La nuova sperimentazione in Omeopatia

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Anna Fontebuoni Biologa – PESARO
La nuova sperimentazione
in Omeopatia
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Tradire Hahnemann?
L’
omeopata dell’Ottocento
che, nei ritagli di tempo,
sperimentava su di sé sostanze diluite e dinamizzate secondo la metodica
classica, si auto-osservava, descriveva la patogenesi su un taccuino,
è un’immagine ormai sfocata, da
album di famiglia. In duecento anni
di storia la medicina si è evoluta,
e con lei la medicina omeopatica.
Anche la sperimentazione omeopatica, sulla scia, metodologica
se non ideologica, dei successi di
quella ufficiale, è andata incontro a
un’evoluzione. Modelli in vitro e in
vivo, su animali e sull’uomo, sono
stati usati per testare il potere far-
La sperimentazione del potere patogenetico di sostanze
medicinali su persone sane, o ‘proving’ (leggi pruvin), è
notoriamente uno dei principi fondamentali dell’omeopatia.
Sin dai tempi di Hahnemann esso rappresenta l’unica
conoscenza affidabile delle proprietà terapeutiche di una
sostanza. Quando ci si guarda intorno, nel mondo attuale
della ricerca omeopatica, però non mancano le sorprese.
macologico di innumerevoli sostanze. Nella prima fase (farmacologia
clinica: studio farmacocinetico e
farmacodinamico su volontari in
salute) sembra che la metodica sia
sovrapponibile a quella hahnemanniana1, poi le strade si dividono. Il
soggetto conoscente viene separato dall’oggetto conosciuto, mentre
Alexander Beydeman, Homeopathy watching horrors of Allopathy, 1857
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nella sperimentazione omeopatica
lo sperimentatore fa parte integrante dell’esperimento.
Quello che il trasgressivo Hahnemann, con i suoi ‘rudimentali’ proving con pochi campioni e niente
statistiche, non riteneva necessario,
anzi aborriva, duecento anni fa, e
cioè il confronto con la medicina
ufficiale, sta pian piano facendosi
strada nell’omeopatia moderna. Le
diverse scuole di pensiero, più o
meno legate alla scuola classica hahnemanniana, ora non disdegnano
un’ibridazione con le metodologie
della ricerca moderna. A cominciare dal termine. Così il ‘proving’
diventa ‘homeopathic drug proving’
(HDP, gli acronimi vanno tanto di
questi tempi…), o addirittura un
elegante ‘homeopathic pathogenetic trial’ (altra sigla: HPT), più consono a parallelismi con ‘randomized
clinical trial’ e ‘trial’ di ogni genere
e specie della medicina ufficiale. I
confini, così chiari alla fine del Settecento, fra medicina convenzionale e medicina omeopatica, sfumano;
il medico omeopata oscilla fra la
credibilità delle evidenze derivate
da trial convenzionali e la purezza
Sperimentazione omeopatica
delle sperimentazioni sull’uomo
sano. Per non perdere i vantaggi
delle due metodiche e avere sempre, ippocraticamente, come primo
obiettivo la salute del paziente, fa
un passo verso il futuro2 (tradisce
Hahnemann?).
Proving, HPT, sì, ma randomizzati,
in cieco, doppio o triplo, sottoposti
a test statistici e con controlli placebo. D’altra parte vi sono studi 3 perfettamente in linea sia con i dettami
hahnemanniani sia con quelli della
ricerca medica ufficiale, che hanno
dimostrato che i rimedi omeopatici
producono sintomi diversi da quelli
del placebo.
Negli ultimi due-tre decenni c’è
stato un gran fervore di sperimentazioni omeopatiche: è come se si
sentisse la necessità di un progresso in omeopatia e ognuno lo cercasse attraverso la propria cultura.
Si sono moltiplicate così metodiche non classiche legate a valori di
tradizione orientale/indiana, ma
anche americana/new age (‘dream-proving’, ‘meditative-proving’,
proving eseguiti durante conferenze ecc.), ma soprattutto trial clinici
standardizzati, esperimenti basati
anno XIX numero 55 marzo 2014
su modelli murini e in vitro, review, meta-analisi e quant’altro appartenga alla Evidence Based Medicine della cultura medica tradizionale. In medio stat virtus, chissà:
omeopati di tutto il mondo hanno
ripreso a eseguire proving classici,
utilizzando, in più, strumenti di
controllo convalidati dalla medicina ufficiale.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, in un rapporto del
2013 intitolato ‘Strategia per le medicine tradizionali’4 pone l’accento
sulla necessità di favorire la ricerca in questo campo e si barcamena
agilmente fra ‘modelli e metodi
qualitativi’, ‘un’ampia base di prove capaci di dare informazioni alla
politica sanitaria’, ‘progetti comparativi, basati su metodi misti’.
Qualcosa, molto, bolle in pentola.
L’omeopatia si riappropria, senza
paraocchi, della ricerca, sfruttando
ciò che di utile possono dare le innovazioni della medicina ufficiale.
E la verifica clinica dei dati, come
sempre, rimane il punto fondamentale di validazione della metodica.
La priorità, a questo punto, è eseguire proving di qualità, uniforma-
ti in modo che sia riconosciuta alla
ricerca omeopatica classica una legittimità e riproducibilità al passo
con i tempi. A questo riguardo le
maggiori associazioni internazionali (Liga Medicorum Homeopathica
Internationalis e European Committee for Homeopathy) stanno
preparando insieme un documento che comprenderà linee guida da
seguire nelle sperimentazioni5. Ne
riparleremo.
Bibliografia
1. Jeremy Y. Sherr, trad. M.L. Gonella, Le dinamiche e
la metodologia della sperimentazione omeopatica, Salus Infirmorum, Padova, 2001
2. Witt C., Albrecht H. New Directions in Homeopathy
Research, KVC Verlag, Essen, 2009.
3. Möllingen H., Schneider R., Walach H., Homeopathic pathogenetic trials produce specific symptoms different from placebo. Forsch Komplementmed 2009, 16 (2):
105-10.
4. www.who.int/medicines/publications/traditional/trm_
strategy14_23/en/
5. Jansen J.P., Ross A., Homeopathic pathogenetic trials
and proving: the need for harmonized guidelines. Homeopathy
2014, 103: 1-2
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