le inquisizioni dei “vaghi mostri” e dei
“visi atroci” di quanti non amano le vie segrete e diverse dell’arte, cioè dell’uomo.
Si tratta della biografia del noto pittore Agostino De Romanis, curata dal
letterato Antonio Venditti che da oltre trent’anni segue con passione amicale il percorso dell’artista. Un lungo cammino professionale ha portato il
maestro di Velletri ad esporre le sue opere in molte parti d’Italia e del mondo, soprattutto in Indonesia, dove è conosciuto e considerato l’artista che
meglio di altri ha saputo cogliere l’essenza, la poesia dei colori e delle atmosfere di quello straordinario luogo.
I riconoscimenti dall’Indonesia sono stati eccezionali, anche solo considerando che la mostra Rediscovering Indonesia è stata inaugurata dal Presidente
della Repubblica. Non potevano tuttavia mancare riconoscimenti ufficiali
anche dall’Italia, tanto che nel 2012 a De Romanis è stato addirittura concesso di esporre negli ambienti della Camera dei Deputati (Il pensiero dipinto, a cura di Vittorio Sgarbi). Un più recente riconoscimento è stato anche
concesso dal Comune di Roma Capitale che ha organizzato la mostra All’origine
delle cose al Centro Culturale Elsa Morante dell’E.U.R. Non che negli anni
precedenti i numerosi viaggi in Indonesia Agostino non si fosse espresso
in modo eloquente e significativo. L’artista aveva infatti già ampiamente
dimostrato di saper congiungere un linguaggio di rilevante spessore emotivo alle vicende di una vita spesa nella passione per una cultura autentica e partecipata. Naturalmente in questa sede è impossibile citare anche
solo parzialmente la sterminata produzione del maestro, realizzata prima
e dopo il periodo indonesiano, ma non possiamo esimerci dal citare almeno i grandi cicli di arte sacra. Iniziamo con le due grandi opere (olio su
tela, cm 300 x 315) dal titolo Vecchia Alleanza e Nuova Alleanza realizzate nel 1987 per l’abside della chiesa di San Giuseppe Artigiano di Roma
e benedetti da papa Giovanni Paolo II. I dipinti presentano un eccezionale equilibrio compositivo, raggiunto tramite un tessuto pittorico di alta
qualità che è frutto di lunghi studi e di continue ricerche cromatiche, ed
esprimono il tema dell’alleanza, rendendo il presbiterio punto di riferimento
del cammino di fede e punto di irradiazione per una comprensione più profonda del disegno di Dio sull’uomo. Questi dipinti, uniti da un unico tema,
sono complemento e risalto al Cristo Crocifisso collocato al centro che,
nell’atto del “tutto è compiuto” esprime con forza che l’alleanza è stipulata, l’Amore ha trionfato. Nel biennio 1992-1993 De Romanis realizza 115
acquarelli della serie Acqua, aria, terra e fuoco, tentativo di un uomo profondo di comprendere gli eventi primordiali creati da Dio. La straordinaria
mostra, su invito del cardinale Edward Clancy, è stata esposta a Sydney
(Australia), in S. Mary Cathedral (catalogo Electa Milano). Abbiamo ancora i 21 dipinti, dapprima esposti all’Abbazia di Casamari e nel Museo diocesano di Velletri (2000) e poi presentati a Giovanni Paolo II, che rappresentano
il Grande Cammino. Qui l’artista veliterno si cimenta con le tematiche cristiane e valori universali
come l’amore, la pace, la libertà, il perdono, capisaldi dell’umanità oltreché del messaggio cristiano. Da citare ancora l’eccezionale l’opera
realizzata nel 1989 da De Romanis, Gli artisti
guidati da papa Pio XII verso la chiesa docente per la chiesa degli Artisti di piazza del Popolo
a Roma (Santa Maria in Montesanto), benedetta dal Cardinale Sebastiano Baggio.
Il volume in questione, molto raffinato e pubblicato da una delle più accreditate case editrici d’arte italiane, risulta scritto con chiarezza ed estremamente esaustivo del percorso artistico, culturale ed umano di Agostino De Romanis:
si tratta di un riconoscimento doveroso ad un
artista, il cui discorso è diventato comprensibile in varie parti del mondo, continuando ad
essere fatto di “colori e paesaggi” che parlano dell’ampio registro di un’anima che appartiene alla più antica tradizione veliterna, romana e italiana.
Ottobre 1987
Nella foto: la copertina della pubblicazione
De Romanis pictor, Antonio Venditti (a cura di),
pag. 160, formato cm 24x18,
Palombi editori, Roma 2015.
*Storico dell’Arte e Architetto Direttore, Direzione Generale
per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e
l’arte contemporanee, Ministero dei beni e
delle attività cultura e del turismo.
Aprile
2015
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Bollettino diocesano:
Prot. VSCA 8/2015
Con il presente
DECRETO
1. Si recepiscono e si approvano lo Statuto ed il regolamento della Consulta Diocesana della Aggregazioni Laicali (C.D.A.L.) allegati n.1;
2. Si riconoscono le Aggregazioni componenti la Consulta Diocesana come elencate nell’allegato n°2;
3. In base al Verbale dell’incontro tenuto il 09 gennaio 2015 (allegato 3)
NOMINO
Il Signor Giuliano Crosicchio
Segretario della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali
per la durata quadriennale prevista dallo Statuto.
Il Consiglio Direttivo sarà composto dai membri eletti nella prossima Assemblea fissata per il 13 marzo 2015.
Confidando nel prezioso contributo che le Aggregazioni Laicali offrono alla pastorale diocesana, invoco su ciascuno di loro ogni benedizione del
Signore.
Velletri, 03.03.2015
+ Vincenzo Apicella, vescovo
Il cancelliere vescovile
Mons. Angelo Mancini
(Allegato 1/3)
DIOCESI VELLETRI-SEGNI
Statuto della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali (C.D.A.L.)
Identità, Natura e Fini
Art.1 La Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali (C.D.A.L.), promossa dal Vescovo diocesano e dal Consiglio Pastorale Diocesano, è l’espressione e lo strumento della
volontà di tutte le aggregazione laicali presenti e operanti nella Chiesa di Velletri-Segni, che intendono accrescere la comunione ecclesiale e contribuire fattivamente alla pastorale della Chiesa locale.
Art. 2 Fanno parte della C.D.A.L. le Aggregazioni Laicali che rispondono ai criteri di ecclesialità indicati nell’Esortazione Apostolica Christifideles Laici (n° 30) e nella Nota Pastorale
della CEI, Le Aggregazioni Laicali nella Chiesa (n° 15), e più precisamente: Confraternite, Associazioni, Terzi Ordini, Movimenti, Gruppi o altre Comunità similari purché dotati di
Statuto ai sensi del can. 304 del Codice di Diritto Canonico.
Art. 3 La C.D.A.L. nel rispetto dell’identità e dello scopo statutario delle singole Aggregazioni, si propone di:
a. valorizzare la forma associata dell’apostolato dei fedeli laici, richiamando il suo significato nel quadro di una comunità ecclesiale partecipata e corresponsabile,
b. svolgere compiti di informazione volti a promuovere la reciproca conoscenza e stima;
c. far crescere uno stile e una prassi di laicato maturo e responsabile, in uno spirito di comunione e collaborazione, anche attraverso iniziative di studio, di dialogo e di confronto per una più attenta e responsabile partecipazione alla vita pastorale della Chiesa da parte delle aggregazioni;
d. elaborare proposte in ordine agli Orientamenti Pastorali della C.E.I. e del Vescovo diocesano;
e. promuovere iniziative comuni con il consenso e la partecipazione delle aggregazioni aderenti, in ordine a istanze e problemi di particolare attualità, nell’ambito dell’evangelizzazione e dell’animazione cristiana dell’ordine temporale.
Art. 4 La C.D.A.L. si impegna a favorire momenti di dialogo e di collaborazione anche con i vari organismi ecclesiali della Diocesi di Velletri-Segni e con gli Uffici pastorali. Essa
collabora con la Consulta Regionale del Lazio e la Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali sulla base di quanto previsto dai rispettivi statuti.
B. Organi
Art. 5 Gli organi del C.D.A.L. sono:
a. L’Assemblea Diocesana
b. Il Segretario
c. Il Consiglio Direttivo
Art. 6 L’Assemblea Diocesana è costituita dai responsabili indicati dalle singole Aggregazioni Laicali partecipanti aderenti alla C.D.A.L..
I compiti dell’Assemblea sono:
a. Elegge il Consiglio Direttivo;
b. Elegge una terna da presentare al Vescovo per la nomina del Segretario;
c. Delibera gli orientamenti e il programma di attività della Consulta e ne verifica
l’esecuzione;
d. Propone i contenuti da offrire al Vescovo diocesano e delibera, con il consenso del medesimo, eventuali interventi pubblici;
e. Indica le modalità per favorire i rapporti con le aggregazioni che non appartengono alla Consulta;
Aprile
2015
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f. Istituisce eventuali commissioni di studio su proposta del Consiglio Direttivo. Gli elaborati da esse prodotti saranno inviati come strumenti di studio e di lavoro all’Assemblea e,
attraverso il Segretario, al Vescovo diocesano. L’Assemblea si riunisce almeno tre volte l’anno. È convocata dal Segretario, che stabilisce l’ordine del giorno. L’Assemblea è validamente costituita con la presenza della metà più uno dei membri aventi diritto al voto e delibera a maggioranza assoluta dei presenti aventi diritto al voto.
Art. 7 Il Consiglio Direttivo è costituito dal segretario della Consulta a da altri due membri, eletti dall’Assemblea. Si riunisce periodicamente in base alle necessità derivanti dall’esecuzione del programma deliberato dall’Assemblea. Ai lavori del Direttivo può partecipare il Vescovo o un suo rappresentante. Il Consiglio dura in carica quattro anni.
I compiti del Consiglio Direttivo sono:
a. È responsabile dell’esecuzione delle indicazioni e decisioni dell’Assemblea;
b. Supporta il Segretario nelle funzioni di rappresentanza, comunicazioni o altro che si renda necessario nell’ambito dell’attività della C.D.A.L.;
c. Indica norme di carattere amministrativo ogni volta sia necessario ai fini delle attività proposte.
Art. 8 Il Segretario è nominato dal Vescovo dalla terna presentata dall’Assemblea diocesana, dura in carica quattro anni e il suo mandato è rinnovabile una sola volta.
I compiti del Segretario sono:
a. Animare la vita della C.D.A.L. e curare i rapporti con il Vescovo, il C.Pa.D. e altri Organismi ecclesiali e non;
b. Convocare l’Assemblea, redigere l’ordine del giorno (almeno 15 giorni prima della data di convocazione) e curare la verbalizzazione delle riunioni;
c. Convocare e guidare i lavori del Consiglio Direttivo;
d. Amministrare la gestione economica della C.D.A.L.;
Art. 9 Gli incarichi e le collaborazioni nell’ambito della C.D.A.L. sono gratuiti, a titolo di servizio volontariato. Le eventuali spese per l’attività della C.D.A.L. sono a carico dei componenti delle Aggregazioni che la compongono.
Art. 10 La sede della C.D.A.L. è la sede della Curia Vescovile di Velletri-Segni: Piazza Caduti sul lavoro, 6 in Velletri (Roma).
Art. 11 Per le modifiche al presente Statuto è necessario il voto favorevole dei due terzi dei membri aventi diritto al voto e l’approvazione del Vescovo diocesano.
Velletri, 10 ottobre 2014
REGOLAMENTO ATTUATIVO
A. COSTITUZIONE DELL’ASSEMBLEA DIOCESANA DELLA CDAL
L’Assemblea Diocesana è costituita ai sensi dello Statuto (Art. 6) dai responsabili delle Aggregazioni Laicali presenti e operanti nella Diocesi di Velletri-Segni e rispondenti ai criteri indicati nello Statuto
(Art. 2). Nel rispetto della diversità di organizzazione e strutturazione, e della specifica periodicità di rinnovo dei propri responsabili, ciascuna Aggregazione Laicale di cui sopra, è chiamata a prendere parte attiva alla CDAL individuando un proprio rappresentante, nel rispetto dei propri regolamenti, tra coloro che ricoprono o hanno ricoperto incarichi di responsabilità a vario titolo. Tale rappresentante sarà membro costitutivo dell’Assemblea Diocesana fino a che la rispettiva Aggregazione Laicale non sarà chiamata a rinnovare i propri responsabili o riterrà di sostituire il rappresentante per
vari motivi. L’Assemblea è ordinariamente convocata dal Segretario. In casi eccezionali e per manifesto inadempimento dello stesso Segretario, può essere convocata da qualunque membro, avendo informato il Vescovo.
B. NOMINA DEL SEGRETARIO
Il Segretario, come da Statuto (Art. 8) è nominato dal Vescovo da una terna presentata dall’Assemblea. La terna è eletta tra i membri dell’Assemblea. Ciascuna Aggregazione Laicale che partecipa
alla C.D.A.L. può presentare la candidatura del proprio rappresentante per il ruolo di Segretario, facendo pervenire tale indicazione al Segretario uscente almeno 15 giorni prima dell’incontro stabilito
per le elezioni. L’Assemblea accoglie e valida le candidature raccolte dal Segretario e procede ad eleggere la terna secondo la seguente prassi:
hanno diritto al voto i soli membri costituenti l’Assemblea;
nella votazione possono essere espresse al massimo due preferenze;
i tre nominativi che hanno ricevuto il maggior numero di voti formano la terna da presentare al Vescovo per la nomina del Segretario;
in caso di parità di voti, verrà designato il più anziano di età.
Il Segretario rimane in carica per il periodo fissato dallo Statuto e può essere rinnovato una sola volta. Il Segretario viene meno per morte, rinuncia o manifesto inadempimento dei propri compiti, ratificato dall’Assemblea. In caso il Segretario venga meno, l’Assemblea eleggerà una nuova terna da presentare al Vescovo per la nomina.
C. ELEZIONE DEL CONSIGLIO DIRETTIVO
Il Consiglio Direttivo è costituito da due membri dell’Assemblea ed eletto come da Statuto (Art. 7). Ciascuna Aggregazione Laicale che partecipa alla C.D.A.L. può presentare la candidatura del proprio rappresentante a membro del Consiglio Direttivo, facendo pervenire tale indicazione al Segretario uscente almeno 15 giorni prima dell’incontro stabilito per le elezioni. L’Assemblea accoglie e valida le candidature raccolte dal Segretario e procede ad eleggere il Consiglio secondo la seguente prassi:
possono essere eletti solo i membri candidati;
gli aventi diritto al voto sono i soli membri costitutivi dell’Assemblea;
è possibile esprimere al massimo due preferenze;
i due nominativi che hanno ricevuto il maggior numero di voti risultano eletti;
in caso di parità di voti, risulta eletto il candidato più anziano.
Un membro del Consiglio direttivo viene meno per morte, rinuncia o assenza dalle riunioni protratta per almeno sei mesi. Dichiarata la vacanza, gli subentra per il quadriennio corrente chi gli succede in graduatoria secondo l’elezione da cui è risultato.
Velletri, 10 ottobre 2014
(Allegato 2/3)
Aggregazioni Laicali presenti nella Diocesi
Rinnovamento nello Spirito
Cammino Neocatecumenale
Associazione Fede e Luce
Azione Cattolica Italiana
Gruppi Scouts F.S.E.
Comunità Diocesana Gesù Risorto
Cooperatori Salesiani
Gruppi Scouts AGESCI
Confraternite
UNITALSI
Movimento dei Focolari
Cursillos di Cristianità
Aprile
2015
38
Bollettino diocesano:
ATTO FORMALE DEL VESCOVO PER L’ANNO 2014
- VISTA la determinazione approvata dalla XLV Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana ( Collevalenza 9 – 12
Novembre 1998);
- CONSIDERATI i criteri programmatici ai quali intende ispirarsi nell’anno pastorale 2013-14 per l’utilizzo delle somme derivanti
dall’otto per mille dell’IRPEF;
- TENUTA PRESENTE la programmazione diocesana riguardante, nel corrente anno, priorità pastorali e urgenze di solidarietà;
- SENTITI, per quanto di rispettiva competenza, l’incaricato del Servizio Diocesano per la promozione del sostegno economico alla
Chiesa Cattolica, e il Direttore della Caritas Diocesana;
- UDITO il parere del Consiglio diocesano per gli Affari Economici e del Collegio dei Consultori
DISPONE
1) - Le somme derivanti dall’otto per mille dell’IRPEF ex art. 47 della legge 222/85, ricevute nell’anno 2013,
dalla Conferenza Episcopale Italiana,
“Per esigenze di Culto e pastorale” sono così assegnate:
A. Esercizio del Culto:
Conservazione e restauro di altri beni culturali ecclesiastici
€ 141.000,00
Tot. € 141.000,00
B. Esercizio della cura d’anime:
- Attività pastorali straordinarie
- Curia Diocesana
- Mezzi di comunicazione sociale a finalità pastorale
- Archivi e biblioteche
- Manutenzione straordinaria di case canoniche
- Parrocchie in condizione di straordinaria difficoltà
€
€
€
€
€
€
15.000,00
65.963,30
35.000,00
15.000,00
43.000,00
5.000,00
Tot. € 178.963,30
C. Formazione del clero:
- Seminario Regionale e seminario minore
- Borse di studio seminaristi - Diaconi
- Formazione permanente
€ 32.000,00
€ 4.800,00
€ 3.000,00
Tot. € 39.800,00
F. Contributo al servizio diocesano per la promozione
del sostegno economico:
€
1.140,00
Tot. € 1.140,00
G. Altre Assegnazioni/Erogazioni:
- Risanamento Teatro Aurora
- Museo Diocesano
€
€
100.000,00
54.900,00
Tot. € 154.900,00
TOTALE DELLE ASSEGNAZIONI
€ 515.803,30
2) - Le somme derivanti dall’otto per mille dell’IRPEF ex art. 47 della legge 222/85 ricevute nell’anno 2013 dalla
Conferenza Episcopale Italiana
“Per interventi caritativi” sono così assegnate:
A. Distribuzione a persone bisognose:
1 - Da parte del Vescovo
2 - Da parte delle parrocchie
3 - Da parte della Caritas Diocesana
€ 75.824,44
€ 170.000,00
€ 180.000,00
Tot. € 425.824,44
B. Opere caritative Diocesane:
- In favore di carcerati
€ 5.000,00
Tot. €
TOTALE DELLE ASSEGNAZIONI
5.000,00
€ 430.824,44
Le disposizioni del presente provvedimento saranno trasmesse alla Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana
attraverso i prospetti di rendicontazione predisposti secondo le indicazioni date dalla Presidenza della C.E.I.
Velletri, 30.09.2014
+ Vincenzo Apicella, vescovo
Aprile
2015
39
Giovanni Zicarelli
S
indone: sinonimo, si potrebbe dire, di mistero. Ma non è così, perché si pronuncia
come un sussurro: una parola sussurrata
per pudore da chi crede e per incertezza da chi
è scettico. Ecco, sembrerebbe piuttosto sinonimo di perplessità. Una perplessità che ha fatto sì che la Sindone divenisse in assoluto il reperto storico più studiato di tutti i tempi. Da domenica 19 aprile a mercoledì 24 giugno, si potrà
esserne al cospetto per contemplarla dal vivo,
per via dell’ostensione autorizzata da Papa Francesco,
cinque anni dopo quella di Benedetto XVI (10
aprile/23 maggio 2010).
Questo del 2015 è il periodo più lungo (67 giorni) dedicato a questo evento, multisecolare se
non millenario che, come il precedente, si svolgerà nel Duomo di Torino, chiesa rinascimentale del XVI secolo dedicata a San Giovanni Battista,
patrono della città, situata nell’omonima piazza. Una curiosità: l’ultimo giorno è proprio quello che sul calendario la Chiesa dedica al santo patrono. Nota come Sacra Sindone o
Sindone di Torino o semplicemente Sindone, è
un lenzuolo di lino (in greco σινδών, sindón, in
latino sindon) di colore giallo ocra, di forma rettangolare, con trama del tessuto a spina di pesce
e dimensioni di circa 442 x 113 cm per uno spessore di 0,34 millimetri ed un peso di 2,450 Kg
circa. Su di essa è visibile un alone con le inequivocabili sembianze di un uomo che porta segni
di percosse e crocifissione, tutto compatibile con
quanto narrato nei Vangeli riguardo le torture,
la morte e la sepoltura di Gesù:
“Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.”
(Giovanni 19: 1).
“Lo vestirono di porpora e, intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo.”
(Marco 15: 17).
“dopo averlo crocifisso, spartirono le sue vesti,
tirandole a sorte” (Marco 15: 24).
“uno dei soldati gli trafisse il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua.”
(Giovanni 19: 34)
“Giuseppe (d’Arimatea), preso il corpo, lo
avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova” (Matteo 27: 59-60).
La figura visibile sul lenzuolo consiste in due immagini che ritraggono un corpo umano nudo, a grandezza naturale (alto non meno di 175 cm), una
di fronte e l’altra di schiena; sono allineate testa
contro testa, separate da uno spazio privo di tracce corporee. Sono di colore più scuro di quello del telo. Se ne deduce, dunque, che il corpo
fu adagiato sulla metà inferiore del telo (immagine dorsale), e fu ricoperto con l’altra metà ripiegata su di esso (immagine frontale).
Questa immagine è definita “Uomo della
Sindone”, nome che garantisce una prudente
posizione neutra a chi la detiene e a chi vi si
approccia in termini di fede, studio o curiosità.
Sul lenzuolo sono marcatamente visibili le bruciature causate da un incendio avvenuto in Francia,
a Chambéry, nel 1532, disposte simmetricamente
ai lati dell’immagine in quanto il lenzuolo era ripiegato più volte su sé stesso. Le bruciature più
grandi hanno creato dei fori di forma approssimativamente triangolare di cui uno fortunatamente
lambisce appena la ferita del costato.
L’immagine è più comprensibile nel negativo fotografico, come si scoprì quando, il 28 maggio 1898,
la Sindone fu fotografata per la prima volta. L’artefice
fu l’avvocato Secondo Pia (1855-1941), appassionato di fotografia che, osservando poi i negativi nel suo laboratorio, poté constatare quanto
più nitida risultasse l’immagine. Il corpo raffigurato
appare quello di un maschio adulto, con la barba e i capelli lunghi.
Sul viso si notano tumefazioni in corrispondenza
degli zigomi e ferite sulla fronte. Il corpo presenta numerose ferite: le più evidenti sono quelle ai polsi e ai piedi, compatibili con l’ipotesi che
vi siano stati piantati dei grossi chiodi, e una larga ferita da taglio al costato.
La storia della Sindone di Torino è ritenuta certa a partire dalla metà del XIV secolo. Sulla sua
storia precedente e sulla sua antichità vi sono
vari punti di disaccordo fra gli studiosi. Sono stati compiuti, nelle varie epoche, numerosi studi;
uno di questi fu l’esame al Carbonio 14 del 1988
compiuto su un piccolo lembo del lenzuolo, da
cui risultò che al 95% delle probabilità la Sindone
appartenesse al periodo compreso fra il 1260
e il 1390. Ma poi ci si accorse che era stato esaminata parte di un rattoppo applicato a seguito dell’incendio del 1532. C’è anche da dire che
è alquanto improbabile che un artista medievale
potesse rappresentare un uomo crocefisso con
ferite ai polsi, dato che Gesù in croce è sem-
pre stato rappresentato con i chiodi che trafiggono il palmo della mano. Dallo studio di testi
storici ed evangelici, la Sindone, oltre che per
i segni sulle due immagini, risulta compatibile
anche con gli usi di duemila anni fa relativi alle
sepolture in quei luoghi e finanche i pollini, di
cui vi è ancora traccia sul lenzuolo, apparterebbero
alle latitudini ove si svolsero i fatti narrati nei Vangeli.
Tuttavia, riguardo a chi possa aver posseduto
la Sindone, in base a vari studi storici si fanno
congetture riguardo alla primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. Si ipotizza che fu portata ad Antiochia (Turchia) dallo stesso Pietro
e tenuta nascosta dapprima a causa delle persecuzioni e, successivamente, a causa delle dispute tra gruppi cristiani. Sarebbe stata poi trasferita ad Edessa (odierna Şanlıurfa o Urfa, in
Turchia) nel 540, quando Antiochia fu assediata dai Persiani del re Cosroe I. Segue una serie
di notizie piuttosto frammentarie tra le quali risulta interessante un’omelia del 944 attribuita a Costantino
VII di Bisanzio, co-imperatore di Costantinopoli
(odierna Istanbul, Turchia), in cui si descrive un
volto come dovuto a “una secrezione liquida senza materia colorante né arte pittorica“.
La storia diviene certa quando la reliquia compare nel 1353 in Francia, a Lirey, in possesso
dell’ufficiale Geoffroy I di Charny (ca. 1305-1356),
signore della cittadina, il quale, il 20 giugno, donò
alla chiesa di Lirey, che egli stesso aveva fatto costruire, un lenzuolo che definì come la Sindone
che avvolse il corpo di Gesù.
E’:
Perché, SIGNORE, c’è tanto odio in questa terra?
Abbiamo, forse, dimenticato il tuo amore?
Siamo stati capaci di seminare solo zizzania.
Quando il sole sorge, la natura esulta: tutto è armonia!
Un canto innalziamo a te, SIGNORE, per
Avere il tuo perdono e il tuo sostegno.
Vincenza Calenne
Accademica Tiberina
continua a pag. 40
segue da pag. 39
Verso il 1415, il conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny, nipote di Goffredo
I, prende in consegna il lenzuolo per metterlo
al sicuro in occasione della guerra tra la Borgogna
e la Francia. Margherita si rifiuterà poi di restituirlo ai religiosi di Lirey reclamandone la proprietà. Ne nacque una disputa che si protrasse per molti anni. Finché, nel 1453, Margherita
vendette la Sindone ad Anna di Lusignano, consorte del duca Ludovico di Savoia (1413-1465).
I Savoia conservarono la Sindone nella loro capitale, Chambéry, dove nel 1502 fecero costruire appositamente una cappella e nel 1506 ottennero da papa Giulio II (1443-1513) l’autorizzazione al culto pubblico. La notte tra il 3 e il 4
dicembre 1532, la cappella dove si trovava la
Sindone s’incendiò. A stento venne portato in salvo il reliquiario d’argento, già avvolto dalle fiamme, in
cui era custodita. Alcune gocce d’argento fuso caddero sul lenzuolo bruciandolo in più punti. Quando la Sindone
venne esposta pubblicamente nel
1534 presentava le caratteristiche
bruciature che vediamo oggi.
Nel 1535 il ducato di Savoia entra
in guerra contro la Francia: il duca
Carlo III il Buono (1486-1553)
lasciare Chambéry portando con sé
la Sindone. Negli anni successivi il
lenzuolo soggiorna a Torino, Vercelli
e Nizza per poi far ritorno a
Chambéry nel 1560 con il duca
Emanuele Filiberto I di Savoia detto Testa di Ferro (1528-1580), successore di Carlo III.
Nel 1562, i Savoia trasferirono la capitale del ducato da Chambéry a Torino.
Nel 1578, san Carlo Borromeo (15381584), arcivescovo di Milano, volle sciogliere il voto, fatto durante gli
anni della peste, di recarsi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone.
Emanuele Filiberto ordinò quindi, per
abbreviare il cammino del religioso, di trasferire la reliquia a Torino
che ne diverrà la sede definitiva.
Dal 16 giugno 1706, con l’assedio
di Torino da parte dei francesi di Luigi
XIV detto il Re Sole (1638-1715),
inizierà per la Sindone un’autentica odissea con il duca Vittorio Amedeo
II di Savoia, detto la Volpe Savoiarda
(1666-1732) il quale, per evitare che
finisse nelle mani dei soldati d’oltralpe, fece in
modo che essa soggiornasse per breve tempo
in numerose località piemontesi e liguri, in alcune delle quali, nonostante la segretezza del viaggio, fu accolta con tripudio, raggiunte via terra
e via mare fino a che, terminato l’assedio francese, il 2 ottobre la Sindone fu riportata a Torino,
da dove sarà spostata solo un’altra volta, nel
1939, per l’imminente inizio della Seconda guerra mondiale: venne nascosta a Mercogliano (Avellino),
nel santuario di Montevergine, dove rimase fino
al 1946.
Fu durante l’ostensione del 1898 che, con il consenso del re d’Italia Umberto I di Savoia (18441900), la Sindone, venne fotografata per la prima ad opera di Secondo Pia. Sarà fotografata
per la seconda volta solo nel 1931 dal fotografo Giuseppe Enrie (1886-1961).
Una campagna di studi particolarmente approfonditi si svolse nel 1978, con la Sindone che
per cinque giorni venne esaminata da due gruppi di studiosi, uno statunitense (lo STURP - Shroud
of Turin Research Project) e uno italiano, con
scienziati di varie fedi religiose. Scoprirono, tra
l’altro, che l’immagine corporea si è formata successivamente alle macchie ematiche. Essa è dovuta ad un’ossidazione-disidratazione della cellulosa
delle fibre superficiali del tessuto, per una profondità di circa 40 micrometri.
Nel 1983 muore Umberto II di Savoia (1904-1983),
ultimo re d’Italia: nel suo testamento egli lascia
la Sindone in eredità alla Chiesa e Papa Giovanni
Paolo II (1920-2005) stabilì che rimanesse a Torino,
nominandone custode l’arcivescovo della città.
È conservata nella Cappella Reale del Duomo
di Torino. È in posizione distesa, piana e orizzontale, con l’immagine frontale a sinistra di chi
osserva, all’interno di una teca a tenuta stagna,
in assenza di aria e in presenza di un gas inerte, a proteggerla dal degrado, fornito costantemente da un sistema computerizzato.
Il corpo metallico della teca è stato realizzato
in una lega utilizzata in aeronautica, la superficie superiore è costituita da un cristallo multistrato di sicurezza. Storia avvincente, quella della Sindone, che attraversa due millenni le cui
tracce, nonostante le congetture, si perdono con
la menzione nei Vangeli per ritrovarle solo nel
1353. Si è cercato di ovviare al grande vuoto
storico-temporale con innumerevoli ricerche a
cui, in sostanza, non c’è branca dello scibile umano che non vi abbia concorso, essendo stata
soggetta a studi teologici, scientifici, umanistici e tecnologici. Tutto volto al tentativo di conoscere con certezza l’origine di quell’impronta, il
che sottolinea l’enorme valore che ha per l’Umanità
ciò che si pensa possa essere. Forse, quando
per capire qualcosa si è tentato e ritentato di
tutto senza addivenire alla soluzione, potrebbe
essere il caso di fermarsi e, sgomberata la mente da ogni pregiudizio, osservare ascoltando solo
le proprie sensazioni.
Quando vogliamo, la Sindone è lì, in migliaia di
immagini, persino in 3D, reperibili ovunque. Al
di là delle ferite compatibili con la crocifissione
di Gesù rappresentata nei Vangeli, vi è quel volto; un volto dall’espressione
compassata, nonostante le indicibili sofferenze subite da quell’uomo prima di morire, con i tessuti affatto rilassati: il volto di un
uomo che pare debba svegliarsi e alzarsi.
Dalle ipotesi di formazione dell’impronta si escludono pitture ed
unguenti, anche perché, una volta disteso il lenzuolo, l’immagine sarebbe risultata allargata e
non come fotografata, come
invece sembra, soprattutto nel negativo fotografico, con finanche i capelli e i peli della barba alquanto distinguibili. Ci si chiede anche come
sia potuto giungere fino a noi un
reperto tanto fragile, che non ha
atteso la sua scoperta chiuso e
immobile per secoli in un luogo,
come accaduto, per esempio, alle
bende nelle tombe dell’antico Egitto.
Un lenzuolo che ha vissuto
eventi e subito vicissitudini e passaggi di mano, pur considerandone solo la storia certa. E la preoccupazione e la tenacia nel preservarlo dai pericoli, anche solo
eventuali, da parte di chi l’ha posseduto, scaturivano da un prospettiva di guadagno o da una
sorta di valore di status symbol
attribuitogli in qualche salotto nobiliare? Diciamo che non si sa. Che
forse il trascendente esiste ed è
tra noi e che in esso la sensazione può andare più lontano della ragione.
“...correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende giacenti,
ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro
che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le
bende giacenti, e il sudario, che gli era stato posto
sul capo, non giacente con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.” (Giovanni 20: 4-8).
Nell’immagine:
Sacra Sindone (Gesù coperto dal Sudario),
illustrazione di Giulio Clovio.