OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA, ALLA S. MESSA PER L’APERTURA DELL’OSTENSIONE DELLA SINDONE (Torino, Cattedrale, 19 aprile 2015) Il Vangelo della terza domenica di Pasqua (Lc 24,35-48) ci introduce all’ostensione della Sindone che da oggi svela la sua realtà agli occhi e al cuore di tanti pellegrini che si accosteranno con devozione e amore a questo sacro Telo fino al 24 giugno prossimo. I discepoli del Signore, che appaiono dubbiosi, stupiti e spaventati di fronte alla vista di Gesù risorto e pensano di vedere un fantasma, sono lo specchio di tanti che, in questi tempi travagliati e complessi, non hanno più occhi per vedere e riconoscere davanti a sé il Signore risorto, fonte prima di speranza e di forza per affrontare serenamente e con coraggio il cammino della vita e i problemi che via via si presentano, sia sul piano della fede che della famiglia, del lavoro e della vita sociale. I loro occhi sono impediti come quelli dei due discepoli di Emmaus, che Gesù sprona a non essere increduli e accompagna ad accogliere e comprendere bene le Scritture, dove era scritto che il Cristo doveva patire e risuscitare dai morti il terzo giorno. In questi mesi, ci metteremo in cammino per compiere quel percorso di preghiera e di fede che ci condurrà a sostare davanti alla Sindone, per vedere con gli occhi – ma soprattutto con il cuore – i segni della Passione e morte del Signore che questo sacro Telo contiene in modo così mirabile e pienamente rispondente a quanto i Vangeli ci hanno trasmesso. Fissiamo il sacro Telo con l’intensa meraviglia di chi si accosta alla prova dell’Amore più grande rivelato da questa immagine, tanto unica da differenziarsi da mille altre, prodotte da mano d’uomo secondo canoni noti della tradizione della pietà e dell’arte. Accanto alla venerazione che tutte le accompagna, una particolare intensità si riversa su questo commovente “specchio del vangelo” – secondo la definizione di San Giovanni Paolo II. Poniamoci dunque sulla scia di generazioni di pellegrini che hanno compiuto questo percorso per incontrare la Sindone, segno doloroso e glorioso, tanto efficace, dell’amore redentivo del nostro dolce Signore. Ci farà bene sentirci gocce nel fiume, che scorre nei secoli, di un’umanità bisognosa di Dio, del suo affetto misericordioso, della sua comprensione amorosa e solidale, e sentirci amati ognuno di amore di predilezione, accolti in un abbraccio affettuoso, che ci rincuora e ci unisce. Allora, insieme a papa Francesco comprenderemo che non siamo noi che guardiamo quel Volto, ma ci sentiremo guardati e invitati a non passare oltre, con superficialità, a tanta sofferenza attorno a noi e nel mondo. È la prova più toccante che Lui, il nostro Signore e Redentore, non ha voluto passare oltre la nostra miseria, ha invece voluto condividere ogni nostra sofferenza. Da quest’intensa esperienza di amore egli ci invita a uscire – fuori dell’accampamento, fuori delle nostre pigre sicurezze –, per andare ad annunciarlo a un mondo che ha bisogno di lui senza rendersene conto. La ragione stenta a piegarsi, ad accettare: che cosa può fare per noi chi è senza vita? Ma la fede insiste nell’affermare che Egli è il Redentore dal quale, nella totale impotenza della morte, nasce per tutti la pienezza della vita, per sempre. Sono i controsensi e le sfide della Sindone, specchio della massima impotenza e testimone del massimo beneficio, dell’Amore più grande. Allora un messaggio si leva da quel Volto che non dobbiamo trascurare, espresso con semplicità in una poesia piemontese: «Guardate in che misero stato le vostre colpe mi hanno ridotto». Non dobbiamo prendere alla leggera un amore pagato a così caro prezzo. E non dobbiamo lasciarci sconcertare dall’atteggiamento indifferente di un mondo che in realtà nasconde tante sofferenze e tante potenzialità di bene. Il seminatore non è meno generoso oggi che in passato e proprio nell’inadeguatezza della nostra collaborazione mostra la gratuità onnipotente del suo amore sovrano. Quanti doni sentiamo di voler chiedere davanti al sepolcro di Gesù, giunti a questo punto della nostra vita! Il sepolcro è punto di arrivo ma anche nuovo inizio di un processo della memoria: chi è passato da questa vita ha terminato di accumulare ricordi per sé, ma al contempo lascia a chi viene dopo di lui il patrimonio delle realizzazioni della propria esistenza. La Sindone è ricordo della bontà di Dio manifestata nella nostra vita attraverso tanti doni che ognuno ha ricevuto nei passaggi provvidenziali della propria vicenda; al contempo è ricordo anche del dolore che abbiamo procurato al Figlio con le cattive scelte operate lungo il nostro cammino. Sale spontanea dal cuore, davanti alla Sindone, la preghiera di ringraziamento per quanto di positivo c’è stato nel nostro passato e la preghiera di impetrazione perché non restiamo mai sopraffatti dal peso degli errori commessi: la grazia di resistere ai ricordi. La sua misericordia è molto superiore alla nostra indegnità. Di fronte alla memoria vogliamo impegnarci a non disperdere un patrimonio che abbiamo ricevuto gratuitamente e chiediamo anche la forza di procedere con coraggio e fiducia, senza abbatterci per quanto di negativo abbiamo accumulato nel nostro passato. Ma ecco, subito lo sguardo si allarga ben al di là della nostra cerchia personale, se appena proviamo a entrare nelle prospettive del nostro Redentore e a prendere consapevolezza dei bisogni e delle sofferenze di ogni genere che travagliano l’umanità intera nel nostro tempo. Il piano di Dio, creatore e padre, che ha affidato all’uomo la cura del creato, dotandolo di ricchezze di ogni genere, è contrastato da un egoismo che crea disuguaglianza e disperazione in chi è debole, indifeso, sofferente. Lo sguardo rivolto alla Sindone incontra la mite presenza della carità totale, dimentica di sé, misericordiosa. E questo rappresenta per noi un continuo invito alla fiducia, all’incontro con lui in compagnia di tutti i nostri fratelli; invito a farci solidali con la sorte di quanti sentono venir meno forze fisiche e forze morali e sentono salire intorno a sé il freddo dell’abbandono e nel loro cuore il freddo della disperazione. Anche l’esperienza benedetta del pellegrinaggio alla Sindone, l’esperienza di tutta quanta l’ostensione passa, come passa tutta la “scena” di questo mondo (cfr. 1Cor 7,31) e tutti noi potremo solo più ricorrere al ricordo. Ma l’esperienza di questa povertà assoluta del Crocifisso abbandonato nel sepolcro ci arricchirà in una misura che non ci sarà tolta, se ci lasceremo conquistare dall’amore che essa attesta e comunica. E l’amore non passa, perché l’amore è Dio con noi, il Padre «che non ha risparmiato suo Figlio», per noi, e ci vuole donare ogni cosa insieme a lui (cfr. Rm 8,32). «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48): l’annuncio pasquale risuoni nei nostri cuori nel contemplare la Sindone, che ci conduce per mano dal Venerdì Santo alla Risurrezione, per rivelarci quanto l’Amore più grande ha vinto la morte e dona la vita. Di questo annuncio siamo chiamati ad essere testimoni ogni giorno, mediante i segni di quella carità che suscita speranza nel cuore dei poveri e di chiunque l’accoglie con fede.
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