Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 111 (46.949) Città del Vaticano lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 . Quattro suore canonizzate dal Pontefice Papa Francesco alle religiose e ai religiosi di Roma Il segreto dei santi Donne in tensione Appello per la pace in Burundi e in Terra santa di LUCETTA SCARAFFIA «Dimorare in Cristo, uniti a lui come i tralci alla vite, per portare molto frutto»: è questo «il segreto dei santi» indicato da Papa Francesco ai fedeli che domenica mattina 17 maggio, in piazza San Pietro, hanno partecipato alla messa per la canonizzazione di quattro donne: Giovanna Emilia de Villeneuve, fondatrice della congregazione delle suore dell’Immacolata Concezione di Castres, Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, fondatrice della congregazione delle suore vittime espiatrici di Gesù sacramentato, Maria Alfonsina Danil Ghattas, fondatrice della congregazione delle suore del rosario di Gerusalemme, e Maria di Gesù Crocifisso, monaca professa dell’ordine dei carmelitani scalzi. All’omelia il Pontefice ha riproposto sinteticamente le figure e i carismi delle quattro nuove sante, individuando il filo conduttore nella volontà di «rimanere in Dio e nel suo amore, per annunciare con la parola e con la vita la risurrezione di Gesù, testimoniando l’unità fra di noi e la carità verso tutti». Il loro «luminoso esempio interpella anche la nostra vita cristiana» ha ricordato ai fedeli durante la celebrazione, prima di lanciare un appello per «il caro popolo del Burundi, che sta vivendo un momento delicato». Il Signore — ha auspicato introducendo la preghiera del Regina caeli al termine ome «è possibile valorizzare la presenza della donna, e in particolare della donna consacrata, nella Chiesa»? Con queste parole rivolte ai consacrati — di cui, come ha rilevato lui stesso, le donne costituiscono l’ottanta per cento — ancora una volta Papa Francesco fa capire con la consueta schiettezza quanto per lui sia importante definire in modo innovativo il ruolo delle donne nella vita della Chiesa. Ne parla quasi in ogni intervento e, a poco a poco, il suo pensiero in proposito si rivela in modo sempre più chiaro. Si tratta di un pensiero rivoluzionario che non deve niente alle ideologie che si sono affermate nel mondo laico, ma che discende direttamente dalla tradizione cristiana, pur indubbiamente sollecitata dai cambiamenti che sono avvenuti nella società occidentale, dove oggi le donne godono degli stessi diritti e delle stesse possibilità degli uomini. È un tema che Bergoglio aveva posto sul tavolo già all’inizio del pontificato, dicendo che bisognava approfondire una teologia della donna. Chiariva così subito che non aveva intenzione di leggere la questione in termini di potere, ma di cambiamento profondo del sentire della Chiesa. Un cambiamento che doveva giungere fino alle radici del pensiero teologico, e doveva ar- C della messa — aiuti tutti a fuggire la violenza e ad agire responsabilmente per il bene del Paese». L’invito a pregare per «la pace tra i popoli» è stato poi rinnovato lunedì mattina, durante l’udienza alle religiose giunte a Roma per la canonizzazione di suor Maria e di suor Alfonsina. «Vi do una missione: pregare le due nuove sante — ha detto nel corso dell’incontro svoltosi nella Sala Clementina — per la pace nella vostra terra, perché finisca questa guerra interminabile e ci sia la pace fra i popoli. E pregare per i cristiani perseguitati, cacciati via dalle case, dalla loro terra e vittime della persecuzione “con i guanti bianchi”: è nascosta, ma si fa! Persecuzione “con i guanti bianchi” e terrorismo “in guanti bianchi”. Pregate tanto per la pace». PAGINA 8 Primo voto al Consiglio sull’agenda per l’immigrazione In gioco la forza e la credibilità dell’Europa y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"!,!=!}! BRUXELLES, 18. «La forza e credibilità dell’Europa nello scenario internazionale sulla questione della gestione dell’immigrazione dipende dall’assunzione, per la prima volta, della responsabilità comune dell’accoglienza». Queste le parole, oggi, pronunciate dall’alto rappresentante Ue per la Politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, arrivando oggi alla sede del Consiglio europeo a Bruxelles, dove è in programma la discussione e la votazione su una parte dell’agenda sull’immigrazione — quella relativa alla lotta contro i trafficanti di uomini — adottata nel vertice straordinario dello scorso 23 aprile. I ministri degli Esteri e della Difesa dei ventotto si incontrano a Bruxelles per due sessioni del consiglio Ue, prima separate e poi congiunte, per discutere, fra gli altri temi, dell’emergenza migranti nel Mediterraneo. I ministri dovrebbero dare il primo via libera alla missione navale europea contro i trafficanti di esseri umani. «Oggi mi aspetto la decisione politica formale di stabilire l’operazione navale, quindi l’indicazione di un quartier generale e di un comando» ha detto Mogherini. L’arrivo nel porto di Messina (Ap) La missione navale — secondo quanto ha indicato, come detto, il vertice Ue straordinario sull’immigrazione del 23 aprile scorso, e poi proposto dalla Commissione europea nella sua agenda sulle politiche di immigrazione — avrà lo scopo di individuare, catturare e distruggere i barconi dei trafficanti nelle acque e nei porti libici, prima che possano essere usati per trasportare i migranti. Sul piano navale c’è finora un consenso di massima fra gli Stati. Non c’è invece consenso sull’altra parte dell’agenda, quella che riguarda il sistema delle quote per la distribuzione dei migranti. Le quote sono state previste per ripartire equamente fra i Paesi membri il flusso di rifugiati che approdano nell’Ue. Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha criticato ieri la proposta europea sulle quote, sostenendo che «non corrisponde alla posizione della Francia». Valls si è detto contrario alle quote applicate, afferman- do che in eventuali quote devono essere considerati anche i migranti già presenti in ciascun Paese. Per Valls la prima cosa da fare è rafforzare i controlli: «La Francia è favorevole a un sistema europeo di guardie di frontiera». Dovrà essere Parigi, non Bruxelles, a stabilire quanti stranieri la Francia è in grado di accogliere ogni anno. Diversa la linea seguita dall’Italia, che chiede maggiore cooperazione. «Nessuno può pensare di lasciarci di nuovo soli a gestire la drammati- ca situazione dell’Africa e del Medio oriente. L’Italia non può continuare a pagare un prezzo alto, come ha invece fatto finora» ha detto oggi il ministro degli Interni italiano, Angelino Alfano. La Francia «è sempre stata al nostro fianco nel chiedere un intervento dell’Europa in materia di immigrazione, sarebbe assurdo se avesse cambiato posizione proprio adesso». E intanto, cinque scafisti sono stati arrestati oggi a Ragusa con l’accusa di traffico di migranti. I particolari dell’uccisione di Abu Sayyaf in un blitz statunitense nell’est della Siria L’Is riprende Ramadi ma fallisce l’attacco a Palmira BAGHDAD, 18. Le milizie dello Stato islamico (Is) ottengono un successo sul fronte iracheno di Ramadi, ma falliscono l’attacco alla città siriana di Palmira. A Ramadi, capoluogo della provincia di Al Anbar, il gruppo jihadista ha obbligato alla ritirata le forze governative che l’avevano riconquistata in aprile. È pesantissimo il bilancio riferito da un portavoce del governatorato provinciale, Muhannad Haimour, secondo il quale circa cinquecento persone — non solo soldati, ma anche civili — sono state uccise negli ultimi giorni nella città, da dove sono fuggiti altri ottomila abitanti. I nuovi profughi si aggiungono agli oltre 114.000 che secondo l’Onu avevano lasciato la città in aprile. La sconfitta a Ramadi è stata di fatto confermata dalla portavoce del comando statunitense, Elissa Smith, secondo la quale «Ramadi è stata contesa dall’estate scorsa e l’Is è adesso in vantaggio». La portavoce ha comunque aggiunto che la perdita della città non significa una svolta della campagna militare in favore del gruppo jihadista. È stato invece respinto dall’esercito siriano l'attacco sferrato dall’Is nella provincia di Homs, dove le milizie jihadiste hanno cercato di conquistare — e presumibilmente distruggere, dati i precedenti — il sito di Palmira, una delle aree archeologiche più preziose al mondo. L’esercito ha eliminato gli ultimi gruppi di miliziani nel villaggio di Al Ameriyeh, a nord-est di Palmira, e sulle colline che sovrastano il sito archeologico, ora al sicuro. Anche su questo fronte si è pagato un pesante prezzo di vite umane: fonti dell’opposizione siriana riferiscono di quasi trecento morti, 123 soldati e loro alleati, 115 miliziani dell’Is, ma anche 57 civili. Nel frattempo sono arrivati la conferma e i particolari del blitz compiuto dai militari statunitensi della Delta Force nelle prime ore notturne di sabato nell’est della Siria e nel quale è stato ucciso Abu Sayyaf, l’uomo chiave per i finanziamenti dell’Is, soprattutto con la vendita del petrolio e del gas delle zone occupate in Iraq e in Siria. I militari statunitensi sono arrivati in elicottero dal vicino Iraq e hanno attaccato una palazzina nel giacimento di Al Omar, il più grande della Siria, conquistato dall’Is la scorsa estate e dove l’intelligence aveva accertato la presenza di Abu Sayyaf. Dopo un lungo combattimento con i miliziani che lo difendevano, gli uomini della Delta For- ce hanno infine trovato all’interno della palazzina Abu Sayyaf, in una stanza dove si nascondeva con la moglie. Abu Sayyaf è stato ucciso, mentre la moglie è stata arrestata e trasferita successivamente in un luogo sicuro in Iraq. L’attacco era stato autorizzato dal presidente Barack Obama, che finora era stato sempre riluttante a impegnare truppe di terra contro l’Is. «Andremo avanti con lo sforzo teso a indebolire e infine a distruggere l’Is», ha commentato la Casa Bianca. «Per i terroristi non esistono rifugi sicuri», ha sottolineato il segretario alla Difesa statunitense, Ashton Carter. rivare a trasformare del tutto la percezione della donna nel mondo clericale, talvolta anche fra le donne stesse. Nel dialogo con le religiose e i religiosi di Roma, questa posizione è emersa nuovamente, con maggiore concretezza: «Quando mi dicono: “No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio”. Sì, possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. È più profondo e va su questa strada. Sì, che faccia queste cose, che vengano promosse — adesso a Roma ne abbiamo una che è rettore di una università, e ben venga! — ma questo non è il trionfo. No, no. Questa è una grande cosa, è una cosa funzionale; ma l’essenziale del ruolo della donna va — lo dirò in termini non teologici — nel fare in modo che lei esprima il genio femminile». Questa è la trasformazione che il Papa chiede per le donne, e che ha come conseguenza quella di considerare finalmente interessante, importante, ciò che le donne pensano, dicono, scrivono. Bergoglio propone, in sostanza, che la Chiesa, finora diretta e pensata solo dagli uomini, cominci finalmente a respirare con i suoi due polmoni, dando cioè ascolto e importanza al punto di vista delle donne. Ed è ovvio che le prime a dover essere valorizzate sono le religiose, che — lo ricorda — sono «figura» della Chiesa. Donne che il Pontefice descrive con un’espressione nuova, mai applicata finora alle monache o alle suore, che si preferisce pensare obbedienti e remissive: donne «in tensione». E Papa Francesco apre loro una strada che — se pure non nuova — è stata sempre poco o nulla riconosciuta: quella di direttore spirituale. Sappiamo che nella storia della Chiesa molte sono le donne che l’hanno esercitata, a cominciare da sante come Ildegarda, Caterina e Teresa. Ma si è sempre preferito pensare che i religiosi a loro legati da un rapporto spirituale si limitassero ad ascoltare attraverso le loro parole il messaggio di Dio. Come se fossero solo un canale di trasmissione, privo di pensiero e di volontà. Bergoglio invece si riferisce alla loro esperienza, alla loro saggezza: qualità personali cresciute nel tempo, nel corso di un cammino spirituale personale. Si tratta di un’altra novità — non scontata — che Francesco propone alla riflessione, offre come bussola per un cambiamento sempre più necessario, sempre più urgente. Il discorso Le nuvole, le mura il mondo PAGINE 4 E 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di sabato 16 l’Eminentissimo Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, con il Reggente della Penitenzieria Apostolica, Sua Eccellenza Monsignor Krzysztof Jósef Nykiel. Auto in fiamme a Ramadi (Reuters) Il Santo Padre ha presieduto questa mattina, nella Sala Bologna, una riunione dei Capi Dicastero della Curia Romana. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 Rifugiati burundesi sulle sponde del lago Tanganyika (Reuters) Tsipras punta sull’accordo con i creditori in vista del vertice dell’Ue Atene non accetta ultimatum Lavoro e pensioni i punti in discussione ATENE, 18. Il Governo greco non accetterà ultimatum dai creditori internazionali né dall’Unione europea. Questa la posizione del premier ellenico, Alexis Tsipras, sottolineata ieri dal portavoce di Syriza, Nikos Filis. «Il mandato del popolo è di ottenere un accordo con i creditori con il quale la Grecia resti nell’euro senza pesanti misure di austerity» e i negoziati «si concluderanno prima del summit europeo del 21-22 maggio». Nel caso in cui le richieste dei creditori fossero in contrasto con il programma di Syriza — ha ribadito il portavoce — il Governo di Tsipras è pronto a indire un referendum. La Grecia, in ogni caso, ha completato ieri il piano delle proposte ai creditori nella speranza di ricevere una risposta positiva prima del vertice. L’accordo dovrebbe sbloccare la tranche di 7,2 miliardi di euro di fondi di salvataggio. Secondo la stampa, sarebbero cinque le aree chiave su cui Atene e i suoi creditori stanno ancora discutendo e su cui si dovrà lavorare nei prossimi giorni: le previsioni macroeconomiche, gli obiettivi finanziari, le nuove misure fiscali, la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni. Nonostante le difficoltà di liquidità, il ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, ha assicurato che verranno pagati regolarmente stipendi e pensioni. Da Berlino intanto, arriva una nuova “doccia fredda”. Il ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel, ha ribadito ieri che la Grecia «riuscirà a prendere altri aiuti finanziari solo se porterà» avanti le riforme. Secondo Gabriel, il referendum sul piano di salvataggio potrebbe essere di aiuto per velocizzare le riforme. «Un terzo pacchetto di aiuti è possibile solo se le riforme saranno implementate» ha detto il ministro. L’uscita della Grecia dalla zona euro, secondo Gabriel, non sarebbe pericolosa solo economicamente, «ma anche politicamente». La situazione, comunque, non appare buona agli occhi della Banca centrale europea (Bce). Yves Mersch, uno dei membri del Consiglio direttivo della Bce, ha detto ieri che i conti greci non vanno. Il ministro delle Finanze greco Varoufakis (Ansa) Le tensioni tra hutu e tutsi si sommano a quelle politiche Spettro etnico sulla crisi in Burundi Visita ufficiale di Mattarella in Tunisia Decine di migliaia di persone occupano il centro della capitale Skopje Contro il terrorismo un patto di civiltà Dilaga la protesta dell’opposizione macedone ROMA, 18. «Per aiutare la Libia a uscire da una guerra civile occorre una soluzione politica e non militare che consenta che si formi un Governo di unità nazionale che riporti uno Stato funzionante». Così è intervenuto oggi il presidente della repubblica italiana, Sergio Mattarella, parlando dalla Tunisia, in quella che è la sua prima visita ufficiale in territorio non europeo. «È nostra speranza che la comunità internazionale, i Paesi vicini, l’Unione europea e le Nazioni Unite trovino gli strumenti per aiutare la Libia sulla via della pacificazione» ha aggiunto il capo dello Stato, che ha avuto colloqui con il presidente tunisino, Beji Caid Essebsi, e con il primo ministro, Habib Essid. «Siamo in piena condivisione di intenti — ha detto il titolare del Quirinale — nello stipulare un patto di civiltà» contro il terrorismo. «È una lotta comune a difesa della civiltà e della pacifica convivenza». La crisi libica e la lotta al terrorismo non sono stati i soli argomenti sul tavolo del vertice. L’altro grande nodo, sul quale i due Paesi hanno espresso piena sintonia, è stato quello dell’immigrazione. A riguardo, i rappresentanti tunisini hanno sollevato il problema rappresentato dal fatto che le tragedie del mare purtroppo hanno come vittime molti giovani, donne e adulti di cui si perdono le tracce. E non è possibile per i familiari che restano sulla sponda sud del Mediterraneo, avere notizie di alcun tipo. «Faremo di tutto per cercare e raccogliere le notizie», ha promesso Mattarella, «e cercare di sanare una ferita così grave dando informazioni tempestive al Governo tunisino». La visita di Mattarella prevede anche, non a caso, la firma di una serie di accordi di collaborazione in campo economico. L’Italia metterà infatti a disposizione oltre undici milioni e mezzo di euro come donazioni, cinquanta milioni di euro come crediti d’aiuto e venticinque milioni di euro del debito tunisino verranno convertiti in progetti di sviluppo. Un passo concreto — dicono gli analisti — con cui Roma mostra la volontà di porsi come interlocutore privilegiato di Tunisi, in qualche modo un suo rappresentante all’interno dell’Unione europea. «Intendiamo sollecitare l’Unione europea affinché si sviluppi il più possibile la cooperazione con la Tunisia» ha dichiarato Mattarella. «È un punto, questo, fondamentale. Ed è ugualmente necessario dare piena attuazione alle intese già esistenti». Questo pomeriggio il capo dello Stato italiano si recherà all’Assemblea dei rappresentanti del popolo, dove terrà un discorso in una riunione straordinaria. Mattarella visiterà anche il museo nazionale del Bardo, colpito dall’attentato esattamente due mesi fa. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va SKOPJE, 18. Dilaga la protesta antigovernativa nell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, dopo i sanguinosi scontri tra manifestanti e polizia che la settima scorsa hanno provocato diciotto morti a Kumanovo. Ieri decine di migliaia di persone hanno occupato il centro della capitale Skopje e si dicono determinate a restarvi finché non arriveran- no le dimissioni del primo ministro conservatore, Nikola Gruevski, accusato, oltre che di corruzione e autoritarismo, di aver fatto spiare ventimila persone. All’indomani degli scontri di Kumanovo si erano dimessi i ministri dell’Interno, dei Trasporti e Comunicazioni e il capo dei servizi segreti. Ma per i manifestanti non è suf- e tutsi. Molti osservatori temono ora una riesplosione di quel conflitto, che, pur senza arrivare alle tragiche conseguenze del genocidio in Rwanda, provocò anche in Burundi decine di migliaia di morti. La conferma di una situazione pericolosa e volatile, nonostante il fallimento la scorsa settimana di un tentativo di colpo di Stato militare, viene dall’annuncio, ieri, dello sgombero da Bujumbura di cittadini stranieri. Il portavoce del dipartimento di Stato di Washington, Jeff Rathke, ha comunicato che una ventina di statunitensi, quattro canadesi e altri stranieri sono stati aiutati a lasciare la capitale burundese con voli verso quella rwandese, Kigali. Rathke ha aggiunto che gli Stati Uniti hanno ricevuto richieste di aiuto da «diverse missioni diplomatiche». Da parte sua, Nkurunziza, nella sua prima riapparizione in pubblico dopo il tentato colpo di Stato, non ha fatto riferimento né a questo né alle proteste, sostenendo invece che a incombere sul Burundi sarebbe la minaccia delle milizie radicali islamiche somale di Al Shabaab, visto che il Burundi stesso fornisce truppe all’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia, insieme con Kenya e Uganda, già colpite da attacchi terroristici. Durante il tentativo di golpe, il presidente si trovava a Dar es Salaam, in Tanzania per discutere con i capi di Stato dei Paesi dell’Africa orientale sulle emergenze internazionali, come quella rappresentata dal gruppo islamista somalo. Non mancano, peraltro, analisti secondo i quali il riferimento alla minaccia di Al Shabaab potrebbe essere un pretesto per dare più potere ai servizi di sicurezza e per reprimere le nuove e annunciate manifestazioni. Poche ore dopo l’annuncio del colpo di mano dei militari, Bujumbura si è trasformata in un campo di battaglia tra le truppe golpiste, comandate dal generale Godefroid Niyombare, e quelle fedeli a Nkurunziza con un bilancio di almeno cinque soldati uccisi. Nel giro di due giorni, la situazione si è capovolta con l’annuncio dell’arresto di diciassette ufficiali, compresi cinque generali, tra i quali non figura comunque Niyombare. Ma le proteste antigovernative sono proseguite. BUJUMBURA, 18. Le tensioni tra hutu e tutsi si sommano in Burundi a quelle politiche degenerate da settimane in proteste e scontri di piazza in seguito alla decisione del presidente, Pierre Nkurunziza, di candidarsi a un terzo mandato nelle elezioni previste a giugno, in quella che l’opposizione giudica una violazione del dettato costituzionale e degli accordi di pace che nel 2000 misero fine a quindici anni di guerra etnica e civile appunto tra hutu ficiente. Il leader dell’opposizione socialdemocratica promotrice della manifestazione, Zoran Zaev, ha ribadito, oltre alla accuse a Gruevski, la richiesta di un Governo ad interim che prepari elezioni anticipate. Il presidente rifiuta però di cedere alle pressioni. E per oggi è stato convocato, sempre a Skopje, un raduno dei suoi sostenitori. Approvato il decreto sui rimborsi delle pensioni ROMA, 18. Il Consiglio dei ministri italiano ha approvato questa mattina il decreto che prevede il rimborso dei pensionati che hanno subito il blocco della rivalutazione. L’annuncio è stato dato in conferenza stampa dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, secondo cui «si tratta di due miliardi e 180 milioni che verranno ricevuti da 3,7 milioni di pensionati il primo agosto». I rimborsi saranno rilasciati nella forma di bonus una tantum da 278 a 750 euro, esclusi gli assegni sopra i 3200. Per il presidente del Consiglio, il decreto è «un segnale alle istituzioni e ai mercati internazionali che non c'è nessuna tensione preelettorale che ci fa essere timidi rispetto alla realtà». Il testo è stato deciso ed elaborato dopo la sentenza della Consulta costituzionale sul mancato adeguamento dei trattamenti previdenziali al costo della vita, deciso dall’Esecutivo Monti con il decreto Salva Italia per il biennio 2012-2013. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Manifestanti a Skopje (Ap) Feroce strage di Boko Haram in una stazione di autobus Un’altra bambina usata come bomba ABUJA, 18. Boko Haram persiste nella sua feroce strategia terrorista di ricorso ad attentatrici suicide giovanissime o, meglio, a bambine trasformate in bombe. È accaduto di nuovo nel fine settimana in una stazione di autobus a Damaturu, nello Stato nordorientale nigeriano del borno, dove una ragazzina, sembra dodicenne, si è fatta esplodere uccidendo sette persone oltre a se stessa e ferendone altre trentatré, alcune delle quali ricoverate in ospedale in pericolo di vita. Questo tipo di attentati sono incominciati nel nord- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va est della Nigeria da quasi un anno, a conferma di una progressiva radicalizzazione della ferocia del gruppo jihadista. La stessa stazione degli autobus di Damaturu e il mercato all’aperto che vi sorge vicino erano già stati insanguinati da altri attentati analoghi. Al tempo stesso, Mustapha Zannah, il vicegovernatore dello Stato del Borno, che di Boko Haram è il principale teatro d’azione, ha detto che ci sono informazioni certe dell’intelligence sul fatto che circa seicento donne sarebbero pronte ad Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale attaccare la capitale statale Maiduguri con attentati suicidi. Da parte loro, le forze armate nigeriane continuano a rivendicare successi militari contro Boko Haram. Secondo un comunicato diffuso ieri, dieci campi del gruppo jihadista sono stati distrutti nel fine settimana nella foresta di Sambisa, sempre nel Borno, molti miliziani sono stati uccisi e ingenti quantitativi di armi, anche pesanti, sono stati sequestrati. Anche sul piano militare, comunque, Boko Haram mostra di avere Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 ancora un’evidente capacità di colpire. Tre giorni fa, il gruppo jihadista è riuscito a riprendere, sempre nel Borno, la città di Marte, di assoluta rilevanza strategica, dato che controlla la principale arteria stradale dell’area, quella che passa per Maiduguri e conduce in Camerun e in Ciad. L’esercito era riuscito a febbraio a strappare Marte a Boko Haram che l’aveva occupata nel maggio dell’anno scorso e averla dovuta cedere di nuovo costituisce una sconfitta di rilievo per le forze governative. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 pagina 3 Bombe della coalizione a guida saudita colpiscono un avamposto dei ribelli sciiti (Ap) Polizia europea nel mirino Raffica di attentati nel centro di Kabul KABUL, 18. I talebani alzano ancora il tiro. Ieri hanno colpito un convoglio della missione di polizia europea nei pressi dell’aeroporto di Kabul. Almeno tre i morti, tra i quali un cittadino britannico, e diciotto i feriti in seguito all’esplosione di un’autobomba guidata da un attentatore suicida. Si è trattato del terzo attentato in dodici ore nella capitale afghana. I talebani lo hanno rivendicato immediatamente con un comunicato firmato dal portavoce Zabihullah Mujahid. In precedenza un ordigno era esploso nel campus della principale università di Kabul ferendo due persone, mentre un altro era scoppiato nel quartiere di Kart-e-Now, senza provocare vittime. Si è trattato di una nuova sfida alla coalizione internazionale e alle forze di sicurezza afghane dopo che, il 14 maggio scorso, i talebani erano riusciti a colpire la zona più protetta della capitale uccidendo numerose persone, tra le quali un italiano. «Non si deve mai abbassare la guardia nella lotta contro il terrorismo e per questo continueremo a sostenere con convinzione la missione Eupol, così come le altre missioni e organizzazioni che lavorano per la stabilizzazione dell’Afghanistan», ha detto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, condannando l’attentato e denunciando il «vile attacco rivolto a una missione civile». E il titolare del Foreign Office , Philip Hammond, ha sottolineato che «questi attacchi non devono fermare il popolo afghano, sostenuto della comunità internazionale, nel suo lavoro verso un futuro più pacifico». Condanna anche dal presidente afghano, Ashraf Ghani, secondo il quale «i terroristi sono stati sconfitti sul campo e stanno cercando come alternativa l’uccisione di persone innocenti». Kerry a Seoul non esclude altre sanzioni contro Pyongyang L’Onu chiede di rinnovare la tregua in attesa che il dialogo iniziato a Riad porti i suoi frutti Riprende la guerra nello Yemen RIAD, 18. La coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha ripreso i raid nello Yemen dopo la fine della tregua umanitaria: lo affermano fonti ufficiali yemenite. Il cessate il fuoco è stato revocato alle 23 locali di ieri e i raid della coalizione hanno colpito postazioni dei ribelli sciiti huthi e distrutto carri armati in diversi quartieri di Aden, seconda città del Paese. E almeno dieci persone sono rimaste uccise negli scontri avvenuti, sempre durante la notte, nella città di Taiz tra i ribelli e le forze fedeli al presidente Abd Rabbo Mansour Hadi. Lo riferiscono fonti mediche e locali, secondo le quali altri combattimenti si sono verificati nella città di Dhalea. Dagli ultimi giorni di marzo, l’Arabia Saudita ha condotto raid aerei contro i ribelli huthi e i suoi alleati, i militari rimasti fedeli all’ex presidente, Ali Abdullah Saleh. L’obiettivo della campagna aerea è di indebolire gli sciiti — che avanzando dal nord, hanno conquistato buona parte del Paese, compresa la capitale Sana’a — e di riportare al potere l’ex presidente Hadi, costretto a rifugiarsi a Riad. L’inviato dell’Onu per lo Yemen, Ismayl Ould Ahmed, ha intanto chiesto ai Paesi alleati di rin- Un miliardo di dollari per la Mongolia L’incontro tra il premier indiano e quello mongolo (Reuters) ULAN-BATOR, 18. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, in Mongolia per la prima visita ufficiale in assoluto di un capo di Governo di New Delhi a Ulan Bator, ha firmato con il collega mongolo, Chimed Saikhanbileg, un accordo di cooperazione strategica e offerto una linea di credito di un miliardo di dollari per opere infrastrutturali. Lo riferisce l’agenzia di stampa Ians. Il premier mongolo, da parte sua, ha accolto Modi come «il nostro terzo e spirituale vicino», intrattenendosi con lui in colloqui conclusi con la firma di 12 accordi, fra cui alcuni sui collegamenti aerei e la sicurezza cibernetica. Riferendosi alla Mongolia, racchiusa fra Cina e Russia, e alla linea di credito da un miliardo di dollari, Modi ha dichiarato che «questo Paese è parte integrante della politica indiana verso l’est. I destini di India e Mongolia — ha concluso — sono strettamente legati al futuro della regione Asia-Pacifico». Modi, che proveniva da Shanghai dove aveva firmato intese economiche per 22 miliardi di dollari, successivamente si è recato in missione a Seoul. novare la tregua umanitaria per altri cinque giorni. La tregua, ha detto, «ha dato la possibilità di portare aiuti alla popolazione, ma sono necessari altri interventi». Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa mauritana Ani, il diplomatico ha invitato le parti in conflitto a protrarre il cessate-ilfuoco in attesa che il dialogo iniziato a Riad porti i suoi frutti. Proprio ieri, infatti, nella capitale saudita si è aperta la conferenza nazionale sul dialogo yemenita con la partecipazione di tutti i gruppi politici del Paese, a eccezione dei ribelli huthi. L’incontro, presieduto dal capo di Stato in esilio Hadi, è la prima riunione delle diverse fazioni politiche dall’inizio del conflitto interno nel settembre del 2014. L’obiettivo dell’incontro è giungere a un accordo che ponga fine al conflitto, secondo quanto riferito da Abdulaziz Jabari, capo della commissione incaricata di supervisionare i colloqui di Riad. I ribelli sciiti huthi e i miliziani fedeli all’ex presidente Saleh avevano annunciato nei giorni scorsi che non avrebbero preso parte all’incontro. Tuttavia alcune figure politiche del partito di Saleh, il Congresso nazionale popolare, hanno ab- Decine di miliziani uccisi nel Pakistan ISLAMABAD, 18. Almeno venti terroristi sono stati uccisi ieri in una vasta operazione delle forze di sicurezza nella zona di Kalat, parte della turbolenta provincia del Baluchistan, nel sud-ovest del Pakistan. Lo riferiscono i media locali, precisando che l’operazione, ancora in corso, è stata lanciata giovedì mattina e che sarebbero anche stati sequestrati esplosivi e armi. Cinque sospetti militanti jihadisti sono stati intanto uccisi ieri sera nell’attacco di un aereo drone nel distretto tribale del Nord Waziristan, nel Pakistan nord-occidentale. Lo riferiscono fonti di sicurezza locali. Il raid è avvenuto nell’area di Wara Mandi. Il velivolo ha sparato due missili che hanno ucciso cinque persone e ferito altre due. Nel distretto, dove sorgono le basi dei talebani e dei militanti affiliati ad Al Qaeda, è in corso dal giugno 2014 una massiccia offensiva dell’esercito pakistano che ha causato centinaia di vittime tra i militanti. Alla fine della scorsa settimana l’esercito di Islamabad ha lanciato un’operazione nel Nord Waziristan uccidendo almeno 17 talebani. Nuovi raid aerei sono stati effettuati anche nella valle di Shawal, una zona coperta da una densa foresta dove si sono rifugiati gli insorti del gruppo Tehreek-etaliban Pakistan (Ttp). Non è stato possibile avere una conferma del bilancio delle vittime da fonti indipendenti, visto che il Nord Waziristan è interdetto ai giornalisti, sia locali che stranieri. Il Nord Waziristan è uno dei sette distretti che godono di una certa autonomia nel Pakistan, dove — anche per la sua posizione strategica al confine con l’Afghanistan — sono attive però le milizie fondamentaliste. bandonato lo schieramento nei giorni scorsi per giurare fedeltà al Governo di Hadi. In un comunicato emesso sabato scorso, gli ex compagni di Saleh lo hanno invitato a lasciare la guida del partito, confermando la loro partecipazione ai colloqui di Riad. Lo Yemen è il più povero fra i Paesi arabi, al 152 posto nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. Il recente conflitto ha aggravato le sofferenze della popolazione civile. La tregua umanitaria ha permesso negli ultimi cinque giorni — nonostante le ripetute violazioni del cessate il fuoco — di accelerare la distribuzione degli aiuti umanitari. Una nave del Programma alimentare mondiale (Pam) è riuscita ad attraccare nel porto della città di Hodeida, sul Mar Rosso, per portare viveri alla popolazione. È stata però una goccia nel mare delle necessità della popolazione civile colpita da una crisi umanitaria etichettata dalle Nazioni Unite come catastrofica. Almeno 1.578 persone sono state uccise e altre 6.504 ferite dall’inizio del conflitto secondo uno dei più recenti bilanci forniti dall’O rganizzazione mondiale della sanità. Tensione in Cisgiordania TEL AVIV, 18. Almeno cinque persone sono rimaste ferite ieri in scontri tra militari israeliani e manifestanti palestinesi nel nord della Cisgiordania, vicino a un posto di blocco a sud di Nablus. Gli scontri sono scoppiati dopo che la polizia è intervenuta per disperdere circa duecento manifestanti palestinesi che si erano riuniti nell’area per commemorare la Nakba (letteralmente “catastrofe” in arabo, ovvero la nascita dello Stato di Israele alla fine del Mandato britannico nel 1948 e la fuga dei palestinesi). Circa ventiquattro ore prima un’auto guidata da un palestinese a Betlemme aveva travolto e ferito tre ragazzi israeliani. Secondo il quotidiano «Jerusalem Post», negli ultimi giorni le autorità di pubblica sicurezza israeliane si sono attivate per contrastare qualsiasi forma di violenza, arginando i cortei organizzati nelle moschee in Israele e nei territori palestinesi in occasione appunto della Nakba. Nel frattempo, il ministero israeliano per le Costruzioni ha indetto una gara d’appalto per la realizzazione di 85 nuove unità abitative nell’insediamento di Givat Zeev, a sud di Ramallah, in Cisgiordania. Lo riporta l’ong Peace Now. SEOUL, 18. «Più forti che mai». Così il segretario di Stato americano, John Kerry, ha definito oggi le relazioni tra Stati Uniti e Corea del Sud, durante la sua visita a Seoul. Il capo della diplomazia a stelle e strisce ha ricordato — riferisce l’agenzia Yonhap — che non ci sono differenze tra i due Paesi «nell’atteggiamento di fronte alle provocazioni della Corea del Nord e al suo programma nucleare». «Stiamo discutendo di come aumentare la pressione» sulla Corea del Nord, ha detto Kerry giunto nella capitale sudcoreana dopo una visita a Pechino. Se il regime di Pyongyang continuasse nei suoi comportamenti minacciosi, ha aggiunto, sarebbe difficile non deferirlo alla comunità internazionale. La Corea del Nord è già soggetta a pesanti sanzioni dell’O nu, sanzioni che secondo Kerry potrebbero essere inasprite. Il segretario di Stato americano ha sottolineato che Pyongyang non compie i passi necessari per limitare il suo programma nucleare militare e per iniziare colloqui. Washington, ha tuttavia affermato il segretario di Stato, continua a offrire alla Corea del Nord la possibilità di migliori relazioni a patto che mostri un’autentica volontà di interrompere il suo programma atomico. «Fino a questo momento, e specialmente con le recenti provocazioni — ha aggiunto — è chiaro che il Partito democratico popolare della Repubblica di Corea non si avvicina nemmeno a rispettare questi standard ma continua a perseguire armamenti nucleari e missili balistici». Kerry, dopo aver incontrato il ministro degli Esteri sudcoreano, Yun Byung Se, è stato ricevuto dalla presidente, Park Geun Hye. La Corea del Nord ha recentemente sostenuto di aver testato un missile balistico partito da un sottomarino, affermazione su cui alcuni esperti hanno sollevato dubbi. Il regime comunista di Pyongyang ha testato missili a più riprese nei mesi scorsi, ma sempre a partire dalla terraferma. Intanto, Pyongyang condanna quelli che vengono definiti «attacchi alla dignità del Paese» attribuiti a una «guerra mediatica» in atto a Seoul. La presa di posizione arriva dopo la diffusione di notizie circa l’esecuzione del ministro della Difesa del regime. A parlarne è stato uno dei principali siti nordcoreani che attacca i media sudcoreani per loro denunce circa una presunta «politica di purghe» e di «terrorismo politico» in atto a Pyongyang. Appello del Governo di Kathmandu alla comunità internazionale Il Nepal chiede aiuto KATHMANDU, 18. Il Governo del Nepal ha rivolto ieri un nuovo appello alla comunità internazionale chiedendo di fornire un’assistenza finanziaria pari a 1,8 miliardi di dollari per sostenere il processo di ricostruzione del Paese devastato dal sisma del 25 aprile. Incontrando la stampa a Kathmandu, il premier nepalese Sushil Koirala si è rivolto alla comunità internazionale e alle agenzie perché contribuiscano con nuovi interventi al Fondo nazionale di riabilitazione e di ricostruzione, che conta attualmente soltanto sui duecento milioni di dollari stanziati proprio dal Governo del Nepal. Stando agli ultimi bilanci ufficiali, il terremoto nel paese asiatico ha causato la morte di almeno novemila persone e il ferimento di altre ventimila. Superstiti in un centro di raccolta (Afp) pagina 4 L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 pagina 5 Zenone «Neve con suore» Il dialogo del Papa con le consacrate e i consacrati della diocesi di Roma Le nuvole, le mura, il mondo Pubblichiamo la trascrizione integrale delle risposte date da Papa Francesco alle domande rivoltegli, sabato 16 maggio, nell’Aula Paolo VI, durante l’incontro con i consacrati e le consacrate della diocesi di Roma. La prima domanda è stata posta da suor Fulvia Sieni, agostiniana del monastero dei Santi Quattro Coronati: «I monasteri vivono un delicato equilibrio tra nascondimento e visibilità, clausura e coinvolgimento nella vita diocesana, silenzio orante e parola che annuncia. In che modo un monastero urbano può arricchire e lasciarsi arricchire dalla vita spirituale della Diocesi e dalle altre forme di vita consacrata, mantenendosi saldo nelle sue prerogative monastiche?» Lei parla di un delicato equilibrio tra nascondimento e visibilità. Io dirò di più: una tensione fra nascondimento e visibilità. La vocazione monastica è questa tensione, tensione nel senso vitale, tensione di fedeltà. L’equilibrio si può intendere come «bilanciamo, tanto di qua, tanto di là...». Invece la tensione è la chiamata di Dio verso la vita nascosta e la chiamata di Dio a farsi visibili in un certo modo. Ma come deve essere questa visibilità e come deve essere questa vita nascosta? È questa tensione che voi vivete nella vostra anima. È questa la vostra vocazione: siete donne “in tensione”: in tensione fra questo atteggiamento di cercare il Signore e nascondersi nel Signore, e questa chiamata a dare un segno. Le mura del monastero non sono sufficienti per dare il segno. Ho ricevuto una lettera, 6-7 mesi fa, di una suora di clausura che aveva incominciato a lavorare con i poveri, nella portineria; e poi è uscita a lavorare fuori con i poveri; e poi è andata avanti di più e di più, e alla fine ha detto: «La mia clausura è il mondo». Io le ho risposto: «Dimmi, cara, tu hai la grata portatile?». Questo è uno sbaglio. Un altro sbaglio è di non voler sentire niente, vedere niente. «Padre, le notizie possono entrare in monastero?». Devono! Ma non le notizie — diciamo — dei media “chiacchieroni”; le notizie di che cosa succede nel mondo, le notizie — per esempio — delle guerre, delle malattie, di quanto soffre la gente. Per questo una delle cose che mai, mai dovete lasciare è un tempo per ascoltare la gente! Anche nelle ore di contemplazione, di silenzio... Alcuni mo- nasteri hanno la segreteria telefonica e la gente chiama, chiede preghiera per questo, per quest’altro: questo collegamento con il mondo è importante! In alcuni monasteri si vede il telegiornale; non so, questo è discernimento di ogni monastero, secondo la regola. In altri arriva il giornale, si legge; in altri si fa questo collegamento in un’altra maniera. Ma sempre è importante il collegamento col mondo: sapere che cosa succede. Perché la vostra vocazione non è un rifugio; è andare proprio in campo di battaglia, è lotta, è bussare al cuore del Signore per quella città. È come Mosè che teneva le mani in alto, pregando, mentre il popolo combatteva (cfr. Es 17, 8-13). Tante grazie vengono dal Signore in questa tensione tra la vita nascosta, la preghiera e il sentire le notizie della gente. In questo la prudenza, il discernimento, vi farà capire quanto tempo va a una cosa, quanto tempo all’altra. Ci sono anche monasteri che si occupano mezz’ora al giorno, un’ora al giorno di dare da mangiare a coloro che vengono a chiederlo; e questo non va contro il nascondimento in Dio. È un servizio; è un sorriso. Il sorriso delle monache apre il cuore! Il sorriso delle monache sfama più del pane quelli che vengono! Questa settimana tocca a te dare da mangiare quella mezz’ora ai poveri che chiedono anche un panino. Chi questo, chi l’altro: questa settimana tocca a te sorridere a bisognosi! Non dimenticate questo. A una suora che non sa sorridere manca qualcosa. Nel monastero ci sono problemi, lotte — come in ogni famiglia — piccole lotte, qualche gelosia, questo, quest’altro... E questo ci fa capire quanto soffre la gente nelle famiglie, le lotte nelle famiglie; quando litigano marito e moglie e quando ci sono le gelosie; quando si separano le famiglie... Quando anche voi avete questo tipo di prova — sempre ci sono queste cose —, sentire che quella non è la strada e offrire al Signore, cercando una strada di pace, dentro il monastero, perché il Signore faccia la pace nelle famiglie, fra la gente. «Ma mi dica, Padre, noi leggiamo spesso che nel mondo, nella città, c’è la corruzione; anche nei monasteri ci può essere la corruzione?». Sì, quando si perde la memoria. Quando si perde la memoria! La memoria della vocazione, del primo incontro con Dio, del carisma che ha fondato il monastero. Quando si perde questa memoria e l’anima comincia ad essere mondana, pensa cose mondane e si perde quello zelo della preghiera di intercessione per la gente. Tu hai detto una parola bella, bella, bella: «Il monastero è presente nella città, Dio è nella città e noi sentiamo i rumori della città». Quei rumori, che sono rumori di vita, rumori dei problemi, rumori di tanta gente che va a lavorare, che torna dal lavoro, che pensa queste cose, che ama...; tutti questi rumori vi devono spingere a lottare con Dio, con quel coraggio che aveva Mosè. Ricordati di quando Mosè era triste perché il popolo andava per una strada sbagliata. Il Signore ha perso la pazienza e ha detto a Mosè: «Io distruggerò questo popolo! Ma tu stai tranquillo, ti metterò a capo di un altro popolo». Cosa ha detto Mosè? Cosa ha detto? «No! Se tu distruggi questo popolo, distruggi anche me!» (cfr. Es 32, 9-14). Questo legame con il tuo popolo è la città. Dire al Signore: «Questa è la mia città, è il mio popolo. Sono i miei fratelli e le mie sorelle». Questo vuol dire dare la vita per il popolo. Questo delicato equilibrio, questa delicata tensione significa tutto questo. Non so come fate voi Agostiniane dei Santi Quattro: c’è la possibilità di ricevere persone nel parlatorio... Quante grate avete? Quattro o cinque? O non c’è più la grata... È vero che si può scivolare in alcune imprudenze, dare tanto tempo per parlare — santa Teresa dice tante cose su questo — ma vedere la vostra gioia, vedere la promessa della preghiera, dell’intercessione, alla gente fa tanto bene! E voi, dopo una mezzoretta di chiacchiera, tornate al Signore. Questo è molto importante, molto importante! Perché la clausura ha sempre bisogno di questo collegamento umano. Questo è molto importante. La domanda finale è: come un monastero può arricchire e lasciarsi arricchire dalla vita spirituale della diocesi e dalle altre forme di vita consacrata, mantenendosi saldo nelle sue prerogative monastiche? Sì, la diocesi: pregare per il vescovo, per i vescovi ausiliari e per i sacerdoti. Ci sono bravi confessori dappertutto! Alcuni non tanto bravi.... Ma ce ne sono di bravi! Io so di sacerdoti che vanno nei monasteri a sentire cosa dice una monaca, e fate tanto bene ai sacerdoti. Pregate per i sacerdoti. In questo delicato equilibrio, in questa delicata tensione c’è anche la preghiera per i sacerdoti. Pensate a santa Teresa di Gesù Bambino... Pregare per i sacerdoti, ma anche ascoltare i sacerdoti, ascoltarli quando vengono, in quei minuti del parlatorio. Ascoltare. Io conosco tanti, tanti sacerdoti che — permettetemi la parola — si sfogano parlando con una monaca di clausura. E poi il sorriso, la parolina e la sicurezza della preghiera della suora li rinnova e tornano in parrocchia felici. Non so se ho risposto... La seconda domanda è stata posta da Iwona Langa, dell’Ordo virginum, Casa-famiglia Ain Karim: «Il matrimonio e la verginità cristiana sono due modi per realizzare la vocazione all’amore. Fedeltà, perseveranza, unità del cuore, sono impegni e sfide sia per gli sposi cristiani sia per noi consacrati: come illuminare la strada gli uni degli altri, gli uni per gli altri, e camminare insieme verso il Regno?» Come la prima suora, Suor Fulvia Sieni, era — diciamo — “in carcere”, quest’altra suora è... “sulla strada”. Tutt’e due portano la parola di Dio alla città. Lei faceva una bella domanda: «L’amore nel matrimonio e l’amore nella vita consacrata è lo stesso amore?». Ha quelle qualità di perseveranza, di fedeltà, di unità, di cuore? Ci sono impegni e sfide? Per questo le consacrate si dicono spose del Signore. Sposano il Signore. Io avevo uno zio la cui figlia si è fatta suora e diceva: «Adesso io sono suocero del Signore! Mia figlia ha sposato il Signore». C’è nella consacrazione femminile una dimensione sponsale. Nella consacrazione maschile, pure: del vescovo si dice che è “sposo della Chiesa”, perché è al posto di Gesù, sposo della Chiesa. Ma questa dimensione femminile — vado un po’ fuori dalla domanda, per tornarvi — nelle donne è molto importante. Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. Non dimenticare che la Chiesa è femminile: non è il Chiesa, è la Chiesa. E per questo la Chiesa è sposa di Gesù. Tante volte dimentichiamo questo; e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa; questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna. La fedeltà, l’espressione dell’amore della donna consacrata, deve — ma non come un dovere, ma per connaturalità — rispecchiare la fedeltà, l’amore, la tenerezza della Madre Chiesa e della Madre Maria. Una donna che non entra, per consacrarsi, su questa strada, alla fine sbaglia. La maternità della donna consacrata! Pensare tanto a questo. Come è materna Maria e come è materna la Chiesa. E tu domandavi: come illuminare la strada gli uni degli altri, gli uni per gli altri, e camminare verso il Regno? L’amore di Maria e l’amore della Chiesa è un amore concreto! La concretezza è la qualità di questa maternità delle donne, delle suore. Amore concreto. Quando una suora incomincia con le idee, troppe idee, troppe idee... Ma cosa faceva santa Teresa? Quale consiglio dava santa Teresa, la grande, alla superiora? «Dalle una bistecca e poi parliamo». Farla scendere alla realtà. La concretezza. E la concretezza dell’amore è molto difficile. È molto difficile! E di più quando si vive in comunità, perché i problemi della comunità tutti li conosciamo: le gelosie, le chiacchiere; che questa superiora è questo, che l’altra è quello... Queste cose sono cose concrete, ma non buone! La concretezza della bontà, dell’amore, che perdona tutto! Se deve dire una verità, la dice in faccia, ma con amore; prega prima di fare un rimprovero e poi chiede al Signore che vada avanti con la correzione. È l’amore concreto! Una suora non può permettersi un amore sulle nuvole; no, l’amore è concreto. E com’è la concretezza della donna consacrata? Com’è? Tu puoi trovarla in due brani del Vangelo. Nelle Beatitudini: ti dicono che cosa tu devi fare. Gesù, il programma di Gesù, è concreto. Tante volte io penso che le Beatitudini sono la prima Enciclica della Chiesa. È vero, perché tutto il programma è lì. E poi la concretezza la trovi nel protocollo sul quale tutti noi saremo giudicati: Matteo 25. La concretezza della donna consacrata è lì. Con questi due brani tu puoi vivere tutta la vita consacrata; con queste due regole, con queste due cose concrete, facendo queste cose concrete. E facendo queste cose concrete tu puoi arrivare anche ad un grado, ad un’altezza di santità e di preghiera molto grande. Ma ci vuole concretezza: l’amore è concreto! E il vostro amore di donne è un amore materno concreto. Una mamma mai sparla dei figli. Ma se tu sei suora, in convento o in comunità laicale, tu hai questa consacrazione materna e non ti è lecito sparlare delle altre suore! No. Sempre scu- Mutuae relationes Durante l’udienza Francesco ha citato il documento Mutuae relationes firmato il 14 maggio 1978. Ne pubblichiamo l’introduzione. I vicendevoli rapporti tra i vari membri del popolo di Dio hanno oggi suscitato una particolare attenzione. La dottrina conciliare, infatti, sul mistero della Chiesa e i progressivi mutamenti culturali hanno sospinto a tal punto di maturazione le attuali condizioni da far emergere problemi del tutto nuovi, dei quali non pochi sono indubbiamente risultati positivi, anche se delicati e complessi. Or appunto nel quadro di questi problemi vanno poste le relazioni scambievoli tra i vescovi e i religiosi, le quali destano speciali sollecitudini. Non v’è dubbio, infatti, che si rimanga colti da suggestivo stupore, se solo si pensa al fatto — la cui portata merita davvero particolare approfondimento — che le religiose in tutto il mondo sono più di un milione, ossia una suora per ogni 250 donne cattoliche, e i religiosi circa 270.000, tra i quali i sacerdoti costituiscono complessivamente il 35,6 per cento di tutti i sacerdoti della Chiesa e in alcune regioni arrivano ad essere più della metà del loro insieme, come, ad esempio, nelle terre africane e in alcune parti dell'America latina. Le due sacre Congregazioni, per i vescovi e per i religiosi e gli istituti secolari, nel decimo anno della promulgazione dei decreti Christus Dominus e Perfectae caritatis (28 ottobre 1965) hanno celebrato un’assemblea plenaria mista (16-18 ottobre 1975) con la consultazione e collaborazione delle conferenze nazionali dei vescovi, delle unioni nazionali dei religiosi, nonché delle unioni internazionali dei superiori e delle superiore generali. In tale assemblea plenaria furono affrontate, come temi principali, le seguenti questioni: a) che cosa i vescovi si aspettano dai religiosi; b) che cosa i religiosi dai vescovi; c) con quali mezzi si possa praticamente ottenere un’ordinata e feconda azione tra i vescovi e i religiosi sia sul piano diocesano sia sul piano nazionale e internazionale. Inoltre, fissati i criteri generali ed effettuate varie aggiunte al testo delle proposte presentato ai padri, l’assemblea plenaria deliberò che si elaborasse un documento, nel quale venissero indicati degli orientamenti pastorali. Pubblichiamo ora questo documento, redatto anche con il contributo delle sacre Congregazioni per le Chiese orientali e per l’evangelizzazione dei popoli. L’argomento trattato è circoscritto in limiti ben determinati: in esso infatti si discute sul tema riguardante i rapporti tra i vescovi e i religiosi di qualsiasi rito e territorio, con l’intento soprattutto di contribuire ad agevolarne l’espletamento pratico. Oggetto di diretta discussione sono quelle relazioni, che opportunamente devono sussistere fra gli ordinari locali, gli istituti religiosi e le società di vita comune; non si fa pertanto riferimento diretto agli istituti secolari, se non per quanto concerne i principi generali della vita consacrata (cfr. PC 11) e il loro inserimento nelle Chiese particolari (cfr. CD 33). Il testo comprende due parti: una dottrinale, l’altra normativa; e l’intento è quello di tracciare una linea direttiva, per una migliore e sempre più efficiente applicazione dei principi rinnovatori indicati dal concilio ecumenico Vaticano II. sarle, sempre! È bello quel passo dell’autobiografia di santa Teresa di Gesù Bambino, quando trovava quella suora che la odiava. Cosa faceva? Sorrideva e andava avanti. Un sorriso di amore. E cosa faceva quando doveva accompagnare quella suora che era sempre scontenta, perché zoppicava da tutte e due le gambe e poverina era ammalata: cosa faceva? Faceva il meglio! La portava bene e poi le tagliava anche il pane, le faceva qualcosa di più. Ma mai la critica di nascosto! Quello distrugge la maternità. Una mamma che critica, che sparla dei suoi figli non è madre! Credo che si dica “matrigna” in italiano... Non è madre. Io ti dirò questo: l’amore — e tu vedi che è anche coniugale, è la stessa figura, la figura della maternità nella Chiesa — è la concretezza. La concretezza. Io vi raccomando di fare questo esercizio: leggere spesso le Beatitudini, e leggere spesso Matteo 25, il protocollo del Giudizio. Questo fa tanto bene per la concretezza del Vangelo. Non so, finiamo qui? La terza domanda è stata posta da padre Gaetano Saracino, missionario scalabriniano, parroco del SS. Redentore: «Come mettere in comune e far fruttificare i doni di cui sono portatori i diversi carismi in questa Chiesa locale così ricca di talenti? Spesso è difficile anche solo la comunicazione dei diversi percorsi, siamo incapaci di mettere insieme le forze tra congregazioni, parrocchie, altri organismi pastorali, associazioni e movimenti laicali, quasi vi fosse concorrenzialità invece che servizio condiviso. A volte, poi, noi consacrati ci sentiamo come “tappabuchi”. Come “camminare insieme”?» Io sono stato in quella parrocchia e conosco cosa fa questo prete rivoluzionario: lavora bene! Lavora bene! Tu hai cominciato a parlare della festa. È una delle cose che noi cristiani dimentichiamo: la festa. Ma la festa è una categoria teologica, c’è anche nella Bibbia. Quando tornate a casa, prendete Deuteronomio 26. Lì Mosè, a nome del Signore, dice cosa devono fare i contadini ogni anno: portare i primi frutti del raccolto al tempio. Dice così: «Tu vai al tempio, porta il cesto con i primi frutti per offrirli al Signore come ringraziamento». E poi? Primo, fa’ memoria. E gli fa recitare un piccolo credo: «Mio padre era un arameo errante, Dio lo ha chiamato; siamo stati schiavi in Egitto, ma il Signore ci ha liberato e ci ha dato questa terra... » (cfr. Dt 26, 5-9). Primo, la memoria. Secondo, dai il cesto all’incaricato. Terzo, ringrazia il Signore. E quarto, torna a casa e fai festa. Fai festa e invita quelli che non hanno famiglia, invita gli schiavi, quelli che non sono liberi, anche il vicino invita alla festa... La festa è una categoria teologica della vita. E non si può vivere la vita consacrata senza questa dimensione festosa. Si fa festa. Ma fare festa non è lo stesso di fare chiasso, rumore... Fare festa è quello che c’è in quel brano che ho citato. Ricordatevi: Deuteronomio 26. C’è il fine di una preghiera: è la gioia di ricordare tutto quello che il Signore ha fatto per noi; tutto quello che mi ha dato; anche quel frutto per il quale io ho lavorato e faccio festa. Nelle comunità, anche nelle parrocchie come nel caso tuo, dove non si fa festa — quando capita di farla — manca qualcosa! Sono troppo rigidi: «Ci farà bene alla disciplina». Tutto ordinato: i bambini fanno la Comunione, bellissima, si insegna un bel catechismo... Ma manca qualcosa: manca chiasso, manca rumore, manca festa! Manca il cuore festoso di una comunità. La festa. Alcuni scrittori spirituali dicono che anche l’Eucaristia, la celebrazione dell’Eucaristia è una festa: sì, ha una dimensione festosa nel commemorare la morte e la risurrezione del Signore. Questo io non ho voluto lasciarlo perdere, perché non era proprio nella tua domanda, ma nella tua riflessioni interiore. E poi tu parli della concorrenzialità fra questa parrocchia e quella, questa congregazione e quella... Una delle cose più difficili per un vescovo è fare l’armonia nella diocesi! E tu dici: «Ma i religiosi per il vescovo sono tappabuchi?». Alcune volte può darsi... Ma io ti faccio un’altra domanda: Quando faranno vescovo te, per esempio — mettiti al posto del vescovo — hai una parrocchia, con un bravo parroco religioso; tre anni dopo viene il provinciale e ti dice: «Questo lo cambio e te ne mando un altro». Anche i vescovi soffrono per questo atteggiamento. Tante volte — non sempre, perché ci sono religiosi che entrano in dialogo con il vescovo — noi dobbiamo fare la nostra parte. «Abbiamo avuto un capitolo e il capitolo ha deciso questo...». Tante religiose e religiosi passano la vita se non in capitoli, in versetti... Ma sempre la passano così! Io prendo la libertà di parlare così, perché sono vescovo e sono religioso. E capisco ambedue le parti, e capisco i problemi. È vero: l’unità fra i diversi carismi, l’unità del presbiterio, l’unità col vescovo... E questo non è facile trovarlo: ognuno tira per il suo interesse, non dico sempre, ma c’è questa tendenza, è umana... E c’è un po’ di peccato dietro, ma è così. È così. Per questo la Chiesa, in questo momento, sta pensando di offrire un vecchio documento, di ripristinarlo, sulle relazioni tra il religioso e il vescovo. Il Sinodo del 1994 aveva chiesto di riformarlo, il Mutuae relationes (14 maggio 1978). Sono passati tanti anni e non è stato fatto. Non è facile il rapporto dei religiosi con il vescovo, con la diocesi o con i sacerdoti non religiosi. Ma bisogna impegnarsi per il lavoro comune. Nelle prefetture, come si lavora sul piano pastorale in questo quartiere, in questo tutti insieme? Così si fa la Chiesa. Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro. Non so... Ma la festa, voglio tornare alla cosa principale: quando c’è comunità, senza interessi propri, sempre c’è spirito di festa. Io ho visto la tua parrocchia ed è vero. Tu sai farlo! Grazie. La quarta domanda è stata posta da padre Gaetano Greco, terziario cappuccino dell’Addolorata, cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo: «La vita consacrata è un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo. Non sempre però questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Spesso le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, direttori spirituali, confessori. Come riscoprire questa ricchezza? La vita consacrata per l’80 per cento ha un volto femminile. Com’è possibile valorizzare la presenza della donna e in particolare della donna consacrata nella Chiesa?» Padre Gaetano nella sua riflessione, mentre raccontava la sua storia, ha parlato di quella “sostituzione di 2-3 settimane” che doveva fare al carcere minorile. È lì da 45 anni, credo. Lo ha fatto per obbedienza. «Il tuo posto è lì», gli ha detto il superiore. E a malincuore gli obbedì. Poi ha visto che quell’atto di obbedienza, quello che gli aveva chiesto il superiore, era volontà di Dio. Mi permetto, prima di rispondere alla domanda, di dire una parola sull’obbedienza. Quando Paolo vuole dir- ci il mistero di Gesù Cristo usa questa parola; quando vuol dire come è stata la fecondità di Gesù Cristo, usa questa parola: «Si è fatto obbediente fino alla morte e morte di croce» (cfr. Fil 2, 8). Umiliò se stesso. Obbedì. Il mistero di Cristo è un mistero di obbedienza, e l’obbedienza è feconda. È vero che come ogni virtù, come ogni luogo teologico, può essere tentata di diventare un atteggiamento disciplinare. Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù. Il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si ve- Ivan Kramskoy, «La preghiera di Mosè» (1861) dono. E ringrazio padre Gaetano per la sua testimonianza su questo punto, perché si dicono molte parole sull’obbedienza — il dialogo previo, sì tutte queste cose sono buone, non sono cattive — ma che cos’è l’obbedienza? Andate alla Lettera di Paolo ai Filippesi, capitolo 2: è il mistero di Gesù. Soltanto lì possiamo capire l’obbedienza. Non ai capitoli generali o provinciali: lì si potrà approfondire, ma capirla, soltanto nel mistero di Gesù. Adesso passiamo alla domanda: la vita consacrata è un dono, un dono di Dio alla Chiesa. È vero. È un dono di Dio. Voi parlate della profezia: è un dono di profezia. È Dio presente, Dio che vuole farsi presente con un dono: sceglie uomini e donne, ma è un dono, un dono gratuito. Anche la vocazione è un dono, non è un arruolamento di gente che vuole fare quella strada. No, è il dono al cuore di una persona; il dono ad una congregazione; e anche quella congregazione è un dono. Non sempre, però, questo dono è apprezzato e valorizzato nella sua identità e nella sua specificità. Questo è vero. C’è la tentazione di omologare i consacrati, come se fossero tutti la stessa cosa. Nel Vaticano II c’era stata una proposta del genere, di omologare i consacrati. No, è un dono con una identità particolare, che viene tramite il dono carismatico che Dio fa a un uomo o a una donna per formare una famiglia religiosa. E poi un problema: il problema di come si accompagnano i religiosi. Spesso le comunità, soprattutto femminili, nella nostra Chiesa locale hanno difficoltà a trovare seri accompagnatori e accompagnatrici, formatori, padri spirituali e confessori. O perché non capiscono cosa sia la vita consacrata, o perché vogliono mettersi nel carisma e dare interpretazioni che fanno male al cuore della suora... Stiamo parlando delle suore che hanno difficoltà, ma anche gli uomini ne hanno. E non è facile accompagnare. Non è facile trovare un confessore, un padre spirituale. Non è facile trovare un uomo con rettitudine di intenzioni; e che quella direzione spirituale, quella confessione non sia una bella chiacchera fra amici ma senza profondità; o trovare quelli rigidi, che non capiscono bene dove sia il problema, perché non capiscono la vita religiosa... Io, nell’altra diocesi che avevo, sempre consigliavo alle suore che venivano a chiedere consiglio: «Dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!» — «Ma è donna!» — «Ma è un carisma dei laici!». La direzione spirituale non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici! Nel monachesimo primitivo i laici erano i grandi direttori. Adesso sto leggendo la dottrina, proprio sull’obbedienza, di san Silvano, quel monaco del Monte Athos. Era un falegname, faceva il falegname, poi l’economo, ma non era neppure diacono; era un grande direttore spirituale! È un carisma dei laici. E i superiori, quando vedono che un uomo o una donna in quella congregazione o quella provincia ha quel carisma di padre spirituale, si deve cercare di aiutare a formarsi, per fare questo servizio. Non è facile. Una cosa è il direttore spirituale e un’altra cosa è il confessore. Dal confessore io vado, dico i miei peccati, sento la bastonata; poi mi perdona tutto e vado avanti. Ma al direttore spirituale devo dire cosa succede nel mio cuore. L’esame di coscienza non è lo stesso per la confessione e per la direzione spirituale. Per la confessione, devi cercare dove hai mancato, se hai perso la pazienza; se hai avuto cupidigia: queste cose, cose concrete, che sono peccaminose. Ma per la direzione spirituale devi fare un esame su cosa è successo nel cuore; quale mozione dello spirito, se ho avuto desolazione, se ho avuto consolazione, se sono stanco, perché sono triste: queste sono le cose di cui parlare con il direttore o la direttrice spirituale. Queste sono le cose. I superiori hanno la responsabilità di cercare chi in comunità, in congregazione, in provincia ha questo carisma, dare questa missione e formarli, aiutarli in questo. Accompagnare sulla strada è andare passo passo col fratello o con la sorella consacrata. Credo che in questo noi ancora siamo immaturi. Non siamo maturati in questo, perché la direzione spirituale viene dal discernimento. Ma quando tu ti trovi davanti a uomini e donne consacrate che non sanno discernere che cosa succede nel proprio cuore, che non sanno discernere una decisione, è una mancanza di direzione spirituale. E questo soltanto un uomo saggio, una donna saggia può farlo. Ma anche formati! Oggi non si può andare soltanto con la buona volontà: oggi è molto complesso il mondo e anche le scienze umane ci aiutano, senza cadere nello psicologismo, ma ci aiutano a vedere il cammino. Formarli con la lettura dei grandi, dei grandi direttori e direttrici spirituali, soprattutto del monachesimo. Non so se voi avete contatto con le opere del monachesimo primitivo: quanta saggezza di direzione spirituale c’era lì! È importante formarli con questo. Come riscoprire questa ricchezza? La vita consacrata per l’80 per cento ha un volto femminile: è vero, sono più donne consacrate che uomini. Come è possibile valorizzare la presenza della donna, e in particolare della donna consacrata, nella Chiesa? Mi ripeto un po’ in quello che sto per dire: dare alla donna consacrata anche questa funzione che molti credono sia soltanto dei preti; e anche dare concretezza al fatto che la donna consacrata sia il volto della Madre Chiesa e della Madre Maria, e cioè andare avanti sulla maternità, e maternità non è soltanto fare figli! La maternità è accompagnare a crescere; la maternità è passare le ore accanto ad un malato, al figlio malato, al fratello malato; è spendere la vita nell’amore, con quell’amore di tenerezza e di maternità. Su questa strada troveremo di più il ruolo della donna nella Chiesa. Padre Gaetano ha toccato vari temi, per questo mi è difficile rispondere... Ma quando mi dicono: «No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!». Sì, possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. È più profondo e va su questa strada. Sì, che faccia queste cose, che vengano promosse — adesso a Roma ne abbiamo una che è rettore di una università, e ben venga! —; ma questo non è il trionfo. No, no. Questa è una grande cosa, è una cosa funzionale; ma l’essenziale del ruolo della donna va — lo dirò in termini non teologici — nel fare in modo che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa. Andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo; si deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile. Credo che con questo ho risposto come ho potuto alle domande e alla tua. E a proposito di genio femminile, io ho parlato di sorriso, ho parlato di pazienza nella vita della comunità, e vorrei dire una parola a questa suora che ho salutato di 97 anni: ha 97 anni... È lì, la vedo bene. Alzi la mano, perché tutti la vedano... Io ho scambiato con lei due o tre parole, mi guardava con gli occhi limpidi, mi guardava con quel sorriso di sorella, di mamma e di nonna. In lei voglio rendere omaggio alla perseveranza nella vita consacrata. Alcuni credono che la vita consacrata sia il paradiso in terra. No! Forse il Purgatorio... Ma non il Paradiso. Non è facile andare avanti. E quando io vedo una persona che ha speso la sua vita, rendo grazie al Signore. Attraverso Lei, suora, ringrazio tutte, e tutti i consacrati, grazie tante! Da settantacinque anni gli orionini al servizio della Santa Sede Il 31 gennaio 1940, alla vigilia della sua morte (12 marzo 1940), don Orione in una “buona notte” data ai suoi figli nella cappella del Paterno in Tortona, diceva: «Oggi don Sterpi è andato a Roma a presentare in Vaticano i vostri cinque fratelli che domani prenderanno possesso del loro ufficio. Ci troviamo alla vigilia di uno di quegli avvenimenti che ci devono legare sempre più nel servizio e nella dedizione totale di noi stessi alla santa Chiesa e al suo capo visibile, il Papa. Certo è stato un grande conforto per me! Quando l’ho saputo, ho detto tra me: ecco ora posso dire il Nunc dimittis, perché è venuto il giorno in cui i Figli della Divina Provvidenza sono chiamati a prestare un atto di immensa fedeltà, di amore, di servizio, di attaccamento al vicario di Cristo». Prestare un atto di fedeltà, di amore, di attaccamento al vicario di Cristo, ecco la prospettiva con cui don Orione accettò il servizio in Vaticano per i suoi figli. Per capire meglio i sentimenti di gioia e di “conforto” di don Orione è necessario ricordare che ai suoi sacerdoti era stata affidata, dal 1° maggio 1904, la cura della chiesa di Sant’Anna in Vaticano, dove don Orione stesso aveva più volte vissuto per brevi periodi, e dove, tra l’altro, erano stati alloggiati come prima sosta, anche orfani del terremoto della Marsica, del quale occorre quest’anno il centenario. Con i Patti lateranensi del 1929 Sant’Anna diventava parrocchia ed era affidata ai padri agostiniani, che da secoli erano “parroci” del Vaticano. Agli orionini fu data un’altra chiesa, San Giacomo a piazza Scossacavalli, antistante piazza San Pietro. Purtroppo questa chiesa fu demolita, insieme ad altri edifici, nel 1936, per fare posto alla nuova, ampia via della Conciliazione. Per don Orione, quindi, l’offerta del servizio al Centralino vaticano era una vera benedizione celeste, e aggiungeva: «Chi sta al centralino sa tutto quello che passa fuori e dentro, sa tutto quello che viene detto in Vaticano. È un ufficio delicatissimo, delicatissimo! Io non so come si sia pensato ai poveri Figli della Divina Provvidenza. Io penso che non sia stata estranea l’opera del Signore, che il Signore abbia voluto dare a me e a voi questo segno di fiducia del Papa». I telefonisti del Papa Dal cielo, don Orione, si sarà rallegrato dell’apprezzamento manifestato dai vari Papi sul lavoro svolto dai suoi religiosi all’ombra del cupolone. Così, ad esempio, si esprimeva Pio XII il 16 gennaio 1957, nell’Aula delle Benedizioni, rivolto ai religiosi orionini addetti ai telefoni e alle poste: «Vada a voi la nostra benedizione specialissima e sia segno dei sentimenti di riconoscenza che Cronaca di un addio In occasione del settantacinquesimo anniversario della presenza degli orionini in Vaticano, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin celebra una messa nella chiesa di Sant’Anna martedì 19 maggio alle 13. L’anniversario coincide con quello della morte del fondatore della congregazione dei Figli della divina provvidenza, più noti con il nome di orionini. E proprio alla «Cronaca dell’addio a don Orione» è interamente dedicato il primo numero dell’anno del quaderno di storia e spiritualità «Messaggi di Don Orione», diretto da don Flavio Peloso. Attraverso ricordi, appunti e diari di molti testimoni — spiega nell’introduzione il direttore generale della congregazione — vengono ricostruiti i giorni che vanno dalla prima grave crisi cardiaca che il futuro santo soffrì, il 23 settembre 1939, fino alla morte, il 12 marzo 1940, e al giorno della sepoltura, il 19 marzo. abbiamo verso di voi che attendete a servizi così importanti, così delicati, con tanta fedeltà, con tanta assiduità, con tanto fervore. Vi benedica dunque il Signore come Noi vi benediciamo; e benediciamo anche tutta la vostra benemerita congregazione». Settantacinque anni di presenza in Vaticano. È doveroso richiamare alcuni nomi, dati e avvenimenti significativi di tale periodo. Il 1° febbraio 1940 i primi cinque religiosi (Felice Bortignon, Giuseppe Contoli, Giovanni Dalla Libera, Raffaele Mattei, Francesco Scarsoglio), scelti da don Orione, furono presentati da don Sterpi in Vaticano: erano tutti chierici studenti di teologia. Il loro posto di lavoro fu il Centralino telefonico vaticano: furono i primi telefonisti del Vaticano. Si erano “addestrati” al lavoro quasi di nascosto, recandosi, la sera, presso il centralino telefonico di Tortona. Sei mesi dopo l’arrivo dei religiosi, il 24 ottobre 1940, il Governatorato della Città del Vaticano, organo preposto ai servizi del piccolo Stato, offre alla congregazione di don Orione la “sovraintendenza “ delle poste e dei telegrafi. Don Sterpi presenta a capo di questo nuovo servizio il sacerdote don Adriano Calegari, il quale riceve il suo incarico con la qualifica di ispettore. Tutti i religiosi, i primi anni, dal 1940 al 1943, hanno la propria residenza fuori del Vaticano, presso la casa orionina di via delle Sette Sale in Roma. Solo nel 1943, a motivo del coprifuoco di guerra, essi vengono ospitati nella Città del Vaticano, dapprima in alcune stanze della casa degli agostiniani presso la chiesa di Sant’Anna, poi, dal 1963 a oggi, nel Palazzo del Belvedere. Il 15 aprile 1946 il visitatore apostolico dell’O pera Don Orione, l’abate Emanuele Caronti, presenta il nuovo ispettore delle poste, telegrafi e telefoni, don Dionisio Di Clemente, abruzzese, il quale svolgerà la sua opera illuminata fino al 1972. Di Clemente non era del tutto nuovo al servizio del Papa. Infatti, dal 1942 era stato as- segnato all’ufficio dei prigionieri di guerra, istituito da Pio XII. L’ufficio, scriveva il sacerdote, «era diretto da un “gendarme” uomo di grande fiducia del cardinale Canali». A lui subentrò don Angelo Cordischi, che diresse le poste e i telegrafi per 25 anni, fino al 1997. A Cordischi successe per dieci anni don Giorgio Murtas, seguito dall’attuale responsabile, don Attilio Riva. Lunga e varia è stata la schiera dei religiosi avvicendatisi nei servizi telefonico, telegrafico e postale. Dopo i primi chierici studenti e i sacerdoti, all’inizio di giugno 1942 arriva al centralino telefonico anche il primo religioso laico, il fratello Giai Baudissard Francesco. Egli è rimasto ininterrottamente in Vaticano fino alla morte, sempre impegnato in un servizio intelligente, prezioso e fedele. Per un lungo periodo ricoprì anche l’incarico di capo del servizio postale. Morì praticamente “sul lavoro” il 22 novembre 2006. Aveva 82 anni e servito la Santa Sede per 64 anni. Nel suo necrologio si legge anche del suo lungo esercizio della «carità nascosta verso i “senza fissa dimora” che trovavano riparo sotto il colonnato del Bernini in piazza San Pietro, ai quali fratel Giai recava cibo e bevande, oltre a qualche parola di conforto». Nel 1971 i religiosi, anche per accresciute esigenze di lavoro, lasciano il centralino telefonico, dove subentrano le pie discepole del Divin Maestro, del beato Giacomo Alberione, per occuparsi esclusivamente della direzione delle poste e del telegrafo. In tale servizio essi svolgono tuttora la loro opera, in fedeltà al carisma del fondatore. Negli ultimi anni la comunità dei religiosi è divenuta più diversificata per provenienza e incombenze. Anche il numero è diminuito. Questa presenza vuole comunque essere sempre un segno concreto che la congregazione è, e vuole rimanere, fedele al suo carisma di fondazione, proprio come don Orione stesso ebbe a dichiarare in occasione dell’invio dei suoi primi cinque religiosi in Vaticano: «Il fatto che lo sguardo del Papa si sia fermato su di noi deve confortarci, deve dare a noi la sensazione, la prova, direi tangibile, che la Congregazione a cui siete stati chiamati, è sulla buona strada». (angelo cordischi e giuseppe vallauri) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 Ritratto zodiacale di Juan de Palafox Il suo funerale fu una delle maggiori manifestazioni popolari nella storia del Salvador Sicuramente la più carica di dolore e di affetto Una testimonianza sulla morte di monsignor Romero Il vescovo-viceré vedeva una forte somiglianza tra la religiosa spagnola e Isabella la Cattolica Nello stile, nell’eloquenza e nelle riflessioni Scoramento e mobilitazione ghi anche distanti, giornalisti, dele- Vietnam. Ma non ho mai visto niengazioni solidali. Monsignor Rome- te di simile a quello che è accaduto ro, da morto, come Gesù — assassi- oggi». Frattanto il corpo di monsinato e martire — cominciava a gene- gnor Romero fu sepolto in tutta rare vita nel Salvador e dappertutto, fretta nella cattedrale, mentre il suo Juan de Palafox e santa Teresa tra cristiani e non credenti. Nella spirito iniziava a volare per il monmia esperienza non ricordo nulla di do intero. Quei giorni furono per tutti noi simile dalla morte di Giovanni molto agitati e densi di lavoro. CoXXIII. Perfino un sindacato operaio cecoslovacco esprimeva solidarietà, minciai a scrivere le prime riflessioni per menzionare un dettaglio tra sulla vita e sulla morte di monsignor Romero, e mi mancò perfino il mille. «Se mi ammazzeranno, risusciterò tempo per andare a vedere il suo nel popolo salvadoregno. Lo dico corpo che veniva vegliato nella catsenza alcuna millanteria, con la più tedrale. Non mi era difficile descriovvio interesse. Juan de Palafox religiosa (che ben lo fu nelle virdi JORGE FERNÁNDEZ DÍAZ* grande umiltà», aveva detto monsiy Mendoza nacque nel 1600 nel tù) sarebbe stata un’altra santa gnor Romero pochi giorni prima. ostre, libri, cicli paese navarrese di Fitero, dove Teresa. E avendole rilette ora, in Ed era la verità. Il suo funerale, il di conferenze e trascorse la sua infanzia; compì caso mi fossi sbagliato, mi sono Subito cominciarono ad arrivare 30 marzo, fu anzitutto una straordicorsi organizzati gli studi universitari a Huesca, rafforzato nel mio giudizio». chiamate da diversi luoghi naria espressione di questa risurreda diverse uni- Alcalá e Salamanca. Nel 1626 Nel commentare la gratitudizione, una delle maggiori se non la anche distanti versità ed enti entrò al servizio della monar- ne, Palafox scrive in riferimento più importante manifestazione poculturali stanno celebrando da chia, nel 1629 si fece sacerdote e alle figlie di santa Teresa: «Nella Il suo sacrificio generava vita polare nella storia del Salvador. Sialcuni mesi il quinto centenario nel 1639 ricevette l’ordinazione mia vita ho visto creature tanto curamente la manifestazione più in tutto il Paese della nascita di santa Teresa. In episcopale. Nominato vescovo grate. E ciò non si deve molto a sentita, più carica di dolore e di afquesto vivace contesto merita di di Puebla de los Ángeles in loro, poiché hanno ereditato tutfetto. Tutti lo piansero — tranne i essere segnalata la raccolta di Messico, svolse importanti inca- to dalla madre, che le riprendepochi che celebrarono quella morte studi En sintonía con Santa Tere- richi come viceré e visitatore, e rebbe dal cielo se così non favere le cose della sua vita e i dettabrindando — ma i poveri sa. Juan de Palafox y los Carme- si distinse come pastore zelante. cessero». lo piansero come si piange gli della sua morte, ma presto mi relitas Descalzos. Doce Estudios si conto che scrivere di monsignor Morì a Osma nel 1659. Il vescovo, nei suoi giudizi, soltanto una madre o un (Pamplona, Gobierno de NavarRomero voleva dire confrontarsi con Ha coordinato e curato il li- soleva ripetere riguardo a questo padre. ra, 2014, pagine 442, euro 18), una domanda ancora più profonda: bro Ricardo Fernández Gracia, tema: «Tre cose mi stancano Il 30 marzo, ecco nuovo realizzata sotto il patrocinio delchi era e chi è monsignor Romero? sangue e nuove lacrime la commissione nazionale del rettore della cattedra di Patrimo- molto e la quarta non sopporta Questa domanda va ben oltre i detla mia anima. La durante il funerale più in- tagli della sua vita e della sua morcentenario e il governo di Naprima: il povero sucredibile della storia con- te. È una domanda che vuole covarra, con la collaborazione del perbo; la seconda: il temporanea. La sera prece- glierne la totalità. È la domanda che comune di Fitero, paese natale Entrambi amici del sapere ricco avaro; la terza: dente riflettevamo su che sorge davanti di Palafox. Le sue oltre quattroMonsignor Romero, che il 23 il magistrato insoesaltavano cosa sarebbe potuto succecento pagine sono un’opportumaggio sarà beatificato a San alla morte lente; la quarta; l’indere durante il funerale, di Gionità per addentrarsi nell’amicizia Salvador, sarà co-patrono della il valore della cultura grato verso i benepoiché era ancora fresco il vanni che legò il beato e la santa e diCaritas internationalis. Lo ha fattori». Riguardo Tanto necessaria per l’anima ricordo del massacro avvemostrare come furono entrambi annunciato il presidente uscente, ai libri, entrambi li nuto durante la manifestapersonalità fuori dal comune, come il cibo per il corpo il cardinale Óscar Rodríguez amarono molto, esintelligenti, travolgenti, brillanti, zione popolare del 22 di Maradiaga, concludendo i lavori sendo amici del saappassionate e appassionanti, gennaio dello stesso anno. dell’assemblea generale pere. Teresa, nel riche operarono con grande liberNon ne parlammo molto e dell’organizzazione alla quale nio e arte navarrese dell’univer- vendicare religiose uguali, colte tà e con un grande amore per la volevamo convincerci che hanno preso parte i rappresentanti sità di Navarra, accademico core allegre, era dell’opinione che il verità e le lettere, sempre alla rinon sarebbe successo nuldi 160 Caritas nazionali. rispondente della Real Acade- cristiano debba trattare con chi cerca di Dio. la. Invece successe. Varie Pubblichiamo lo stralcio di una «Più carmelitano che se aves- mia de la Historia, autore di va- ha cultura, se ne ha la possibilipersone morirono schiactestimonianza sulla morte se professato il suo istituto» si rie monografie su Palafox e cu- tà. Consapevole del ruolo dei liciate dalla calca o colpite dell’arcivescovo contenuta nel legge nelle pagine iniziali del li- ratore di alcune mostre sul ve- bri, li giudicava «tanto necessari dai proiettili. Tutti i vescovolume Romero. Martire di Cristo e per l’anima quanto lo è il cibo bro, che mette in relazione la scovo-viceré. vi e i sacerdoti rimasero degli oppressi (Bologna, Emi, 2015, Oltre a lui, hanno firmato gli per il corpo», dicendo ai suoi fondatrice con uno dei suoi più nella cattedrale per accompagine 281, euro 17). ferventi innamorati: Juan de Pa- articoli della monografia Ilde- lettori: «leggi e guiderai, non pagnare e dare una quallafox. La frase citata fu pubbli- fonso Moriones, postulatore del- leggere e sarai guidato». che protezione alle miPalafox, da parte sua, oltre a cata dai figli della santa di Ávila la causa del beato Palafox, Togliaia di persone che vi nelle pagine introduttive delle más Álvarez, grande esperto di fondare una biblioteca pubblica incontrollate, quasi isteriche. «Han- cercavano rifugio. Non avremmo Obras completas di Palafox, tutto ciò che riguarda santa Te- a Puebla, affermava: «Sono no sparato a monsignor Romero. potuto fare di meno per seguire i nell’edizione del 1762 da loro resa, Pedro Echeverría, dell’uni- buoni amici, i libri, intrattengoSta sanguinando». Tanta era la sua passi di colui che stavamo seppelcurata. La profonda relazione versità dei Paesi Baschi, Eduar- no e avvantaggiano, divertono e concitazione che non potei capire lendo! Soltanto l’arcivescovo di Citdel vescovo-viceré Palafox con do Morales Solchaga, grande calmano. Se stancano, si possotà del Messico e delegato papale, il nient’altro. Tantomeno se monsil’Ordine carmelitano teresiano conoscitore della documentazio- no lasciare. Se riposano, si posgnor Romero fosse vivo o morto. cardinal Corripio, se ne andò di viene commentata, in questa ne palafoxiana e Álvarez Santa- sono proseguire. Sempre inseUscii subito di casa e corsi all’uffi- gran fretta all’aeroporto. La morte XXIII o di Martin Luther King. Cremonografia, attraverso dodici ló, dell’università di Siviglia. gnano e, silenziosamente, senza cio del provinciale César Jérez, circa di monsignor Romero provocò tri- do sia anche la domanda — con tutte le analogie del caso — che si son studi di sei esperti. Alcuni sono Sono molti gli elogi che Pala- ingiuria, ammoniscono». Nel cinquanta metri più avanti. Gli rac- stezza e turbamento, la sua sepoltuinediti, altri riprendono temi e fox fa a santa Teresa. Tra di essi, corso del libro il lettore si può contai della chiamata e accendem- ra causò indignazione e incredulità. fatti i primi cristiani: chi è stato Gestudi già esistenti ma opportu- in una lettera a donna Luisa de addentrare nella conoscenza di mo la radio. Dopo pochi minuti Un giornalista italiano piangeva; e sù di Nazaret, chi è il Cristo risuscinamente aggiornati e rivisti, e la Cerda, descrive diedero la notizia: «Monsignor Ro- un altro, credo di un Paese sudame- tato. Subito mi convinsi che monsiinfine altri ancora sono stati ri- così la somiglianza mero è morto». Padre Jérez e io re- ricano, mentre eravamo chiusi nella gnor Romero era stato un “vangepubblicati e inclusi per il loro tra santa Teresa e stammo in silenzio per diverso tem- cattedrale mi disse: «Sono stato in lo”, una buona notizia di Dio. Sono buoni compagni i libri Isabella la Cattolipo. Poi andai all’Uca e non dimenca: «In questa ocIntrattengono e avvantaggiano ticherò mai la scena. Una ventina di casione non posso persone, tutte di carattere notevole, divertono e calmano non osservare che, abituate a ricevere attacchi e ad avendo letto già alSe stancano si possono lasciare ascoltare cattive notizie, erano là in cune lettere della piedi, col volto costernato e abbatIn mostra a Roma Se riposano si possono leggere santa regina donna tuto. E in silenzio. Davvero monsiIsabella la Cattolignor Romero era morto. (Dopo ca, gloriosa princiqualche giorno venni a sapere che pessa, tra le più grandi che i se- molti altri aspetti della vita e io ero stato il primo sacerdote a ricoli hanno visto, ho notato che dell’opera di Palafox, rispetto cevere la notizia. Le religiose si assomigliavano moltissimo lo all’Ordine carmelitano teresiano: dell’hospitalito avevano chiamato Il Museo di Villa Torlonia ospita per la prima stile di questa grande regina e dalla vera personalità della mamonsignor Ricardo Urioste, ma non volta una mostra monografica di Cipriano Efisio quello della santa: non solo dre, che divenne carmelitana l’avevano trovato. Poi avevano chiaOppo (1891-1962) organizzata dall’Archivio Oppo nell’eloquenza e vivacità nel di- scalza, mato la nostra casa. Lo dico tra paai suoi commenti in collaborazione con il Museo della Scuola re, ma anche nel modo di con- sull’epistolario di santa Teresa, rentesi, però fu una piccola consolaRomana e l’Archivio storico del Teatro cepire i discorsi, di spiegarli, e all’iconografia palafoxiano-terezione personale: le religiose che videll’Opera di Roma. La mostra, curata da nelle riflessioni, nelle osservazio- siana, passando per i frati vevano con lui ci consideravano viFrancesca Romana Morelli e Valerio Rivosecchi, ni, nel lasciare una cosa, pren- dell’Ordine con cui collaborò cini a lui). resterà aperta dal 19 maggio al 4 ottobre. derne un’altra e poi tornare alla nelle terre della Nuova Spagna, Le prime ore dopo l’assassinio mi Cinquanta dipinti, venti disegni, venti bozzetti prima, senza negligenza, anzi ricordarono gli apostoli dopo la le immagini di speciale venerascenografici e quattro costumi realizzati per il con grandissima grazia (...) morte di Gesù: scoramento, tristezzione da parte del vescovo legaTeatro dell’Opera di Roma, raccontano l’O ppo Confesso che quando le lessi, za, sconcerto. Ma ben presto, molto te all’Ordine carmelitano, o lo artista — per la cui opera manca ancora una sede circa sei anni fa, mi feci l’idea prima dei dieci giorni che gli apopermanente da molti auspicata — al di là del suo che erano così simili quei due studio profondo e sagace di uno stoli atterriti passarono nel cenacolo ruolo istituzionale forse più noto. Accademico naturali intendimenti e spiriti degli scritti di Palafox, Luz de secondo il racconto di Luca, venne d’Italia e deputato, Oppo fondò le Quadriennali della signora regina cattolica e vivos y escarmiento en los muertos, a soffiare lo Spirito, con molta forromane e organizzò le Biennali romane e di santa Teresa, che mi sembrò che Álvarez Santaló presenta coza. Avvenne una grande mobilitaveneziane. Notevole e ancora poco conosciuta è che se la santa fosse stata regina, me un esempio sui generis di zione: messe in sua memoria, riula sua attività di scenografo e costumista per sarebbe stata un’altra cattolica manuale degli stati di vita. nioni, comunicati, partecipazioni di Cipriano Efisio Oppo, «Luciano con la tank» l’Opera di Roma, il Maggio Fiorentino, la Scala donna Isabella; e se questa insilutto. Cominciarono ad arrivare (1933, particolare) chiamate telefoniche da diversi luoe la Fenice. gne principessa fosse stata una *Ministro dell’Interno spagnolo di JON SOBRINO n nome di Dio, perciò, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!». Non so se queste parole furono la sua sentenza di morte, poiché immagino che la pianificazione professionale di un assassinio richieda del tempo. Ma di fatto hanno portato al culmine quel processo dell’espressione della verità e della denuncia delle atrocità che oggettivamente ha portato monsignor Romero al martirio. Personalmente rimasi emozionato per le sue parole, e preoccupato. Il 24 marzo, quando era già sera, suonò il telefono di casa mia. Chiedevano un prete. Io ero l’unico presente in quel momento e andai a rispondere. A parlare era una religiosa dell’hospitalito: le sue erano grida «I Anime gemelle M Co-patrono di Caritas internationalis Costumista per pochi L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 pagina 7 Come condividere la fede cristiana con chi arriva in Italia L’accoglienza è anche spirituale di MARCO BELLIZI In un Paese attraversato da sentimenti sempre più diffusi di pessimismo e di disincanto, di fronte a notizie desolanti riguardo al futuro delle giovani generazioni e alla credibilità dei modelli di riferimento, la Chiesa in Italia è chiamata a interrogarsi sul suo ruolo e sulla capacità di trasmettere efficacemente la gioia e la concretezza della scelta cristiana. Non è un caso se il tema scelto per la sessantottesima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Cei) — che si apre oggi nell’aula del sinodo in Vaticano con l’intervento di Papa Francesco — è la verifica dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, un’analisi che evoca bilanci e autovalutazioni. I vescovi italiani sono chiamati a trovare modi e opportunità per rendere più incisiva e meno omologata la presenza cristiana nella società, a partire dal recupero della capacità di essere testimoni coraggiosi nel denunciare gli effetti di una cultura distorta che è stata spesso capace di corrompere tanto i comportamenti pubblici quanto quelli privati. Si tratta di un impegno che coinvolge la Chiesa a tutti i livelli e in tutte le sue componenti, compresi i fedeli laici, più volte esortati dallo stesso Pontefice ad assumere maggiori e autonome responsabilità in ambito sociale, economico e, non ultimo, politico, valorizzando la loro peculiare sensibilità di credenti. La sfida è impegnativa. Per questo richiede uno sforzo collegiale, in un’ottica di collaborazione e comunicazione continua fra strutture e uomini della Chiesa, chiamati a “fare squadra” in un lavoro solidale. Di tutto questo parleranno dunque i presuli a partire da martedì, dopo l’intervento del presidente del- di CARLO GRANDI Caravaggio, “Sette opere di Misericordia” (1607) Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana Testimoni credibili la Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, avviando un confronto che si articolerà, oltre che sulla recezione dell’Evangelii gaudium, anche sul cammino di preparazione e programma del quinto Convegno ecclesiale nazionale, che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre prossimi, e sul tema che è stato al centro dei lavori della scorsa assemblea generale, ovvero “La vita e la formazione permanente dei presbiteri”. Una parte importante dei lavori sarà dedicata poi alla preparazione del Giubileo straordinario della misericordia e all’elezione, oltre che di un vicepresidente per l’Italia Settentrionale, dei presidenti delle Commissioni episcopali e dei rappresentanti della Cei al prossimo Sinodo dei vescovi. Siamo capaci di accogliere gli stranieri nella nostra Chiesa? È una questione importante. Fra gli immigrati ci sono tanti che provengono da tradizioni religiose diverse dalla nostra. Ci sono anche cristiani non cattolici. A esempio da Albania, Romania, Ucraina, Russia arrivano tanti ortodossi. Sono persone che arrivano in Italia in condizioni precarie, senza dimora, senza lavoro. Sradicati dalle loro famiglie, dalle loro terre, dalla loro lingua, dalle loro abitudini e anche dalla loro Chiesa. Dove andranno la domenica a pregare nostro Signore se non li accogliamo nelle nostre chiese? Molti di questi immigrati fanno fatica a integrarsi e noi cattolici, grazie al bellissimo lavoro di volontari e associazioni, siamo in prima linea per aiutarli. Ma riusciamo anche ad accoglierli in chiesa a pregare con noi, oppure abbiamo il dubbio di non poterlo fare? Ci deve guidare la certezza che, anche se ortodossi, loro credono e pregano Gesù come noi. Non dobbiamo convertirli per pregare assieme a loro. Chiedere la conversione significa obbligarli a rompere gli ultimi legami con le loro famiglie di origine. Molti non lo accetterebbero e si sentirebbero incompresi e quindi respinti. Non è una colpa essere nati in Paesi di tradizione ortodossa. La nostra accoglienza deve essere spinta da una gratuità e più che mai lo deve essere sotto il profilo della fede. I cattolici e gli ortodossi hanno moltissimo in comune. Le nostre Chiese sono molto vicine e dobbiamo quindi essere aperti nel pregare insieme. Come cristiani siamo più bravi nell’accoglienza fisica, nel dare loro da mangiare e dormi- re, che non nell’accoglienza di fede, nel pregare insieme. Nella mia parrocchia di San Lazzaro a Bologna, il parroco rende disponibile la chiesa alla comunità copta bolognese. Alcuni di noi, assieme a don Domenico, andiamo a salutarli quando si ritrovano per celebrare il Natale. Questa è accoglienza e ancora di più lo sarà quando questo non sarà un caso isolato ma parte integrante di un dialogo costante fra cristiani di diverse denominazioni. Dobbiamo parlare anche dei turisti che arrivano numerosi in Italia. Cattolici a parte, come accogliamo una famiglia di tedeschi luterani che vogliono pregare Gesù? E un inglese anglicano? All’aeroporto di Heathrow, a Londra, esiste una bellissima cappella interconfessionale nella quale ognuno può pregare. È un modo semplice, anche se impersonale, per mettere a disposizione uno spazio a tutti coloro che sentono la necessità di pregare. In Italia è diverso. Nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti ci sono (a volte) cappelle cattoliche, ma non devono essere un segno di chiusura verso i non cattolici. Sarebbe grave. Come cattolici, facciamo parte della Chiesa universale e dobbiamo essere accoglienti, disponibili verso tutti i cristiani, e predisporci a essere un’unica Chiesa, con un unico credo, pur venendo da tradizioni e denominazioni diverse. Aprire le nostre chiese e dare attenzione ai non cattolici, immigrati e turisti che arrivano in Italia, fa parte della nostra fede, del senso di accoglienza che sentiamo molto forte sotto il profilo materiale ma che non viviamo altrettanto fortemente dal punto di vista spirituale, di condivisione della fede. È un passo che, come cristiani, dobbiamo compiere o lavorare affinché si compia. La St George’s Interdenominational Chapel presso l’aeroporto londinese di Heathrow L’eredità di madre Luisa Margherita Claret de la Touche I vescovi europei sul commercio di minerali nelle zone di guerra Nella misericordia Per non essere complici Governatorato della Città del Vaticano Ufficio delle poste e del telegrafo di D ONATELLA COALOVA Il 14 maggio di cento anni fa, nel monastero di Betania del Sacro Cuore a Vische, vicino a Ivrea, moriva madre Luisa Margherita Claret de la Touche (1868-1915). Il suo messaggio è oggi più vivo che mai, custodito e irradiato da tanti figli spirituali sparsi nel mondo, uniti dal comune impegno di «diffondere la conoscenza delle misericordie infinite del Signore» e di «compiere la sua volontà a qualunque costo», nella quotidiana testimonianza della comunione e del servizio. Misericordiam volo (“voglio la misericordia”): queste parole, insieme alla corona di spine, circondano come un’aureola il capo di Cristo nella singolare icona del Sacro Cuore dipinta da madre Luisa Margherita, quasi a tracciare una sintesi visiva del suo carisma. Dagli scritti, dalle sofferenze e dall’esperienza contemplativa di questa religiosa visitandina è nata, a sostegno del sacerdozio cattolico, l’Opera dell’amore infinito, che in questi giorni ricorda la fondatrice. Nata il 15 marzo 1868 a SaintGermain-en-Laye in un’agiata famiglia francese, Margherita fin da piccola manifestò un temperamento sensibile, con uno spiccato senso estetico. La nonna materna, Emilie Gallot, esercitò un ruolo importante nella sua formazione umana e cristiana. Il 20 novembre 1890 entrò nella visitazione di Romans. La sua vita religiosa si svolse in un periodo travagliato della storia francese: nel 1901 furono emanate le leggi contro le congregazioni educatrici; nel 1904 si registrò la rottura delle relazioni diplomatiche tra la Francia e la Santa Sede; nel 1906 venne imposto l’esilio alle congregazioni monastiche. In seguito a questi provvedimenti, le visitandine di Romans cercarono rifugio in Italia, a Revigliasco. Eletta superiora il 16 maggio 1907, madre Luisa Margherita guidò i successivi trasferimenti della comunità a Mazzè e infine a Parella, nella diocesi di Ivrea. Ebbe così modo di conoscere l’ordinario del luogo, monsignor Matteo Filipello (1859-1939), che divenne suo direttore spirituale. L’8 maggio 1913 ma- dre Luisa Margherita terminò il secondo triennio di superiorato. Su consiglio di monsignor Filipello, si recò a Roma per presentare ai competenti dicasteri della Santa Sede i suoi scritti e il progetto dell’O pera che si sentiva chiamata a far nascere nella Chiesa a servizio del sacerdozio. In mezzo a pesanti incomprensioni, pochi mesi prima di morire, il 19 marzo 1914, fondò a Vische un nuovo monastero della Visitazione dedito in special modo alla preghiera per i sacerdoti. Diceva: «Diciannove secoli fa, dodici uomini hanno cambiato il mondo; ma non erano soltanto uomini, erano sacerdoti». I sacerdoti dell’Opera «si impegneranno a predicare l’amore e la misericordia di Dio e ad aiutarsi reciprocamente nelle opere di zelo senza mai ostacolarsi a vicenda». Anima profondamente contemplativa, madre Luisa Margherita anticipò nei suoi scritti alcuni temi, come quello dell’unità dei presbiteri con il proprio vescovo e fra di loro, poi fortemente sottolineati da documenti del magistero. Grazie all’aiuto di monsignor Filipello, il piccolo monastero di Vische poté sopravvivere, assumendo proprie costituzioni e il nome di Betania del Sacro Cuore. Dal 22 agosto 1958 è un Istituto di diritto pontificio composto da religiose che hanno come carisma la preghiera e l’offerta quotidiana per i sacerdoti e per la Chiesa. Le suore di Betania, che hanno case in Italia, in Colombia e in Argentina, sono la radice dell’O pera dell’amore infinito, che inoltre è costituita dall’Alleanza sacerdotale, dagli Amici e amiche di Betania, dalle Missionarie dell’amore infinito. L’Alleanza sacerdotale si caratterizza non tanto per le opere che richiede, quanto per lo spirito che diffonde, chiedendo agli aderenti di vivere nell’abbandono, nella comunione, nella misericordia. L’Alleanza sacerdotale è presente in quasi tutti i Paesi europei, negli Stati Uniti, in America latina, in Australia, in numerosi paesi dell’Asia e dell’Africa. In questi cento anni ne hanno fatto parte anche alcuni cardinali e circa 150 vescovi di ogni parte del mondo. STRASBURGO, 18. Domani a Strasburgo il Parlamento europeo esaminerà in sessione plenaria una proposta di legge tesa ad arginare il flusso di soldi verso i gruppi armati presenti nelle aree di conflitto, alimentato dalla vendita di stagno, tantalio, tungsteno, oro provenienti da quelle zone. Il provvedimento, che ha l’obiettivo di imporre alle compagnie importatrici maggiore trasparenza e tracciabilità degli acquisti, dovrebbe essere votato nella giornata di mercoledì. Un tema, quello delle materie prime provenienti dalle zone di guerra, sul quale sono già intervenute associazioni e organizzazioni di vari Paesi europei che si battono per una regolamentazione della materia. Anche la Chiesa nell’ottobre scorso — con un documento firmato da 146 vescovi di 38 nazioni dei cinque continenti — ha chiesto più controlli sulla catena di approvvigionamento dei minerali, per non rendersi complici del finanziamento delle guerre. «Grande potenza commerciale, l’Unione europea — si legge nel testo dei presuli — importa una quantità importante di materie prime provenienti da zone di conflitto. Attraverso la loro catena di approvvigionamento, alcune imprese europee si rendono dunque complici di abusi. Questa situazione non è tollerabile. Gli Stati sono tenuti a fare il possibile per assicurare condizioni di pace, non solo nel proprio territorio ma in tutto il mondo». Da qui la richiesta ai go- verni, ai cittadini e agli uomini d’affari di assumersi le loro responsabilità e di garantire che le aziende si approvvigionino di risorse naturali in maniera responsabile. Stop quindi allo sfruttamento minerario e commerciale e al conseguente finanziamento dei conflitti armati. Il voto del 20 maggio rappresenta il termine di un percorso portato avanti da alcuni anni. Un impulso in questo senso era arrivato nel 2010 con l’approvazione da parte del Congresso degli Stati Uniti del Dodd-Frank Act, una legge che impone alle aziende statunitensi quotate in Borsa di certificare che lo stagno, il tantalio, il tungsteno e l’oro utilizzato nelle loro produzioni non provengano dalle zone di conflitto della Repubblica Democratica del Congo e Paesi confinanti. Un primo passo l’Unione europea l’aveva compiuto nel 2013 con l’approvazione di una direttiva che chiede alle grandi compagnie estrattive di rendicontare i pagamenti sopra i 100.000 euro nei confronti di ogni Paese in cui operano. Una seconda direttiva, del settembre 2014, chiedeva alle stesse compagnie di rendere pubbliche informazioni anche non finanziarie riguardanti questioni ambientali, sociali, occupazionali, rispetto dei diritti umani e corruzione. Ora l’approdo a Strasburgo di questo testo, che però presenta alcuni punti deboli, tanto che diverse organizzazioni europee della società civile hanno invocato una legge più “ambiziosa”. Per prima cosa si chiede ai parlamentari europei di non limitare (come invece previsto dal provvedimento) la nuova legge sulla tracciabilità alle importazioni di oro, stagno, tantalio e tungsteno, ma a tutti i minerali. In secondo luogo si auspica che l’obbligo di certificare la non provenienza dei minerali da zone di conflitto sia esteso a tutte le imprese e non solo alle fonderie e raffinerie dell’Unione europea. I vescovi, dal canto loro, sollecitano l’estensione (per esempio al Perú, allo Zimbabwe, al Myanmar) del perimetro geografico delle risorse naturali già coperte dalla regolamentazione, la responsabilità comune delle imprese dall’inizio alla fine della catena di approvvigionamento e un sistema obbligatorio che metta in opera le raccomandazioni e le linee-guida in materia dettate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. «Un’occasione unica si offre oggi all’Unione europea — concludono i presuli — per contribuire alla scomparsa dei conflitti violenti legati alle risorse naturali, che hanno rappresentato il 40 per cento dell’insieme dei conflitti nel mondo negli ultimi sessant’anni. Facciamo appello ai parlamentari e ai governi europei affinché raccolgano questa sfida». Annullo postale speciale in occasione della manifestazione filatelica «124ª Veronafil» (22 – 24 maggio 2015) In occasione della 124ª edizione della manifestazione filatelica «Veronafil», che si terrà a Verona (Italia) dal 22 al 24 maggio 2015, le Poste Vaticane porranno in uso uno speciale annullo del quale si riproduce l’impronta: Nel bozzetto è riprodotto un particolare della fontana di Madonna Verona e della Torre del Gardello, considerati dai veronesi i monumenti più rappresentativi della città che ospiterà la manifestazione. Completano l’annullo le scritte: «124ª VERONAFIL MANIFESTAZIONE FILATELICA», «POSTE VATICANE» e «22 - 24 MAGGIO 2015». Il bozzetto è stato realizzato dall’Ufficio Filatelico e Numismatico. Il materiale filatelico da obliterare, debitamente affrancato dai richiedenti, dovrà pervenire all’Ufficio Obliterazioni delle Poste Vaticane entro il 27 giugno 2015. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 18-19 maggio 2015 Quattro donne canonizzate da Papa Francesco Il segreto dei santi Uniti a Cristo anche tra ostacoli e incomprensioni «Dimorare in Cristo, uniti a lui come i tralci alla vite, per portare molto frutto»: è questo «il segreto dei santi» indicato da Papa Francesco ai fedeli che domenica mattina 17 maggio, in piazza San Pietro, hanno partecipato alla messa per la canonizzazione di Giovanna Emilia de Villeneuve, Maria Cristina Brando, Maria Baouardy e Maria Alfonsina Danil Ghattas. Gli Atti degli Apostoli ci hanno presentato la Chiesa nascente nel momento in cui elegge colui che Dio ha chiamato a prendere il posto di Giuda nel collegio degli Apostoli. Non si tratta di assumere una carica, ma un servizio. E infatti Mattia, sul quale cade la scelta, riceve una missione che Pietro definisce così: «Bisogna che [...] uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione» — della risurrezione di Cristo (At 1, 21-22). Con queste parole egli riassume cosa significa far parte dei Dodici: significa essere testimone della risurrezione di Gesù. Il fatto che dica “insieme a noi” fa capire che la missione di annunciare Cristo risorto non è un compito individuale: è da vivere in modo comunitario, con il collegio apostolico e con la comunità. Gli Apostoli hanno fatto l’esperienza diretta e stupenda della Risurrezione; sono testimoni oculari di tale evento. Grazie alla loro autorevole testimonianza, in molti hanno creduto; e dalla fede nel Cristo risorto sono nate e nascono continuamente le comunità cristiane. Anche noi, oggi, fondiamo la nostra fede nel Signore risorto sulla testimonianza degli Apostoli giunta fino a noi mediante la missione della Chiesa. La nostra fede è legata saldamente alla loro testimonianza come ad una catena ininterrotta dispiegata nel corso dei secoli non solo dai successori degli Apostoli, ma da generazioni e generazioni di cristiani. A imitazione degli Apostoli, infatti, ogni discepolo di Cristo è chiamato a diventare testimone della sua risurrezione, soprattutto in quegli ambienti umani dove più forte è l’oblio di Dio e lo smarrimento dell’uomo. Perché questo si realizzi, bisogna rimanere in Cristo risorto e nel suo amore, come ci ha ricordato la Prima Lettera di Giovanni: «Chi rima- ne nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4, 16). Gesù lo aveva ripetuto con insistenza ai suoi discepoli: «Rimanete in me... Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 4.9). Questo è il segreto dei santi: dimorare in Cristo, uniti a Lui come i tralci alla vite, per portare molto frutto (cfr. Gv 15, 1-8). E questo frutto non è altro che l’amore. Questo amore risplende nella testimonianza di suor Giovanna Emilia de Villeneuve, che ha consacrato la sua vita a Dio e ai poveri, ai malati, ai carcerati, agli sfruttati, diventando per essi e per tutti segno concreto dell’amore misericordioso del Signore. La relazione con Gesù Risorto è — per così dire — l’“atmosfera” in cui vive il cristiano e nella quale trova la forza di restare fedele al Vangelo, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni. “Rimanere nell’amore”: questo ha fatto anche suor Maria Cristina Brando. Ella fu completamente conquistata dall’amore ardente per il Signore; e dalla preghiera, dall’incontro cuore a cuore con Gesù risorto, presente nell’Eucaristia, riceveva la forza per sopportare le sofferenze e donarsi come pane spezzato a tante persone lontane da Dio e affamate di amore autentico. Un aspetto essenziale della testimonianza da rendere al Signore risorto è l’unità tra di noi, suoi discepoli, ad immagine di quella che sussiste tra Lui e il Padre. È risuonata anche oggi nel Vangelo la preghiera di Gesù nella vigilia della Passione: «Siano una sola cosa, come noi» (Gv 17, 11). Da questo amore eterno tra il Padre e il Figlio, che si effonde in noi per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5, 5), prendono forza la no- Appello al Regina caeli Per la fine delle violenze in Burundi Un appello per chiedere la fine delle violenze in Burundi è stato lanciato dal Pontefice al Regina caeli recitato al termine della messa. Al termine di questa celebrazione, desidero salutare tutti voi che siete venuti a rendere omaggio alle nuove Sante, in modo particolare le Delegazioni ufficiali di Palestina, Francia, Italia, Israele e Giordania. Saluto con affetto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, come pure le figlie spirituali delle quattro Sante. Per loro intercessione, il Signore conceda un nuovo im- L’auspicio del Pontefice in un’udienza a religiose Pace fra i popoli pulso missionario ai rispettivi Paesi di origine. Ispirandosi al loro esempio di misericordia, di carità e di riconciliazione, i cristiani di queste terre guardino con speranza al futuro, proseguendo nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna. Estendo il mio saluto alle famiglie, ai gruppi parrocchiali, alle associazioni e alle scuole presenti, in particolare ai cresimandi dell’Arcidiocesi di Genova. Un pensiero speciale rivolgo ai fedeli della Repubblica Ceca, riuniti nel santuario di Svaty Kopećek, presso Olomuc, che oggi ricordano il ventennale della visita di san Giovanni Paolo II. Ieri, a Venezia è stato proclamato Beato il sacerdote Luigi Caburlotto, parroco, educatore e fondatore delle Figlie di San Giuseppe. Rendiamo grazie a Dio per questo esemplare Pastore, che condusse un’intensa vita spirituale e apostolica, tutto dedito al bene delle anime. Vorrei anche invitare a pregare per il caro popolo del Burundi, che sta vivendo un momento delicato: il Signore aiuti tutti a fuggire la violenza e ad agire responsabilmente per il bene del Paese. Con amore filiale ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, Regina dei Santi e modello di tutti i cristiani. stra missione e la nostra comunione fraterna; da esso scaturisce sempre nuovamente la gioia di seguire il Signore nella via della sua povertà, della sua verginità e della sua obbedienza; e quello stesso amore chiama a coltivare la preghiera contemplativa. Lo ha sperimentato in modo eminente suor Maria Baouardy che, umile e illetterata, seppe dare consigli e spiegazioni teologiche con estrema chiarezza, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo. La docilità allo Spirito Santo l’ha resa anche strumento di incontro e di comunione con il mondo musulmano. Così pure suor Maria Alfonsina Danil Ghattas ha ben compreso che cosa significa irradiare l’amore di Dio nell’apostolato, diventando testimone di mitezza e di unità. Ella ci offre un chiaro esempio di quanto sia importante renderci gli uni responsabili degli altri, di vivere l’uno al servizio dell’altro. Rimanere in Dio e nel suo amore, per annunciare con la parola e con la vita la risurrezione di Gesù, testimoniando l’unità fra di noi e la carità verso tutti. Questo hanno fatto le quattro Sante oggi proclamate. Il loro luminoso esempio interpella anche la nostra vita cristiana: come io sono testimone di Cristo risorto? È una domanda che dobbiamo farci. Come rimango in Lui, come dimoro nel suo amore? Sono capace di “seminare” in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nella mia comunità, il seme di quella unità che Lui ci ha donato partecipandola a noi dalla vita trinitaria? Tornando oggi a casa, portiamo con noi la gioia di quest’incontro con il Signore risorto; coltiviamo nel cuore l’impegno a dimorare nell’amore di Dio, rimanendo uniti a Lui e tra di noi, e seguendo le orme di queste quattro donne, modelli di santità, che la Chiesa ci invita ad imitare. Gloria al femminile Quattro donne, quattro vite diverse, differenti anche le lingue, la cultura e l’estrazione sociale. Tutte accomunate però dalla consacrazione a Dio secondo i consigli evangelici e unite dallo stesso destino di gloria: la santità. Sono Giovanna Emilia de Villeneuve, fondatrice della congregazione delle suore dell’Immacolata Concezione di Castres, Maria Cristina dell’Immacolata Concezione, fondatrice della congregazione delle suore vittime espiatrici di Gesù sacramentato, Maria Alfonsina Danil Ghattas, fondatrice della congregazione delle suore del rosario di Gerusalemme, e Maria di Gesù Crocifisso, monaca professa dell’ordine dei carmelitani scalzi. Originarie rispettivamente di Tolosa, di Napoli, di Gerusalemme Il cardinale Sturla Berhouet ha preso possesso del titolo di Santa Galla Un invito a pregare per la pace tra i popoli è stato rivolto dal Papa alle religiose carmelitane, giunte da Betlemme e dal Medio oriente, e alle suore del Rosario che hanno partecipato domenica alla canonizzazione. Il Pontefice le ha ricevute in udienza nella mattina di lunedì 18 maggio, nella Sala Clementina. Buongiorno e grazie tante della visita! Io sono molto contento di questo pellegrinaggio delle suore per la canonizzazione delle nuove sante. Il presidente dello Stato di Palesti- na mi ha detto che era partito dalla Giordania un aereo pieno di suore! Povero pilota... Grazie tante! Vi do una missione: pregare le due nuove sante per la pace nella vostra terra, perché finisca questa guerra interminabile e ci sia la pace fra i popoli. E pregare per i cristiani perseguitati, cacciati via dalle case, dalla loro terra e vittime della persecuzione “con i guanti bianchi”: è nascosta, ma si fa! Persecuzione “con i guanti bianchi” e terrorismo “in guanti bianchi”. Pregate tanto per la pace. Adesso ognuna di voi, nella sua lingua, pregate l’Ave Maria con me. Il cardinale salesiano Daniel Fernando Sturla Berhouet, arcivescovo di Montevideo, domenica pomeriggio, 17 maggio, ha solennemente preso possesso del titolo di Santa Galla. All’ingresso della chiesa romana a Circonvallazione Ostiense il porporato uruguayano — alla presenza del vescovo Paolo Schiavon, ausiliare per il settore Sud — è stato accolto dal parroco, monsignor Paolo Aiello, che gli ha presentato il crocifisso per il bacio e la venerazione. Successivamente ha presieduto la messa, concelebrata dal vescovo di Mercedes, il salesiano Carlos María Collazzi Irazábal, dal parroco e da alcuni sacerdoti uruguayani, tra i quali Gonzalo Aemilius, il prete che lavora con i ragazzi di strada amico di Jorge Mario Bergoglio fin dai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires. Tra i presenti al rito — diretto da monsignor Marco Agostini, cerimoniere pontificio — l’ambasciatore uruguayano in congedo Daniel Ramada Piendibene e il segretario della Pontificia Commissione per l’America latina, Guzmán Carriquiry Lecour. e di Nazareth. Sono tutte nate nel XIX secolo e sono tra le espressioni più autentiche del genio femminile nella Chiesa. Papa Francesco le ha canonizzate domenica 17 maggio, in piazza San Pietro, davanti a moltissimi fedeli. Oltre alle migliaia di napoletani e francesi venuti a Roma per festeggiare le due nuove sante compaesane, molto gioiosa la delegazione proveniente dalla Palestina, dalla Giordania e da Israele, guidata dal patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, con numerosi vescovi non solo dei tre Paesi, ma anche di Libano, Iraq, Marocco, Tunisia, Egitto, Libia e Cipro. Tutte queste realtà erano rappresentate dai postulatori delle cause: padre Giovanni Zubiani, padre Francesco Maria Ricci, don Nunzio d’Elia, e suor María Luíza Ayres. Significativamente la liturgia è stata animata anche dalle varie postulazioni. Prima del canto delle litanie dei santi, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha rivolto al Papa la petitio. Il Pontefice ha risposto con la formula di canonizzazione letta in latino. «A onore della Santissima Trinità — ha detto — per l’esaltazione della fede cattolica e l’incremento della vita cristiana, con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte l’aiuto divino e ascoltato il parere di molti nostri fratelli nell’episcopato, dichiariamo e definiamo sante le beate e le iscriviamo nell’albo dei santi, stabilendo che in tutta la Chiesa esse siano devotamente onorate tra i santi». Quindi, le loro reliquie sono state portate processionalmente accanto all’altare, mentre il coro della Cappella Sistina intonava Iubilate Deo. Alla preghiera dei fedeli le intenzioni sono state in spagnolo per la Chiesa, in cinese per i governanti, in portoghese per i cristiani perseguitati e in arabo per i poveri, i rifugiati e i sofferenti, in italiano per tutte le famiglie. Con il Papa hanno concelebrato diciotto cardinali, tra i quali Sodano, decano del Collegio cardinalizio, e Sepe, arcivescovo di Napoli, quaranta presuli, tra i quali il patriarca di Gerusalemme, Twal, e l’arcivescovo di Albi, Legrez, e qualche centinaio di sacerdoti. Tra i religiosi, il preposito generale dei carmelitani scalzi Saverio Cannistrà. Con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano gli arcivescovi Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati; i monsignori Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, e Bettencourt, capo del Protocollo. Tra i presenti, l’arcivescovo Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, e monsignor Sapienza, reggente della Prefettura. Le delegazioni ufficiali erano guidate dal presidente dello Stato di Palestina, Mahmoud Abbas; dal ministro degli interni francese, Bernard Cazeneuve; dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri italiano, Claudio de Vincenti; dall’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Zion Evrony; e dall’ambasciatore di Giordania presso la Santa Sede, Makram Queisi.
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