DIES ACADEMICUS (a cura di don Gaudenzio Zambon) Libertà religiosa e Diritti umani. A cinquant’anni dalla Dignitatis Humanae L a dichiarazione Dignitatis humanae (DH) del Concilio Vaticano II è un documento che, seppur conciso, assume rilevanza storica e teologica non trascurabile. Come le altre due dichiarazioni, quella sulla educazione cristiana e quella sul rapporto della chiesa con le altre religioni, è una chiara presa di posizione su una questione che non riguarda solo un problema interno alla chiesa, ma anche i suoi rapporti con l’esterno. La dichiarazione venne approvata definitivamente dai Padri conciliari il 7 dicembre 1965, quando vennero votate anche la Gaudium et spes, la più lunga e ancor oggi la più dibattuta costituzione del Concilio, la Presbiterorum ordinis, il decreto sul ministero e la vita sacerdotale, e la Ad gentes, il decreto sulla attività missionaria della chiesa. Il giorno successivo si tenne la seduta conclusiva dell’intero Concilio. Con la DH la chiesa entrava per la prima volta con una propria posizione nel confronto sui diritti umani iniziato il 6 gennaio del 1941 quando il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, inviò un messaggio al Congresso americano sulle quattro libertà fondamentali - libertà di parola, libertà di credo, libertà dal bisogno e libertà dalla paura – indicate come fondamento della società mondiale e come condizione necessaria per una pace internazionale duratura. In quel momento iniziò una vera e propria rivoluzione mondiale che ha ancora oggi nella cultura dei diritti umani una delle istanze principali per la modifica degli ordinamenti giuridici delle istituzioni e dei rapporti internazionali. Questo fu uno dei motivi che portarono i Padri ad uno scontro interno al concilio, il 19 novembre del 1964, il famoso “giovedì nero”. Gli storici del Concilio attribuirono proprio ai cardinali nordamericani Meier, Ritter e Léger, il merito di aver sbloccato la situazione scrivendo una petizione a papa Paolo VI: «Con tutto il rispetto ma anche con grande urgenza preghiamo che prima di questo periodo di sessioni del concilio si voti sulla dichiarazione circa la libertà religiosa, altrimenti perdiamo la fiducia del mondo cristiano e di quello non cristiano» (O. PESCH, Il Concilio Vaticano II, Queriniana 2005, 94). La petizione non ottenne gli effetti sperati, ma il Papa garantì che tale dichiarazione sarebbe stata messa all’ordine del giorno del quarto periodo di sessioni. Il disagio avvertito dall’episcopato americano era profondo e imbarazzante. Infatti, se la Chiesa a motivo della sua ritrosia a venire a patti con le istanze liberali dell’illuminismo dell’età moderna, non avesse accettato di prendere seriamente in considerazione la cultura dei diritti umani, avrebbe corso il pericolo di rimanere estranea ed indifferente al processo di costruzione della futura società mondiale. A distanza di anni dalla conclusione del Concilio, questo è l’aspetto fondamentale che storici e teologi continuano a sottolineare. È sufficiente citare P. Hünerman e W. Kasper. Il primo afferma: «Il documento sulla libertà religiosa Dignitatis humanae (…) è uno dei documenti conciliari più significativi e nello stesso tempo un documento decisivo per la storia dell’umanità. Esso determina, attraverso la sua argomentazione umana, filosofica e teologica non solo il rapporto dell’uomo religioso e credente, della chiesa e delle altre comunità religiose con lo Stato moderno e la società in modo equilibrato: i principi sviluppati in questo documento costituiscono anche un presupposto strutturante per le relazioni ecumeniche e per la convivenza tra le religioni. (…). I Padri hanno chiarito – ma senza volerlo – i presupposti di tipo pubblico per il dialogo, così urgente, tra le religioni e la modernità» («Le ultime settimane del Concilio», in Storia del Concilio Vaticano II, vol. 5, diretta da Giuseppe Alberigo, Peeters/Il Mulino 2001, 459 e 465.). Kasper aggiunge: «Con questa dichiarazione, dopo lunghe esitazioni e tante riserve e contrasti, la chiesa cattolica accettava alcune istanze essenziali dell’illuminismo politico dell’evo moderno. A buon diritto la Dichiarazione sulla liberta religiosa può essere considerata dunque una pietra miliare nella lunga e spesso conflittuale storia del rapporto tra chiesa cattolica e storia moderna di liberta. Quasi inevitabilmente la breccia ormai aperta doveva dare origine a tutta una serie di gravi conflitti all’interno della chiesa [...] Per loro [i tradizionalisti] questo riconoscimento della liberta di religione significa l’affermarsi, in seno alla Chiesa, addirittura delle idee della rivoluzione francese ed il verificarsi di una pesante frattura con la tradizione ecclesiale. Sull’altro versante del panorama teologico non di rado, nel riconoscimento della secolarità moderna, si e voluto vedere una secolarizzazione della chiesa stessa. Per cui [...] si accese una disputa sul tema della liberta, dei diritti dell’uomo, della democratizzazione, del pluralismo e del dissenso nella chiesa» («La Chiesa e i processi moderni di libertà», in Teologia e Chiesa. 2, Queriniana, Brescia 2001, pp. 225226). Occorre tuttavia aggiungere che il tema dei diritti umani non è stato trattato solo dalla DH. L’argomento è presente, sebbene in modo frammentato e sotto altra voce, anche in altri documenti del Vaticano II (GS 19-21; IM 5; GE 1, 2, 3, 6). Si può dire che nel complesso il Concilio, in specie la DH, non offre una trattazione ampia ed esauriente dei diritti umani. La fondazione teoretica è debole. Di questa si occupò più tardi la Commissione teologica internazionale nel 1983 con un lavoro su “Dignità e diritti della persona umana” che cercò di presentare una visione teologico-cristiana dei diritti della persona. Questo documento afferma che il fondamento personalistico della dignità e della libertà dell’uomo è l’uomo stesso nella sua struttura più intimamente ontologica (corpo-psiche-spirito) e tutto quello che occorre alla dimensione interpersonale a cominciare dalla diversità dei sessi e dalla vocazione primigenia dell’uomo, la chiamata all’amore che poi continua con la vocazione al matrimonio o al celibato. Essa comprende la vita familiare e si inserisce nella comunità più vasta della società, dello Stato e della Chiesa. Il fondamento remoto è la persona del Figlio di Dio incarnato, nel quale trova piena luce il mistero dell’uomo (GS 22) e il Dio Uno e Trino su cui è fondata la giustizia che «rispetta e tutela l’alterità di cui nessun uomo può essere privato. T ale virtù si fonda sul rispetto che ogni uomo deve all’altro. Infatti la persona umana non può mai, in quanto tale, essere un mezzo, di cui altri possano servirsi; ma va sempre considerata come fine. Ora, l’amore comporta questo rispetto e questa giustizia, proprio perché spinge l’uomo ad operarsi liberamente per conseguire il bene degli altri» (CTI, « Dignità e diritti della persona umana (2.2.1)», in ID. Documenti 1968-2003, ESD 2006, 276). In definitiva si può dire che la libertà religiosa, e in specie quella cristiana, presuppone sempre la libertà umana, nel senso che comporta come condizione necessaria una persona cioè un partner che, interpellato, risponde; e risponde in libertà. La libertà non può essere intesa in modo individualistico sia perché è libertà alla comunicazione, in relazione con qualcuno, sia in quanto è libertà che si esprime nell’amore, nell’essere per gli altri e non nell’essere in sé e per sé. Su questo sfondo si collocano i tre incontri sul tema “Libertà religiosa e diritti umani” organizzati dall’ISSR di Padova nel corso dell’anno accademico 20142015. Dopo una rivisitazione del tema fatta a partire dal Vaticano II per poi spaziare a livello mondiale sulle questioni principali che la Chiesa avverte in merito al diritto alla libertà religiosa (primo incontro), si passa alla trattazione di due aspetti più specifici: quello del diritto di manifestazione pubblica della propria esperienza religiosa e di pratiche di vita, usi e costumi, simboli ed altro (secondo incontro); quello della ricerca di un comune denominatore da porre a fondamento del diritto alla libertà religiosa soprattutto in contesto sociale di forte mutamento sociale dovuto al fenomeno delle migrazioni (terzo incontro).
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