DONNE NELLA STORIA

DONNE NELLA STORIA

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Ogni volume della collana è sottoposto al giudizio di due blind referees.
DONNE NELLA STORIA
Quante vite, esperienze e profili di donne sono ancora nascoste nelle pieghe della storia? A questa domanda è difficile rispondere. Nonostante la
straordinaria quantità di documenti emersi grazie al pregevole lavoro della
storiografia a partire dagli anni Settanta, ancora molto resta nascosto, implicito, non detto, in particolare quando si guarda allo straordinario archivio del
vissuto femminile. La collana “Donne nella storia” si propone di dare voce
alle vite disperse, recuperando profili biografici misconosciuti, seguendo i
labili segni rappresentati talvolta soltanto da sparsi e frammentari indizi, di
raccogliere testimonianze preziose per recuperare le tracce che le donne
hanno lasciato nel loro esistere nel mondo, e infine di individuare i percorsi,
faticosamente conquistati con lacrime e sangue, con straordinaria tenacia e
consapevolezza. Ridare vita e colore a immagini sfocate, riportare al nitore
le tinte sbiadite si pone come finalità prioritaria della collana, aperta a contributi di taglio interdisciplinare, in un arco cronologico di ampio respiro che
sottolinei continuità e fratture, spinte in avanti e pericolosi regressi, successi
e delusioni, in linea con le più attuali tendenze di ricerca degli women’s
studies.
Letizia Lanza
Donne e società
Genealogia di genere
ai tempi della Serenissima
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno 
alla memoria di Francesca Trentin Baratto,
splendida donna di cultura e di garbo
o l’ovale che rimane vergine
il sorriso tenue come ponte
di ferro ma anche di pietra
di roccia primitiva
che vuole a tutti i costi mantenere
il passaggio
una madonna fuori dalla chiesa
sulla soglia nella calle
a servire dei piatti e coppe di spuma
a conversare con la pelle
e con gli occhi
Rino Cortiana, Attorno a La sacra conversazione di Carpaccio
Indice
Parte I
Echi di varia femminilità

Tra mito e storia

Donne, lavoro, moda

Donne, spettacolo, sport

Monache e monasteri

Donne e violenza, tra vittime e colpevoli

Donne eroiche e regali. Dogi e dogaresse
Intermezzo

Donne sotto la lente degli uomini
Parte II
Genealogia e simbolico di genere

Scrittura femminile, tra Medioevo e Umanesimo

Donne e amori

Una cortigiana “honesta”

Donne e società


Donne e “merito”

Una voce dal ghetto

Una voce dal chiostro

Una magnifica “eccezione”

Donne, musica, pittura

Una donna per le donne

Donne e giornalismo

Donne, salotti, casini. Tra giuoco e scrittura

Donna è più
P I
ECHI DI VARIA FEMMINILITÀ
Tra mito e storia
Lunga e complessa, è risaputo, la storia della Dominante .
Le leggende e così pure talune cronache parlano di due Venetiae nel Nordest d’Italia, la prima delle quali, con capitale
Aquileia, fondata dagli esuli di Troia agli esordi del secondo
millennio a.C. — «“Premierement furent i Troians” narrava ancora nel Trecento il celebre cronachista Martin da Canal, sulla
scia di un racconto già pienamente sedimentato» — mentre la
secunda «si affidava. . . a un’altra storia, a un altro inizio mitico:
la calata di Attila nel  d.C., giunto a portare distruzione in
tutta la pianura padana. . . Dal saccheggio di Aquileia, Altino e
Concordia» da parte degli Unni, con la conseguente necessità
di «individuare lidi tranquilli da parte dei loro abitanti, sarebbe sorta la vita nelle lagune», conglomerandosi sopra tutto in
. Secondo gli antichi abitanti Venezia «era già presente nella mente di Dio
fin dalla creazione del mondo. La città, come Maria, era da considerare vergine,
in quanto non sarebbe mai stata violata da dominio straniero. La tradizione locale
volle che. . . fosse fondata nel giorno in cui l’Angelo annunciò a Maria l’inizio di una
nuova era di amore, speranza e salvezza dell’umanità», perciò i cittadini «scelsero di
far coincidere il giorno dell’Annunciazione, il  marzo, con la fondazione» nell’anno
 d.C. «Si tramanda infatti che il generale bizantino Narsete, liberatore dell’Italia
dai Goti, in quella data simbolica» abbia decretato «l’avvio della costruzione» della
Chiesa di S. Giacometto a Rialto, la più antica di tutte. L’immagine dell’Annunziata
è «diffusissima ovunque, in luoghi esterni e interni, edifici civili e religiosi. . . come
solo il culto della Protettrice più amata e onorata può spiegare: dalla cattedrale di
Torcello alla basilica di San Marco, dal ponte di Rialto all’Angelo annunziante sulla
cima del campanile di San Marco, dall’iscrizione unde origo, inde salus nella chiesa
della Madonna della Salute. . . fino alla recente statua, eretta sul piazzale della stazione
di Santa Lucia», M.P. Miani in Storia di Venezia città delle donne. Guida ai tempi, luoghi e
presenze femminili. Testo storico di T. Plebani. Introduzione di F. Bimbi. Contributi di
F. Ambrosini, A. Barina, A. Bellavitis, C. Broccato, F. Caltarossa, P. Caraffi, I. Crotti,
D. Davanzo Poli, A. Dellisanti, N.M. Filippini, L. Gazzetta, S. Girardini, L. Guzzetti,
M. Luce, F. Medioli, M.P. M., M.P. Pedani, D. Perocco, T. P., M. Puricelli, C.M. Sama,
M.T. Sega, F. Sorelli, Venezia , p. . I puntini sono miei.


Donne e società
centoventuno insulae, piccole cellule urbanistiche separate da
canali ma, nel tempo, collegate tra loro da più di quattrocento
ponti a formare un unicum fisico spartito in due dal Canal Grande o Canalazzo: una vita, beninteso, «non di poveri profughi
poiché, come racconta sempre Martin da Canal, “questi uomini
e donne nobili portarono con sé oro e argento in grande quantità. . . ed edificarono nella città maggiore. . . settanta chiese,
complete di grandi campanili e di campane e sparsi per l’acqua
salsa conventi in gran quantità”» .
Tra i fuggiaschi secondo alcuni testimoni c’è pure una donna
speciale, la regina Adriana di Padova: in certi racconti infatti
Attila, «procedendo di distruzione in distruzione» giunse nella
città patavina «sotto mentite spoglie. Lì governava il buon re
Gilius, che affrontò a scacchi lo sconosciuto. Nel corso della
partita avvenne il riconoscimento, seguito da un duello. Nello
scontro Gilius morì», e dopo un «periglioso viaggio in nave
con le sue ancelle e i suoi beni», la regina orbata dello sposo
giunse alla gronda lagunare, «scelse un’isola dalla terra molto
dura, il sestiere che ancora oggi si chiama Dorsoduro, e creò il
primo insediamento e le fondamenta della chiesa di Raffaele
Arcangelo» .
Insieme alla leggendaria Adriana, un’altra autorevole donna
«fa capolino tra le maglie del fitto racconto delle origini. . . lasciando tracce anche nella topografia veneziana: Elena» madre
dell’imperatore Costantino, devota pellegrina in Terrasanta dove ha la ventura di rinvenire la Croce di Cristo. «Questa volta
lo sfondo. . . si radica in una dimensione religiosa» che intende
fornire «legittimità spirituale ed ecclesiastica alla sorgente civiltà lagunare»: quando infatti, a seguito delle migrazioni causate
dalle scorrerie germaniche, Grado si arricchì «dei resti della
splendente Aquileia e vi furono trasportate reliquie, ricchezze,
mosaici e colonne marmoree, l’imperatore d’Oriente, Eraclio,
inviò al patriarca gradense Primigenio la famosa Cattedra di
. T. Plebani, ibidem, p. . I puntini sono miei.
. Ibidem, p. .
Tra mito e storia

San Marco, scolpita in alabastro, che proprio l’imperatrice Elena
aveva fatto trasportare da Alessandria a Costantinopoli»: inglobata dapprima nel tesoro della Chiesa di S. Eufemia, dopo un
secolare intervallo venne spostata a Venezia e custodita nella
Basilica di S. Marco. «Secondo un’altra leggenda, una nave giunta da Costantinopoli che trasportava, insieme a molte merci,
il corpo di sant’Elena, si sarebbe incagliata in alcune secche»
dietro l’Isola di Olivolo a S. Pietro di Castello, e «solo dopo aver
depositato a terra l’urna», sarebbe riuscita a ripartire»; in seguito Olivolo venne consacrata alla sovrana e nel  fu costruita
una cappella «in cui furono accolte le sue reliquie» .
Ora, al di là dei più o meno mitici racconti sulle origini,
grazie anche al suffragio delle numerose ricerche archeologiche compiute in laguna è ormai ampiamente dimostrato
come, in epoca romana e preromana, la futura Serenissima
sia già una macchina complessa ed evoluta, una rete di porti,
ormeggi, scambi attestata su Mazzorbo e Burano verso Altino,
su Malamocco verso Padova. Fino dall’età micenea infatti essa rappresenta uno snodo importante «all’incrocio d’itinerari
commerciali terrestri, fluviali e marittimi» che attraversano
l’Europa dall’Occidente al mondo ellenico e vice versa. La navigazione interna è garantita da un percorso acqueo chiamato
Septem maria, che consente il procedere delle imbarcazioni al
riparo dal mare aperto da Ravenna fino ad Altino ed è dotato di naturali scali intermedi: Chioggia, Portosecco, il lido di
Pellestrina e soprattutto quello di Malamocco che apre l’immediato «contatto con il mare. Fu quindi luogo di precoci scelte
insediative e probabilmente anche di primordiali interventi di
canalizzazione e di bonifica» .
Sicuramente prezioso, per la crescita della nuova urbs–civitas,
fu pure l’apporto degli antichi abitatori del territorio veneto —
i mitici Enetoi di omerica ed euripidea e liviana memoria, sti-
. Ibidem, pp. –. Puntini miei.
. Ibidem, pp. –.

Donne e società
mati allevatori di buoi e di cavalli provenienti dalla Paflagonia
ricordati anzi tutto in Iliade . , nel Catalogo delle navi, il cui
nome forse deriva da un’antica radice i.e. *wen (“amare”: dunque “amati” o “amabili”) — e altresì fondamentale il retaggio
della civilità atestina con i suoi importanti centri abitativi, tra
cui in primis Este. In un momento assai più tardo, ovvero nei
secoli undicesimo e dodicesimo dell’era cristiana, con maggiore chiarezza si delinea la specificità dell’inimitabile città–mondo
nata dalla laguna — a quel tempo appunto estesa da Aquileia a
Ravenna e caratterizzata a meridione da spazi vallivi intersecati
da elementi barenicoli e fluviali.
È dunque dalla concatenazione di molti elementi che prende
il via la Repubblica timocratica di Venezia destinata a divenire,
tra molte luci e non poche ombre , uno degli Stati più longevi
e invidiati oltre che doviziosi del nostro Occidente — se è vero
che, agli inizi del Quattrocento, le sue entrate comprensive dei
proventi da terra e da mar ammontano a un milione e mila
. Da qui probabilmente il nome antico di Jesolo, Equilus.
. Anche a non voler credere al mito nero — confutato con veemenza, tra gli altri,
dalla patrizia Giustina Renier Michiel — ossia l’atteggiamento antiveneziano che si
sviluppa nella prima metà dell’Ottocento, prendendo le mosse, «in prima battuta, da
un filone storiografico: il conte Pierre Daru, avendo letto alcuni documenti segreti
della Repubblica, portati a Parigi all’inizio della dominazione francese (–),
aveva dato alle stampe nel  una versione molto personale della Storia di Venezia.
Così l’opinione pubblica internazionale aveva cominciato a considerare Palazzo
Ducale come sede di antiche ingiustizie, di soprusi, di inique sentenze da parte di una
aristocrazia dispotica, crudele, assetata di potere. Il preromanticismo aveva aggiunto
del suo e la fantasia aveva arricchito gli aspetti più foschi di quella lunghissima vita
istituzionale. Gli spiriti inquieti che venivano a visitare Venezia la vivevano come il
luogo più seducente, equivoco, malsano, intrigante di tutto il mondo occidentale.
È logico che a una persona come Giustina Renier, nelle cui vene scorre il sangue
delle massime espressioni di governo della città, bruci molto questa visione ingiusta
della Serenissima. Così quando Giustina, avanti con gli anni, incontra in un salotto
il visconte de Chateaubriand, alla sua espressione su Venezia, c’est une ville contre
Nature ella, in perfetto francese, risponde: Non, ce n’est pas contre Nature, Monsieur,
c’est au dessus de la Nature que Venise s’est élevée», D. Milani Vianello, Venezia. Salotti e
salottiere, Venezia , p. . Sulla dosetta vd. infra.
. Sull’ostentazione medievale di sfarzo e di potenza vuoi in Italia vuoi negli Stati europei, nonché sulla mercatura e la produttività in genere a Venezia vd.
determinatamente F. Mutinelli, Del commercio dei Veneziani, Venezia .
Tra mito e storia

ducati d’oro , di contro al milione del regno di Francia e ai
mila di Spagna e Inghilterra : non per caso in pieno Seicento il ducato d’oro veneziano, «di peso costante nei secoli (tre
grammi e mezzo d’oro)», continua a dominare «incontrastato,
come riferimento per ogni valutazione economica, in Europa e
in Asia. Con un ducato si pagava un abito non di gran lusso o
una ricca cena tra amici; farsi costruire un palazzetto sul Canal
Grande poteva costare sui . ducati. Erano considerati ricchi coloro che avevano una rendita annua fra i  e i .
ducati, ma vi erano molti nobili di scarse risorse costretti a
vivere con  ducati all’anno o anche meno» .
Una inverisimile città–stato che, per Francesco Petrarca, «è
“mundus alter”; per l’imperatore Giovanni VIII Paleologo è, nel
, “alterum Bisantium”; per il domenicano tedesco Felix Faber, alla fine del Quattrocento, è “tamquam altera Hierusalem”;
per Francesco Sansovino è, nel , “nobilissima et singolare”.
A queste voci se ne potrebbero accostare moltissime altre» ,
qualcuna anche in negativo, «a partire dal francese Jean Bodin,
che per primo mise in discussione la presunta perfezione dello
stato marciano» .
Oltre che alimentato dall’acqua, l’antico cuore di Venezia è
«anche agricolo, rurale» e parla «di uomini e donne al lavoro
di campi, di vigne, di bambini intenti a sorvegliare capre e
maiali». Attività femminili sono da sempre «le varie fasi di pro. Così definiti, si sa, perché coniati da un’autorità ducale. Per prime si diffondono le monete d’argento emesse da Ruggero II con il figlio duca di Puglia nel 
e da Guglielmo I nel ; poi, sempre d’argento, quelle coniate a Venezia dal doge
Enrico Dandolo intorno al , successivamente denominate grossi o matapani;
il termine ducato passa a designare la moneta d’oro purissimo — più tardi, dalla
metà ca. del secolo quindicesimo, detta zecchino (Cecchino) — emessa da Giovanni
Dandolo nel ; seguono quindi le emissioni “ducali” del Papa, dell’Impero, di
Milano, di Rodi, di Savoia, di Urbino, etc.
. Cfr. G. Mezzetti, L’evoluzione dell’ambiente mondo, Firenze , p. .
. A. Manetti, Antonia Bembo. Una musicista veneziana alla corte del Re Sole.
Prefazione di D. Zamburlin, Venezia , p. .
. R. Rugolo, Il mito di Elena. «Unica fosti», Venezia , pp. –.
. Ibidem, p.  nota .

Donne e società
duzione e conservazione degli alimenti, quindi non è difficile
interpretare i tempi e i ritmi della vita» all’epoca, con le donne
impegnate pure «in altre occupazioni: i documenti più antichi
enumerano vari mestieri riguardanti la caccia, la pesca , la pastorizia, l’agricoltuta, la vittuaria collegandoli. . . alle famiglie».
Per esempio «i Ciresseos» sono «portatori di carri trainati da
buoi, i Veneri» trasportano «rape, cavoli e porri, i Vanari» sono
«allevatori di maiali e così via». Il lavoro è dunque «un’attività
condivisa» dall’intero nucleo familiare e in particolare le donne
sono «produttrici e lavoratrici a fianco del marito, come illustra
bene un passaggio dalla Cronaca Altinate» — ovvero una delle
più antiche testimonianze storiche superstiti: Hetolus cum matrona uxore sua seu et filiorum quorum iumentas et equibus erant
vardatores.
Specialmente a Torcello, tra i secoli decimo e undicesimo la
dieta degli abitanti è di discreta qualità, prevedendo una equilibrata «integrazione tra il pesce», vuoi molluschi vuoi pesci di
mare aperto, e la carne, sopra tutto «capro–ovini ma anche bovini». Un recente scavo archeologico dell’Università Ca’ Foscari
. Assai curiosa la novecentesca poesia “visiva” di una poeta newyorkese, Judith
Baumel, dal titolo Fish Speaking Veneto Dialect: «I / gastro / nomi / fanno notare /
che il pesce / dell’Adriatico / è tra il migliore / del mondo. E cos’ha il / pesce da
dire al riguardo? / Niente, altrimenti che pesce / sarebbe? Muto come un pesce, /
come recita un detto italiano. / Dovremmo imparare da questo e / forse non stare
proprio zitti ma / chiacchierare un po’ meno. Al principio. . . / c’era il pesce quando
nel Veneto, subito dopo / l’anno , la gente della terraferma cercò / rifugio in un
piccolo gruppo di isole disseminate / appena sopra la superficie dell’acqua attorno
ad un / canale profondo, il rivus prealtus. Pesce, tanto / tanto pesce, a Venezia e
Chioggia, a Murano e / Burano, dove i pescatori più modesti creano il / più intricato
e delicato dei merletti. Il pesce è / un vero democratico, la sua metamorfosi è /
piuttosto un adattamento all’ambiente e / alla situazione. Povero con il povero, /
ricco con il ricco. Certamente nel / passato, ma oggi. . . dipende, / tutto il mondo
sta / cambiando. / Una storia / dell’umanità / vista dai pesci / non è ancora stata
scritta. / Ma deve includere il Doge Andrea Gritti / (la cui mole imponente è stata
dipinta varie volte da Tiziano) / che morì il  dicembre  alla venerabile età di
 anni, dopo / aver gustato un enorme pranzo di anguilla allo spiedo. Requiescat in
pace», Gondola Signore Gondola. Venice in th Century American Poetry. Venezia nella
Poesia Americana del Novecento, a cura di R. Mamoli Zorzi–G. Dowling, Venezia ,
pp. –.
. T. Plebani in Storia di Venezia, cit., pp. –. I puntini sono miei.
Tra mito e storia

ha riportato alla luce «un ampio settore di un quartiere abitativo
altomedievale (di X–XI secolo) formato da una serie di case
completamente in legno», che, come d’abitudine, affacciano su
un campiello «con un pozzo–cisterna per la raccolta dell’acqua
piovana. Le analisi archeobotaniche in corso», condotte «sui
semi e sui resti vegetali», attestano già nei secoli quarto e quinto
d.C. la presenza di «specie orticole (tra cui i cetrioli)», e sopra
tutto di «viti e alberi da frutto», con produzione specialmente
di pesche. Inoltre, «i resti organici all’interno di anfore sia tardoantiche che altomedievali», utilizzate per contenere olio e
vino «provenienti dal Mediterraneo Orientale e dall’Italia Meridionale», confermano che Torcello «ha avuto un ruolo di scalo
portuale fino a partire dalla tarda antichità» .
Ora, se nell’arcipelago lagunare la caccia, la pesca, le saline ,
gli orti, l’allevamento, l’artigianato caratterizzano l’economia
degli inizi, come giustamente ricorda M. Zanetto in un suo
volume a scansione cronologico–tematica, «sin dalle prime fasi
dell’Età medievale — sin da quando la capitale lagunare era
ubicata dapprima a Cittanova o Eraclea (nel  viene scelto
localmente il primo Doge, l’Hypatos Orso), poi a Metamaucum, dal  all’, con il dogale Hypatos Deusdedit, e infine a
Rivoalto (denominata Civitas Venetiarum o, più popolarmente,
Venetia a partire dalla fine del XII secolo) durante il dogado di
Agnolo Particiaco, il vero punto di forza del contesto marciano
si individua nei traffici commerciali e marittimi» .
. E. Tantucci, Torcellani, popolo di allevatori, “la Nuova di Venezia e Mestre”, 
gennaio , p. .
. Dove il sale «veniva prodotto attraverso la creazione di fundamenta, recinzioni
di pietra circondate da argini e dotate di saracinesche per far defluire l’acqua», T.
Plebani in Storia di venezia, cit., p. .
. M. Zanetto, Donne veneziane. Sensibilità e volontà femminili nella Serenissima,
Firenze , p. . Come noto «la laguna era, dapprima, una Provincia decentrata
dell’Impero bizantino, e, dal , sempre con l’Hypatos Orso, diventa un Ducato
sostanzialmente sempre più autonomo dall’egida di Costantinopoli, per approdare
poi, in seguito, nel , alla forma comunale e infine, nel Tre–Quattrocento, alla
definitiva configurazione, mantenuta sino al tramonto statuale, della Repubblica
aristocratica. A Venezia ha comandato stabilmente e collegialmente, a partire dalla
Serrata del Maggior Consiglio del –, un patriziato ereditario (formatosi in

Donne e società
Oltre ai prodotti ittici, tra i numerosi oggetti di scambio
si trovano specialmente sale, vino, spezie, derrate (biade e
frumento in primis); merci varie come le stoffe — i «panni. . .
distinti secondo la città dalla quale provenivano e della quale
portavano il nome». Tra le non poche attività protoindustriali,
destinate anch’esse a crescere d’importanza e dimensione, la
più antica, quella del vetro, inizia a prosperare nel dodicesimo
secolo e verrà regolata, a partire dal successivo, con leggi speciali; fiorentissime pure le fabbriche «di velluti e di drappi d’oro» .
Con il passare del tempo, sempre di più la città anfibia assume le caratteristiche di «un emporio, un porto. . . uno snodo
importantissimo degli scambi tra le due grandi aree economiche dell’Occidente europeo e dell’Oriente mediterraneo». Si
moltiplicano i «mercanti, gli armatori di navi, gli operatori nel
campo della proprietà edilizia, gli investitori finanziari, gli artigiani spesso molto specializzati, i professionisti come i notai e i
medici, gli operatori dei servizi»; accanto a loro, tutta una serie
di «manovalanze: lavoranti a commissione, barcaioli, marinai,
servitori, pescatori, facchini», ma, al tempo stesso, pure una
quantità di uomini e donne che, «per necessità o per gusto», si
muove «ai margini della legge o anche contro di essa» .
Nella fattispecie, tra quanti non richiedono la cittadinanza
molte e molti sono «vagabondi, poveri e delinquenti che, soprattutto in tempi di carestia e di instabilità sociale», cercano
nella città «riparo e fortuna: metà degli imputati di furto» sono
stranieri. «Anche se in quantità assai meno rilevante», le stesse
donne diventano «protagoniste di episodi di sottrazione di beni
e denari: Giovanna, istriana, rubava nel  una tovaglia da un
gran parte grazie alle fortune accumulate negli affari marittimo–commerciali) che si
autodefinisce nobiltà (i nobili “veri” erano in realtà pochi)». Esaurienti le indicazioni
documentarie e bibliografiche del volume (pp.  ss.).
. P.G. Molmenti, Curiosità di storia veneziana, Bologna , pp. ;  (puntini
miei). Sulle spezie ed altre tipicità alimentari vd. G. Rorato, Origini e storia della cucina
veneziana, Venezia .
. G. Scarabello, Meretrices. Storia della prostituzione a Venezia tra il XIII e il XVIII
secolo. Ricerca iconografica di G. Regazzo, Venezia  , p. . I puntini sono miei.