N. 02772/2015 REG.PROV.COLL. N. 03618/2014 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3618 del 2014, proposto da: Telecom Italia s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Clarizia, Mario Siragusa, Francesco Cardarelli, Filippo Lattanzi, Marco D'Ostuni, con domicilio eletto presso lo studio LCA in Roma, via G.P. da Palestrina, n.47; contro Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12; nei confronti di Wind Telecomunicazioni s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Gian Michele Roberti, Isabella Perego, Marco Serpone, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Foro Traiano, n.1/A; Fastweb s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Guarino, Elenia Cerchi, presso lo studio dei quali elettivamente domicilia in Roma, piazza Borghese, n.3; Vodafone Omnitel B.V., rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio Cintioli, Giuseppe Lo Pinto, Dario Ruggiero, presso lo studio dei quali domicilia in Roma, via Vittoria Colonna, n.32; Associazione Italiana Internet Provider - AIIP, rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Valli, Marco Costantino Macchia, Giulia Toraldo Serra, con domicilio eletto presso lo studio Valli, Mancuso & Associati in Roma, via del Governo Vecchio, n.20; Tiscali Italia s.p.a.; Welcome Italia s.p.a.; Clouditalia Communications s.p.a.; BT Italia s.p.a.; per l'annullamento della delibera dell’Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni n. 746/2013/Cons, recante approvazione delle condizioni economiche e tecniche della OIR di Telecom per l'anno 2013 relativa ai servizi bitstream su rete in rame, nella parte in cui: - all'art. 2, obbliga la Telecom a riformulare le condizioni tecniche ed economiche dell'offerta di riferimento (OR) per il 2013, imponendo significative riduzioni dei prezzi dei servizi; - all'art. 3, prevede che dal 1° gennaio 2013 si applichino le nuove condizioni economiche approvate per le OR 2013, nonchè di tutti gli atti connessi, correlati, presupposti o successivi, ivi incluse la delibera n. 747/13/Cons e la comunicazione della decisione finale e giustificazione motivata del 10 gennaio 2014 ex artt. 12bis d.lgs. 259/2003, Codice delle comunicazioni elettroniche (CCE), e 7-bis, direttiva 2002/21/CE, c.d. Quadro. Visto il ricorso; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Wind Telecomunicazioni s.p.a.; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Fastweb s.p.a.; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Vodafone Omnitel B.V.; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Associazione Italiana Internet Provider – AIIP; Visto il ricorso incidentale proposto da Fastweb s.p.a.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 19 novembre 2014 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. FATTO 1. Con l’odierno gravame Telecom Italia s.p.a. ha esposto: - che i servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom, che consentono agli altri operatori (OLO) di offrire al pubblico servizi di telefonia vocale e trasmissione dati, includono l’“unbundling del local loop - ULL” (accesso disaggregato all’ultimo miglio della rete, ove Telecom connette le centrali telefoniche agli utenti finali), il “wholesale line rental - WLR (noleggio all’ingrosso di un’intera linea per uso fonia), il “wholesale bitstream access - WBA (fornitura al’ingrosso di capacità di trasmissione dati a banda larga tra la postazione dell’utente e la rete dell’OLO, per le aree o linee non servite da ULL), il “subloop unbundling - SLU (che consente agli OLO di connettere la rete in fibra ottica all’armadio di distribuzione di Telecom per offrire servizi di trasmissione dati a elevata velocità; - che l’art. 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche consente all’Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni di imporre tariffe orientate al costo, in base a un’analisi di mercato; - che, a conclusione della precedente analisi, con delibera 731/09/Cons, siccome integrata dalla delibera 578/10/Cons, sono stati definiti gli obblighi e i prezzi di servizi dei suddetti servizi, anche al fine di incentivare gli OLO a sviluppare proprie reti, secondo un modello tariffario a costi incrementali di lungo periodo, basato non sui costi storici, effettivamente sostenuti dall’impresa dominante, bensì sui costi teorici riconducibili a una ipotetica rete nuova ed efficiente e pertanto ottimizzata nei costi; - che una delle voci di costo dei servizi WBA è il canone mensile ULL, per calcolare il quale viene in rilievo, principalmente, il costo del capitale (WACC), rappresentato dal tasso minimo di rendimento degli investimenti, moltiplicato per il capitale impiegato, costituente la misura minima del ragionevole margine di profitto sugli investimenti che l’Autorità deve garantire; - che con delibere nn. 731/09/Cons e 578/10/Cons è stato disciplinato il triennio 2010-2012; - che con delibera n. 390/12/Cons è stata avviata la nuova analisi di mercato; - che con delibera n. 476/12/Cons l’Autorità ha stabilito di applicare interinalmente, fino alla conclusione dell’analisi di mercato, i prezzi 2012, mentre le nuove condizioni economiche avrebbero avuto efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2013; - che con delibera immediatamente successiva n. 642/12/Cons l’Autorità, nell’ambito dell’approvazione dell’offerta di riferimento - OR di Telecom, ha avviato invece una consultazione pubblica per fissare i prezzi dei servizi WBA 2013, senza analisi di mercato, proponendo la conferma dello stesso WACC applicato nel 2010 (9,36%); - che Telecom in sede di consultazione pubblica ha formulato rilievi avverso siffatta proposta; - che la delibera n. 238/13/Cons ha pubblicato lo schema di conclusione della nuova analisi di mercato per il triennio 2014/2016, proponendo un valore del WACC molto più alto (10,40%); - che, per l’effetto, in due procedimenti distinti, ma correlati, sono stati indicati due diversi WACC; - che, conclusasi la consultazione pubblica sulle OR 2013, gli schemi di provvedimento applicati per i servizi ULL e WBA hanno fissato il WACC a 9,36; - che, infine, con la gravata delibera 746/13/Cons, l’Autorità ha applicato al WBA il medesimo WACC stabilito nella delibera n. 747/13/Cons per i servizi ULL, non aggiornandolo bensì confermandone il valore fissato nel 2010 (9,36%). Tanto illustrato, Telecom ha lamentato che il mancato aggiornamento del WACC determina una pesante sottostima dei prezzi 2013, con impatto specifico pari a circa 110 milioni di euro su base annua rispetto al 2012 e con impatto complessivo ben più grave, considerato che le tariffe 2013 costituiranno il valore di riferimento per quelle del triennio 2014-2016, rendendo non profittevoli gli investimenti di Telecom e pregiudicando lo sviluppo delle reti a banda ultra larga. Ha rappresentato Telecom che la determinazione di non aggiornare il WACC ha formato oggetto di pesanti rilievi di incompatibilità con il diritto dell’Unione da parte della Commissione europea, di cui alla lettera di seri dubbi 12 agosto 2013, la maggior parte dei quali confermati nella raccomandazione finale 11 dicembre 2013. L’Autorità avrebbe di fatto ignorato tali rilievi. Anche il BEREC (organismo consultivo che riunisce i rappresentanti dei regolatori nazionali), pur ritenendo legittime le proposte dell’Autorità, l’avrebbe invitata a fornire ulteriori chiarimenti. Telecom ha indi formulato avverso tale determinazione le seguenti censure. 1) Sul WACC. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12-bis del Codice delle comunicazioni elettroniche e ob relationem dell’art. 7-bis della Direttiva quadro – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà manifesta, difetto di motivazione, motivazione apparente, elusione della raccomandazione, sviamento. L’impugnata delibera n. 746, che estende ai servizi WBA il medesimo WACC stabilito dalla delibera n. 747 per i servizi ULL (autonomamente gravata da Telecom innanzi a questo Tribunale: N.R.G. 3547/2014), sarebbe affetta da molteplici illegittimità. L’Autorità, in assenza dell’approfondita istruttoria necessaria per modificare o imporre misure regolamentari nel settore, avrebbe modificato in distinti procedimenti il valore del WACC, vieppiù senza recepire i rilievi della Commissione, e anzi eludendone la raccomandazione, al solo fine di confermare ex post per l’OR 2013 il valore, non più attuale, fissato per il 2010. Lo stesso procedimento (tortuoso) di approvazione della delibera n. 747 precedentemente descritto (introduzione di misure transitorie di proroga dei prezzi dell’OR 2012 nel prolungarsi dell’analisi di mercato e previsione di futura efficacia retroattiva dei prezzi dell’OR 2013, ad analisi completata; successiva fissazione di tariffe 2013 nel procedimento di approvazione dell’OR 2013 senza analisi di mercato; pubblicazione degli schemi di provvedimento recante i preliminari esiti dell’analisi di mercato) farebbe emergere la conduzione di due procedimenti paralleli riguardanti in parte lo stesso oggetto, ovvero il WACC, e la perplessità delle scelte ivi compiute: analisi di mercato, con l’individuazione nell’aprile 2013 di un WACC pari a 10,40; approvazione dell’OR 2013 nel marzo 2013 per i servizi ULL, con la proposta di un WACC pari a 9,83; infine, nel luglio 2013, in sede di notifica alla Commissione per l’OR 2013 dei servizi ULL, indicazione di un WACC ancora più basso, pari al 2010 (9,36%), poi definitivamente confermato nel dicembre successivo. Il tutto corredato da motivazioni contraddittorie e incomprensibili, che attesterebbero che la scelta finale non sarebbe stata preceduta da alcuna istruttoria, come dimostrerebbe anche il brevissimo periodo (8 giorni) intercorso tra la raccomandazione della Commissione e l’adozione della gravata delibera. L’Autorità avrebbe disatteso gli oneri necessariamente discendenti dall’art. 7-bis della Direttiva quadro e dall’12-bis del Codice per l’ipotesi di rilievi della Commissione (in stretta alternativa: modifica del provvedimento notificato con recepimento dei rilievi; conferma del provvedimento notificato con effettiva, motivata giustificazione; ritiro del provvedimento notificato e svolgimento di nuova istruttoria). 2) Sull’inadeguatezza del WACC. Violazione e falsa applicazione degli artt. 12-bis, 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche e ob relationem degli artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e sviamento. La Commissione, fornendo un’autorevole interpretazione della Direttiva quadro – dalla quale l’Autorità e i giudici nazionali non dovrebbero discostarsi – avrebbe affermato che il valore del WACC stabilito per il 2010 non garantirebbe a Telecom il ristoro dei costi sostenuti nel 2012 per offrire servizi nel 2013, ovvero il “ragionevole margine di profitto sul capitale investito…con all’occorrenza un adeguamento”, funzionale alla proporzionalità della regolamentazione e alla promozione della concorrenza basata sugli investimenti infrastrutturali, come da Trattato. Quindi anche la Commissione riterrebbe irragionevole il WACC fissato dall’Autorità, perché non garantirebbe all’operatore dominate un sufficiente margine di profitto nel tempo sugli investimenti e non garantirebbe l’invio di adeguati segnali di prezzo agli operatori alternativi, scoraggiandoli dall’effettuazione di investimenti, a scapito del mercato. Le motivazioni addotte dall’Autorità per confermare il WACC 2010 sarebbero apparenti e insufficienti. Quanto all’affermazione dell’Autorità inerente la menzionata singolarità della specifica congiuntura economica (crisi del debito sovrano), con conseguente mancata utilizzazione dei valori rappresentativi della crisi, essa sarebbe argomentazione confessoria, pregiudiziale e apodittica, anche laddove non terrebbe conto, nei confronti degli operatori di comunicazioni elettroniche, proprio degli effetti della stretta creditizia, vieppiù aggravatasi all’atto dell’adozione della delibera, tant’è che nel 2013 le banche di investimento hanno attribuito a Telecom un WACC ben più elevato, derivante dall’instabilità finanziaria e dalla rischiosità degli investimenti nel Paese. E l’Autorità non avrebbe potuto ignorare queste circostanze, alla luce delle direttive BEREC che raccomanderebbero di stimare il costo del capitale di impresa osservando le stime delle agenzie di rating e dell’evidente effetto della crisi economica di rendere più rischiosi, e quindi più cari, gli investimenti. Inoltre, le previsioni negative degli investitori non sarebbero terminate nel 2013. Con la conseguenza che per garantire il pieno ristoro dei costi sostenuti da Telecom il WACC avrebbe dovuto essere adeguato al costo del capitale effettivamente sopportato, senza obliare gli effetti dell’aggravamento della crisi economica, di cui, vieppiù, il WACC 2010 non poteva tenere alcun conto. Quanto alla distanza tra il WACC approvato e quello, superiore, dei Paesi con difficoltà simili (ambito cd. “PIIGS”), la delibera non conterrebbe alcuna giustificazione. Il WACC approvato sarebbe inferiore anche a quello applicato in altri Stati europei L’Autorità non avrebbe pertanto fornito alcuna motivata giustificazione per discostarsi dalla raccomandazione della Commissione, la quale, inoltre, interpreterebbe norme vincolanti per il regolatore nazionale. Conseguentemente, la direttiva impugnata violerebbe palesemente il diritto europeo. 3) Sull’errore metodologico. Incoerenza e incertezza metodologica. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12-bis, 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche, degli artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza/perplessità di motivazione, nonché per violazione del contraddittorio – Violazione del principio di certezza regolamentare. I due diversi valori di WACC stabiliti nella delibera gravata e nella coeva analisi di mercato violerebbero le norme e i principi epigrafati in tema di chiarezza del quadro regolatorio degli investimenti e dei prezzi. Né potrebbe invocarsi, come ha fatto l’Autorità, la diversità delle metodologie utilizzate, funzionali a diversi obiettivi temporali (ovvero stima storica per l’aggiornamento del WACC per il 2013 e stima prospettica ovvero “forward looking” per la determinazione del WACC da applicare nel periodo 2014/2016), in quanto tale utilizzo violerebbe comunque il principio di prevedibilità e stabilità regolamentare sotto i profili: dell’ingiustificatezza del ricorso a due diversi metodi, che inserirebbe una cesura tra due periodi di mercato; della circostanza che le tariffe 2013 costituirebbero l’attuazione dell’analisi di mercato; dell’ulteriore circostanza che il WACC regolamentare, destinato comunque ad approvare tariffe prima della loro applicazione temporale, non potrebbe che essere “forward looking”; dell’insuscettibilità della stima storica applicata in prossimità della crisi economica di riflettere le reali condizioni finanziarie nel successivo periodo. In ogni caso, infine, il WACC 2013 sarebbe suscettibile di influenzare anche le tariffe applicate nel periodo coperto dalla nuova analisi di mercato, costituendone la base di partenza. 4) Sull’erroneità dei singoli parametri che costituiscono il WACC. Sottostima dell’RFR. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12-bis, 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche e artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, violazione del contraddittorio procedimentale. Come sostenuto anche dalla Commissione, sarebbero stati sottovalutati alcuni componenti che concorrono a determinare il WACC. In particolare, quanto al “risk free rate – RFR” (rendimento atteso dai titoli pubblici a lungo termine), l’Autorità avrebbe utilizzato una metodologia erronea (media quinquennale dei valori RFR registrati nel periodo 2009-2013), diversa da quella sempre utilizzata (media annuale), che contraddirebbe la stessa logica del WACC e sarebbe finalizzata a celare gli effetti della crisi, attutendo l’incidenza dei più alti valori del periodo 2011-2012. 5) Sulla sottostima dell’ “ERP” e del “Beta”. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12-bis, 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche, degli artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro e del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione e violazione del contraddittorio procedimentale. Anche l’“equity risk premium – ERP” (rendimento aggiuntivo richiesto per l’investimento in titoli azionari anziché in titoli pubblici), fissato al 3,4%, con notevole riduzione rispetto al 4,5% stabilito nel 2010, sarebbe stato sottostimato, nonostante l’imperversare della crisi, con l’intrinseca rischiosità della scelta di investire in borsa. La scelta sarebbe del tutto irragionevole, anche tenendo conto della richiesta della Commissione di rivedere l’ERP al rialzo, allineandolo almeno alla media europea (5,56%). L’artificioso risultato sarebbe stato raggiunto mediante l’uso di uno studio (“DMS”) basato sulla serie storica degli ultimi 100 anni, che fornisce due diversi valori ERP, nell’ambito dei quali l’Autorità ha privilegiato (anziché quello più alto, fondato sulla media aritmetica) quello più basso, stimato in base alla media geometrica, notoriamente ritenuto inaffidabile e privo di capacità predittiva, soprattutto se applicato dopo un periodo di crisi epocale, in cui perviene al risultato paradossale di ritenere che il rischio di investimento diminuisca. La prassi economica e il buon senso avrebbero richiesto almeno di confrontare altre fonti, esistenti e attendibili. Risulterebbe sottostimato anche il “Beta” (fattore correttivo rappresentativo della specifica rischiosità degli investimenti azionari in imprese attive nella telefonia fissa rispetto ad altri settori economici), rapportato al medesimo valore di 0,85 stabilito nel 2010, ritenendo irragionevolmente che gli investimenti nel settore non sano divenuti più rischiosi. 6) Sul “tax rate”. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12-bis, 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche e artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione. Sarebbe stato ridotto anche l’ulteriore parametro del “tax rate” (che consente di computare nel costo del capitale anche il costo derivante dalla pressione fiscale sostenuta dalle imprese), ragguagliato al 36%, a fronte del 37% del WACC 2010-2012 e del WACC 2014-2016, come se, contrariamente al vero, la pressione fiscale si fosse ridotta, e solo nel 2013. La determinazione sarebbe stata assunta sulla base di una previsione ottimistica basata sullo scudo fiscale 2013, contenuta nel decreto c.d. “salva Italia”, puramente illusoria, e determinerebbe un andamento altalenate del parametro, violativo della prevedibilità regolamentare. 7) Sull’errata stima del capitale di debito. Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12-bis, 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche e artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione. La gravata delibera sottostimerebbe anche l’ulteriore voce del WACC costituita dal costo del denaro preso a prestito, modificando illegittimamente la metodologia impiegata nella delibera n. 578/10/Cons (osservazione dei rendimenti effettivi delle obbligazioni emesse da Telecom sul mercato secondario). Il criterio ora impiegato (media del valore facciale - cedola - delle obbligazioni emesse da Telecom ancora in circolazione) sarebbe un evidente errore metodologico, perché basato su un valore storico e non effettivo, trattandosi dei titoli pluriennali già emessi, spesso risalenti, con valore dipendente dalle variazioni di prezzo, intervenute medio tempore nel mercato secondario. Tant’è che per l’RFR l’Autorità ha usato il valore effettivo dei titoli pubblici nazionali. Non sarebbero stati riscontrati i rilievi formulati dalla società avverso tale cambiamento metodologico. 8) Sulla sottostima del premio di infastrutturazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche e artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione. Il premio di infrastrutturazione, volto a remunerare il maggior rischio di investimento rispetto all’operatore che utilizza il WBA e a incentivare l’infrastrutturazione, equiparato al premio di rischio stabilito per gli investimenti sulle reti di nuova generazione e ragguagliato al 4%, come denunziato anche dalla raccomandazione della Commissione, immotivatamente disattesa, non riflettendo il rischio aggiuntivo specifico dei servizi erogati sulla rete tradizionale in rame, sarebbe troppo basso, arbitrario e non diversificherebbe gli operatori in base alle diverse scelte economiche effettuate. L’Autorità non spiegherebbe neanche se la percentuale adottata consenta di raggiungere l’obiettivo auspicato dell’incentivazione dell’infrastrutturazione da parte degli OLO mediante l’acquisto di servizi ULL. 9) Sulla sottostima del costo della manutenzione correttiva. Violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche e artt. 8 e 13 della Direttiva accesso, degli artt. 7-bis e 8 della Direttiva quadro, del titolo II del TFUE – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione e contraddittorietà. La delibera sottostimerebbe ancora il costo di riparazione dei guasti che occorrono sulle linee di accesso dei servizi WBA cd. “non condivisi”, “bitstream naked”, acquistati dagli OLO solo per erogare all’utenza accesso a internet in banda larga, notoriamente comportanti un tasso di guasti più elevato, per i quali aveva originariamente previsto una voce di costo aggiuntiva, relativa alla “manutenzione correttiva addizionale per dati”, da sommarsi al costo del servizio ULL per stabilire il valore del canone di “bitstream naked”. Nel prosieguo, sarebbero invece stati accolti i rilievi degli OLO, tendenti a considerare tale costo specifico già incluso nel costo di manutenzione correttiva per servizio dati, posizione acriticamente condivisa dall’Autorità. Si tratterebbe, invece, di costi addizionali di manutenzione, non coperti dal canone mensile che remunera il costo di manutenzione “a livello medio”. La previsione sarebbe pertanto suscettibile di penalizzare Telecom sulle linee “bitstream naked”, che hanno il costo di manutenzione più elevato, qualora gli OLO, a ciò incentivati dalla tariffa, acquistino questi ultimi servizi in luogo dell’ULL. 10) Sulla violazione delle regole procedimentali. Violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 45 e 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche – Eccesso di potere per sviamento, insufficienza e contraddittorietà della motivazione – Violazione del principio del legittimo affidamento. La delibera si porrebbe in contrasto con il quadro normativo e regolamentare sotto svariate e complementari angolazioni, in quanto: interverrebbe sugli obblighi tariffari al di fuori dell’indefettibile analisi di mercato, ove sono ammesse solo misure transitorie, che per giunta si era precedentemente vincolata ad attendere; si porrebbe in contrasto con i principi di certezza regolamentare e affidamento nelle determinazioni della delibera n. 476/12/Cons, che stabiliva di applicare interinalmente, ovvero fino alla conclusione dell’analisi di mercato, i prezzi 2012; imporrebbe illegittimamente l’applicazione di condizioni economiche, riduttive del canone mensile di servizio WBA, con efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2013, ciò che, tra altro, disconoscerebbe sostanzialmente la funzione sostanziale del sub procedimento svoltosi in sede comunitaria. Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico dell’atto gravato, parte ricorrente ne ha domandato l’annullamento. 2. Si è costituita in giudizio l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. L’Autorità, richiamando anche le difese svolte nell’autonomo ricorso N.R.G. 3547/2014 interposto da Telecom avverso la delibera 747/13/Cons [che, parimenti, ha confermato per i servizi ULL il valore del WACC fissato nel 2010 (9,36%)], ha concluso per il rigetto del ricorso, di cui ha illustrato partitamente l’infondatezza. 3. Si sono costituiti in giudizio al fine di contrastare l’azione impugnatoria di Telecom Fastweb s.p.a., Wind Telecomunicazioni s.p.a., Vodafone Omnitel B.V., l’Associazione Italiana Internet Provider – AIIP. 3.1. Fastweb ha assunto una duplice linea difensiva. Per un verso, ha prodotto nell’ambito della controversia in esame un ricorso “a valere, se del caso, come ricorso incidentale”, nei confronti della stessa delibera 746 qui in esame (e degli atti correlati, tra i quali la delibera 747, ivi richiamata per relationem), nella parte in cui determina in maniera eccessivamente elevata le componenti di costo sottese alla determinazione dei canoni e dei contributi. Inoltre, Fastweb ha rappresentato di aver a sua volta autonomamente impugnato innanzi a questo Tribunale, chiedendone l’annullamento, le stesse delibere gravate anche da Telecom, ovvero la n. 746, qui in esame (N.R.G. 3896/14), e la n. 747 (N.R.G. 3898/14), che, parimenti, ha confermato per i servizi ULL il valore del WACC fissato nel 2010 (9,36%), denunciando vizi di contenuto speculare e contrapposto rispetto a quelli dedotti da Telecom. Anche nel ricorso incidentale di cui sopra, proposto nell’odierna controversia – che riproduce il ricorso N.R.G. 3896/14 – Fastweb ha censurato la delibera 746 nella parte in cui determina in maniera eccessivamente elevata le componenti di costo sottese alla fissazione dei canoni e dei contributi per i servizi di accesso a banda larga all’ingrosso per il 2013. Per altro verso, Fastweb ha eccepito l’inammissibilità delle censure di Telecom che ritiene volte a contestare il merito delle scelte compiute dall’Autorità. In tale ambito, Fastweb ha sottolineato che l’andamento della regolazione del valore in contestazione, correttamente riguardato, non farebbe emergere le contraddittorietà denunziate dalla ricorrente, atteso che la delibera n. 238/13/Cons, che ha pubblicato lo schema di conclusione della nuova analisi di mercato per il triennio 2014/2016, proponendo un valore del WACC pari a 10,40%, sarebbe, appunto, uno schema di provvedimento e non un provvedimento definitivo, vieppiù nella diversa ottica prospettica dell’analisi di mercato con validità per il detto triennio. Confutate tutte le censure svolte da Telecom, e rappresentato come l’Autorità abbia validato la proprie determinazioni in risposta ai rilievi della Commissione, Fastweb ha concluso per il rigetto del ricorso Telecom perché infondato. 3.2. Wind e Vodafone, richiamando i più recenti indirizzi giurisprudenziali in tema di scrutinio di legittimità delle valutazioni tecniche delle autorità indipendenti (C. Stato, 4873/2012; 1837/2013; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1013) hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, laddove diretto, nell’ambito di un contesto caratterizzato da profili tecnici molto complessi, a sostituire le scelte metodologiche privilegiate dall’Autorità resistente nell’atto gravato con altre scelte del ventaglio di soluzioni possibili. Nel merito, Wind e Vodafone hanno rilevato entrambe come gran parte del ricorso poggi sui rilievi formulati dalla Commissione UE con la raccomandazione 11 dicembre 2013, per poi sostenere che tali rilievi, sia in forza di quanto previsto in via generale nel sistema delle fonti UE in relazione alle raccomandazioni (art. 288 TFUE), sia, specificamente nel procedimento in esame, sorretto dalle disposizioni di cui 7, 7-bis e 7-ter della Direttiva quadro, non abbiano valore vincolante, confluendo in una azione regolatoria complessivamente rimessa ad una platea di soggetti, autorità nazionali di regolazione (ANR), organismo europeo dei regolatori (BEREC), Commissione, che rende le valutazioni di quest’ultima sicuramente suscettibili di non essere recepite, laddove sussista una contraria motivazione coerente e logica dell’ANR, che esse ritengono inverata nella fattispecie alla luce sia delle posizioni (talvolta anche coincidenti con quelle della Commissione) assunte dall’Autorità, e della loro piena condivisione da parte del BEREC, cui le predette norme conferirebbero un ruolo centrale, sia della finale condivisione da parte della Commissione delle considerazioni dell’Autorità, manifestatasi anche mediante il mancato avvio di una procedura di infrazione ex art. 258 TFUE. Wind e Vodafone hanno illustrato poi come la fornitura da parte dell’operatore incumbent Telecom agli operatori alternativi del servizio WBA o bitstream in esame si profili ancora essenziale all’attualità, nonostante il decorso di circa venti anni dall’avvio della liberalizzazione del settore delle comunicazioni fisse, e come la corretta regolazione di tale fornitura si ponga, pertanto, quale elemento fondamentale per una efficace competizione nel mercato. Confutate analiticamente le censure ricorsuali, Wind e Vodafone hanno concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. 3.3. L’Associazione Italiana Internet Provider – AIIP ha esposto di rappresentare imprese abilitate alla fornitura al pubblico di servizi di comunicazioni elettroniche, tra i quali, in particolare, i servizi di accesso a internet a banda larga e altri servizi veicolabili attraverso piattaforme di accesso a banda larga, associatesi al fine di promuovere e diffondere lo sviluppo in regime di concorrenza dell’accesso al mercato delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, ivi compreso l’accesso a internet. Anche AIIP, svolte difese analoghe a quelle sopra descritte in ordine alla correttezza del procedimento mediante il quale, in particolare, l’Autorità è pervenuta alla determinazione del qui contestato valore del WACC, superando alcune obiezioni inizialmente formulate dalla Commissione UE, ha concluso per il rigetto del ricorso. 4. Tutte le parti hanno affidato a memorie e a repliche le proprie argomentazioni difensive. 5. Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 novembre 2014. DIRITTO 1. Si controverte in ordine alla legittimità della delibera 746/13/Cons dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha approvato le condizioni economiche e tecniche dell’offerta di riferimento (OR) di Telecom Italia s.p.a. per l’anno 2013, relativa ai servizi bitstream su rete in rame (mercato 5). Il provvedimento forma oggetto di contestazione da parte di Telecom Italia s.p.a. nei limiti indicati in narrativa, e principalmente laddove stabilisce il valore del WACC (in conformità a quanto stabilito nella delibera n. 747/13/Cons per i servizi ULL), non aggiornandolo bensì confermandone il valore fissato nel 2010, pari a 9,36%, ciò che, secondo la ricorrente, non renderebbe profittevoli gli investimenti di Telecom. Il WACC costituisce la media ponderata tra il costo del capitale proprio dell’operatore e quello preso a prestito dal mercato o dalle banche (cd. costo del debito), rilevante ai fini della remunerazione del capitale investito dall’operatore. Come già accennato in narrativa, la stessa delibera è stata impugnata innanzi a questo Tribunale anche da Fastweb s.p.a. (ricorso N.R.G. 3896/2014, trattenuto contestualmente in decisione), che, denunziando vizi di contenuto speculare e contrapposto rispetto a quelli dedotti da Telecom, ha lamentato la determinazione in maniera eccessivamente elevata delle componenti di costo sottese ai fissati canoni e contributi. Fastweb ha poi proposto nell’ambito dell’odierno gravame ricorso incidentale nei confronti della stessa delibera 746/13/Cons, condizionato all’eventuale accoglimento dell’impugnazione di Telecom. 2. La delibera 746/13 (come la delibera 747/13) costituisce attuazione della disciplina europea in materia di comunicazioni elettroniche, recepita in Italia con il d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche. Nell’attuale quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche, successivo all'introduzione del "pacchetto" di direttive comunitarie adottate nel 2002 e modificate nel 2009 [direttive nn. 2002/19/CE ("direttiva accesso"), 2002/20/CE ("direttiva autorizzazioni"), 2002/21/CE("direttiva quadro"), 2002/22/CE ("direttiva servizio universale"), l'obbligo di presentazione di un'offerta di riferimento da parte di un operatore delle telecomunicazioni trova fondamento nella direttiva 2002/19/CE (“direttiva accesso”), la quale all'articolo 9, comma 2, stabilisce che quando "un operatore è assoggettato ad obblighi di non discriminazione, le autorità nazionali di regolamentazione possono esigere che egli pubblichi un 'offerta di riferimento sufficientemente disaggregata per garantire che le imprese non debbano pagare per risorse non necessarie ai fini del servizio richiesto e in cui figuri una descrizione delle offerte suddivisa per componenti in funzione delle esigenze del mercato, corredata dei relativi termini, condizioni e prezzi. L'autorità nazionale di regolamentazione può tra l'altro imporre modifiche alle offerte di riferimento per dare effetto agli obblighi imposti ai sensi della presente direttiva". Tale disposizione è stata recepita dagli art. 45 e ss. del citato d.lgs 1° agosto 2003, n. 259, ove è previsto: - che “Qualora, in esito all'analisi del mercato realizzata a norma dell'articolo 19, un'impresa sia designata come detentrice di un significativo potere di mercato in un mercato specifico, l'Autorità impone, in funzione delle circostanze, gli obblighi previsti agli articoli 46, 47, 48, 49, 50 e 50-bis” (art. 45, comma 1); - che l'Autorità “può imporre obblighi di trasparenza in relazione all'interconnessione e all'accesso, prescrivendo agli operatori di rendere pubbliche determinate informazioni quali informazioni di carattere contabile, specifiche tecniche, caratteristiche della rete, termini e condizioni per la fornitura e per l'uso, comprese eventuali condizioni conformi al diritto europeo che limitino l'accesso a servizi e applicazioni o il loro utilizzo, e prezzi (art. 46, comma 1); - che l’Autorità può "esigere che, quando un operatore è assoggettato ad obblighi di non discriminazione ai sensi dell'articolo 47, pubblichi un'offerta di riferimento sufficientemente disaggregata per garantire che gli operatori non debbano pagare per risorse non necessarie ai fini del servizio richiesto e in cui figuri una descrizione delle offerte suddivisa per componenti in funzione delle esigenze del mercato, corredata dei relativi termini, condizioni e prezzi” (art. 46, comma 2); - che “L'Autorità con provvedimento motivato può imporre modifiche alle offerte di riferimento in attuazione degli obblighi previsti dal presente Capo" (art. 46, comma 2); - che “per determinati tipi di interconnessione e di accesso l'Autorità può imporre obblighi in materia di recupero dei costi e controlli dei prezzi, tra cui l'obbligo che i prezzi siano orientati ai costi” (art. 50, comma 1; art. 13 direttiva accesso). Resta ancora da rammentare che il predetto contesto regolatorio ha trovato applicazione nei confronti di Telecom in quanto: - la società, con delibera dell’Autorità n. 314/09/Cons, è stata identificata quale operatore detentore di significativo potere nei mercati nn. 1, 4 e 5 fra quelli individuati dalla Raccomandazione 2007/879/CE; - l’art. 4 della delibera n. 731/09/Cons impone a Telecom l’obbligo di fornire i servizi di accesso “bitstream”, anche in modalità “naked”, su rete in rame e in fibra ottica e i relativi servizi accessori; - l’art. 6 della delibera n. 731/09/Cons obbliga Telecom a formulare un’offerta di riferimento, ai sensi dell’art. 46 del Codice delle comunicazioni elettroniche, soggetta ad approvazione da parte dell’Autorità; - l’art. 9 della stessa delibera n. 731/09/Cons sottopone Telecom all’obbligo di controllo dei prezzi per i servizi appartenenti al mercato 5 e per le relative prestazioni accessorie, ai sensi dell’art. 50 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Ai sensi dell’art. 73 della delibera, l’Autorità ha poi definito un modello di costo per la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom e calcolo del valore del WACC (delibera n. 578/10/Cons). Le delibere nn. 731/09/Cons e 578/10/Cons sono state annullate in parte dalla decisione del Consiglio di Stato 2 aprile 2013, n. 1856. La sentenza ha rilevato che l’Autorità, pur avendo premesso di voler applicare un metodo omogeneo di determinazione dei prezzi, ha stabilito poi, contraddittoriamente, la base di partenza del networkcap, sia per i servizi bitstream naked che per quelli WLR, secondo il criterio del retail minus, non orientato al costo e consistente nell’abbattimento del prezzo praticato al pubblico da parte di Telecom di una percentuale forfettaria. L’Autorità, pertanto, avrebbe applicato i valori di aumento del servizio ULL, derivanti dal modello BU-LRIC, ai prezzi iniziali, non orientati al costo, di entrambi i servizi, comportando, quindi, un ulteriore aumento senza alcun nesso con i costi sottostanti. Secondo la sentenza richiamata, dunque, le delibere nn. 731/09/Cons e 578/10/Cons sono illegittime nella parte in cui non avrebbero illustrato esaurientemente le ragioni per le quali, per i servizi WLR e WBA, si sia discostata dal modello di orientamento al costo adottato, invece, per i servizi ULL 2. L’esame dei primi tre motivi del ricorso in esame richiede di affrontare le seguenti questioni: - se con la gravata delibera, l’Autorità, applicando al WBA il medesimo WACC stabilito nella delibera n. 747/13/Cons per i servizi ULL, ovvero non aggiornandolo bensì confermandone il valore fissato nel 2010 (9,36%), si sia posta in contrasto con il diritto europeo, discostandosi immotivatamente dalle valutazioni effettuate dalla Commissione europea che su di esso basavano; - se la stessa determinazione di cui sopra faccia emergere profili di contraddittorietà con altri atti dell’Autorità, che hanno indicato un diverso valore del WACC; - se la determinazione sia frutto di un errore metodologico, non tenendo in alcun conto lo stato di crisi finanziaria che ha riguardato il Paese. 3. L’apprezzamento della prima questione richiede la previa disamina del procedimento di consultazione di cui agli artt. 7 e 7-bis della direttiva quadro (2002/21/CE). 3.1. L’art. 7 dispone, per quanto qui di interesse, che le autorità nazionali di regolamentazione contribuiscono allo sviluppo del mercato interno lavorando insieme e con la Commissione e il BEREC [Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche istituito dal regolamento (CE) n. 1211/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009] in modo trasparente e al fine di assicurare la piena applicazione, in tutti gli Stati membri, delle disposizioni delle direttiva del settore considerato, in particolare per individuare i tipi di strumenti e le soluzioni più adeguate da utilizzare nell’affrontare determinati tipi di situazioni nel contesto del mercato. Salvo ove diversamente previsto nelle raccomandazioni o negli orientamenti adottati a norma dell’art.7-ter al termine della consultazione di cui all’art. 6, qualora un’autorità di regolamentazione nazionale intenda adottare una misura che a) rientri nell’ambito di applicazione degli articoli 15 o 16 della direttiva o degli articoli 5 o 8 della direttiva 2002/19/CE (direttiva accesso) o b) influenzi gli scambi tra Stati membri, essa ne informa e rende accessibile il progetto di misura alla Commissione, al BEREC e alle Autorità nazionali di regolamentazione di altri Stati membri, insieme alla motivazione su cui la misura si basa (paragrafo 3). Le autorità nazionali di regolamentazione, il BEREC e la Commissione possono trasmettere le proprie osservazioni all’Autorità nazionale di regolamentazione entro il termine di un mese (paragrafo 3). Quando la misura mira a identificare un mercato rilevante differente da quelli previsti dalla raccomandazione ai sensi dell’art. 15, paragrafo 1, o a decidere sulla designazione o meno di imprese che detengono, individualmente o congiuntamente ad altre, un potere di mercato significativo, ai sensi dell’articolo 16, paragrafi 3, 4 o 5, e tale misura influenzi gli scambi commerciali tra Stati membri, e la Commissione ha comunicato all’autorità nazionale di regolamentazione che il progetto di misura creerebbe una barriera al mercato unico o dubita seriamente della sua compatibilità con il diritto comunitario e in particolare con gli obiettivi di cui all’articolo 8, il progetto di misura non può essere adottato per ulteriori due mesi (paragrafo 4). Entro i due mesi di cui sopra la Commissione può: a) adottare una decisione con cui si richieda a un’autorità nazionale di regolamentazione interessata di ritirare il progetto di misura; b) decidere di sciogliere le sue riserve in relazione al progetto di misura. Prima di adottare una decisione, la Commissione considera con la massima attenzione il parere del BEREC. La decisione è accompagnata da un’analisi dettagliata e obiettiva dei motivi per i quali la Commissione considera che il progetto di misura non debba essere adottato, congiuntamente a proposte specifiche volte a modificare il progetto di misura (paragrafo 5). Se la Commissione impone all’autorità nazionale di regolamentazione di ritirare un progetto di misura, tale autorità lo modifica o lo ritira entro sei mesi dalla data della decisione della Commissione. Se il progetto di misura è modificato, l’autorità nazionale di regolamentazione avvia una consultazione pubblica secondo le procedure di cui all’art. 6 e notifica nuovamente il progetto di misura modificato alla Commissione (paragrafo 6). L’autorità nazionale di regolamentazione interessata tiene nella massima considerazione le osservazioni delle altre autorità nazionali di regolamentazione, del BEREC e della Commissione e può, salvo nei casi sopra detti di cui al paragrafo 4 e al paragrafo 5, lett. a), adottare il progetto di misura risultante, comunicandolo alla Commissione. L’autorità nazionale comunica alla Commissione e al BEREC tutte le misure definitive adottate che rientrano nell’articolo 7, paragrafo 3, lettere a) e b). L’art. 7-bis della direttiva n. 2002/21/CE concerne specificamente l’ipotesi che la misura di cui all’art. 7, paragrafo 3, miri a imporre, modificare o revocare un obbligo imposto a un operatore in applicazione dell’art. 16, in combinato disposto con gli artt. 5 e da 9 a 13 della direttiva 2002/19/CE (direttiva accesso) e con l’art. 17 della direttiva 2002/22/CE (direttiva servizio universale). In tal caso, si prevede che la Commissione, entro il termine di un mese di cui all’articolo 7, paragrafo 3, possa notificare all’autorità nazionale e al BEREC i motivi per cui ritiene che il progetto di misura crei un ostacolo al mercato unico o in forza dei quali dubita seriamente della sua compatibilità con il diritto comunitario. In tal caso, l’adozione del progetto di misura viene ulteriormente sospesa per i tre mesi successivi alla notifica della Commissione (paragrafo 1). In tale periodo, la Commissione, il BEREC e l’autorità nazionale cooperano strettamente allo scopo di individuare la misura più idonea ed efficace alla luce degli obiettivi stabiliti all’art. 8, tenendo debitamente conto del parere dei soggetti partecipanti al mercato e della necessità di garantire una pratica regolamentare coerente (paragrafo 2). Entro sei settimane dall’inizio dello stesso periodo, il BEREC esprime un parere motivato sulla notifica della Commissione di cui al paragrafo 1, indicando se ritiene che il progetto di misura debba essere modificato o ritirato e, se del caso, avanza a tal fine proposte specifiche (paragrafo 3). Se il BEREC condivide i seri dubbi della Commissione, coopera strettamente con l’autorità nazionale allo scopo di individuare la misura più idonea ed efficace. Prima della fine del trimestre di cui al paragrafo 1, l’Autorità nazionale può: a) modificare o ritirare il suo progetto di misura tenendo nella massima considerazione la notifica della Commissione di cui al paragrafo 1 nonché il parere e la consulenza del BEREC; b) mantenere il suo progetto di misura (paragrafo 4). Qualora il BEREC non condivida i seri dubbi della Commissione o non esprima un parere o qualora l’autorità nazionale modifichi o mantenga il suo progetto di misura a norma del paragrafo 4, la Commissione, entro un mese dalla fine del trimestre di cui al paragrafo 1 e tenendo nella massima considerazione l’eventuale parere del BEREC, può: a) formulare una raccomandazione in cui si invita l’autorità nazionale a modificare o ritirare il progetto di misura, includendo proposte specifiche a tal fine, e a fornire le ragioni che giustificano la sua raccomandazione, in particolare qualora il BEREC non condivida i seri dubbi della Commissione, e proposte specifiche a tal fine; b) decidere di sciogliere le sue riserve indicate conformemente al paragrafo 1 (paragrafo 5). Entro un mese dalla data di formulazione della raccomandazione della Commissione ai sensi del paragrafo 5, lettera a), o di ritiro delle sue riserve a norma del paragrafo 5, lettera b), l’autorità nazionale comunica alla Commissione e al BEREC la misura finale adottata (paragrafo 6). L’autorità nazionale che decide di non modificare o ritirare il progetto di misura sulla base della raccomandazione di cui al paragrafo 5, lettera a), fornisce una giustificazione motivata (paragrafo 7). L’autorità nazionale di regolamentazione può ritirare il progetto di misura in qualsiasi fase della procedura (paragrafo 8). Resta da aggiungere che gli artt. 7 e 7-bis della direttiva quadro sono stati recepiti dagli artt. 12 e 12-bis del d.lgs. 259 del 2003, Codice delle comunicazioni elettroniche. 3.2. Illustrato il procedimento di consultazione di cui agli artt. 7 e 7-bis della direttiva quadro (2002/21/CE), deve esaminarsi l’andamento del procedimento avviatosi con la notifica da parte dell’Autorità resistente della proposta di delibera gravata, contenente, come detto, l’avversata determinazione inerente il non aggiornamento del WACC. Conviene affrontare immediatamente la decisione della Commissione 12 agosto 2013, indirizzata all’Autorità e al BEREC. In tale decisione, dato atto delle richieste di informazioni già avanzate al riguardo ai sensi dell’art. 7, paragrafo 3, della direttiva 2002/21/CE, mediante le note 18, 23 e 25 luglio, nonché delle risposte fornite dall’Autorità il 24 e il 29 luglio 2013, la Commissione ha avviato la seconda fase di indagine, ai sensi dell’appena illustrato art. 7-bis, paragrafo 1, della stessa direttiva. Per quanto qui rileva specificamente, ovvero in relazione al WACC, la Commissione, sottolineata l’importanza del parametro, ha sollevato dubbi sulla possibilità del proposto WACC di rispecchiare le condizioni di concorrenza salvaguardate dall’art. 8, paragrafo 5, lett. d), della direttiva quadro, è ciò sia nei mercati pertinenti che nei mercati dei capitali nazionali. La prima osservazione della Commissione si è basata fondamentalmente sulla necessità di capire la ragione della variazione di dati sottostanti, nel breve arco di tempo intercorrente tra l’avvio del procedimento di consultazione pubblica sul procedimento per i prezzi ULL 2013 e la consultazione pubblica sulle analisi di mercato, alla proposta dell’Autorità di due diversi valori del WACC (9,83% e 10,40%), e come tale variazione potesse essere comprovata. Con la seconda osservazione la Commissione, rilevato che nell’attuale notifica il WACC era stato ragguagliato non a uno dei predetti valori, bensì a quello calcolato nel 2010 (9,36%), ha affermato di nutrire dubbi circa la validità di tale ultimo valore, considerato: il numero dei parametri da prendere in considerazione per il suo calcolo; i cambiamenti intervenuti nell’economia nazionale, e in particolare nei mercati finanziari, negli ultimi tre anni; le precedenti stime del WACC. Con la terza osservazione la Commissione ha rilevato che altri paesi europei con difficoltà finanziarie analoghe all’Italia avevano fissato un WACC notevolmente superiore, secondo valori vicini, secondo la Commissione non a caso, a quelli più alti, proposti dall’Autorità durante le due consultazioni nazionali parallele di cui sopra. In conclusione, la Commissione ha espresso seri dubbi sull’idoneità del proposto WACC, spesso modificato dall’Autorità, a promuovere investimenti efficienti, sia da parte degli operatori dominanti che da parte degli operatori alternativi, innovazione, e a salvaguardare la concorrenza. Il 20 settembre 2013 il BEREC, ai sensi dell’art. 7-bis, paragrafo 3, ha comunicato alla Commissione il proprio parere sui seri dubbi sollevati dalla Commissione. Al fine di considerare tale parere, nella parte di interesse, può essere preso a riferimento quanto autorevolmente riassunto dalla stessa Commissione nella successiva raccomandazione dell’11 dicembre 2013. Secondo il parere del BEREC, durante il processo di notifica l’Autorità ha presentato prove sufficienti per giustificare la propria scelta della tempistica e della metodologia per aggiornare i prezzi nei mercati n. 4 e n. 5. In linea generale, per quanto concerne l’inosservanza (secondo la Commissione) dell’articolo 8, paragrafo 5, lettera a), della direttiva quadro, il BEREC ha ritenuto che l’Autorità avesse pienamente giustificato l’abbandono della linea di condotta inizialmente prevista e comunicata ai portatori di interesse a ottobre 2012, in quanto l’approvazione formale delle tariffe all’ingrosso avviene di solito al di fuori del processo di analisi dei mercati. Secondo il BEREC, questa è la procedura applicata di norma in Italia, che tutte le parti interessate operanti sul mercato si aspettano venga seguita ogni anno e che garantisce la stabilità e la prevedibilità del mercato. Per quanto concerne l’obiezione della Commissione sull’abbandono da parte dell’Autorità della linea di condotta inizialmente prevista e comunicata ai portatori di interesse ad ottobre 2012, il BEREC ha ritenuto che l’Autorità avesse pienamente giustificato tale comportamento nella sua risposta alla domanda n. 2 della richiesta di informazioni della Commissione. Il BEREC ha ricordato che all’inizio del 2013, a causa della maggiore complessità delle valutazioni da effettuare, l’Autorità si era resa conto che la terza revisione delle analisi di mercato non le avrebbe consentito di fissare i prezzi finali del 2013 prima della fine di tale anno. Il BEREC ha ritenuto che il parere della Commissione, secondo il quale i prezzi del 2013 per i servizi ULL e WBA si basano su dati di mercato non aggiornati (provenienti dall’ultima revisione del 2009), fosse errato. Il BEREC ha inoltre spiegato che i costi commerciali e di manutenzione erano stati ottenuti a partire dai dati più recenti di contabilità regolatoria. Il BEREC ha poi attribuito alla sentenza del Consiglio di Stato che ha in parte annullato le delibere dell’Autorità relative alla definizione del modello BULRAIC applicabile ai prodotti di accesso all’ingrosso e, in particolare, alla valutazione dei costi di manutenzione correttiva effettuata dall’Autorità per la fissazione dei massimali tariffari per il periodo 2010-2012, la giustificazione dell’urgenza dell’Autorità nel valutare e prendere una decisione riguardante i prezzi ULL e WBA per il 2013. Per quanto riguarda la delibera emanata dall’AGCOM all’inizio del 2013 volta ad approvare con urgenza i prezzi WBA applicando l’approccio orientato ai costi (ovvero il modello BU-LRAIC), il BEREC ha osservato che l’Autorità ha semplicemente soddisfatto la richiesta della Commissione di mantenere nel 2013 la coerenza degli standard e della base dei costi per i servizi ULL, WBA e WLR. Specificamente, inoltre, per quanto riguarda la conformità dello schema di provvedimento all’articolo 8, paragrafo 5, lettera d), della direttiva quadro, il BEREC ha ritenuto che l’Autorità avesse trattato il WACC in maniera esaustiva, analizzando nel dettaglio ogni parametro per il progetto di delibera relativo al mercato n. 4. Inoltre, avendo valutato le spiegazioni approfondite relative al progetto di delibera dell’Autorità e la risposta fornita alla Commissione, il BEREC ha ritenuto che l’Autorità avesse sufficientemente motivato la propria decisione sul WACC per il 2013 e, pertanto, che i seri dubbi sollevati dalla Commissione non fossero giustificati. In conclusione, il BEREC, in ordine alla conformità dello schema di provvedimento all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva quadro, pur ritenendo che l’Autorità avrebbe dovuto “aggiungere alle parti pertinenti delle decisioni riguardanti i prezzi finali alcune delle informazioni fornite in risposta alla richiesta di informazioni della Commissione”, alla luce delle precedenti considerazioni, non ha condiviso il punto di vista della Commissione secondo cui i prezzi erano stati fissati arbitrariamente e senza il necessario rigore metodologico. Nel prosieguo, la Commissione ha adottato la raccomandazione 11 dicembre 2013, n. 8862. Con tale raccomandazione la Commissione ha dato innanzitutto atto che l’Autorità aveva mantenuto lo schema di provvedimento al termine dei tre mesi successivi alla notifica dei seri dubbi sollevati. La Commissione ha rammentato, pertanto, di poter adottare, tenendo in massima considerazione il parere del BEREC, la richiesta all’Autorità di modificare o ritirare lo schema di provvedimento o di prendere una decisione a scioglimento delle riserve formulate, ritenute ancora valide con particolare riferimento all’aggiornamento dei pertinenti parametri del WACC, almeno in relazione al tasso riskfree (RFR). In particolare, la Commissione ha dubitato fortemente che l’RFR non fosse cambiato dal 2010 in considerazione delle diverse circostanze finanziarie ed economiche presenti nel 2010 e nel 2013, anche alla luce dell’RFR proposto dall’Autorità nelle succitate consultazioni nazionali, pari al 5,51%, invece del 3,9% stabilito per il 2010. In finale, la Commissione ha adottato la seguente raccomandazione “ Qualora modifichi lo schema di provvedimento o lo ritiri e ne notifichi un nuovo, l’AGCOM dovrebbe aggiornare i parametri del modello BU-LRAIC onde fissare i prezzi di accesso all’ingrosso ULL e WBA per il 2013 nel contesto della revisione dell’offerta di riferimento di TI. In particolare, l’AGCOM dovrebbe aggiornare il WACC sulla base dei dati aggiornati disponibili, in modo da riflettere la costante evoluzione del mercato in relazione a parametri come il tasso risk-free e, più in generale, la necessità di prezzi all’ingrosso di accesso al rame stabili, trasparenti e prevedibili nel tempo, onde evitare shock e fluttuazioni significativi. I risultanti prezzi di accesso all’ingrosso dovrebbero generare un tasso di rendimento sugli investimenti ragionevole, in grado di garantire il recupero dei costi e promuovere così l’innovazione e gli investimenti efficienti nelle reti NGA, salvaguardando al contempo la concorrenza”. L’Autorità ha infine adottato il provvedimento qui gravato che, pur modificando alcuni valori del WACC, ha mantenuto inalterato il valore complessivo di quest’ultimo (9,36%). 3.3. Illustrate le fasi salienti del procedimento svoltosi in sede comunitaria, nell’ambito del quale la Commissione ha sollevato i rilievi critici che Telecom ha fatto interamente propri nel ricorso in esame, al fine di dimostrare, in primo luogo, il contrasto tra la delibera impugnata e il diritto europeo, possono ora essere formulate alcune osservazioni. Non vi è dubbio che nell’ambito della collaborazione tra le autorità di regolazione nazionali, la Commissione e il BEREC delineata dagli artt. 7 e 7-bis della direttiva quadro (2002/21/CE), sia rimesso alle autorità di regolazione nazionali il compito di definire le misure correttive di regolamentazione dei mercati in parola. Ciò iscrivendosi necessariamente anche il settore delle comunicazioni elettroniche nel solco dei principi che preservano il corretto equilibrio di competenze tra livello europeo e nazionale, e vieppiù non essendovi alcun dubbio circa la spettanza a tali autorità del compito di raccolta degli elementi pertinenti per le analisi dei mercati dai soggetti interessati, che consentono di stabilire, tra le diverse opzioni possibili, le misure correttive singolarmente e globalmente ritenute più appropriate, anche sotto il profilo della proporzionalità della misura in rapporto agli obiettivi prefissati in conformità al quadro regolatorio vigente. Così come non vi è dubbio che, a loro volta, sia rimesso alla Commissione e al BEREC il compito di collaborare e sollecitare l’individuazione degli strumenti e delle soluzioni più adeguate per affrontare le questioni poste dal contesto del mercato. Quanto al BEREC, tale compito si inscrive nel ruolo primario che gli assegna l’art. 2, lett. a), del regolamento istitutivo n. 1211/2009 del 25 novembre 2009, in materia di sviluppo e diffusione tra le autorità nazionali delle “migliori prassi regolamentari, quali approcci, metodologie o orientamenti comuni sull’attuazione del quadro normativo dell’Unione europea”, rafforzato sotto il profilo funzionale, pur nel carattere rappresentativo dei suoi componenti delle autorità di regolazione nazionali, dall’indipendenza richiesta all’organo, testimoniata anche dalla prevista partecipazione alle riunioni, come osservatore, da un rappresentante della Commissione (art. 4, paragrafo 2, reg. 1211/2009). Quanto alla Commissione, lo stesso compito è specifica manifestazione della necessità di un coerente esercizio dei poteri da parte delle autorità nazionali di regolazione con il complessivo quadro normativo europeo. Tale divisione dei ruoli – e dei connessi poteri di intervento – è chiaramente riscontrabile nel procedimento delineato dagli artt. 7, 7-bis e 7-ter della direttiva quadro (e segnatamente nell’art. 7bis, che ha interessato la fissazione della qui contestata misura del WACC), nel cui ambito si delinea in via generale la possibilità da parte della Commissione di adottare sia atti vincolanti, quali le decisioni di cui alla previsione dell’art. 7, paragrafo 5, sia atti non vincolanti, ovvero le decisioni di cui all’art. 7, paragrafo 3, e le raccomandazioni di cui all’art. 7-bis. Specificamente, rispetto alla raccomandazione ai sensi dell’art. 7-bis – come a fronte di tutte le raccomandazioni delle istituzioni europee, che l’art. 288 TFUE qualifica atti non vincolanti – l’ANR può stabilire se mantenere o meno il suo progetto di misura (paragrafo 4), a condizione di fornire una “giustificazione motivata” (paragrafo 7). 3.4. Applicando tali coordinate normative al caso di specie, emerge con ogni chiarezza come, contrariamente a quanto evocato dalla ricorrente, l’Autorità ben poteva discostarsi, come ha fatto, dalla raccomandazione della Commissione europea, adottata ex art. 7-bis. A tale riguardo, va innanzitutto rilevato, come ampiamente sopra riferito, che le osservazioni della Commissione erano rimaste isolate, non avendo il BEREC convenuto con i seri dubbi manifestati precedentemente alla raccomandazione. Ne consegue che, al fine di valutare se l’Autorità, con la gravata delibera, non aggiornando il valore del WACC fissato nel 2010 (9,36%), si sia posta in contrasto con il diritto europeo recepito nelle valutazioni critiche al riguardo effettuate dalla Commissione, resta solo da verificare se siano state in proposito formulate le giustificazioni motivate di cui al paragrafo 7 dell’art. 7-bis. La risposta è positiva. Va precisato che, al riguardo della conformità, in armonia alle osservazioni della Commissione, del calcolo del WACC 2013 all’articolo 8, paragrafo 5, la delibera n. 746/13 contiene un espresso rinvio ai pertinenti paragrafi della delibera 746/2013 (D.59-D.66), che similmente, approvando l’offerta di riferimento relativa ai servizi di accesso disaggregato alla rete in rame per il 2013, individua il valore del WACC nella misura qui contestata, e ai quali qui si ritiene opportuno rimandare per evidenti ragioni di economia espositiva. Inoltre, tali paragrafi, al contempo, rispondono anche alla richiesta formulata nel parere del BEREC del 20 settembre 2013, di aggiungere alcune delle informazioni fornite in risposta alla Commissione, nel corso del procedimento di notifica, nelle opportune sezioni della decisione finale. Può anche rilevarsi, sul punto, che, come risulta ampiamente dalla richiamata delibera, l’Autorità è pervenuta a ragguagliare definitivamente il valore del WACC a 9,36% mediante una nuova valutazione dei parametri ERP e RFR che lo compongono, in conformità alla lettera di seri dubbi e alla successiva raccomandazione della Commissione. Tale valutazione ha dato luogo a un valore leggermente inferiore rispetto a quello stimato nella delibera 221 (9,33% anziché 9,36%), ciò che ha indotto l’Autorità a confermare l’originario valore di 9,36%, attesa la trascurabile differenza tra i due. L’analisi del tema ora effettuato non consente al Collegio, per tutto quanto sopra, di aderire alle tesi di Telecom in ordine all’illegittimità della delibera n. 746/2013, né sotto il profilo del contrasto con il diritto comunitario, che va escluso alla luce di tutto quanto sopra, né sotto quello della pur lamentata carenza di istruttoria. Quest’ultima censura si rileva manifestamente infondata, sol tenendo conto della lunga e complessa istruttoria comunitaria cui è stata sottoposta la impugnata determinazione del WACC, che non può essere identificata, come sembra fare la parte ricorrente, nel solo periodo intercorso tra la raccomandazione della Commissione e la decisione dell’Autorità di non modificare il contenuto della determinazione. Anche perché, tra l’altro, l’Autorità ha dato conto non solo dei numerosi contatti avuti con la Commissione e il BEREC nell’ambito dell’intero procedimento consultivo, ma anche dell’avvenuto recepimento di alcune osservazioni della Commissione, che, pur tuttavia, non hanno condotto al risultato sperato da Telecom. Del resto, la stessa Commissione non ha successivamente adottato altre iniziative al riguardo, e, specificamente, non ha avviato alcun procedimento di infrazione ex art. 258 TFUE. Vieppiù, deve rilevarsi come nel prosieguo, con le decisioni 8 maggio 2014, n. 3195 final, e 16 ottobre 2014, n. 7720 final, la Commissione, come già prima, integralmente, il BEREC, abbia condiviso le considerazioni dell’Autorità in riferimento alla definizione del WACC. In particolare, la seconda decisione sottolinea specificamente come il livello del WACC, oggetto di una precedente raccomandazione ex art. 7-bis della direttiva 2002/21/CE,, sia stato “confermato” dalla prima decisione 8 maggio 2014. E nulla muta tenendo conto che tali decisioni invitino l’Autorità a operare in stretta collaborazione con le altre ANR, la Commissione e il BEREC “allo scopo di definire una prassi regolamentare coerente nel mercato interno in relazione al WACC e ai suoi parametri specifici e di assicurare un’applicazione coerente del quadro normativo nell’UE”, ciò che assume evidentemente valore di un generico auspicio finalizzato all’introduzione di una prassi regolamentare nazionale maggiormente improntata alla coerenza, che senz’altro il procedimento in esame non ha manifestato appieno, almeno dal punto di vista assunto dalla Commissione, senza peraltro permettere, per ciò stesso, l’individuazione di profili di contrasto con il quadro normativo della materia. 4. Deve passarsi, pertanto, alla seconda delle questioni, come sopra riassunte, su cui si incentrano i primi tre motivi di ricorso, ovvero se la gravata determinazione di non aggiornare il valore del WACC fissato nel 2010 al 9,36% faccia emergere profili di contraddittorietà con altri coevi atti dell’Autorità, che hanno indicato un diverso valore del WACC. La ricorrente evidenzia al riguardo: - che la delibera di consultazione n. 221/13/Cons relativa all’OR 2013 ha proposto un valore del WACC pari a 9,83%; - che la delibera n. 238/13/Cons, che ha sottoposto a consultazione pubblica nazionale le risultanze dell’analisi di mercato, ha proposto per il WACC il valore di 10,40%; - che le delibere 746/13/Cons e 747/13/Cons hanno ragguagliato il WACC a 9,363%. In altre parole, la ricorrente stigmatizza che nel breve lasso di tempo intercorrente tra le predette delibere l’Autorità abbia assunto tre diversi valori del WACC. Anche tale linea argomentativa non risulta però conducente. Sul punto, va in primo luogo rammentato, come già sopra visto, che la stessa questione è stata sollevata, e risolta, tanto da non essere stata riproposta nella successiva raccomandazione, nell’ambito della lettera di seri dubbi indirizzata dalla Commissione europea al BEREC e all’Autorità. Va ancora rilevato che non tutti i parametri considerati dalla censura rappresentano esattamente i valori del WACC indicati nelle corrispondenti delibere, atteso che nella delibera di consultazione n. 221/13/Cons relativa all’OR 2013 l’Autorità ha proposto per il valore del WACC un range compreso tra 9,36% e 9,83%, e non il solo valore di 9,83%. Tanto chiarito, è agevole osservare come nella delibera di consultazione n. 221/13/Cons, relativa all’OR 2013, figurasse anche il valore di 9,36%, poi definitivamente fissato dalla delibera n. 746/13/Cons impugnata, che ha concluso il procedimento avviato con la prima. Non può pertanto dirsi che la determinazione finale si ponga in contraddizione con la delibera di consultazione, atteso che, per definizione, tutti i valori di un range, e quindi anche quello iniziale, si pongono sullo stesso piano di possibilità. Di talchè non è dato ravvisare alcuna contraddizione tra le delibere nn. 221/13/Cons e 746/13/Cons. Ciò posto, è vero che la delibera n. 238/13/CONS, adottata nell’aprile 2013, che ha sottoposto a consultazione pubblica nazionale le risultanze dell’analisi di mercato, ha proposto per il WACC il più elevato valore di 10,40% rispetto al valore di 9,36% della delibera n. 746/13/Cons, adottata nel dicembre 2013, in conformità alla delibera 747/13/Cons. Ma è altresì vero che l’Autorità ha dato ampiamente conto dei motivi della differenza, dipendente dalla diversa metodologia di calcolo utilizzata per determinare il valore di uno dei suoi componenti (ERP) in ragione della diversa finalità degli atti. In particolare: - nella delibera n. 747/13 (cui la delibera n.746/13 si è uniformata, come più volte rilevato), il valore dell’ERP per il 2013 è stato calcolato sulla base delle serie storiche, aggiornate al 2012, dei rendimenti delle azioni, ed è risultato pari a 3,2%, da cui il valore del WACC 2013 più basso; - nella delibera di analisi di mercato, intesa alla definizione dei prezzi per l’intero triennio (20142016), l’Autorità ha invece utilizzato un metodo differente, con lo scopo di giungere ad una stima prospettica dell’ERP al 2016. Ne è scaturito un valore pari al 3,76%, da cui è conseguito un valore del WACC per il triennio più elevato. In altre parole, nella delibera gravata l’Autorità, in applicazione della citata delibera 578/10/Cons, ha computato il WACC per il solo anno 2013, mentre nello schema di provvedimento di cui alla delibera n. 238/13/Cons ha calcolato un WACC prospettico in relazione a uno dei suoi componenti, in vista della sua applicazione al triennio 2014-2016. Deve pertanto concludersi che la delibera in esame, quanto al profilo appena considerato, non manifesta alcuna contraddittorietà. 5. Con l’ultima delle tematiche affrontate nei primi tre motivi di gravame Telecom sostiene l’illogicità metodologica che ha condotto alla fissazione del contestato valore del WACC, anche alla luce della crisi finanziaria che ha attraversato il Paese, con particolare riferimento al 2012. La censura va respinta, dovendosi interamente convenire con le difese sul punto formulate dall’Autorità. Va quindi rilevato che non può dirsi che l’Autorità non abbia tenuto conto degli effetti della crisi, come dimostra il fatto che nella sue valutazioni ha incluso anche il 2012. Al contempo, l’Autorità ha riferito di considerare che nel corso del 2013 si registravano dati di segno opposto, che non potevano essere ignorati. Così come ha illustrato in delibera le ragioni in forza delle quali il WACC fissato si è discostato da quello degli altri Paesi con difficoltà simili, già menzionati dalla Commissione Ciò premesso, si osserva che il valore del WACC è influenzato, come sopra visto, dal valore dell’RFR (“risk free rate - rendimento atteso dai titoli pubblici a lungo termine), e dell’ERP. Quanto al calcolo del primo parametro, l’RFR, la Commissione ha richiesto all’Autorità di individuare una arco temporale di riferimento sufficientemente lungo da consentire di neutralizzare le instabilità del mercato. L’Autorità ha ritenuto che la media del rendimento BTP (buoni del tesoro) degli ultimi 5 anni (da gennaio 2009 a novembre 2013) fosse significativamente rappresentativa del parametro RFR. Ciò in quanto, il valore dei BTP nel 2012 ha subito un picco, legato al momento di crisi dei mercati finanziari; pertanto, utilizzare tale valore non sarebbe stato certamente rappresentativo del valore medio dei BTP. Per tale ragione, l’Autorità ha ritenuto non opportuno applicare il solo tasso del 5,51% del 2012, ma ha preferito invece assumere quale arco temporale di riferimento il tasso di rendimento dei BTP degli ultimi cinque anni, ivi compreso quello del 2012. In tal modo, gli effetti della crisi sono stati “calmierati” (così si è espressa l’Autorità) dai rendimenti nella norma registrati negli altri anni presi a riferimento: ciò ha consentito all’Autorità di determinare un valore medio dei BTP, e quindi del parametro RFR, molto più realistico. La ricorrente Telecom contesta fortemente la possibilità di “calmierare” ex post gli effetti, già subiti dalla società, della crisi economica e finanziaria. Ma è evidente che nel caso di specie non si è trattato di “calmierare” in senso tecnico, bensì, più limitatamente, di privilegiare un valore significativo e rappresentativo di un parametro medio, nel quale confluisce anche quello corrispondente al picco più basso determinato dalla crisi economica. Quanto alla definizione del valore dell’ERP, la Commissione ha raccomandato l’utilizzo di un parametro di riferimento internazionale; l'Autorità ha quindi deciso di avvalersi delle analisi di Dimson, largamente riconosciute, basate su medie storiche dei rendimenti azionari a lungo termine (calcolate su 110 anni circa). Segnatamente, per l’ERP, l’Autorità ha utilizzato il valore di 3,4%, come media geometrica, aggiornato al 2012. Dalla rideterminazione dei parametri ERP e RFR secondo le indicazioni della Commissione, l’Autorità è giunta infine a calcolare un valore del WACC per il 2013 pari al 9,33%; valore la cui prossimità a quello vigente fino al 2012 ha consentito di confermare, nel provvedimento finale, il WACC vigente (9,36%). Anche la contestazione inerente l’utilizzo per il solo 2013 di una metodologia storica, laddove per la determinazione del WACC nei periodi 2010-2012 e 2014-2016 si sarebbe utilizzata una metodologia forward looking, è infondata. Invero, nella già citata delibera n. 578/10/CONS, che ha definito il modello di costo per la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom e calcolo del valore del WACC, il valore del WACC stimato per il triennio 2010-2012 non è fondato su metodologie forward looking, atteso che tutti i parametri del WACC sono basati su dati storici. Lo stesso modello è stato poi utilizzato dall’Autorità anche per la determinazione del WACC 2013, previo, come visto, aggiornamento dei parametri soggetti a variazioni. Indi, le valutazioni del WACC per il triennio 2010-2012 e per l’anno 2013 si sono basate su dati storici sia per l’ERP che per il RFR, e, in più, la valutazione del WACC per il 2013 è stata svolta utilizzando dati economici aggiornati a tale anno. Il metodo forward looking è stato seguito solo recentemente, per la determinazione del valore del WACC con riguardo al triennio 2014-2016. Ne consegue che tale metodo, anche alla luce di quanto evocato dalle difese dell’Autorità in ordine alla possibilità di un ripensamento futuro del suo utilizzo, non può dirsi allo stato in alcun modo consolidato nella prassi dell’Autorità. 6. I primi tre motivi di ricorso devono, per tutto quanto precede, essere respinti. 7. Nel passare all’esame degli altri motivi di gravame, con cui Telecom contesta partitamente alcune scelte di metodo effettuate dall’Autorità, il Collegio non può non osservare che mediante tali censure si intende sollecitare l’adesione dell’adito Tribunale a valutazioni di merito diverse da quelle compiute dall’Autorità. Ma tale tipologia di scrutinio, come osservato da tutte le parti private resistenti, non è consentito al giudice amministrativo, senza invadere l’ambito della discrezionalità tecnica riservato all’amministrazione (C. Stato, III, 2 aprile 2013, n. 1856; 28 marzo 2013, n. 1837; Tar Lazio, Roma, I, 21 giugno 2013, n. 6259; C. Stato, VI, 12 febbraio 2007, n. 550; 10 marzo 2006, n.1271; TAR Lazio, Roma, I, 24 agosto 2010, n. 31278; 29 dicembre 2007, n. 14157; 30 marzo 2007, n. 2798; 13 marzo 2006, n. 1898). I limiti del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità amministrativa nelle materie regolate dalle autorità indipendenti sono stati da ultimo ribaditi dalla Corte di Cassazione, ricordando che “Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come nel caso della definizione di mercato rilevante nell’accertamento di intese restrittive della concorrenza – detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini”. (Cass., SS.UU., 20 gennaio 2014, n. 1013). 8. Nell’esame delle predette censure il Collegio si atterrà pertanto alle richiamate coordinate ermeneutiche. 8.1. Alla luce delle argomentazioni appena svolte, che illustrano come l’Autorità, nel calcolare l’RFR (come detto, il rendimento atteso dai titoli pubblici a lungo termine), e nell’esercizio della discrezionalità tecnica che le è propria, si sia attenuta alle richieste della Commissione, di individuare una arco temporale di riferimento tale da consentire di neutralizzare le instabilità del mercato, e ciò mediante il ricorso a un criterio che risulta privo di qualsiasi menda logica (media del tasso di rendimento dei BTP degli ultimi cinque anni), non è fondata la quarta censura, con la quale, in sostanza, Telecom pretende che tale calcolo avrebbe dovuto essere basato sul solo anno 2012. 8.2. Telecom afferma con il quinto motivo di ricorso: - che l’ERP (equity risk premium - rendimento aggiuntivo richiesto per l’investimento in titoli azionari anziché in titoli pubblici), fissato al 3,4%, con notevole riduzione rispetto al 4,5% stabilito nel 2010, nonostante l’imperversare della crisi, sarebbe stato irragionevolmente sottostimato, anche tenendo conto delle richieste della Commissione e alla media europea, e ciò mediante l’utilizzo esclusivo di uno studio (“DMS”), basato sulla serie storica degli ultimi 100 anni, che fornisce due diversi valori ERP, nell’ambito dei quali l’Autorità ha privilegiato (anziché quello più alto, fondato sulla media aritmetica) quello più basso, stimato in base alla media geometrica, ritenuto inaffidabile e privo di capacità predittiva, soprattutto se applicato dopo un periodo di crisi epocale; - che risulterebbe sottostimato anche il Beta (fattore correttivo rappresentativo della specifica rischiosità degli investimenti azionari in imprese attive nella telefonia fissa rispetto ad altri settori economici), rapportato al medesimo valore di 0,85 stabilito nel 2010, ritenendo irragionevolmente che gli investimenti nel settore non siano divenuti più rischiosi. La censura, in entrambi i profili di cui si compone, non convince. Chiarisce infatti l’Autorità nelle proprie difese che il ricorso alla contestata media geometrica è sostenuto nella letteratura tecnica per i casi in cui sussista una correlazione – accertata come sussistente nel caso di specie, stante l’orizzonte di lungo periodo – tra i rendimenti delle azioni e delle obbligazioni, al fine di evitare una sovrastima del parametro. L’Autorità ha anche posto in luce sia la coerenza regolamentare della scelta, avendo determinato l’ERP applicando la medesima metodologia (serie storiche geometriche di Dimson, aggiornate al 2012) della già citata delibera 578/10/Cons, sia la circostanza che la Commissione non ha mai individuato lo specifico (e più alto) valore dell’ERP cui si riferisce la ricorrente. Quanto al valore di Beta, l’Autorità rappresenta che lo stesso è stato determinato prendendo a parametro la media di aziende comparabili ed efficienti, e, soprattutto, che la rete - il cui costo del capitale è remunerato dal WACC - è totalmente realizzata su collegamenti in rame e centrali di vecchia generazione, i cui costi, largamente ammortizzati, sono ormai insuscettibili di subire il rischio d’impresa. 8.3. Secondo la sesta doglianza, l’Autorità avrebbe illogicamente ridotto anche l’ulteriore parametro del “tax rate”, che consente di computare nel costo del capitale anche il costo derivante dalla pressione fiscale sostenuta dalle imprese, ragguagliato al 36%, a fronte del 37% del WACC 20102012 e del WACC 2014-2016, come se, contrariamente al vero, la pressione fiscale si fosse ridotta, e solo nel 2013. La censura va respinta, risultando come anche in tal caso l’Autorità sia pervenuta al contestato valore all’esito di un ponderato apprezzamento. Chiarisce invero il paragrafo D.62 della delibera 747/13/Cons, quanto all’aliquota teorica complessiva di incidenza delle imposte sul risultato d’esercizio, che la stessa “Nel documento sottoposto a consultazione pubblica (con delibera n.221/13/CONS) veniva ridotta dal 37% (valore utilizzato nella precedente analisi di mercato) al 36% circa per effetto della deduzione integrale, dalla base imponibile Ires/Irpef, dell’Irap dovuta in relazione alle spese per il personale dipendente ed assimilato (dall’art. 2, c. 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, il cd. decreto salva Italia). Tale valore, essendo determinato sulla base della normativa di settore, non è soggetto a modifiche per il 2013”. La stessa ricorrente, del resto, pur rinnegandone la valenza, ammette che sul punto l’Autorità ha tenuto conto di sopravvenute norme fiscali. 8.4. Telecom avversa con la settima censura la fissazione dell’ulteriore voce del WACC costituita dal costo del denaro preso a prestito, che avrebbe modificato illegittimamente la metodologia prevista nella delibera n. 578/10/Cons, costituita dall’osservazione dei rendimenti effettivi delle obbligazioni emesse da Telecom sul mercato secondario, sostituendolo con la media del valore facciale – cedola delle obbligazioni emesse da Telecom ancora in circolazione, ciò che costituirebbe un valore storico e non effettivo, in quanto non terrebbe conto delle variazioni di prezzo, intervenute medio tempore nel mercato secondario. La censura non merita condivisione. L’Autorità ha chiarito di aver tenuto conto, nella stima del capitale di debito, della prassi comunitaria, che calcola il premio sul debito come spread rispetto al risk free rate delle obbligazioni emesse su un periodo medio/lungo(tipicamente oltre i 5 anni), che ha richiesto il superamento dell’approccio della delibera n. 578/10/CONS, che assumeva a riferimento il valore delle obbligazioni emesse da Telecom su un periodo di due anni. Decisivo è, poi, sul punto, quanto rilevato dall’Autorità laddove evidenzia come la stessa ricorrente dichiari un costo medio del debito pari al 5,4%, inferiore a quello, cautelativo, definito dall’Autorità. 8.5. Con l’ottavo motivo di ricorso Telecom lamenta che il premio di infrastrutturazione, ragguagliato al 4%, arbitrariamente equiparato al premio di rischio stabilito per gli investimenti sulle reti di nuova generazione, sarebbe troppo basso e non diversificherebbe gli operatori in base alle diverse scelte economiche effettuate. In particolare, non rifletterebbe il rischio aggiuntivo specifico dei servizi erogati sulla rete tradizionale in rame. Inoltre Telecom dubita che la percentuale adottata consenta di raggiungere l’obiettivo auspicato dell’incentivazione dell’infrastrutturazione da parte degli OLO mediante l’acquisto di servizi ULL. La censura non può essere condivisa, atteso che il provvedimento dà ampiamente atto delle ragioni che hanno sostenuto la fissazione del premio di infrastrutturazione nella contestata misura, che non si profilano affette da alcuna illogicità. Come risulta dalla sezione IV.3 della gravata delibera 746/13/Cons, che tratta il tema in questione, l’Autorità, nel fissare il premio di infrastrutturazione, ha tenuto conto proprio dell’ottica della promozione di investimenti nella rete di accesso, in linea con la politica regolamentare (nazionale e comunitaria) di promozione di una competizione infrastrutturale sia sulla rete in rame che in fibra. In particolare, l’Autorità ha considerato il maggiore rischio d’investimento, rispetto a un operatore che utilizza il bitstream, sostenuto da un operatore (incluso Telecom) che utilizza l’accesso fisico (ULL) e i servizi di collocazione nella centrale locale per l’installazione dei propri DSLAM, valutando come investimenti a rischio (in quanto non recuperabili in caso di insuccesso di impresa), rispetto a chi acquista bitstream, i “Costi non ricorrenti (set up costs)” e “DSLAM”. L’Autorità ha indi quantificato tale maggiore rischio in linea con il premio di rischio previsto per gli investimenti in fibra, che, si specifica nelle difese svolte, sostanziando un’attività molto più rischiosa rispetto all’investimento sulle reti in rame tradizionali, è sen’altro idonea a riflettere anche il rischio aggiuntivo dei servizi infrastrutturali erogati sulla rete tradizionale in rame. In tal modo l’Autorità ha riconosciuto una più elevata remunerazione del costo del capitale, tramite un mark-up pari al 4% da applicare al WACC vigente, come detto, nella misura del 9,36%, pervenendo, così, all’applicazione di tale complessivo costo del capitale (13,36%), all’interno del modello BU-LRIC, sugli elementi di rete/attività di cui sopra. Il riconoscimento del costo del capitale maggiorato consente di aumentare lo spazio economico sulla base dell’orientamento al costo tra i costi sostenuti da un operatore ULL, valutati sulla base del WACC del 9,36%, e un operatore che acquista servizi bitstream, valutati sulla base del WACC del 13,36%. Per effetto di quanto sopra, chiariscono le difese dell’Autorità, a parità di altre condizioni, il servizio bitstream costerà il 3% in più (come effetto sui costi di rete dell’applicazione del WACC aumentato del 4%) rispetto al costo sostenuto da un operatore infrastrutturato che acquista ULL e installa i propri DSLAM, rendendo, in finale, maggiormente conveniente l’investimento in ULL, che garantisce un maggior grado di infrastrutturazione. L’Autorità rappresenta infine come il valore del 4% in contestazione sia allineato alle migliori pratiche internazionali, e già approvato all’esito della consultazione pubblica nazionale di approvazione delle OR in fibra ottica relative al 2012 e al 2013. 8.6. Con il nono motivo di gravame Telecom lamenta che la delibera ha azzerato il costo specifico di riparazione dei guasti che occorrono sulle linee di accesso dei servizi WBA cd. “non condivisi”, “bitstream naked”, acquistati dagli OLO solo per erogare all’utenza accesso a internet in banda larga, notoriamente comportanti un tasso di guasti più elevato. Per tali guasti lo schema di provvedimento posto in consultazione pubblica prevedeva una voce di costo aggiuntiva (“manutenzione correttiva addizionale per dati”), da sommarsi al costo del servizio ULL per stabilire il valore del canone di “bitstream naked”. Nel prosieguo, invece, l’Autorità avrebbe acriticamente accolto i rilievi degli OLO, che ritengono tale costo già incluso nel costo di manutenzione correttiva per servizio dati. Si tratterebbe, invece, di costi addizionali di manutenzione, non coperti dal canone mensile che remunera il costo di manutenzione “a livello medio”. Anche tale censura va respinta. L’Autorità rappresenta invero sul punto: - che il canone ULL siccome regolamentato, quale canone unico indipendente dal servizio “voce” o “dati”, già ricomprende il costo di manutenzione correttiva che copre l’attività di riparazione guasti sia di linee “solo voce” che di linee “solo dati”. Esso è stato infatti ottenuto rapportando il costo complessivo di manutenzione correttiva sostenuto da Telecom in un anno, per linee “voce” e “dati”, al numero totale di linee; - che tale costo medio, mediando, appunto, tra i costi leggermente inferiori della manutenzione correttiva delle linee “solo voce” e quelli leggermente superiori della manutenzione delle linee “solo dati”, consente a Telecom di recuperare integralmente il costo di manutenzione correttiva sostenuto su entrambe le tipologie di linee. 8.7. Con l’ultima censura Telecom afferma che la delibera si porrebbe in contrasto con il quadro normativo e regolamentare sotto svariate e complementari angolazioni, in quanto: interverrebbe sugli obblighi tariffari al di fuori dell’indefettibile analisi di mercato, ove sono ammesse solo misure transitorie, che per giunta si era precedentemente vincolata ad attendere; si porrebbe in contrasto con i principi di certezza regolamentare e affidamento nelle determinazioni della delibera n. 476/12/Cons, che stabiliva di applicare interinalmente, ovvero fino alla conclusione dell’analisi di mercato, i prezzi 2012; imporrebbe illegittimamente l’applicazione di condizioni economiche, riduttive del canone mensile di servizio WBA, con efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2013, ciò che, tra altro, disconoscerebbe sostanzialmente la funzione sostanziale del sub procedimento svoltosi in sede comunitaria. Anche tali finali censure non meritano condivisione. In relazione al segmento procedimentale svoltosi presso le sedi comunitarie, è agevole osservare come l’avallo da parte di dette sedi delle scelte compiute dall’Autorità con la qui contestata delibera, su cui lungamente sopra, consente di escludere la sussistenza dell’antinomia decisionale che l’intero ricorso è volto a evocare. In relazione all’efficacia retroattiva delle condizioni economiche, si osserva che le stesse delibere di analisi di mercato poste in consultazione (nn. 731/09/Cons, art. 6, comma 3, e 238/13/Cons., art. 8, comma 4) hanno previsto che le condizioni economiche definite nei procedimenti di approvazione delle OR abbiano efficacia dal 1° gennaio dell’anno di riferimento. In linea generale, poi, si deve rammentare che la questione della legittimità di una decorrenza anticipata dei nuovi prezzi previsti in una OR dell’incumbent, rispetto alla data della delibera recante la sua approvazione, è stata da tempo risolta dalla giurisprudenza amministrativa in senso positivo. Si è osservato, infatti, che la data di partenza della validità annuale dell’offerta indica non il termine entro cui deve concludersi il procedimento di approvazione, bensì solo il termine perentorio a partire dal quale l'offerta e le condizioni ivi contenute – come risultanti dall’esercizio del potere pubblicistico di approvazione assegnato all’Autorità dall'art. 46, comma 2, del d.lgs. n. 259/03, mediante l’adozione di un atto che integra una condizione di efficacia dell'offerta, e come tale destinato ad operare ex tunc – devono spiegare effetti (C. Stato, VI, 20 aprile 2011, n. 2439; Tar Lazio, Roma, III-ter, nn. 4722/2010 e 4713/2010; I, 10 aprile 2014, n. 4032). Quanto al resto, deve convenirsi con le difese dell’Autorità laddove chiariscono che nel 2012 era stato lo stesso mercato a chiedere all’Autorità di anticipare la definizione dei prezzi 2013 nei procedimenti di approvazione delle offerte di riferimento, consentendo così agli OLO di pianificare le proprie strategie, senza attendere i tempi necessari all’analisi di mercato, e che di tanto il mercato è stato di tanto avvisato per tempo, avendo l’Autorità resa nota agli operatori tale sua determinazione già nel dicembre 2012, con la delibera n. 642/12/Cons, tant’è che la stessa Commissione, nella raccomandazione più volte citata, ha concluso nel senso che l’Autorità non ha violato il principio comunitario della predicibilità dell’azione regolamentare. 9. Per tutto quanto precede, il ricorso di Telecom avverso la delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 746/13/Cons deve essere respinto. Conseguentemente, il ricorso incidentale di Fastweb – che come detto riproduce il ricorso autonomo N.R.G. 3896/14 interposto da Fastweb avverso la stessa delibera n. 746/13/Cons, trattenuto contestualmente in decisione e pertanto comunque da esaminarsi singolarmente in tal sede – può essere dichiarato improcedibile. Tenuto conto della novità e della complessità delle questioni controverse, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe: - respinge il ricorso di Telecom Italia s.p.a.; - dichiara improcedibile il ricorso incidentale di Fastweb s.p.a.; - compensa integralmente le spese di lite tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 19 novembre e del 17 dicembre 2014, con l'intervento dei magistrati: Luigi Tosti, Presidente Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore Ivo Correale, Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/02/2015 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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