DONNE NELLA STORIA Direttore Antonella C Università degli Studi di Foggia Comitato scientifico José Manuel A S Giovanni I Università Pontificia di Salamanca Università di Milano Mercedes A F Dobrochna K Università di Siviglia Jagiellonian University Vittoria B Laura L Università di Bari Franklin College di Lugano Rita C Milagro M C Università di Wuppertal Università di Salamanca Androniki D Eugenia M Università di Tessaglia Università Autónoma di Madrid Paola Maria F Michelle M Università di Bologna Rosemont College, Pennsylvania Maria G S Kristen D. N University of Miami Paedagogische Hochschule Heidelberg Angela G Natalia N Università di Urbino Yaroslav State Pedagogical University Estela G S Maria Pia P Università di Oviedo Scuola Normale Superiore, Università di Pisa José María H D Luisa S Università di Salamanca CNR, Milano Margot H Massimo S Australian Catholic University Università di Catania Montserrat H Patricia V Università Carlos III, Madrid University of British Columbia Comitato redazionale Michela C Enrica G Università di Sassari Università di Ferrara Daniele C José Luis H H Universidad de Sevilla Universidad de Valladolid Barbara D S Elena M Università degli Studi di Foggia Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Paola D T Gabriella S Università degli Studi di Verona Università di Milano–Bicocca Ogni volume della collana è sottoposto al giudizio di due blind referees. DONNE NELLA STORIA Quante vite, esperienze e profili di donne sono ancora nascoste nelle pieghe della storia? A questa domanda è difficile rispondere. Nonostante la straordinaria quantità di documenti emersi grazie al pregevole lavoro della storiografia a partire dagli anni Settanta, ancora molto resta nascosto, implicito, non detto, in particolare quando si guarda allo straordinario archivio del vissuto femminile. La collana “Donne nella storia” si propone di dare voce alle vite disperse, recuperando profili biografici misconosciuti, seguendo i labili segni rappresentati talvolta soltanto da sparsi e frammentari indizi, di raccogliere testimonianze preziose per recuperare le tracce che le donne hanno lasciato nel loro esistere nel mondo, e infine di individuare i percorsi, faticosamente conquistati con lacrime e sangue, con straordinaria tenacia e consapevolezza. Ridare vita e colore a immagini sfocate, riportare al nitore le tinte sbiadite si pone come finalità prioritaria della collana, aperta a contributi di taglio interdisciplinare, in un arco cronologico di ampio respiro che sottolinei continuità e fratture, spinte in avanti e pericolosi regressi, successi e delusioni, in linea con le più attuali tendenze di ricerca degli women’s studies. Letizia Lanza Donne e società Genealogia di genere ai tempi della Serenissima Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno alla memoria di Francesca Trentin Baratto, splendida donna di cultura e di garbo o l’ovale che rimane vergine il sorriso tenue come ponte di ferro ma anche di pietra di roccia primitiva che vuole a tutti i costi mantenere il passaggio una madonna fuori dalla chiesa sulla soglia nella calle a servire dei piatti e coppe di spuma a conversare con la pelle e con gli occhi Rino Cortiana, Attorno a La sacra conversazione di Carpaccio Indice Parte I Echi di varia femminilità Tra mito e storia Donne, lavoro, moda Donne, spettacolo, sport Monache e monasteri Donne e violenza, tra vittime e colpevoli Donne eroiche e regali. Dogi e dogaresse Intermezzo Donne sotto la lente degli uomini Parte II Genealogia e simbolico di genere Scrittura femminile, tra Medioevo e Umanesimo Donne e amori Una cortigiana “honesta” Donne e società Donne e “merito” Una voce dal ghetto Una voce dal chiostro Una magnifica “eccezione” Donne, musica, pittura Una donna per le donne Donne e giornalismo Donne, salotti, casini. Tra giuoco e scrittura Donna è più P I ECHI DI VARIA FEMMINILITÀ Tra mito e storia Lunga e complessa, è risaputo, la storia della Dominante . Le leggende e così pure talune cronache parlano di due Venetiae nel Nordest d’Italia, la prima delle quali, con capitale Aquileia, fondata dagli esuli di Troia agli esordi del secondo millennio a.C. — «“Premierement furent i Troians” narrava ancora nel Trecento il celebre cronachista Martin da Canal, sulla scia di un racconto già pienamente sedimentato» — mentre la secunda «si affidava. . . a un’altra storia, a un altro inizio mitico: la calata di Attila nel d.C., giunto a portare distruzione in tutta la pianura padana. . . Dal saccheggio di Aquileia, Altino e Concordia» da parte degli Unni, con la conseguente necessità di «individuare lidi tranquilli da parte dei loro abitanti, sarebbe sorta la vita nelle lagune», conglomerandosi sopra tutto in . Secondo gli antichi abitanti Venezia «era già presente nella mente di Dio fin dalla creazione del mondo. La città, come Maria, era da considerare vergine, in quanto non sarebbe mai stata violata da dominio straniero. La tradizione locale volle che. . . fosse fondata nel giorno in cui l’Angelo annunciò a Maria l’inizio di una nuova era di amore, speranza e salvezza dell’umanità», perciò i cittadini «scelsero di far coincidere il giorno dell’Annunciazione, il marzo, con la fondazione» nell’anno d.C. «Si tramanda infatti che il generale bizantino Narsete, liberatore dell’Italia dai Goti, in quella data simbolica» abbia decretato «l’avvio della costruzione» della Chiesa di S. Giacometto a Rialto, la più antica di tutte. L’immagine dell’Annunziata è «diffusissima ovunque, in luoghi esterni e interni, edifici civili e religiosi. . . come solo il culto della Protettrice più amata e onorata può spiegare: dalla cattedrale di Torcello alla basilica di San Marco, dal ponte di Rialto all’Angelo annunziante sulla cima del campanile di San Marco, dall’iscrizione unde origo, inde salus nella chiesa della Madonna della Salute. . . fino alla recente statua, eretta sul piazzale della stazione di Santa Lucia», M.P. Miani in Storia di Venezia città delle donne. Guida ai tempi, luoghi e presenze femminili. Testo storico di T. Plebani. Introduzione di F. Bimbi. Contributi di F. Ambrosini, A. Barina, A. Bellavitis, C. Broccato, F. Caltarossa, P. Caraffi, I. Crotti, D. Davanzo Poli, A. Dellisanti, N.M. Filippini, L. Gazzetta, S. Girardini, L. Guzzetti, M. Luce, F. Medioli, M.P. M., M.P. Pedani, D. Perocco, T. P., M. Puricelli, C.M. Sama, M.T. Sega, F. Sorelli, Venezia , p. . I puntini sono miei. Donne e società centoventuno insulae, piccole cellule urbanistiche separate da canali ma, nel tempo, collegate tra loro da più di quattrocento ponti a formare un unicum fisico spartito in due dal Canal Grande o Canalazzo: una vita, beninteso, «non di poveri profughi poiché, come racconta sempre Martin da Canal, “questi uomini e donne nobili portarono con sé oro e argento in grande quantità. . . ed edificarono nella città maggiore. . . settanta chiese, complete di grandi campanili e di campane e sparsi per l’acqua salsa conventi in gran quantità”» . Tra i fuggiaschi secondo alcuni testimoni c’è pure una donna speciale, la regina Adriana di Padova: in certi racconti infatti Attila, «procedendo di distruzione in distruzione» giunse nella città patavina «sotto mentite spoglie. Lì governava il buon re Gilius, che affrontò a scacchi lo sconosciuto. Nel corso della partita avvenne il riconoscimento, seguito da un duello. Nello scontro Gilius morì», e dopo un «periglioso viaggio in nave con le sue ancelle e i suoi beni», la regina orbata dello sposo giunse alla gronda lagunare, «scelse un’isola dalla terra molto dura, il sestiere che ancora oggi si chiama Dorsoduro, e creò il primo insediamento e le fondamenta della chiesa di Raffaele Arcangelo» . Insieme alla leggendaria Adriana, un’altra autorevole donna «fa capolino tra le maglie del fitto racconto delle origini. . . lasciando tracce anche nella topografia veneziana: Elena» madre dell’imperatore Costantino, devota pellegrina in Terrasanta dove ha la ventura di rinvenire la Croce di Cristo. «Questa volta lo sfondo. . . si radica in una dimensione religiosa» che intende fornire «legittimità spirituale ed ecclesiastica alla sorgente civiltà lagunare»: quando infatti, a seguito delle migrazioni causate dalle scorrerie germaniche, Grado si arricchì «dei resti della splendente Aquileia e vi furono trasportate reliquie, ricchezze, mosaici e colonne marmoree, l’imperatore d’Oriente, Eraclio, inviò al patriarca gradense Primigenio la famosa Cattedra di . T. Plebani, ibidem, p. . I puntini sono miei. . Ibidem, p. . Tra mito e storia San Marco, scolpita in alabastro, che proprio l’imperatrice Elena aveva fatto trasportare da Alessandria a Costantinopoli»: inglobata dapprima nel tesoro della Chiesa di S. Eufemia, dopo un secolare intervallo venne spostata a Venezia e custodita nella Basilica di S. Marco. «Secondo un’altra leggenda, una nave giunta da Costantinopoli che trasportava, insieme a molte merci, il corpo di sant’Elena, si sarebbe incagliata in alcune secche» dietro l’Isola di Olivolo a S. Pietro di Castello, e «solo dopo aver depositato a terra l’urna», sarebbe riuscita a ripartire»; in seguito Olivolo venne consacrata alla sovrana e nel fu costruita una cappella «in cui furono accolte le sue reliquie» . Ora, al di là dei più o meno mitici racconti sulle origini, grazie anche al suffragio delle numerose ricerche archeologiche compiute in laguna è ormai ampiamente dimostrato come, in epoca romana e preromana, la futura Serenissima sia già una macchina complessa ed evoluta, una rete di porti, ormeggi, scambi attestata su Mazzorbo e Burano verso Altino, su Malamocco verso Padova. Fino dall’età micenea infatti essa rappresenta uno snodo importante «all’incrocio d’itinerari commerciali terrestri, fluviali e marittimi» che attraversano l’Europa dall’Occidente al mondo ellenico e vice versa. La navigazione interna è garantita da un percorso acqueo chiamato Septem maria, che consente il procedere delle imbarcazioni al riparo dal mare aperto da Ravenna fino ad Altino ed è dotato di naturali scali intermedi: Chioggia, Portosecco, il lido di Pellestrina e soprattutto quello di Malamocco che apre l’immediato «contatto con il mare. Fu quindi luogo di precoci scelte insediative e probabilmente anche di primordiali interventi di canalizzazione e di bonifica» . Sicuramente prezioso, per la crescita della nuova urbs–civitas, fu pure l’apporto degli antichi abitatori del territorio veneto — i mitici Enetoi di omerica ed euripidea e liviana memoria, sti- . Ibidem, pp. –. Puntini miei. . Ibidem, pp. –. Donne e società mati allevatori di buoi e di cavalli provenienti dalla Paflagonia ricordati anzi tutto in Iliade . , nel Catalogo delle navi, il cui nome forse deriva da un’antica radice i.e. *wen (“amare”: dunque “amati” o “amabili”) — e altresì fondamentale il retaggio della civilità atestina con i suoi importanti centri abitativi, tra cui in primis Este. In un momento assai più tardo, ovvero nei secoli undicesimo e dodicesimo dell’era cristiana, con maggiore chiarezza si delinea la specificità dell’inimitabile città–mondo nata dalla laguna — a quel tempo appunto estesa da Aquileia a Ravenna e caratterizzata a meridione da spazi vallivi intersecati da elementi barenicoli e fluviali. È dunque dalla concatenazione di molti elementi che prende il via la Repubblica timocratica di Venezia destinata a divenire, tra molte luci e non poche ombre , uno degli Stati più longevi e invidiati oltre che doviziosi del nostro Occidente — se è vero che, agli inizi del Quattrocento, le sue entrate comprensive dei proventi da terra e da mar ammontano a un milione e mila . Da qui probabilmente il nome antico di Jesolo, Equilus. . Anche a non voler credere al mito nero — confutato con veemenza, tra gli altri, dalla patrizia Giustina Renier Michiel — ossia l’atteggiamento antiveneziano che si sviluppa nella prima metà dell’Ottocento, prendendo le mosse, «in prima battuta, da un filone storiografico: il conte Pierre Daru, avendo letto alcuni documenti segreti della Repubblica, portati a Parigi all’inizio della dominazione francese (–), aveva dato alle stampe nel una versione molto personale della Storia di Venezia. Così l’opinione pubblica internazionale aveva cominciato a considerare Palazzo Ducale come sede di antiche ingiustizie, di soprusi, di inique sentenze da parte di una aristocrazia dispotica, crudele, assetata di potere. Il preromanticismo aveva aggiunto del suo e la fantasia aveva arricchito gli aspetti più foschi di quella lunghissima vita istituzionale. Gli spiriti inquieti che venivano a visitare Venezia la vivevano come il luogo più seducente, equivoco, malsano, intrigante di tutto il mondo occidentale. È logico che a una persona come Giustina Renier, nelle cui vene scorre il sangue delle massime espressioni di governo della città, bruci molto questa visione ingiusta della Serenissima. Così quando Giustina, avanti con gli anni, incontra in un salotto il visconte de Chateaubriand, alla sua espressione su Venezia, c’est une ville contre Nature ella, in perfetto francese, risponde: Non, ce n’est pas contre Nature, Monsieur, c’est au dessus de la Nature que Venise s’est élevée», D. Milani Vianello, Venezia. Salotti e salottiere, Venezia , p. . Sulla dosetta vd. infra. . Sull’ostentazione medievale di sfarzo e di potenza vuoi in Italia vuoi negli Stati europei, nonché sulla mercatura e la produttività in genere a Venezia vd. determinatamente F. Mutinelli, Del commercio dei Veneziani, Venezia . Tra mito e storia ducati d’oro , di contro al milione del regno di Francia e ai mila di Spagna e Inghilterra : non per caso in pieno Seicento il ducato d’oro veneziano, «di peso costante nei secoli (tre grammi e mezzo d’oro)», continua a dominare «incontrastato, come riferimento per ogni valutazione economica, in Europa e in Asia. Con un ducato si pagava un abito non di gran lusso o una ricca cena tra amici; farsi costruire un palazzetto sul Canal Grande poteva costare sui . ducati. Erano considerati ricchi coloro che avevano una rendita annua fra i e i . ducati, ma vi erano molti nobili di scarse risorse costretti a vivere con ducati all’anno o anche meno» . Una inverisimile città–stato che, per Francesco Petrarca, «è “mundus alter”; per l’imperatore Giovanni VIII Paleologo è, nel , “alterum Bisantium”; per il domenicano tedesco Felix Faber, alla fine del Quattrocento, è “tamquam altera Hierusalem”; per Francesco Sansovino è, nel , “nobilissima et singolare”. A queste voci se ne potrebbero accostare moltissime altre» , qualcuna anche in negativo, «a partire dal francese Jean Bodin, che per primo mise in discussione la presunta perfezione dello stato marciano» . Oltre che alimentato dall’acqua, l’antico cuore di Venezia è «anche agricolo, rurale» e parla «di uomini e donne al lavoro di campi, di vigne, di bambini intenti a sorvegliare capre e maiali». Attività femminili sono da sempre «le varie fasi di pro. Così definiti, si sa, perché coniati da un’autorità ducale. Per prime si diffondono le monete d’argento emesse da Ruggero II con il figlio duca di Puglia nel e da Guglielmo I nel ; poi, sempre d’argento, quelle coniate a Venezia dal doge Enrico Dandolo intorno al , successivamente denominate grossi o matapani; il termine ducato passa a designare la moneta d’oro purissimo — più tardi, dalla metà ca. del secolo quindicesimo, detta zecchino (Cecchino) — emessa da Giovanni Dandolo nel ; seguono quindi le emissioni “ducali” del Papa, dell’Impero, di Milano, di Rodi, di Savoia, di Urbino, etc. . Cfr. G. Mezzetti, L’evoluzione dell’ambiente mondo, Firenze , p. . . A. Manetti, Antonia Bembo. Una musicista veneziana alla corte del Re Sole. Prefazione di D. Zamburlin, Venezia , p. . . R. Rugolo, Il mito di Elena. «Unica fosti», Venezia , pp. –. . Ibidem, p. nota . Donne e società duzione e conservazione degli alimenti, quindi non è difficile interpretare i tempi e i ritmi della vita» all’epoca, con le donne impegnate pure «in altre occupazioni: i documenti più antichi enumerano vari mestieri riguardanti la caccia, la pesca , la pastorizia, l’agricoltuta, la vittuaria collegandoli. . . alle famiglie». Per esempio «i Ciresseos» sono «portatori di carri trainati da buoi, i Veneri» trasportano «rape, cavoli e porri, i Vanari» sono «allevatori di maiali e così via». Il lavoro è dunque «un’attività condivisa» dall’intero nucleo familiare e in particolare le donne sono «produttrici e lavoratrici a fianco del marito, come illustra bene un passaggio dalla Cronaca Altinate» — ovvero una delle più antiche testimonianze storiche superstiti: Hetolus cum matrona uxore sua seu et filiorum quorum iumentas et equibus erant vardatores. Specialmente a Torcello, tra i secoli decimo e undicesimo la dieta degli abitanti è di discreta qualità, prevedendo una equilibrata «integrazione tra il pesce», vuoi molluschi vuoi pesci di mare aperto, e la carne, sopra tutto «capro–ovini ma anche bovini». Un recente scavo archeologico dell’Università Ca’ Foscari . Assai curiosa la novecentesca poesia “visiva” di una poeta newyorkese, Judith Baumel, dal titolo Fish Speaking Veneto Dialect: «I / gastro / nomi / fanno notare / che il pesce / dell’Adriatico / è tra il migliore / del mondo. E cos’ha il / pesce da dire al riguardo? / Niente, altrimenti che pesce / sarebbe? Muto come un pesce, / come recita un detto italiano. / Dovremmo imparare da questo e / forse non stare proprio zitti ma / chiacchierare un po’ meno. Al principio. . . / c’era il pesce quando nel Veneto, subito dopo / l’anno , la gente della terraferma cercò / rifugio in un piccolo gruppo di isole disseminate / appena sopra la superficie dell’acqua attorno ad un / canale profondo, il rivus prealtus. Pesce, tanto / tanto pesce, a Venezia e Chioggia, a Murano e / Burano, dove i pescatori più modesti creano il / più intricato e delicato dei merletti. Il pesce è / un vero democratico, la sua metamorfosi è / piuttosto un adattamento all’ambiente e / alla situazione. Povero con il povero, / ricco con il ricco. Certamente nel / passato, ma oggi. . . dipende, / tutto il mondo sta / cambiando. / Una storia / dell’umanità / vista dai pesci / non è ancora stata scritta. / Ma deve includere il Doge Andrea Gritti / (la cui mole imponente è stata dipinta varie volte da Tiziano) / che morì il dicembre alla venerabile età di anni, dopo / aver gustato un enorme pranzo di anguilla allo spiedo. Requiescat in pace», Gondola Signore Gondola. Venice in th Century American Poetry. Venezia nella Poesia Americana del Novecento, a cura di R. Mamoli Zorzi–G. Dowling, Venezia , pp. –. . T. Plebani in Storia di Venezia, cit., pp. –. I puntini sono miei. Tra mito e storia ha riportato alla luce «un ampio settore di un quartiere abitativo altomedievale (di X–XI secolo) formato da una serie di case completamente in legno», che, come d’abitudine, affacciano su un campiello «con un pozzo–cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Le analisi archeobotaniche in corso», condotte «sui semi e sui resti vegetali», attestano già nei secoli quarto e quinto d.C. la presenza di «specie orticole (tra cui i cetrioli)», e sopra tutto di «viti e alberi da frutto», con produzione specialmente di pesche. Inoltre, «i resti organici all’interno di anfore sia tardoantiche che altomedievali», utilizzate per contenere olio e vino «provenienti dal Mediterraneo Orientale e dall’Italia Meridionale», confermano che Torcello «ha avuto un ruolo di scalo portuale fino a partire dalla tarda antichità» . Ora, se nell’arcipelago lagunare la caccia, la pesca, le saline , gli orti, l’allevamento, l’artigianato caratterizzano l’economia degli inizi, come giustamente ricorda M. Zanetto in un suo volume a scansione cronologico–tematica, «sin dalle prime fasi dell’Età medievale — sin da quando la capitale lagunare era ubicata dapprima a Cittanova o Eraclea (nel viene scelto localmente il primo Doge, l’Hypatos Orso), poi a Metamaucum, dal all’, con il dogale Hypatos Deusdedit, e infine a Rivoalto (denominata Civitas Venetiarum o, più popolarmente, Venetia a partire dalla fine del XII secolo) durante il dogado di Agnolo Particiaco, il vero punto di forza del contesto marciano si individua nei traffici commerciali e marittimi» . . E. Tantucci, Torcellani, popolo di allevatori, “la Nuova di Venezia e Mestre”, gennaio , p. . . Dove il sale «veniva prodotto attraverso la creazione di fundamenta, recinzioni di pietra circondate da argini e dotate di saracinesche per far defluire l’acqua», T. Plebani in Storia di venezia, cit., p. . . M. Zanetto, Donne veneziane. Sensibilità e volontà femminili nella Serenissima, Firenze , p. . Come noto «la laguna era, dapprima, una Provincia decentrata dell’Impero bizantino, e, dal , sempre con l’Hypatos Orso, diventa un Ducato sostanzialmente sempre più autonomo dall’egida di Costantinopoli, per approdare poi, in seguito, nel , alla forma comunale e infine, nel Tre–Quattrocento, alla definitiva configurazione, mantenuta sino al tramonto statuale, della Repubblica aristocratica. A Venezia ha comandato stabilmente e collegialmente, a partire dalla Serrata del Maggior Consiglio del –, un patriziato ereditario (formatosi in Donne e società Oltre ai prodotti ittici, tra i numerosi oggetti di scambio si trovano specialmente sale, vino, spezie, derrate (biade e frumento in primis); merci varie come le stoffe — i «panni. . . distinti secondo la città dalla quale provenivano e della quale portavano il nome». Tra le non poche attività protoindustriali, destinate anch’esse a crescere d’importanza e dimensione, la più antica, quella del vetro, inizia a prosperare nel dodicesimo secolo e verrà regolata, a partire dal successivo, con leggi speciali; fiorentissime pure le fabbriche «di velluti e di drappi d’oro» . Con il passare del tempo, sempre di più la città anfibia assume le caratteristiche di «un emporio, un porto. . . uno snodo importantissimo degli scambi tra le due grandi aree economiche dell’Occidente europeo e dell’Oriente mediterraneo». Si moltiplicano i «mercanti, gli armatori di navi, gli operatori nel campo della proprietà edilizia, gli investitori finanziari, gli artigiani spesso molto specializzati, i professionisti come i notai e i medici, gli operatori dei servizi»; accanto a loro, tutta una serie di «manovalanze: lavoranti a commissione, barcaioli, marinai, servitori, pescatori, facchini», ma, al tempo stesso, pure una quantità di uomini e donne che, «per necessità o per gusto», si muove «ai margini della legge o anche contro di essa» . Nella fattispecie, tra quanti non richiedono la cittadinanza molte e molti sono «vagabondi, poveri e delinquenti che, soprattutto in tempi di carestia e di instabilità sociale», cercano nella città «riparo e fortuna: metà degli imputati di furto» sono stranieri. «Anche se in quantità assai meno rilevante», le stesse donne diventano «protagoniste di episodi di sottrazione di beni e denari: Giovanna, istriana, rubava nel una tovaglia da un gran parte grazie alle fortune accumulate negli affari marittimo–commerciali) che si autodefinisce nobiltà (i nobili “veri” erano in realtà pochi)». Esaurienti le indicazioni documentarie e bibliografiche del volume (pp. ss.). . P.G. Molmenti, Curiosità di storia veneziana, Bologna , pp. ; (puntini miei). Sulle spezie ed altre tipicità alimentari vd. G. Rorato, Origini e storia della cucina veneziana, Venezia . . G. Scarabello, Meretrices. Storia della prostituzione a Venezia tra il XIII e il XVIII secolo. Ricerca iconografica di G. Regazzo, Venezia , p. . I puntini sono miei.
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