RICCIOLI_Radice rizomatica delle organizzazioni

3rd EATA RESEARCH CONFERENCE
Research and professional practice: how research can take its roots in practice?
Cagliari 22-23 Maggio 2014
La radice rizomatica delle organizzazioni: il valore della complessità nella ricerca qualitativa e
quantitativa.
di E. Riccioli
Docente Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni Università Pontificia Salesiana di Roma
Direttore Scuola Specializzazione in Psicoterapia SSPIG- Palermo
CTA TRAINER
Abstract
In questo contributo, si metterà in evidenza l’importanza del contesto organizzativo, come forma sociale
che struttura il tempo umano e professionale. A partire dalla natura pluri-determinata delle organizzazioni,
saranno discussi i metodi di conoscenza e di indagine capaci di coglierne la complessità. Sarà proposto un
terzo metodo di analisi, posto tra il quantitativo ed il qualitativo, a parere di chi scrive più aderente alla
natura rizomatica dei contesti organizzativi. La visione rizomatica parte dal presupposto che la conoscenza
deve essere continuamente riappresa, perché si muove in un contro-tempo rispetto ai tempi statici delle
categorie conosciute e consolidate. La carta sarà accostata al calco ed al ri-calco delle replicabilità, e
l’organizzazione diverrà qualcosa a metà strada tra un essere vivente ed una macchina in cui gli
automatismi vengono continuamente riformulati. Infine, sarà discusso l’ipertesto come modello di
approccio alla conoscenza estetica delle organizzazioni e commentato nelle sue ampie sfaccettature.
In this work, we will highlight the importance of the organizational context, as a social form that structures
human and professional time. From the multi-determined nature of the organizations, the methods of
knowledge and investigation suitable to grasp their complexity will be discussed. A third method of
analysis, placed between the quantitative and qualitative, will be presented, one that, in the opinion of the
Author,
is
closer
to
the
rhizomatic
nature
of
organizational
contexts.
The rhizomatic vision starts from the assumption that knowledge must be continuously re-learned, because
it moves in a counter-time with respect to the static timing of the categories known and proven. The paper
will be juxstaposed to the cast and re-cast of replicability, and the organization will become something
halfway between a living being and a machine in which the automatisms are constantly being reformulated.
Finally, the hypertext will be discussed as an approach to aesthetic knowledge of organizations and broadly
commented in its large facets.
1
Introduzione
Cominciamo con una riflessione a partire dal titolo di questo convegno, riflessione legata a quanto il
terreno di coltura della ricerca sia la pratica, o ancora meglio, quanto la ricerca sia la pianta naturale,
biologica, generatasi dalla pratica. Diversamente saremmo in un terreno capovolto, geneticamente
modificato.
Il tema che qui desideriamo affrontare è come conoscere e comprendere le organizzazioni, con quale tipo di
ricerca possiamo avvicinarci e possiamo esaminarle.
Di seguito esploreremo alcuni aspetti legati al tema in esame
Tentativi di definizione del campo d’indagine
Per quanto riguarda il termine o, meglio, il concetto di organizzazione possiamo intenderlo come quel luogo
o contesto dove le persone si mettono insieme per fare qualcosa che da soli non potrebbero fare. Partendo
da qui, è possibile estendere il concetto di organizzazione a tutto quello che ci circonda. Tutto è
praticamente organizzazione. L’aspetto organizzativo è pervasivo della nostra vita; nasciamo in ospedale,
andiamo a suola, apparteniamo alle organizzazioni familiari, lavorative. Il nostro convegno, la città che ci
ospita, i nostri gruppi professionali di appartenenza, L’EATA che fa da cornice a questo incontro, rientrano
in questo concetto esteso di organizzazione.
Molti autori (Strati,2008, Enriquez, 1991, Spaltro, 2008) convengono sul fatto che l’organizzazione sia un
campo sicuramente pluri-determinato e pluri-composto : vi si incontrano aspetti soggettivi ed oggettivi.
Esso è un punto d’intersezione tra il singolo e la moltitudine, tra aspetti della persona e aspetti del gruppo o
della società stessa. E’ il luogo dove confluiscono interessi economici, politici, sociali, morali ed etici diversi.
E’ uno spazio, quindi, dove coesistono insieme sia la dimensione oggettiva ( luoghi, mura, contesti) che
quella soggettiva fatta dalle persone che la abitano e vi lavorano.
Organizzazioni e Lavoro
Nelle organizzazioni viviamo ed esercitiamo anche il nostro lavoro, poiché il lavoro è diventato un valore
associato e simbolico delle organizzazioni e dello stato moderno. Nell’esercizio del nostro lavoro, dentro le
organizzazioni, possiamo riconoscere ed individuare una doppia valenza; in esso confluiscono e prendono
forma gli effetti dei nostri sforzi ed impegni (come manufatti) e, attraverso questi stessi manufatti, veniamo
considerati e valutati1 anche, non da ultimo, da noi stessi.
Le organizzazioni costituiscono un crocevia, un luogo dove si materializzano aspetti fondamentali della
nostra più intima essenza, ovvero, della nostra identità. Da questo punto di vista il lavoro è un punto di
confluenza tra mondo interno e mondo esterno. Quest’ ultima affermazione ci riguarda da vicino come
psicologi clinici è può costituire un punto d’indagine; alcuni approcci, come la psico-socioanalisi (vedi D.
Forti e G. Varchetta, 2001), se ne occupano indagando, con metodi e strumenti ad hoc, quali processi
cognitivi ed emotivi si mettono in moto quando ci accingiamo a lavorare dentro un’organizzazione.
Per tornare al tema della nostra riflessione, l’organizzazione e i metodi d’indagine, noi possiamo come
studiosi e come persone interessate a questo fenomeno cercare di stabilire quali possano essere i piani di
pensabilità e di studio di essa.
1
Ogni organizzazione lavorativa, che l’abbia codificato o meno, possiede un suo sistema di valutazione volto a
registrare e valutare le competenze realmente possedute dal lavoratore.
2
Enriquez (ibidem, 1991), uno psicoanalista che si occupa di queste realtà, ci mette subito in guardia dai
pericoli dell’onnipotenza che il ricercatore può avere quando si accinge a studiarla in quanto essa
rappresenta un vasto, plurisemantico oggetto e sfugge, come cercheremo di argomentare, a qualsiasi
tentativo di comprendere, in un unico abbraccio, i diversi e numeri tasselli di cui esso è composto. Secondo
il sociologo A. Strati, “tanto la sociologia dell’organizzazione … che le teorie e gli studi di direzione aziendale
non condividono un’unica definizione di organizzazione” (pag.51, 2004).
Per analizzare l’organizzazione, come ogni altro fenomeno che si vuole approfondire, è necessario definirne
criteri, norme, tragitti, in sostanza delimitare ed individuare i problemi ed i metodi legittimi con cui si
vogliono affrontare. Tuttavia, il superamento, negli anni ’80, dei paradigmi razionalista e positivista, volti
appunto alla conoscenza dei fenomeni sociali e psicologici, non ha portato alla nascita di un nuovo
paradigma forte, ma ad una molteplicità paradigmatica. Tutto ciò ha comportato, nel campo delle
organizzazioni, ad una diversificazione di studi e prospettive. Troviamo pertanto che i ricercatori, secondo
la tassonomia di A. Strati ( op.cit., 2004 ) si sono divisi in: a) scuole (es. Taylor , Mayo), b) modelli (razionali,
interazionisti, psicoanalitici), c) prospettive (sistema razionale, naturale, istituzionale); oppure secondo le d)
questioni che volevano portare in luce e studiare, come la motivazione, la leadership , il processo
decisionale. Emerge da questi studi quanto le organizzazioni mutino di definizione a seconda del
programma di ricerca e delle variabili che si intendono circoscrivere e conoscere. Ai criteri definitori a
monte, seguono poi le metodologie e le tecniche che occorre adottare per studiarle. Sotto la voce
organizzazione, si possono analizzare aspetti e fenomeni dell’organizzazione e/o parti di essa.
Quindi, riassumendo, diversi modelli e molte teorie esplicative. Nessuno migliore degli altri e tutti ne
descrivono e studiano una parte, una fetta.
Il paradigma attuale evidenzia l’impossibilità da parte di un modello, di una teoria e di un metodo univoco
di cogliere la complessa specificità delle organizzazioni.
Volendo aggiungere un ulteriore fattore di complessità, più attinente alla nostra disciplina, troviamo una
questione legata alla specificità della psicologia. In particolare, nota R. Carli (2004), che la psicologia si
dibatte tra la ricerca di legge generali (psicologia) e l’essere caratterizzata dal trovare un metodo
applicativo volto all’intervento ( psicologia clinica e psicoterapia dei singoli, gruppi e delle organizzazioni).
Se, nota Carli, trovassimo delle leggi generali e casuali del comportamento e della mente del tipo “ Se …
allora”, ne seguirebbe un metodo clinico applicativo basato sul potere. In sintesi, trasferendo questi
concetti al campo organizzativo, avremo che se un’organizzazione è in conflitto perché non c’è ascolto dei
bisogni delle persone che ne fanno parte2 allora è bene intervenire seguendo un preciso protocollo
d’intervento, perché la ricerca e/o il modello ha individuato tale percorso di risoluzione delle dinamiche
problematiche come il più adatto ed il più efficace. Anzitutto definiamo questo un intervento di potere
perché partirebbe dall’alto delle teoria “scientifica” venendo meno ad uno dei principi che sostengono la
legge del cambiamento in questo campo, la metabletica, secondo cui ogni intervento è essere con, ovvero
accanto all’oggetto di studio e non sopra di esso. Secondo poi, sappiamo bene quanto questo schema sia
troppo semplicistico, poco generalizzabile e rischi di non cogliere una delle specificità della nostra
disciplina, che è appunto quella di rintracciare la singolarità e l’eccezionalità dei fenomeni mentali,
comportamentali ed organizzativi.
Ma, come abbiamo detto, la psicologia è orientata, a cercare leggi generali, ripetibili, condivisibili sotto
l’influenza del metodo empirico (Evidence-based practice EBP) che mirano, è in ultima analisi il parere di
2
I bisogni possono essere umani e/o professionali.
3
Carli (ibidem, 2004), perlopiù alla legittimità sociale della disciplina più che a una vera e rivoluzionaria
scoperta scientifica in questo settore in quanto, continua l’Autore, si ricorre a metodi di misurazione di
dubbio fondamento; scale che misurano aspetti già noti3 e che sono “non suscettibili all’interno del loro
fondamento teorico, di essere misurate dalle scale stesse (R. Carli, ibidem, 2004 ). Ne risulta che alcuni
modelli non tradizionali e non positivisti sono stati bollati come non scientifici.
A questa questione è sensibile anche la sociologia, quando A. Strati (ibidem, 2004) afferma che il paradigma
positivista ha veicolato una serie di credenze per la quali la ricerca sperimentale è particolarmente adatta
alla replicabilità, la verifica e l’attendibilità della conoscenza prodotta. Di contro, si è prodotta una credenza
contraria per cui solo l’indagine qualitativa potesse portare alla scoperta di aspetti nuovi e poco familiari.
Insomma verifica opposta a scoperta.
Inoltre, è andata strutturandosi un’altra credenza, quella di vedere la ricerca empirica come razionale ed
indipendente dall’influenza destabilizzante delle emozioni e dalle interpretazioni che non farebbero altro
che fuorviare ed incidere negativamente sulla replicabilità dell’evento.
Dopo aver per sommi capi riassunto le questioni più importanti, ci poniamo la domanda per noi
fondamentale: come approcciarsi allora ad un fenomeno come quello organizzativo, avendo in mente sia
l’esigenza di trovare modelli generali, che quella di affinare le pratiche d’intervento all’interno di quel
contesto ed al di fuori di esso ?
Il rizoma: un metodo di conoscenza
Abbiamo condiviso quanto sia ampio il terreno circoscritto dal concetto di organizzazione e abbiamo fatto
qualche cenno, ma senza tuttavia entrare nel dettaglio, a quante possano essere le metodologie4 per fare
ricerca. Ribadiamo che esse non sono neutrali, in quanto dipendono dai gusti estetici e teorici del
ricercatore, e quindi, assumono significato solo all’interno di un specifico contesto di ricerca. Se vogliamo
entrare nel campo/terreno organizzativo lo possiamo fare con diverse sonde.
Il punto per noi adesso è; una volta introdotte queste sonde, come esse si radicheranno nel terreno, quale
precisione potranno avere? Come il terreno della pratica e del vivere organizzativo si connettono con gli
strumenti del ricercatore entrato in questo campo così composito?
Le riflessioni successive, vogliono suggerire un metodo di avvicinamento alle organizzazioni, che secondo il
nostro parere, costituisce un formidabile impianto metateorico ed epistemologico adatto a scandagliare al
meglio le organizzazioni, perché suggerisce allo stesso tempo un atteggiamento rigoroso e creativo, capace
quindi di legarsi alla natura policroma e contraddittoria delle organizzazioni stesse.
Il concetto lo prendiamo a prestito da G. Deleuze e F. Guattari, autori che introducono il termine di rizoma
per indicare un modo di procedere della conoscenza, del conoscere.
Il rizoma è una radice che si espande in orizzontale. Proporre di riferirsi al rizoma , per gli A.A. consente di
contrapporsi ad un modo di procedere dove l’uno diventa due, dove il pensiero dialetticamente si biforca,
ed è binario (alto- basso, giusto-sbagliato, bianco-nero). Riferendosi alla natura, i due autori trovano quindi
una similitudine con le radici a rizoma che hanno ramificazioni, ricche, espanse, molteplici. Lo spunto
3
Ci riferiamo, ad esempio, ai test self report.
Un’indagine anzitutto può essere pre-strutturata o svolgersi sul campo: le tecniche poi, passano dall’intervista, ai
questionari, all’analisi documentaria, allo studio di un caso ed altre ancora. Per una sintesi ragionata (vedi A. Strati,
2008).
4
4
offertoci ci pare articolato ed ampio e non riferiremo nelle specifico su di esso5, ma evidenzieremo quanto i
i due sovversivi pensatori abbiano formulato e proposto un modo di procedere della conoscenza e
dell’indagine speculativa utilizzabile in molti campi.
Il rizoma, come metafora, sta ad indicare, dicevamo, una serie di ramificazioni che si sviluppano, non
prevedibilmente, da un nucleo centrale. Le ramificazioni possono essere spiegate solo a partire dalle
contingenze del momento e non attraverso una trascendenza, un principio, un metodo, una tecnica, un
origine del tipo se … allora, un’interpretazione chiusa, univoca.
Le idee dei due pensatori sono infatti racchiuse in un libro, Millepiani. Schizofrenia e Capitalismo, apparso
in Francia a partire dal 1980, che già nel titolo precisa il suo metodo; il libro di per sé rifiuta sin dalla
prefazione ogni idea di successione stadiale dei capitoli e gli autori affermano e mostrano (ed è così,
l’abbiamo testato) che il libro può essere preso da qualsiasi punto poiché così è stato concepito ed
elaborato, tranne per il 15° capitolo che deve essere letto per ultimo. Millepiani sta proprio ad indicare i
diversi e multipli piani su cui si trovano concetti, le speculazioni ed i ragionamenti. Il titolo non è un artificio
editoriale, affermano i due autori, ma rappresenta e realizza proprio l’idea centrale: voler passare un
metodo di ricerca che non si articola attraverso la somma dei concetti, ma si dipana attraverso il loro
accostamento, attraverso le connessioni che riescono a generare. Il rizoma non è un calco, ma una carta,
ovvero un modo per espandere e disegnare i concetti, non di replicarli come appunto avviene in un calco.
Il metodo per conoscere, se vogliamo azzardare ad un moderno paradigma, è per i due autori
caratterizzato da un saper stare fuori dalla zona di influenza e del perimetro delle categorie. In questo senso
le categorie sono quegli stampi teorici che imprimono forza alle nostre impressioni e alla nostra ricerca. Il
rizoma è un modo di procedere che rifiuta ciò che è predefinito e codificato, arborescente. Per spiegare
questo concetto Deleuze e Guattari si rifanno anche al gioco degli scacchi paragonandolo a quello del GO,
un antico gioco da tavolo nato in Cina circa 2500 anni or sono. Emblematicamente, una delle regole del
gioco detta "regola del ko" (dal giapponese 劫, kō, "eone"), serve a prevenire ripetizioni infinite delle stesse
mosse. Il go è un gioco di scambi; si fanno territori e si fanno scambi. Il gioco si caratterizza per non essere
determinato a monte da regole pre-costituite, non prevede una gerarchia come negli scacchi con le diverse
pedine che possiedono diversi livelli di potere. E’ figlio delle contingenze e si origina di volta in volta da sé.
La mossa non è obbligata, ma necessaria. Questo comporta che vi sono diverse direzioni possibili e bisogna
di volta in volta decidere6 senza rispettare codici predeterminati. Le aperture del rizoma, come nel gioco
del go, si costituiscono come una rete, una maglia di connessioni in continua crescita, senza che sia
possibile fare di un centro relativo un punto di arrivo del processo di differenziazione. Pensando alle
organizzazioni ed alle loro radici, possiamo così dire che un’organizzazione, vista dal punti di vista
rizomatico si sottrae allora alle finalizzazioni di una prospettiva chiusa, stadiale, orientata verso un fine predeterminato. Un’organizzazione, vista da questa prospettiva, diviene qualcosa di stranamente incerto,
sospesa tra un essere vivente ed una macchina codificata con le sue necessarie leggi di funzionamento, in
cui gli automatismi e le regole vengono fissate e di volta in volta ri-giocate, plasmate, modificate.
Pensiamo che questo ibrido speculativo ci consenta di pensare la complessità organizzativa in maniera più
aderente alla sua natura e che ci consenta di portarci oltre le opposizioni troppo nette che
contraddistinguono o, hanno contraddistinto, i nostri bagagli teorici.
5
6
Vedi G. Deleuze, F. Guattari, (2003) Millepiani. Capitalismo e Schizofrenia, Castelvecchi Editore, Roma. Cap. 1
Altro tema fondante e caratterizzante le organizzazioni.
5
Il rizoma è una macchina flessibile, situazionale, una struttura senza strutturazione definitiva, una
procedimento per produrre e conoscere il nuovo. Conoscere per gli A.A. non è ri-conoscere, cioè cercare
quei dati che confermino idee ed ipotesi a monte. Non ci si faccia l’idea che questo modo di procedere sia
anti tutto per statuto e nichilista; ovvero che niente si possa conoscere poiché tutto è relativo, fluido,
inafferrabile. Il modo di procedere rizomatico non rifiuta il rigore e la sistematicità nel condurre
un’indagine. Non è questo un approccio discorsivo contrario ad ogni tentativo di codifica, di tassonomia e di
quantificazione. Non è insomma una battaglia e tra l’annosa questione tra il quantitativo ed il qualitativo di
cui risente anche l’indagine organizzativa, ma la consapevolezza che la conoscenza deve essere
continuamente riappresa, perché si muove in un contro tempo rispetto ai tempi statici delle categorie.
Propone e offre la consapevolezza di chi pratica questi contesti e si accorge di quanto sia difficile
uniformare i ritmi dell’osservazione e della ratificazione teorica con quelli della velocità dei processi
organizzativi. Deleuze e Guattari ci invitano quindi a pensare, nel nostro caso alle organizzazioni, come a
sistemi in continua trasformazione, dove la conoscenza si espanda continuamente in tutte le direzioni. Si
tratta di pensarle come una rete dove non esiste un punto centrale, ma dove un punto può diventare
centro contingente, per altre differenziazioni. La rete è una molteplicità e quindi se essa viene ridotta ad
una struttura se ne riducono le sue potenzialità e possibili combinazioni.
Vediamo alcune caratteristiche del rizoma (vedi Millepiani, 2003, pagg.28-60):
a) Principio di connessione e di eterogeneità, qualsiasi punto del rizoma può essere connesso a
qualsiasi altro e deve esserlo.
b) Principio di molteplicità; il molteplice deve essere trattato come sostantivo. Non ha più rapporto
con l’Uno ( principio ultimo esplicativo) come soggetto o come oggetto. La molteplicità è n-1. Cioè
molte possibilità a cui devo sottrarre l’Uno, il principio ultimo esplicativo. Vi sono determinazioni e
grandezze che non possono crescere senza cambiare natura. Secondo i due pensatori, vi è un piano
di consistenza della molteplicità ed esso è un piano a dimensioni crescenti in funzione del numero
di connessioni che di esso si stabiliscono. Cambia natura man mano che crescono le sue
connessioni.
c) Principio di rottura significante: c’è un gioco continuo tra il tentativo di territorializzare i concetti, i
fenomeno ed organizzarli in un significato, una teoria ultima. Ma i due pensatori ci stimolano a
pensare che vi sono linee di de-territorializzazione. Si fa rizoma con ciò che eterogeneo, diverso,
anche se tendiamo, umanamente, a chiudere i concetti. Un rizoma può essere rotto in un qualsiasi
punto e poi riprendere seguendo la sua o altra linee con cui ha fatto connessione (rizoma). Il rizoma
tende a non creare cristallizzazioni. A non creare, rimanendo nel nostro campo, Organizzazioni
stantie.
d) Principio di cartografia e decalcomania: un rizoma non è soggetto alla giurisdizione di nessun
modello strutturale o generativo. E’ estraneo ad ogni idea di asse genetico così come di struttura
profonda. Questi, semmai, sono i principi di calco riproducibili all’infinito. La carta, invece, è
interamente rivolta verso una sperimentazione in presa diretta sul reale. La carta non riproduce un
calco, lo costruisce. Suscettibile di continue modificazioni, una carta ha molteplici entrate. Un calco
ritorna sempre allo stesso, deve ri-cercare sé medesimo.
Il concetto di rizoma deleuziano sta quindi a segnalare un approccio alla conoscenza non arborescente,
ramificato, chiuso, gerarchico. In questo senso il rizoma densifica le molteplicità, i punti di fuga e le
connessioni. La forma arborescente, scrivono i due autori, ammette una spiegazione topologica …
l’arborescenza persiste all’individuo che vi si integra in un posto preciso (ibidem, pag.47)
6
La linfa del rizoma è il desiderio, esso agisce per variazione, conquista, espansione, cattura, iniezione
(op.cit, pag. 54). Un rizoma è fatto di piani. Un piano è sempre nel mezzo. Crea alleanza e costituisce un
luogo dove le cose prendono velocità. E quando ci si ferma, riflettono i due autori, che le cose cominciano a
trovare una cristallizzazione, dei punti di solidificazione. La conoscenza è movimento, ed è sempre in
mezzo, mai statica. Bateson ( in Deleuze e Guattari, op cit, 2003, pag 54.) indica il concetto di piano per
indicare una regione continua o di intensità che vibra su se stessa e si sviluppa evitando ogni orientazione
su un punto culminante o verso un fine esteriore.
Abbiamo riportato questa figura del rizoma perché ci sembra meglio rappresenti, per quel che sono le
nostre conoscenze e soprattutto, esperienze pratiche nelle organizzazioni, la loro ultima e più concreta
natura. In più ci sembra, che questo modo di produrre conoscenza, colga quella complessità da più parti
avvertita e che sta delineando un terzo metodo di indagine che integra qualitativo e quantitativo. Per lo
studio delle organizzazione, scrive J. Thompson (cit. in Strati, 2004, pag. 38) “si hanno di fronte un numero
di variabili superiore a quello che possiamo afferrare in un dato momento”.
L’incrocio tra ambiente esterno ed interno alla organizzazioni ha generato una complessità difficile,
diremmo impossibile, da circoscrivere. Non ci stancheremo di ripetere quanto l’organizzazione sia un
concetto polisemico, plurideterminato, composito. Sotto la voce organizzazione si sono analizzati aspetti e
fenomeni differenti e non confrontabili tra loro. Una moltitudine di variabili; emozionali, razionali, di ruoli,
di potere, il conflitto, di processi organizzativi e di reti inter-organizzative. Il processo di comprensione è un
ulteriore criterio che precisa e rimanda ad altre teorie e modelli. Con il risultato che l’organizzazione
assume i volti di chi si predispone a disegnarne i tratti.
Siamo pertanto alla ricerca di un mediatore simbolico che possa rappresentare tutta questa molteplicità.
Ci sembra che il rizoma colga in pieno la tendenza a leggere i multipiani propri delle organizzazioni. Ormai
siamo infatti consapevoli che i due tipi di indagine qualitativa e quantitativa contengono entrambe dei limiti
alla conoscenze e che serve passare ad una triangolazione metodologica, come ha specificato Norma
Denzin (cit. in A. Strati, 2004), in analogia con il punto nave; servono strategie multiple, rizomatiche
suggeriamo noi. Strategie che contemplino usi quantititavi della qualità come le analisi del testo, dei
discorsi, e metodi che rintraccino la complessità, dove venga posta in essere una transmutazionalità dei
fenomeni organizzativi, ovvero come questi si trasformino rizomaticamente e dove il ricercatore abbia
l’umiltà di dubitare ulteriormente della conoscenza acquisita. Abbia fatto sue le qualità negative di cui
scrive Bion (vedi Bion, 1970), riprendendo Keats, capacità per l’uomo di saper perseverare per un tempo
opportuno nell’incertezza, attraverso misteri e dubbi, senza lasciarsi andare ad un’agitata ricerca di ragioni
e fatti e le sappia mettere al servizio della sua curiosità.
Dal rizoma all’Ipertesto
Pensiamo che un modo per avvicinarsi a questo terreno frastagliato che definiamo organizzazioni, possa
servirsi del metodo dell’ipertesto o della teoria psico-socioanalitica così come declinata in Italia ( vedi Forti,
Varchetta, op. cit,2004 ). Questi approcci hanno il pregio di mettere insieme le forme soggettive con quelle
oggettive e di rendere ragione della pluralità di interazioni individuo/gruppo/organizzazione.
Cominciando dall’ipertesto, esso ci permette una conoscenza rizomatica in quanto vede l’organizzazione
come una continua tessitura e costruzione degli eventi che in essa accadono. Richiama il concetto di atti
7
interattivi basati sul gioco degli specchi e delle contingenze del contesto. Un ipertesto è una metafora
rizomatica in quanto può essere composto, ipoteticamente, all’infinito senza che ciò comporti lo snaturare
gli aspetti statici, replicabili e matematici, se si vuole, dell’organizzazione. L’ipertesto è un artefatto-inprocesso (Starti, op cit. 2004 ), non è il libro delle conoscenza organizzativa ed è costruito personalmente
dal ricercatore in azione. Non rifiuta i metodi quantitativi come l’analisi del testo computerizzate, ma li
accompagna con le sensibilità estetiche, quelle sensoriali di chi le abita e di chi si approccia (il
controtransfert del ricercatore) a conoscerle. La conoscenza estetica (sensibile) costituisce un terzo
approccio oltre quello archeologico, empatico-logico, e si caratterizza per il contributo artistico alla
comprensione nelle teorie e nei metodi organizzativi ( ibidem, 2004). Senza entrare nel dettaglio se la
nostra disciplina sia arte o scienza, diremmo che la comprensione artistica rintraccia quel suono, talvolta
quel rumore di fondo, dei processi organizzativi quali elementi della vita organizzativa che sfuggono agli
strumenti freddi di analisi e che chiede di essere riconosciuto, visto.
In breve sintesi, quello che vogliamo partecipare al lettore è che l’organizzazione è un campo di azioni a
molti livelli di implicazione: personale, lavorativa, gruppale. In questo terreno è difficile a volte riconoscere
una linea ed un intento comuni, ovvero il compito primario per il quale essa, organizzazione, è stata creata.
Ciò vuol dire che le azioni organizzative non sono mai del tutto lineari e logiche, ma risentono, come ha
specificato Simon, di una razionalità limitata perché la complessità è tanta. La citata razionalità limitata non
vuol dire che le organizzazioni siano fenomeni acefali e funzionino in modo casuale, ma piuttosto che la
pretesa di un funzionamento pedissequamente codificato e standardizzato, come agognano molte delle
discipline del management aziendale, è un pura chimera poiché esse sono albergate e costruite dagli
uomini e, quindi , dalla loro cangiante e limitata umanità.
Conosciamo i pericoli di questo argomentare, ovvero di cadere in un soggettivismo puro. Ribadiamo,
tuttavia, il concetto di approccio misto, ma non senza ribadire che occorre tenere presente che ogni
comunità affonda le proprie radici nel sentire delle persone. Queste danno vita a pratiche, metodologie,
categorie interpretative, conoscenze tacite(inconsce) e condivise del reale e della vita comunitaria, che
possono essere diverse anche all’interno delle stessa organizzazione. Contemplare l’organizzazione come
un iperteso estetico è lascarsi guidare dal desiderio rizomatico che dà vita a contingenze, modi di essere e
sentire che appartengono a quel gruppo, a quel contesto ed alla loro inclassificabile unicità.
Estetica e Bellezza: un approccio alla complessità organizzativa
L’estetica di cui qui scriviamo non è l’estetica che aggiusta, camuffa, gonfia. Non è l’estetica del botulino
che trucca i visi, camuffa e nasconde i difetti. Intervento, questo, che può riguardare anche la ricerca ed il
ricercatore allorquando cerca di far rientrare i dati, forzatamente, dentro una maschera pre-definita.
Questa sarebbe piuttosto un’anestesia, quella pratica appropriata d’azione sul corpo e sui dati7 che avviene
quando appunto abbiamo amputato e sospeso le afferenze sensibili e non è utile la presenza sensibile del
soggetto che stiamo studiando e/o operando.
Il nostro concetto di estetica è invece legato a quello di bellezza, riprendendo appunto quel ramo della
filosofa (estetica) che si occupava della conoscenza del bello naturale, artistico e scientifico. Tradotto nel
nostro campo e ripreso da W. Bion, vorremo brevemente concludere con il bello fondamentale di cui si
parla poco e di cui ci scrive L. Pagliarani (cit. in Forte, Varchetta, 2001). Secondo questo studioso così come
l’esperienza di difetto, in quanto angosciante, mette in moto le sue difese, così esiste anche un’angoscia del
bello. La vita organizzativa quanto più aumenta la complessità le alimenta entrambe. Ogni organizzazione
7
Ci riferiamo ad esempio alle operazioni chirurgiche o allo studio in laboratorio dei dati.
8
infatti insegue un bisogno del bello, di fare la cosa giusta, un desiderio di certezze, animato dalla speranza
che le finalità ultime di ognuno si possano realizzare (L. Pagliarani, op cit. 2001). L’angoscia della certezza
sta ad indicare, secondo l’A., quell’attitudine alla perfezione che anima ogni prodotto umano. Ogni
impresa, ogni imprenditore, ogni lavoratore. L’organizzazione stessa è presa dall’angoscia della certezza,
dell’impresa bella e buona, la filokalia (amore della Bellezza), un’angoscia di avere i dati certi e di tenere
sotto controllo i processi, le attività, i comportamenti e le attitudine di chi le vive in modo da generare cose
belle e buone. Bello da morire scrive L. Pagliarani (ibidem, 2001), svela appunto quest’ angoscia. L’impresa,
il coraggio dell’impresa, richiama da subito questa tensione etica, valoriale e allo stesso tempo, la
preoccupazione di produrre cose buone, bei prodotti e non qualcosa brutto, artefatto, difettoso. Questo
costituisce, almeno ce lo auguriamo, un imperativo etico, una tensione anche verso la produzione di
qualcosa di bello e originale che ci individui. L’impresa è preoccupata e tesa in questa ricerca che si dibatte
tra la solitudine della creazione, dell’innovazione e la dipendenza. Se l’angoscia per il prodotto e la
perfezione che ne scaturisce diventa intollerabile allora si genera uno stato di confusione, apatia e
angoscia. Le organizzazioni diventano ridondanti, la vita organizzativa routinaria, noiosa, i prodotti stantii.
Allora continua Pagliarani, e ci troviamo d’accordo con lui, è utile recuperare il coraggio della Bellezza come
quell’atteggiamento di accettazione dei contrasti, degli stridori e dei paradossi istituzionali/organizzativi. Un
approccio che mira alla generatività e creazione degli individui, i quali diventano capaci di accogliere le
imperfezioni della vita organizzativa, sanno cogliere quello che giace oltre il dato oggettivo, che spesso è
muto, e sanno accettare i processi mal funzionanti sapendoli ricomporre, ri-creare e ri-pensare in modo
nuovo, creativo. E’ un atteggiamento che vede nelle speculazioni sui sistemi di Prigogine (ibidem 2001)
concetti per mettere insieme soggettivo-oggettivo e dare ragione della completa e reale interazione tra
soggettivo ed oggettivo. Prigogine è uno scienziato capace di affiancare al sistema rigido delle categorie
l’importanza storica dell’individuo e la scienza alla poesia e all’estetica8.
Conclusioni
Concludendo e sintetizzando, ci lasciamo e rimandiamo al bel dipinto di Frida Kahlo9 che illustra appunto il
collegamento e le connessioni tra radici antiche e modernità, illustrando appunto come le radici non solo
nutrono la tecnologia ma fanno con esse rizoma, creano connessioni, alimentano conoscenza, sono
qualcosa tra un essere vivente ed una macchina. Per vedere tutto questo non ci servono molti strumenti e
metodi, ma abbiamo a disposizione un concetto/approccio che li sintetizza tutti, e di cui abbiamo discusso,
il concetto di rizoma che ci apre e conduce verso quello di Bellezza, nel senso che abbiamo cercato di
costruire in questa esposizione. I versi del poeta Keats10, suggeriti ancora da L. Pagliarani, ci aiutano
davvero a concludere queste riflessioni e ne indicano tutta la pregnanza:” La Bellezza è la Verità, la Verità
è Bellezza, questo è tutto ciò che conoscete sulla Terra, e tutto ciò che vi occorre conoscere”.
Bibliografia
Bion, W.R. (1973), Attenzione ed Interpretazione, Roma: Armando (ed.orig.1970).
8
Prigogine (1979). Saggio Vulcaniani e Nettuniani in Forti- Varchetta (2001) “ Dall’economia politica siamo arrivati
dunque all’estetica; esse si collegano più di quanto non si potrebbe pensare..”9
Frida Kahlo - autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti
10
Ode ad un’urna Greca
9
Carli, R., (2004), Intervento al II convegno Congresso Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, da titolo “L’identità
della professione psicologica e la costruzione di una epistemologia comune”.
Deleuze G., Guattari F., (2003), Millepiani. Capitalismo e Schizofrenia, Roma: Castelvecchi Editore (ed.orig.
1980).
ENRIQUEZ E., (1991), L’istituzione e le Istituzioni, Roma: Borla
FORTI D.-VARCHETTA G. (2003), L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Milano: Franco
Angeli.
SPALTRO E., DE VITO PISCICELLI P., (2008) Psicologia per le organizzazioni. Teoria e pratica del comportamento
organizzativo, Roma: Carocci Editore.
Strati , A., (2008), L’analisi Organizzativa, Roma: Carocci Editore
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