Commentario documenti Vaticano II

Commentario
ai documenti del Vaticano II
a cura di Serena Noceti – Roberto Repole
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Sacrosanctum concilium
Inter mirifica
testi di
Luigi Girardi • Andrea Grillo • Dario Edoardo Viganò
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Introduzione generale
al Commentario ai documenti del Vaticano II
Quanto viene proposto da questo santo sinodo fa parte del tesoro di dottrina della
Chiesa e intende aiutare tutti gli uomini del nostro tempo […] affinché […] possano
rispondere […] agli appelli più pressanti della nostra epoca. Ma, volutamente, dinanzi
alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà nel mondo, questa presentazione non ha, in numerosi punti, che un carattere generale; anzi, quantunque
venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non raramente si
tratta di realtà soggette a continua evoluzione, essa dovrà essere continuata e ampliata.
Confidiamo che le molte cose che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e
sullo spirito del vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che
i cristiani, sotto la guida dei pastori, ne avranno portato a compimento l’adattamento
ai singoli popoli e alle varie mentalità (GS 91: EV 1/1636s).
Le parole con cui i padri conciliari concludono il loro insegnamento sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo rappresentano una preziosa suggestione che
orienta alla successiva fase di recezione post-conciliare consegnandone alcuni
criteri fondamentali, che oltrepassano chiaramente la sola costituzione pastorale.
Come dopo ogni concilio, infatti, anche dopo il Vaticano II si è aperto il processo di recezione.1 Lungi dall’essere una mera applicazione della lettera dei documenti, esso è un processo di accoglienza viva da parte delle Chiese, di quanto
l’evento conciliare e i suoi testi hanno maturato e consegnato. Ciò è particolarmente vero nel caso del Vaticano II. È noto infatti che l’ultimo concilio ha avuto
un’intenzione «pastorale» e ha avviato un necessario rinnovamento ecclesiologico ed ecclesiale, nel più vasto orizzonte di un ripensamento della stessa rivelazione divina e, più in generale, della dottrina cristiana. Il rinnovamento ecclesiologico è stato incentrato sull’idea di popolo di Dio; apre quindi a una comprensione
1 Cf. Y.M. Congar, «La réception comme réalité ecclésiologique», in Revue des Sciences Philosophiques et
Théologiques 56(1972), 369-403; G. Routhier, La reception d’un concile, Cerf, Paris 1993; C. Theobald, La recezione del Vaticano II, 1: Tornare alla sorgente, EDB, Bologna 2011.
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Introduzione generale
della recezione come fatto che coinvolge tutti i soggetti ecclesiali. La riscoperta,
dopo secoli, del valore delle Chiese locali, fa poi sì che la recezione sia un processo
di aggiornamento e inculturazione che rende la Chiesa effettivamente mondiale.
Ciò non toglie che punto di riferimento costante rimangano i documenti promulgati. Senza di essi ogni discorso sulla recezione sarebbe privo di senso. Ciò
appare ancora più rilevante a cinquant’anni dalla conclusione del concilio, mentre assistiamo a un cambio generazionale: non ci sono più i protagonisti (padri
conciliari e periti); sta scomparendo la generazione di chi ha vissuto in prima persona il mutamento conciliare e ne ha custodito finora la memoria; sta svanendo
anche la voce di quanti, accogliendo la lezione conciliare, si sono adoperati per
una profonda rielaborazione teologica. Per quanti sono «nati» dopo il concilio, i
documenti costituiscono un punto di riferimento imprescindibile, una preziosa
eredità ricevuta e da trasmettere, un faro anche per le future fasi di recezione.
Ciò è tanto più vero per coloro che sono investiti del ministero teologico: una
generazione nuova, che ha già beneficiato, nei propri itinerari formativi, del rinnovamento teologico post-conciliare.
È in questo quadro che si comprende la necessità di un lavoro di commento ai
testi del concilio. All’indomani del Vaticano II, ci fu la pubblicazione di numerosi commentari ai documenti, in molti casi redatti da coloro che furono protagonisti – in qualità di padri conciliari o di periti – della loro elaborazione.2 Questi
testi hanno accompagnato la prima fase post-conciliare, contribuendo non poco
alla diffusione delle novità teologiche emerse e dei processi di riforma che ne
erano scaturiti. A cinquant’anni di distanza dall’evento, in un contesto di vivace
dibattito sulle ermeneutiche – che ha visto come protagonisti sia il magistero
sia la teologia – si avverte la necessità di un ritorno alla lettura puntuale dei testi
conciliari per offrirne un commento teologico-sistematico che goda della novità
di prospettiva che la distanza temporale ormai permette. Infatti, la pubblicazione
degli Acta synodalia, la ricostruzione della storia dell’evento conciliare e della redazione dei documenti (in particolare quanto espresso dalla pubblicazione della
preziosa ricerca coordinata da G. Alberigo con la Storia del Concilio Vaticano
II),3 le sinossi, gli innumerevoli studi monografici dedicati ai testi controversi,
agli orientamenti teologici e ai dibattiti conciliari, richiedono – e allo stesso tempo permettono – una lettura critica di taglio filologico dei singoli documenti,
collocati nel quadro complessivo e unitario rappresentato dal «corpus testuale-dottrinale» del Vaticano II.
2
Si pensi ad esempio al Lexikon für Theologie und Kirche, Herder, Freiburg 1966-1968; ai volumi della collana
Unam sanctam, Cerf, Paris 1966-1967; al Commentario pubblicato, in lingua italiana, dalla ElleDiCi; ai commenti a
singoli documenti, pubblicati a cura di G. Baraúna – G. Philips.
3
G. Alberigo (a cura di), Storia del Concilio Vaticano II (1959-1965), Peteers-il Mulino, Bologna 1995-2001, I-V.
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Introduzione generale
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Tale unitarietà è comprensibile alla luce della finalità che il concilio si è dato,
che i due pontefici hanno indicato ad apertura della prima e della seconda fase e
che i padri conciliari hanno rimodulato durante i lavori, grazie ai dibattiti e alle
stesse dinamiche del convenire conciliare.
Sarà questa la prospettiva fondamentale in cui si colloca il presente commentario: su tale approccio metodologico ed ermeneutico si radica l’impianto che
è stato assunto dai diversi autori e caratterizzerà questo lavoro, distinguendolo
da altri commentari di recente pubblicazione.4 Rispetto ad essi, la novità è data
pertanto dal fatto che:
– si assumono gli scritti del Vaticano II come un unitario corpus letterarioteo­logico;
– si offre, di ogni singolo testo, un commento di stampo filologico, che si avvalga degli studi storico-teologici finora realizzati;
– si legge ciascun testo, tenendo conto – per quanto possibile – della recezione
che esso ha all’interno di altri passi conciliari o di importanti testi magisteriali
successivi.
In concreto, i primi otto volumi saranno perciò dedicati all’introduzione e
al commento puntuale delle costituzioni, dei decreti e delle dichiarazioni,5 secondo una successione che tenga conto dello svolgersi delle sessioni conciliari
e, per ogni fase, di affinità tematica. Proprio la collocazione di ogni documento
nell’evento conciliare e nell’intero corpus testuale-dottrinale motiva la scelta di
svolgere un commento puntuale di ogni paragrafo, che tenga presenti i dibattiti
avvenuti in fase redazionale, segnali punti di contatto con altri passi conciliari in
cui sono presenti gli stessi temi e indichi – eventualmente – citazioni magisteriali post-conciliari ermeneuticamente significative. Ciascuno di questi volumi si
avvale inoltre di un’introduzione generale ai singoli documenti, che ne esamina
l’impianto teologico, la formazione letteraria, i riferimenti culturali, i presupposti
biblici, patristici, filosofici, ecc., insieme alle linee di recezione teologica, ponendo particolare attenzione alle implicazioni ecumeniche. La ricchezza degli studi
post-conciliari è richiamata nella bibliografia generale, ma soprattutto in quella
riferita ai singoli paragrafi: data l’ampiezza del materiale oggi a disposizione, i
richiami sono selezionati, senza alcuna pretesa di esaustività.
4
P. HÜnermann – B.J. Hilbeerath (a cura di), Herders theologische Kommentar zum zweiten vatikanischen Konzil, Herder, Freiburg 2005-2006, I-V; G. Defois (a cura di), L’heritage du concil, Desclée, Paris 19831986, I-XIII.
5
La versione latina e italiana a cui ci si riferirà è quella pubblicata dalle Edizioni Dehoniane Bologna (Enchiridion Vaticanum, vol. I).
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Introduzione generale
Con questa impostazione si intende accogliere le principali acquisizioni che
vengono dal dibattito sui criteri ermeneutici dei testi conciliari, che ha visto come
protagonisti studiosi quali Ratzinger, Kasper, Congar, Theobald, O’Malley…
Il nono volume motiverà la scelta di riferirsi a un corpus testuale-dottrinale,
individuando e dibattendo i principali snodi teologici emergenti da una lettura
trasversale dei documenti. Il confronto tra una siffatta analisi dei testi e le traiettorie della recezione e dell’ermeneutica post-conciliari permetterà di cogliere, altresì, quali siano state le questioni rimaste aperte alla chiusura del corpus testuale:
in particolare quelle che, ancora oggi, chiedono ulteriori elaborazioni.
Il Commentario, che beneficia dell’apporto di oltre trenta studiosi, donne e
uomini, è espressione della volontà dell’Associazione teologica italiana di servire
– come indicato dallo stesso statuto – la memoria viva del Vaticano II.
In tal modo si intende rispondere alla richiesta di quanti – studiosi, ricercatori,
studenti e docenti di discipline teologiche – desiderano uno strumento scientifico
adatto all’attuale contesto culturale, ecclesiale e teologico.
Serena Noceti – Roberto Repole
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Sacrosanctum concilium
Constitutio
de sacra Liturgia
Costituzione
sulla sacra liturgia
Prooemium (1-4)
Proemio (1-4)
Caput I. De principiis generalibus ad sacram Liturgiam instaurandam atque fovendam (5-46)
Capitolo I: Principi generali per la riforma e l’incremento della sacra liturgia (5-46)
I. De sacrae Liturgiae natura eiusque momento in
vita Ecclesiae (5-13).
I. Natura della sacra liturgia e sua importanza nella
vita della Chiesa (5-13).
II. De liturgica institutione et de actuosa participatione prosequendis (14-20).
II. Promozione della formazione liturgica e della
partecipazione attiva (14-20).
III. De sacrae Liturgiae instauratione (21-40): A) Normae generales (22-25), B) Normae ex indole Liturgiae
utpote actionis hierarchicae et communitatis propriae
(26-32), C) Normae ex indole didactica et pas­torali Liturgiae (33-36), D) Normae ad aptationem ingenio et
traditionibus populorum perficiendam (37-40).
III. La riforma della sacra liturgia (21-40): A) Norme
generali (22-25), B) Norme derivanti dalla natura
gerarchica e comunitaria della liturgia (26-32), C)
Norme derivanti dalla natura didattica e pastorale della liturgia (33-36), D) Norme per un adattamento alle varie tradizioni (37-40).
IV. De vita liturgica in dioecesi et in paroecia fovenda (41-42).
IV. La vita liturgica nella diocesi e nella parrocchia
(41-42).
V. De actione pastorali liturgica promovenda (43-46).
V. L’incremento dell’azione pastorale liturgica (43-46).
Caput II. De sacrosancto Eucharistiae mysterio
(47-58)
Capitolo II: Il mistero eucaristico (47-58)
Caput III. De ceteris Sacramentis et de Sacramentalibus (59-82)
Capitolo III: Gli altri sacramenti e i sacramentali
(59-82)
Caput IV. De Officio divino (83-101)
Capitolo IV: L’ufficio divino (83-101)
Caput V. De anno liturgico (102-111)
Capitolo V: L’anno liturgico (102-111)
Caput VI. De musica sacra (112-121)
Capitolo VI: La musica sacra (112-121)
Caput VII. De arte sacra deque sacra supellectile (122-130)
Capitolo VII: Arte sacra e sacra suppellettile
(122-130)
Appendix: Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II de calendario recognoscendo declaratio.
Appendice: Dichiarazione circa la riforma del calendario.
Concilium oecumenicum Vaticanum II, Constitutio de sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, Sessio III, 4 dec. 1963: AAS
56(1964), 97-134; CDD 1-62; AS, vol. II, pars III, 409-439.
Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum concilium, Sessione III, 4.12.1963: AAS
56(1964), 97-134; CDD 1-62; AS, vol. II, pars III, 409-439.
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Sacrosanctum concilium 1
Proemio
I primi quattro articoli fungono da introduzione all’intera costituzione. In essi
viene dichiarato il proposito generale del concilio, indirizzato anzitutto verso la
vita liturgica della Chiesa (n. 1); si indica il motivo che sorregge tale proposito
(n. 2); si individua il modo e si delimita l’ambito dell’intervento conciliare che
riguarda il rito romano (n. 3), ma si pone in relazione anche ai diversi riti (n.
4). Il proemio anticipa temi e sensibilità che si svolgeranno più analiticamente
all’interno del documento e che troveranno ulteriore sviluppo anche negli altri
documenti del concilio.
SC 1
1. Sacrosanctum concilium, cum sibi proponat vitam christianam inter fideles in dies augere;
eas institutiones quae mutationibus obnoxiae sunt,
ad nostrae aetatis necessitates melius accommodare; quidquid ad unionem omnium in Christum
credentium conferre potest, fovere; et quidquid ad
omnes in sinum Ecclesiae vocandos conducit, roborare; suum esse arbitratur peculiari ratione etiam
instaurandam atque fovendam Liturgiam curare.
1. Il sacrosanto concilio, proponendosi di far
crescere sempre più la vita cristiana tra i fedeli, di
meglio adattare alle esigenze del nostro tempo
quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti,
di favorire tutto ciò che può contribuire all’unione
di tutti i credenti in Cristo e di rinvigorire ciò che
giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa, ritiene suo dovere interessarsi in modo speciale anche
della riforma e della promozione della liturgia.
L’esordio di SC coincide con quello del concilio stesso nella forma del suo primo documento sinodale. Per questo, pur essendo dedicato alla liturgia, il primo
numero si attarda a richiamare gli scopi generali del concilio, includendo in essi
la particolare attenzione alla liturgia. Tali finalità riguardano la Chiesa, ma sono
espresse in una prospettiva che progressivamente allarga il suo raggio d’interesse
a cerchi concentrici. Nel cerchio più interno si trova la vita della Chiesa: si tratta
di rinvigorire la vita cristiana e dei fedeli e di adattare alle esigenze del tempo
attuale le istituzioni che sono soggette a mutamenti. Nel secondo cerchio si trova
un’attenzione ecumenica: si intende promuovere l’unione di tutti i credenti in
Cristo. Nel cerchio più largo, si considera l’orizzonte missionario della Chiesa
verso il mondo: il concilio vuole rafforzare ciò che consente alla Chiesa una sua
efficace opera di evangelizzazione.
Il richiamo alle finalità del concilio e, all’interno di esse, al dovere di dedicarsi
alla riforma e all’incremento della liturgia è decisivo. In questo modo, infatti, si
esplicita che l’intervento sulla liturgia non mira a una mera riforma rubricale,
a una semplice riorganizzazione delle norme liturgiche, a un presunto ritorno
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archeologico al passato, ma è guidato dall’intento «pastorale» del concilio. In secondo luogo, si lascia intendere che la liturgia dev’essere riformata e promossa
proprio perché essa stessa può contribuire all’attuazione di tale fine pastorale. In
altre parole, la liturgia appartiene a ciò che può rinvigorire il vissuto dei fedeli e
della Chiesa nel nostro tempo; ha una dimensione ecumenica ed evangelizzatrice.
Questo è l’orizzonte generale di SC, che emerge in varia misura in tutto il documento, anche se esso evidentemente non poteva ancora godere degli apporti dati
dalle discussioni e dai successivi documenti conciliari su tali temi.
La discussione sinodale su questo numero ha portato in particolare a due
correzioni significative (oltre alle variazioni stilistiche), relative alle finalità del
concilio.
Il testo proposto alla discussione dei padri parlava di adattare (aptare) le «institutiones ecclesiasticas». Nel testo emendato si è preferito togliere l’aggettivo ecclesiasticas per evitare il fraintendimento di assimilare la liturgia a un’istituzione
ecclesiastica, mentre essa contiene sia elementi di istituzione divina sia elementi
mutabili (come già aveva affermato Pio XII in Mediator Dei: EE 6/477). Inoltre al
posto del verbo aptare si trova accommodare. Il termine aptatio verrà lasciato per
indicare in senso stretto l’adattamento liturgico (cf. SC 37-40).
Il testo proposto ai sinodali, poi, esprimeva la finalità ecumenica in questo
modo: quidquid ad unionem fratrum separatorum in Ecclesia quoquo modo conferre potest. La Commissione per gli emendamenti sostituirà l’espressione fratres
separati in favore della più positiva omnes credentes in Christum e lascerà cadere
in Ecclesia (non trovando accordo neanche sulla possibilità di usare altre espressioni come in Ecclesiam o cum Ecclesia), convenendo che questo documento non
si occupa del tema della Chiesa e quindi può opportunamente tralasciare formulazioni discutibili.
Infine si noti il primo apparire del binomio instaurare atque fovere, da interpretare come una endiadi con la quale si caratterizza l’intento del concilio: una
riforma in vista della promozione della liturgia, una promozione resa possibile
anzitutto dalla riforma dei riti. Questo individua lo spazio e la natura propria
dell’intervento del concilio: non può limitarsi solo ad affermazioni dogmatiche
generali e lasciare poi alla Santa Sede (la Sacra congregazione dei riti) la determinazione concreta della riforma; piuttosto offre indicazioni normative sui contenuti e sulle direttrici dell’opera di riforma da eseguire, indicando autorevolmente
nel contempo i valori vitali che la liturgia dovrà far risplendere per la vita della
Chiesa.
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Sacrosanctum concilium 2
SC 2
[ La liturgia nel mistero della Chiesa ]
2. Liturgia enim, per quam, maxime in divino
Eucharistiae Sacrificio, «opus nostrae Redemptionis exercetur»1 summe eo confert ut fideles vivendo
exprimant et aliis manifestent mysterium Christi et
genuinam verae Ecclesiae naturam, cuius proprium
est esse humanam simul ac divinam, visibilem invisibilibus praeditam, actione ferventem et contemplationi vacantem, in mundo praesentem et tamen
peregrinam; et ita quidem ut in ea quod humanum
est ordinetur ad divinum eique subordinetur, quod
visibile ad invisibile, quod actionis ad contemplationem, et quod praesens ad futuram civitatem quam
inquirimus.2 Unde cum Liturgia eos qui intus sunt
cotidie aedificet in templum sanctum in Domino, in
habitaculum Dei in Spiritu,3 usque ad mensuram aetatis plenitudinis Christi,4 miro modo simul vires eorum ad praedicandum Christum roborat, et sic Ecclesiam iis qui sunt foris ostendit ut signum levatum
in nationes,5 sub quo filii Dei dispersi congregentur
in unum6 quousque unum ovile fiat et unus pastor.7
2. La liturgia infatti, mediante la quale, soprattutto nel divino sacrificio dell’eucaristia, «si
attua l’opera della nostra redenzione»,1 contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella
loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo
e l’autentica natura della vera Chiesa. Questa ha la
caratteristica di essere nello stesso tempo umana
e divina, visibile ma dotata di dimensioni invisibili, impegnata nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina;
e tutto questo, però, in modo tale che quanto in
essa è umano sia ordinato e subordinato al divino,
il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, il presente alla città futura alla quale tendiamo.2 Così la liturgia, mentre ogni giorno edifica
quelli che sono dentro la Chiesa in tempio santo
nel Signore, in abitazione di Dio nello Spirito,3 fino
a raggiungere la misura della pienezza di Cristo,4
nello stesso tempo irrobustisce in modo mirabile
le loro forze perché possano predicare il Cristo.
Così a coloro che sono fuori essa mostra la Chiesa come vessillo innalzato sulle nazioni,5 sotto il
quale i dispersi figli di Dio possano raccogliersi in
unità,6 finché si faccia un solo ovile e un solo pastore.7
1
Missale Romanum, Oratio super oblata dominicae
IX post Pentecosten.
2
Cf. Heb 13,14.
3
Cf. Eph 2,21-22.
4
Cf. Eph 4,13.
5
Cf. Is 11,12.
6
Cf. Io 11,52.
7
Cf. Io 10,16.
1
Messale Romano, Orazione sulle offerte della domenica IX dopo Pentecoste.
2
Cf. Eb 13,14.
3
Cf. Ef 2,21-22.
4
Cf. Ef 4,13.
5
Cf. Is 11,12.
6
Cf. Gv 11,52.
7
Cf. Gv 10,16.
L’enim in apertura del testo evidenzia l’intenzione di questo numero di chiarire il motivo di quanto è dichiarato nel numero precedente. Si esplicita quindi il
contributo della liturgia rispetto alle generali finalità pastorali del concilio. Anzitutto si riconosce il valore della liturgia per la vita cristiana: nella liturgia i fedeli
vengono associati al mistero di Cristo; in questo modo essi lo manifestano con la
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loro vita e, conseguentemente, manifestano la genuina natura della vera Chiesa.
Anch’essa infatti partecipa di due dimensioni: è umana e divina, visibile e dotata
di realtà invisibili, attiva e contemplativa, radicata nel mondo e pellegrina verso
il Regno futuro. Nel momento in cui celebra la salvezza operata da Dio, la Chiesa
realizza queste sue qualità nei fedeli, e inoltra mostra come la sua realtà visibile,
istituzionale, storica, sia in funzione e al servizio del mistero divino che la abita.
È quindi affermata la capacità formativa della liturgia: essa edifica i membri della
Chiesa secondo il disegno voluto da Dio in Cristo e realizzato nello Spirito. Ciò
rafforza anche le energie missionarie della Chiesa e la sua capacità di risplendere
come segno che chiama all’unità di tutti i figli di Dio dispersi.
Il testo presentato in aula aveva già avuto un’integrazione: al soggetto iniziale,
liturgia, era stato aggiunto maxime in suo centro, divinae scilicet eucharistiae sacrificio. Si lascerà cadere poi in suo centro (cf. Pio XII in Mediator Dei: EE 6/492),
ma resterà il riferimento all’eucaristia, attorno a cui si impernia tutta la liturgia
(cf. SC 6); del resto, la citazione esplicita dell’orazione super oblata si riferisce
proprio all’eucaristia.1 Due interventi dei padri sinodali chiedevano di sostituire
il verbo exercetur con il verbo applicatur: la redenzione, infatti, si è compiuta
nel sacrificio della croce e, come afferma il concilio Tridentino, con l’eucaristia
viene «applicata» ai fedeli. Il verbo exercere risultava troppo forte (come un nuovo compimento del sacrificio della redenzione) e poteva essere equivocato. Si è
preferito tuttavia lasciare la citazione liturgica, mettendola tra virgolette, giacché il suo riferimento rendeva chiaro che si trattava della redenzione soggettiva
e dell’accesso sacramentale ad essa. In questo modo affiora già una caratteristica
generale di SC, ossia la sua preferenza per un registro linguistico non dogmatico,
ma prevalentemente biblico e liturgico (se la prima citazione è riservata a un testo
liturgico, le successive sei di questo numero alludono a testi biblici). La stessa
fonte liturgica autorizza a mettere in risalto l’efficacia dell’agire liturgico. Il verbo
exercere verrà utilizzato in modo analogo in SC 6.
Infine, si può rilevare la notevole sensibilità ecclesiologica ed ecumenica che
traspare da questo numero. In particolare è visibile già in queste righe l’emergere
di una «ecclesiologia eucaristica», che ha potuto congiungersi, tra l’altro, con il
pensiero di teologi ortodossi russi del secolo XX. La Chiesa è manifestata e resa
presente nelle assemblee liturgiche, soprattutto nelle assemblee eucaristiche (cf.
SC 41; LG 26).
1
Missale Romanum, oratio super oblata dominicae IX post Pentecosten.
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