Relazione - Università degli Studi Roma Tre

È un piacere cogliere l'occasione di questa giornata per dare voce agli studenti e
soprattutto farla ascoltare a quanti sono capaci di incidere nelle decisioni sulla
didattica di Ateneo.
E lo è ancor di più perché l'Ateneo, a breve, sarà chiamato a definire gli
obiettivi strategici del prossimo triennio.
Concedetemi di trasmettervi delle riflessioni (prima – brevemente – più generali
e poi nello specifico sulla didattica “in concreto”) che nascono dall'esperienza
maturata nell'Ateneo, sia come rappresentante componente del Nucleo di
Valutazione sia come studente e quindi parte – come dire, in ascolto costante di quella platea che sono gli iscritti di Roma Tre.
Spesso l'ipertrofia degli adempimenti burocratici che colpisce gli organi
collegiali ad ogni livello, dai consigli dipartimentali in su fino al Senato
Accademico, porta in qualche modo ad offuscare una riflessione generale sulla
didattica e sui mutamenti che l'hanno coinvolta in passato e la coinvolgono
tutt'oggi.
Cosa è la didattica e come si valuta? E' possibile disegnare un modello di
riferimento?
Forse è necessario maturare la convinzione che non esistono procedimenti
validi sempre e ovunque e che, pertanto, l'immagine classica di un insieme di
regole metodologiche in grado di guidare i processi acquisitivi deve
considerarsi tramontata.
Allo stesso tempo la fenomenologia educativa si legge sempre più spesso in
chiave statistica, descrittiva: una ricomposizione solo apparente, che non nasce
perciò dalla comprensione di nessi profondi. La statistica, dunque, può portare
alla esaltazione di effetti parziali dell'educazione, eludendo connessioni e
reciprocità.
Uno degli aspetti da valorizzare nel tentativo di recupero di queste connessioni
profonde è sicuramente la dimensione emotivo-relazionale della didattica. Il
rapporto studente-docente.
Nel bene o nel male, che ci piaccia o no, gli studenti che oggi frequentano le
aule universitarie hanno molto poco in comune con la generazione dei propri
genitori. Da una parte, infatti, non possono contare sulle tradizionali cinghie di
trasmissione dei valori: famiglie sempre più instabili, scuole e università
rimaste, diciamo, mono-mediali in un'epoca di multimedialità dilagante,
ideologie e tradizioni in caduta libera.
A partire dagli anni settanta una massiccia iniezione di tecnologia
dell'informazione e della comunicazione ha sovvertito i rapporti di forza tra le
generazioni. Fino a quell'epoca la generazione della nostra età era priva di
autorità, aveva tutto da imparare.
A partire da allora sono stati trasferiti alla nostra generazione gli scettri del
nuovo potere: il telecomando, la tastiera, lo smartphone.
Il principio di anzianità è apparso ribaltato.
Sono saltati, inoltre, i codici di comunicazione che avevano reso possibile in
passato tali processi. La generazione cresciuta all'interno di questa piattaforma
tecnologica multimediale ha sistemi di elaborazione del pensiero diversi da
quelli dei loro predecessori.
Di conseguenza, anche chi ha voluto proseguire lo sforzo di insegnamento e di
formazione, si è trovato spesso sprovvisto dei codici di base per comunicare
efficacemente con questa generazione.
A strumenti di trasmissione del sapere, come la famiglia, la scuola o la politica,
si sono – quindi - sostituiti strumenti neutrali (internet, la televisione) che hanno
concorso a rafforzare l'individualizzazione dei percorsi cognitivi.
Con quanto detto, non si intende che la didattica cosiddetta frontale sia
prossima a un punto di arrivo; significa, piuttosto, che la didattica
contemporanea debba decisamente mutare obiettivo.
La didattica dovrà, sempre più, intendersi non come trasmissione di un
sapere compiuto, ma come educazione alla ricerca, cioè acquisizione di un
ambito di riflessione e di una capacità di dialogare.
Il mio, il nostro parere è che la parole d'ordine sia contaminazione
Cioè costruire una didattica che rifugga la logica di un arroccamento –
come dire, nostalgico, di nicchia – fondato sul modello di didattica frontale,
docente-platea e, piuttosto, che si lasci attraversare dalle contaminazioni con
gli studenti, con la tecnologia, con le realtà oltre i confini.
Lasciando questa riflessione a chi più di me, presente in quest'aula, ha gli
strumenti, guarderei invece più a noi, al nostro Ateneo, con una attenzione
specifica a quei criteri.
La partecipazione degli studenti è sicuramente il principale strumento per
migliorare la didattica.
Fino a meno di due anni fa nel Nucleo non sedevano Studenti, oggi la nostra
presenza garantisce un confronto immediato su alcune tematiche.
Ma non solo la partecipazione della rappresentanza è importante: occorre
stimolare la partecipazione dei singoli.
Come farlo? Sicuramente valorizzando i questionari di valutazione degli
insegnamenti.
Grazie a un attento lavoro congiunto si è arrivati a un ottimo equilibrio sulle
modalità di diffusione dei risultati dei cd. questionari studenti. Si è raggiunto un
ottimo equilibrio, ma il nostro augurio è che in questi due anni di
sperimentazione maturi la convinzione che è necessaria una ulteriore apertura.
Ma attenzione: non vuole essere una logica di controllo o di tipo sanzionatorio!
È, visto che parliamo di valutazione, una vera e propria questione di garanzia
del risultato: lo studente, non avendo accesso al risultato finale, non è messo
nelle condizioni di percepire il peso di quella goccia che costituirà un mare;
finirà per percepire la compilazione di quel questionario come una vessazione
burocratica, e lo compilerà con parimenti attenzione. Bisogna valorizzare il suo
contributo. Ad esempio inviandogli per email quel solo risultato.
Per quanto attiene la soddisfazione, nella Relazione Didattica uscita pochi
giorni fa, emerge come il grado di soddisfazione negli ultimi cinque anni è
rimasto fermo tra il 92 e 93%. Forse sarebbe opportuno innalzare, come nella
relazione è stato espresso, il grado di soddisfazione da 6 a 7 (significa passare
dal “più si che no” al “decisamente sì”).
È importante anche ai fini del fondo di incentivazione interno all'Ateneo redatto
dal CdA, che oggi è marginale ma nel tempo andrà a crescere.
Inoltre, estendiamo una valutazione attenta del singolo insegnamento agli
studenti Erasmus! Facciamoci valutare anche da chi viene: non soltanto
attraverso la generale relazione Erasmus ma anche attraverso le singole
valutazioni da raccogliere in un Rapporto. Potremmo imparare molto e credo
sia fondamentale avere un feedback su come la nostra didattica è percepita da
uno studente che viene da un altra realtà.
Per quanto attiene l'internazionalizzazione
Necessario stimolare la contaminazione con le realtà oltre i confini.
Vantiamo la migliore internazionalizzazione della Capitale. E lo facciamo con
una maggiore vitalità rispetto agli altri Atenei: nessun altro Ateneo a noi vicino
riesce a toccare tutti i continenti.
Tuttavia permetteteci di sollevare sul tema una osservazione di metodo: nel
momento in cui si aderisce come Ateneo al programma Erasmus bisognerebbe
essere capaci di trovare quella elasticità necessaria per comprendere che non
esiste vera contaminazione senza piccole “cessioni di sovranità” sulla
programmazione didattica.
Troppe difficoltà, ancora, sussistono sul riconoscimento delle attività sostenute
all'estero.
In merito a ciò, abbiamo trovato accoglienza e disponibilità da parte del
Prorettore e siamo anche consapevoli che è uno degli obiettivi che l'Ateneo si
sta dando sulla Didattica.
Ci auguriamo di trovare contestuali aperture di spiragli dal basso:
l'appello è ai singoli dipartimenti e docenti, perché è solo a livello periferico che
si potrà trovare risposta. Diversamente, il rischio è consegnare agli studenti una
scatola vuota.
Anche questa è una constatazione che esce dai dati che abbiamo raccolto in
seno al Nucleo:
C'è troppa disomogeneità tra Dipartimenti (Architettura 3%).
Ma soprattutto c'è una forbice di CFU acquisiti, una parte sarà fisiologica ma
non la totalità.
Abbiamo visto proliferare corsi in lingua nell'Ateneo e questo è veramente un
ottimo segnale che ci differenzia da altri Atenei della capitale.
Usufruire dei visiting professors non come risorsa una tantum, ma inserirli in
una programmazione strategica, ma questo del resto mi sembra l'indirizzo
dell'Ateneo. E ora si potrà fare grazie a una quota anche qui prevista dal fondo
interno di incentivazione.
Una nota dolente: sarebbe auspicabile vedere in seno al Nucleo meno procedure
di “alta qualificazione” per soggetti contigui alle realtà dipartimentali a favore
di soggetti che veramente possono offrire una contaminazione della didattica.
DIDATTICA IMPRONTATA ALLE ESIGENZE DEL MONDO DEL
LAVORO
Attenzione: non sto parlando di job placement, ma di Didattica finalizzata
all'apprendimento di competenze che sono tipiche del mondo del lavoro.
Su questo l'Ateneo bisogna dire è molto molto soddisfacente.
Ci sono straordinarie esperienze dell'imparare facendo. Straordinaria anche
l'esperienza della Solar Decathlon, perché anche quello è avvicinamento al
mondo del lavoro. Dalla totalità dei dipartimenti ci arrivano segnali.
Sicuramente la didattica dell'imparare facendo non basta, serve una connessione
vera e concreta col mondo del lavoro. Sempre più ci troviamo a competere con
Atenei privati che da questo punto di vista offrono servizi. Però appunto si può
dire di essere molto soddisfatti.
VALORIZZARE L'ESISTENTE
C'è un carico di studenti per docente superiore alla media nazionale, circa 1 a
40. Non crediamo sia un dato allarmante, pensiamo che esso si possa ben
sopportare e che anzi sussista la necessità di rivalorizzare e vitalizzare
l'esistente. Oggi più che mai è necessario rafforzare tutto il sistema di supporto
alla Didattica.
Abbiamo visto che il meccanismo del Costo Standard per studente non tiene
conto dei fuori corso: sono invisibili. Ed è estremamente importante qui
ricordare la definizione di fuori corso! Fuori corso è lo studente che è iscritto in
un anno successivo alla naturale durata del corso di laurea. Egli oramai è perso,
ciò che si può fare – e si deve (!) fare – è piuttosto concentrarsi affinché gli
studenti che sembrano in difficoltà non sforino!
Come si fa? Con il supporto alla didattica. Significa rafforzare i ricevimenti,
aumentare le borse di tutoraggio e innescare una didattica di supporto:
esercitazioni, prove intermedie anche non valutative e così via.
È importante non solo come obbligo morale ma perchè i criteri di
incentivazione adottati sempre al nostro interno vi prestano attenzione: il
rapporto dei CFU acquisiti su CFU teorici, la capacità attrattiva di studenti di
altri atenei.
Questi criteri premieranno i dipartimenti attenti nel garantire un rapporto di
qualità con lo studente.
Supporto alla didattica è anche DIDATTICA INNOVATIVA...
DIDATTICA INNOVATIVA ed E-LEARNING, DIDATTICA AMICA
L'E-Learning è uno strumento che dobbiamo sviluppare e con piacere
raccogliamo la notizia che l'Ateneo sta lavorando per sviluppare questo aspetto.
Non dobbiamo pensare che università telematica sia un qualcosa di negativo.
Dobbiamo ripensare questo stereotipo e dimostrare che significa didattica
integrativa e – appunto – supporto alla Didattica. Gli studenti part time
potrebbero godere molto di questo tipo di servizio.
La tecnologia può anche essere lo strumento di supporto a ragazzi più
svantaggiati, con disabilità.
Nel 2010 il Nucleo ha condotto una Relazione sui servizi dedicati agli studenti
disabili. Grande soddisfazione per i servizi logistici e di accoglienza, tuttavia
qualche debolezza emergeva sul supporto alla Didattica.
Forse come Ateneo potremmo riavviare una indagine in questo senso per capire
a che punto siamo. È sicuramente un tipo di valutazione estremamente
complessa da portare a compimento ma è una realtà di cui troppo spesso non si
occupa persino la rappresentanza studentesca.
Su molte cose ho espresso soddisfazione su altre l'indirizzo per una nota di
miglioramento. Questo del resto è il compito di una seria rappresentanza
studentesca.
Se sapremo temperare con misure e competenze interne un sistema calato
dall'alto, che sembrerebbe tendere ad una marginalizzazione della didattica, e
quindi
continuare nell'opera di contaminazione nel senso che si è detto,
potremmo a ben ragione dire nel nostro piccolo di non aver realizzato quel
“diplomificio” o peggio “parcheggio di una generazione” di cui già allarmava
Francesco Alberoni già negli anni settanta.
Siamo certamente sulla buona strada.
Il nostro augurio è che si possa, insieme, continuare a percorrerla.