LA BATTAGLIA DI MONTEROTONDO La storia di cui ci occuperemo in questa escursione riguarda la “Battaglia di Monterotondo”, avvenuta poche settimane prima dell'arrivo degli Alleati. Questa è una fra le tante azioni che i partigiani della IIIª brigata Garibaldi “Camicia Rossa” hanno compiuto nelle Colline Metallifere per dare il proprio contributo alla lotta per la democrazia e la libertà. Il paese di Monterotondo Prima di descrivere i fatti dello scontro armato è necessario ricordare brevemente la storia del movimento partigiano locale, anche per rendere omaggio a quegli uomini che volontariamente hanno dato la loro giovinezza e la loro vita per liberare l’Italia dalla dittatura fascista. Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, alla Marsiliana, presso Massa Marittima, si forma un piccolo nucleo di uomini, di diversa estrazione, che da origine alla “Banda del Massetano”, comandata da Elvezio Cerboni, che finirà fucilato dai tedeschi a Pisa nel giugno del 1944. A partire dal 6 novembre 1943 viene posto a capo della banda, il capitano Mario Chirici, massetano antifascista e repubblicano, proveniente da Pola, dove aveva già combattuto i tedeschi con i partigiani iugoslavi. Numerose furono le azioni e i combattimenti di questa formazione nel periodo tra l'armistizio dell'8 settembre 1943 e il giorno della liberazione avvenuta il 24 giugno 1944. Vi furono assalti alle caserme, attentati nelle retrovie, ma anche numerosi rastrellamenti dove persero la vita e furono catturati tanti partigiani. L'avvenimento che vogliamo ricordare ha inizio la sera del 9 giugno 1944 quando un gruppo numeroso di partigiani della IIIª Brigata Garibaldi entra nel paese di Monterotondo con lo scopo di requisire tutti i generi di prima necessità ammassati nel consorzio agrario e di distribuirli alla popolazione. La richiesta venne dal Comitato di Liberazione Nazionale cittadino, che nel frattempo aveva ordinato ai carabinieri locali di arrestare tutti gli elementi fascisti più facinorosi del paese che avrebbero impedito l'operazione. Mentre era in corso la distribuzione, verso le 4 del mattino, alcuni paesani spararono alcuni colpi di fucile nella direzione di una vettura tedesca che riuscì ad invertire la marcia e a fuggire. Alle 9,25, dopo che la distribuzione dei viveri si era conclusa, Ex - Consorzio agrario truppe tedesche motorizzate si avvicinano al paese con una manovra a tenaglia. Ecco cosa accadde attraverso le parole di un testimone, Luigi Tartagli, che copriva il ruolo di guardia del corpo del Maggiore Chirici: “... La mattina del 10 giugno 1944 eravamo a parlamentare nella sagrestia della chiesa di Monterotondo Marittimo con il parroco e ad un certo momento sentimmo il sibilo di alcune salve di mortaio; erano i tedeschi che saputo della nostra presenza in Monterotondo si presentarono in forze attaccandoci su due versanti e cioè dalla Buca di Paladino e dalla strada statale massetana. La presenza dei partigiani in Monterotondo aveva lo scopo di distribuire alla popolazione e agli sfollati, assai numerosi quelli provenienti da Piombino, olio e grano presenti negli ammassi fascisti, che in varie occasioni servivano per il rifornimento delle forze tedesche. Inoltre, era prevista una distribuzione di carne prelevata ad un noto possidente fascista che in passato aveva rifiutato aiuto ai partigiani. I tedeschi sventagliando raffiche di parabellum e colpendo con mortai, avanzavano decisi all' occupazione del paese. Il comandante Chirici resosi conto che le forze partigiane non potevano accettare una vera campagna campale, ordinò la ritirata, dietro assenso del capitano Gallistru e dei comandanti le squadre partigiane. Era già passata un'ora dal primo impatto fra partigiani e tedeschi, e sempre si combatteva con accanimento da ambo le parti, fu così che il maggiore Chirici ordinò al capitano Gallistru di recarsi sul luogo dei combattimenti per organizzare la ritirata. La battaglia durò varie ore, decine di tedeschi furono colpiti, ma purtroppo quando la sera fu possibile rastrellare i luoghi dove si svolsero i combattimenti, trovammo i nostri caduti, Mario Cheli, e altri due modenesi, uno si chiamava Gino e l'altro Ercole. Infine potemmo recuperare alcuni feriti, fra questi il capitano Gallistru e Franco Rossetti. Il primo si rivelò subito in stato di grave pericolo, mentre il secondo era ferito ad una gamba. Predisponemmo immediatamente il loro trasporto, usando due scale a pioli come barelle. Durante il percorso in cerca di un rifugio sicuro ci raggiunse il nostro medico, era un ufficiale sovietico medico veterinario che però si rivelò in varie occasioni abilissimo a curare i feriti. Dalla sua visita si capì che il Capitano aveva la vescica perforata. Dopo ore di cammino ci fermammo in un podere, il Chirici mi comandò di non abbandonare il ferito e di stargli sempre vicino. Pietosamente fui costretto a rispondere alle domande del Capitano ferito con un sacco di bugie. Il medico mi aveva detto che non poteva sopravvivere con quella tremenda ferita ed io sorreggendogli in continuità la testa lo rassicuravo che ci sarebbe stato al più presto un intervento chirurgico, eseguito da un medico che doveva arrivare. Erano le quattro del mattino dell' 11 giugno quando il capitano Gallistru pronunciò le sue ultime parole: “ Luigi non ce la faccio più”. Purtroppo si venne a conoscenza, il giorno dopo, che il numero dei caduti era salito a cinque. Era stato colpito anche il partigiano Casalini Ateo, mentre rientrava da una missione. Ritornando alla battaglia è necessario ricordare che l'azione difensiva fatta dai partigiani fu efficace, non solo perché riuscirono ad impegnare le forze tedesche per varie ore, ma la sparatoria opposta dai partigiani riuscì a colpire molti di loro. Decine di cadaveri e vari feriti furono visti caricare sui mezzi tedeschi e trasportati attraverso una strada lontana dall'abitato. Anche noi prendemmo parte alla battaglia. Era la prima volta che io vedevo sparare il maggiore Chirici. Ci portammo fuori del paese, subito dopo i primi spari, andammo in direzione ovest, vicino a delle grosse tubature che collegavano i soffioni della zona. Ci piazzammo dietro alcune cunette, sparando nella direzione da dove provenivano i colpi. I tedeschi sparavano con armi automatiche, molti di noi avevano fucili modello 91. Quando si sparava molte volte andavano in sicura da sé. Mi ricordo di quel momento per un episodio particolare. All'improvviso fummo notati dagli addetti alle batterie del nemico e nella nostra zona cominciarono ad arrivare colpi di mortaio sparati dalla cima del monte opposto. Alcuni colpo arrivarono proprio in mezzo a noi. Io ero più avanzato, ad alcune decine di metri dal comandante, quando questi urlando mi invitò a levarmi la camicia rossa che ancora avevo indosso, questa ci faceva individuare dal nemico, fu proprio una mia ingenuità. Come ho già detto, i caduti in quella battaglia furono cinque, due di essi erano emiliani, stavano sempre insieme, probabilmente si erano ritrovati a lasciare l'esercito ed avevano scelto di combattere alla macchia. Non ho saputo se in seguito sono state conosciute le loro generalità precise. Furono colpiti in pieno da un colpo di mortaio, furono uccisi e sfigurati al volto tutti e due. Mario Cheli era uno dei tanti giovani che al momento dell'entrata dei partigiani in Monterotondo, si unirono a noi venendo a far parte della formazione. Cheli e gli altri furono assegnati ad una nostra sezione. Lui era nativo di quel paese, aveva fatto il militare e disse di conoscere la mitraglia. Per questo gli fu consegnata una mitragliatrice 38 Breda. Assieme a lui, come porta munizioni, si unì il partigiano Rossetti Franco, uno che abitava a Piombino, ma era sfollato a Monterotondo. I due con la loro sezione, furono tra i primi a portarsi fuori dal paese, si diressero verso le batterie tedesche, volevano accerchiare quella posizione, purtroppo non fu così. Cominciarono a discendere dal poggio Monte numerosi tedeschi, a mitragliare con i loro parabellum. Per questo il comando dette l'ordine di ritirarsi, ma il Rossetti raccontò, in un secondo tempo, che Mario non voleva ubbidire all'ordine, perché, così diceva il Cheli, con il loro mitragliatore, potevano, se ben appostati, fermare la discesa dei tedeschi. Il Rossetti non era di quel parere e dopo averlo sollecitato insistentemente, si ritirò lasciando la cassetta di munizioni vicino alla sua arma. Il Cheli fu ritrovato ucciso da una sventagliata di proiettili. Ateo Casalini, aveva un secondo nome, Mariano, fu costretto a cambiarlo perché sotto il fascismo l'anagrafe depennò quello vero. Lui era già da molto tempo conosciuto da tutti noi, assieme con il partigiano Dino Volpini, sfollati in Monterotondo da Piombino. Erano due staffette che venivano in formazione, tenevano il collegamento con il C.L.N. Inoltre erano molto assidui e ci portavano ogni cosa, sigarette, vestiario, e molta altra roba che generosamente veniva offerta da quella popolazione. Lui quel giorno si portò fuori Monterotondo, decise di andare a recuperare delle armi che erano state nascoste. Andò lontano dal paese, non era presente alla battaglia, quando sulla sera fece il suo ritorno, ignaro di quello che era avvenuto, con il mulo carico di armi, entrando dalla periferia a sud dell'abitato, fu sorpresa da una pattuglia tedesca di S.S. e ucciso. Nella serata fu amorevolmente raccolto e portato a casa sul proprio letto. Saputolo, i tedeschi, fecero irruzione nella casa e maltrattarono di nuovo la salma ed i familiari. Lasciò la moglie ed una figlia. Alfredo Gallistru era un sardo. Al momento dello sfasciamento dell'esercito, avvenuto per responsabilità delle gerarchie militari compromesse con il fascismo, si era rifugiato in casa di amici nella nostra zona. Fu uno tra i primi che, sapendo della costituzione di bande di resistenza, accorse alla macchia a dare il suo contributo. Era un sotto-tenente dell'esercito, già presente quando avvenne il rastrellamento del Frassine. Era uno che credeva, malgrado tutto quello che era avvenuto, nella monarchia come istituzione, era amato da ognuno di noi per il modo di rapportarsi con tutti, fu promosso a Capitano e in seguito la nostra Repubblica lo decorò medaglia d'argento alla memoria. Nel primo momento della battaglia il partigiano Alfredo Gallistru era a fianco del comandante Chirici. Dirigeva una sezione assieme al suo vice C.C. Alfredo Matozzi. Fu con loro che si portò sotto il poggio Monte per far rispettare l'ordine di ritirata, una pallottola lo trafisse all'altezza del basso ventre forandogli la vescica. Fu trasportato via dai suoi uomini. Insieme lo assistemmo fino alla fine…. “. Cocolli – Pardini/ 27.04.2014 La Battaglia di Monterotondo Tedeschi Partigiani Monterotondo Marittimo
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