Cover Business Intelligence A cura di Gabriele De Palma e Raffaele Mastrolonardo Business Intelligence, quando il dato aiuta a decidere Pochi dati o troppi dati? Tutto dipende da come si archiviano, gestiscono e, soprattutto, si elaborano. Le soluzioni di analisi intelligente aiutano i decisori pubblici a fare tesoro di uno dei più importanti asset a loro disposizione, il patrimonio informativo 23 Cover Business Intelligence L’informazione è potere, si narra. E sarà anche vero. Basta che non sia troppa e sia ben organizzata. Il che è facile a dirsi, più difficile da mettere in pratica. Soprattutto da parte di organizzazioni contemporanee, private e pubbliche, che già faticano a gestire i dati strutturati e che ora sono esposte all’invasione di informazioni disparate come email, pagine web, messaggeria istantanea e tutto ciò che proviene da quel mondo anarchico e caotico che va sotto il nome di 2.0. Se quello dell’information overload è uno dei problemi più pressanti dell’era della conoscenza non stupisce che le soluzioni che possono aiutare a non finire sommerse dal diluvio non conoscano crisi anche in periodi di recessione. Per avere conferma basta guardare ai numeri della business intelligence (BI), ovvero quei sistemi che, per usare la definizione di un recente rapporto della School of management del Politecnico di Milano (Ottimizzare le performance con i sistemi di Business Intelligence), si propongono di esplorare i dati di un’organizzazione “per ricavare informazioni e conoscenze utilizzabili nel corso dei processi decisionali mediante logiche di estrazione flessibili, metodologie di analisi e modelli matematici di predizione”. Nell’ultimo anno il mercato globale del settore è cresciuto tra l’8% e il 12% e dovrebbe crescere mediamente dell’8% nei prossimi 3 anni. Al di sopra della media del settore Ict che si aggira intorno al 6%, segno che il bisogno di soluzioni che aiutino imprese e enti pubblici a utilizzare i dati per prendere decisioni più tempestive ed efficaci non diminuisce durante una fase di rallentamento economico, anzi. Proprio in periodi come questo, l’esigenza di fare tesoro dei propri asset può spingere a un approccio più strategico alle informazioni, una risorsa che, dopo tutto, è già presente e aspetta solo di essere sfruttata. Attraverso questi dati è stato possibile identificare le principali aree di applicazione della BI nelle aziende dei settori investigati, valutando i benefici, le barriere allo sviluppo e l’impatto organizzativo sui processi e sulle risorse umane. Inoltre, è stato possibille confrontare il posizionamento delle imprese appartenenti ai diversi settori rispetto 24 Il settore privato sta dotandosi di strumenti di BI per non perdere il patrimonio di informazioni a disposizione: nella P.A. lo stato dell’arte appare in leggero ritardo al maturity model elaborato nel corso dell’edizione 2008 della ricerca. Alla ricerca di una definizione Ma che cosa è esattamente la business intelligence e come può essere messa al meglio al servizio di un’organizzazione? Non è facile districarsi nella ridda di definizioni e soluzioni sul mercato con i vendor che propongono terminologie differenti per soluzioni simili e viceversa. La strategia migliore è andare oltre le singole proposte e trovare un nocciolo comune. Partiamo dalle fondamenta. Le basi di un’architettura di BI sono, appunto, i dati. I quali vanno recuperati e organizzati. E allora ecco che la piramide dell’intelligenza di un’organizzazione racchiude, da una parte, sistemi in grado di estrarre e trasformare i dati (Etl) e, dall’altra, il data warehouse (Dwh), il deposito centrale delle informazioni relative a un’organizzazione all’interno del quale i dati sono organizzati lungo dimensioni che rispecchiano la missione dell’ente e sono arricchiti di significato tramite metadati. È su questo humus che si inseriscono, come fertilizzanti, gli strumenti di analisi veri e propri, quelli da cui devono scaturire le informazioni in grado di aiutare i decisori nella loro attività. Sotto questo punto di vista, le soluzioni offerte dal mercato sono molteplici e variegate ma possono essere raggruppate in due aree principali: gli strumenti di business performance management (BPM) e i Business Analytics (BA), che offrono analisi più evolute e costituiscono l’elemento più sofisticato di un sistema di BI. Cover Business Intelligence Un mercato in movimento Nel primo gruppo rientrano Olap e cubi dimensionali, dashboard, scorecard e sistemi di alerting. Del secondo fanno parte analisi statistiche, forecasting, metodi predittivi e data mining, modelli di ottimizzazione. Semplificando molto, la grande differenza è quella che passa tra presente e futuro. I primi si limitano a rappresentare, anche in modo molto sofisticato, la situazione così come emerge dai dati, mentre i secondoi vanno a caccia di correlazioni non evidenti per rivelare quello che accadrà domani. Per esempio, i sistemi di forescating consentono di far emergere tendenze in una fase storica, mentre i modelli di ottimizzazione aiutano a prendere la decisione migliore tra una serie di alternative. Ma come si muove il mercato? Il settore privato sta dotandosi – prima le grandi aziende e ora progressivamente le realtà dimensionalmente più piccole – di strumenti di BI per non perdere il patrimonio di informazioni a disposizione. Nella P.A. lo stato dell’arte appare in leggero ritardo. “Le nostre indagini suggeriscono che nell’ambito della P.A. non si è ancora raggiunto un grado di consapevolezza circa l’importanza dei sistemi di BI paragonabile a quello del settore privato”, ci spiega Carlo Vercellis, professore ordinario di Business Intelligence e Ottimizzazione al Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio BI, che però fa alcune distinzioni. “Esistono tuttavia situazioni innovative e punte di assoluta eccellenza anche nella P.A.: penso ad esempio ad alcune aziende della sanità o legate all’Agenzia delle entrate. In generale, possiamo osservare che alcune applicazioni della BI in strutture della P.A. possono ricalcare le corrispondenti analisi svolte nei settori privati. Ad esempio gli ambienti di BI rivolti al controllo di gestione e alla misura delle prestazioni, alla gestione delle risorse umane, alle politiche di acquisti e di eprocurement”. Casi felici tuttavia ci sono, come il data warehouse creato dal Comune di Reggio Emilia che contiene tutti i dati di anagrafe e servizi sociali, o quello allestito dal Comune di Bologna insieme alla polizia municipale Buoni esempi Dotarsi di soluzioni di BI però è un processo non banale e che richiede la cooperazione dei diversi settori di un ente e una pianificazione attenta e lungimirante. Le iniziative sporadiche e prive di un’analisi delle criticità da superare per sfruttare a pieno le potenzialità degli strumenti software, sono destinate all’insuccesso. A partire dalla base dell’architettura. “Certamente realizzare un Dwh per organizzazioni della P.A. – prosegue Vercellis – pone alcune difficoltà strutturali legate all’integrazione di fonti di informazione particolarmente eterogenee. A fronte però di alcune difficoltà legate alla progettazione e all’alimentazione iniziale del Dwh, si devono tenere in considerazione i grandi vantaggi potenziali che l’integrazione delle informazioni può offrire: ad esempio in ambito fiscale, con una vista completa delle imposte dovute e versate da ciascun soggetto; nel sistema dei trasporti, con la possibilità di analizzare i flussi di traffico; in ambito medico, con il quadro dei medicinali e delle terapie utilizzate da un singolo paziente”. Casi felici tuttavia ci sono, come il data warehouse creato dal Comune di Reggio Emilia che contiene tutti i dati di anagrafe e servizi sociali, caso esemplare quello reggiano di come l’informatizzazione fine a se stessa del dato non 25 Cover Business Intelligence sia utile. “Nel 2005 – racconta a E-Gov Nadia Ferrari dei sistemi informativi del Comune di Reggio Emilia – il capo area di allora lamentava il fatto che era costretto a fare relazioni al Consiglio comunale sui servizi sociali con dati non stabili. Il problema era che i sevizi sociali erano sì informatizzati dal ‘96 ma con molte procedure verticali (scuole, anziani e altre categorie) e dunque ognuno elaborava i suoi dati e al capo area arrivavano dati disparati e che spesso non coincidevano con quelli forniti pochi mesi prima. Inoltre, si trattava di dati non esplicativi. Non era sufficiente sapere quante domande erano state presentate, sarebbe stato più significativo conoscere il numero delle persone che le hanno presentate, di quanti nuclei familiari, magari rapportati sul territorio”. Per unificare tutte le procedure verticali è partito il progetto ‘Anagrafe e servizi sociali’ che ha reso affidabili e certificati i dati, che oggi sono molto più facilmente elaborabili. Analoghi benefici sono derivati dal data warehouse allestito dal Comune di Bologna insieme alla polizia municipale, o ancora il sistema per la valutazione della qualità dei servizi del Comune di Firenze. Altri come il Comune di Milano hanno adottato soluzioni di BI per i servizi informativi territoriali, riuscendo ad associare a ogni dato una precisa coordinata geografica (vedi intervista a pag. 29). Le tendenze positive e le previsioni ottimistiche per le soluzioni di BI messe in rilievo dai report del Politecnico di Milano sono supportate anche da un’inerzia di questo settore ormai maturo del mercato Ict. “Si assiste a una generale diminuzione dei costi dell’offerta di sistemi di BI – rivela Vercellis – che, abbinata a una relativa facilità di integrazione con altre componenti Ict, consente di ridurre la total cost of ownership per le aziende e le organizzazioni che adottano sistemi di BI. Nel caso della P.A., spesso costretta al rispetto di budget più esigui, questa tendenza appare ancor più marcata”. E sotto questo punto di vista la competitività delle soluzioni open source sta contribuendo, direttamente e indirettamente, a offrire alternative nel complesso sempre meno dispendiose. 26 Intelligenza al servizio del futuro Anche nella P.A. si diffondono soluzioni di business analytics, il segmento più avanzato della business intelligence. La visione di un’azienda leader Con 120 amministrazioni italiane in portfolio SAS è un interlocutore d’obbligo per “leggere” il mercato della pubblica amministrazione quando si parla di business intelligence (BI). Ancora di più se si pensa che l’azienda americana è leader nella business analytics, ovvero quelle soluzioni che vanno oltre la semplice reportistica e permettono di far emergere correlazioni inaspettate tra i dati e di interpretare le serie storiche per elaborare previsioni di scenario al servizio delle decisioni. In una parola, il segmento più evoluto dei software di intelligence al servizio delle organizzazioni che costituisce dunque un indicatore importante per monitorare il livello di innovazione nella nostra P.A. Dalla valorizzazione delle risorse umane, al controllo di gestione fino alla prevenzione delle frodi e al risk management, sono vari gli ambiti in cui l’approccio può essere applicato. Il Comune di Torino, per esempio, ricorre a soluzioni SAS per valutare politiche di intervento sulla sicurezza urbana attraverso un sistema che è in grado di mettere in relazioni dati sull’illuminazione, la presenza di cantieri e la percezione di disagio dei cittadini. Il Ministero dell’economia e delle finanze si appoggia a SAS per stimare i flussi di spesa degli enti pubblici e gli esempi potrebbero continuare. “Si possono applicare tecniche di business anaytics, per esempio, per prevenire le frodi e nella lotta all’evasione fiscale e contributiva. Abbiamo rilasciato una soluzione specifica per Cover Business Intelligence Credo che l’apertura delle banche dati pubbliche ai cittadini aiuterà a fare sì che la Business Intelligence, intesa come reporting, fornisca effettivamente un dato pulito all’utente l’ottimizzazione delle visite ispettive: il sistema fornisce uno score che suggerisce le visite da fare e quelle in priorità più alta, riducendo i falsi positivi”, spiega Fabrizio Padua, Sales Manager Public Sector di Sas in Italia, che ha accettato di discutere con noi le prospettive delle soluzioni di BI avanzate nel settore pubblico del nostro Paese. Nel privato, dice un recente rapporto della School of management del Politecnico di Milano, i sistemi di BI sono diventati una priorità per i responsabili dei sistemi informativi alla ricerca di tecnologie che possano rendere le aziende più competitive e stimolare innovazione. La pubblica amministrazione, invece, come si sta muovendo? Bisogna intendersi bene sui termini. Spesso, quando si parla di BI, ci si riferisce al reporting, attività che può essere più o meno complessa ma che è sempre un’analisi a consuntivo del patrimonio informativo. Da questo punto di vista la P.A. ha fatto grossi passi avanti e possiamo dire che soluzioni di questo tipo sono ormai consolidate negli enti centrali e in ambito sanitario. E al di là di questi ambiti qual è la situazione? Diciamo che in alcuni aspetti che nel privato, almeno nelle realtà più grandi, sono ormai consolidati, la pubblica amministrazione nel suo complesso deve ancora fare dei passi avanti. Mi riferisco, per esempio, all’attenzione alla qualità del dato. Ci si comincia a rendere conto che la questione non è tanto accedere velocemente ai dati, ma avere i dati giusti e avere dati puliti. E che, quando si parla di qualità, è necessario distinguere tra l’ambito informatico e quello statistico che ha esigenze più raffinate. Quali sono allora i fattori che possono spingere le amministrazioni a una maggiore attenzione alla qualità? Credo che l’apertura delle banche dati pubbliche ai cittadini aiuterà a fare sì che la BI, intesa come reporting, fornisca effettivamente un dato pulito all’utente. La BI nella P.A. è partita relativamente ai dati che stanno all’interno dell’organizzazione e poi si è cominciato ad aprirli all’esterno ma spesso le banche statistiche disponibili per gli utenti esterni non sono utilizzate perché i dati non sono corretti o comunicati nel modo giusto. Il problema allora è rendere questi dati fruibili dando la garanzia che siano corretti e certificati. La riforma Brunetta, con la sua enfasi sulla trasparenza, può spingere verso dati aggiornati e corretti e la BI, sempre intesa come reporting, può essere d’aiuto. Voi siete leader nel segmento della business analytics che è considerato il livello più avanzato ed evoluto di impiego della business intelligence. Quali sono le precondizioni perché un’amministrazione possa efficacemente implementare soluzioni di business analytics? La prima condizione è che ci sia una cultura del dato diffusa e la consapevolezza che il dato è un asset importante di un’organizzazione, una risorsa che, fra l’altro, è disponibile gratis. La seconda condizione è la consapevolezza che sono disponibili soluzioni per analisi sofisticate che non siano solo reporting. Quando parliamo di business analytics parliamo di soluzioni, più o meno complesse, che possono 27 Cover Business Intelligence aiutare a vedere i dati in modo diverso e non immediatamente percepibile. Soluzioni di data mining che consentono di trovare correlazioni nuove, dati riuniti in gruppi omogenei, tecniche di text mining e analisi di dati non strutturati fino ad arrivare a tecniche previsionali. dicevo prima, un impiego di questo tipo necessita, a monte, di una cultura del dato molto avanzata all’interno di un’organizzazione. Ovvero? Una delle molle è sicuramente quella organizzativa. La business analytics può essere vista sia come causa di una riorganizzazione che come effetto. Mi spiego. Grazie a soluzioni di analytics posso fare simulazioni su scenari organizzativi diversi (per esempio, lo spostamento di alcune pratiche da un ufficio all’altro), il che può essere doppiamente utile in un contesto di scarsità di risorse che costringe a valorizzare al meglio gli asset a disposizione. Allo stesso tempo, il ricorso agli analyitcs può essere l’effetto di un’organizzazione modificata che necessita un aggiornamento continuo sugli scenari futuri. L’importante, comunque, è ricordare che soluzioni di questo tipo sono semplici da usare. Non c’è bisogno di una laurea in statistica per utilizzarle. I dati storici sono utilizzati per fare previsioni. Quando questo accade si apre un mondo tutto nuovo: non si guarda solo al consuntivo ma al futuro. Con la business analytics si possono effettuare simulazioni di scenario necessarie per prendere decisioni organizzative, o per supportare negoziazioni sindacali appoggiandosi a fatti e numeri certificati. O, ancora, si può impiegare la business analytics per effettuare previsioni sui pensionamenti. Applicando la riforma vigente si può cercare di capire chi andrà in pensione e dove per evitare buchi negli uffici in corrispondenza di esodi per pensionamento in modo da attrezzarsi per non perdere competenze fondamentali. Ma, come 28 Come si arriva ad avvertire l’esigenza di strumenti sofisticati di business analytics? Cover Business Intelligence La location intelligence del Comune di Milano La nuova infrastruttura che veicola le conoscenze territoriali del Comune di Milano illustrata da Silvia Castellanza Il Comune di Milano ha adottato una soluzione di business intelligence evoluta che associa ai dati le loro coordinate geografiche per potenziare i servizi informativi territoriali (Sit). È la cosiddetta location intelligence, che permette di contestualizzare al meglio le esigenze dei cittadini, e supportare il decision making. Come tutti i progetti ambiziosi, il sistema di location intelligence del capoluogo lombardo non è stato approntato in una notte: le origini risalgono al 2000 quando nacquero i servizi territoriali milanesi, che però come usava ai tempi erano prevalentemente legati all’urbanistica, come racconta Silvia Castellanza, pianificazione e controlli settore sistemi informativi integrati del Comune meneghino. “Una volta consolidata la parte urbanistica si è resa necessaria la costruzione dell’architettura del sistema finalizzata alla condivisione delle informazioni geografiche, sia da parte di utenti esperti che per sola consultazione tramite servizi web: tutta l’infrastruttura si basa su architettura Esri di Oracle, quindi la gestione del database geografico e la visualizzazione di dati è fornita da un sistema solido condiviso, su tre livelli (data layer, application layer, presentation layer). Nel 2004 la concomitanza della nuova carta tecnica comunale 1:1.000 ha portato alla strutturazione di quello che oggi definiamo database topografico, cioè l’infrastruttura territoriale (spatial data infastructure) a cui collegare le numerose informazioni collegate sul territorio. La carta tecnica comunale non è più la ‘mappa’ tradizionale per rappresentare la città ma uno strumento vettoriale numerico strutturato secondo gli standard e conforme alle specifiche emanate da Regione Lombardia”. Come siete arrivati ad avere una base dati omogenea e aggiornata? Una volta costituita la base del Sit comunale, sono state organizzate in maniera congruente le informazioni dei diversi livelli tematici provenienti dai diversi settori comunali con l’obiettivo di ottenere una soluzione integrata, costituita da un’unica base di dati omogenea, una piattaforma orizzontale a servizio dei diversi settori comunali in cui le regole di scambio dati – soprattutto in un sistema complesso come quello del Comune di Milano – diventano fondamentali. Il comune ha adottato un disciplinare che regola l’utilizzo delle informazioni territoriali, definendo owner, struttura del dato, frequenza di aggiornamento e l’eventuale interoperabilità, fondamentale per definire standard per lo scambio dei dati. Dati che però continuano ad affluire nei database comunali, a volte modificando quelli esistenti. Come gestite tale complessità? Il mantenimento e l’aggiornamento del database topografico vengono fatti annualmente, anche se non a tappeto sull’intero territorio comunale, considerati i costi elevati. A supporto vengono acquisiti anche altri prodotti quali ortofoto, foto prospettiche, cartografia storica. Attualmente è in corso l’aggiornamento sul volo 2009, reso possibile dal finanziamento ricevuto dalla Regione. La toponomastica con via e numero civico permette di collegare al territorio qualsiasi oggetto o persona giuridica (autorizzazioni commerciali, servizi al cittadino, imprese, cittadini); il catasto è una chiave d’accesso alternativa alla precedente, comunque a essa collegata, con un supporto cartografico generato diversamente dall’aerofotogramme29 Cover Business Intelligence La carta tecnica comunale non è più la ‘mappa’ tradizionale per rappresentare la città ma uno strumento vettoriale numerico conforme alle specifiche della Regione Lombardia A livello di dettaglio territoriale, saranno possibili analisi che, utilizzando ad esempio i cluster territoriali, confrontano i diversi bisogni con l’offerta destinata alla loro soddisfazione, in modo da avere il dettaglio – sul territorio oggetto di analisi – di quali bisogni risultano insoddisfatti e in quale misura: analisi necessaria per ottenere indicazioni circa le priorità su cui investire in quel determinato ambito territoriale. Un esempio concreto? trico che relaziona il bene immobiliare con la proprietà dello stesso. Non ci sono conflitti tra dipartimenti e settori comunali nella gestione del dato? La soluzione adottata ha permesso di raggiungere l’obiettivo di ottenere una soluzione integrata, costituita da un’unica base dati omogenea e congruente a cui i diversi settori possono accedere con modalità differenziate, mantenendo la più ampia indipendenza dei settori comunali coinvolti, senza cioè entrare in modo invasivo sui singoli applicativi verticali che generano il dato geografico. Cosa è diventato quindi il Sit del Comune di Milano dopo queste integrazioni? Il nostro Sit non è più solo un visualizzatore di mappe ma uno strumento operativo per decidere, fondamentale per chi vive, progetta e trasforma il territorio. Non è più un semplice contenitore, ma un’infrastruttura per veicolare la conoscenza legata al territorio, nella direzione di uno strumento di supporto alle decisioni – decision support system – di tipo geografico, denominata appunto location intelligence. Come coadiuva le decisioni della Giunta il nuovo Sit? 30 L’importanza di un’integrazione di informazioni può essere spiegata dal semplice esempio in cui la decisione riguarda la localizzazione di una struttura educativa (nido e micronido). Le informazioni necessarie sono relative: - all’offerta di servizi esistenti (localizzazione dei nidi comunali, accreditati, convenzionati e privati e le rispettive dotazioni di spazi) e le liste di attesa per ogni struttura; - all’offerta di servizi di supporto all’infanzia (localizzazione consultori, pediatri, aree a verde per il gioco, biblioteche); - all’offerta di servizi di trasporto per il raggiungimento dei nidi; - alla domanda di nidi: il numero di potenziali utenti, il numero di iscritti ed accettati, il numero degli esclusi, aggregati secondo diversi livelli territoriali. Con questi dati si arriva a generare una mappa, dove l’analisi spaziale permette di evidenziare le aree non servite che, incrociate con le aree in cui è maggiore la richiesta di nidi, permette di identificare i possibili ambiti di intervento. Se alle precedenti informazioni se ne integrano altre quali la previsione di domanda di nidi, la crescita demografica per gli stessi livelli di aggregazione territoriali, il nuovo carico demografico dovuto agli ambiti urbani in corso di trasformazione, i redditi dei residenti (sempre aggregati), la descrizione dei nuclei familiari, i dati sull’impiego, allora la definizione degli ambiti di intervento diventa ancora più articolata e la fase di “choice” contemplerà una visione davvero integrata del territorio.
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