Interviste Luca Laudati MARCO BONFANTI, DAGLI INIZI AL FUCILE PNEUMATICO (FORSE...) Il re del carbonio Una visita alla nuova sede è l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con il geniale fondatore della C4. Che racconta di quando passò dalle biciclette alla subacquea e di cosa ha in mente di fare per il futuro V etrate scure, tre piani, uffici grandi e moderni. Siamo nella nuova sede della C4, a Olginate, in quel di Lecco, un paio di chilometri di distanza dalla vecchia sede. Marco Bonfanti sta lavorando con il computer, poi lo chiamano in reparto, dove si producono le pale delle pinne in carbonio. È appena passato per un saluto Renzo Mazzarri; aveva una serata di incontri a Parma e ne ha approfittato per fare un salto in C4. I due sono amici, Renzo usa da tempo pinne e fucili di Marco. Si scambiano opinioni, suggerimenti, ma niente di formale, nel senso che non esiste alcun accordo di sponsorizzazione preciso, solo una grande stima reciproca e una stretta di mano a suggellare. «Conosco Renzo da 20 anni, - racconta Bonfanti intanto che armeggia su uno stampo – da quando, nel 1993, gli diedi le pinne in occasione del mondiale di Maiorca. Da quel momento abbiamo sempre mantenuto ottimi rapporti personali e di collaborazione». Sei anche riuscito a fargli fare pace con Molteni, il suo vecchio rivale… «Sì, ma in realtà non avevano mai litigato veramente. Erano semplicemente due 8 grandi campioni che si stimavano, ma che volevano entrambi fortemente vincere. La loro era una grande rivalità agonistica, niente altro. Io mi sono limitato a metterli in contatto, unire le forze è stata una conseguenza. Così si è formata la coppia che ha più volte dominato la Champions League in Grecia». Cambiamo argomento. Sei passato prima dalle biciclette e poi alle pinne e ai fucili. Un bel salto. Come mai? «A dire il vero la prima cosa che ho fatto d’un certo peso è stato il telaio d’una motocicletta. Lo costruii a 17 anni non soddisfatto del comportamento in fuoristrada del mio Caballero. Gli presi le misure, disegnai un nuovo telaio con nuove quote, segai e piegai i tubi che avevo trovato. Allora non sapevo saldare bene e con l’aiuto d’un amico finii il pezzo. Non andava male. Ricordo che per provarlo la prima volta smontai il Caballero e lo rimontai con il nuovo telaio, tutto entrò miracolosamente al suo posto, ci feci un giretto attorno al garage, lo smontai e rimontai l’originale prima che mio padre tornasse dal lavoro... a scanso d’equivoci familiari. «Ne ho fatte altre due di motociclette sempre da cross, ma non le ho terminate completamente, mancavano le sovrastrutture, sella, serbatoio. La seconda aveva la sospensione posteriore con leveraggi progressivi, un Bonfanti con un grosso luccio e al tavolo di lavoro. Sotto, le nuove pinne Wahoo e l’elastico conico, che progettò diversi anni fa ma che poi scartò. Sopra, foto con dedica di Mazzarri del mondiale di Maiorca. paio d’anni prima che Honda la mostrasse al mondo. Ho fatto anche degli ammortizzatori per moto ad aria compressa, senza molle, ma questi prototipi andavano decisamente male; sarebbe servito un grande sviluppo per la frenatura idraulica e io non avevo i fondi sufficienti. Ma ho anche realizzato cilindri, teste, marmitte: un bel periodo, mi divertivo un sacco. «Intanto – continua a raccontare – frequentavo gli studi d’ingegneria meccanica, specializzazione motori endotermici, studi mai portati a termine, così a 25 anni ho trovato lavoro presso la Bianchi, azienda leader nel settore ciclo. Premetto che non sono mai stato un appassionato di ciclismo, ma quel lavoro consentiva di progettare veicoli ed era ciò che volevo. Provai a fare innovazione sul prodotto, creare un qualcosa che non c’era, ma incontrai diverse difficoltà interne tali da convincermi a lasciare quel posto e ad aprire la C4. Così realizzai per primo al mondo telaio e forcella monoscocca in carbonio e la Bianchi fu il primo cliente. Era il 1987. Da quel momento continuai con l’innovazione sia tecnica che di design e la C4 divenne un punto di riferimento per un certo tipo di clientela. Siamo stati molto copiati... Nel tempo abbiamo supportato l’attività di alcune squadre corse d’altissimo livello, con Marco Pantani, Gianni Bugno e la Nazionale Svizzera per le gare mondiali della 100 chilometri. Poi, però, arrivarono i cinesi e in breve tempo monopolizzarono il settore con il bassissimo costo della manodopera. Una storia già vista in tanti altri ambiti, complice la colpevole ottusità dei nostri governanti. Non è possibile competere con loro commercialmente parlando, puoi servirtene ma per quanto riguarda i costi sei tagliato fuori. Fui perciò costretto a reinventarmi un lavoro per mantenere il posto agli operai». E pensasti subito alla subacquea? «Sì. Nel frattempo avevo avviato, per pura passione, la realizzazione delle pinne in carbonio. Le facevo per gli amici, per qualche conoscente, ma erano poche paia, non certo sufficienti per viverci e per sostituire il fatturato delle biciclette, anche perchè in massima parte le regalavo. Siamo stati i primi al mondo a realizzarle, il mercato nemmeno esisteva». A quando la svolta? «Le date significative sono state due. La prima nel 1990. Era il mese di marzo, lo ricordo ancora, quando andai dall’amico Valerio Grassi, allora proprietario della Omer, a proporre le mie pale. Gliene portai due paia e mi sarebbe piaciuto farle provare a qualche atleta, sia per una soddisfazione personale, ma anche per verificare il prodotto con un atleta di livello. Valerio era seduto alla scrivania, gli spiegai la questione e mi disse: “Ho io un ragazzo a cui far provare le pinne, è stato qui due giorni fà. Ma non mi ricordo come si chiama”. Si alzò, si infilò gli occhiali e cercò un foglietto sulla scrivania. “Ecco, si chiama Pelizzari, Umberto Pelizzari. Vive a Busto Arsizio e mi sembra un ragazzo serio su cui contare”. Rimasi perplesso, manco stà al mare, gli dissi. Comunque andava bene e gli diedi le prime pale per Umberto. Fu l’inizio, Umberto era una macchina inarrestabile, a differenza degli altri atleti lui non tentava i record, li faceva e basta! «Il vero ingresso nella pesca - racconta ancora - coincise con il mondiale del 1993, 9 Interviste C4 ha prodotto per anni biciclette di altissima gamma: a sinistra, il primo telaio e forcella monoscocca in carbonio al mondo; a destra, la locandina del museo dedicato alla bicicletta, allestito in occasione dei Mondiali in Francia del 2.000. Sotto, i fucili Graphite. Molteni è un eccellente collaudatore, lui a differenza di Renzo, che focalizza esattamente ciò che non và, esprime benissimo ciò che funziona e lo fa con estremo dettaglio. Per riuscirci serve grandissima sensibilità e lucidità perchè bisogna definire l’entità della variazione, non solo l’esistenza. Anche qui, uno compendia l’altro». a Maiorca. In quell’occasione, oltre a Mazzarri, altri tre atleti usavano le mie pale, le uniche in carbonio: Bellani, Riolo e il francese Bernard Salvatori, a cui le fece avere Valerio per sue esigenze commerciali. Ottennero grandi risultati, primo, secondo, quarto e quinto. Renzo vinse il suo terzo titolo iridato consecutivo sfoderando una prestazione che è rimasta negli annali della pesca subacquea; pescò infatti, quasi sempre, fra i 34 e i 37 metri di profondità, superando quello che era considerato il favorito, il grandissimo Amengual, che giocava in casa, solo terzo nell’occasione. Ho un poster autografatomi da Renzo con la dedica: “Senza di te questo mondiale non si vinceva”; una bella soddisfazione per un appassionato». Quindi, lo scambio di opinioni con gli atleti è importante? «Sì, a patto di saper interpretare ciò che vogliono dire. Altrimenti lo trovo inutile». Spiegati meglio… «Semplice. Un atleta non deve dirti cosa fare o come modificare un prodotto o 10 darti l’idea, pinna o fucile che sia, non è il suo ruolo. Lui pesca e deve esprimere un’opinione sulle attrezzature che usa. Sta al tecnico valutare il concetto espresso ed eventualmente trasformarlo in qualcosa che rimedi a una mancanza, oppure evolva. Faccio un esempio. Diedi da provare il Mr Carbon 119 a Renzo, che dopo una settimana mi chiamò e mi spiegò che l’asta gli spanciava un poco: “basterebbe un piccolo appoggio”, mi disse. Come faccio sempre, registrai il commento in un cassetto della memoria e tempo dopo, quando decisi di progettare un nuovo fucile, inserii l’osservazione di Renzo nel progetto Graphite, dotandolo dello shaft-slider. E questo è solo un esempio, che però chiarisce il concetto. Lo stesso accade nelle gare automobilistiche, o nel motociclismo. Il pilota rientra al box e dice ai tecnici cosa va e cosa non va. Sono poi loro a dover sviluppare il mezzo meccanico secondo capacità e possibilità. «Renzo è un grande tecnico, non lascia nulla al caso, un vero collaudatore che non sbaglia mai una valutazione, basta ascoltarlo e interpretarlo. Anche Riccardo Hai sempre stupito con prodotti innovativi e vincenti. C’è però qualcosa che non rifaresti? «Non mi piace rinnegare il passato, rifarei tutto, anche il fucile Joker, che magari qualcuno pensa che non sia un gran successo. Fu una dimostrazione di forza, dimostrai che non ero al limite, che potevo andare ben oltre. Realizzare un prodotto come il Joker è abbastanza difficile: un fusto telescopico in composito con tolleranze prossime allo zero ed estremamente rigido e performante, sempre bilanciato secondo la misura. Cercare di stupire è quella cosa che mi dà sapore mentre progetto. Il concetto è: dato che a lavorare si fa fatica, almeno divertiamoci». Ti è mai capitato di dire: ho sbagliato? «Tutti i giorni, anche se non traspare molto. La cosa che faccio sempre prima di iniziare un progetto e di eseguire tutte le necessarie verifiche. Per progettare devo avere ben chiaro nella mia mente tutte le concettualità e le finalità, sennò nemmeno comincio. Questo è un limite o un pregio, dipende da come lo si consideri. È ovvio che durante le verifiche si prova, e dunque si sbaglia: ma le verifiche servono proprio a questo». Facci qualche esempio… «Ma è gossip! Sono idee anche “strane”, che mi hanno sottratto tempo e denaro, idee che sulla carta potevano avere valore, ma che alla verifica si sono rivelate per un aspetto o per un altro sbagliate. E siccome talvolta ho precorso i tempi o almeno cercato, lascio che anche i miei concorrenti paghino gli eventuali stessi errori. È fondamentale sapere ciò che non và, viceversa è opzionale sapere ciò che funziona». Dai, dinne almeno uno? «L’elastico conico pensato nel ‘93 e provato 10 anni dopo. In teoria la progressione del carico risultante da una molla conica è esattamente il contrario di quella necessaria, lo sapevo bene, ma noi lavoriamo sempre nel mondo reale, con i limiti dei materiali, che non sono cosa infinita: e come tali niente vieta d’usarli. Se ipotizziamo un limite all’allungamento del latex, ossia portato all’estremo del suo campo elastico, possiamo, o avremmo potuto, avere una progressione inversa a quella teorica d’una molla conica. Bisognava solo determinare i diametri del cono e le sue lunghezze, tenendo conto di questo scopo. Così costruii lo stampo e feci gli elastici conici. Non funzionano o, meglio, funzionano dando una progressione contraria al necessario: alta velocità iniziale e bassa alla fine. L’ipotesi fatta sull’uso del campo elastico non ha trovato riscontro, un errore quindi. Credo di averne ancora qualche spezzone in magazzino…». Si fa un gran parlare dei fucili roller. Ci stai lavorando anche tu? «Si e no... No, se intendiamo come roller un arbalete dotato di pulegge in cui scorrono le gomme. Il rendimento meccanico di quei sistemi è basso e perciò non m’interessa usarlo». Come mai? «Il fucile è un sistema meccanico che trasforma l’energia contenuta in un accumulatore, gli elastici, nella velocità di un proiettile e lo consegue attraverso un sistema di trasmissione. Pura meccanica. Nell’arbalete classico gli elastici sono anche il sistema di trasmissione. Se inserisco pulegge nelle quali scorrano le gomme, avrò inevitabilmente un decadimento del rendimento di trasmissione. Ci sono poi in aggiunta gli attriti di deformazione della gomma nella puleggia, una specie di strozzatura che riduce il rendimento meccanico di trasmissione. Parlando in generale, si consideri che la trasmissione attraverso pulegge, cosa ben nota in meccanica, per ragioni prettamente fisiche, richiede diametri delle pulegge stesse molto maggiori della fune adoperata. Le gomme elastiche, usate come elemento di trasmissione, sono un’anomalia in un sistema meccanico. Per esse manca il dato statistico relativo al rapporto diametro puleggia e diametro elastico; trattandosi, però, di un qualcosa di estremamente morbido servirebbero diametri notevoli, quindi pulegge molto grandi per avere un buon rendimento e una buona durata dell’elemento di trasmissione. E ciò si scontra con gli ingombri necessari a far sì che un fucile abbia la necessaria maneggevolezza. “Prima allineare il bersaglio”, come in un nostro slogan». C’è un ritorno del fucile ad aria, grazie soprattutto ai kit per renderlo stagno. Anche la C4 si sta muovendo in questo settore? «Non condivido la considerazione. Chi ha mosso realmente questo mercato è il progetto Airbalete. I kit di trasformazione esistevano da anni, più o meno funzionali, ma non sono la novità. Per ciò che mi riguarda, se per muoversi intendi pensarci e fare qualche schizzo promemoria, sì, lo sto facendo da tempo. Ma se tra un anno o due il nuovo progetto sarà in negozio nessuno lo può sapere. Considera che alcuni dei miei schizzi hanno 20 anni. Mi era costruito a suo tempo un “sottovuoto” per puro divertimento. Emanuele Zara ha visto un po’ di pezzi sparsi tanti anni fa...». Come lo farai? Puoi dirci qualcosa? «È prematuro anche perchè in questa fase tutto può essere o non essere, cercherò di divertirmi e questo significa che partirò dal foglio bianco, procedura che adoro ma che allunga a dismisura i tempi. Però è l’unico sistema per non deludere l’aspettativa dei nostri affezionati clienti; da noi non cercano il consueto, vogliono la novità vera. Mi manca, come al solito, una cosa: il tempo, che è dedicato ad altri progetti che avranno la precedenza e che, dal mio punto di vista, saranno anche più intriganti del fucile pneumatico». Luca Laudati 11
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