Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 115 (46.953) Città del Vaticano sabato 23 maggio 2015 . L’Is impedisce ai civili di fuggire Denuncia della Croce rossa Palmira in ostaggio Devastante in Nigeria la crisi umanitaria Miliziani jihadisti all’offensiva anche in Iraq DAMASCO, 22. Sono molti i civili rimasti intrappolati nella città siriana di Palmira, caduta in mano ai miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is). Secondo quanto riferito da rappresentanti dell’Onu all’emittente britannica Bbc, i jihadisti impedirebbero alla popolazione rimasta ancora in città di allontanarsi. L’Onu non ha proprio personale a Palmira, ma suoi funzionari hanno parlato di fonti credibili e si sono detti profondamente preoccupati, viste le notizie di esecuzioni sommarie di soldati siriani e civili già brutalmente perpetrate dai miliziani. Questi ultimi, in ogni caso, stanno consolidando le loro posizioni. In nottata hanno occupato il villaggio di al Sawana e il posto difensivo di Al Basiri, lungo la strada che da Palmira porta alla capitale Damasco, e ora puntano sui villaggi di Al Farqlas dove hanno ripiegato le truppe governative in fuga da Palmira. Secondo informazioni non verificabili sul terreno in maniera indipendente, i jihadisti starebbero effettuando distruzioni anche nel sito archeologico dell’antica Palmira, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. «Sappiamo già che ci sono state delle distruzioni, sono crollate delle colonne, c’è stato un bombardamento», ha detto ieri pomeriggio a Ginevra la direttrice dell’organismo dell’Onu, Irina Bokova. «Non abbiamo tutte le informazioni, ma ciò che vediamo nei media e ciò che ci dicono gli esperti è molto preoccupante», ha puntualizzato la responsabile dell’Unesco. L’Is ormai occupa quasi metà del territorio siriano, un’area di circa centomila chilometri quadrati, in gran parte desertica, ma nella quale sono comprese zone in cui si trovano almeno una sessantina di pozzi di petrolio. Il gruppo jihadista è all’offensiva anche in Iraq. Secondo fonti militari, ieri sera sono state sfondate le linee difensive irachene nella zona di Husaiba, dieci chilometri a est di Ramadi, occupata dall’Is questa set- timana, lungo la direttrice che porta a Falluja e a Baghdad. Sempre ieri sera, l’emittente televisiva satellitare Al Arabiya ha riferito che l’Is ha preso il controllo di un valico di frontiera tra la Siria e l’Iraq, quello di Al Walid, in territorio siriano, dopo che le forze governative si sono ritirate. Dalla Siria è giunta oggi anche la notizia del sequestro del sacerdote Jacques Murad, prelevato da due uomini armati che hanno fatto irruzione nel monastero di Mar Elian, situato nella provincia di Homs. L’arcidiocesi siro cattolica di Homs Sanguinoso attentato in Arabia Saudita Le rovine di Palmira (Reuters) y(7HA3J1*QSSKKM( +,!z!,!?!%! RIAD, 22. Un attentatore suicida ha fatto strage oggi in una moschea sciita nel nord-est dell’Arabia Saudita. Al momento in cui andiamo in stampa, alcune fonti parlano di sette morti, ma secondo altre sono almeno trenta. L’esplosione è avvenuta nella moschea dedicata all’imam Ali Qadiha, nella provincia saudita a maggioranza sciita di Al Qatif. Un portavoce del ministero dell’Interno di Riad ha confermato l’esplosione, ma non ha voluto dare finora ulteriori dettagli. Nella moschea, secondo le informazioni diffuse dalle agenzie di stampa, si trovavano circa centocinquanta fedeli per la tradizionale preghiera del venerdì. ha confermato il sequestro, che sarebbe avvenuto tra lunedì e giovedì. Secondo fonti citate da Fides, insieme con padre Murad sarebbe stato rapito anche il diacono Boutros Hanna. Il monastero di Mar Elian è una filiazione di quello di Dier Mar Musa Al Habaschi, rifondato dal gesuita Paolo Dall’Oglio, sequestrato anch’egli il 29 luglio 2013 e del quale da allora non si hanno notizie certe. Dai fronti libici, intanto, la minaccia dei gruppi jihadisti che all’Is si rifanno, potrebbe aver spinto a una sorta di momentanea alleanza i due Governi che si sono insediati nel Paese, quello internazionalmente riconosciuto che ha sede a Tobruk e quello islamico di Tripoli. Fonti della stampa locale hanno riferito che nelle ultime ore c’è stata un’azione congiunta contro le milizie jihadiste da parte dell’Esercito libico nazionale (Lna), quello lealista a Tobruk, e delle brigate di Misurata, che fanno riferimento al Governo di Tripoli. Ci sarebbe stato cioè un bombardamento dell’aviazione dell’Lna e un contemporaneo attacco della brigata 166 di Misurata contro postazioni jihadiste che bloccano un’importante arteria stradale nei pressi di Sirte. Una versione diversa, in base alle proprie informazioni, è stata data però dall’agenzia di stampa italiana Ansa alla quale fonti di Misurata, pur confermando l’azione della brigata 166, hanno dichiarato che a intervenire è stata l’aviazione della loro coalizione, la Fajr Libya, e non quella dell’Lna. Questa mattina, comunque, siti d’informazione libica hanno riferito che le milizie jihadiste hanno occupato nuove postazioni intorno a Sirte, in particolare una postazione che porta verso l’aeroporto della città, oltre alla sede a Umm al Qandil della compagnia automobilistica turca Yuksel, dove starebbero preparando autobombe. Profughi nigeriani a Geidam (Reuters) LAGOS, 22. Sono spaventose le dimensioni della crisi umanitaria provocata dalle violenze di Boko Haram nel nord-est della Nigeria e per farvi fronte e ricostruire quelle regioni saranno necessari anni. Lo ha detto ieri il presidente del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr), Peter Maurer, durante una visita a Maiduguri, la capitale dello Stato del Borno, quello dove Boko Haram ha le sue principali roccaforti e che ha subito le devastazioni maggiori. Maurer ha ricordato che almeno un milione e mezzo di persone sono sfollate o fuggite oltre frontiera in Camerun, Ciad e Niger. «Intere comunità sono fuggite dai loro villaggi e hanno sopportato sofferenze inimmaginabili. Persone traumatizzate, senza case, beni, reddito e istruzione per i loro figli, hanno bisogno di un sostegno decisamente maggiore rispetto a quello che il Cicr può of- KUALA LUMPUR, 22. Sembrano finalmente avviati gli interventi di soccorso ai profughi e migranti — della minoranza rohingya in fuga dalle persecuzioni del Myanmar e bengalesi in fuga dalla fame nel Bangladesh — intrappolati su barconi alla deriva nel mare delle Andamane. Il primo ministro malese, Najib Razak, che insieme al Governo indonesiano si era già detto pronto ad accoglierli, ha annunciato ieri sera l’ordine alla Marina di condurre missioni di ricerca e aiuto. Poche ore prima, l’O rganizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), pur plaudendo alla disponibilità finalmente dichiarata da Malesi e Indonesia ad accogliere queste persone, aveva denunciato proprio la mancanza di un’intesa sulle operazioni di ricerca e soccorso. Secondo l’Oim e le agenzie dell’Onu, almeno seimila persone «sono in grave pericolo e rischiano di perdere la vita». Nelle ultime tre settimane oltre tremila persone hanno raggiunto le coste della Malaysia, dell’Indonesia e della Thailandia su barconi strapieni. Le loro testimonianze sono drammatiche. Sulla vicenda dei rohingya è intervenuto ieri anche il Parlamento europeo, approvando una risoluzione per chiedere di fermare sia la persecuzione di questa minoranza musulmana nel Myanmar, sia i trafficanti di esseri umani in Thailandia, dove al sud sono state scoperte fosse comuni proprio di rohingya che si erano affidati a loro. In merito, il Parlamento europeo chiede al Governo thailandese di «mettere fine a ogni complicità con i gruppi criminali di trafficanti dei rohingya e altri migranti in Thailandia». Più in generale, il Parlamento europeo sottolinea l’esigenza di un maggiore impegno internazionale sulla vivenda. L’Assemblea di Strasburgo — dove la settimana prossima sarà ospite il Segretario generale dell’Onu, che tratterà fra i vari argomenti proproprio i flussi migratori — deve ancora pronunciarsi sull’agenda in materia presentata dalla Commissione e solo in parte già approvata dal Consiglio europeo. Nel dibattito relativo a quanto sta accadendo nel sud-est asiatico, comunque, hanno trovato spazio anche interventi sull’analoga situazione in atto nel Mediterraneo. Secondo l’eurodeputata liberale ceca Dita Charanzova, la crisi nel mare delle Andamane «dimostra con forza che il problema di migranti nel Mediterraneo non può essere visto in modo isolato. Il mondo si deve adattare a una nuova era di migrazioni globali e adottare un approccio onnicomprensivo». Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di giovedì 21 maggio: Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Héctor Rubén Aguer, Arcivescovo di La Plata (Argentina); Cameron annuncia tagli al welfare per gli stranieri Stretta britannica sulle migrazioni LONDRA, 22. Il Governo britannico è deciso a dare una stretta sull’accoglienza ai migranti. Il primo ministro, David Cameron, prima di partire per il vertice a Riga sulla partnership orientale dell’Unione europea, ha dichiarato che intende mettere sul tavolo del negoziato le richiesta di tagli al welfare britannico per gli immigrati. «Io e altri crediamo nostro diritto ridurre gli incentivi per quanti arrivano qui. Modifiche al welfare per ridurre l’immigrazione saranno una condizione irrinunciabile nel negoziato», ha detto Cameron. Il premier ha specificato le misure per la riduzione del flusso annuale di migranti in Gran Bretagna saranno contenute nel discorso della Regina con il quale la settimana prossima sarà presentato il programma del Governo. Secondo quanto anticipato dalla stampa britannica, il Governo conservatore intende introdurre il reato penale di lavoro illegale, prevedendo il sequestro delle paghe e degli stipendi di quanti vengono impiegati illegalmente. Al momento, sono previste solamente sanzioni fino a ventimila sterline a carico dei datori di lavoro. Già il precedente Governo, guidato sempre da Cameron, aveva annunciato di voler ridurre l’immigrazione, ma i dati vanno in tutt’altra direzione. I migranti extracomunitari sono stati 318.000 nel 2014, rispetto ai 209.000 dell’anno precedente. A ciò va aggiunto che nei primi tre mesi di quest’anno si sono trasferiti in Gran Bretagna 283.000 cittadini europei in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le passioni degli altri SERGIO MASSIRONI A PAGINA 5 NOSTRE INFORMAZIONI La Malesia invia la flotta alla ricerca dei barconi alla deriva nel mare delle Andamane Soccorsi a rohingya e bengalesi frire, ma in molti dei luoghi duramente colpiti ci ritroviamo da soli», ha detto Maurer. La Croce rossa ha invitato la comunità internazionale e altre organizzazioni umanitarie a fare di più per affrontare le conseguenze devastanti della crisi umanitaria in Nigeria. «Anche se i combattimenti si fermassero domani, ci vorranno anni di investimenti e di paziente lavoro per ricostruire servizi, mezzi di sussistenza, superare il trauma e ritrovare un senso di normalità», ha ricordato Maurer. — Juan Rubén Martinez, Vescovo di Posadas (Argentina). Nella mattinata di venerdì 22 maggio il Santo Padre si è recato in visita ai Dicasteri della Curia Romana ubicati in Piazza Pio XII, 3. Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Malta Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Mario Roberto Cassari, Arcivescovo titolare di Tronto, finora Nunzio Apostolico in Sud Africa, Botswana, Lesotho, Namibia e Swaziland. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Viviers (Francia), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor François Blondel in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Viviers (Francia) il Reverendo Sacerdote Jean-Louis Balsa, fino ad ora Vicario generale della Diocesi di Nice. Un migrante bloccato a Calais prima dell’imbarco per la Gran Bretagna (Reuters) Il Santo Padre ha nominato Abate Ordinario dell’Abbazia territoriale di Saint-Maurice (Svizzera) il Reverendo Padre Jean César Scarcella, C.R.A., finora Priore e Vicario Generale della medesima Abbazia, nonché Maestro dei novizi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 23 maggio 2015 Presidio dell’opposizione a Skopje (Afp) Definito amichevole e costruttivo l’incontro a Riga tra Merkel, Hollande e Tsipras Atene deve accelerare per un’intesa con i creditori RIGA, 22. Il primo ministro greco, Alexis Tsipras, ha definito «amichevole e costruttivo» l’incontro di ieri sera con il presidente francese, François Hollande e il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Il colloquio a tre, durato circa due ore, non è stato comunque decisivo per spianare la strada a un’intesa tra Atene e i suoi creditori. L’accordo va comunque trovato entro la fine di giugno per consentire l’ultima tranche di prestiti, pari a 7,2 miliardi di euro, a favore della Grecia. I tre leader si sono «focalizzati sul desiderio di raggiungere un accordo sull’attuale programma di aiuti finanziari ad Atene» ha riferito una fonte del Governo francese. Sulla Grecia c’è però ancora molto lavoro da fare. Lo ha detto, arrivando stamane alla sede del vertice di Riga tra l’Ue e la Partnership orientale, il cancelliere tedesco sottolineando come la sede giusta per arrivare a un’intesa sul debito greco siano i negoziati con il Brussels Group, di cui fanno parte Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Il premier greco Tsipras con il presidente della Commissione Ue Juncker (Ap) Approvata in Italia la legge anticorruzione ROMA, 22. Il disegno di legge anticorruzione è stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati italiana. Sono stati 280 i voti a favore del provvedimento, 53 i contrari e undici gli astenuti. A dare parere negativo sono stati il Movimento 5 Stelle e Forza Italia. La Lega si è astenuta. Il punto di maggior rilievo della nuova normativa è il ritorno del falso in bilancio come reato perseguibile, punito con pene fino a otto anni di carcere in caso di società quotate in Borsa e fino a 5 per le altre. Ma in generale vengono aumentate le pene per tutti i reati contro la pubblica amministrazione: il peculato (da 4 a 10 anni e 6 mesi), la corruzione “propria” (da 6 a 10 anni) e “impropria” (da uno a 6 anni), l’induzione indebita (da 6 a 10 anni e 6 mesi). Quanto alla corruzione in atti giudiziari (da 6 a 12 anni nell’ipotesi base), la pena può salire fino a 20 anni nei casi più gravi. Chi verrà condannato per un reato di corruzione non potrà più stipulare per 5 anni contratti con la pubblica amministrazione. La legge inasprisce anche le pene previste per l’associazione mafiosa, sia per chi vi partecipa, sia per chi la organizza o la dirige. Se l’associazione mafiosa è anche armata la pena può arrivare fino a 26 anni di carcere. Viene poi rafforzato il ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione, alla quale viene affidato, fra l’altro, il controllo sui contratti di appalto e che dovrà essere messa al corrente di ogni reato compiuto contro la pubblica amministrazione. Particolare soddisfazione per l’approvazione della legge è stata espressa dal presidente del Senato, Pietro Grasso, che ne è stato promotore, e dal presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi: «Anticorruzione e falso in bilancio — ha affermato quest’ultimo via twitter — sono legge. Quasi nessuno ci credeva. Noi sì. Questo Paese lo cambiamo, costi quel che costi». Il capo del Governo ha anche spiegato che con questa normativa non saranno più possibili «né prescrizione né forme di patteggiamento». Critiche invece le opposizioni. Secondo il Movimento 5 Stelle, si tratta di «una legge timida e senza coraggio». L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Commissione europea. «È chiaro che il lavoro deve continuare con le tre istituzioni — ha detto — C’è ancora molto lavoro da fare, un lavoro molto, molto intenso». Sulla crisi della Grecia, ci sono stati questa mattina a Riga numerosi incontri bilaterali tra i leader europei e Angela Merkel, durante la sessione formale del vertice per il partenariato orientale. Il premier Tsipras — che ha avuto un colloquio anche con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker — si è dichiarato ottimista sulle possibilità di trovare un accordo sulla questione del debito per evitare il deafult. «Sono ottimista sulla possibilità di trovare presto una soluzione a lungo termine, sostenibile e percorribile, libera dagli errori del passato», e la Grecia, ha concluso, «tornerà presto sulla strada della crescita». Anche il portavoce governativo ellenico, Gabriel Sakellaridis, si è detto ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo tra Atene e i creditori entro dieci giorni. Nella Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia Osce pronta ad affrontare la crisi BELGRAD O, 22. L’O rganizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) dispone di meccanismi con i quali affrontare la grave crisi politica nella Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, e la Serbia — quest’anno presidente di turno dell’organizzazione paneuropea — è pronta a intervenire, se il Governo Skopje dovesse chiederlo. Parlando a una riunione a Belgrado fra i capi delle missioni Osce nel sud-est dell’Europa, il ministro Siglato un accordo al vertice sul Partenariato orientale Assistenza finanziaria dell’Ue a Kiev per 1,8 miliardi di euro BRUXELLES, 22. Unione europea e Ucraina siglano un accordo di assistenza finanziaria da 1,8 miliardi di euro. L’intesa, parte del terzo programma europeo di sostegno macroeconomico a Kiev, è condizionata alla realizzazione di riforme strutturali in diversi settori. Si va dalla gestione delle finanze pubbliche al controllo di quella privata, alla governance, dalla trasparenza agli ammortizzatori sociali, dalle politiche ambientali a quelle energetiche. L’accordo è stato siglato durante il vertice del Partenariato orientale che si è svolto a Riga, dal vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, e dal ministro ucraino delle Finanze, Natalie Jaresko. Al summit erano presenti i rappresentanti di Ucraina, Georgia, Moldova, Armenia, Azerbaigian e Bielorussia. L’Unione europea ha quindi confermato la strategia del partenariato orientale con i Paesi dell’ex Unione sovietica, lanciando comunque segnali di apertura alla Russia. Nel documento finale del vertice sono previsti messaggi di rassicurazione a Mosca che a sua volta — nel trilaterale con Ucraina e Ue di lunedì scorso — ha inaspettatamente annunciato di non avere nulla da eccepire all’entrata in vigore dell’accordo commerciale tra Bruxelles e Kiev nella data prevista del primo gennaio 2016. Il partenariato orientale, ha ribadito questa mattina il cancelliere tedesco, Angela Merkel, «non è diretto contro nessuno, in particolare non contro Mosca». Il piano di investimenti decennale, per i quali si era parlato di possibili due miliardi di euro per le piccole e medie industrie dei tre Paesi partner (Ucraina, Georgia e Moldova), prevede però solo garanzie per duecento milioni. La cifra potrebbe comunque aumentare grazie all’aiuto della Banca centrale europea. Un modo per dimostrare che Bruxelles «rispetta gli Referendum in Irlanda sui matrimoni tra omosessuali Vertice Ue sul Partenariato orientale a Riga (Reuters) Certificazione obbligatoria in Europa per i minerali provenienti dalle zone di conflitto BRUXELLES, 22. Una certificazione obbligatoria per i minerali provenienti da zone di conflitto. A chiederla alle imprese dell’Ue è l’Europarlamento, che ieri ha approvato, con 402 voti a favore, 118 contrari e 171 astenuti, una norma che impone obblighi agli importatori di stagno, tantalio (coltan), oro e tungsteno. L’obbligo nella certificazione costituisce una novità significativa rispetto a un precedente proposta della Commissione europea, che parlava invece di “autocertificazione”. Le compagnie che utilizzano i GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio minerali nella produzione (circa 880.000 imprese nei 28 Paesi dell’Ue) dovranno inoltre fornire informazioni sulle precauzioni prese per assicurarsi che i proventi delle materie prime da loro acquistate non siano usate per perpetuare la guerra nelle zone di provenienza. Un invito a estendere la lista dei minerali è già arrivato da varie organizzazioni umanitarie. Le nuove regole si applicano a tutte le zone di guerra, ma i quattro minerali presi in considerazione sono particolarmente abbondanti nell’est del- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione impegni», ha detto oggi il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker. Inoltre, la liberalizzazione dei visti (già concessa nell’aprile 2014 alla Moldova) è stata rinviata ad almeno il 2016 per per quanto riguarda i cittadini dell’Ucraina e della Georgia. degli Esteri serbo, Ivica Dačić, ha detto di avere inviato di recente a Skopje il suo rappresentante speciale per i Balcani occidentali, l’ambasciatore Gérard Stoudmann, insieme al capo del gruppo di lavoro per la presidenza, l’ambasciatore Dejan Šahović, allo scopo di incontrare esponenti del Governo, dell’opposizione e alcuni ambasciatori stranieri. «L’impressione generale emersa dagli incontri è stata di una scarsa volontà politica ad avviare un dialogo, necessario a risolvere la crisi. E invece del dialogo in seno alle istituzioni, prosegue il confronto nelle strade», ha osservato Dačić. Una soluzione della crisi politica attraverso il dialogo, che consenta il ritorno di Skopje sulla strada dell’integrazione europea, è stata espressa anche dal ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier. «Ogni passo indietro da parte di uno dei Paesi dei Balcani occidentali potrebbe avere ripercussioni negative sull’intera regione», ha precisato Steinmeier citato dall’emittente Deutsche Welle in lingua macedone. Incontrando a Berlino il suo collega albanese, Ditmir Bushati, il capo della diplomazia tedesca ha sottolineato la necessità di evitare un’ulteriore escalation della tensione interetnica nel Paese, e ha invitato la dirigenza di Skopje ad adottare tutte le misure necessarie affinché non si ripetano violenze e scontri armati come quelli di una decina di giorni fa a Kumanovo. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va la Repubblica Democratica del Congo, teatro da circa 20 anni di un sanguinoso conflitto e dove i gruppi armati si finanziano, almeno in parte, proprio con il commercio di minerali. La nuova norma, che ora dovrà passare al vaglio dei diversi Stati membri dell’Unione europea, «è un’ottima notizia per tutte le popolazioni vittime dei conflitti alimentati dai cosiddetti “minerali di sangue”», ha dichiarato alla stampa Yannick Jadot, vicepresidente della commissione sul Commercio dell’Europarlamento. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Forte scossa di terremoto a Londra LONDRA, 22. Un sisma di magnitudo 4,3 della scala Richter è stato registrato nella notte nel sudest della Gran Bretagna, terra non sismica, provocando il panico fra la popolazione, uscita per strada, ma nessuna vittima. Il sisma che ha avuto l’epicentro a 106 chilometri da Londra è stato avvertito fino in Francia, a Pas de Calais, dove il Centro operativo di soccorso ha ricevuto telefonate che segnalavano la scossa. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 DUBLINO, 22. Seggi aperti in Irlanda, dove gli elettori sono chiamati a decidere con un referendum sul tema dei matrimoni tra omosessuali. In concreto, gli aventi diritto dovranno pronunciarsi su un emendamento alla Costituzione che autorizza il matrimonio tra due persone senza distinzioni di genere. A votare sono circa 3,2 milioni di elettori. I seggi hanno aperto stamane alle 7 ora locale e chiuderanno alle 22. In Irlanda nel 2010 sono state introdotte le unioni civili fra persone dello stesso sesso. Alla vigilia del voto di oggi i sondaggi danno in vantaggio i «sì» rispetto ai «no», anche se con un margine contenuto. Tutto in effetti potrebbe ancora succedere: negli ultimi giorni il fronte che si oppone ai matrimoni fra omosessuali ha conquistato punti nelle rilevazioni dei sondaggisti. Gli analisti ritengono che sarà determinante l’affluenza alle urne. Gli elettori sono chiamati inoltre a esprimersi su una proposta che chiede di abbassare a ventun’anni l’età minima di eleggibilità alla carica di capo dello Stato, finora posta a trentacinque anni. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 23 maggio 2015 pagina 3 Secondo l’Ocse lo sviluppo del Kazakhstan trascinerà l’intera area euroasiatica Verso la nuova Via della seta Vertice tra Paesi nordafricani e mediorientali Economia della sicurezza AMMAN, 22. Ottocento delegati di una cinquantina di Paesi, rappresentanti di Governi e istituzioni internazionali, del mondo dell’economia, delle banche e della società civile, sono riuniti da ieri in Giordania per il World Economic Forum del Medio e Vicino oriente e dell’Africa del nord. I lavori del vertice si tengono nella località di Shuneh, sulle sponde del Mar Morto. È questa l’ottava volta che la Giordania ospita il World Economic Forum per la regione. L’ultima era stata nel 2013. Nel pieno dei sanguinosi conflitti che investono la regione, in particolare quelli in corso in Siria, Iraq e Libia, gli organizzatori del summit si pongono l’obiettivo di favorire la conclusione di accordi economici per rilanciare gli investimenti. A loro giudizio, la cooperazio- ne sul piano economico è una delle risposte da dare alle sfide di sicurezza e umanitarie legate appunto soprattutto ai conflitti. Particolare slancio sarà posto sulle riforme in corso in Paesi come Egitto, Tunisia, Marocco e Giordania. Quest’ultima Nazione, in particolare, presenterà una serie di iniziative nei settori dell’energia, delle tecnologie, dello sviluppo urbano, dell’acqua, delle telecomunicazioni e del turismo. I lavori si concentreranno anche sugli sforzi nei vari Paesi investiti dalle crisi degli ultimi anni per ricostruire le istituzioni, presupposto necessario anche per sviluppare i commerci con le monarchie arabe del Consiglio di Cooperazione del Golfo persico (Ccg), con gli Stati Uniti, con l’Europa e con l’Asia. ASTANA, 22. L’Unione economica eurasiatica «è cruciale per uniformare le regole dei Paesi dell’Asia centrale, in modo da facilitare i trasporti, il commercio e le risorse dei Paesi membri». Il presidente del Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, è così intervenuto oggi all’Astana Economic Forum (Aef) a cui hanno partecipato anche il premier lussemburghese, Xavier Bettel, prossimo presidente di turno dell’Unione europea e la responsabile del dipartimento per lo Sviluppo dell’Onu, Helen Clarke. Il premier kazako, Karim Massimov, ha dichiarato che il Kazakhstan «ha tutte le capacità per trasformare la nuova Via della seta in realtà». L’intenzione del Paese caucasico è di partecipare pienamente all’iniziativa cinese volta a ripristinare l’antico tracciato che collegava l’Impero romano alla Cina e che presto collegherà il gigante asiatico ad Asia centrale, Russia, Europa, oltre che al Golfo persico e al bacino del Mediterraneo. Il Kazakhstan, ha spiegato «è collocato tra oriente e occidente» e quindi «ha tutte le possibilità di trasformare in una realtà la Via della seta». Il mercato dell’Unione economica eurasiatica inoltre «si sta espandendo» ha aggiunto il premier facendo riferimento all’ultima entrata del Kyrgyzstan ufficializzata proprio all’Aef. «L’Unione economica euroastica (Russia, Kazakhstan, Bielorussia, Armenia, Kyrgyzstan) metterà insieme 175 milioni di persone». Lo sviluppo del Kazakhstan, il suo programma di riforme e di rilancio economico, influenzerà l’intera area eurasiatica. A sostenerlo è il segretario generale dell’O rganizzazione per la cooperazione e lo svi- luppo economico, José Ánguel Gurría, che ha partecipato con un video messaggio. A fine gennaio, in occasione del Forum di Davos, Gurría aveva firmato insieme al premier kazako, Karim Massimov, un programma di cooperazione, per aiutare e appoggiare il Paese caucasico nella sua politica di sviluppo come già fatto con il Perú, il Marocco e la Thailandia. A questo scopo, il Kazakhstan sarà ora inserito all’interno delle iniziative dell’organizzazione. Mentre la diplomazia cerca una soluzione al conflitto nello Yemen Per la morte di un giovane afroamericano Altri raid contro le postazioni huthi Incriminati i sei agenti di Baltimora SANA’A, 22. La coalizione mantiene la pressione sui ribelli sciiti huthi bombardando le loro postazioni nello Yemen. Nelle ultime 24 ore sono stati colpiti i depositi di armi delle unità militari rimaste fedeli all’ex presidente yemenita, Ali Abdallah Saleh, alleato degli huthi, nelle città di Dhamar e Al Baida, nel centro del Paese. Inoltre, nel sud, i raid hanno preso di mira le postazioni dei ribelli a Dhaleh, così come anche la base aerea di Al Anad, nella provincia di Lahj. Ad Aden, seconda città del Paese, l’aviazione della coalizione ha ripetutamente colpito obiettivi huthi, mentre sporadici scontri hanno avuto luogo tra i miliziani sciiti e le truppe rimaste fedeli al presidente Hadi. Infine, un razzo lanciato dallo Yemen ha causato un morto e due feriti ad Al Hosn, in Arabia Saudita, nella provincia di Dhahran. Lo rende noto l’agenzia saudita Spa. Nonostante il conflitto sia ripreso dopo una breve tregua umanitaria di cinque giorni, si infittiscono le iniziative diplomatiche per cercare di trovare una soluzione alla crisi. Dopo l’annuncio dell’Onu di colloqui di pace a Ginevra il prossimo 28 maggio, il conflitto nello Yemen è stato al centro di una telefonata tra il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, e il segretario di Stato americano, John Kerry. Cento incriminati in Pakistan per l’assassinio di due cristiani ISLAMABAD, 22. Un tribunale antiterrorismo di Lahore ha incriminato oltre cento persone accusate di aver picchiato e bruciato vivi una coppia di cristiani, gettandone poi i corpi in una fornace di mattoni. Lo riferisce oggi la televisione Dunya News. Tra gli arrestati c’è anche Yousaf Gujjar, il proprietario della fabbrica di mattoni, situata nei pressi della cittadina di Kot Radha Kishan, a sud di Lahore. Tutti i gli imputati si sono dichiarati estranei al crimine. Il processo dovrebbe incominciare oggi, quando è già previsto che i giudici ascoltino i testimoni che hanno assistito all’orrendo delitto, avvenuto lo scorso novembre. Shehzad Masih, 32 anni, e sua moglie Shama di 20, che lavoravano nella fornace, erano stati accusati di blasfemia in seguito al ritrovamento presso la loro abitazione di alcune pagine bruciate del libro del Corano. Una folla di musulmani provenienti da cinque villaggi li avevano sequestrati e tenuti in ostaggio per due giorni all’interno della fabbrica chiedendo loro di pagare una multa. Ma al loro rifiuto, dopo averli picchiati, li avevano spinti nella fornace. Il presidente tunisino alla Casa Bianca WASHINGTON, 22. Bisogna evitare che il caos libico contagi la Tunisia. A dirlo è stato ieri Barack Obama, ricevendo alla Casa Bianca il presidente Béji Caïd Essebsi. «Abbiamo discusso l’importanza della sicurezza — ha sottolineato il presidente statunitense — e riconosciuto che, data l’instabilità nella regione, è importante continuare a lavorare insieme contro il terrorismo». Ma è anche necessario, ha detto ancora Obama, operare per stabilizzare la Libia in modo da non avere uno Stato fallito e un vuoto di potere che potrebbe contagiare la Tunisia». Dal canto suo, Essebsi ha detto che la «transizione democratica in Tunisia rappresenta il maggior successo dei Paesi della primavera araba». WASHINGTON, 22. Si aggrava negli Stati Uniti la posizione dei sei agenti della polizia coinvolti il 12 aprile scorso nell’arresto del giovane afroamericano Freddie Gray, morto poi una settimana dopo. Ieri il Grand Jury li ha infatti incriminati formalmente, aprendo la via a un processo senza precedenti. Lo ha reso noto il procuratore dello Stato del Maryland, Marilyn Mosby, che già il primo maggio scorso aveva a sua volta chiesto l’incriminazione dei poliziotti, tre bianchi e tre neri, tra cui una donna. Le incriminazioni formulate dal Grand Jury, in una sorta di udienza preliminare, sono molto simili a quelle anticipate dal procuratore Mosby, ma rappresentano un passo procedurale importante per portare il caso in un tribunale di livello superiore, scrive il «Baltimore Sun». Gray, che aveva 25 anni, è morto per le percosse ricevute nel momento in cui è stato ammanettato e caricato a testa in giù nel furgone della polizia, ha detto Mosby ai giornalisti. Le accuse più pesanti sono state sollevate contro Caesar Goodson, 45 anni, il più anziano tra i sei agenti. Quel giorno, l’uomo era alla guida del furgone della polizia sul quale fu caricato Freddie Gray. Goodson è accusato, tra l’altro, di non essersi fermato quando richiesto e di avere guidato bruscamente provocando o aggravando i danni fisici che hanno portato alla morte di Gray, per una lesione alla colonna vertebrale. Ancora scontri in Burundi tra polizia e manifestanti BUJUMBURA, 22. Almeno due persone sono morte ieri a Bujumbura dove continuano gli scontri fra polizia e manifestanti che contestano la ricandidatura a un terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza. È stata la Croce rossa a fornire un bilancio provvisorio di queste guerriglie urbane che negli ultimi giorni hanno registrato una ventina di persone uccise. Per tutta la giornata di ieri, incidenti sono scoppiati a intervalli regolari nei quartieri periferici della capitale. Gruppi di ragazzi hanno innalzato barricate e hanno lanciato pietre contro i poliziotti che hanno risposto sparando sia in aria che ad altezza d’uomo. Scontri particolarmente violenti si sono verificati nel quartiere di Musaga, dove la polizia è entrata con la forza con l’intenzione di «ristabilire l’ordine» a tutti i costi e un manifestante è stato colpito mortalmente alla schie- na da un proiettile. L’altro decesso si è verificato a Ngagara, dove un manifestante colpito alla testa è poi deceduto per le ferite riportate. Altri scontri si sono diffusi nel distretto di Kanyosha e nei quartieri Kinindo, Rohero 2 e Kibenga. Nel frattempo, sono sempre più gravi le condizioni sanitarie dei circa 40.000 profughi che dal Burundi sono scappati in Tanzania, in seguito ai violenti scontri esplosi nelle ultime settimane nel Paese. Uomini, donne, bambini e anziani arrivati attraverso il lago Tanganica, sono costretti a vivere in condizioni di sovraffollamento. Una situazione che non fa che accrescere il rischio di diffusione di malattie ed epidemie tra la popolazione, denunciano le organizzazioni umanitarie precisando che sono già 20 i casi di colera che sono stati confermati nei campi profughi di Kagungua e Nyarugusu. La morte del giovane, il 19 aprile, ha innescato una serie di manifestazioni di protesta in varie zone di Baltimora, sulla scia di una situazione di alta tensione e accuse alla polizia statunitense di brutalità nei confronti degli afroamericani, alimentata da numerosi precedenti a partire da Ferguson, la città del Missouri dove è esplosa con violenza la rabbia lo scorso agosto dopo l’uccisione di un giovane afroamericano, Michael Brown, da parte di un agente di polizia bianco. Da allora ci sono stati diversi casi del genere e numerose manifestazioni di protesta. Ancora ieri, proprio a Baltimora, un gruppo di manifestanti ha marciato verso la sede del sindacato della polizia per chiedere che vengano ufficializzate delle scuse per la vicenda di Freddie Gray. E un nuovo caso rischia di infiammare nuovamente le tensioni razziali nel Paese. Un agente ha infatti sparato ieri contro due giovani neri che stavano rubando della birra da un supermercato a Olympia, capitale dello Stato di Washington. Diciotto guerriglieri delle Farc uccisi in Colombia BO GOTÁ, 22. Almeno diciotto guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) sono stati uccisi ieri durante una vasta offensiva militare dell’esercito e dell’aviazione di Bogotá nel dipartimento del Cauca. Lo ha confermato un portavoce militare, citato dall’emittente Radio Caracol. Secondo la ricostruzione di quanto accaduto, i raid hanno preso di mira il Fronte 29 della guerriglia, guidato da Javier El Chungo. Il dipartimento di Cauca era stato teatro di blitz e combattimenti tra reparti dell’esercito e unità delle Farc anche nei mesi scorsi, nonostante il negoziato di pace in corso di svolgimento da oltre due anni a Cuba. Il presidente, Juan Manuel Santos, aveva annunciato una sospensione della tregua da parte dell’esercito proprio in seguito a un raid condotto dai guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia il mese scorso nella località di Esperanza, nel corso del quale erano stati uccisi undici soldati. Elezioni politiche in Etiopia ADDIS ABEBA, 22. Gli elettori dell’Etiopia sono chiamati domenica alle urne per le prime consultazioni dopo la morte, nel 2012, di Meles Zenawi, rimasto al potere per oltre vent’anni, prima come presidente tra il 1991 e il 1995 e poi come primo ministro. Sull’esito della consultazione ci sono pochi dubbi. Nelle elezioni del 2010 il Fronte rivoluzionario e democratico del popolo etiope (Eprdf), al potere appunto da un quarto di secolo, vinse con il 99,4 per cento delle preferenze. In conseguenza di tale voto, l’Eprdf attualmente ha tutti i seggi in Parlamento meno uno. Né la maggior parte degli analisti ritengono che eventuali minime variazioni di percentuali o di seggi possano essere considerate indicative di un giudizio sull’azione dell’attuale primo ministro, Hailemariam Desalegn, che pure in questi tre anni ha in parte mutato le politiche del predecessore. A monitorare il voto ci saranno gli osservatori dell’Unione africana, guidati dall’ex presidente della Namibia, Hifikepunye Pohamba. Ma i partiti di opposizione — molti dei quali hanno denunciato minacce e intimidazioni — hanno riserve sulla loro efficacia. «La missione dell’Unione africana è solo una copertura per elezioni farsa. È una legittimazione della dittatura», ha dichiarato Yonathan Tesfaye, portavoce del Blue Party. Tra l’altro, contrariamente a quanto accaduto nel 2010, non ci saranno osservatori dell’Unione europea. La commissione di Bruxelles, lo ha comunicato da tempo, attribuendo la decisione al fatto che non sono state accolte le sue raccomandazioni inviate al Governo di Addis Abeba in vista del voto. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 23 maggio 2015 Grazie al clima asciutto e alla protezione assicurata da strati di sabbia a Ossirinco migliaia di papiri si conservarono integri o frammentari all’interno di cumuli alti fino a nove metri La vita quotidiana nell’Egitto greco-romano Le discariche delle meraviglie di MARCO BECK ell’odierna civiltà dei consumi — per quanto ritenuti insufficienti da politici ed economisti in lotta contro lo spettro della recessione — e degli sprechi di massa, “discarica” è una parola che evoca inquietanti realtà negative: montagne d’immondizia, contaminazione del territorio, miasmi tossici, illegalità, affarismo di stampo mafioso. Eppure esistono nell’alto Egitto, presso l’attuale villaggio arabo di elBehnesa, centosessanta chilometri a sud del Cairo e quindici a ovest del Nilo, alcune antiche discariche di grande valore. Paradossalmente, potremmo quasi classificarle come patrimonio dell’umanità. Poiché, mescolato a detriti di vario genere, ci hanno donato un tesoro inestimabile in termini di antropologia, etnologia, sociologia e, in percentuale minoritaria, letteratura. Grazie al clima asciutto e alla protezione assicurata da strati di sabbia, per diversi secoli migliaia di rotoli di papiro — il supporto scrittorio abbondantemente prodotto in loco — che gli abitanti della città di Ossirinco avevano eliminato in quanto divenuti ormai inutili e ingombranti, si conservarono, integri o frammentari, all’interno di cumuli alti fino a nove metri. E in tali ottime condizioni riaffiorarono durante successive campagne di scavo condotte, tra il 1897 e il 1907, da due giovani archeologi britannici, che poi provvidero a inscatolarli e spedirli a Oxford: Bernard Grenfell e Arthur Hunt. Occorre subito precisare che questi documenti vennero quasi tutti redatti tra il I e il IV secolo in quel greco postclassico, la cosiddetta koinè che — a partire dalla conquista di Alessandro Magno (332-331 prima N dell’era cristiana) e dall’immigrazione di coloni greci sotto il regno ellenistico dei Tolomei, passando attraverso il secolare dominio imperiale di Roma, per giungere infine all’incorporamento nel califfato arabo (642 dell’era cristiana) — rimase lingua “nazionale” dell’intero Egitto, sino a evolversi nel copto. La loro pubblicazione nella serie degli «Oxyrhynchus Papyri» procede a tutt’oggi ininterrotta (nel 2013 aveva assommato settantotto tomi) e, considerate quantità e complessità dei testi da decifrare, è ancora ben lontana dalla conclusione. Filologi e papirologi vantano ovviamente una certa dimestichezza con i papiri ossirinchiti. A essi si de- Il kôm Abu Teir a Ossirinco in una foto di Annibale Evaristo Breccia che nel 2001 ha restituito centododici epigrammi attribuiti al poeta alessandrino Posidippo avvolgeva in origine una mummia del II secolo prima dell’era cristiana. Solo pochi agguerriti specialisti tuttavia hanno analizzato a fondo l’imponente maggioranza — circa il novanta per cento del materiale recuperato — di scritti pubblici e privati dai quali emerge un irideLa ricostruzione di Peter Parsons scente spaccato di società greco-egiziana ci rivela come nella pòlis ellenistica nell’epoca dell’impero i fondamenti del vivere civile romano prima in ascesa non differissero granché dai nostri e poi in decadenza. Capofila di questi esploratori dell’ordinaria quotidianità a Ossirinco, “la ve infatti il recupero non solo di città del pesce dal naso aguzzo” sebrani già noti riconducibili a Ome- condo l’etimologia del toponimo, ro, Esiodo, Erodoto, Tucidide, con riferimento a un pesce del Nilo Eschilo, Sofocle, Platone, ma anche venerato come animale sacro, è Peter di opere andate disperse nel Me- Parsons, docente emerito di papirodioevo, fra cui i Peani di Pindaro e logia all’università di Oxford. Decenni di rigorosa e amorosa l’Ipsipile di Euripide, oltre a liriche di Saffo, Alceo e Ibico, ditirambi di consultazione di quella sterminata Bacchilide, elegie e odi satiriche di documentazione gli hanno consentiCallimaco, squarci consistenti delle to di riversare il suo sapere in un volume dalla piacevole impostazione commedie di Menandro. Del resto importanti ritrovamenti divulgativa: La scoperta di Ossirinco. papiracei sono stati resi possibili, in La vita quotidiana in Egitto al tempo diverse località egiziane, anche da dei romani (edizione italiana a cura altre modalità di conservazione: i co- di Laura Lulli, Roma, Carocci, 2014, dici gnostici di Nag Hammadi erano pagine 344, euro 24). custoditi in una giara, mentre il paSuffragando le sue ricostruzioni piro dell’università statale di Milano storico-culturali con citazioni estra- polate da lettere, vertenze giudiziarie, relazioni di funzionari, e così via — che fra l’altro rivelano come in una pòlis della Tebaide ellenistico-romana i fondamenti del vivere civile non differissero granché dai nostri — Parsons ci conduce a visitare i principali ambiti in cui si strutturavano e dipanavano le giornate degli abitanti di Ossirinco: edifici sacri e profani, templi e terme, dimore dignitose e miserabili tuguri; area urbana fittamente abitata e contado nilotico coltivato, ai margini del deserto, in modo estensivo (soprattutto grano, destinato in buona parte all’esportazione verso Roma); commercio multiforme, mercati e alimentazione, artigianato e finanza; corrispondenza epistolare motivata da affari o da vincoli di parentela e d’amicizia; sistema scolastico contrapposto a un diffuso analfabetismo, biblioteche, libri e copisti; gravi patologie e medicina “ufficiale” in competizione con magia e astrologia. A ogni nuovo capitolo sembra al lettore di entrare in una nuova sala affrescata di un palazzo egizio restaurato. E sono affreschi testuali che, come in certi affollati dipinti di Bruegel il Vecchio, brulicano di esistenze talora gioiose ma più spesso affannate, sofferenti, sempre affaccendate a risolvere problemi di sopravvivenza e convivenza in un mondo ingabbiato da una burocrazia e da un fisco oppressivi. Un mondo inesorabilmente esposto, perdipiù, al mutevole regime idrico del Nilo, autentico dominatore di ogni destino umano con le sue piene annuali: se queste risultavano adeguate, i raccolti conseguenti al depositarsi nella valle nilotica del limo fertilizzante assicuravano benessere e una tassazione sopportabile. Anni di carestia e indigenza poteva- “scarti” a tramandarci — nella forma innovativa di codici maneggevoli — insieme con l’apocrifo Vangelo di Tommaso numerosi manoscritti relativi ai quattro vangeli canonici, nonché la più antica copia conosciuta dell’Apocalisse. Apprendiamo inoltre che durante le persecuzioni di Decio (250-251) e Diocleziano (284-285) Ossirinco pagò un cospicuo tributo di sangue con i suoi martiri, mentre all’inSono stati questi “scarti” domani dell’editto di Costantino (313) la a tramandarci numerosi manoscritti giovane Chiesa egiziadei quattro vangeli canonici na, embrione di quella copta, registrò una creOltre alla più antica copia conosciuta scita esponenziale. E a del libro dell’Apocalisse questo punto, al termine del suo itinerario archeologico, è come no invece derivare sia da scarse se Parsons ci invitasse ad affacciarci esondazioni sia da rovinose inonda- da un terrazzo sul panorama di una metropoli della fede. La descrizione zioni. L’innata religiosità del popolo egi- di Ossirinco tracciata da un anoniziano, retaggio della millenaria civil- mo viaggiatore alla fine del IV secolo tà faraonica, si aprì piuttosto presto è decisamente iperbolica, ma deve all’accoglienza del Verbo cristiano: si pur contenere un germe di verità: pensi da un lato alla vitalità evange- «Ci sono dodici chiese, poiché la lizzatrice della comunità di Alessan- città è molto vasta (…). C’erano ben dria, dall’altro al fenomeno eremitico diecimila monaci e ventimila vergie poi monastico dei Padri del ni». Ed ecco il dettaglio spiritualmente più significativo: «Tutti i citdeserto. Anche Ossirinco partecipò attiva- tadini erano credenti e fedeli agli inmente all’opera di cristianizzazione. segnamenti della religione, cosicché Ne danno testimonianza proprio i il vescovo poteva dare alla comunità, papiri dissotterrati dalle “discariche nella piazza principale, il bacio della delle meraviglie”. Sono stati questi pace». Il volto del sofferente Si svolge dal 22 maggio a Torino il Convegno dell’Ufficio Nazionale della Pastorale della Salute. Pubblichiamo stralci dall’intervento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto. di BRUNO FORTE La potenza manifestatasi nella risurrezione di Gesù trasfigura il volto del sofferente e lo rende luce e speranza per tutti i sofferenti della terra e per quanti, credendo nel Figlio di Dio crocifisso e vittorioso, vogliano mettere con lui la propria vita al servizio del Padre e degli uomini. La vittoria di Pasqua chiama i discepoli del servo sofferente a render ragione della speranza che è in loro con dolcezza e rispetto per tutti, facendosi luogo dell’irruzione dell’altro, offertosi a noi come grazia e promessa nel triplice esodo del Figlio dell’Uomo. Al suo esodo deve corrispondere il nostro: sul pia- Verso la verità ne alla cattedra di Pietro — sono uomini che attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di lui, ha oscurato l’immagine La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di lui ha aperto la porta dell’incredulità no personale ed ecclesiale ciò esige che siamo disponibili all’iniziativa dell’Eterno; servi per amore, pronti a vivere il discernimento di ciò che lui ci chiede. I discepoli del risorto sono chiamati in primo luogo a porre l’iniziativa di Dio in Gesù Cristo al centro della loro vita e del loro annuncio. «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia — ha affermato il cardinale Joseph Ratzinger in un intervento di poco precedente la sua elezio- Cristo Pantocratore (mosaico, XII di Dio e ha aperto la porta dell’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Subiaco, 1° aprile 2005). I discepoli del servo sofferente risorto alla vita sono chiamati a seguirlo nell’esodo da sé senza ritorno, facendosi servi per amore sul suo modello, discernendo la via della pace nella giustizia e nella carità in ascolto del Vangelo. Se il volto del crocifisso risorto è al centro della nostra vita e della vita della Chiesa intera, se ci guarda come colui secolo, Cattedrale di Cefalù) al quale dobbiamo restare avvinti nella fede, allora non possiamo chiamarci fuori dalla storia di sofferenza e di lacrime in cui è venuto e dove ha lasciato che venisse conficcata la Croce per estendervi la potenza della vittoria pasquale. I discepoli del Signore sofferente e vittorioso sono dove è il loro maestro, al servizio del prossimo. La libertà da sé che egli ha vissuto fino all’abbandono supremo sulla Croce è quella che dona e chiede ai suoi discepoli per entrare nel dono della vita divina e per portarlo al mondo: la Chiesa deve profilarsi perciò anzitutto come una comunità libera da interessi mondani, decisa a non servirsi degli uomini, ma a servirli per la causa di Dio e del Vangelo, una comunità pronta a lasciarsi riconoscere nel dono di sé senza ritorno, anche se in termini umani questo dovesse risultare improduttivo o alienante. Non si realizza il compito affidatoci attraverso la fuga dalla fatica del discernimento: il mondo uscito dal naufragio dei totalitarismi ideologici ha come mai bisogno di amore concreto, discreto e solidale, che sa farsi compagnia della vita e costruisce la via della pace in comunione con tutti. Si tratta di giocare la nostra vita per il Signore senza risparmio, se necessario portando la croce, cercando sempre la via in comunione. Infine, essendo discepoli di colui che ha vissuto l’esodo supremo verso il Padre nella vittoria sulla morte, i credenti sono chiamati a essere i testimoni del senso più grande della vita e della storia, trasformati sempre di nuovo dalla fede in colui che ci ha aperto le porte del regno. Il volto del sofferente vincitore della morte chiede ai discepoli di amare la verità ultima da lui rivelata al di sopra di tutto, pronti a pagare il prezzo per essa nella quotidiana fatica che li relaziona a ciò che è penultimo: solo così si potrà essere suoi testimoni per gli altri. Occorre nutrire la passione per la verità dell’amore, rivelato e donato da Cristo, in cui si fonda nella maniera più vera la dimensione missionaria e peregrinante della vita ecclesiale. La Chiesa deve profilarsi anzitutto come una comunità libera da interessi mondani decisa a non servirsi degli uomini ma a servirli Amare la verità significa avere lo sguardo rivolto al compimento delle promesse di Dio. La credibilità del testimone si misura sulla capacità di pagare un prezzo in nome di una speranza più grande. Testimoniare l’orizzonte più grande, dischiuso dalla promessa liberante di Dio: questo è irradiare il volto del crocifisso risorto, di cui l’inquietudine senza senso del nichilismo postmoderno ha più che mai bisogno. Senza quest’orizzonte di speranza, fondato sulla fede nell’impossibile possibilità di Dio, nessun annuncio e impegno di carità e di giustizia potrà essere portato avanti fino in fondo: la pace è opera di giustizia che giunge sempre e solo sulle ali della speranza più forte di ogni calcolo umano. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 23 maggio 2015 pagina 5 Per avere una conoscenza adeguata dell’ateismo è necessario entrare nelle vite delle persone che fanno questa scelta Una prospettiva fuori dalla religione Le passioni degli altri di SERGIO MASSIRONI vevo dieci anni e la parola “ateo” mi pareva gravissima. Non ricordo quando la incontrai per la prima volta, ma la sensazione di una voragine scura è impressa dentro di me, con la miriade di emozioni che nell’infanzia plasmano una geografia interiore. Senza Dio, l’ultimo libro di Eugenio Lecaldano (Bologna, il Mulino, 2015, pagine A Hugo Simberg, «L’angelo ferito» (1903) 182, euro 14) ha essenzialmente la capacità di condurre il lettore a se stesso, a un vissuto che le argomentazioni riaprono, qualunque esso sia. Sollecitazione che mobilita contrastanti sentimenti, per cui il numero limitato di pagine e lo scrivere limpido dell’autore non esimono da un forte impegno e da una buona dose di coraggio. Non temo la retorica nel dire che affrontare il libro è come prendersi un ospite in casa. Fin dal primo capitolo — «Vivere senza Dio agli inizi del XXI secolo» — i conti si fanno col profilo a tutto tondo di chi non crede, non solo con le sue convinzioni. Per quanto sia tracciata nel volume una storia dell’ateismo, più volte è suggerito che «per avere una conoscenza minimamente adeguata di una prospettiva che faccia a meno di Dio non dobbiamo perdere di vista che essa è presente non solo nei libri che espongono le dottrine filosofiche e teologiche, ma anche concretamente nelle vite delle persone». Così, tutt’altro che marginali sono sopraggiunti i ricordi del bambino che, nella Brianza di trent’anni fa, non comprendeva quell’unico compagno di scuola assente all’ora di religione e la cui casa era la sola a non aprirsi per la benedizione, nelle sere in cui si accompagnava il parroco a varcare la soglia di tutti. Difficile recepire certi passaggi del testo, se non mettendosi ora nei panni altrui, stimolati ad assumere la prospettiva di persone realmente incontrate. Le pagine di Lecaldano, soprattutto, colpiscono perché intrise di un senso d’accerchiamento troppo raramente considerato. La sensazione dei credenti, infatti, è facilmente «che l’accademia e la scienza siano i bastioni degli atei e che il successo delle scienze sia legato all’irreligiosità»: un’esperienza di minorità sorta fin dal loro impatto con la scuola e che può indurre a rinserrare i ranghi e a rapportarsi conflittualmente alla modernità. Ma, paradossalmente, si coglie qui come pure il non credente si senta come isolato, esposto, socialmente stigmatizzato, minacciato nella propria identità. Ognuno ha ragioni per interpretarsi come vittima. Così, ospitarsi turba e sorprende: gesto benedetto, ma non dovuto, che ripaga, eppure scomoda. Comporta l’incontro anche con le affermazioni clamorose dell’altro: Lecaldano, talvolta, sembra equiparare tradizioni reli- disposizione di tutti «una concezione generale dell’universo in cui non c’è più bisogno di Dio». In secondo luogo, «la moralità è possibile solo in quanto la presenza di Dio non è incombente»: denuncia kantiana dell’eteronomia, qui estesa al punto di indicare gli Stati dove maggiore è la presenza di non credenti come le società più sane, ricche, meglio educate e libere della terra. La prima questione coincide con la sfida epocale, che la teologia pare essersi avviata ad assumere, di un discorso su Dio non connesso alla necessità, ma vincolante proprio nel suo esser gratuito. Esso non può affidarsi al linguaggio della causaCome il credente perseguitato lità e del dovere, ma richiede quello dell’inconanche il non credente si sente isolato tro, del dono, della grasocialmente stigmatizzato e minacciato zia, dell’amore. Si torna, così, al linguaggio pronella propria identità prio della Trinità e della Ognuno ha ragioni per interpretarsi come vittima Croce, sempre nuovo alla filosofia; quello del Nuovo Testamento e dell’intechi di «persone giustiziate per ateismo, ra Scrittura. La sua singolarità induce poi blasfemia e crimini contro la religione cri- ad accettare la seconda sfida, quella circa stiana (...) non regge alla prova delle evi- la vita migliore, su dove e come fioriscano denze storiche». I motivi di irritazione per maggiori autenticità e libertà, e non per il cattolico lettore, insomma, non manca- qualcuno soltanto. no. Tuttavia — grazie a Papa Francesco e a La Chiesa indica certamente in Cristo la iniziative come Il cortile dei gentili — il cli- Vita e la Via, ma senza negare la libertà di ma all’autore appare oggi cambiato: Dio di operare nella biografia di chiunque un’apertura su cui conviene investire, se per la demolizione di ogni idolatria e per non per un dialogo, che non pare cercato, la chiamata degli uomini a un pieno inconalmeno per una più matura coscienza di tro. «L’ateismo è rilevante proprio in sé. quanto aiuta, se incorporato sul piano delAttraverso la messa a fuoco della natura la deliberazione pubblica, ad allargare condell’ateismo, quindi la ricostruzione del cezioni ristrette dell’identità». Il nuovo suo rapporto con la filosofia e le scienze, umanesimo, in fondo, non lo faranno i cricon l’etica e le scienze umane, sono essen- stiani da soli e nemmeno gli atei: ospitare zialmente due le proposte che la diversità le passioni altrui e l’esigenza di una Verità dell’ateo appare incarnare. Esse vengono che non subisca riduzioni, pur richiedendo ormai in piena luce, grazie all’estendersi ad pazienza e sopportazione, rende spedito il ampie fasce della popolazione di una vita cammino. Certo, assistiamo alle spigolosità senza Dio. e alle cadute di stile gli uni degli altri, ma Anzitutto, «nella concezione secolarizza- incontrandoci le scopriamo più connesse ta e scientifica del mondo lo spazio per alle ferite di cui ciascuno è portatore, che a l’intervento di un Dio sovrannaturale si va una definitiva esclusione di ciò che al disempre più riducendo»: ha prevalso, ed è a verso è concesso di vedere. giose e «imposture in genere», credenze tutte illusorie, il cui contributo alla salute psichica risulta «in fondo come affidarsi a un buon cocktail di psicofarmaci o a qualche intervento neurochirurgico che disinnesca circuiti cerebrali legati alla paura o all’ansia». Il nostro filosofo appare perfino sbrigativo e tranchant: liquida in un colpo solo le etiche «cosiddette religiose» come inadeguate alle sfide presenti; sposa l’equazione religione-violenza, fino a definire «le presunte diversità di fondo delle tradizioni monoteistiche» figlie di una valutazione eurocentrica che, rimuovendo lunghi elen- All’Uca di Buenos Aires Un sogno antico «Non siamo un mero continente, né solo un fatto geografico con un mosaico inintelligibile di contenuti. Non siamo neppure una somma di popoli e di etnie che si giustappongono. Una e plurale, l’America Latina è la casa comune, la grande patria di fratelli», patria «che la stessa geografia, la fede cristiana, la lingua e la cultura hanno unito definitivamente nel cammino della storia». È partendo da questo assunto, contenuto nel Documento di Aparecida, che la Pontificia università cattolica argentina (Uca) ha organizzato un simposio, svoltosi il 21 maggio a Buenos Aires, per elaborare una soluzione ai problemi che ancora ostacolano una piena integrazione del subcontinente. Come ha evidenziato il rettore dell’Uca, l’arcivescovo Víctor Manuel Fernández, aprendo l’incontro, l’iniziativa è nata per offrire uno sguardo verso il futuro — anche in vista dell’ormai prossimo viaggio di Papa Francesco in America Latina — senza tornare sulle cause dei conflitti e senza l’ambizione di giungere alla modifica di trattati internazionali. L’obiettivo, insomma, è individuare strumenti per favorire un’autentica volontà d’integrazione. Si tratta, ha suggerito il rettore della Pontificia università cattolica argentina, di «rilanciare un sogno», un sogno antico, fondato soprattutto sulla appartenenza alla Chiesa di Dio in America Latina, sacramento di comunione tra i suoi popoli. Ed è questa la chiave per aprire porte chiuse da tempo. Per cercare di avvicinare quei popoli e quei Paesi del Cono Sud ancora divisi — in modo innaturale — da annose questioni geopolitiche. Un convegno sulla dottrina sociale della Chiesa e il mondo degli affari Economia francescana di D OMINGO SUGRANYES BICKEL L’attualità economica, la disoccupazione e la fragilità di molte situazioni lavorative lasciano poco spazio all’ottimismo. Come cristiani attivi nel lavoro ascoltiamo con attenzione Papa Francesco quando parla di un’economia che esclude, di una cultura dello scarto. Ma non possiamo metterci la coscienza a posto imprecando contro l’avidità e la corruzione; abbiamo bisogno di un’analisi precisa e di programmi di riforma da attuare nella pratica. Qui sta il nocciolo della questione: è possibile tradurre gli insegnamenti sociali della Chiesa in programmi di riforma che siano fedeli all’ispirazione ed efficaci? In molte scuole di business di stampo cattolico il problema viene affrontato dall’interno dell’azienda. Applicare la dottrina sociale della Chiesa nell’impresa significa rispettare la dignità di tutti, promuovere le opportunità di accedere a un lavoro soddisfacente, dare alla responsabilità sociale corporativa il suo significato più autentico e profondo. Si sono fatti dei passi avanti, come i progetti filantropici finanziati da società o i codici etici di condotta. Forse il mondo degli affari inizia a percepire la propria finalità in modo diverso; e se queste esperienze sembrano talvolta di facciata, forse stanno comunque a indicare una tendenza. Quando si parla di azienda le idee portate avanti dai cattolici coincidono spesso con quelle sostenute da persone di appartenenze diverse. Issare la bandiera cattolica o cristiana spesso provoca reazioni negative, però è possibile trovare un terreno d’intesa con i colleghi non credenti: l’idea di ripensare gli obiettivi e le finalità del business è comune a molti, soprattutto dopo la recente crisi finanziaria che ha minato la fiducia nelle banche e nelle imprese. Ma i mali del contesto economico attuale non possono essere risolti unicamente dalle imprese: anche se tutte le aziende adottassero una cultura a favore del bene comune, dovrebbero pur sempre lottare per la propria sopravvivenza e crescita. Nessuna impresa può assumere la responsabilità o sostenere dei costi che mettono a repentaglio il suo futuro. Quindi come affrontare i problemi della macroeconomia? Chi creerà posti di lavoro? Che tipo di formazione dovranno avere i lavoratori per adattarsi in un contesto di pressante cambiamento dove non si possono garantire le sicurezze di un passato corporativista? Chi sarà abbastanza creativo da mostrare anche oggi che il progresso tecnologico non significa la fine del lavoro, bensí una diversa tipologia di lavoro? Per risolvere questi problemi le buone intenzioni e l’impegno volonteroso di pochi non bastano. Le soluzioni vanno cercate in programmi di riforma di ampio respiro dopo un lungo dibattito pubblico in cui il pensiero cattolico può e deve essere propositivo. La Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice riflette su queste problematiche da ventidue anni, fin dalla sua creazione voluta da Giovanni Paolo II. Se la dottrina della Chiesa non fornisce una teoria economica o un modello in senso stretto, può però essere una fonte d’ispirazione per chi ha il compito di analizzare la situazione economica e programmare le linee di condotta. Partendo da questa prospettiva la Fondazione intende diffondere la dottrina sociale della Chiesa confrontandola con le domande e le teorie proposte dal mondo accademico e dall’esperienza pratica. Siamo convinti che l’influenza della dottrina sociale della Chiesa possa essere rafforzata e ampliata. Per raggiungere lo scopo noi laici dobbiamo smettere di rifarci alle formule generiche per prendere di petto la realtà con nuove ricerche, nuove pubblicazioni e nuove casistiche. Durante il convegno che si svolgerà in Vaticano dal 25 al 27 maggio saranno affrontate due domande che riguardano tan- Colantonio del Fiore, «Francesco consegna la regola» (1440-1470 circa, particolare) to le economie ricche quanto quelle povere: se sia possibile una crescita che non implichi necessariamente un consumo compulsivo e il futuro dell’occupazione e l’economia “informale”. Sono questioni di frontiera ma che toccano elementi chiave del nostro futuro, come il tipo di crescita Riscoprire le vere virtù del lavoro e della creatività è un modo efficace di resistere alle tentazioni dell’assistenzialismo e della corruzione che possiamo permetterci, la possibile ridefinizione dell’impiego e lo status del lavoro. A conclusione del convegno, il 27 maggio si terrà sotto la presidenza del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin la cerimonia di consegna del Premio Economia e società attribuito a dei lavori che aprono nuove vie d’applicazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa. Il premio principale sarà conferito al finanziere francese Pierre de Lauzun per il suo libro sulla finanza nell’ottica cristiana, in cui rilegge la storia e le riforme in corso ed elabora le caratteristiche di una nuova cultura etica; la laudatio sarà pronunciata dal presidente della giuria, il cardinale Reinhard Marx. Nel medioevo la scuola economica francescana già sapeva che con l’elemosina si può aiutare a sopravvivere, ma per vivere bisogna produrre e vendere i prodotti, scambiandoli tra soggetti di pari dignità. Riscoprendo le vere virtù del mercato, del lavoro e della creatività si possono aprire delle strade di riforma; è un modo efficace di resistere alle tentazioni della rassegnazione, dell’assistenzialismo e della corruzione. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 23 maggio 2015 Appello dei leader religiosi indonesiani per l’accoglienza dei rohingya Compassione senza frontiere L’episcopato statunitense esorta l’Amministrazione a intensificare gli sforzi È l’ora del disarmo nucleare NEW YORK, 22. Intensificare gli sforzi per portare avanti il disarmo nucleare e porre così le basi del successo di una conferenza multilaterale da organizzare a New York. È quanto chiede al segretario di Stato John Kerry il presidente del Comitato per la pace e la giustizia internazionali della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, il vescovo di Las Cruces, monsignor Oscar Cantú. Il presule ha affidato il suo messaggio a una lettera pubblicata in occasione della nona Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione (Tnp) che si è conclusa oggi, venerdì, presso l’O rganizzazione delle Nazioni Unite. Si tratta, in sostanza, dell’aggiornamento periodico dell’accordo internazionale sul disarmo nucleare, un percorso iniziato 45 anni fa e che viene rivisto ogni cinque anni. «La maggior parte degli americani — ha scritto il vescovo di Las Cruces — pensa che la minaccia nucleare si sia ridotta con la fine della “guerra fredda”. Purtroppo, niente è più lontano dalla verità. In un mondo multipolare, dove ci sono rischi di proliferazione nucleare e perfino di terrorismo nucleare — ha aggiunto il presule — è imperativo che il mondo si muova sistematicamente e inesorabilmente verso il disarmo e la messa in sicurezza dei materiali nucleari. Preservare il Trattato di non proliferazione è una pietra angolare di questo sforzo». Il presidente del Comitato per la pace e la giustizia internazionali ha auspicato un impegno deciso e concreto perché sia possibile verificare il disarmo nucleare. Un tema particolarmente sensibile, in questa ottica, è quello, ad esempio, delle testa- te nucleari già innescate e pronte all’utilizzo in caso di impieghi d’urgenza. Armamenti che costituiscono un rischio costante, data la non remota possibilità di incidenti dall’esito catastrofico. Altri temi all’ordine del giorno, secondo l’episcopato statunitense, sono i maggiori tagli degli arsenali, la ratifica del Comprehensive Test Ban Treaty (Trattato sulla messa al bando dei test nucleari) e la necessità di avviare negoziati seri su un trattato per la riduzione del materiale fissile e altre misure preventive. Per la Chiesa, limitare gli armamenti nucleari significa anche liberare importanti risorse economiche che potrebbero essere usate per assistere fasce di popolazione in condizioni di indigenza. Su questo tema era intervenuto del resto anche Papa Francesco nel messaggio per la III Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, tenutasi a Vienna l’8 e 9 dicembre scorsi. Dal 21 giugno al 4 luglio la Fortnight for Freedom Libertà di dare testimonianza WASHINGTON, 22. Libertà di dare testimonianza: è questo il tema della quarta edizione della Fortnight for Freedom (“due settimane per la libertà”), la campagna per la libertà religiosa promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Lanciata per la prima volta nel 2012, l’iniziativa prenderà il via il prossimo 21 giugno, giorno della memoria di san Thomas More e san John Fisher, per concludersi il 4 luglio, festa dell’indipendenza degli Stati Uniti. «Mantenere lo spirito del Vangelo — ha spiegato il presidente della commissione ad hoc per la libertà religiosa e arcivescovo di Baltimore, monsignor William Edward Lori — significa che le istituzioni cattoliche devono dare testimonianza nell’amore della piena verità sulla persona umana, fornendo servizi sociali, caritativi ed educativi in modo da riflettere pienamente la dignità donata da Dio alla persona umana». Un impegno per il quale è necessario che venga assicurata piena libertà di azione, in base alle proprie convinzioni religiose e nel rispetto dei diritti di tutti. L’iniziativa dell’episcopato prevede quindici giorni di iniziative: preghiere, riflessioni, catechesi e manifestazioni. Tutte le diocesi e le parrocchie sono chiamate a partecipare così da mobilitare la comunità cattolica e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema. Presentate le linee guida pastorali della Chiesa in Argentina per il prossimo triennio Missione, misericordia e gioia BUENOS AIRES, 22. «Missione, misericordia e gioia»: sono i tre temi sui quali i vescovi argentini hanno focalizzato la loro attenzione nella stesura delle linee guida pastorali per il triennio 2015-2017. Contenute in un libretto dal titolo: «Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia» il documento è stato presentato giovedì, nel corso di una conferenza stampa, dal segretario generale della Conferenza episcopale argentina, monsignor Carlos Humberto Malfa, vescovo di Chascomús. Missione, misericordia e gioia sono tre temi evidentemente legati tra loro, ha detto il presule: «Con la missione abbiamo parlato di una Chiesa in uscita, non chiusa in se stessa e presa dai suoi problemi, ma aperta per annunciare il Vangelo a tutti. E per questo è necessaria la misericordia». Il vescovo Malfa ha poi sottolineato l’importanza della «gioia del cuore»: «La missione consiste nel condividere questa gioia che è frutto dell’incontro con Cristo». In questo contesto, i vescovi considerano prioritarie alcune questioni pastorali. Prima di tutto il Congresso eucaristico nazionale, che si terrà a San Miguel de Tucumán, nel giugno 2016. Al riguardo, il presule ha spiegato che «l’incontro con Gesù nell’Eucaristia è la via della Chiesa per celebrare il bicentenario dell’Indipendenza del Paese». La Chiesa, ha spiegato, «è stata ed è protagonista della storia del popolo argentino; per questo incoraggiamo qui a riprendere il ruolo dei laici» nella vita ecclesiale. In quest’ottica, il vescovo ha sottolineato l’importanza del documento dal titolo: «Las elecciones, exigencia de compromiso ciudadano», diffuso lo scorso marzo dal comitato permanente. Secondo monsignor Malfa, questo testo «è un punto di riferimento e rappresenta il pensiero della Chiesa sui temi elettorali, dove si evidenzia la responsabilità di tutti nella costruzione del bene comune». Inoltre, il vescovo ha parlato dell’importanza che avrà la pastorale familiare. «Il Sinodo dei vescovi ci ha invitato a riflettere su quella che è la vocazione e la missione delle famiglie nel mondo contemporaneo. Quello che ci interessa ora è aspettare lo sviluppo del Sinodo», quando «potremo avere un quadro più chiaro di come andare avanti». Altri temi in evidenza nelle linee guida — ha ricordato il presule — sono «la pastorale giovanile, che comprende la pastorale vocazionale; la rivitalizzazione delle parrocchie come ambiti di comunione, partecipazione e missione; la catechesi, intesa come annuncio fondamentale della fede e la formazione dei sacerdoti sull’esempio del beato Brochero». Durante il suo intervento, monsignor Malfa ha anche sottolineato l’importanza dell’anno dedicato alla vita consacrata, che culminerà il 2 febbraio 2016. Il presule ha ricordato che, nel corso dell’ultima assemblea, i vescovi hanno scritto una lettera di saluto e di ringraziamento ai consacrati per la loro scelta: ora, ha detto, «ci impegniamo ad accompagnarli nel cammino di rinnovamento». La prossima assemblea plenaria dei vescovi si inizierà con una messa per i consacrati, che sarà celebrata domenica 8 novembre nella basilica di Luján. Una riflessione speciale, inoltre, è stata dedicata dal segretario generale della Conferenza episcopale argentina al martirio dei cristiani in Medio oriente, «fatti a cui il mondo sta assistendo con orrore». I mass media sono chiamati «a farsi eco della condanna che reclama questa crescente e inaccettabile violazione del diritto alla libertà religiosa», giacché la realtà della persecuzione dei cristiani che vengono torturati o uccisi «non può essere messa a tacere». JAKARTA, 22. Riconoscere quanto prima lo status di rifugiati alle migliaia di migranti rohingya e bengalesi da settimane alla deriva su barconi di fortuna nel mare delle Andamane. È la richiesta contenuta in un messaggio che i leader religiosi indonesiani — musulmani, buddisti e cristiani — hanno indirizzato ai loro governanti. In una dichiarazione congiunta, riportata dal sito Églises d’Asie, i rappresentanti religiosi sottolineano in primo luogo che «il problema dei rohingya», che fuggono da terribili condizioni di vita, è prima di tutto una «questione di umanità», che chiama in causa il Governo indonesiano, nell’occasione sollecitato a siglare la convenzione relativa allo status dei rifugiati, meglio conosciuta come Convenzione di Ginevra, testo adottato nel 1951 sotto l’egida delle Nazioni Unite. Il messaggio dei leader religiosi è stato diffuso nelle stesse ore in cui i governi di Indonesia e Malaysia — anche a seguito degli appelli lanciati dalla comunità internazionale, dall’Onu e anche dall’università di Al-Azhar al Cairo — hanno abbandonato la politica dei respingimenti, accettando di fornire rifugio temporaneo a migliaia di migranti bloccati in mare. I due Governi hanno però chiesto l’aiuto internazionale, affermando che «la crisi è globale» e «non regionale». Maman Imanulhap, rappresentante musulmano, ha reso noto che la maggiore organizzazione islamica indonesiana, la Nahdlatul Ulama, ha invitato tutte le madrasse, le scuole islamiche, a ospitare i bambini rohingya che arrivano nel Paese. Mentre il reverendo Stephen Siahaan, rappresentante delle comunità protestanti, ha ricordato che «la prima cosa che dobbiamo fare è salvare le persone che stanno morendo», perché «l’aspetto umanitario di questo problema non conosce frontiere». Anche in Malaysia la locale Federazione cristiana, organizzazione che riunisce comunità cattoliche e prote- stanti, ha diffuso un appello per l’accoglienza dei profughi. «Questi migranti sono esseri umani e hanno diritto alla vita, hanno una dignità. Domenica scorsa nelle chiese malaysiane abbiamo pregato per loro e chiesto a Dio che muovesse i cuori alla compassione», ha dichiarato all’agenzia Fides il gesuita Lawrence Andrew, direttore del settimanale diocesano di Kuala Lumpur. Campagna della Caritas India contro la piaga dei suicidi tra i contadini L’agricoltura chimica che uccide NEW DELHI, 22. Con la diffusione dell’agricoltura biologica non si difende soltanto la salute delle persone e del pianeta, ma è possibile anche lottare contro la povertà estrema che in India spinge addirittura al suicidio un numero sempre crescente di contadini. Ne è convinto padre Frederick D’Souza, direttore esecutivo di Caritas India, che recentemente ha fatto proprio della promozione dell’agricoltura biologica uno dei punti di forza dell’organismo caritativo della Chiesa locale. Tradizionalmente, l’opera di Caritas India si concentra soprattutto su due grandi settori: quello per lo sviluppo e quello per la gestione delle emergenze derivanti da catastrofi naturali, quali alluvioni o terremoti. «Come agenzia della Chiesa cattolica — sottolinea il religioso — sosteniamo i diritti dei bambini, delle donne, e degli agricoltori. Puntiamo allo sviluppo di mezzi di sussistenza per ridurre la povertà nelle città e nelle campagne. Inoltre siamo impegnati nella lotta al traffico di esseri umani e agli effetti dannosi del cambiamento climatico». Proprio il mutamento del clima, generato in gran parte dall’inquinamento e che influisce negativamente sui raccolti, costituisce uno dei fattori principali alla base dell’impoverimento della popolazione delle campagne. Così gli agricoltori chiedono prestiti a privati, che forniscono un servizio di microcredito. Il più delle volte però si tratta di vero e proprio strozzinaggio. Soffocati dai debiti spesso i contadini optano per gesti estremi, fino al suicidio. Un fenomeno sempre più diffuso, divenuto da qualche anno una vera e propria piaga nazionale. Il tasso più alto di suicidi si registra in Maharashtra: su 1.109 casi accertati in tutta l’India nel 2014, ben 986 sono avvenuti in questo Stato, che pure è tra i più ricchi e più popolosi del Paese. Rispetto al 2013 c’è stato un aumento complessivo del 26 per cento. «Per noi — spiega padre D’Souza ad AsiaNews — una delle sfide più grandi in assoluto è dare a tutti i poveri del Paese una vita davvero sostenibile sul lungo periodo. Se hai un lavoro, hai cibo e non sei denutrito; puoi mandare i tuoi figli a scuola e puoi curarti se stai male». L’emergenza dei suicidi fra i contadini è legata proprio a questo discorso. «La ragione principale è la mancanza di guadagni. Negli ultimi anni si è diffusa un’agricoltura non sostenibile, nella quale si fa ampio uso di fertilizzanti e pesticidi chimici per pompare le coltivazioni e per i cosiddetti cash crop, raccolti che hanno un immediato ritorno economico, ma dipendenti da questi agenti chimici». I contadini, spiega ancora il responsabile della Caritas, «si indebitano per acquistare questi prodotti, ma il raccolto che ne deriva non sarà mai sufficiente per mantenere la famiglia e ripagare il debito. Queste persone sentono addosso un certo tipo di onore sociale, hanno una loro dignità, e preferiscono uccidersi anziché ammettere il fallimento e condividerlo con altri». Il problema però è che «questo modo di fare agricoltura sta creando un circolo vizioso senza via d’uscita. Fertilizzanti e pesticidi impoveriscono la terra, che riesce a produrre solo un certo tipo di semi e solo se sollecitata dagli agenti chimici. A quel punto è difficile tornare a un’agricoltura di tipo biologico». Tuttavia, è proprio questa la strada da percorrere, secondo i responsabili di Caritas India che già alcuni anni fa avevano lanciato una campagna dallo slogan assai eloquente: “Salvare i contadini, salvare l’India”. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 23 maggio 2015 pagina 7 L’arcivescovo Romero come predicatore e maestro Autoritratto di un pastore di PETER KODWO APPIAH TURKSON Nel Nuovo testamento, quando Gesù parla del buon pastore, di fatto parla di se stesso. Non a caso, quando l’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero nell’omelia pronunciata il 16 aprile 1978 nella chiesa di El Rosario riprende questo autoritratto di Gesù, inconsciamente disegna anche il proprio autoritratto. Pertanto quest’omelia, tenuta nella domenica del buon pastore, offre l’opportunità di conoscere il presule salvadoregno dal di dentro del suo ministero. «Ogni omaggio che mi viene reso — dice — di fatto è un omaggio a Cristo il buon pastore e alla vostra fede». Inoltre ci sono due immagini complementari che descrivono come, ai tempi di Gesù, un pastore guidava il proprio gregge. In alcune circostanze camminava davanti alle pecore, che lo seguivano; qui l’enfasi è posta sul trovare il cammino, o addirittura sull’aprire una nuova strada. In altre situazioni il pastore camminava dietro il gregge, da dove poteva vedere quale pecora o quale agnello era debole o mala- Isabella Ducrot «Oscar Arnulfo Romero» (2013) to, quale poteva smarrirsi o si era già allontanato. Per l’arcivescovo Romero tra gli smarriti c’erano i ricchi, i potenti, i violenti, coloro che erano in disaccordo con lui, coloro che lo attaccavano. «I vescovi non governano come despoti. Perlomeno non è così che dovrebbero agire. Il vescovo deve essere il servitore più umile della comunità, poiché Gesù ha detto ai suoi discepoli, i primi vescovi: chi è più grande tra voi sia come i più piccoli, e il capo sia come il servo. Il comandamento che seguiamo è di servizio. Anche il nostro modo di vivere e il nostro mondo sono di servizio» aggiunse monsignor Romero la domenica successiva, 23 aprile 1978. Quindi, sia che guidi stando davanti, sia che guidi stando dietro, un vescovo «prolunga adesso la persona del buon pastore», secondo le parole di Paolo VI. Al contrario dei ladri e dei briganti che, secondo le parole di Gesù, salgono «da un’altra parte», l’arcivescovo Romero ha detto di se stesso e degli altri vescovi: «Quelli tra noi che hanno l’onore di essere pastori, non sarebbero pastori se non fossero stati chiamati a entrare dalla porta. Il vero vescovo e pastore, l’autentico e unico Papa, è colui che è passato per la porta, la porta che è Cristo». Quando padre Romero è stato ordinato vescovo — ed è la stessa cosa che è accaduta a me — sono state queste le parole profetiche pronunciate da chi ha presieduto la celebrazione: «Nella Chiesa a te affidata sii fedele custode e dispensatore dei misteri di Cristo. Posto dal Padre a capo della sua famiglia, segui sempre l’esempio del buon pastore, che conosce le sue pecore, da esse è conosciuto e per esse non ha esitato a dare la vita» (Rito di ordinazione episcopale, 1968). E così è stato. Difensore dei poveri di VINCENZO PAGLIA* Con la beatificazione dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero — che viene celebrata a nome del Papa dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, sabato 23 maggio, a San Salvador — sale sugli altari un martire della Chiesa del Vaticano II, un pastore che ha misurato la sua azione sulle linee del concilio e sulla successiva riflessione dell’episcopato latinoamericano nelle grandi assemblee continentali. Il suo esempio ha suscitato un’ammirazione straordinaria nella Chiesa cattolica e l’eco della sua morte e della sua testimonianza ha toccato molti dei cristiani delle altre confessioni. E la stessa società civile ne è rimasta ammirata. Le Nazioni Unite, per esempio, hanno proclamato il 24 marzo, data del suo martirio, giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime. Certo, il mondo è molto cambiato dal 1980, quando Romero venne assassinato perché la sua voce tacesse. Oggi monseñor — così lo chiamava la gente – risuona ancor più che allora. E la sua beatificazione sotto il pontificato del primo Papa latinoamericano conferisce alla testimonianza di Romero una forza particolare. L’affermazione di Papa Francesco: «Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri», lega Romero in maniera robusta all’oggi della Chiesa e alla sua missione. Un rapporto non troppo favorevole all’azione pastorale del presule notava: «Romero ha scelto il popolo e il popolo ha scelto Romero». E questa che a taluni appariva una nota negativa, era in verità l’elogio più bello. Egli «sentiva l’odore delle pecore» e queste ne ascoltavano la voce e la seguivano. È commovente vedere ancora oggi i contadini salvadoregni parlare con lui quando sono inginocchiati davanti alla sua tomba. Romero è stato un vescovo secondo la migliore tradizione tridentina, arricchita poi dall’insegnamento del Vaticano II. Aveva studiato a Roma dal 1937 al 1943; amava i Papi, soprattutto Pio XI, Paolo VI e Giovanni Paolo II che aveva conosciuto personalmente. Fedele al magistero, non mancava di carismi: la parola, la predicazione, il senso pastorale. Non era un intellettuale, un teologo, un organizzatore, un amministratore. Neppure un riformatore. E tanto meno un politico, come qualcuno ha voluto vederlo, strumentalizzando il suo nome. Era un uomo di Dio, un uomo di preghiera, un uomo di obbedienza e di amore per la gente. Pregava molto ed era severo con se stesso, legato a una spiritualità antica fatta di sacrifici, di penitenza, di privazioni. Ebbe una vita spirituale lineare, pur con un carattere non facile. Nella preghiera trovava riposo, pace e forza. Fu la forza della preghiera a sostenerlo. Pochi giorni prima di essere ucciso scriveva: «Temo i rischi a cui sono esposto. Mi costa accettare una morte violenta che in queste circostanze è molto possibile». E aggiungeva: «Le circostanze sconosciute si vivranno con la grazia di Dio. Egli ha assistito i martiri e se è necessario lo sentirò molto vicino nell’offrigli l’ultimo respiro». Indiscussa la sua fedeltà al magistero, in particolare a quello degli ultimi decenni, dal concilio — di cui divenne divulgatore in El Salvador — a Paolo VI e Papa Wojtyła. Pochi mesi prima della morte, in visita a Roma, annota: «Questa mattina sono andato nuovamente alla basilica di San Pietro e, presso gli altari, che amo molto, di San Pietro e dei suoi successori attuali di questo secolo, ho chiesto insistentemente il dono della fedeltà alla mia fede cristiana e il coraggio, se fosse necessario, di morire come morirono tutti questi martiri o di vivere consacrando la mia vita come l’hanno consacrata questi moderni successori di Pietro». Sul tema del martirio aveva riflettuto anche per i tanti sacerdoti, religiosi, catechisti, fedeli uccisi nel vortice di violenza che aveva investito il suo Paese, solo perché parlavano di Vangelo, di pace, di giustizia. Romero li riassume tutti. E in certo senso guida la schiera dei nuovi martiri del Novecento. Egli credette alla sua funzione di vescovo. Si sentiva responsabile del popolo oppresso. Si fece carico del sangue, del dolore, della violenza che esso subiva, denunciandone le cause nella carismatica predicazione domenicale seguita alla radio da tutta la nazione. Era un vescovo defensor pauperum secondo l’antica tradizione dei padri della Chiesa. Il clima di persecuzione era palpabile nel Paese. Dopo due anni di episcopato nell’arcidiocesi salvadoregna, Romero contava trenta preti perduti, tra uccisi, espulsi o allontanati per sfuggire alla morte, e centinaia di catechisti uccisi e fedeli scomparsi. Perciò contrastò la violenza perpetrata sia dai militari in senso repressivo sia dalla guerriglia in senso insurrezionale. I mandanti del killer con la sua morte volevano far tacere la Chiesa del Vaticano II. Perciò fu ucciso sull’altare. La sua morte martiriale avvenne in odium fidei perché — come mostra l’accurato esame documentario svolto nel processo di beatificazione — essa fu causata non da motivi solo politici, ma dall’odio per una fede che, impastata della carità, non taceva di fronte all’oppressione del popolo. Giovanni Paolo II — che ben conosceva i due altri santi uccisi sull’altare, Stanislao di Cracovia e Thomas Becket di Canterbury — lo notava con efficacia: «Lo hanno ucciso proprio nel mo- mento più sacro, durante l’atto più alto e più divino». Gli assassini, impedendo a Romero di terminare la messa, volevano come dividere il culto a Dio dalla sua misericordia. Il martire Romero ci ricorda che non si può separare l’Eucarestia dai poveri. E Papa Francesco non cessa di mostrarcelo con le parole e con i gesti. *Postulatore Suor Irene Stefani missionaria in Kenya Mamma misericordia di GOTTARD O PASQUALETTI* Per la prima volta in Kenya viene celebrata una beatificazione. È quella di suor Irene Stefani, che viene elevata agli onori degli altari sabato 23 maggio a Nyeri, dal cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam e presidente del simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, in rappresentanza di Papa Francesco. La donna, conosciuta per aver curato i feriti degli ospedali militari durante la guerra, era nata il 22 agosto 1891 ad Anfo, Brescia. Battezzata con il nome di Aurelia Mercede, fu educata a una solida spiritualità. Fin da giovane dimostrò spiccato impegno di vita cristiana. Guidò le sorelle rimaste prive della mamma, si dedicò all’insegnamento del catechismo e della preghiera. Nel 1911 entrò nell’istituto delle suore missionarie della Consolata, da poco fondato a Torino dal beato Giuseppe Allamano, assumendo il nome di suor Irene. Dopo la prima professione religiosa, fu destinata in Kenya. Vi rimase, senza mai ritornare in patria, fino alla morte, il 31 dicembre 1930. La prima guerra mondiale ebbe sanguinosi risvolti anche in Preghiera del segretario di Stato nella festa di Maria Ausiliatrice Per i nostri fratelli in Asia Con un’invocazione «a colei che ci è madre» — a Maria aiuto dei cristiani, dichiarata nel 2001 patrona della Cina — il cardinale Pietro Parolin ha rivolto una preghiera speciale «per i nostri fratelli in Asia». Lo ha fatto venerdì 22 maggio, nella cappella del Coro della basilica di San Pietro, durante la messa celebrata in occasione della festa mariana, alla quale hanno partecipato responsabili e dipendenti della Tipografia vaticana, dell’Osservatore Romano e del Servizio fotografico del giornale. Con lui hanno concelebrato i salesiani don Sergio Pellini, direttore generale della Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano, e don Marek Kaczmarczyk, direttore commerciale. Erano presenti, tra gli altri, il segretario di redazione, il vicedirettore e il direttore del giornale. Nell’omelia, il porporato ha tratteggiato la caratteristica spiritualità mariana che ha segnato l’intera esistenza di don Bosco, del quale quest’anno si festeggia il bicentenario della nascita in coincidenza con l’analoga ricorrenza per la festa di Maria Ausiliatrice, voluta da Papa Pio VII nel 1815. Il porporato ha quindi accomunato i presenti nell’atto di affidamento alla Vergine, chiedendo il sostegno affinché mai si tema «di parlare di Gesù al mondo, e del mondo a Gesù». Africa, per gli interessi coloniali dell’Inghilterra in Kenya e della Germania in Tanzania. Si ricorse al reclutamento forzato di oltre trentamila indigeni, ingaggiati nel Carriers corp per il trasporto a spalle del materiale bellico attraverso il groviglio delle foreste e delle steppe. Sottoposti a immani fatiche, molti morivano o si trascinavano negli improvvisati ospedali militari, dove lo scarso cibo, la carenza di medicinali, le infezioni, le epidemie, il servizio di improvvisati infermieri, favorivano il contagio e la morte. Alla loro assistenza si dedicò suor Irene nei nosocomi militari di Voi in Kenya e di Kilwa Kiwinje, Lindi, Dar-es-Salaam, in Tanzania. Nei capannoni dove si ammonticchiavano migliaia di uomini dalle piaghe maleodoranti, suor Irene, ancora giovanissima, rivelò un indomabile coraggio e grande carità, sempre con un incantevole sorriso. Si dedicò ai più gravi. Imboccava i pazzoidi anche se le risputavano il cibo in faccia; liberava i piagati dai vermi delle cancrene; correva in cerca di acqua per dissetare i febbricitanti, cedendo anche la sua razione; si interponeva per evitare le staffilate a chi veniva castigato. E l’ambiente cambiò. Ne rimasero stupiti i medici e gli ufficiali. Uno di essi ebbe a dire: «Quella creatura non è una donna, è un angelo». Ne erano ammirati anche gli inservienti musulmani e gli stessi carriers. Uno di essi, a distanza di anni, nel 1984, la riconobbe in un’immaginetta. Mostrando i polsi dove erano ancora visibili le cicatrici, disse: «Fu proprio lei a curarmi le lacerazioni procurate dalle catene». Terminata la guerra, tornò in Kenya, dimostrando le stesse attenzioni. Soprattutto nella missione di Gikondi, dove restò per dieci anni dal 1920 fino alla morte: di fronte alle necessità degli altri niente la tratteneva. «Scattante come una molla — ricordano gli africani — andava dappertutto anche lontanissimo, velocemente, da tutti, pagani e cristiani, sempre quasi correndo» su e giù per le colline. Si dedicava agli altri con dedizione tutta materna, con modi gentili, rispetto, delicatezza, dolcezza e affabilità, senza fare distinzioni. Questo colpì gli africani, che la soprannominarono nyaatha, «mamma tutta misericordia e amore». Molta gente la conosceva solo con questo nome o con altre espressioni come «buona mamma che vuole bene a tutti», «segretaria dei poveri», «angelo di carità». Dopo le faticose ore di scuola, in un ambiente ancora refrattario all’insegnamento, correva per incontrare la gente, invitare al catechismo, curare i malati, soccorrere le partorienti, salvare i bambini abbandonati. Seguiva con amore i suoi “figli” emigrati a Nairobi o Mombasa, intessendo con loro una nutrita corrispondenza. Riservava questo ministero epistolare alle ore della notte. Nel contatto con le persone che incontrava trovava sempre il modo per dire una buona parola, invitare alla fede, a migliorare il comportamento. «Parlare di Dio le era naturale come il respiro» e lo faceva con gioiosa convinzione, incurante dell’indifferenza e delle difficoltà. Correva al capezzale dei malati per dare loro con le medicine il dono più grande: il battesimo. Si ritiene che ne abbia battezzati ben quattromila. Significativo quello che avvenne poco prima di morire. Con incondizionata dedizione si prodigò nelle attività pastorali: catechismo, visite ai villaggi, presenza accanto a malati e moribondi. Singolari furono i contatti con comunità e persone di chiese cristiane, ma non cattoliche. Per questa sua attività, gli africani che la conobbero la ricordarono come «la nostra suora». Ciò che infatti la differenzia da altre persone che pure si sono spese con generosità e amore grande per gli altri e per l’annuncio del vangelo, è il fatto che suor Irene viene considerata la «loro» suora perché l’hanno vista come «una di loro» per il rispetto e l’apprezzamento di tutto quello che fa parte del loro mondo culturale, dei loro usi e costumi, senza pregiudizi. Ed è sorprendente come suor Irene si esprima “alla kikuyu” quando scrive ai cristiani emigrati in altre zone del Paese. Sfrutta frasi idiomatiche tipiche, proverbi, similitudini di un’altra lingua. Anche per questo l’hanno sentita una di loro. Suor Irene concluse la sua vita a 39 anni, offrendola al Signore per il bene del suo istituto e della Chiesa di Nyeri. La causa che provocò la sua morte sintetizza tutto: volle andare al capezzale del maestro Julius Ngare, malato di peste. Egli l’aveva offesa, mettendo in cattiva luce il suo insegnamento nella scuola per prenderne il posto. Suor Irene si fermò lungamente con lui, lo abbracciò, ne respirò l’alito che probabilmente la infettò. Subito il suo stato di salute peggiorò fino a portarla alla morte. E gli africani commentarono: «L’ha uccisa l’amore». *Postulatore Inizio della missione del nunzio apostolico nelle Isole Cook Cook: l’ottantasettenne padre Ro- Domenica, 15 marzo, monsignor Martin Krebs, arcivescovo titolare di Taborenta, è arrivato all’aeroporto di Rarotonga, dove lo hanno accolto il signor Tukaka Ama, direttore di Protocollo del ministero degli Affari esteri e dell’immigrazione, e l’ordinario locale, il vescovo Paul Donoghue. In un’autovettura governativa è stato accompagnato alla parrocchia Saint Paul, nel villaggio di Titikaveka, dove ha alloggiato nella casa delle suore daughters of charity. Lunedì 16 marzo, ha visitato le istituzioni civili ed ecclesiastiche dell’isola di Rarotonga. Il giorno successivo, alla presenza della signora Dallas Young, direttore della International division, ha presentato la copia delle lettere credenziali alla signora Myra Patai, segretario generale del ministero degli Affari esteri e dell’immigrazione, intrattenendosi con lei sui frutti dei rapporti diplomatici stabiliti nel 1999 fra la Santa Sede e le Isole Cook. In seguito, monsignor Krebs ha fatto una visita alla scuola primaria cattolica Saint Joseph e ha presieduto la messa nella parrocchia Saint Mary, nel villaggio di Arorangi. La mattina di mercoledì 18 marzo, si è svolta la cerimonia di presentazione delle lettere credenziali. L’arcivescovo Krebs è stato ricevuto dal segretario ufficiale della Government house a Titikaveka, accompagnato dal vescovo Donoghue e da padre John Rovers, un anziano missionario della congregazione dei Sacri cuori, invitato per l’occasione dalle autorità civili. Dopo un breve discorso, il nunzio apostolico ha presentato le sue credenziali al rappresentante della regina Elisabetta II, il signor Tom Marsters, il quale ha espresso la sua gratitudine al Pontefice e ai suoi predecessori per la loro leadership nelle sfide del mondo attuale e per il lavoro svolto dalla Chiesa cattolica nelle Isole Cook. In risposta il rappresentante pontificio ha sottolineato l’impegno della Santa Sede in favore della tutela dell’uomo e per la protezione dell’ambiente, trasmettendo i saluti e la benedizione di Papa Francesco sull’intera nazione. In serata, l’arcivescovo Krebs ha presieduto la messa nella parrocchia Sacred Heart, ricevendo, dopo l’Eucaristia, un benvenuto tradizionale con musica di tamburo e danze, seguito da una cena con i parrocchiani. La mattina del giorno seguente, in assenza del primo ministro, ha reso visita al ministro delle Finanze, Mark Brown, con il quale ha pranzato. Nel pomeriggio ha avuto luogo il solenne benvenuto della comunità cattolica delle Isole Cook, nella cattedrale Saint Joseph di Avarua, proprio nel giorno della festa patronale. Secondo un rito tradizionale riservato agli ospiti di più alto rango, il nunzio apostolico è stato portato da otto uomini su una sedia gestatoria, dalla sala della parrocchia all’entrata della cattedrale, dove ha celebrato la messa con i sacerdoti presenti nelle Isole vers, e il confratello ottantaquattrenne padre Damian Marinus (entrambi missionari olandesi che prestano servizio nelle Isole Cook da 58 anni), don Fred, unico sacerdote locale, un prete fidei donum di Tonga e tre membri della Mission society of the Philippines. Il 20 marzo, il rappresentante pontificio ha incontrato il ministro della Sanità, Nandi Glassie, e Joseph Mayhew, il primo segretario nell’ambasciata di Nuova Zelanda, unica missione diplomatica presente ad Avarua. Infine ha visitato la scuola cattolica Nukutere College che la comunità cattolica sta generosamente aiutando a ristrutturare, dopo un incendio verificatosi alcuni mesi fa. La mattina presto del 21 marzo, il nunzio apostolico è ripartito verso Wellington. Il giornale «Cook Islands News» ha pubblicato vari articoli sulla sua visita e la televisione locale ha trasmesso un’intervista rilasciata dall’arcivescovo Krebs per l’occasione. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 23 maggio 2015 Nomine Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Francia e in Svizzera. «Come mi guarda oggi Gesù?». La domanda suggerita da Francesco raggiunge e interpella direttamente ciascun cristiano con la stessa forza dei «tre sguardi che il Signore ha avuto per Pietro». Sguardi che raccontano «l’entusiasmo della vocazione, il pentimento e la missione», ha spiegato il Papa nella messa celebrata venerdì 22 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta. Il brano che racconta il dialogo tra Gesù e Pietro, ha fatto notare il Pontefice, «è quasi alla fine» del vangelo di Giovanni» (21, 15-19) «Ricordiamo sempre — ha proseguito — la storia di quella notte di pesca», quando «i discepoli non hanno preso alcun pesce, niente». E per questo «erano un po’ arrabbiati». Perciò «quando si avvicinarono alla riva» e si sentirono domandare da un uomo se avessero «qualcosa da mangiare», ecco che «loro arrabbiati» risposero: «No!». Perché veramente «non avevano pescato niente». Ma quest’uomo gli disse di gettare la rete dall’altra parte: i discepoli l’hanno fatto «e la rete si riempì di pesce». È «Giovanni, l’amico più vicino, a riconoscere il Signore». Da parte sua «Pietro, l’entusiasta, si butta in mare per arrivare prima dal Signore». Questa è davvero «una pesca miracolosa», ha osservato Francesco, ma «quando sono arrivati — qui incomincia il passo di oggi del Vangelo — trovano che Gesù aveva preparato la colazione: sulla griglia c’era il pesce». Così mangiano insieme. Poi «dopo aver mangiato, incomincia il dialogo fra Gesù e Pietro». «Oggi nella preghiera — ha confidato il Papa — mi veniva al cuore, mi tornava com’era lo sguardo di Gesù su Pietro». E nel Vangelo, ha aggiunto, «ho trovato tre differenti sguardi di Gesù su Pietro». «Il primo sguardo», ha fatto notare Francesco, si incontra «all’inizio del vangelo di Giovanni, quando Andrea va da Messa a Santa Marta Tre sguardi suo fratello Pietro e gli dice: “Abbiamo trovato il Messia”». E «lo porta da Gesù», il quale «fissa il suo sguardo su di lui e dice: “Tu sei Simone, figlio di Giona. Sarai chiamato Pietro”». È «il primo sguardo, lo sguardo della missione che, più avanti a Cesarea di Filippo, spiega la missione: “Tu sei Pietro, e sopra questa pietra io edificherò la mia Chiesa”: questa sarà la tua missione». «Nel frattempo — ha affermato il Pontefice — Pietro era diventato un entusiasta di Gesù: seguiva Gesù. Ricordiamo quel passo del sesto capitolo del vangelo di Giovanni, quando Gesù parla del mangiare il suo corpo e tanti discepoli in quel momento dicevano: “Ma è duro questo, questa parola è difficile”». Tanto che «incominciarono a tirarsi indietro». Allora «Gesù guarda i discepoli e dice: “Anche voi volete andarvene”?». Ed «è l’entusiasmo di Pietro che risponde: “No! Ma dove andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”». Dunque, ha spiegato Francesco, «c’è il primo sguardo: la vocazione e un primo annuncio della missione». E «com’è l’anima di Pietro in quel primo sguardo? Entusiasta». È «il primo tempo di andare con il Signore». Poi, ha aggiunto il Papa, «ho pensato al secondo sguardo». Lo troviamo «la tarda notte del Giovedì santo, quando Pietro vuol seguire Gesù e si avvicina dove lui è, nella casa del sacerdote, in prigione, ma viene riconosciuto: “No, io questo non lo conosco!”». Lo rinnega «per tre volte». Poi «sente il canto del gallo e si ricorda: ha rinnegato il Signore. Ha perso tutto. Ha perso il suo amore». Proprio «in quel momento Gesù è portato in un’altra stanza, attraverso il cortile, e fissa lo sguardo su Pietro». Il vangelo di Luca dice che «Pietro pianse amaramente». Così «quell’entusiasmo di seguire Gesù è diventato pianto, perché lui ha peccato, lui ha rinnegato Gesù». Però «quello sguardo cambia il cuore di Pietro, più di prima». Dunque «il primo cambiamento è il cambio di nome e anche di vocazione». Invece «questo secondo sguardo è uno sguardo che cambia il cuore ed è un cambio di conversione all’amore». «Non sappiamo come sia stato lo sguardo in quell’incontro, da soli, dopo la risurrezione» ha affermato Francesco. «Sappiamo che Gesù ha incontrato Pietro, dice il Vangelo, ma non sappiamo cosa hanno detto». E così quello raccontato nella liturgia di oggi «è un terzo sguardo: la conferma della missione; ma anche lo sguardo nel quale Gesù chiede conferma dell’amore di Pietro». Infatti «per tre volte — tre volte! — Pietro aveva rinnegato»; e ora il Signore «per tre volte chiede la manifestazione del suo amore». E «quando Pietro, ogni volta, dice di sì, che gli vuole bene, che lo ama, lui dà la missione: “Pasci i miei agnelli, pascola le mie pecore”». Di più, alla terza domanda — «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?» — Pietro «rimase addolorato, quasi piange». È dispiaciuto per- Signore, manda lo Spirito Santo a dare consolazione e fortezza ai cristiani perseguitati. #free2pray (@Pontifex_it) ché «per la terza volta» il Signore «gli domandava “Mi vuoi bene?”». E gli risponde: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene». E di rimando Gesù: «Pasci le mie pecore». Ecco «il terzo sguardo: lo sguardo della missione». Francesco ha quindi riproposto l’essenza dei «tre sguardi» del Signore su Pietro: «Il primo, lo sguardo della scelta, con l’entusiasmo di seguire Gesù; il secondo, lo sguardo del pentimento nel momento di quel peccato tanto grave di avere rinnegato Gesù; il terzo sguardo è lo sguardo della missione: “Pasci i miei agnelli, pascola le mie pecore, pasci le mie pecore”». Ma «non finisce lì. Gesù va più avanti: tu fai tutto questo per amore e poi? Sarai incoronato re? No». Anzi, il Signore afferma chiaramente: «Ti dico: quando eri più giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi. Ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Come a dire: «Anche tu, come me, sarai in quel cortile nel quale io ho fissato il mio sguardo su di te: vicino alla croce». Proprio su questo il Papa ha proposto un esame di coscienza. «Anche noi possiamo pensare: qual è oggi lo sguardo di Gesù su me? Come mi guarda Gesù? Con una chiamata? Con un perdono? Con una missione?». Siamo certi che «sulla strada che lui ha fatto, tutti noi siamo sotto lo sguardo di Gesù: lui ci guarda sempre con amore, ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione». Prima di proseguire la celebrazione — «adesso Gesù viene sull’altare» ha ricordato — Francesco ha invitato a pregare: «Signore, tu sei qui, tra noi. Fissa il tuo sguardo su me e dimmi cosa debbo fare; come devo piangere i miei sbagli, i miei peccati; quale sia il coraggio con il quale devo andare avanti sulla strada che tu hai fatto per primo». E «durante questo sacrificio eucaristico», è opportuno «che ci sia questo nostro dialogo con Gesù». Poi, ha concluso, «ci farà bene pensare durante tutta la giornata allo sguardo di Gesù su di me». Jean-Louis Balsa vescovo di Viviers (Francia) Nato a Nice il 17 marzo 1957, dopo aver frequentato gli studi classici ad Antibes, ha conseguito la laurea in filosofia presso l’università nizzarda. Entrato nel seminario universitario des Carmes a Parigi ha fatto gli studi ecclesiastici all’Institut catholique de Paris, ottenendo la laurea in teologia. Ha seguito anche alcuni corsi presso l’Ecole pratique des hautes études e presso l’università della Sorbona. Ha, inoltre, un diploma in antropologia religiosa. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 9 settembre 1984 per la diocesi di Nice. Dal 1985 fino al 1991 è stato coordinatore dell’assistenza pastorale nei licei e collegi di Cannes. Studente a Parigi nel 1991-1992 è stato poi parroco di Vabonne, Biot e Sophia-Antipolis e contemporaneamente insegnante di teologia presso il seminario diocesano. Nel 2002 fino al 2006 è stato vicario episcopale per la pastorale giovanile. Nel 2007 è nominato segretario generale del Sinodo diocesano fino al 2009 e dal 2010 è diventato vicario generale di Nice e nel 2013 delegato generale dell’amministratore apostolico della medesima diocesi. Nel 2014 è stato riconfermato come vicario generale dal nuovo vescovo André Marceau. Jean César Scarcella abate di Saint-Maurice (Svizzera) Nato a Montreux il 28 dicembre 1951, dopo il conseguimento della maturità presso la scuola superiore dell’abbazia di Saint-Maurice nel 1972, per due anni ha studiato medicina presso l’università di Lausanne, prima di dedicarsi agli studi di musica presso il conservatorio e l’istituto di musica a Lausanne, conseguendo il diploma d’insegnante di pianoforte nel 1982. Ha fatto ingresso nel noviziato dell’abbazia di Saint-Maurice nel 1984, emettendo la professione solenne il 21 maggio 1988. Compiuti gli studi filosofico-teologici presso l’università di Fribourg, dal 1985, è stato ordinato sacerdote il 31 marzo 1990. Ha svolto la propria opera pastorale come vicario ad Aigle (1990-1992) e come curato a Bex (1992-2009), essendo in pari tempo anche curato in solidum ad Aigle (2004-2009). In seno all’abbazia ha svolto diversi incarichi come animatore di liturgia per la basilica abbaziale, consultore dell’abate, rettore della basilica, sagrestano e maestro del coro. Nel 2009 è stato nominato priore, nonché vicario generale dell’abbazia e, infine, maestro dei novizi, responsabilità finora ricoperte.
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