La CROCE

La CROCE
nella nostra chiesa nel Tempo Pasquale
Alla croce collocata nel presbiterio si rischia di non
darle rilievo perché abituati a vedere il Crocifisso in
quel luogo. Invece è bene guardare, contemplare la
croce sostenuti dalle parole di Giovanni dopo il
colpo di lancia del soldato sul Goldota: “Questo
avvenne perché si compisse il passo della scrittura:
Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”
(Gv.19,37)
La contemplazione della Croce è sempre frutto di un
dono, che lo si scopre alzando lo sguardo e non è
sempre facile accorgersene.
La “nostra” croce non è solo una croce. Il
Crocefisso non è evidente, ma c’è, ci sono delle
tracce precise: il sangue che esce dai segni dei
chiodi delle mani, dei piedi e del costato. Ci sono
delle striature di bianco vivido da cui sembra vedere
qualcosa di indefinito. Gesù sulla Croce, dopo i
tormenti della Passione, ha come perduto i
lineamenti precisi della sua umanità.
L’immagine della Croce suggerisce anche un’altra
riflessione: la figura precisa di Gesù non si vede
perché essa è assorbita totalmente nella croce stessa.
Il Crocefisso è immerso nella Croce, è inseparabile
dalla Croce. Persino nel Risorto rimangono visibili i
segni delle trafitture.
Nell’eterna gloria, come dice nella lettera agli Ebrei ( 9,24 ss ) il Cristo sta davanti al Padre, intercedendo
per sempre a nostro favore, mostrando a Lui le sue ferite gloriose.
E cosi la croce finisce definitivamente di essere maledizione, peso, vergogna: infatti il Cristo l’ha
vivificare con il suo abbraccio amoroso.
Che cosa resta, ora, davanti a noi di questo divino e salvifico connubio, di questa definitiva fusione tra il
Cristo e il legno della sua Croce? Restano i doni derivanti dalla croce e testimoniati dallo stesso
Vangelo: “Vedendo che Gesù era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati, con una
lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19,33). Sono doni vivi, visibili e per
sempre operanti soprattutto nella celebrazione dei divini misteri: il sangue rosso e vivo che si effonde e
cala giù abbondante sull’altare dell’Eucarestia, sacramento del corpo e del sangue di Cristo che viene
attualmente sparso per la remissione dei peccati; e l’acqua, le linee candide che ornano la croce, la
divinità, la grazia, l’effusione dello Spirito. Quelle tracce luminose ricordano il simbolo radicale di
quell’acqua: segno di un amore che ha donato tutto, fino all’ultima stilla, continuando anche oltre la
morte, trionfando su di essa e vincendola definitivamente, luce che brilla e vince le tenebre del peccato.
Ci ricordano ancora, l’acqua del sacramento del battesimo, il sacramento che incorpora la vita del
cristiano a quella del suo Maestro.
Questa immagine della Croce non è squadrata esattamente, ma è un po’ “avvolgente” l’assemblea dei
fedeli. Questo quasi abbraccio sta come una offerta che diventa un invito e una proposta. La croce si
offre al fedele che partecipa all’Eucarestia dispiegandosi davanti a lui, non solo per essere contemplata,
ma anche quasi a far scivolare verso di lui il suo dono, si propone invitando ad accogliere il suo
insegnamento a partecipare e condividere la stessa sorte del Maestro. Lo fa silenziosamente, senza
pressioni e forzature, solo mostrandosi e invitando a ricambiare l’abbraccio.
Ti saluto, ti amo, ti adoro o Croce Santa, sii grazia e forza per la mia vita!