1 - A.i.e.t.

Amici
L'impensabile si era intrufolato nella loro conversazione inaspettatamente, sotto forma di
sbotto di Gelindo che stupì lui per primo. Complice, forse, un bicchiere di whisky di troppo,
un fiume di insofferenza, a lungo e del tutto inconsapevolmente trattenuto, tracimò
all'improvviso: “Mi sono proprio rotto i coglioni di vivere così! Ci deve essere dell'altro,
cazzo, così non si può più andare avanti!”.
Kalura, impegnata a fare spazio sul tavolo per dedicarsi alla lettura dei tarocchi che, dopo
un paio di spinelli le riusciva particolarmente bene, s'immobilizzò all'istante, con i bicchieri
vuoti a mezz'aria, curiosa di sentire il seguito di quell'insolito sfogo. Gelindo a contatto con
un'emozione e in grado di esprimerla a parole era un evento talmente eccezionale da
meritare la massima attenzione. Lei e Gelindo si conoscevano fin dai tempi delle medie e,
fin dal loro primo incontro, fu chiaro ad ambedue che, in quei nomi che si ritrovavano e che
rimandavano a chiunque immagini opposte, il caldo e il gelo, si nascondesse la mano del
destino, un filo invisibile che li avrebbe uniti al di là delle loro volontà. Di fatto non si erano
mai più persi di vista ed anche adesso, che si ritrovavano entrambi sposati, approfittavano
sempre delle assenze dei rispettivi coniugi per incontrarsi, di solito a casa di lei, come
quella sera.
Si volevano molto bene e si capivano al volo. C'era tra di loro un amore speciale che non
era mai sfociato in una storia di sesso, nonostante l'evidente attrazione che
reciprocamente provavano. Una vera amicizia, nata e cresciuta nell'asfittica Rovigo, loro
città di origine e di allevamento. Probabilmente il loro nome li aveva condizionati poiché
incarnavano personalità opposte, anche se complementari. Gelindo era molto razionale,
riusciva a sezionare ogni problema in mille pezzettini e ad analizzare poi ogni pezzettino.
Insomma, ogni sentimento per lui era solo una manifestazione di alcune variazioni del
potenziale di membrana dei neuroni.
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Poteva fare una descrizione accuratissima di quello che provava, fosse odio, amore,
tristezza, disperazione, gioia, serenità, usando parole come sodio, potassio, magnesio,
calcio, recettori, inibizione della ricaptazione, serotonina, lobo limbico, ippocampo, materia
oscura, neutrino, bosone...poteva farlo con una accuratezza assolutamente precisa,
mantenendo sempre la stessa faccia.
Kalura, viceversa, ogni cosa che le succedeva gliela si leggeva prima in faccia, nel corpo
e, se era triste, la si vedeva riassorbita in se stessa con il viso tutto corrucciato, il corpo un
po’ ripiegato. Se era felice sprizzava gioia, camminando o stando ferma con una luce
inusuale negli occhi, ben dritta con la schiena e i lunghi capelli corvini liberi, al timido vento
di Rovigo.
Era, insomma, una bella ragazza. Una bella “ragazza”, peraltro, solo per Gelindo, ma per
tutti gli altri era una donna. Una donna bella e anche molto sensuale, appassionata ed
esperta di musica, danza e poesie d'amore.
Queste differenze apparentemente incolmabili non avevano mai ostacolato in maniera
significativa il loro rapporto, anche se non era infrequente che Kalura si incazzasse
quando Gelindo se ne usciva con le sue interminabili ed affilate analisi che a lei
risultavano essere solo insulse menate.
Quella sera, però, non trovò affatto insulsa la colorita esternazione di Gelindo poiché
anche in lei si stava facendo strada, da un po' di tempo, un vago senso di insoddisfazione
a cui non aveva ancora dato un nome preciso, ma che si manifestava come una sorta di
richiamo proveniente da non si sa bene dove e che, in alcune occasioni, aveva assunto un
tono imperioso. Non le pareva vero di trovare nel suo amico di sempre un interlocutore
partecipe del suo stesso stato d'animo e lo incoraggiò a continuare nella sua condivisione.
Gelindo che, fino a quel momento, si era sempre considerato un uomo abbastanza
realizzato, si vide passare davanti, in sequenza, immagini della sua vita che non riusciva
più a tenere insieme da quanto gli apparivano incolori. La sua laurea in Bioingegneria, la
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seconda laurea che stava per prendere in Ingegneria Informatica a Padova, il suo lavoro
come funzionario del Ministero del controllo delle sofisticazioni alimentari che consisteva
nel controllo della produzione e della distribuzione delle barbabietole da zucchero, la
relazione stessa con la moglie Patty, gli rimandavano un senso di vuoto e di
incompiutezza. Come disse a Kalura, non aveva niente di preciso di cui lamentarsi. Il
lavoro gli offriva una buona posizione sociale ed economica e gli consentiva del tempo da
dedicare ai suoi interessi, che spaziavano dall'elettronica, alla meccanica, all'astronomia,
alla farmacologia e a tutto ciò che riguardasse la scienza in genere. Con la moglie la
relazione procedeva in modo tranquillo, senza grossi sconvolgimenti e Gelindo sentiva di
apprezzare particolarmente il suo impegno sociale, anche perché la portava ad essere
spesso fuori casa, garantendogli spazi di libertà per lui assolutamente vitali. Certamente
era un grosso rammarico per loro non aver avuto figli, nonostante i vari tentativi e le
consultazioni con i luminari più accreditati del momento. Gelindo ne aveva sofferto, ma
quella sera ebbe cura di sfiorare appena l'argomento, per non ferire la sensibilità di Kalura
che, insieme a suo marito Freddy, aveva fatto diversi viaggi della speranza ricavandone
solo un lungo periodo di depressione.
“Non so dirti da dove proviene tutta questa inquietudine” proseguì Gelindo “ma sento il
bisogno di guardarmi dentro e di capire un po' meglio quello che mi sta succedendo. Mi
stanno tornando i pensieri di quando ero bambino e, come facevo allora, ben al riparo
sotto alle coperte, mi viene di parlare con Dio. Ma quale Dio, poi? Davvero non so cosa
mi stia capitando, ma a essere del tutto sincero è proprio questo il mio desiderio:
incontrarlo, dialogare un po' con lui...”.
“Incontrare Dio?” disse Kalura “ti ricordi i discorsi che facevamo in prima liceo classico con
la nostra insegnante di filosofia? E poi a casa, quante volte abbiamo fatto notte in
compagnia di Eraclito, Socrate e Platone e quel palloso di Aristotele? E' come se le
domande che ci attraversavano allora, sulla vita, sulla morte, sulla transitorietà delle cose,
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fossero diventate improvvisamente impellenti. Mi sento esattamente come te, Gelindo, e
vorrei trovare delle risposte”. Ormai prossimi ai quarant'anni, facendo un bilancio della loro
vita fino a quel punto, fu chiaro ad entrambi che si trovavano ad un bivio
e che si
presentava di fronte a loro l'urgenza di scegliere tra il rimanere nelle consuetudini della
loro quotidianità, oppure seguire quell'aspirazione di cui avevano ricominciato a sentire il
tintinnìo.
Chiusi, a quel punto, in un silenzio gravido di suggestioni, si chiesero, nel loro intimo, quali
sarebbero state le conseguenze, a trecentosessanta gradi della loro circonferenza
esistenziale, se avessero seguito la direzione che il loro cuore aveva già indicato
inequivocabilmente. Il pensiero si soffermò sui loro genitori e su come, molto
probabilmente, avrebbero reagito dinnanzi alla loro crisi esistenziale.
Lei era figlia di una sessantacinquenne molto ben conservata nell'aspetto e nella
sostanza, indiana d'alta casta, di nome Barka, che suo padre, Filomeno, aveva conosciuto
quando lavorava come funzionario presso l'Ambasciata Italiana di New Delhi, dove Barka,
studentessa di Scienze Politiche, faceva la stagista ed era molto attratta dalla lingua, dalla
cultura e dalla diplomazia italiana. Filomeno: Meno per gli amici di Rovigo, che avevano
preso scherzosamente a chiamare Barcameno quando lo incontravano assieme alla
moglie, urtando la suscettibilità di Barka, decisamente permalosa, al contrario di Meno che
se la rideva di gusto.
Barka e Meno, dopo New Delhi, si erano spostati un po' in giro per il mondo, fino ad
approdare a Rovigo, città d'origine di Meno, dove lui era diventato, tramite particolari
amicizie, il “padroncino” di una schiera di TIR per l'esportazione delle barbabietole da
zucchero. Aveva anche ereditato, dallo zio paterno Bepi, un bella villa proprio in centro a
Rovigo, dove era nata Kalura. Barka, dopo aver fatto solo la moglie e la mamma devota
ed annoiata per qualche anno, aveva fatto assumere dal marito un tuttofare scapolo
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locale di nome Aldo, e una domestica filippina di nome Maria, importata in Italia dalle
suore.
Maria si era subito molto affezionata, ricambiata, a Kalura, mentre Barka si era molto
affezionata, ricambiata, ad Aldo.
Ecco, da sua madre Kalura aveva sicuramente appreso a non preoccuparsi troppo dei
giudizi della gente che, soprattutto in una piccola città come Rovigo, non si facevano certo
attendere. Nonostante la mentalità aperta che Kalura riconosceva a sua madre e in parte
anche a suo padre, non pensava certo che avrebbero compreso né, tanto meno,
condiviso, la strada che andava delineandosi con sempre maggior precisione nella sua
testa. I suoi genitori avevano sempre avuto un'alta opinione di lei che, dal canto suo, non
aveva mancato di dar loro grandi soddisfazioni. Era sempre stata una studentessa molto
brillante, aveva frequentato e concluso felicemente sia il liceo classico che un'impegnativa
scuola di canto e di violino dove si era diplomata con il massimo dei voti. Al liceo classico,
frequentato assieme a Gelindo, lei gli passava sempre, di nascosto, i compiti di latino e
greco in cambio di quelli che le passava lui, di matematica e di fisica. I genitori di Kalura,
inoltre, erano molto orgogliosi che lei fosse diventata direttrice di una scuola elementare
sperimentale, che applicava metodi didattici atti ad arginare i danni provocati nelle menti
dei bambini da un'esposizione prolungata quotidiana a marchingegni elettronici di vario
tipo. Quindi, non avendo mai avuto preoccupazioni per stranezze comportamentali di
Kalura, anzi, tessendo le lodi della figlia in ogni occasione si presentasse loro, non si
aspettavano di certo colpi di testa da parte sua. A pensarci bene, solo la nonna materna,
che aveva imposto a sua figlia di chiamare la nipote Kalura, avrebbe compreso ciò che la
stava attraversando.
I genitori di Gelindo, Toni e Cesarina, gestivano un bar di loro proprietà. Rodigini – o
“rovigoti”, come vengono chiamati in modo alquanto dispregiativo e per motivi misteriosi,
dagli altri veneti-da molte generazioni, avevano ereditato l'attività dai genitori di lei che, a
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loro volta, l'avevano ereditata dai genitori del nonno. Toni e Cesarina si volevano bene ed
erano molto stimati nella cerchia dei loro conoscenti, non avendo mai dato adito a
chiacchere di alcun tipo. Nemmeno nella famiglia allargata di Gelindo c'erano mai stati
scazzi o strappi potenti. Di questo Gelindo era molto consapevole e lo intimoriva l'idea di
inaugurare una nuova stagione che interrompesse quella stabile tranquillità.
Gelindo e Kalura uscirono nello stesso istante dal flusso di pensieri che li tratteneva nel
conosciuto e, guardandosi negli occhi, ammisero che sì, avevano delle paure, ma che non
potevano più permettersi di non ascoltare quella voce che li stava sospingendo a dare un
senso più pieno ed appagante alla loro esistenza. Si misero allora d'accordo di partire la
mattina successiva alle quattro, così, senza una meta precisa, ma con un obiettivo ben
chiaro ed inventarono una scusa plausibile ad uso e consumo dei loro coniugi. Avevano
ambedue la possibilità di recarsi spesso, per lavoro, ai rispettivi assessorati regionali, l'uno
per la cultura, l'altro per l'agricoltura, ambedue situati presso il Palazzo della Regione
Veneto, il cui Governatore era Giancarlo Galan, che si trova a Venezia. Così,
confezionarono la stessa bugia. Gelindo bofonchiò a Patty la sera stessa, al suo rientro a
casa: “Starò a Venezia per qualche giorno perché devo partecipare ad una convention
molto importante per il mio lavoro...sì, lo so bene che è una rottura, ma è molto
importante”. Kalura, dal canto suo, telefonò al marito usando più o meno le stesse parole.
Freddy, in quel periodo, lavorava come funzionario di una compagnia petrolifera in Iraq,
assistito dalla sua segretaria personale, una danese di nome Karen, che Kalura chiamava
sempre, parlandone con Gelindo che la rimproverava di essere un po' troppo drastica: “la
stronza puttana”.
E fu così che, all'alba di un giorno qualunque, sulla Panda Rossa a quattro ruote motrici di
Kalura, iniziò il viaggio di due amici alla ricerca di Dio o di chi per lui.
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L'inizio del viaggio
Gelindo si era avvicinato negli ultimi tempi a letture insolite per lui, animato più dal
desiderio di sezionare e poi criticare alcuni insegnamenti di sedicenti maestri spirituali, che
da un vero bisogno di conoscenza e di sperimentazione. Si era trattato di una solitaria
ricerca, con il solo ausilio di un suo amico libraio di Rovigo che, in seguito, Gelindo stesso
avrebbe riconosciuto come pessimo conoscitore della materia. Ma era una ricerca che si
discostava dalla sua formazione scientifica e doveva pur farsi aiutare da qualcuno che,
supponeva, se ne dovesse intendere.
Nonostante le letture fatte fossero in gran parte scadenti, avevano comunque permesso a
Gelindo di comprendere che la sua intelligenza, utilizzata solo in campo scientifico,
secondo il paradigma dominante, poteva rivelarsi un grosso ostacolo per la sua crescita
umana. Del resto, nonostante la sua formazione scientifica, una dimensione spirituale
l'aveva sempre ipotizzata.
Kalura, dal canto suo, era estremamente consapevole, lo sentiva proprio nella pancia e
nel cuore, che ciò che lei cercava era l’amore, la pace, il volersi bene. E tutto questo era
presente in lei fin da bambina, forse per merito di sua madre Barka, ma anche di Maria e
di Aldo.
Per lei la nozione di Dio aveva a che fare con questa profonda aspirazione all'amore,
aspirazione che contattava di tanto in tanto.
La mattina della partenza la nebbia era più fitta che mai, ma questo non scoraggiò affatto i
due amici, minimamente preoccupati della direzione da prendere, anzi, quasi contenti che
fosse la strada stessa, in un certo senso, a decidere. Entrambi sapevano bene che, in
fondo, non era importante imboccare il viale in una direzione o in un'altra, uscire dalla città
da una parte o dall'altra: l'importante era avviarsi.
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Gelindo aveva già fatto in tempo a besiare Kalura a manetta, su questa storia del viaggio
che è più importante della meta, sulla scorta delle stronzate lette su consiglio di Marco, il
suo amico libraio. Per Kalura, queste novità culturali che Gelindo tendeva a presentare
come ipotesi non molto plausibili, erano di una verità ed evidenza assolute.
Viaggiarono per chilometri e chilometri, per ore e ore, senza mai rendersi ben conto di
dove si trovassero, data la scarsissima visibilità. Quando, a pomeriggio inoltrato, la nebbia
si dileguò, si ritrovarono alle porte di una città molto strana e, non avendo fatto ancora
soste fino a quel momento, decisero di parcheggiare e di avviarsi a piedi, per capire dove
diavolo fossero finiti. Pur non immaginando nemmeno lontanamente di quale città si
trattasse, se non, forse, di Aix-en-Provence o di Sarajevo ben prima della guerra, e non
essendoci cartelli o altre indicazioni che permettessero loro di conoscerne il nome, si
sentirono da subito accolti ed integrati in quel brulicante viavai delle più diverse persone.
C'era sicuramente molta gente del posto, ma anche turisti di varie nazionalità che
affollavano i negozietti e le viuzze estremamente curate e punteggiate di fioriere
variopinte. Era già il tramonto e ambedue convennero che avrebbero potuto fermarsi lì,
per quella notte.
Si stavano accendendo le prime luci nei viali, ma c'era ancora molta gente in giro per
negozi e nei bar. Gelindo e Kalura commentavano a voce alta tutto quello che vedevano,
facendo continui raffronti con Rovigo, i suoi abitanti, il centro storico antico, i grandi viali
della circonvallazione...
Si accorsero con sorpresa compiaciuta che i turisti e gli abitanti stessi sembravano
apprezzare molto la città, diversamente da Rovigo che, a loro avviso, nessuno apprezzava
quanto si sarebbe dovuto, a cominciare da quegli smandruppati studenti universitari che
frequentavano, lì a Rovigo, qualche Facoltà Universitaria, sede distaccata dell'Università
degli Studi di Padova. C'erano poi tantissimi giovani, molto più numerosi di quelli che si
potevano incontrare nelle vie della loro città, e meno superbamente sbrindellati.
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Alcuni avevano i capelli biondi, lunghi fino alle spalle e, visti da dietro, era impossibile
distinguere i maschi dalle femmine. Quasi tutti portavano lo zaino e la chitarra a tracolla e
qualcuno aveva persino la tenda da campeggio. Gelindo e Kalura si dissero che forse
c'era un rave-party, lì vicino. Camminando, incontrarono anche diversi signori anziani,
vestiti in modo molto trasandato e, al tempo stesso, con un che di fascinoso ed
estremamente rispettabile nel loro aspetto. Si fecero l'idea che fosse una città più povera
di Rovigo, che pure non era ricchissima, a parte un numero ristretto di famiglie, tra cui
quella di Kalura.
Inevitabilmente, si trovarono spesso faccia a faccia con dei vagabondi, persone un po’
perse, che li tiravano per un braccio, chiedendo un cartone di vino e invitandoli a berlo con
loro, cosa che due, o anche tre volte, Gelindo accettò di fare, avendone come ricompensa
umidi baci bavosi sulla bocca e sulle mani. Kalura evitò accuratamente di unirsi a queste
bevute sotto un portico o su un marciapiede, soprattutto per risparmiarsi le manifestazioni
di gratitudine che sinceramente la schifavano e rimase, invece, a guardare con
ammirazione le case con quei balconi pieni di fiori coloratissimi che traboccavano
riempiendo di allegria le stradine sotto e le piazzette brulicanti di gente.
Quando Gelindo tornò al suo fianco, decisamente alticcio, Kalura temette di doversi
sorbire uno dei suoi soliti interminabili sproloqui. Quando Gelindo aveva bevuto, infatti,
diventava ancora più centrato con il suo ragionamento, ineccepibile nella costruzione dei
discorsi che faceva, e Kalura ormai conosceva bene questa sua caratteristica. Di solito si
lanciava in una descrizione minuziosissima dei computer e delle loro potenzialità a partire
dall'inizio dell'era informatica fino a quelli di ultima generazione. Cose assolutamente
incomprensibili per Kalura, che solo l’affetto che provava per Gelindo le consentiva di
tollerare.
Quella sera, però, Gelindo era su tutt'altra lunghezza d'onda e si limitò a coinvolgerla in
una strana confabulazione, certamente stimolata dall'alcol e dai suoi estimatori locali: “Sai
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Kalura, in Francia si chiamano clochards e in America invece homeless. Noi li chiamiamo
barboni, dato che solitamente hanno la barba, ma ci sbagliamo visto che molti la barba se
la radono per bene ogni mattina, dietro i loro cartoni o nei rifugi della Caritas. E anche gli
angloamericani sbagliano a chiamarli “senza casa”, dato che tutti i barboni una casa ce
l’hanno, anche se è fatta di cartone...”. E continuò così a parlare, a parlare e sembrava
non la finisse più.
Il cielo, nel frattempo, stava passando da un colore blu a un colore sempre più scuro, dove
cominciavano a pulsare le prime stelle.
L'incontro con un signore seduto sui gradini di una chiesa, una passeggiatina
serale e la locanda
A un certo punto arrivarono in una piazzetta antistante una chiesa in stile gotico-barocco e
sentirono su di loro lo sguardo insistente di un signore seduto sui suoi gradini. Calamitati
da quegli occhi dolci e penetranti al tempo stesso, si avvicinarono sedendosi a loro volta
su un gradino sotto e rivolgendogli un timido cenno di saluto.
“Non troverete certo quello che cercate solo all'interno di una chiesa” sentenziò
l'uomo con una voce morbida, decisamente in contrasto con la perentorietà della sua
affermazione.
Kalura si sentì avvampare e il suo cuore prese a battere all'impazzata, ma non disse nulla.
Gelindo lo guardò bene in faccia, a distanza ravvicinata, e si accorse che, pur sembrando
molto vecchio, in realtà poi poteva avere anche trentacinque, quarant’anni, come loro. Era
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una di quelle persone dall'età indefinibile, di quelle che, dai venti ai sessant'anni,
rimangono sempre un po' uguali.
Approfittando del loro sconcertato silenzio, questo signore continuò: “State cercando
Dio? State cercando il senso della vostra vita? State cercando voi stessi? Voi state
cercando sicuramente qualche cosa di questo tipo”. La piazzetta era piena di gente
che andava e veniva, ma questo signore solo a loro, e non ad altri, stava chiedendo
queste cose.
Gelindo, con evidente turbamento, rispose: “Sì, è proprio così. Stiamo cercando di dare un
senso più profondo alla nostra esistenza, perché sa, a noi due è successo che ci
sembra...per come siamo vissuti finora...”.
E allora questo signore: “La vita vi ha dato quello che vi poteva dare, vero? Però non
vi ha dato finora l'opportunità di avere tutto quello che desideravate”.
“Finora, certo...si, ecco, proprio così, non ci ha dato tutto ciò che desideravamo”.
E il signore: “Ed è proprio quel qualcosa che manca, che voi adesso state
cercando?”.
Gelindo guardò Kalura, estasiata dalla meraviglia per quell’indovino, e disse con voce
ferma: “Sì, poter prendere tutto quello che questa vita ci può dare, ma non ci ha dato
finora, anche se finora, dalla vita, abbiamo avuto davvero tanto”.
“Ah! Allora siete nel posto giusto. Sappiate che siete arrivati, anche se ti esprimi con una
certa presunzione....cioè, non è che la vita, finora, non vi abbia proposto tutto, ma
proprio tutto, ma è che voi, ciò di cui ora sentite la mancanza, non avete saputo o
voluto prenderlo al volo, al momento giusto, né avete saputo o voluto prendere, nel
modo giusto, quello che già avevate....”. E, detto questo, trangugiò due sorsi dalla
bottiglietta di acqua minerale che aveva accanto.
“Beh, forse è un po' vero, comunque, stando a quanto tu dici, siamo arrivati! Ma come
possiamo scoprire tutto questo?”.
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A quel punto si davano ormai del tu, perché avevano già scambiato qualche sorso di
acqua minerale assieme.
“Beh, perché voi possiate scoprire tutto questo c’è bisogno che siate veramente decisi a
volerlo scoprire”.
“Ma come possiamo fare? Ci puoi dare delle indicazioni?”.
“Su, venite come me”.
E li accompagnò per una salitina da dove si poteva vedere, a un certo punto, arrivati ad
una curva, dopo un buon mezzo chilometro di camminata, tutta la città sotto, la città piena
di luci, fari, mezzifari, lucine posteriori rosse delle automobili che diventavano più rosse
con le frenate, città brulicante di rumori tipici di ogni città, la sera tardi. Ogni tanto la sirena
di qualche ambulanza o macchina della polizia o camion dei pompieri che passavano con
le loro luci giravoltolanti di giallarancione e blu. Si sentiva soprattutto un rumore di traffico,
di qualche clacson sottofondo, confuso con questa luce boreale della città, che si alzava a
raggiera verso il cielo.
Il cielo sopra era ormai assolutamente indaco, con queste stelle grandissime che
pulsavano e una luna gialla grande grande. Arrivati alla prima curva di questa strada in
salita dove non passava quasi nessuno, questo signore li incuriosì: “Ecco da qui,
guardate, adesso non si può vedere tanto bene perché fa buio, ma se voi ci fate caso,
guardate attorno a voi. Vedete? Ci sono delle montagne. Le vedete?”.
Gelindo e Kalura, strizzando un po’ gli occhi, cominciarono a guardare e videro, nel
chiarore lunare, che c’erano proprio delle montagne intorno.
“E adesso venite qui”.
Quel signore, a quel punto, li portò nel giro del tornante di strada da dove si poteva vedere
dall’altra parte e Gelindo e Kalura videro altre montagne.
“Quante sono queste montagne, in tutto? Mi riferisco solo a quelle che avete potuto
vedere, beninteso” chiese allora gentilmente il signore.
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E Gelindo: “Cinque, ne abbiamo viste cinque”.
“Esattamente. Quelle sono le montagne dove voi potrete andare e starci tutto il tempo che
sarà necessario, se vorrete trovare e incontrare veramente Dio, se vorrete trovare
veramente il senso della vostra esistenza. Quello che adesso vi posso dire è grosso modo
quello che, da subito, vi apparirà molto chiaro...su quelle montagne. Vedete quella prima
montagna? Si chiama il Monte Vivo ed è il Monte della Vita.
Quella seconda montagna lì, la vedete? La vedete proprio sopra quel condominio bianco,
vedete il profilo di quella montagna che si staglia? Quello è il Monte Intero.
E poi vedete lì l’altra montagna? Quello è il Monte Infinito. C’è qualcuno che lo chiama
anche il Monte Sacro, ma io preferisco rimanere nella tradizione dei nostri vecchi che
l’hanno sempre chiamato il Monte Infinito. Che nome, vero? Non è infinito per niente,
come grandezza...ma, per ora, lasciamo perdere.
E adesso andiamo a vedere gli altri due, lì. Quello è il Monte della Gioia e l’altro è il
Monte Saggio.
Vi consiglio di cominciare il viaggio partendo dal Monte Vivo, perché io l’ho già fatto tutto
questo percorso”.
“Ma allora tu hai incontrato Dio? Tu, tu l’hai visto?...Dio...”.
“Beh, di questo ne potremo parlare fra qualche anno, quando tornerete, se deciderete di
andarci e poi di ritornare a trovarmi, cosa niente affatto necessaria. Comunque io vi
consiglio di iniziare con il Monte Vivo e poi di proseguire con i Monti così come sono
messi, in senso antiorario.
Quindi, prima il Monte Vivo, poi il Monte Intero, poi il Monte Infinito, poi il Monte della Gioia
ed infine il Monte Saggio, che qualcuno chiama anche Monte della Saggezza...ma alla fin
fine, è importante che voi sappiate una cosa prima di partire per questa prima
esplorazione dei Monti...è importante che voi sappiate che...quando andrete su un certo
Monte, sarete assolutamente liberi di andarvene via quando volete, nessuno vi
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tratterrà...ma finché sarete lì, fate attenzione...quando sarete su un certo Monte dovrete
seguire accuratamente tutte le indicazioni che vi vengono date, altrimenti perdereste solo
del tempo, tanto varrebbe tornarvene subito a Rovigo...ho sentito parlare di questa città
tanti e tanti anni fa...perché, se non farete tesoro di questi miei consigli...che vi verranno
ribaditi in tutti i modi possibili...questo sarebbe un viaggio inutile...quindi i casi sono
due...avete
questa
notte
di
tempo,
se
volete
partire
domani
mattina,
e
guardate...cazzo...questa strada...posso prevedere che domani sarà una magnifica
giornata...conosco bene l’andamento del tempo, c’è una leggerissima brezza sulla
pelle...la sentite?...viene da Est...ecco, allora vi consiglio di partire domattina, all’alba, con
la vostra macchina, che suppongo abbiate parcheggiato prima del centro, ma che poi, a
un certo punto...lo capirete da soli...dovrete abbandonare, perché non ce la farà più...a
percorrere la strada per arrivare in cima al Monte Vivo...quando sarete in ognuno di quei
Monti, ma lo imparerete da soli...ma porcavacca...l’ho detto proprio ieri al sindaco che
deve far to...aaarrgh...ffff...ffff...togliere queste buche...anche se vi basterà la prima
esperienza sul Monte Vivo, e capirete da soli che...ffff...o ci state veramente, totalmente,
serenamen...ffff...oppure è meglio che torniate giù subito per riprendere la vostra vita di
prima, a Rovigo...cazzo!...questa notte interrogatevi se veramente siete decisi a fare
questo viaggio”.
“Certamente!” rispose subito Gelindo.
Ma Kalura, che in certi casi entrava un po’ in risonanza, disse tra sé e sé: “Adesso poi,
questo qui!... che fa tanto lo spirituale e poi spara parolacce che neanche Aldo…lo dice lui
cosa dobbiamo fare, tanto poi ci penso io a valutare, in base a quello che sento, alle mie
emozioni, a come va, insomma, e dopo se qualcuno mi sta sulle balle posso anche
mandarlo a quel paese”.
Gelindo, invece, che era stato molto attento al senso profondo, e un senso profondo
doveva pur esserci nelle parole di quel signore, e proprio per le inaspettate parolacce che
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quello aveva detto, che, poi, parolacce...ma se erano le stesse espressioni linguistiche sue
e di Kalura e di tutti i loro amici e parenti!...ecco, lui aveva capito rapidamente il gioco.
Dentro di lui continuava, peraltro, a rimanere ben ferma l’idea che, tutto sommato,
l’avrebbe potuta fare franca, se si fosse proprio rotto.
Sarebbe stato meglio far finta di crederci, come poi aveva detto con la bocca, sulla
stradina in salita e in discesa, poco prima, ma in realtà, dentro di lui, non ci credeva fino in
fondo.
E la sua furbata era stata quella di dire: ”Certamente!” pur non credendoci fino in fondo.
Era proprio contento delle sue astuzie, ripercorrendo in giù la stradina.
Kalura viceversa, che era più a presa diretta con la sue passioni travolgenti, dopo averci
rimuginato sopra per un po' ed essersi calmata poco poco, sbottò: “Beh, insomma! Allora
questo viaggio può diventare anche una pizza! Comunque grazie. Avresti una locanda da
consigliarci per questa notte?”.
Era un posto in cui si parlava ancora di locande. Non esistevano gli alberghi o gli hotel e,
arrivando, non avevano visto lungo la strada nessun motel. C’erano le locande.
“Io ho un’amica che è padrona di una locanda che sicuramente vi può fare uno sconto...
c’è anche un piccolo cortiletto dove potete mettere quel vostro aggeggio lì...la vostra
macchina la potete parcheggiare lì, ora potete spostarla da dove l’avete messa...i vigili
dalle otto di sera alle otto di mattina non ci sono, ma i ladri sì...mica ci sono solo a Rovigo,
i ladri...”.
Quindi li accompagnò da questa signora, che si chiamava Teodolinda, e che la loro guida
chiamava affabilmente Teodò, che li accolse con molto affetto. Anche se era già un po’
tardi, chiese loro se volevano mangiare qualcosina, diede loro tutto quello di cui avevano
bisogno per il prima, il durante e il dopo notte, e poi li portò a vedere le camere.
“Dormite in camera assieme o in camere separate?”.
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Su questo erano già esperti perché, su iniziativa di Gelindo, avevano già concordato prima
della partenza come sarebbe dovuto essere il loro rapporto durante il viaggio. “Dovrà
essere un viaggio in cui si possa correre anche il rischio che, magari, ci venga voglia,
oppure scartiamo da subito questa idea?...perché queste cose creano pasticci nei
viaggi...è meglio che sappiamo subito come va a finire...”.
Gelindo l’aveva
detto chiaro a Kalura : “Io so che se mi viene voglia ci provo,
Kalura...proprio con te...e mi vergogno un pò...scusami...ma se ci mettiamo d’accordo
prima che non devo neanche provarci, non ci provo proprio”.
E Kalura: “Ma che cazzo di discorsi fai! Dipende dal momento! Non lo posso sapere
adesso come sarà fra quindici giorni!”.
Questo discorso lo avevano fatto ancora a Rovigo. Fatto sta che erano arrivati ad un
accordo per cui, ogni volta che fossero andati a dormire da qualche parte assieme,
avrebbero deciso lì per lì. E quella sera, Teodolinda stava chiedendo loro: “Volete una
stanza doppia o volete una stanza singola, o volete una sola stanza con i letti separati?
Insomma, ho tutte le possibilità”.
Allora Gelindo guardò per un momento Kalura.
Gelindo era più intuitivo di quello che poteva sembrare a prima vista e, tutto sommato,
aveva capito che, forse...ma non era del tutto sicuro, per cui chiese, un po’ imbarazzato:
“Scusi, è possibile avere due camere con letto singolo però con una porta di
comunicazione tra una stanza e l’altra?”.
“Sì, vi posso accontentare. Ho anche una soluzione di questo genere”.
Così li sistemò in due camere separate ma con una porta di comunicazione che, nel
caso...
Fatto sta che, mentre Teodolinda preparava loro qualcosa da mangiare, parlando
amichevolmente con quel signore in cucina, loro andarono a sistemare la macchina, come
da istruzioni ricevute e, dopo essersi sbafati, assieme a Teodolinda e a quel signore, una
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lauta cenetta a base di kebab accompagnato da un vinello tipico libanese, anche se non
si trovavano nel Libano, se ne andarono a dormire, ognuno nella sua stanza.
Nel frattempo, quel signore di prima se ne stava andando alla chetichella. Ma Gelindo se
ne accorse, si affacciò alla prima finestra che trovò e lo vide giù nel cortile, mentre si stava
accendendo una sigaretta.
”Ehi, grazie sai, grazie di tutto...ma possiamo sapere come ti chiami?”.
E quello, dopo una bella aspirata di catrame, si girò e alzò lo sguardo verso Gelindo,
sorridendo appena: ”Beh, chi mi conosce mi chiama solitamente Qualcuno”. E se ne andò,
un po’ traballante, nella notte.
Ma subito se ne tornò indietro e, tossendo, disse a Gelindo dalla strada: “Aspettate...ora
salgo...prima che andiate a dormire...vi voglio raccontare una storia”.
La storia di Mario e del cane Lupo
Salito in cucina, Qualcuno salutò nuovamente Teodolinda: “Eh, Teodò, il mondo è pieno di
cercatori che non sanno trovare...dai, tira fuori un'altra bottiglia di quel buon vinello
libanese...”.
Teodolinda si sedette in un angolo della cucina, vicino alla porta, mentre Gelindo e Kalura
si sedettero al tavolo di fronte a Qualcuno. Erano troppo curiosi di ascoltare la storia che
Qualcuno aveva detto di voler raccontare e lo incalzarono, mentre lui stava comodamente
seduto a contemplare Teodolinda mentre, da solo, già stava scolandosi la seconda
bottiglia di vino libanese della serata.
“Dai, siamo tutt'orecchi, racconta per favore...”.
Qualcuno smise di contemplare Teodolinda e tracannò l'ultimo sorso di vinello spostando il
suo sguardo magnetico su di loro.
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“Prima di tutto, c’è bisogno che io vi faccia una premessa: tutti noi abbiamo una visione un
po’ distorta della realtà o, meglio, siamo proprio tutti ciechi. Di ciechi, però, ce ne sono di
diverse categorie. Ci sono i ciechi orgogliosi e arroganti, che non vogliono riconoscere
di essere ciechi: scendono in strada facendo finta di vederci e desiderando che gli altri
credano che loro ci vedono. Il più delle volte finiscono per essere investiti da automobili e
motorini, oppure vanno a sbattere contro qualche lampione o qualche bidone delle
immondizie...o contro qualche bambino sul triciclo, rovesciandolo... insomma, per orgoglio
e superbia ne combinano di tutti i colori. Questa è la condizione umana dei più. La
maggior parte delle persone a questo mondo è cieca, non vede, si limita a guardare, ma
non vede”.
Si interruppe a questo punto e, guardando dritto negli occhi i due amici chiese: “Voi
cogliete la differenza di significato tra il verbo guardare e il verbo vedere, vero?” e al loro
cenno di assenso continuò: “Poi ci sono i ciechi che, riconoscendo di essere tali,
accettano di farsi guidare da un cane lupo, addestrato appositamente da alcuni istruttori,
che li aiuti a evitare di andare a sbattere da qualche parte, che li difenda in caso di
bisogno e, soprattutto, che sappia quando è il momento di attraversare una strada e
quando è il momento di starsene sul marciapiede. Spesso, sapete...il bastone bianco e le
strisce pedonali...non sono sufficienti.
La prima categoria di ciechi è formata da persone che non sentono mai il bisogno di
essere aiutati a vedere meglio come stanno le cose, dentro e fuori di loro, con tutte le
conseguenze che vi potete immaginare, data questa loro presunzione e superbia.
Credono che il destino dipenda da loro, di essere quelli che creano e cambiano la storia, di
essere in grado di fermare il tempo o di accelerarlo a loro piacimento. Non hanno alcuna
forma di rispetto nei confronti di qualcosa più grande di loro. Il che significa che non
vogliono o non sanno accettare la loro cecità, evenienza certamente dolorosa, ma
comunque ben più grande di loro, a loro preesistente e dotata di un senso preciso,
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come tutto ciò che esiste in questo mondo e in altri mondi, un senso che oltre ad essere
preciso, è anche ordinato e, posso dirvelo per esperienza vissuta, non per fede cieca,
questa sì cieca, come ogni fede...d'altronde...è anche benevolo. A volte costoro
nemmeno si accorgono di essere ciechi, e la maggior parte dei responsabili, su
questo piano di realtà, della vita e della morte dell'umanità, è così come vi ho detto
ora, cioè è concentrata nel guardare non oltre la punta del proprio naso, dato che è
affetta, quasi sempre, anche da strabismo convergente. Per loro è così per Destino,
ovviamente, per convenienza o per contrarietà nei confronti di qualcosa o di
qualcuno, mai per scelta libera e consapevole. Il libero arbitrio, in questo caso,
riguarda
solo i modi. Niente condanne dunque, mi raccomando, ma limitarsi a
starsene alla larga.
Della seconda categoria fa invece parte la persona di cui vi voglio raccontare che, a un
certo punto della sua vita, riconoscendo il suo bisogno di essere aiutato a vedere meglio,
ha chiesto aiuto ed ha accettato di essere guidato, nelle sue giornate, da un cane lupo
opportunamente addestrato. Di giorno il cane accompagnava Mario, così si chiamava
questo signore, in tutte le sue attività e di notte dormiva ai piedi del suo letto. Mario ogni
tanto allungava la sua mano e lo accarezzava, più che altro per assicurarsi che ci fosse
ancora. Un bel mattino, però, dopo essersi alzato, Mario si accorse di vederci. Si guardò
intorno ed era tutto diverso dal giorno prima. A quel punto si chiese cosa potesse farsene
del cane lupo e come potesse parlargli della sua nuova condizione. Mentre era tutto
assorto in questi pensieri, il cane lupo lo guardava con l’occhietto sinistro alzato e quando
Mario se ne rese conto gli chiese se lui avesse capito che ora ci vedeva. “Beh, sono un
cane, ma non sono scemo” gli disse il cane lupo per tutta risposta. E Mario: “Come posso
fare, con te, adesso che non ho più bisogno che tu mi indichi la strada, mi trattenga sul
bordo del marciapiede se sta passando un autobus, oppure mi dia il via libera? Ora ci
vedo!” Il cane lupo suggerì che, stando così le cose, avrebbero potuto diventare
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semplicemente amici e Mario fu subito d’accordo e si sentì proprio stupido per non averci
pensato ”.
Qualcuno si interruppe di nuovo e si rivolse ancora a Gelindo e Kalura sottolineando
quanto era accaduto tra i due protagonisti della storia: “Vedete, dalla verità condivisa solo
tra Mario e il cane è nata un’amicizia. Nessuna vera amicizia può nascere, se non
all’interno di una verità condivisa, ad altri preclusa”.
“Ma la loro vicenda non finisce certo qui” proseguì Qualcuno “i due amici decisero di
continuare la loro solita vita, di andare a fare la loro passeggiata quotidiana e si
accordarono, essendo entrambi dei bodhisattva...” “Bodhi che?” lo interruppe Kalura,
sempre più interessata e nello stesso tempo timorosa di non decifrare del tutto i significati
di quella storia, che sentiva con precisione andare a toccare delle corde profonde dentro di
lei, dato che la parola, certamente, era indiana.
Pazientemente Qualcuno le spiegò che i bodhisattva sono esseri molto avanzati sul
sentiero spirituale e orientati, nelle vite attuali e future, e spesso anche in quelle passate,
al bene di tutti gli esseri umani, animali, vegetali e minerali e continuò: “Essendo dunque
dei bodhisattva, non volevano sconvolgere chi li avesse incontrati mostrando la loro
amicizia e di poter tranquillamente parlare tra di loro. Scelsero quindi di fare come se nulla
fosse successo e quando, che so, volevano fare cose un po’ insolite per un cane, come
giocare a briscola, avevano cura di appartarsi per non essere visti e non arrecare, così,
scandalo, soprattutto ai bambini e alle bambine. A distanza di un po’ di tempo però, una
sera, mentre Mario guardava la televisione, il cane lupo, piuttosto disinteressato ai
programmi, gli disse di punto in bianco che sentiva di poter fare ancora qualcosa per lui.
Mario lo guardò con aria interrogativa e il cane, non senza difficoltà a causa del suo innato
senso del pudore, gli rivelò di non essere solo un cane, che non era quella la sua vera
natura. Mario, che cominciava a intuire quello che l’amico stava per dirgli, lo esortò a
continuare chiedendogli esattamente che cosa intendesse. “Io sono anche un lupo, queste
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sono le mie origini” rispose a Mario che replicò: “Ma se sei anche un lupo, vuoi dirmi che
potremmo anche non limitarci a passeggiare nelle solite stradine?”.
A questa domanda il cane lupo si limitò a muovere su e giù la testa in senso affermativo
e, mostrandosi in tutta la sua grandezza, lo interpellò a bruciapelo: “Ora che ci vedi, sei
disposto a seguire il lupo?”. Mario totalmente allibito e senza parole, non fu in grado di
rispondere subito e si prese un po’ di tempo per pensarci.
Trascorse una settimana di notti insonni, tormentato dagli incubi più tremendi, ma dopo
l’ultima notte, smagrito, con la barba incolta e decisamente puzzolente, comunicò al suo
amico di essere pronto a seguirlo.
Il cane lupo, rimasto in paziente attesa di quella decisione, prese in quel momento le
sembianze di un magnifico lupo selvaggio e si avviò di corsa lungo le scale seguito da
Mario, poco avvezzo a simili sforzi, ma molto determinato a vedere dove voleva condurlo.
Corsero a perdifiato per strade, parchi e ancora strade per chilometri e chilometri,
attraversarono tutta la città e la sua periferia fino ad arrivare a notte fonda in cima a una
montagna che dava su di un precipizio.
Mario era affaticatissimo e tutto ansimante guardò la sagoma maestosa del suo amico
lupo che si stagliava sul bordo del precipizio alla luce della luna piena. Il lupo lo guardò e
gli disse: “Adesso ti ho portato dove tu hai sempre voluto arrivare. L’orlo del baratro è il
posto dove la verità ti può condurre.
E sappi che ci sono due tipi di verità: la verità addomesticata e la verità selvatica.
La verità addomesticata ti è servita, ti è stata necessaria. Se non avessi seguito la verità
addomesticata non avresti potuto svegliarti un bel giorno e scoprire che ci vedevi. Allora e
solo allora hai avuto bisogno della verità selvatica. Ma anche la verità selvatica, a un certo
punto, finisce di essere la tua maestra.
Il mio compito, da sempre, è stato quello di portarti qui.
Ora sei libero e hai davanti a te due scelte: o buttarti giù dal baratro, o tornare in città.
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Attenzione però, perché se torni in città sarà senza di me e avendo nel cuore un impegno
preciso che ti sei preso con te stesso, cioè quello di essere un bodhisattva, impegno da
cui nessuno ti può esentare, nemmeno il Dalai Lama, non dovrai sconvolgere la gente,
anche quando ti sarà certamente domandato se è vero che tu ora ci vedi e che io sono un
lupo. Questo è quello che ti insegna la verità selvatica”.
Detto questo, lentamente, il lupo svanì tra le stelle”.
Ed è esattamente quello che ho fatto ieri sera con voi: portarvi sull'orlo del baratro ed
invitarvi a decidere se buttarvi nell'ignoto o ritornarvene a casa. E voi, se lo volete, potete
anche tornarvene a casa a Rovigo senza avere l'imbarazzo di Mario, dato che non siete
ancora dei bodhisattva e..chi lo sa se mai lo
diventerete...beh, adesso ho
finito...buonanotte a tutti”. E Qualcuno se ne andò, dopo aver dato un bacino sulla guancia
a Teodolinda.
Il Monte Vivo o Monte della Vita
Gelindo e Kalura, la mattina seguente si svegliarono molto presto, all’alba, anzi non
dormirono quasi per niente, scesero, ringraziarono la signora che era già in piedi da due o
tre ore, la pagarono molto ma molto poco per il servizio ricevuto, salirono sulla loro Panda
e partirono verso quello che, la sera prima, Qualcuno aveva detto essere il Monte Vivo.
Trovarono rapidamente la strada che portava verso il Monte Vivo, anche perché appena
alla periferia di questa cittadina, città...non avevano ancora capito se fosse una grandiosa
città o una città di medie dimensioni...però, arrivando verso le ultime case, trovatisi in una
circonvallazione con molte rotonde, cominciarono a vedere dei cartelli con indicati i nomi
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dei vari monti e in un uno c’era scritto: “Monte Vivo”. Seguirono le indicazioni per il Monte
Vivo desiderosi di raggiungerlo quanto prima.
Kalura, che guidava, con le mani sempre ben ferme sul volante a ore due e a ore dieci,
anche sui tornanti che più tornanti di così non si può, dovette cambiare marcia almeno
mille volte. E, per fortuna sia per lei che per lui stesso, Gelindo se ne stette buono per tutto
il tempo.
Il Monte Vivo si presentava come un monte rigogliosissimo di vegetazione, pulsava di vita
e di colori. C’erano trecentosettantasette sfumature di verde che si potevano vedere sulle
scorze degli alberi, sulle foglie, nei prati. “Trecentosettantasette che si possono vedere”
pensava Gelindo “ma almeno altrettante che non si vedono”. Ma si limitò, stranamente,
solo a pensarlo.
I praticelli lì intorno erano punteggiati di fiori di tutti i colori possibili e immaginabili.
La luce del sole avvolgeva in pieno tutto il Monte.
A un certo punto, al termine della strada asfaltata, imboccarono una stradina sterrata che
diventò sempre più stretta, tanto che dovettero abbandonare la Panda in salita, con le
ruote di destra parcheggiate nel sottobosco. Con l'auto inclinata a quarantacinque gradi,
per uscire e tirar fuori anche gli zainetti, furono costretti ad utilizzare le porte di sinistra.
Nonostante la loro relativamente giovane età, e l'ottima salute, fecero una fatica della
madonna per eseguire questa operazione ma, nel loro stesso stupore, si accorsero di non
essersi lamentati, nemmeno quando Gelindo stava tirandosi addosso la Panda mentre
cercava di uscirne.
Continuarono dunque a piedi, sempre salendo, e non avendo la minima idea di quanto
ancora mancasse per giungere alla fine di questa scarpinata.
Camminando, si guardavano attorno e sentivano cinguettare tutti i tipi di uccelli, poi
vedevano scoiattoli, volpi, donnole, marmotte, lontre...lontre lucenti che uscivano dai
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ruscelli per correre sui prati e in mezzo agli abeti, o che saltavano da un ruscello all’altro.
C’era perfino qualche animale che a Gelindo sembrava un ornitorinco!
Era un Monte Vivo, proprio come, anche ad un imbecille, faceva intendere il suo nome. Un
fiume gli scorreva attorno liscio, ma a tratti, con un balzo riprendeva a scorrere più in
basso con un’esplosione di schiuma, oppure saltando sui sassi o dividendosi su certe
rocce...si vedevano bene i pesci guizzanti, pesci di tutti i colori e grandezze.
Ciò che più colpiva, tuttavia, era una pulsazione forte, ritmica, che poteva sembrare un
terremoto, ma era, invece, una pulsazione di energia - tun, tun, tun - il battito di un
grandissimo cuore. Tant’è vero che Kalura, all’inizio, pensò che quel rumore provenisse
dal suo cuore.
La stessa sensazione provata in terza fila al concerto live di qualche band con batteria
potente e contrabbasso. Poi, dopo un po’, chiese a Gelindo: “Lo senti anche tu?”. E lui:
“Sì”.
Quel battito era presente anche nei tronchi degli alberi che andavano sfiorando e lo
potevano sentire lungo tutto il sentiero.
La vita pulsava davvero su quel Monte, dappertutto.
E la magnificenza di quel fogliame, quegli odori, quel venticello, gli animaletti che uscivano
da tutte le parti, gli uccelli che scappavano fuori da un cespuglio... incontrarono anche dei
cerbiatti che si lasciavano avvicinare e leccarono con la loro lingua ruvida il sudore delle
loro mani.
I cerbiatti o i daini amano molto il sudore delle mani. Gelindo sapeva anche il perché: nel
sudore cercano il sale. Ma evitò, per esperienza vissuta, di dirlo a Kalura, che camminava
standosene zitta e sorridendo a tutte quelle meraviglie. Camminando su questo sentiero di
montagna con il bosco da tutte e due le parti, ogni tanto si guardavano attorno: da una
parte c’era la montagna piena di alberi, che saliva, dall’altra c’era la vallata, piena di alberi,
che scendeva con i ruscelli.
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E, in fondo, il fiume. Lì, in fondo, c’era sempre il fiume.
Su questo sentiero che si arrampicava sempre di più lungo le pendici, Gelindo e Kalura a
un certo punto realizzarono, senza sorprendersene troppo, che stavano girando in tondo,
salendo sempre di più verso la cima.
Finalmente, arrivati sulla cima, videro proprio di fronte a loro, a poche decine di metri, un
personaggio seduto tranquillamente su di un masso, in canottiera e in pantaloncini corti.
Era una stagione non tanto calda, c’era anche un po’ di venticello lassù, ma lui era
assolutamente imperturbabile, in canottiera, in pantaloncini corti, un berrettino col frontino
che un po’ gli nascondeva la calvizie, scarpe Nike bianche e blu, senza calzini. Sorridendo
appena, li salutò con un cordiale: “Buongiorno! Ben arrivati!”.
“Buongiorno...scusi, è questa la cima del Monte Vivo?” chiese Gelindo.
“Sì, è questa la cima del Monte Vivo. O del Monte della Vita, se preferite” rispose quel tale,
sorridendo appena e inarcando un po' le sopracciglia.
“Sa, noi stiamo cercando...” iniziò a dire Kalura, un po' indecisa su come continuare e
Gelindo le venne in aiuto: “ce ne siamo andati dalla nostra città alla ricerca di qualcosa
che desse maggior senso alle nostre vite e ci è stato detto che potremmo cominciare da
qui...” . “Eh, siete nel posto giusto, avete fatto proprio bene a cominciare da questo Monte.
Comunque guardate, adesso andate fino a quella baracca laggiù, vedete? E lì vi daranno
tutte le istruzioni sulla vostra eventuale permanenza”.
“Oh, grazie signore. Scusi, lei come si chiama?”.
“Io mi chiamo Energy e sono il Guardiano del Monte Vivo”.
Una volta ripreso il cammino, Gelindo sentì il bisogno di ricapitolare il tutto tra sé e sé
mentre Kalura lo guardava di striscio e lo fece per un po' in perfetto silenzio, ma non riuscì,
a un certo punto, a non coinvolgere anche Kalura in una delle sue tipiche menate: “Senti
Kalura, analizziamo bene la situazione...dunque, ci troviamo sul Monte Vivo che è stato
anche chiamato Monte della Vita...infatti, questo Energy che ci ha dato queste ultime
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informazioni, lo ha chiamato indifferentemente Monte Vivo, Monte della Vita e già, sia io
che tu stessa abbiamo potuto sperimentare come il Monte viva di una sua vita, sia pieno di
forme di vita, di colori, di suoni, di odori e...mentre camminavamo, come sia stato
piacevole il sentirsi vivi, lungo il sentiero, dopo aver abbandonato la tua Panda rossa,
quattro ruote motrici lì, di lato, perché il sentiero stava diventando un po’ troppo stretto e la
macchina non poteva proseguire... d’altronde, è piacevole sentirsi vivi anche
adesso...così, ad un certo punto ci siamo imbattuti in questo Energy che se ne stava
seduto su di un masso alla fine di questo sentiero da dove poi si intravedeva che
cominciava una radura, gli alberi erano più isolati...continuavano ad esserci lo stesso dei
bellissimi colori, il venticello, gli odori...”.
Kalura, lo sguardo fisso davanti a sé, già lo stava per mandare affanculo, ma con uno
sforzo per lei sovrumano, lo lasciò continuare.
”...ora, questo tizio che ci ha detto di chiamarsi Energy, ci ha accolti in maglietta, in
canottiera, in pantaloncini, scarpe Nike, bello abbronzato, pieno di forza e di energia e ci
ha invitati a proseguire fino a una baracca che dovrebbe essere qui vicino, dovrebbe
essere una reception per tutti i visitatori che arrivano qui…”.
A quel punto Kalura, giunta a livello di esplosione, sbottò: ”Gelindo, anzitutto pulisciti la
scarpa da quella merda di daino che hai appena pestato, e poi smettila di rompermi con le
tue analisi idiote...e poi, non so se te ne sei già accorto, ma alla reception ci siamo già”. E
Gelindo: ”Oh, cazzo, è vero, ci siamo già...”.
Reception del Monte Vivo e Dormitorio
Così, su questo “già”, con il loro zaino si presentarono alla reception, dove videro, per la
prima volta in vita loro, delle persone assolutamente centrate, cioè presenti nel
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rapporto, sia tra loro due che con eventuali interlocutori, sia con il mondo intero
attorno a loro.
Ferme, quando erano ferme, e armoniose nei movimenti, quando erano in
movimento.
Erano assolutamente presenti.
E quello che stupì entrambi, all’inizio, era che quando uno parlava l’altro stava zitto e
ascoltava, cosa che nella loro vita, nel mondo, non avevano mai verificato, dal momento
che nella loro vita, nella loro professione, nel mondo normale insomma, c’era sempre un
sovrapporsi nel parlare: “Io parlo, tu parli, non mi lasci finire il discorso, non ascolti quello
che dico...no, sei tu che non ascolti e vuoi sempre parlare...io non ti ho interrotto quando
tu parlavi...ora tocca a me parlare e tu non interrompermi”.
Lì no, quando uno parlava, l’altro stava zitto ed ascoltava, tre secondi di silenzio, poi
rispondeva con un tono sempre pacato. Ma erano soprattutto persone che le si vedeva
fisicamente sane, ben messe, esattamente come quell'Energy che li aveva accolti con un
gran respiro alla fine del sentiero ed aveva loro indicato la strada per la reception.
Furono invitati a dare le loro generalità e a spiegare il motivo per cui si trovavano lì. E il
loro motivo lo dissero chiaro: “Noi siamo qui perché qui siamo stati indirizzati da un
signore dalla città che ci ha detto che sul Monte Vivo...ed Energy ci ha appena confermato
che questo è il Monte Vivo, si comincia un giro, un tour spirituale, se possiamo chiamarlo
così...ci ha indirizzati qui un certo Qualcuno”.
Al che, un uomo e una donna che erano in quel momento alla reception, molto sani, molto
robusti, anche se la donna appariva un pochino esile, molto sorridenti, fecero un ulteriore
sorrisino quando sentirono parlare di tour spirituale, ma soprattutto
nominato Qualcuno.
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quando venne
“Ci hanno detto che si comincia da qui...noi vogliamo, in sostanza, trovare il senso
profondo della nostra vita, potremmo anche dire che noi vogliamo incontrare Dio” proseguì
Gelindo.
“Avete fatto proprio bene a cominciare da qui. Siete disposti a cominciare da subito? Avete
bisogno di qualcosa? Vi serve rifocillarvi un po’? Volete riposare? Io mi chiamo Sybil, con
l’accento sulla prima i, beninteso ipsilon, e Ciacerona di cognome, veronese... e lui...”
guardandolo amorevolmente “lui…si chiama Grugno di cognome Snasuplòun, reggiano.
Ah, se avete bisogno di qualcosa, di qui all'eternità, ora sapete dove trovarci…”.
“No, ci basta sapere dove mettere il nostro zaino, poi siamo a disposizione”.
“Beh... allora, come prima cosa, firmate questo modulo”. La mano grande come un badile
di Grugno Snasuplòun fece scivolare con delicatezza un foglio sul bancone.
Il documento da firmare, oltre alle generalità, che andavano specificate fino alla quarta
generazione ascendente, e all'informativa sulla privacy, conteneva una nota in grassetto : “
In questo luogo si può rimanere solo se si accettano tutte le condizioni che
verranno poste dai responsabili di questo luogo”. Kalura firmò subito di getto, non le
interessava molto, mentre Gelindo timidamente osò: “Ma, scusa , quali sono queste
condizioni?”.
Al che, Grugno Snasuplòun: “Mah, a dire la verità non le conosco nemmeno io. Forse non
ce n’è nemmeno una, di condizione. L’importante è che tu firmi”.
E Gelindo, rapidamente, siccome non era affatto uno stupido, ricominciò a mettere a fuoco
il gioco, come già aveva fatto giù in città, sulla stradina in salita e in discesa, e firmò,
riservandosi però sempre dentro di lui un pensierino: “Beh, se poi non mi va... li mando
anche a quel paese...”.
Invece Kalura non sentiva alcuna resistenza, desiderosa com'era di cominciare questa
avventura e di buttarsi in questa storia. Le era, da subito, piaciuta Sybil Ciacerona che se
ne stava lì in silenzio, sorridente, a mettere a posto delle carte che Kalura non capiva cosa
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fossero, ma non gliene poteva fregare di meno: cazzi di Sybil, mica suoi. Cazzi bonari,
sentiva Kalura mentre lo pensava, mica cazzi scazzati, anzi...
Tra l’altro, mentre Gelindo stava chiedendo a Grugno qualche informazione su alcune
costruzioni che si vedevano in lontananza, lei sottovoce aveva iniziato a parlare con Sybil.
Le chiese dei suoi vestiti perché, sia Sybil Ciacerona che Grugno Snasuplòun erano vestiti
in modo un po’ inusuale, con colori che aveva visto, forse, solo a teatro o al circo.
Soprattutto non le era mai capitato di vederli addosso agli uomini, in modo particolare a
quegli uomini grandi e grossi come Grugno, che non avrebbero mai indossato quei
pantaloni gialli a strisce rosse e quella maglietta rossa con delle palle verdi e gialle,
peraltro uguali ai pantaloni e alla maglietta addosso a Sybil.
Oltre agli abiti multicolor, Sybil aveva dei lunghissimi capelli viola attorcigliati a treccine,
un’infinità, che le ricadevano fino a mezza maglietta sia davanti che di dietro e che
incorniciavano un visino delicato, tutto regolare, e due riflettori smeraldo dove la gente
normale ha gli occhi normali.
La chioma di Grugno, invece, era una foresta di capelli alla Sai Baba, sopra una faccia
quadrata in cui tutto era regolare, compresi gli occhi, semplicemente celestazzurri.
Ricordava Terence Hill con un fisico del Bud Spencer dei primi film. Insomma il tutto, a
qualcuno che fosse in un atteggiamento di giudizio, poteva sembrare una
pagliacciata.
Ma sia Kalura che Gelindo subito colsero che c’era semplicemente qualche cosa di
molto vivo in quei colori, in quel loro modo di essere, di parlare, di starsene zitti.
Soprattutto sentivano l’energia che emanavano, ed era un’energia buona, forte,
un’energia di vita.
Fu durante questo primo incontro che Kalura venne messa a conoscenza da Sybil
Ciacerona, sottovoce, che c'era un capo, lassù, un boss bene al corrente di tutto quello
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che accadeva sui cinque Monti, il cui nome era Koi Nahìm. Ma Kalura, lì per lì, non fece
tanto caso a quell'informazione e a quel nome indiano...era presa da altro.
Rapidamente furono avviati, con un solo gentile gesto sincronizzato di Sybil e di Grugno
ad un’altra baracca dove mettere il loro zaino, le loro cose.
Lì, sull’unica porta di ingresso di quello che apparve loro come un dormitorio, incontrarono
Biscia,
un
tipo
traccagnotto,
pelosissimo,
scarmigliato,
scalzo,
con
la
parlata
romanapoletana. Si presentò molto gentilmente, a torso nudo, una gran barba nera e
arruffata, pantaloncini corti militari. Grondava sudore ma non puzzava affatto, come ebbe
modo di notare Kalura e di dire più tardi a Gelindo.
Una voce profonda, lentissima, dall’oltre tomba: ”Tè, te ppòi mette accà, e ttè, dellà...li
bbàgni e le docce sò quarrèta...ah, mo me stavo quasi a sckurdà, né li bbagni né le docce
cianno la porta, ma tanto nun se va mai sotto li venti gradi sottozzero, manco negli inverni
cchiù friddi da scinquant’anni ammò...eppoi, m’auguro che pevvoi nun è ‘n probblema, nun
ce sta distinzione tra servizi pélli omimini e pélle fìmmine…ora me dovete scusà, scusate,
aggio d’anda'...beh, avete chisctu vantàgg che nun è da poco, che già ve conoscete e io
vò truvate du branne viscìne”.
Gelindo era tutto contento per la storia delle docce uomini e donne in comune, anche se
avvertì, forse per la prima volta in vita sua, un po' di gelosia per Kalura.
Kalura, invece, si sentì improvvisamente stitica.
Il dormitorio era fatto in modo piuttosto semplice, con delle stanzette separate da teli
colorati, di una stoffa morbida, praticamente delle sari indiane, delle brande molto
essenziali, un comodino e un armadietto in vimini per ogni branda. Il materasso era
decisamente troppo morbido e ruvido, come del resto le lenzuola, peraltro pulitissime, ma
ruvide anche loro come i cuscini, un po' duri, e non c'era alcuna abat-jour. A Gelindo tutto
ciò fece subito venire in mente alcune tende in cui aveva passato delle notti non tanto
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buone quando aveva fatto il servizio militare come Caporalmaggiore Aiutante di Sanità, nei
Lagunari di Portogruaro.
Mentre per Kalura, sperimentarsi in una situazione dove si dorme con tanta gente
sconosciuta, in mezzo a quel bosco, su quella montagna, con quel bellissimo sole, con
quei canti degli uccelli e con notti che presagiva molto interessanti, rappresentava una
piacevole novità.
Dal dormitorio si sentiva, in sottofondo, il fruscio, il rumore dolce di un ruscello che
passava e ogni tanto si vedevano gli scoiattoli che saltavano da un albero all’altro, i
cerbiatti che venivano lì vicino.
Insomma c’era tutto quello che ci si può aspettare dove la vita è veramente presente.
Per Kalura sarebbe stato assolutamente perfetto, se non ci fosse stata quella storia di
dover fare la cacca in bella vista a tutti.
Mentre stavano ancora disfacendo i loro zaini e stavano sistemandosi, sulla porta della
grandissima baracca-dormitorio, si presentò un altro tizio che, anche lui, poteva avere la
loro stessa età, molto robusto ed energico e con una faccia barbuta molto simpatica. Con
un tono che non lasciava spazio a repliche, disse: “Domattina si hominscerà alle huattro e
dopo vo' farete tutto il perhorso, solo huello previsto per domattina, sihùro!. Io mi hiamo
Mansueto Omobono e ssò de Firenze, ma pevvòi posso parlare anche in lingua italiana
volgare”.
Gelindo e Kalura cominciarono a chiedersi vicendevolmente a quel punto: “Ma davvero
siamo sicuri che è così che si trova Dio? Mah, forse siamo finiti in un campo
paramilitare...forse questi si spacciano per ricercatori spirituali ma, in realtà, stanno
organizzando qualche rivoluzione...magari poi ci addestreranno anche all’uso delle
armi...non lo so...alle quattro di mattina si presenteranno con questo qui con la barba...e
che si chiama proprio Mansueto Omobono...che stupidaggine...ma pensano proprio che
siamo dei coglioni?...”.
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Mansueto Omobono però, come tutti gli altri incontrati fino a quel punto, aveva una voce
molto gentile e dolce, con cadenze vocali molto armoniose, e anche i movimenti del suo
corpo erano assolutamente perfetti. Quando camminava sembrava quasi non toccasse il
terreno e ci scivolasse sopra, da quanto era leggero, nonostante pesasse come minimo,
centotrenta, centoquaranta chili. Era un bestione ma, evidentemente, almeno a un primo
impatto, molto molto buono.
Gelindo e Kalura si chiesero sottovoce: “Ma, secondo te, possiamo stare assieme qui,
nello stesso loculo o dobbiamo metterci...” ed è venuta fuori l’annosa questione su cui si
erano messi d’accordo prima di partire... “Mettiamoci io qua e tu di là dal telo e dopo,
insomma, succederà quel che si vuole”. C’erano, in altri separé più grandi, delle brande a
castello, due, tre brande, una sopra l’altra. E anche lì, ognuno di questi gabbiotti era diviso
dall’altro da un telo. Teli di cerata verde, non morbide sari come quella che separava la
branda di Gelindo da quella di Kalura.
Dietro il telo di cerata verde, dalla parte di Gelindo, seduta con le gambe penzoloni dal
posto superiore di un loculo con tre brande a castello, una donnina sorridente spostò il telo
e li salutò “Ciao, come vi chiamate? Io mi chiamo Sara...” Gelindo e Kalura si
presentarono per nome e le porsero la mano. Sara aveva gli occhi fulminanti
grigioazzurro, un bellissimo sorriso, due o tre mala al collo e anellini sulle dita dei piedi
nudi. Si capiva bene, soprattutto dalla stretta di mano, che non era poi così esile come
sembrava a prima vista. Quando sentì il nome di Kalura, si mise a parlare fluentemente
con lei in hindi, con traduzione simultanea, da parte di Kalura, in inglese. Le disse di non
essere molto privilegiata, lassù, pur essendo la figlia di suo padre che, lassù, tutti
chiamavano Koi Nahìm...nome al quale Kalura non prestò la minima attenzione per
tradurlo in italiano, pur avendone gli strumenti ed avendolo già sentito pronunciare poco
prima da Sybil Ciacerona...ma che, in realtà si chiamava Veniero, continuò Sara, che
diede anche alcuni consigli a Kalura su come passarla liscia su quei cinque Monti. Sotto di
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lei, silenziosisissime, c'erano due sue amiche, atea dichiarata l'una, che come tutti gli atei
dichiarati, era più religiosa di moltissimi sedicenti “credenti”, di nome Sté, anche lei con gli
occhi grigi, e un'altra, dichiaratamente yoghino-buddhista, in ballottaggio tra Cagliostro, di
San Leo eremita di Montefeltro, e San Giusto martire, patrono di Trieste, di nome Piercing,
che si pronuncia “pirsing”.
Dalla tela cerata dalla parte di Kalura, ad un certo punto si sentì dire “Beh, scusate se ve
lo dico...ma anch'io non sono privilegiata, pur essendo figlia della moglie di Koi Nahìm, che
si chiama Arni, da Arnava, e che prima si chiamava Verità, anche se il suo nome vero è
Marzia, nonostante quassù tutti la chiamano Màriza...io mi chiamo Linda” e, con un
velocissimo movimento, spuntò il suo viso da dietro il telo, un po' accigliata, ma molto
bella, pensò subito Gelindo, con occhi e capelli neri, lisci e lunghi lunghi che nemmeno
Kalura...”e poi” continuò Linda rivolgendosi a Sara “anche Koi Nahìm non si chiama
Veniero, ma Vegni...o, al massimo, Miten...”. Al che Sara “ Cazzo! Saprò ben io come si
chiama mio padre! Si è chiamato in tanti modi...Lupo Solitario, Prem Miten, Amico,
Champa Leksce, di nuovo Miten, ma il suo nome vero è Veniero e, se è per quello,
conosco anch'io sua moglie Marzia, cioè tua madre, che non è però la mia”. E così Linda e
Sara cominciarono animatamente a discutere finché, assieme, decisero che nessuna delle
due ci capiva più una mazza di nomi e di parentele. Tornata un po' di calma, Gelindo e
Kalura si presentarono a Linda con il loro nome, al che, lei subito rispose ”Beh, ciao,
buonanotte” e si ridistese sulla sua branda. Dallo stesso loculo emerse un uomo
nerovestito, in divisa d'alta uniforme dei cannonieri di Marina, la barba corta,
brunobianchiccia che, a passo di marcia atletica, si presentò come il fidanzato di Linda il
cui nome era Max. Presentò, senza batter ciglio, anche la loro figlioletta, una simpatica
Jack Russel di nome Mia.
Dal fondo del dormitorio soffiò una voce, distintamente “Beh, anch'io sono non privilegiata,
anche se conosco bene Koi Nahìm, che per me si chiama Miten, e sono anche figlia di
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Lory...che conoscerete...il mio nome è Sara”. Si era alzata in piedi, ben ferma a gambe un
po' allargate e stava smanettando su un cellulare con una plancia di comando simile a una
nave da crociera. Aveva gli occhi biancocelesti e, gentilmente, avanzò lungo il corridoio
per dare la mano a tutti. Così, tutti quelli che erano lì dentro, vicendevolmente si
presentarono. Dall'altra parte del dormitorio si udì, a quel punto una voce un pochino roca,
da dietro un telo “ Ma posso anch'io dighre qualcosa su questa stoghria...in fondo io sono,
solo pochi mesi dopo Saghra, la Saghra figlia del Vecchio Babbione, come lo chiamo
io...io sono quella che da più tempo conosce Koi Nahìm, che si chiama anche...sia
Venieghro che Miten...si è chiamato anche Amico, peghr un peghriodo...sapete, io sono
figlia di Fghriz...che si tghrova da qualche paghrte, qui vicino. Lui è da tantissimi anni
l'amico più caghro di Koi Nahìm...io mi chiamo Maghrtina e, quassù, non sono peghr
niente phrivilegiata” . “Oh, ciao, Martina!” disse Sara e, fattala uscire dal suo comparto,
spingendola avanti, la presentò a tutti gli altri. Nonostante la erre un po' moscia, Martina
era in gran forma e molto cordiale.
Sistemate le loro cose, Gelindo e Kalura si guardarono attorno, in lungo e in largo...beh, ci
saranno stati almeno cinquecento posti in quel grandioso edificio dormitorio, si dissero
sottovoce, il che voleva dire che c’erano tante persone.
“Ma dove saranno tutte queste persone?” domandò Kalura a voce alta “abbiamo ricevuto
comunque l’ordine che domani mattina alle quattro si comincia...noi fino alle quattro di
domani mattina siamo liberi”. “Sì”, dissero in coro Sara, Ste, Piercing, Linda, Max, Mia,
Sara due e Martina, ma nessuno di loro si mosse.
Il sole stava ormai tramontando, e Kalura cominciava a sentire una certa fame. Così,
propose a Gelindo di sbirciare nei dintorni.
Alla ricerca di un posto giusto, per i due amici, a tavola
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Cominciarono allora a gironzolare un po’ nei dintorni, l’erba rada, qualche spuntone di
roccia, pochi alberi molto frondosi, finché intravidero, in una valletta poco distante da lì,
un’altra costruzione, molto rudimentale, molto più rudimentale del grande dormitorio dal
quale erano appena usciti. Si trattava di una costruzione fatta di soli mattoni, ma senza un
tetto, nemmeno un telone. Gli approssimativi muri esterni erano talmente bassi che si
vedevano spuntare i capelli o le teste rasate o calve di chi vi si trovava dentro. Da quel
luogo, Gelindo e Kalura sentirono arrivare delle voci, voci peraltro sommesse, e anche un
indefinibile odore di cibo.
“Vuoi vedere che è lì che si mangia?” dissero all'unisono, dirigendosi verso quel posto.
E lì videro, proprio con delle suddivisioni molto marcate, molto nette, delle tavolate i cui
commensali erano persone molto attente a ciò che mangiavano e bevevano.
La tavolata, quella più lunga di tutte, era occupata dai macrobiotici rigidi, a giudicare dal
loro colore grigio-verdastro e terreo. Kalura e Gelindo, che già a Rovigo avevano
conosciuto quell'ambiente, sapevano che la macrobiotica in sé non è affatto rigida, ma
avevano anche constatato quanto spesso inducesse alla tentazione del perfezionismo
alimentare specie chi, già da prima, avesse qualche problemuccio con il cibo e con
l'essere perfetti. Osservando le svariate persone attorno a quel tavolo, tutte accomunate
dalla fissa della macrobiotica, notarono che, pur essendo provenienti da tutto il mondo, sia
che fossero cinesi, africani, islandesi, avevano compreso poco o niente degli insegnamenti
dei maestri della macrobiotica o dei loro discepoli diretti.
Sembrava una nuova razza, sostanzialmente una mutazione degli esseri umani.
Mangiavano masticando quarantaquattro volte ogni boccone. E anche quando bevevano
l’acqua, sempre tiepida e conservata in un thermos assolutamente personale, o il tè
Kukicha, masticavano il liquido quarantaquattro volte, per permettergli di scendere nello
stomaco mescolato alla saliva che contiene enzimi importanti. Tutte queste operazioni
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venivano intervallate solo da
qualche sussurro fra loro, ma solo se ce n’era proprio
bisogno, tipo: “Mi passi il tofu, per favore?”.“Non ti sembra che ci manchi un po' di
gomasio, su questa lattuga?”.“Senti, oggi non va bene tutto questo seitan”. “Troppo poco
yang di Tamari in questo cibo yin”.“Ma dai, succhiati un po' di acidulato di Umeboshi e non
lamentarti tanto...” ed altre simili amenità, certamente indispensabili perché non solo loro,
ma anche il mondo intero potesse guarire da tutte le malattie che affliggono il pianeta.
Kalura e Gelindo, per niente attratti da quella situazione si spostarono allora un po’ più in
là, e trovarono il tavolo dei fruttariani.
C’erano pesche, ciliege, mele, pere, albicocche, semi di zucca, cose di questo genere.
Tutti frutti, freschi o secchi, basta fossero di stagione, ben separati in grandi ciotole di
legno lucido. Ognuno dei presenti aveva un piatto di legno davanti, lucido anche quello,
un coltello e una forchetta, naturalmente in legno e, ogni tre o quattro di loro, un pacco di
fazzolettini di carta.
Gelindo e Kalura osservarono ed ascoltarono per un po', con la massima discrezione,
standosene in disparte, tanto nessuno manco s’era accorto che c’erano lì due nuovi,
cosa già vissuta poco prima con i macrobiotici che non se li sarebbero filati nemmeno se
fossero saltati loro in braccio.
I discorsi che questi facevano, molto simili a quelli dei macrobiotici, trattavano solo di
cosa e come mangiare. Per tutto il tempo, tranne quando mangiavano qualcosa in
religioso silenzio, parlavano di cibo, di cibo, di quello che si può mangiare, di quello che
non si deve mangiare, e sia Gelindo che Kalura, tutto sommato, ne conclusero che
neanche quel tavolo faceva al caso loro.
E allora, spostandosi ancora di un altro po’, tanto era un pianoro grandissimo quella cima,
muschio tappezzata da camminarci scalzi, s’imbatterono in successione nelle tavolate,
tavoli, tavolinetti a cui erano accomodate tutte le categorie della specie umana molto
attenta al cibo. Nella lunga processione accanto ai vari deschi imbanditi nei modi più
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svariati, Gelindo e Kalura si fermavano davanti ad ognuno, e con molta gentilezza
chiedevano: “Scusate, ma cosa e come si mangia qui?”. La risposta, generalmente non si
faceva attendere. Così qualcuno, invariabilmente quello o quella che si riteneva il primo o
la prima della classe, si dilungava in spiegazioni che non finivano più.
E così, via via, sfiorarono i vegetariani semplici, i più diffusi al mondo, che si limitano a
ripudiare la carne animale, ma non i prodotti commestibili degli animali, tipo formaggi,
latte, uova, miele. Poi i vegani, i più simpatici ed inaspettatamente dotati di humour
inglese, dato che sono alieni provenienti da un pianeta orbitante attorno a Vega, stella
della Costellazione della Lyra, cosa che i vegani non vogliono ammettere, sostenuti da tre
medici statunitensi, tale John Mc Dougall, il loro padre costituente, Mark e Virginia
Messina, che non credono nella presenza sul Pianeta Terra di extraterrestri. Mangiano
solo cereali integrali, legumi anche non tradizionali, come i buonissimi granellini
sudamericani Quinoa, vegetali amidacei come le patate, ed altre verdure fresche.
Aborriscono non solo la carne, ma anche qualsiasi prodotto proveniente dal mondo
animale. Per non parlare, poi dello zucchero e del fumo di sigaretta...Jovanotti Lorenzo
Cherubini, Roberto Baggio, il Dalai Lama, Carl Lewis, Brad Pitt, Tiziano Terzani e molti altri
personaggi famosi, erano stati o lo sono ancora, vegetariani o vegani della prima ora, cui
recentemente si sono aggiunte tutte le star di Hollywood più o meno note, come disse a
Gelindo, e con una certa fierezza, una signora toscana, anziana di centosei anni, ciclista
professionista tuttora, che era stata amica della defunta Margherita Hack fin dall'infanzia.
Poi, di seguito, Gelindo e Kalura incontrarono quelli degli alimenti secondo il gruppo
sanguigno, scoperta rivoluzionaria effettuata da due naturopati statunitensi, padre e figlio,
James e Peter D'Adamo, che sostengono che gli esseri umani si dividono in quattro
categorie, ad ognuna delle quali corrisponde un certo gruppo sanguigno. Le categorie ed i
gruppi sanguigni sono, seguendo pedissequamente l'evoluzione nei millenni e milioni di
anni di sviluppo filogenetico dell'essere umano, modificata in parte dal loro allievo italiano,
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dottor Piero Mozzi che, a differenza dei suoi estimatori e seguaci, non è per niente rigido
né sapientone: “Antichi antenati predatori”, gruppo sanguigno 0, con almeno 50.000 anni
di età; “Antichi agricoltori”, gruppo sanguigno A, con 15-20 mila anni di età; “Antichi
pastori, nomadi e bellicosi”, gruppo sanguigno B, con 10-15 mila anni di età; ed infine
“Enigmatici”, gruppo sanguigno AB, il più recente, formatosi dalla mescolanza del sangue
del gruppo A dei Romani, con quello B dei Barbari. Ovviamente, conoscendo il proprio
gruppo sanguigno, ognuno conosce i cibi, ben enumerati in un'apposita classificazione,
che gli fanno bene, che gli fanno male o che gli sono indifferenti. Poi, di seguito: quelli che
seguono la dieta della Dottoressa Katherine Kousmine, indicata per cancro, malattie
degenerative ed autoimmuni, con rinforzo di integratori alimentari che costano un casino,
igiene intestinale che risulta effettiva solo quando, finita la cacca ti pulisci, e sull'unico
foglietto di carta igienica non resta nemmeno un piccolo segnetto. Quelli della dieta Protal,
sostenitori delle proteine a gogò. Quelli della dieta Zukan, ossessionati dall'insulina, da
misurarsi, nel suo livello, con una goccia di sangue ed una strisciolina di carta su cui
verificarsi almeno tre volte al giorno, per poi scontare la pena, in caso di infrazione, con
una reclusione da tre a sei anni con il 41 bis. Quelli della dieta attentissima al ph, indicante
l'equilibrio acido/basico del sangue e delle urine, cioè gli ortomolecolari, i più evidence
based accreditati, cioè i più sostenuti dall'evidenza scientifica dei risultati sulla salute
umana. Poi: i sostenitori della dissociazione alimentare, ideata da un certo Lodispoto che,
detta così, sembra una corrente anarco insurrezionalista o una grave sindrome
psichiatrica. Quelli della dieta del dottor Pierre Dukan, seguita anche da Kate Middleton,
prima, durante e dopo la sua gravidanza, a base di alimenti ricchi di proteine e poco
calorici che diminuiscono l'appetito e provocano un forte dispendio calorico, permettendo
di perdere peso senza diminuire la massa muscolare. Si divide in quattro fasi, difficilissima
da eseguire correttamente: sono previsti almeno trenta minuti di camminata al giorno, per
tutta la vita, come, per tutta la vita, il giovedì solo proteico e tre cucchiani di crusca al
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giorno. “Chissà se Sergio Caprarica, esperto in Casa Reale Inglese, sparito recentemente
dalla TV italiana per motivi di potere ed invidia, queste cose le conosce”...pensarono
Kalura e Gelindo...
Poi incontrarono quelli della dieta chetogenica, iperproteica ed ipoglicemizzante, che
riduce, oltre ai carboidrati, anche i grassi che vengono utilizzati a scopo energetico. La
seguono soprattutto le casalinghe senza colf, visto che sono gli esseri umani che
consumano più calorie. Quelli della dieta GIFT, di Luca e Attilio Speciani, che propongono
10 regole fondamentali da seguire che, se non le segui, ti mandano un camionista rumeno
a casa, addestrato appositamente alle punizioni delle infrazioni alimentari. Poi, quelli della
dieta DASH, che non c'entra niente con il detersivo, come Kalura, un po' annoiata, aveva
pensato in un primo momento, ma che viene adottata da gente che ha la pressione del
sangue alta ed il colesterolo cattivo non accettabile, perché fuori dalla scala prevista dalla
Comunità Scientifica Internazionale. In questa dieta ogni tipo di dolce è bandito. Poi quelli
della dieta RAW, seguita assiduamente da Alicia Silverstone, Demi Moore, Robin Williams
e Peter Adams, che prevede l'ingestione di tonnellate di frutta e verdura fresche ogni
giorno, giorno dopo giorno, per tutta la vita, fino alla morte per carenza proteica. Poi quelli
della dieta a zona, detta anche ZONA creata dallo statunitense Barry Sears, molto adatta
per combattere malattie cardiovascolari, diabete e malattie autoimmuni. Difficilissima da
seguire. Per non parlare poi di quelli, guardati un po' in cagnesco da tutti gli altri, che
ingerivano solo pillole, tipo Raspberry Ketone, meglio se al gusto di lampone e della
varietà strong. C'era anche chi si inghiottiva pillolate di Carciofo di Laon.
Kalura era molto annoiata quando questi cominciavano con la loro tiritera, ma Gelindo,
viceversa, era molto incuriosito e prendeva anche appunti su di un piccolo quaderno, con
una biro rossa e blu. Se Kalura, alla fine di tutto il giro, non l'avesse strappato via di lì,
forse sarebbe rimasto a prendere appunti per tutta la vita. Gelindo accettò lo strappo di
Kalura, senza opporre alcuna resistenza, solo perché erano già arrivati alla fine dei
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tavolinetti e lui aveva preso talmente tanti appunti che, se lo pregustava, avrebbe studiato
dettagliatamente in seguito, come di fatto fece, per poi scrivere una guida per fanatici del
food e che, forse, avrebbe anche potuto utilizzare per farci una pubblicazione scientifica.
Ciò che accomunava tutti questi esseri un po' infelici con l'esclusione dei vegani,
amaramente constatarono sia Kalura che Gelindo, era la convinzione che tutti, ma proprio
tutti, i fenomeni dell'Universo dipendessero da l tipo di cibo e di bevande ingurgitati dai
terrestri umani, dal tempo cattivo alla politica dei Governi, dal troppo caldo d'estate al
dispiacere che i loro figli provavano se venivano bocciati a scuola. Infine, infine, Gelindo
Kalura incontrarono quelli della dieta cretese o mediterranea. Questi mangiavano, anche
loro, solo verdure, cereali, frutta, anche se solo di stagione, però si permettevano anche di
azzannare, ogni tanto, ma ad ogni pasto, anche del pesce, oppure una scaloppina di
vitello e un buon vinello, almeno un bicchiere a testa. Così Gelindo, che aveva un
problema di reflusso esofageo dovuto a un’ernia iatale che si portava dietro da parecchio
tempo, dai tempi ancora dei primi esami all’Università, e che gli aveva procurato alcuni
guai soprattutto a livello di ritmo cardiaco, mestamente sussurrò a Kalura, che era anche
la sua cartella clinica vivente: “Ma forse per me potrebbe andare bene qui”. Kalura era
indecisa, sapeva benissimo che questa storia dell’ernia iatale di Gelindo era stata sì,
riscontrata, e anche le aritmie saltuarie, ma Gelindo ci metteva tanto del suo, con la sua
ipocondria del cazzo.
Kalura sapeva che Gelindo era fondamentalmente sano, tranne quando cominciava con le
sue menate, e che ciò che più gli sarebbe servito sarebbe stato quello di darsi una mossa.
Non era forse per questo che una mattina se n’erano partiti da Rovigo? Di se stessa,
Kalura sapeva e sentiva di essere sana. Cioè, erano due persone sanissime.
Ma, a tentarli veramente, furono gli eutopici, prevalentemente tedeschi di Berlino e molto
simpatici, ridanciani ed estroversi. Se ne stavano seduti a terra, in cerchio, e mangiavano
solo i rifiuti di tutti gli altri, cioè i cibi che gli altri ritenevano non commestibili, ma che per
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loro erano buonissimi, tra qualche canna e suonata di chitarra. Gelindo e Kalura li avevano
conosciuti attraverso una trasmissione televisiva di MTV, “Il testimone”, a cura di Pif, ossia
Pierfrancesco Diliberto, che loro due amavano moltissimo per la sua simpatica innocenza,
e per questo lo amava Kalura, mentre Gelindo lo amava per la sua acuta intelligenza.
Ambedue lo amavano per lo humor palermitano, rispettoso dell'altrui umanità e per il
coraggio nel girare un film sulla mafia, che in inverno va in letargo come i topi ragno, ma
che in primavera si risveglia per accordarsi, in seduta spiritica attraverso il medium Licio
Gelli, corrispondente dal pianeta Terra di God News, con il defunto divino Giulio su chi
deve essere ammazzato solo d'estate.
Così Kalura se ne uscì a botta, con l’approvazione silenziosa di Gelindo: “Però finora, qui,
non c’è mica tanto divertimento, a parte questi che mi sono proprio simpatici, ma ho
voglia di mettermi seduta ad un tavolo...”.
E si sdraiarono sul muschio, in attesa di migliore sistemazione, stiracchiandosi un po’ le
gambe, la schiena, le braccia e il collo, facendo tesoro di quanto avevano imparato due
anni prima a Rovigo, a un corso di strechting con un’insegnante antipatica di Badia
Polesine.
Se ne stettero lì per un’oretta, in silenzio, pensando ognuno ai fatti suoi.
Il cielo, nel frattempo, si faceva sempre più notturno, ma restava chiaro per la luce di una
luna grandissima, proprio sopra di loro, butterata e gialla gialla. Niente nuvole, o nebbia o
foschia, come quasi sempre a Rovigo. Ma stelle grandi come palle di bowling, come quelle
di un grande stanzone casinosissimo e imbrillantinato di Lendinara.
Gelindo riconobbe almeno cinque costellazioni e seppe dare il nome, sempre beninteso
standosene in silenzio, ad almeno un centinaio di quei fanali e lucine, più o meno pulsanti,
lassù.
Spettacolo che a Rovigo…ma nemmeno all’osservatorio astronomico di Trieste, quello di
Margherita Hack, defunta amica dell'anziana ciclista vegana.
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Si stavano quasi addormentando, quando giunse ai loro orecchi, portato da una brezza
leggera che s’era appena alzata, e li stava anche facendo un po’ infreddolire, l’eco di un
gran baccano, di un casino tremendo, di gente che rideva, che cantava, che
sghignazzava.
Il posto giusto, per i due amici, a tavola
A un certo punto si udì distintamente, da almeno duecento metri, un rutto potentissimo.
Praticamente da orchestra sinfonica, pensò Kalura, da quanto era lungo e mosso
variabile, sia in ascesa che in discesa.
Si spostarono speditamente, allora, in quella direzione, soprattutto attirati dalla potenza di
quel rutto di liberazione, anche se Gelindo, terrorizzato, già si immaginava l’autore, e
stimolati da un possibile incontro con gente che probabilmente era alle prime armi, come
loro due, nella ricerca di Dio, udito il rutto e il gran casino che quella gente stava facendo.
Eh, mica si è molto avanti, nella ricerca di Dio, se si rutta e si fa casino a quel modo...
All’improvviso videro una lunghissima tavolata di gente di tutti i colori, di pelle e di vestito,
uomini, donne e bambini di tutte le età, una specie di museo vivente di antropologia. C’era
gente che stava mangiando cosciotti di cinghiale arrosto, bevendo bottiglioni di birra,
scolando caraffone di vino, azzannando pagnottone di pane appena sfornato.
Il pane, Gelindo e Kalura lo seppero poco dopo, lì lo facevano fresco e, dunque, ancora un
po' caldo da mangiare, due o tre volte al giorno perché c’era proprio tantissima gente, e
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chi se l’aspettava di trovare tanta gente su quel Monte?...anche se qualche indizio lo
avevano già avuto, osservando la capienza di posti letto del dormitorio.
Anche perché quel Monte, visto da giù, dalla città, non sembrava poi così grande. E
invece, essendo quassù, era evidente a tutti che di gente ce ne poteva stare anche una
valanga in più.
Qui ebbero la conferma che quassù ci fossero, come minimo, cinquecento persone tra
quelli con la fissa più o meno fissa del cibo e questi scombinati nel mangiare che
mangiavano tutto quello che gli andava e che, sicuramente, erano proprio degli incoscienti
riguardo la loro salute fisica e mentale. Però...ridevano e cantavano, ruttavano ed
emettevano flatulenze a tutto spiano. Insomma, si stavano divertendo un casino.
Kalura, dopo aver osservato per bene il tutto, infine disse: “Dai, Gelindo, mettiamoci
qua...magari evitiamo i sughini un po’ troppo pesanti, però tutto sommato assomiglia un
po’ di più al mangiare che piace a noi...restiamo qui”.
Seduti lì, vicini tra loro, ma in mezzo a tanti che li guardavano sottecchi sorridendo,
iniziarono a cenare lautamente, e in tutta comodità e rilassatezza.
Bevvero francamente tanto e di tutto, persino dell’acqua e delle spremute di frutta.
Kalura bevve molti alcolici, più di quelli che di solito era abituata a bere a casa, quando
beveva alcolici, il che era poco frequente dato che suo marito Freddy era rigidamente
astemio di vino, anche se non di superalcolici e anche di peggio.
In quell’occasione, finalmente Kalura si fece fuori una bella caraffa di Refosco che non
aveva mai potuto bersi tranquillamente in vita sua, senza che il marito, o Gelindo, o le sue
amiche, le rompessero le scatole.
Kalura, un po’ presa da questa alcolemia, cominciò allora a raccontare delle cose che
attirarono l’attenzione di altri. L’argomento preferito di partenza era sempre quello: l’essere
una mezzosangue indiana dell’India e italiana di Rovigo.
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Alcuni amici, molto in confidenza fra loro, e Kalura venne a sapere come fossero in
altrettanta confidenza con il boss dei Monti, furono presentati da un certo Lan Frank Farra
che, biancobarbuto folto, gli occhi chiari, un po' panzuto ed il naso da pugile, per non
perdere la sua cordiale dimestichezza con le donne, subito attaccò bottone con Kalura
dicendo che gli altri quattro tizi, in divisa regolamentare degli scout cattolici, anche se non
erano più tanto cattolici, che erano lì con lui, si chiamavano rispettivamente Naso Dolce,
effettivamente dotato di un naso un po' grosso e rosso, pensò Kalura, anche se non volle
approfondire se fosse anche dolce, ed un altro un po' staccato, che leggeva tutti i siti
possibili su Internet e chattava a tutto spiano, Joachim Lot, alto alto e, visto il suo nome e
cognome biblico, pur essendo molto dolorante alla schiena, sopportava il tutto con infinita
pazienza. Vicini, i due fratelli Ivano e Lorenzo Marca d'Oro. Il primo, sorridente e un po'
abbronzato, visto che passava molto del suo tempo a trascorrere delle vacanze rilassanti
in Africa e il secondo, viceversa, pallido, magro, occhialuto, taciturno ed un pochino triste.
Un po' più in là, amici del liceo classico, frequentato a Belluno da Koi Nahìm. Tra di loro,
una ventina, spiccavano anzitutto: Jolie Petite Rose, docente di greco antichissimo alla
Sorbona, sempre più somigliante a Catherine Deneuve con il passar degli anni, che si
stupì non poco nel constatare quanto Kalura conoscesse bene alcune lingue antiche,
soprattutto le poesie d'amore di quei greci, prevalentemente omo o bisessuali, sempre
innamorati di qualcuno o di qualcuna, poi il prussiano Franz Franz, anche lui, come Lan
Frank Farra, con una barba folta e bianca, avventuriero garibaldino con la camicia rossa
autentica addosso, di suo bisnonno, con in mano una Luger Po38 di suo padre morto
ammazzato perché, ai tempi, si trovava dalla parte sbagliata e, nell'altra mano, un trattato,
da lui scritto, di filologia della lingua italiana e dei dialetti italiani della modernità e della
contemporaneità, che si stupì di quanto Kalura conoscesse bene tutte le poesie e le parole
delle canzoni d'amore delle sette province del
Veneto, poi Tony Castò,
di Cannes,
sempre oscillante tra lo scazzato e il sorridente, che apprezzò molto le battute fulminanti di
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tutti i movies d'amore, da parte sempre di Kalura, sin dai tempi in cui è stato inventato il
cinema. E così, per merito delle conoscenze artistiche di Kalura, anche Gelindo fu
l'oggetto di qualche sorriso buono.
Queste due ultime categorie di persone, da Lan Frank Farra a Tony Castò, erano state
invitate lassù personalmente da Koi Nahìm, ed erano libere da impegni di qualsiasi tipo.
Insomma, erano invitate a farsi i cazzi che pareva loro per tutto il tempo che volevano.
In poco tempo questi due nuovi arrivati, Gelindo e Kalura, anche se per motivi diversi,
furono al centro dell’attenzione di tutti gli altri, che evidentemente si conoscevano già da
qualche giorno, e divennero così, ben presto e con facilità, amiconi di tutti.
A un certo punto,
un tale, di nome Philippe Petite Bonne Sagesse, della malavita
marsigliese, con le sopracciglione nere nere, tirò fuori la chitarra e cominciò a suonare e
cantare, passando per tutti i generi e gusti dal secondo dopoguerra mondiale a oggi.
Qualcuno continuò a seguirlo per tutta la notte, un po’ in sordina. E se ne aggiunsero altri
ben presto. Tutti si sbizzarrivano con le parole e le note di cantautori solisti, o cantanti di
band americane, inglesi, irlandesi, italiane. Andavano per la maggiore Fabrizio De André,
che per tutta la vita se n'era fottuto di tutto e di tutti; Gino Paoli, intellettuale di
Boccadasse, innamorato un po' deluso, sempre scazzato e cattivo tiratore di pistola; Lucio
Dalla, peloso jazzista bolognese, autore di musica e parole degne di essere dichiarate
patrimonio dell'UNESCO; Francesco De Gregori, poeta romano che commuove tutti
quando canta e suona, ma lui rimane, o sembra rimanere, assolutamente indifferente agli
applausi ed alle lacrime dei suoi fans; Francesco Guccini, anarchico ottimo bevitore,
sempre oscillante, in macchine altrui, tra la Toscana di Pistoia e l'Emilia di Modena e
Bologna, filologo molto colto, che fortunatamente ha sposato una signora che gli dosa gli
alcolici, nostalgico autore e coautore di gialli molto neri, da tutti gli altri riconosciuto come
un maestro di musica e poesia; Ornella Vanoni, voce di gola passionale, rossa amante di
vita e di esibizione di mezzo mondo dello spettacolo teatrale e musicale italiano,
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proveniente dalla malavita milanese degli anni Cinquanta; Adriano Celentano, nonno di
Piero Pelù, pieno di paure che nemmeno il deciso piglio dell'energica e pazientissima sua
moglie è riuscita a mandargli via, inauguratore di una stagione nuova, negli anni Sessanta,
per la musica italiana; e poi tanti altri: Roberto Vecchioni, Adelmo “Zucchero” Fornaciari,
Luigi Tenco, Lorenzo “Jovannotti” Cherubini, Fiorella Mannoia, Ivano Fossati, Eugenio
Finardi, Alice, Elisa, Arisa, Gianna Nannini, Vasco Rossi, Luciano Ligabue, i Modena City
Ramblers, Bono, The Edge e gli altri degli U2, Shinead O'Connor, John Lennon, Jimmy
Hendrix, Jim Morrison e, “last but no least”, Amy Winehouse.
Altri, sbronzi, rotolavano sotto il tavolo. Altri ancora cercavano di alzarsi dal tavolo ma
subito crollavano giù perché non ce la facevano a stare in piedi.
Di fronte a quello sconcertante spettacolo, qualcuno rivelò a Gelindo e Kalura che,
evidentemente, quelle persone ubriache non avevano ancora incontrato Gufo Bianco,
Istruttore per il Bere. Gufo Bianco, come appresero di lì a poco, era un laureato in Chimica
esperto in concerie, che aveva vissuto per tanti anni più in Russia che in Italia. Era stato
anche un po' di tempo ad Ulan Bator, in Mongolia, dove aveva potuto verificare di persona
la veridicità della storia delle mongole con un particolare segno di natura, di colore blu, sul
fondo schiena, ed era addestrato, era particolarmente abile, nel bere la vodka e insegnava
a tutti come si può berne quantità enormi senza sbronzarsi. Il segreto consisteva nel non
bere tutto d’un fiato, ma nel bere a piccoli sorsi. Gufo Bianco era uno degli Istruttori
Regolamentari del Monte Vivo che insegnava alle persone come bere il vino, la vodka e i
superalcolici in genere, senza ubriacarsi. Gelindo e Kalura furono abbastanza sorpresi
che, in un posto dove si va alla ricerca di Dio, insegnassero come bere il vino e i
superalcolici, e fecero la loro considerazione a voce alta. Gufo Bianco, che li aveva sentiti,
standosene comodamente seduto, occhi ben aperti su di loro, baffoni da stalinista alla
Peppone, nonostante fosse un moderato liberale, parlò per la prima volta in tutta la sera.
Parlò per circa un quarto d’ora, e tutti gli altri si azzittirono, tranne quelli che stavano
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canticchiando e suonando, che però abbassarono subito il volume e si misero attenti
anche loro, e tranne, ovviamente, quelli che stavano vomitando, storditi e semicomatosi
sotto la tavolata.
Gufo Bianco con voce ferma, in sostanza, disse : “Se non si parte da questa cosa che
sembra una cazzata, a meno che non vogliate fare la fine di quelli là” e indicò i luoghi dei
nutrizionisti, alzando appena il pollice, e mantenendo lo sguardo pallato su Gelindo e
Kalura “guardate che non si riesce ad andare molto avanti sulla strada che avete deciso di
percorrere...perché anche se siete già molto avanti nel vostro percorso di vita e di ricerca
e poi vi capita, per sbaglio o per cortesia, di bere mezzo bicchiere di vino, andate fuori di
testa...quindi è meglio imparare subito come si fa a bere degli alcolici senza andare fuori di
testa, ed è meglio bere qualcosa, con il metodo che vi sto insegnando, ogni giorno,
altrimenti perdete gli enzimi giusti per metabolizzare bene l'alcol etilico” e si bevve
lentamente un piccolo sorso di whisky “d’altronde non siamo mica in Africa, o islamici
rigidamente osservanti, quindi può capitare che ci offrano da bere qualche alcolico in
qualche posto…per esempio, appunto, a Rovigo...e prima o poi a Rovigo ci
tornerete...dove tutti bevono qualche alcolico e, se te lo offrono, lo sanno tutti, è proprio
uno sgarbo brutto rifiutare.”.
Gelindo pensò subito a quella gente sotto i tavoli che, evidentemente, non aveva seguito,
o non aveva ancora ascoltato, le istruzioni di Gufo Bianco.
Nel frattempo era arrivato anche Energy perché si era fatta notte e quindi aveva chiuso le
sbarre dell’accesso alla sommità del Monte Vivo. Anche Grugno Snasuplòun e Sybil
Ciacerona avevano chiuso la reception, ed erano arrivati lì, sorridendo con gli occhi e tutti i
denti anzitutto a Gelindo e Kalura, ma anche a molti altri, scambiando, con qualcuno,
qualche battuta ricambiata nel buonumore generale.
A un certo punto arrivarono anche Mansueto Omobono e Biscia, seguiti da due giovani
belli, alti, muscoloscolpiti, biondochiomati e occhiazzurri, certamente originari da sopra
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Berlino che Kalura, innamoratasi all’istante di ambedue, scoprì poi essere omosessuali
romani di Roma, anche se con una certa delusione, dato che questi due stavano assieme
cantando, sussurrandosi nei padiglioni auricolari “Roma nun fà la stupida staséera...”.
Portavano a braccia mezza foresta di rami e piccoli tronchi, che ammassarono lì vicino.
Grugno, a quel punto, amorevolmente assistito da Sybil, accese un fuoco che in due
minuti era già diventato un gran falò. E tutti i commensali in grado di alzarsi gli si misero in
cerchio attorno.
Biscia e la Nuova Fisica per la Pace nel Mondo
Biscia si sedette, appena arrivato lì, alla tavolata proprio vicino a Kalura e le confidò, con
la sua voce cavernosa, di essere l'Istruttore per i Peti. “Ma, vaffanculo Biscia, anche tu ti ci
metti, oltre all'Istruttore per il bere ! E poi, addirittura, per i peti! Che bisogno c'è che ci sia
anche un Istruttore per i Peti su questi Monti?”.
“Ahò, a Kalù, ma te sei armeno resa conto che er sotoscritto scureggia a tutto spiano
senza fà odore brutto e, se vòle, anche senza ffà rrumore?”.
“Sì, Biscia, mi sono ben resa conto che non puzzi per niente, nonostante le
apparenze...l'ho detto anche a Gelindo, e fin da quando ci siamo incontrati per la prima
volta...ma non mi interessa...per favore, Biscia, lasciami in pace con questi discorsi!”.
“Kalù, na sola cosa aggio da ditte, eppoi me ne vago...puro si le fimmene nun reggono mai
'sti prezziosi discorsi, manco quelle che tésse presenteranno chiù innanze, specie Dò, Lò
e Mà...comunque, Kalù, le scuregge se dividono in sei categorie...che sono chiste...in
ordine crescente de puzza: loffia, paraloffia, piutiglio, piuto, piuto vroccoloso e
stracciamutanda...se nun senti nessun omo che sta affà armeno 'no piuto vroccoloso,
làssalo perde, nun è 'n omo vero...ma se tétte trovi uno che sa fà solo
stracciamutande...lassalo pèrde pure quello...datosiche per caso, o volutamente, se ce sta
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uno arrèta che se sta ad accende 'na spina, na pàhia...scopia 'nincendio chétte
raccomanno, cun armeno du ustionati gravi... emmò me so stufato pure io de insegnatte l'
abbecedé de la vita, co sta faccia da ciofèca che me stai a guardà...mò te dico bonasera e
vagga truvà Gelindo”.
Così Biscia si accostò a Gelindo e gli chiese: “Ahò, Gelì, tu che cciài studiato 'na vita,
tanno mai detto quarcosa de l'orfattica?”. Gelindo, un po' sorpreso lo guardò: “Orfattica?
no, non ne ho mai sentito parlare”. “Ma come” insistette Biscia “ve insegnano pure
l'acustica, l'ottica, e non ve dicono quarcosa de l'orfattica?”. “ Ah, forse vuoi dire
l'olfattica...no, non rientra tra le materie di studio...però mi stai incuriosendo un po'...”. “Oh,
ce stiamo a capì bbène io etté”. A Biscia brillavano di gioia gli occhi neri sperduti in mezzo
alla barba , le sopracciglia e i capelli neri. “Allora, Gelì, ascolta bbène...mo cerco de parlà
italiano, senza dialetti de mezzo...Ecco, le flatulenze” e Biscia cominciò a leggere un
foglietto unto e bisunto “sono sempre indicative di un cibo non salutare o di qualche
disfunzione anatomica con ripercussioni fisiologiche. Gli uomini ne sono specializzati,
tranne i timidoni, mentre le donne, condizionate dalla cultura tuttora imperante in tutto il
mondo, sono abilissime nel nasconderle o a non emetterne proprio. In compenso, le
donne hanno molto più frequentemente degli uomini sia mal di testa che mal di pancia,
quasi sempre piena d'aria, ingabbiata o trattenuta. Secondo recenti studi di un apposito
Centro di Ricerca sui Peti, all'Università di Cremona, in onore del film Il Petomane, che
vedeva come protagonista l'indimenticabile cremonese Ugo Tognazzi nei panni del
realmente esistito Joseph Pujol, detto “il Paganini del peto”, è dovuto ad un inappropriato
trattenimento nelle viscere di un gas, molto simile al metano che, oltre a provocare forti
dolori addominali, non infrequentemente irradiantisi alla zona gastrica, non potendosi
scaricare all'esterno attraverso le vie naturali, imbocca il dotto toracico...omississ...e risale,
per via linfatica, fino agli spazi subaracnoidei in cui, soggettivamente, viene percepito
come massa estranea dolorosa”.
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Biscia dopo aver guardato sottecchi Gelindo, continuò: “Ed ecco il mal di testa...
dunque...l'olfattica si propone di studiare e di misurare gli odori percepibili da un essere
umano che non abbia il raffreddore. Dato che si tratta di una giovane materia di studio, per
ora si sta occupando solo delle puzze...ma in futuro...insomma, per fartela breve, ho già
elencato a Kalura i vari tipi di peti umani, disquisizione che lei non ha apprezzato ma che,
data la sua memoria, ti potrà riferire, se lo desidera. A te, invece, visto che hai una
prevalente formazione scientifica, vorrei, se tu me lo permetti, spiegarti come si misurano
le puzze...”. Gelindo non sapeva se mettersi a ridere, piangere o mandare Biscia a quel
paese. Prevalse, dopo qualche secondo, la curiosità.
“Dai, Biscia, dimmi quel che sai di questa materia e che mi possa servire...a Kalura più
tardi chiederò quel che hai detto a lei, e lei mi risponderà solo se lo desidera,
naturalmente...”.
Gelindo e Kalura avevano visto il film, che a Gelindo era piaciuto moltissimo, come confidò
a Biscia tutto d'un fiato, tanto da approfondire sui suoi libri di chimica la questione ed
addirittura presentare una tesina pre-seconda laurea, centrata sugli scatòli, sostanze
chimiche dall'odore di cacca, dovuti
all'ingestione di enormi quantità di barbabietole
contraffatte. “Tesina molto apprezzata dalla Commissione esaminatrice” disse Gelindo “il
cui Presidente si chiamava Coreggia...a Kalura, viceversa, sia la mia tesina che quel film
non sono piaciuti affatto, anche perché sia lei stessa che sua madre, che suo marito
Freddy, mal sopportavano i peti di Aldo, il tuttofare di casa Barkameno, e soprattutto i peti
di Meno, padre di Kalura che, emettendoli, si faceva delle grandi ed irritanti risate. Forse è
per questo, Biscia, che Kalura non apprezza le tue nosologie dei peti...”.
Al che, Biscia: “Lasciamo perdere, Gelindo, sono storie di famiglia traumatizzanti, nelle
quali io non voglio entrare né, tanto meno, scoreggiare...ma tu, Gelindo, non sei né
traumatizzato né un impaurito quaquaraquà...allora, dunque, devi sapere anzitutto, che
quassù posso parlare di queste cose, senza essere mandato a quel paese, solo con Koi
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Nahìm, che ci ride sopra a crepapelle, e con Mansueto Omobono che mi incoraggia
sempre nell'inventare nuove classificazioni...dunque, continuando, devi sapere che l'unità
di misura delle puzze è il Canard e solo tre sono le sottomisure utili da conoscere, almeno
per te. La prima sottomisura è il Microcanard, ed è la puzza capace di uccidere un
canarino del peso di un grammo a un centimetro di distanza dalla fonte di emissione della
puzza. Poi c'è il Macrocanard, capace di uccidere un canarino di un etto di peso a cento
metri di distanza. Infine il Megacanard, che funziona uguale con un canarino di un chilo a
un chilometro di distanza. Ci sono anche altre misure, ma per ora è sufficiente così”.
E Biscia si ingollò una bottiglia intera di Nero d'Avola con un solo sorso, scoreggiando
rumorosamente e con un odore insopportabile “Ecco, Gelindo, questo è un piuto
vroccoloso...quando lo si emette c'è da stare attenti, dato che confina con la
stracciamutande, e allora sono guai...”.
Gelindo era decisamente divertito, anche se ancora un po' perplesso “Ma, Biscia, a cosa
serve sapere e fare tutto questo?”. “Gelindo, mi sorprendi un po', con questa tua ultima
domanda...ma t'immagini il vantaggio enorme, per la pace nel mondo, la possibilità di
eliminare tutte le armi convenzionali, di cui l'Italia è tra le più grandi produttrici ed
esportatrici, e tutte le armi non convenzionali, tipo gli armamenti atomici, il gas Sarin e gli
altri gas inodori...t'immagini il vantaggio per le popolazioni in guerra tra di loro, visto che gli
esseri umani hanno sempre un bisogno irrefrenabile di mettersi tra loro in guerra? Gli
etologi dicono che servano tanti morti per non sovrabbondare il Pianeta Terra di
popolazione, visto il punto di non ritorno energetico, che già da tempo abbiamo
sorpassato. Questo è vero...ma forse...se fai attenzione alla mia proposta...ancora
qualcosa si può fare. Pensa: scoreggiarsi reciprocamente addosso...nel giro di
mezz'ora ci sarebbero solo soldati storditi, non morti...e i meno storditi potrebbero
essere affidati ai servizi sociali della parte avversa, invece di essere uccisi, dove
potrebbero anche fare qualcosa di meno osceno che la guerra con tutto quel
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sangue, quei feriti e quei morti...cioè potrebbe essere superata quella cosa orrenda
che si chiama guerra...non trovi, Gelindo, che in questo modo si risolverebbero un
mucchio di dolorosissimi problemi? Sotto l'egida e il controllo degli extraterrestri
buoni, gli Andromedani, naturalmente, non i Rettiliani e altre specie cattive o neutre,
presenti da millenni sul nostro pianeta. Molte specie fanno solo esperimenti...ad
esempio prendono una donna, la succhiano dentro un'astronave, le fanno ogni
genere di esame clinico e, se per loro va bene, la inseminano...e quella partorisce
un ibrido...sapessi quanti ce ne sono in giro! Ce n'è una cifra! Ma soprattutto i
Rettiliani sono cattivi ed ispiratori di guerre e di violenze d'ogni genere e sanno pure
prendere le forme di esseri umani, ad esempio di certi uomini politici...gli
Andromedani invece, sono buoni, ci proteggono, sono i nostri angeli custodi e sono
arrabbiatissimi con quelli che ti ho detto prima, ma per ora appaiono solo a chi li sa
vedere, belli, alti, maschi e femmine, e stanno aspettando che siamo noi, i terrestri,
a sistemare un po' le cose del mondo, prima di intervenire loro, all'ultimo...ecco
perché tutto quello che prima ti ho detto sulla guerra alternativa è importante ed
urgente...gli Andromedani interverranno solo all'ultimo...”.
Gelindo era stupefatto per l'ingenuità di Biscia, sia geopolitica, che militare che economica,
visto che le guerre servono a guadagnare triliardi di dollari sia per chi le produce sia per
chi le vende, generalmente gli stessi, ma ne apprezzava la buona volontà...e poi...e poi, a
parte la storia degli extraterrestri, c'era qualcosa di possibile in quel che Biscia gli aveva
detto, ed anche molto divertente, tra l'altro già accaduto nella storia di qualche battaglia,
anche se solo in segno di scherno del nemico. Poi, per quanto riguarda i gas intestinali,
beh, lì la Storia della Medicina lo dice chiaro. Nell'esecuzione delle prime colonscopie
operatorie, in cui il paziente con un tubo dalla punta incandescente infilato su per il retto
ed il colon, da quanto aveva l'intestino pieno di gas metano, letteralmente esplodeva, con
grave pericolo anche per chi gli stava intorno.
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Gelindo espose con estrema gentilezza le sue perplessità a Biscia che gli rispose: “Ma,
Gelindo, non è poi tanto lontano il momento in cui non vi sarà più energia sufficiente per le
acciaierie e, dunque, per le fabbriche di armi, ma nemmeno per le colonscopie, una volta
finite le pile accumulatrici di energia...dovranno riprendere le guerre solo con i terribili
gas...l'yprite o il sarin...e con le colonscopie dovranno ritornare ai tubi rigidi, con dolori
tremendi per i pazienti che rischieranno anche la morte, in caso di manovre sbagliate
penetranti...ma lasciamo stare con le divergenze di vedute fra noi...ora ti dico solo di non
fare mai dei figli con una donna che non scorreggi almeno una volta ogni tre giorni,
possibilmente un piuto, le altre categorie di peti, se lo vorrà, te le elencherà Kalura. Te lo
dico da amico, Gelindo, da scoreggione impenitente con otto matrimoni alle spalle
e...adesso che ci penso, credo di essere stato costretto a cambiare ben otto
donne...proprio per questa mia attitudine a scoreggiare...ah Gelindo, se questo per te ha
una qualche importanza, sappi che mi sono laureato in fisica, tanti anni fa, all'Università
Federico Secondo di Napoli e poi mi sono preso un dottorato di ricerca in chimica al
Massachusset Institute of Technology, Cambridge, USA, una laurea in medicina ad
Huston, Texas, USA, una specializzazione in gastroenterologia al Karolinska Institute di
Stoccolma e mi sono formato in endoscopia digestiva con Julianòs Bèdonias, amico di Koi
Nahìm, greco, residente ed operante a Reggio Emilia, l'unico ad aver messo qualcosa di
concreto direttamente nel retto e, su su, fino all'intestino tenue, almeno finora, ad un
uomo politico importantissimo nella politica italiana degli ultimi tre decenni...hai sentito
parlare di quell'avvenimento, vero, Gelindo? Noooo? Ma ne hanno scritto a bizzeffe sui
giornali! In definitiva, però, non è che adesso m'importi un gran che...tranne che per il fatto
che quell'ex importantissimo uomo politico è un rettiliano travestito da umano...però, se
osservi bene certe sue foto, capisci che è un rettiliano...non è poi così buono con tutti,
come sembra a volte con il suo sorriso a cinquantadue denti ed i suoi appelli alla pace e al
rispetto...ma ora questo è solo un ricordo antico, per me”.
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Gelindo ringraziò con molto garbo Biscia, non pensò molto, almeno al momento, a quel
che questi gli aveva appena detto, e rivolse la sua attenzione altrove. Biscia, nel
frattempo, se n'era già andato, scomparso nel casino generale.
La festa
Così iniziò una festa di tamburelli, bonghi, chitarre, flauti, ocarine, fisarmoniche grandi e
armoniche a bocca, perfino un sassofono tenore e una batteria piena di tamburi e di piatti.
Le donne cominciarono a volteggiare su se stesse, facendo vedere delle bellissime gambe
abbronzate.
A Gelindo, un po' in disparte e nella penombra, Mansueto Omobono disse i nomi, le
qualifiche professionali ed i luoghi di provenienza di tutte quelle donne, mentre, per gli
uomini, ci pensò Biscia.
Ce n'era una, Rainbow Pétite Rose Rouge Zir al d'O, franco-egiziano-inglese,
fisioterapista esoterista, evidentemente in gran confidenza con Gufo Bianco, che quando
ballava saltava in alto come un'indemoniata, vicino ad una che, ballando, si attorcigliava
su se stessa come un serpente, di nome Force Danielle De Nard, assistente sociale
francese di Nantes, mentre altre erano molto, ma molto, sinuose e serpentine nel loro
muoversi, nello scatenamento del ballo, quasi a raso terra. Una di queste si chiamava
Umi, monaca buddhista spagnola e navigatrice oceanica in solitaria, che dava il tempo
giusto alle altre: Dani Tatalba, cheyenne, conosciuta ai più con il suo nome di battaglia,
Brida; Francie Lila Bin, della provincia di Pordenone ma che, nonostante il cognome, non
era imparentata con Bin Laden; Lymphe Bel Tram, psicologa di Pozzuolo del Friuli, vicino
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a Kodro Ipo, nel Myanmar; Libre 'nda Naìs Ibon, filosofa congolese bianca e transformatrice di coscienze del Sud Sud Sudan; Simone Lune Harpaja, caposala nella sala del
suo chalet toscano, francese di Parigi, che sculettava con l'erre moscia sul fianco di Petite
Jolie Nicole Amitié Rashn, insegnante elementare pensionata, pure lei di Parigi,
impassibile e coniugata con un indiano kashmiro di nome Gyandana e che si pronuncia
Ghiandana, anche se non c'entra nulla con le ghiande; e infine Danielle Bridges,
infermiera londinese, meditatrice esperta e generosa soprattutto con gli indiani,
specialmente se genovesi.
Soprattutto le donne più giovani nel pieno della loro forza ormonale, fisica e psichica, con
più capacità tecniche, e ce n'erano almeno un'altra decina, si scatenarono in questa
danza.
E anche gli uomini più giovani, più forti, si denudarono e si scatenarono. Il più attivo, in
questo senso, era un tale di nome Natty Littly, che scoprirono più tardi essere un poeta
operaio di Pordenone, vicino a Liverpool, che era seguito a ruota, quasi a raso terra, da
sua moglie Donny e dal suo figlio maggiore. Ma anche un certo Human Monkey,
industriale, che più tardi Gelindo scoprì essere di Brescia, non scherzava con il ballo,
nonostante fosse ingessato per fratture varie in almeno dieci ossa, in compagnia di tale
Christiane Tonyiyaten, insegnante misteriosa dall'aspetto finnico, che amorevolmente lo
supportava nei passaggi più impegnativi della danza.
C'erano poi dei neri, africani e afroamericani, e dei caraibici, che andavano veramente
forte con i bonghi, ad esempio un certo, pelosissimo, Raju Jubèrt assieme all'altissimo
Robert “Shekerage” Little Bells. Con il riverbero del falò si poteva ben vedere il sudore che
colava sul loro petto, nonostante il pelo, mentre battevano i bonghi, saltando come si salta
in questi casi. Un po' a parte, con un enorme tamburo, l'intrepido Maurice Asym Baurtolin,
baffetti e pizzo alla D'Artagnan, magro come un grissino, bagnino fisioterapista di Lignano
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Sabbia d'Oro che rimproverava tutti perché non mangiavano secondo le direttive del dottor
Mozzi, precedentemente ricordato.
Un po' in disparte ancora, Gaetano Bridge Grainoces, chimico siculo-padovano, alla
ricerca meritata di un Nobel anche lassù, sui Monti, che ballava una mazurka, riadattata al
metodo Pilates, con Manu Victoria, sociologa vietnamita e, accanto a loro, Rob Trevis,
imprenditore di New York, che ballava un foxtrot con l'ex moglie Sandra Morgana, come la
fata omonima solo di nome, per niente morganatica, visto che Gaetano Bridge Grainoces
non era di sangue blu” spiegò Biscia a Gelindo “infermiera, caposala e capessa di tutti i
caposala del Triveneto, sotto l'occhio, stupefatto ma divertito, delle loro due figlie. Ed
anche, ancora un po' più in là, c'erano Manfred Mirror Little Nice Bulls, Lama tibetano,
avvinghiato a una certa Daniah, che lo chiamava affettuosamente Kunda , mentre
discuteva animatamente con la sorella minore Rosa, irrequieta madre, nonna, pensionata
e un po' depressa. E, ancora, Marius Varkowskji, venditore di tutto, polacco gigantesco,
impegnato in un walzer strappalacrime con la moglie M.me Pearl, contralto impegnata in
un inno nazionale, “Stelutis alpinis” con Philippe Petite Bonne Sagesse, quello della
malavita marsigliese, bancario pensionato, giallo vestito da capo a piedi che, quand'era
stanco di suonare la chitarra e di cantare, tra le risate generali, si esibiva in un ballo da lui
inventato, con il corpo perfettamente immobile, e solo la mano destra in movimento su e
giù davanti al tronco, con il pugno chiuso sulle tre dita centrali, mentre il mignolo e il
pollice, aperti e divaricati, indicavano i vari chakra mentre li passavano in rassegna uno ad
uno. Poi Latife Carnival, residente a Baton Rouge, ma bibliotecaria responsabile della
biblioteca universitaria di Austin, Texas, dov'era pure docente di lingua e letteratura italiana
presso la locale Università; da lei nascosta alla vista, Jeanne Radiante, pittrice di Antibes,
vicino a Correggio, schiva e molto brava nella sua arte. Poi Soul e Spark, sorelle slovene,
quest'ultima inseguita a vista da “Bamboo” Cayetano Vacaros, inquisitore spagnolo allievo
di Torquemada, ma a lui sopravvissuto, e dedito
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tuttora alla tratta di schiave dai Paesi
dell'Est europeo. Spark era protetta da Dilviya Hathorrnjak, serba di Belgrado, che sapeva
bene come mettere a posto quel genere di maschi, in questo aiutata da Helena Sud'ya
Osoznaniye, russa, anche lei ben addestrata sul fronte della coppia, mentre a far rinsavire
periodicamente Cayetano ci pensavano, assieme o a turno, Warkovskji, il polacco
gigantesco, il Tenente Karam ed Elio, senza particolari storie tese. Di questi ultimi due,
disse Mansueto Omobono a Gelindo, gliene avrebbe parlato più avanti, forse lo stesso
giorno dopo.
Poi Christine Caress Grysarosh, con i capelli a frangetta biondi biondi e gli occhi
celestazzurroverdi, a seconda dello stato d'animo, angloamericana residente a Bali, che
da sola danzava piegando appena le ginocchia, i piedi con la punta all'esterno e ben
piantati a terra quando non li alzava, e le braccia e le mani sempre in un sinuoso
intrecciamento a mezz'aria e sopra la testa. Era sempre alla ricerca, facendo lentamente
avanti e indietro, di un'erba più verde della sua dove poggiare i piedi, quando li poggiava.
Di fronte a lei, un'altra Christine, ma questa si chiamava anche Vipass, specularmente
bionda, ad occhi chiusi, seduta a terra, schiena dritta, in una posizione classicamente
meditativa, ricercatrice sulle cellule staminali alla UCLA, Los Angeles, California, USA.
Teneramente abbracciati, del tutto fuori tempo, ma a loro non poteva fregare di meno, il
maestro elementare, scrittore di successo, articolista de “il Manifesto”, poeta ed animatore
culturale, Joseph Calix, della nazione dei Celti, amico di Asterix e di Obelix, con Mina
Vagante, sua moglie, che danzavano a modo loro, senza rompere le palle a nessuno.
Mina Vagante non era poi così pericolosa, come si poteva supporre se ci si fissava sul suo
nome...anzi, era molto sorridente e gentile. Lì vicino c'era Orieta Karumanskji, infermiera
russa dell'Ossezia, che danzava una merengue con il suo connazionale Josip Sikorsky
che, dopo che suo zio russo-polacco aveva inventato l'omonimo elicottero, anche mentre
ballava stava progettando da ventidue anni, su un computer, un bullone per una nave
aerospaziale, con uno speciale programma in dotazione solo alla NASA. Li guardava,
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molto indispettita, la tedesca Karin Paterlien, bionda, attenta e molto materna, anche se
indispettita.
Dall'altro lato del falò c'era Eleanor Sel, mestra elementare di vita e di professione, ora
pensionata, svizzero-tedesca che, dato il cognome, era simpatizzante di Vendola. Stava
discutendo animatamente di politica con Franciscus Gandalf Compass, assicuratore, ma
non della Compass Assicurazioni, fratello maggiore di suo fratello minore, del PD. Dalla
parte di Eleanor, un certo Alfredo, friulano d.o.c. ed una certa Evita, che si stava bevendo
una bottiglia di birra “Corona”, parlando solo in londinese della City, e dalla parte di
Franciscus una certa Dani, tedesca-siculo-reggiana-scozzese, esperta in ogni campo del
sapere e dell'informatica. Ogni tanto, per stuzzicare antagonisticamente Eleanor con
battute e barzellette, si avvicinava, fumando come una ciminiera, Laughing Cod, con un
viso sornione cambogiano. Mirelle, madre e domestica e Paul, operaio pensionato della
CGIL, entrambi della Svizzera italiana, danzavano biodanza aerobica un po' movimentata
in tutina aderente, rosa lei e celeste lui. Conrad Amazement Modon, ingegnere quantistico
australiano raccontava, senza alcun imbarazzo, tutti i cazzi suoi a Mara, argentina
generosa, di professione madre e nonna, mentre stava eseguendo esercizi avanzati di
Rio Abierto. Lo stesso, peraltro, Conrad Amazement Modon faceva anche con Nàvala
Scighn, che si scrive cign, comunemente chiamata Barbara Segno, alta, pure lei come
Mara molto dolce e generosa, che suonava divinamente il sitar più o meno come Ravi
Shankar, cantando in sanscrito le lodi alla dea Parvati. Poi Light-Tenderness, più nota
come Shneha Jyoti e Capitan Sergio, ambedue veneziano-mestrini, appartatisi su una
barca costruita lì sui Monti dal Capitano in meno di tre ore, manco fosse in arrivo il Diluvio
Universale, se ne stavano avvinghiati, cullati dalla ninna-nanna che melodiosamente stava
sussurrando, seduta a poppa, un pochino triste e guardando il mare, Chiara, tutta nuda e
bella abbronzata. Jivan Tizta Bo Ga, ragioniere indo-tibetano, e Saha, padovana d.o.c., lì
vicino, il primo “rinato in vita” e la seconda “rosa(rossa)”, si erano scatenati in un hard
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rock, da far invidia a Piero Pelù, con o senza Liftiba. Poi, ancora: Maranatàh, friulannapoletana, salesiana, autoproclamatasi reincarnazione di Maria di Magdala, che stava
bacchettando amorevolmente Beppina Meraviglia, di Palmanova, perché non ricordava
bene tutta la storia delle Madonne Nere, mentre questa stava festeggiando, con rito
rigidamente marciano della Chiesa di Aquileia, il risus paschalis con il Signor Marco, ex
marito di Maranathà. Accanto a loro due, silenziosa e sorridente, Rita, friulana molto
intelligente e previdente con gli occhiali, di vicino a Udine, in compagnia di Samadhi, nota
come Lisbeth Markett, svedese della periferia di Stoccolma, ma residente a Cervignano
del Friuli, ovviamente luterana, coniugata con figli e ministro del culto e, per questo, un po'
in disaccordo, ma solo poco, con la gemonese Accoglienza, mangiatrice di pascotìns,
piccoli biscotti che lei stessa si preparava senza imporli a nessuno e che accoglieva tutto,
ma proprio tutto, con fiducia immensa nella Madre di Gesù. Nell'ombra, fuori dalla luce
fatta dal falò, uno dei due figli di Accoglienza, Micke the Killer, teneva sotto controllo
eventuali rompiscatole per sua madre, con i suoi muscoli ben in vista, a braccia conserte e
una faccia che faceva paura a tutti. A lui nessuno aveva osato mai rompere le palle, e
quelli che avevano osato, nei giorni seguenti si erano amaramente pentiti. Era tuttavia
molto buono, tanto da incoraggiare Richard Sati, barbuto e robusto operatore socio
sanitario, a buttarsi nella mischia, con una gran pacca sulla spalla. Così Richard Sati,
eccolo là in compagnia della sua ex moglie Josephine, che stava provando passi nuovi
della Taranta, sotto l'occhio attento di Dream, barese figlia di Esempio che, quand'era
ancora nel corpo, ma forse lo sta continuando a fare tuttora, amava molto anche Marie
Piety Saddleh, anche lei barese, ma con ascendenze montenegrine, osservata con una
certa invidia, francamente non ben motivabile, da Jessica August, di Cortina d'Ampezzo,
dato che Marie Piety aveva gli occhi verdi verdi e stava baciando voluttuosamente Albert
Weighsfly, ingegnere alto e magro, con gli occhiali, proprio carino, di Dublino. Marie Piety
Saddle ha delle gran belle tette, ed anche Jessica August, pensò Gelindo, anche se
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quest'ultima le aveva molto grandi, il che trovò Mansueto Omobono e Biscia totalmente
d'accordo con lui, i quali, peraltro, precisarono all'unisono che si tratta pur sempre di gusti
molto personali e, dunque, come tutti i gusti personali in fatto di tette, ma non di tanto altro,
da non mettersi assolutamente in discussione. E Gabrielle Koti Debett, del Surrey?
Insegnava privatamente l'inglese al boss dei Monti, mentre si stava ripassando tutto il
repertorio dei Beatles, cantandolo con voce alta, da mezzosoprano. Era ferma su
“Imagine” da tre ore, chissà perché? Poi: Charles Miracle, di Lyon, France, e Charlie
Vitprem di Fossoli, vicino ad Aushwitz, vestito da mago Otelma, si stavano slogando le
gambe e i piedi in un pazzesco ballo alla Jerry Lewis. Lì vicino c'era la texana editor di
Mondadori e Verdechiaro, Francie Nearparry, agghindata come Calamity Jane, che stava
guidando in un country lento suo padre Rob, cardiochirurgo vestito e armato come Jesse
James, mentre sua madre Petra, casalinga colta e letterata, moglie devota di Rob e madre
attenta semeiologa, stava scatenandosi, addobbata, chiodata e tatuata da punkabbestia,
in un rap acrobatico con il moroso di Francie, Robert “Dodo” Fournacier, avvocato di New
Orleans, Louisiana, USA. Vicini a loro Ari Lucientes, peruviano, e Sonija Borghsky, russa
di Crimea, impegnati in un Casatchok, tipico ballo russo della steppa, ambedue
svolazzanti in una tunica leggera, di colore verde chiaro. Venivano, a tratti, intralciati da
Adobe, nativa americana Pueblo Hopi che, assieme a Sidai, suo marito, stava costruendo
una capanna sudatoria, proprio mentre di lì stava passando, in bicicletta da corsa, Nani
Missor, ciclista professionista di Vittorio Veneto, che approfittò della situazione per
scaricare un po' del suo sudore dentro la capanna. Gelindo notò l'incredibile somiglianza
di Nani Missor con Steve Jobs, e si affrettò a rifornirlo di due borracce d'acqua tiepida con
oligoelementi. Dietro Nani Missor, pedalava tranquillamente suo nipote Feder, di Orlando,
Florida, in divisa da sommellier e tra loro due parlavano in slang angloamericano stretto
stretto. Dato che c'era moltissima gente, una certa Manu, ginnasta provetta dell'Appennino
reggiano ed ora pezzo grosso in una scuola, assieme a suo marito Mau, ingegnere
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vagabondo, aveva acceso un altro piccolo falò, un po' più in là, e stava saltando sopra
Mau con capriola tripla, sempre al ritmo dei tamburi. Marta, caposezione in un ufficio della
Casa degli spiriti, aveva trascinato suo marito Enrico nella bolgia, anche lui ingegnere, ma
molto esperto nel Bolero di Ravel. Subito dietro, la partigiana combattente Mery che, in
onore della patria del Che e di Papa Francesco, danzava un tango argentino con Juliana
Alegros, cilena di Santiago capitale, appena tornata da Varanasi, dove era stata a fare il
bagno nella Ganga tra un progetto di riforma edilizia, essendo un' architetto casalinga, ed
un altro di bonifica del Po, avendo trafugato analoghi progetti al Magistero per le Acque, i
Fiumi e i Laghi presso il Ministero per l'Ambiente della Confederazione Indiana, a New
Delhi. Antonella Bisius, serissima originaria di Rotterdam, stava insegnando, con molta
pazienza, a Monique, di Bruxelles, i rudimenti del paso doble, mentre Nadia, russa di
Correggio, aveva agganciato Giulio Ciccio Pasticcio, di Gemona del Friuli e, anziché
ballare, gli stava spiegando che, in
Friuli, non ci sono solo i friulani, ma anche
importantissime opere d'arte, tra le quali, proprio a Gemona, il campo dove si allenava
Pistorius, prima che diventasse cattivo e finisse in galera in Sud Africa. Giulio Baisàr
Cucchia danzava da solo la danza del sole, mentre costruiva siti per computer con una
sola mano e, con l'altra, faceva strani segni scaramantici.
Tutto ciò creava un clima di festa, di gioia, che persino i macrobiotici fondamentalisti di
quella religione, quelli più ossessionati dal loro dio Cibo, riuscirono ad avvicinarsi fino a
dieci metri, con un leggero sorrisino, che è il massimo della loro capacità espressiva nel
senso della gioia.
Gelindo nel frattempo era rimasto un po’ in disparte, vicino a Mansueto Omobono e a
Biscia ma, a differenza di loro, era un po' turbato dall'osservazione ravvicinata di tanti corpi
in movimento.
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Inoltre, era un po' preoccupato e anche geloso, non se lo nascondeva, ma era soprattutto
preoccupato per Kalura, perché sapeva bene che, quando beveva, poteva scatenarsi, e
chissà cosa succedeva.
Kalura infatti si era buttata subito nella baraonda. Cominciò all’inizio a danzare
freneticamente e poi, pian piano, si tolse la maglietta, il reggiseno, la gonna, e persino le
mutandine, al che Gelindo non sapeva più cosa fare, se andare a fermarla...Ma anche
altre donne si erano denudate e si accorse improvvisamente che anche altri uomini
stavano ballando senza alcun indumento addosso. Gelindo alla fine decise di non
intervenire e dalla sua postazione un po' defilata notò un vecchio, con la barba bianca e gli
occhiali con la cordicella, che era rimasto fermo ad uno dei tavoli, dove stava bevendo una
bottiglia di rosé di Valdobbiadene. Leggeva un piccolo giornale per due minuti circa, e poi
se ne stava a guardare chissà cosa lì davanti, con gli occhi assonnati, per altri due minuti,
e ogni tanto chiamava Gufo Bianco per chiedergli di aiutarlo a spostarsi.
Però anche lui era lì che se la godeva a guardare ogni tanto tutto questo casino di corpi
danzanti. C’erano anche altre persone anziane come lui, ma sembravano più giovani, ed
erano veramente più giovani di lui, pur avendo la stessa età o poco meno, perché, a
differenza di lui, che continuava a bere, starsene seduto e rompere le palle a Gufo Bianco,
con cui era evidentemente in grande familiarità, gli altri suoi coetanei si erano buttati nella
mischia, e quella danza, quella musica, aveva trasformato i loro visi, rendendoli più
rilassati, più vivi. Sempre a debita distanza, Gelindo scoprì che ciò che leggeva il barbuto
occhialuto non era un libro sapienziale, come aveva creduto sulle prime, ma La settimana
enigmistica, su cui si stavano accanendo sia lui che Gufo Bianco nel tentativo di risolvere
dei rebus assurdi.
Quella sera Gelindo si azzardò a chiedere a Grugno Snasuplòun : ”Ma quel vecchio lì,
amico di Gufo Bianco, mi intriga un po'...non so bene perché…come si chiama?”.
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E Grugno: ”Nessuno, il nome che gli ha dato il suo Maestro preferito è Nessuno….e
continua a intrigare un po' anche me…anche se sono tanti anni che lo conosco…ma
vedrai, lo incontrerai ancora, magari su un altro Monte, se vai avanti…il suo Maestro
preferito è Niente, che adesso è morto…cioè, morto…avrai ben letto qualcosa di suo,
no?”. Stop.
Gelindo, la sera stessa, sottovoce e attraverso la sari divisoria, raccontò a Kalura ciò che
aveva saputo da Grugno di quel vecchio. Viceversa, né in quell'occasione, né in seguito,
chiese o rivelò nulla di quelle stramberie di Biscia.
Kalura, che conosceva bene, oltre che la lingua italiana anche la hindi, ma evidentemente
un po' fuori allenamento, già sensibilizzata dalla “soffiata” ricevuta da Sybil Ciacerona sul
nome del boss, allertata dalle discussioni in dormitorio, sentiti i nomi Nessuno e Niente,
tradusse finalmente in simultanea con files mentali allegati.
Kuch Nahìm cioè Niente, era stato l'inavvicinabile Maestro di sua nonna materna e Koi
Nahìm, cioè Nessuno, era stato, prima di prendere questo nome da Kuch Nahìm, l'amore
molto contrastato ma mai dimenticato, cioè il più grande, di sua nonna materna.
Dalla nonna, Kalura aveva saputo che Kuch Nahìm, se accettava un discepolo nel suo
Ashram, che vuol dire “Casa del Maestro”, lo sottoponeva ad un addestramento ancor più
duro di quello a cui vengono sottoposti i Rangers o i Navy Seals americani.
“Cazzo!” quasi gridò “ma allora qui fanno veramente sul serio!”. Gelindo ascoltò
attentamente, ma per puro spirito di sopravvivenza non disse nulla, non domandò nulla e
cercò di mettercela tutta per pensare ad altro...
La mattina dopo, alle quattro in punto, dopo quasi niente di sonno, anche perché chi
avesse voluto dormire non avrebbe potuto farlo dati i rumori che ci si può ben immaginare,
piutigli e piuti sovrastanti tutto e tutti, vennero tutti svegliati.
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Un delitto misterioso
Alcuni erano turbati, alcuni con le occhiaie, alcuni con gli occhi allampanati, altri invece
ancora addormentati sotto il tavolo dove, la sera prima, si mangiava. C’erano di quelli che
erano addirittura caduti giù nel
fossato ed erano ancora dentro con il culo ammollo
nell’acqua! Erano andati giù semplicemente per rinfrescarsi un po' i piedi e poi erano
crollati miseramente dentro l’acqua...insomma, di tutti i colori.
Così, alla mattina alle quattro in punto, arrivò il gruppo degli Istruttori. E il gruppo degli
Istruttori, al gran completo, per bocca di Mansueto, fece un discorso di questo genere: “Voi
credete che qui le cose siano solo così? No. Così è il primo impatto. Tutti voi siete arrivati
da poco tempo. Adesso, come prima istruzione, andiamo nel posto dove ognuno di voi
dovrà guadagnarsi da vivere per poter continuare il viaggio”.
Al che Gelindo, controllati i soldi che aveva nel portafoglio, vide che in effetti non erano poi
tantissimi, e che non avrebbe potuto permettersi un viaggio lungo. Però, almeno, si
permise di fare una domanda: “Scusa, ma quanto può durare il viaggio?”.
E Mansueto, sorridendo: “Mah, può finire in questo stesso momento, se tu lo desideri, o
può durare per tutto il periodo della tua vita. Tu comunque hai già firmato una carta in cui ti
impegni a seguire le indicazioni che ti vengono date. Se non fai questo, gentilmente noi ti
riaccompagneremo alla tua Panda che ieri sera, sappi, è stata portata nel parcheggio di
tutte le macchine. Le vedi tutte queste persone che sono qui, queste cinquecento
persone? Sono tutte arrivate in macchina come te e Kalura, sai? Solo che poi noi siamo
andati a prendere tutte le macchine e le abbiamo portate nel nostro parcheggio. Quindi,
chiunque è libero di andarsene...adesso, comunque, andiamo in un posticino dove si
comincia l’addestramento sul Monte della Vita. Ieri sera avete potuto sperimentare quanto
siete vivi. Ieri sera avete potuto sperimentare quanto sia bello essere vivi, e potrete
risperimentarlo anche questa sera e anche domani sera e anche fra tre sere. Ci sono di
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quelli che sono rimasti, proprio per poter risperimentare, sera dopo sera, queste belle
serate di intrattenimento alimentare ed altro, anche quattro, cinque anni. Ed è bene anche
che sappiate che, da un Monte all’altro, per esempio da qui al Monte Intero, ci si può
andare solo quando avrete il permesso da parte del Capo Istruttore del Monte Vivo. Lo
avete già visto. Si chiama Koi Nahìm, come forse avrete già saputo da qualcuno, e non è
che si nasconda chissà dove, ma saprete chi è lui, veramente...solo al momento
giusto...comunque, invece, se volete tornarvene a casa siete liberi in qualsiasi momento,
basta che ce lo diciate...solo le persone che lui, in persona, invita qui, possono fare quello
che pare a loro, ma voi no, voi non siete stati invitati...quindi...se decidete di restare...siete
fermamente tenuti, ora, qui, a seguire le mie istruzioni...oh...cazzo...che difficile fare
i capi!”.
Improvvisamente, sia Gelindo che Kalura, pensarono in simultanea: “Allora forse
dovremmo mandare almeno un sms a casa”, ma si accorsero con stupore che non
avevano più il cellulare. Che glielo avessero fregato alla reception...o dal loro personale
armadietto o dal comodino in vimini? “Scusa…come possiamo comunicare a casa che
rimaniamo via per un po' più del tempo che avevamo detto?”.
“Ah, basta andare alla reception quando apre e dire loro di mandare il messaggio e poi vi
verrà recapitata la risposta”.
Tutti e due, sia Kalura che Gelindo, sentirono, per la prima volta in vita loro, l’urgenza di
comunicare ai loro coniugi dove davvero fossero finiti.
Loro avevano perso la nozione del tempo e ne erano solo in parte consapevoli. In realtà
erano già in viaggio da due mesi per arrivare su quella cima, e già da quattro settimane
erano i protagonisti di Chi l’ha visto?. Ma loro non lo potevano sapere. Di televisori, lassù,
manco l’ombra.
D'altronde, ma lo seppero solo qualche tempo dopo, il marito e la moglie rispettivi, Freddy
e Patty, già avevano costruito una storia, lì a Rovigo, e a tutti quelli che chiedevano loro
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che fine avessero fatto Gelindo e Kalura, rispondevano che questi due avevano fatto una
fuga d’amore.
E dato che le vie del Signore sono davvero infinite, Freddy e Patty, accomunati dal rancore
nei confronti dei rispettivi partner, avevano iniziato a farsi un po’ di reciproca compagnia.
Ed anche questo, Gelindo e Kalura lo seppero qualche tempo dopo.
Dunque, pensavano ambedue, come potevano a quel punto spiegare loro: “Noi stiamo
cercando Dio e siamo scappati assieme in una Panda in cima ad un monte che si chiama
Vivo, che non sappiamo dove si trovi esattamente, ma siamo quasi certi che qui Dio lo
incontreremo”? Sarebbe stata una cosa poco credibile anche per Chi l’ha visto?,
nonostante la caparbia e volonterosa capacità investigativa della Federica Sciarelli e dei
suoi collaboratori.
Fatto sta che, sia Kalura che Gelindo, avevano un forte bisogno nostalgico di rimettersi in
contatto, rispettivamente, con Freddy e con Patty. E, forse, anche con la mamma, il papà,
con qualche zio, con qualche cugino che non stava tanto bene e volevano avere delle
notizie.
Insomma decisero che, appena possibile, quando fosse stata riaperta la reception,
sarebbero andati lì a telefonare a qualcuno di Rovigo, a qualche amico o, perfino, ai loro
genitori, se non proprio al marito o alla moglie. Di telefonare a Freddy e a Patty non se la
sentivano proprio. L' avevano fatta un po' grossa, forse troppo. Forse era meglio
telefonare prima alle mamme rispettive.
Né Gelindo, né Kalura, sino a quel punto, si erano accorti che ben quattro persone, a
turno, stavano riprendendo ogni loro mossa, con telecamere, anche da lontano e, con un
sofisticato intercettatore audio, anche le loro parole.
Fu Mansueto Omobono che, con aria indifferente, disse loro: “Vi siete accorti che veniamo
ripresi ed ascoltati, dovunque noi ci troviamo, su questi Monti? No? Allora guardate lì. In
questo momento, ad operare, seminascosto in quell'avvallamento, c'è Titti, che ha già fatto
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questo lavoro tanti anni fa per una TV locale di Reggio Emilia ed è esperto in fumetti,
soprattutto Tex, computer, consigli di vita e chat notturne, anche se di lavoro fa il
falegname e l'autista...si alterna con il Tenente Karam, sempre duro al pezzo, ma essendo
un po' distratto, ogni tanto si dimentica dove abbia messo il pezzo che gli serve...è anche
testardo, pur essendo una pasta d'uomo, testardo al punto da aver sempre ragione lui, in
definitiva, come i suoi ex muli dell'Artiglieria Alpina, anche quando si imbarca in situazioni
che lo distruggono su tutti i piani...se non ci fosse sua moglie!...lui si alterna con Tarcisius,
pensionato esperto in saune, possibilmente promiscue, per moltissimo tempo alla guida di
camion grandi, anni fa, che trasportavano carne umana ed animale fino ai confini del
mondo terrestre...Tarcisius si alterna con Elio, al momento senza particolari storie tese, un
tempo molto impegnato in politica, ma non qui sui Monti,
affascinato dalla Debora
Serracchiani, dall'ecologia e da una meditazione dura, di origine buddhista...per tanto
tempo è stato affaccendato con roulottes nel cortile di qualcuna delle sue case, dove,
assieme ad altro, allestiva bed & breakfast, ma solo per gli amici, beninteso a
pagamento...solo 5 euro al giorno!”.
“Ma ci riprendono anche quando siamo a fare la cacca, o dietro una siepe a fare l'amore?”
chiese Kalura, tutta preoccupata.
“No, in quelle occasioni, no” rispose Mansueto Omobono tranquillizzante.
“Vedi, la disposizione è di un Commissario di Polizia, un tale Montalbano che, sollecitato
da chi non si sa bene, ha chiesto al nostro boss, che già avete visto e di cui sicuramente
già avrete sentito parlare sia a proposito che a sproposito, di documentare ciò che accade
qui. Girano infatti delle voci, sul nostro operare quassù, che te le raccomando! Bisogna
documentare, attraverso dei filmati, tutto quello che accade...c'è della gente, vedete, che
ritiene che noi facciamo qui cose abominevoli...quassù ci sono tre infiltrati dei Ros, che
si sono spacciati per gente come noi, come voi. Sono agenti cui è stato ordinato, da
qualcuno molto potente a livello politico nazionale, a sua volta dipendente da
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qualcuno di molto potente a livello internazionale, di venire quassù, sui Monti. Il
politico potente a livello nazionale è stato anche sollecitato, nel prendere questa
iniziativa, non solo dall'alto, ma anche dal basso, se così si può dire, cioè da un
gruppo
di suoi amici, integralisti cattolici aderenti al GRIS, che sta a significare
Gruppo di Ricerca e Informazioni sulle Sette, Associazione presente in quasi tutte le città
italiane.
Prima di questa ultima pressione a livello politico, negli anni, questi del GRIS, oltre a
denunciare molto meritoriamente molti gruppi indubbiamente criminali, compirono il
madornale errore di fare di ogni erba un fascio, come si suol dire...misero cioè, sullo
stesso piano, tutti quelli non in linea con l'insegnamento ufficiale della Chiesa
Cattolica...accomunano, per esempio, i cosiddetti Bambini di Satana ai Pentecostali...e
hanno rotto molto le palle a molti di noi, quando eravamo tutti in giro per il mondo, in
Associazioni di volontariato o in Circoli costituzionalmente e statutariamente ineccepibili.
Facevamo prevalentemente del lavoro con anziani, poveri, bambini e adolescenti
inquieti...pensa! e non ci si era ancora ritrovati qui....credo siano gli stessi che, prima o
poi, in accordo con i Servizi Segreti vaticani, il cui nome in codice è “l'Entità”, con
quelli americani tipo la C.I.A. e con la nostrana Digos, i cui capi sono in gran parte
aderenti alla Massoneria, più o meno deviata, faranno fuori il nuovo Papa,
Francesco. Il nuovo Papa, ovviamente, è già circondato in Vaticano da massoni cattivi, ed
anche lui stesso, essendo un gesuita, forse è stato un massone, un tempo...o è stato
costretto ad esserlo, come, secondo molti, è stato, ed anche un po' codardo, ma ora,
certamente, non è più massone...è sempre più buono ed è diventato molto coraggioso.
Sta facendo delle rivoluzioni incredibili, all'interno della Chiesa Cattolica, e va più
d'accordo con quelli che dicono di non avere una fede religiosa, più che con molti che
dicono di averla. Ma perché credete che chieda sempre a tutti di pregare per lui,
definendosi anche, a volte, come “un peccatore”, con tutte le belle e straordinarie
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rivoluzioni che sta facendo, nemmeno abbozzate mai, prima, da un qualche Papa?Solo
perché, essendo lui un uomo, come sostiene la Chiesa Cattolica, si sta portando sulle
spalle la triste eredità di Adamo ed Eva, cioè il “peccato originale”? Forse perché, alla sua
età, ogni tanto si masturba? O forse perché non vuole denunciare quelli che lui sa bene
che lo vogliono far fuori, quasi tutti, ma non tutti, massoni cattivi e regolarmente tesserati
come tali? Di massoni regolarmente tesserati, o in “sonno”, come dicono loro con gergo
iniziatico, ce ne sono tanti, in Vaticano, che fanno finta di fargli da supporto! Usano questa
espressione “in sonno”, per dire che si sono autosospesi a tempo indeterminato. No, no, io
credo che Papa Francesco chieda di pregare per lui sostanzialmente perché è molto
stanco, sa bene che potrebbe morire da un momento all'altro di morte naturale o, ancora
più probabilmente, ucciso da qualcuno a cui sta dando molto fastidio...Ma credo che lui
chieda sempre a tutti di pregare per lui anche a causa di ambigui comportamenti...e dire
ambigui è, per molti, dire poco...da lui tenuti quando era ancora in Argentina...c'è un
dibattito molto acceso sul passato in Argentina di Papa Francesco...ma vi prego, non dite
a Koi Nahìm che io vi ho detto queste cose su Papa Francesco, perché lui si incazza
molto se si insinuano dei dubbi sputtananti su chi sta facendo del bene, a prescindere dal
suo passato e, soprattutto, se si tratta di un'autorità religiosa che, oltre ad essere molto
coraggiosa, è anche osannata da milioni di persone...ed è meglio, secondo Koi Nahìm,
che venga osannato Papa Francesco o il Dalai Lama, anche se essere osannati, nella
Storia, si è sempre rivelata essere l'anticamera di una brutta fine per il corpo fisico,
piuttosto che vengano osannati donne ed uomini politici, di spettacolo o di arti
varie...d'altronde, sia a me che a Koi Nahìm, nonostante tutto quello che vi ho detto, Papa
Francesco piace...e molto”.
Mansueto Omobono si sedette un attimo, e Gelindo e Kalura gli si sedettero accanto, uno
per lato.
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“Mansueto, ma come puoi essere a conoscenza di tutte queste cose che, perdonami, mi
sembrano un po' troppo complottiste?”. Gelindo sussurrò appena questa frase, a voce
talmente bassa che persino Kalura, che aveva l'udito finissimo, gli chiese, gentilmente, di
ripetergliela....cosa che Gelindo fece subito, buttandosi di traverso su Mansueto,
impassibile.
Mansueto Omobono, a differenza di Kalura, aveva sentito benissimo, da subito, la
domanda di Gelindo.
“Beh, Gelindo, se ti riferisci alla Massoneria e al fatto che Papa Francesco, quando era in
Argentina, fosse incapace di denunciare con fermezza i massoni militari, di un regime
golpista di ultra destra, lasciando che questi torturassero e uccidessero persino alcuni,
solo alcuni, dei“suoi” sacerdoti in giro a far del bene nelle favelas di Buenos Aires, mentre
lui, contemporaneamente, ne salvava altri, come di fatto salvava chi poteva salvare e non
solo sacerdoti, basta che ti documenti. Ci sono un mucchio di testimonianze, al proposito
e, anche se lo si sapeva già da prima, con il processo e la condanna di Paolo Gabriele, il
Cameriere privato di Papa Benedetto Sedicesimo, il fatto che il Vaticano sia pieno di
massoni è diventato di pubblico dominio, per chi sia interessato ad averne il dominio
conoscitivo, naturalmente...comunque, quando te ne ritornerai a Rovigo, se ancora sarai
interessato a questo argomento, scrivimi, il mio indirizzo ora lo conosci...ed io ti spedirò
una bella bibliografia sia “pro” che “contro” il ruolo della Chiesa argentina, e dunque anche
di Jorge Mario Bergoglio in quel periodo oscuro, anche se sarebbe un imperdonabile
errore confondere la Chiesa argentina e lo stesso Vaticano con Jorge Mario Bergoglio...mi
aggiorno di continuo sai...e il tuo indirizzo mettilo sul retro della lettera, se me la
spedirai...per ora, scriviti solo due nomi di autori, uno “pro” e uno “contro”, e il titolo di due
libri, con relative Case Editrici, e fai attenzione all'anno di redazione... Dunque: Nello
Sclavo, che ha scritto “La lista Bergoglio. I salvati da Francesco durante la dittatura. La
storia mai raccontata” con prefazione di Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la Pace
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nel 1980 e l'interrogatorio inedito del cardinale Jorge Mario Bergoglio al Processo “Esma”
del 2010, redatto nel 2013 e pubblicato, nello stesso anno, dalla EMI...poi, “dall'altra
parte”, Horacio Verbitsky, giornalista “contro” che ne ha scritto tre, di libri tradotti in italiano,
su questa storia, ma quello che più riguarda Bergoglio è: “L'isola del silenzio. Il ruolo della
Chiesa nella dittatura argentina”, redatto e pubblicato in spagnolo nel 2005 e tradotto e
pubblicato in italiano da Fandango nel 2006...ma scriviti anche, e subito, quest'altro autore
ed il titolo di un suo libro...aspetta, ce l'ho qui...ecco: Mauro Biglino, il cui libro, tra i tanti
che ha pubblicato, si intitola: “Chiesa Cattolica Romana e Massoneria. Realmente così
diverse?”. Poi scriviti anche, di Eric Frattini, che è, poi, quello spagnolo che ha scritto
“L'Entità”, anche “ Le spie del Papa” e “I corvi del Vaticano”; poi “Doppio gioco”, sempre di
Horacio Verbitsky; poi, ancora, di Carlotta Zavattiero “Le Lobby del Vaticano”; di Gianluigi
Nuzzi, “Vaticano S.p.A.” e “Sua Santità”; di Massimo Franco “La Crisi dell'Impero
Vaticano” e infine, appena uscito “Sistema Massonico e Ordine della Rosa Rossa. Il
sistema di controllo in cui viviamo e le connessioni con il Vaticano” di Paolo Franceschetti.
Questo è il primo volume di quest'opera in tre volumi, editi dalla Uno. Il primo volume si
occupa degli anni
2008 e 2009...E poi, aspetta, mi stavo quasi dimenticando del
vaticanista pre-veggente più importante al mondo, cioè quello a cui, sia io che Koi Nahìm,
accordiamo più credibilità, cioè Marco Politi, con il suo “Francesco tra i lupi. Il segreto di
una rivoluzione” solo l'ultimo tra i non molti suoi libri...ma di articoli ne scrive almeno uno
ogni giorno...e prima di quest'ultimo, “La Chiesa del no” e “Josph Ratzinger. Crisi di un
papato”...Kalura stava per mettersi a urlare, mentre Gelindo scriveva freneticamente “e
poi, ma come ho fatto a dimenticarmeli?...poi, di Cristian Martini Grimaldi “Ero Bergoglio.
Sono Francesco”; di Elisabetta Piqué “Vita e rivoluzione”; di Evan... ”Kalura cacciò un urlo
da Munch e si allontanò di lì. Gelindo fece per rincorrerla, ma Mansueto Omobono lo
prese per un braccio e lo guardò fisso negli occhi: “Gelindo, lascia perdere, lei ha non
solo il diritto, ma anche il dovere, nei confronti della sua anima, ben s'intende, di
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andarsene dalle situazioni che sente per lei troppo pesanti da reggere...”. Gelindo si
scusò per Kalura “Scusa Mansueto, scusa, ti prego...è anche colpa mia di questo suo
atteggiamento maleducato...so bene quanto a Kalura non vadano giù le bibliografie che
non interessano a lei...” . “Appunto” chiosò Mansueto “lascia perdere” e, come se niente
lo potesse smuovere dal suo intento continuò “...dicevo dunque, di Evangelina Himitian
“Francesco. Il Papa della gente”; di Alberto Melloni “Quel che resta di Dio”; di Paolo
Farinella “Cristo non abita più qui” e, per finire davvero, dello stesso Francesco “La mia
porta è sempre aperta” ...ti basta questo, per ora...beh, adesso non occorre più che tu mi
chieda, un domani, la bibliografia con una lettera...”.
Gelindo, diligentemente, aveva eseguito, scrivendo i nomi e i titoli su un foglietto che
Mansueto gli aveva allungato e che si mise in tasca appena finito. Ma, un attimo dopo
chiese “Mansueto...tu li hai letti tutti, questi libri?” “No, solo qualcuno...ma conosco il
contenuto anche di quelli che non ho letto perché me l'ha raccontato Koi Nahìm...”
“Ah”fece Gelindo. Kalura, nel frattempo era ritornata, turbata, ma sufficientemente
rasserenata. Grattandosi i capelli, con lo sguardo fisso al suolo, Mansueto Omobono si
prese tre o quattro minuti per riflettere se continuare, o meno, a raccontare tutta quella
storia, per lui un po' angosciante.
Alla fine si decise e disse: “Anche se un po' rischio...non vi conosco ancora bene
bene...ma desidero fidarmi di voi...”e, con estrema lentezza, scandendo bene le parole
come al suo solito, vuotò il contenuto di quel sacco di cui lui, e pochi altri, erano a
conoscenza “dunque...vediamo un po'...non è poi così lunga, vi racconto adesso quel che
so...credo di farlo perché sento, d'istinto e da documentazione, di potermi fidare di voi,
visto che ciò che sto per dirvi, detta ad altri, ma non da me, ha sollecitato la fuga da questi
Monti di almeno una cinquantina di persone...insomma, è successo che, per indagini
condotte malissimo dal Commissario di Polizia che c'era prima, siano finiti in carcere due
di noi, che da qualche tempo ne sono usciti e che certamente conoscerete, a seguito di
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una sentenza definitiva per una morte, un assassinio...in cui i due che vi ho detto, non
c'entravano niente...si sono dovuti fare la galera, cinque anni uno e sei anni un'altra, in
brutti carceri...e se non fosse stato per il Procuratore della Repubblica attuale, che ha
riaperto le indagini creando presupposti per ulteriori Processi, loro due sarebbero ancora
dentro...dovete sapere che il Procuratore della Repubblica attuale, anche se è un
massone, ma di quelli non interessati né ai soldi, né al potere, poiché già di famiglia li ha
ambedue, ed è interessato solo a ciò che prescrivono le Logge massoniche antiche e
riconosciute come tali in tutto il mondo, ad esempio quella a cui lui appartiene, la Loggia
del Grande Oriente d'Italia, che non è violenta, nonostante la prevalenza di Logge violente
nel mondo intero” Kalura si stava quasi per addormentare, mentre Gelindo era
attentissimo “tanto da poter azzardare che, di Logge non violente ce ne siano al massimo
due o tre per ogni Continente conosciuto...ecco, lui e Koi Nahìm, che della Massoneria
conosce molto, ma non è, né è mai stato, iscritto ad ad alcuna Loggia, si stimano e
collaborano a vicenda”.
“C' è stato anche un morto?” Kalura era riemersa dal torpore molto spaventata “No, una
morta, una donna” riprese Mansueto con evidentissima tristezza, a bassa voce “ed era
anche la donna che stava con me, di cui io ero tremendamente innamorato...”.
Gelindo e Kalura si paralizzarono, imbarazzatissimi, ma dopo alcuni minuti, dopo essersi
ripresi dallo sbigottimento, Kalura sussurrò a Mansueto Omobono: “Mi dispiace tanto,
Mansueto, e credo dispiaccia molto anche a Gelindo...possiamo fare qualcosa per te?...te
lo chiedo perché tu ci hai detto che ti fidi di noi...potremmo anche solo ascoltare tutto
quello che ci vuoi dire...a volte anche solo questo è sufficiente per liberare un po' il cuore
da pesi opprimenti...noi vorremmo, cioè io, ma anche Gelindo, credo, essere tuoi amici,
Mansueto...”.
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“Anch'io” disse Gelindo con voce dolce, ma ferma, a Mansueto Omobono “dai, raccontaci
tutto quello che è successo...non te lo chiedo solo per una curiosità inutile, o per
raccontarlo, a mia volta, a chissà chi”.
Mansueto Omobono si strofinò la faccia barbuta, e con gli occhi dolci ed arrossati,
ricominciò a raccontare.
“Avete mai sentito parlare dell'Aura Soma? Noooo? Me lo immaginavo. Si tratta di una
tecnica consistente in bottigliette contenenti liquidi di tutti i colori, bellissimi, le cui gocce,
poche generalmente, vengono messe sulla mano, sul dorso della mano, tra l'indice ed il
pollice, giusto vicino a quella fossetta anatomica dove i nostri vecchi ci mettevano il
tabacco da inspirare. Ci sono anche altri modi per usare l'Aura Soma, ma a noi, ora,
interessa il modo in cui è stata usata quella sera. Chi le mette, queste gocce, è
generalmente uno o una che se ne intende...Gelindo, per favore, mi passi un po' d'acqua?
grazie, Gelindo...dunque...avevo la bocca un po' secca...dunque, dicevo, questa tecnica
può essere usata in vari modi, ma il suo scopo, comunque, è quello di ripulire e di
rinvigorire l'aura una volta inspirato il profumo delle gocce...sapete cos'è l'aura,
vero?...bene...e, di conseguenza, ripulisce e rinvigorisce sia la mente che il corpo della
persona che ne riceve qualche goccia sul dorso della mano...poi la persona che ne ha
inspirato il profumo entra per almeno un'ora in meditazione”.
Mansueto Omobono si stese sull'erba e, con le lacrime che gli colavano dall'angolo
esterno degli occhi scuri, se ne stette zitto per un po'. Gelindo e Kalura, sempre più attenti
ed empatici, rimasero fermi, seduti, ad aspettare il prosieguo del racconto.
“Una sera, eravamo una ventina, in una stanza buia, e per di più oscurata con dei teli, era
in programma una meditazione silenziosa con la spruzzatina, prima, dell'Aura Soma.
Gabby, sì, così si chiamava la mia ragazza, era accanto a me. Passò qualcuno o
qualcuna, non l'ho mai saputo, cioè...ho qualche sospetto...ma non sono tanto sicuro...ci
prese una mano e ci disse di inspirare a fondo...ricordo benissimo che Lin Tao, che
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sicuramente conoscerete, era lontana da noi almeno sei o sette posti....ecco...dopo
qualche minuto sento un fruscio, un rumore che fa una vestaglia quando cade a terra...
non ci ho fatto molto caso, ed ho ripreso a meditare”.
Lentamente, Mansueto Omobono si raddrizzò, mettendosi in piedi e guardando con
intensità sia Gelindo che Kalura, rimasti seduti.
“Quando venne riaccesa la luce, ecco, solo allora vidi Gabby stesa a terra, con le labbra
cianotiche...feci di tutto, urlavo disperato...fino a che...fino a che, Energy e Biscia mi
bloccarono e mi portarono in Ospedale per farmi prendere un potente sedativo, ma
durante il percorso mi ripresi un po', mi calmai, e tornai a rivedere Gabby, ma già non c'era
più, non c'era più nessuno lì dentro, solo tre poliziotti di qui sotto che stavano aspettando i
RIS”. Mansueto Omobono lacrimava.
“Evidentemente era stato Koi Nahìm a chiamare il Commissario di Polizia, quello di prima,
non
Montalbano,
che
è
l'attuale...e
cominciò
un
periodo
di
interrogatori
e
processi...l'autopsia di Gabby” continuò Mansueto Omobono con voce rotta “ha
evidenziato un arresto cardiorespiratorio per una paralisi dei muscoli intercostali, visto che
era imbottita di curaro”.
Mansueto Omobono si rimise seduto, con lo sguardo fisso davanti a sé. “Ci hanno
interrogati tutti, qualcuno di noi è stato trattenuto in Questura per due giorni, e anch'io fra
questi...e anche Koi Nahìm...poi, quasi subito, sono iniziati i processi...il tutto è durato
circa sei mesi...alla fine, Lin Tao si è beccata sei anni di Ospedale Psichiatrico Giudiziario
a Castiglione delle Stiviere, in Provincia di Mantova, dato che l'avvocato difensore di Lin
Tao, della stirpe di Davide, anche se non è Gesù, è simpatizzante per il Milan ed apprezza
il lavoro che Koi Nahìm sta facendo tra questi Monti, anche se a convincerlo a prendere in
mano la difesa è stata sua moglie, Pecks Grapes, una psicoterapeuta molto brava e amica
di Koi Nahìm, che preferisce starsene giù in città, anziché qui sui Monti, ma ci viene
spesso a trovare e che forse, un giorno, incontrerete”. Mansueto Omobono bevve un altro
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sorso d'acqua “L'avvocato s'è messo d'accordo con uno psichiatra di una città qui vicino,
lo psichiatra italiano più famoso presso il grande pubblico....come si chiama...aspetta...no,
non mi viene in mente il nome...uno degli psichiatri più famosi del mondo, visto che è uno
psicofarmacologo che ha studiato in America per tanti anni, e di matti ed assassini ne ha
visti e periziati tanti, ma proprio tanti...non ricordo il nome...quello con le sopracciglione
folte ed i capelli sparnighè, come direbbe Grugno Snasuplòun...cosa stavo dicendo? ah,
sì, Koi Nahìm aveva convinto Lin Tao a fare la matta, e Lin Tao ci è riuscita, tanto da
convincere, oltre che l'avvocato, anche quello psichiatra, che sembra non essere mai stato
tratto in inganno da nessuno...Lin Tao ne ha passate talmente tante, ed è riuscita a far la
matta così bene, tanto da convincere non solo l'avvocato della Difesa, lo psichiatra
Consulente Tecnico della Difesa, ma anche lo psichiatra Perito nominato dal Giudice, un
osso duro....non ricordo il nome nemmeno di questo...aspettate...no, non lo ricordo
proprio...ma ricordo bene com'era...con occhiali con la montatura colorata, capelli e barba
bianchi che controlla sempre in uno specchio perché siano della messinscena
giusta...insomma, come narcisista non è male, tanto che ha vinto il secondo premio
dell'egolatria a Salsomaggiore, non ricordo più in che anno, dopo Victor Very Sgarby,
risultato al primo posto come nei trent'anni precedenti, in occasione di un concorso
parallelo indipendente da quello di Miss Italia, del quale, peraltro, ambedue facevano parte
della giuria...al terzo posto, in quell'occasione, si è classificato a pari merito con Paul
Kreps Fils à Papa, psichiatra, il suo collega e nostro boss Koi Nahìm, che ha regalato i
soldi del premio ricevuto al suddetto suo collega, con l'impegno sottoscritto da quest'ultimo
di risolvere i fatti suoi, primi di continuare a scrivere di come gli altri dovrebbero risolvere i
loro...poi, ad un certo punto, Koi Nahìm s'è reso conto che lui stesso, per primo, avrebbe
dovuto smettere di fare la stessa cosa che stava rimproverando al suo collega...così si è
ripreso indietro i soldi ed ha lasciato perdere con quella trattativa privata tra colleghi...ma
dove eravamo rimasti...ah sì...il Perito di cui non ricordo il nome, è umanamente molto
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difficile da averci a che fare...un tempo avrei detto che è molto stronzo...ma ora penso che
lui è...come è bene che sia, anche se per motivi imperscrutabili non solo per me...porta
sempre, sulla giacca, una piccola croce in legno... la croce a T...quella probabilmente
usata da Francesco d'Assisi, il quale, se è stato veramente lui ad usarla e a renderla
famosa, certamente non sta gradendo molto questo vezzo, nonostante lo psichiatra si sia
fatto diacono...credo che sia molto ammanicato con il Vaticano, da ancor prima che in
Vaticano ci fosse Papa Francesco, ed è anche un massone “in sonno”...ricordate che
prima vi ho spiegato chi sono i massoni “in sonno”?...bene...e il loro rapporto con il
Vaticano?...bene...dunque...da parte sua l'avvocato difensore, peraltro, prima di accettare
l'incarico di difensore, convinto da sua moglie, è stato quassù un mese per essere
profondamente sicuro che Lin Tao fosse innocente, ma aveva anche bisogno di una
consulenza tecnica che portasse la firma dello psichiatra più famoso d'Italia per tentare la
strada dell'infermità mentale, invece di lasciarla esposta, come minimo, a trent'anni di
reclusione...infatti, il Giudice per le indagini preliminari prima, il Pubblico Ministero poi, e
infine il perito psichiatra, di cui non ricordo il nome, consulente tecnico del Pubblico
Ministero della Corte d'Appello, erano talmente convinti che Lin Tao sarebbe stata punita
con una condanna esemplare...dato che ormai risultava colpevole per tutti, o quasi...ecco
perché l'avvocato difensore ha tentato, riuscendoci, la carta dell'infermità mentale...ma
sapete perché proprio Lin Tao? lei, la migliore amica di Gabby? semplicemente perché,
pochi giorni prima del fattaccio, avevano avuto una discussione piuttosto accesa, per una
cazzata riguardante la marca di un detersivo da comperare...la accusarono di aver
sostituito il contenuto di una siringa da insulina con del curaro, viso che Gabby era
diabetica, curaro che Gabby avrebbe trafugato ad un nostro amico anestesista di qui
vicino e che ci viene ogni tanto a trovare, di nome Giancarlo...immaginatevi se lui si porta
dietro flaconcini di curaro...oltre ad essere molto prudente anche in Ospedale con quel tipo
di farmaci...poi, alla fine, Lin Tao, vista la legislazione vigente, pur essendosi presa
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inizialmente dieci anni di Ospedale Psichiatrico Giudiziario, allo scadere dei sei anni,
sempre con l'aiuto dell'avvocato simpatizzante per il Milan, anche se Lin Tao a quell'epoca
tifava per la Fiorentina, e con un'altra perizia determinante da parte di uno psichiatra
amico e discepolo di quello psichiatra-psicofarmacologo di cui non ricordo il nome,
membro del Tribunale di Sorveglianza che sorveglia anche quello che succede a Mantova,
nella cui provincia era stata ricoverata Lin Tao, è stata rimessa in libertà...ed ora è qui...la
conoscerete, e constaterete di persona che se c'è, quassù, una persona sana di mente,
ed incapace di fare del male a chicchessia, è proprio lei”.
“Ma non è finita” aggiunse Mansueto, e si soffiò il naso in un tovagliolino a quadri bianchi e
rossi “era il tovagliolo preferito da Gabby...lo riservava per le occasioni speciali, in cui era
in programma un pranzo importante...ma andiamo avanti...dunque, ero rimasto alla
dimissione e liberazione di Lin Tao, vero? sì, eravamo arrivati lì...beh, sapete che alla fine
Koi Nahìm stesso si è preso molte bastonate dalla Polizia Penitenziaria...visto che è stato
trattenuto per ben due
giorni e due notti in carcere, non qui sotto, a Padova...ma,
arbitrariamente, in una città lontana più di duecento chilometri...e il capo degli agenti della
Polizia Penitenziaria, un Maresciallo a cui, tra l'altro, Koi Nahìm aveva dato una mano a
cavarsela in diverse difficoltà sia affettive che relazionali, ma soprattutto economiche,
voleva linciarlo di nascosto? Gelindo, per favore, mi potresti dare ancora un po'
d'acqua?...aaaah! grazie Gelindo...”.
E fu così che Gelindo e Kalura vennero a sapere che la città, lì sotto, era Padova.
Mansueto tacque per un po' e poi riprese: “Quel Maresciallo aveva il vizio del gioco, e
giocava forte...fatto sta che, un giorno, non si è mai saputo bene chi, qualcuno lo ha fatto
secco, pam! con una sola pallottola in testa...chi sia stato ad ucciderlo, non si sa
bene...non era un tipo molto amabile...so soltanto che il Commissario Montalbano, quello
amico di Koi Nahìm, sta facendo ora in modo che un suo pari grado di quella città lontana
metta sotto torchio un Brigadiere, la cui moglie, molto bella, veniva spesso tormentata dal
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Maresciallo, ora morto...l'ho saputo, un giorno, dal figlio del Maresciallo morto ammazzato
che, non potendone più dalla rabbia e dalla vergogna, è venuto a passare un periodo
quassù, ma ci è rimasto poco”.
“Scusa, Mansueto, hai detto curaro, vero? Ma, per quanto io ricordo, l'azione letale del
curaro si manifesta solo se viene iniettato, e non ingerito né, tanto meno, solo annusato...”.
Gelindo disse tutto questo in un mezzo nanosecondo, con il volume della voce più basso
che riusciva. “Bravo Gelindo, come detective te la cavi bene...infatti, all'esame esterno del
cadavere di Gabby, all'epoca, non risultava nessuna ferita, se non un piccolo graffio sulla
gamba destra, che poteva essere stato provocato da una crosticina grattata via, una
puntura di zanzara, sostennero gli esperti, e solo una gocciolina di sangue, invece...”. “E
invece cosa?” chiese Gelindo che, tutto gasato, si sentiva un novello Scherlock Holmes.
“E invece” riprese con calma Mansueto Omobono “il nuovo Commissario, Montalbano, ha
fatto in modo che venisse riaperto il caso e, seguendo tutti i passi istituzionali consentiti
dalla Legge, è stata disposta una nuova autopsia”. Gelindo e Kalura erano avvinghiati a
questa storia che stava loro raccontando Mansueto Omobono e, nel frattempo, stando
sempre seduti a terra, si erano presi per mano, quasi fosse questo il modo per affrontare
la rivelazione finale.
“La nuova autopsia ha rivelato che la tibia destra di Gabby presenta una scalfittura che
non può essere stata provocata, quando Gabby era ancora viva accanto a me, da altro se
non da uno stiletto, da un coltello molto acuminato e molto tagliente o da uno spillone...il
che, associato al curaro che le avevano trovato in corpo, spiega tutta la vicenda”. “Ma
come può essere successo? Uno stiletto imbevuto di curaro all'altezza della tibia...ma chi
può aver fatto una cosa simile, e come, come ha funzionato, e perché?”. Gelindo,
chiedendo questo, si sentì declassato all'istante, da Sherlock Holmes a John Watson,
bene che gli andasse. “La modalità è spiegabile solo con uno stiletto, tipo ago di
siringa...la siringa, piccolissima tipo quelle, appunto, da insulina, è riempita di curaro che
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esce sul davanti della scarpa quando si batte forte il tacco per terra, o lo si preme con una
grande forza sul pavimento che, non ve l'ho detto, ma nel caso in questione era una
moquette...e la moquette attutisce il rumore...poi, nel tacco stesso, c'è una peretta di
gomma che contiene almeno dieci millilitri di tubocurarina che viene spremuta fuori, dentro
la siringa e, da lì, nel corpo della vittima...è un sistema ideato dai russi, ed era usato da
una
certa
Rosa
Klebb,
generale
del
Kegghebbé,
a
Venezia,
nel
millenovecentoquarantacinque, ma che, col tempo, è diventato patrimonio di molti Servizi
Segreti...poi, per quanto riguarda il movente, sia io stesso, che Koi Nahìm, che Ian
Ròsslyn, persona che conoscerete sicuramente se resterete qui, pensiamo trattarsi di
gelosia nei confronti di Gabby, che oltre ad essere molto attraente, aveva me sempre al
suo fianco...quindi, per concludere, l'assassino è stata una donna che non riusciva a
trovare un solo uomo che potesse soddisfare i suoi legittimi desideri sessuali o, più in
particolare, che desiderava soddisfarli proprio con me”.“Ma allora, Mansueto, dovrebbe
essere abbastanza facile individuarla”, disse Kalura già
stizzita con quella donna
sconosciuta.
“Eh, Kalura, sapessi quante donne sono passate di qui e mi hanno chiesto esplicitamente,
o mi hanno fatto capire chiaramente, anche se con modalità un po' subdole, che
avrebbero avuto una gran voglia di scoparmi...anche se, devo riconoscerlo, da parte mia,
pur non avendo mai tradito Gabriella, mi compiacevo molto nel sentirmi proporre quelle
cose...e' tipico della psicologia maschile...non lo sapevi, Kalura?”. “No, non lo sapevo”
disse con fermezza Kalura, mentre fulminava con gli occhi Gelindo che, nel frattempo, si
era buttato disteso sull'erba, a pancia sotto, sentendosi meschino come fosse stato lui
l'assassino. “Comunque” continuò Kalura “un'idea di chi, esattamente, possa essere stata
o stato, ve la sarete ben fatta...o no, Mansueto?”. “Né io...io ho solo delle supposizioni del
tutto arbitrarie...né Koi Nahìm, Kalura, né il Procuratore della Repubblica, sensibilizzato in
questo senso dal Commissario Montalbano che ha consigliato Koi Nahìm di far registrare
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tutto, come vi ho detto prima, per evitare ulteriori complicazioni...se avessimo registrato
tutto già allora, magari con una fotocamera termica, a raggi infrarossi, sapremmo
sicuramente chi è l'assassino” . “Ma...a chi vanno, poi, tutte le registrazioni?” chiese
Gelindo un po' preoccupato. “Dunque” riprese calmissimo Mansueto Omobono “Drums
Percussion che avete già visto in azione ieri sera con la batteria, oltre ad alternarsi anche
lui con quelli che fanno le riprese video e le audioregistrazioni a distanza, il tutto
autorizzato dal Procuratore della Repubblica, e per merito del Commissario Montalbano,
ne fa tre copie...l'originale la fa avere a Koi Nahìm, che la fa avere al Questore...una copia
se la tiene Koi Nahìm stesso e un'altra copia finisce dritta dritta a Donna, che ne fa quel
che pare a lei...Donna la conoscerete, prima o poi...ha curato moltissimi libri di Koi Nahìm,
videocassette ed altro, oltre a fare un lavoro molto delicato, quassù”.
“Ripeto, Mansueto” Kalura alzò sensibilmente il volume della voce, che divenne anche un
pochino stridula “un'idea, una semplice idea su chi sia stato, ve la sarete ben fatta!”.
Mansueto Omobono la bloccò con un gesto della mano “Solo Ian Ròsslyn ce l'ha un'idea,
anzi una certezza, ma non la vuol dire a nessuno, né a me, né al Questore, né al
Procuratore Capo della Repubblica, né allo stesso Koi Nahìm...ma bisogna conoscerlo,
Ian Ròsslyn, e lo conoscerete...non lo vuol dire nemmeno a Lin Tao! Eppure, durante una
delle udienze preliminari in cui Lin Tao era incriminata, è riuscito a far incazzare talmente
tanto il Giudice, da beccarsi cinque anni di prigione, a Padova, per oltraggio pluri pluri
aggravato con aggressione fisica alla Corte, al livello della Corte cui erano arrivati, e lui se
li è fatti tutti, rifiutando avvocati difensori e visite da parte nostra...comunque Ian Ròsslyn
sostiene che si tratta di una donna, che lui l'ha vista anche se era buio, che ancora è qui,
su qualcuno di questi Monti e che lui, prima o poi, gliela farà pagare...d'altronde, sapete,
Ian Ròsslyn sa essere anche molto stronzo, come dice a volte Lin Tao, e si diverte a
raccontare balle”.
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Ci vollero almeno dieci minuti di sospensione, perché Gelindo e Kalura potessero
riprendersi.
Comunque si rialzarono e ripresero a camminare, anche se un po' ondeggianti.
“Dunque qui, su qualcuno di questi Monti, c'è ancora l'assassina” disse Gelindo “almeno
stando a quanto sostiene questo Ian Ròsslyn...che nome...come quello della famosa
Cappella...”.”Esattamente” stoppò Mansueto Omobono
”....ma tu stesso ci hai detto”
continuò Gelindo “che ci sono anche degli infiltrati sconosciuti, agenti dei ROS, mandati
qui dal
Prostituto Sostitut...scusa...dal Sostituto Procuratore
o meno Sostituto che,
suppongo, per fare questo in piena tranquillità, ha dovuto accettare, o subire, pressioni da
molto, ma molto in alto, credo solo a livello politico...uomini dei ROS che si fanno passare
per persone alla ricerca di Dio, di se stesse, come noi, come tutti gli altri che sono
quassù...ma cosa vogliono fare, in realtà? tu sai chi sono?”.
“No, io non so chi siano, ma li controlliamo attraverso dei nostri Servizi Segreti, segreti al
punto che non vi voglio nemmeno dire chi, io, ma solo io, penso che possano essere,
almeno stando a quello che, ogni tanto, se interrogato in proposito, fa intendere Koi
Nahìm...tra l'altro, se è vero che i Servizi Segreti degli altri ci sono, come è vero iddio che
ci sono, anche se questo è solo un pensiero mio, non possono voler altro che far fuori Koi
Nahìm, anche se lui, come al solito, minimizza sempre, quando si tratta della sua integrità
fisica, contraddicendo, con i suoi comportamenti dannosi per se stesso, ciò che
minimizza...lo vogliono far fuori in un modo che appaia una morte accidentale come,
d'altronde, è successo a Gabby e lui, perdonate, stupido com'è a volte, ma solo a volte,
sta facendosi del male consapevolmente, per facilitare il loro gioco...sapete, il suo
passatempo preferito è quello di mettere sempre gli interessi degli altri avanti ai suoi,
anche se gli interessi degli altri vanno dritti dritti contro i suoi, compresa la sua integrità
fisica, visto quello che mangia, beve e fuma...deve essere una malattia, la sua: mette nei
pasticci non solo se stesso, ma anche altri, a cominciare da chi gli vuole davvero bene, e
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lo fa, permettetemelo di dirlo, con molta leggerezza ed irresponsabilità... scusate,
comunque, se parlo in questo modo di Koi Nahìm...ma è perché, non so bene perché,
dopo tanto tempo che lo conosco, io gli voglia ancora così bene....ed è solo per questo
che mi permetto di parlarne in modo anche così critico...
L'Ospedale
Mentre Gelindo e Kalura stavano rimuginando tutto ciò che avevano appena sentito, ed
avendo assieme deciso che Koi Nahìm fosse un masochista o un sadico suicida,
comunque un perverso amorale del tutto irresponsabile, tutti gli altri si erano già messi a
camminare in fila indiana, tutti cinquecento o giù di lì, ed anche loro si accodarono. Dopo
solo due ore di camminata leggera, un grandissimo Ospedale.
Un grandissimo Ospedale che Gelindo e Kalura si stupirono come farlocchi di trovare lì.
“Ma come? Qui un grandissimo Ospedale? Cosa ci fa?”.
E l’Istruttore che era più vicino a loro sussurrò appena: “Come potrete mai apprezzare il
fatto di essere vivi e sani se non sapete che cos’è la malattia?”.
Kalura, cronicamente allergica alle sorprese che non fosse lei a farle agli altri, urlò : “Ma
come? Proprio sul Monte che si chiama Vivo! Io volevo trovare Dio e vivere senza tante
menate di malattie! Adesso ci portate anche in un Ospedale! Mica siamo dei volontari
cattolici di merda! E tanto meno democristiani o comunisti del volontariato, o buddhisti, o
seguaci di Gandhi, o suore di Maria Teresa di Calcutta! La madonna! Basta con ‘sta storia
della sofferenza! Prima l'arte di bere alcolici e superalcolici senza sbronzarsi con Gufo
Bianco, poi la nosologia dei peti con quel rompipalle di Biscia, poi questa storia di un
assassinio, e ora anche le malattie...ma dove cazzo siamo finiti?...Basta!”. Evidentemente
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era ancora molto scossa da ciò che aveva sentito raccontare poco prima. L’Istruttore, che
poi era Mansueto Omobono, la guardò in silenzio, gli occhi rossi di lacrime, con mestizia.
Kalura non capì che cosa ci fosse poi da piangere, o quasi, se non tornando con la mente
alla storia dell'assassinio e, a quel punto, quella rabbia le passò subito. Gelindo invece,
che era convinto di aver capito un po’ meglio la situazione, le disse sottovoce: “Eh,
secondo me, qui ci stanno sottoponendo a una specie di lavaggio del cervello...però lo
possiamo accettare fino a quando sentiamo che proprio non va contro i nostri valori più
profondi...accettiamo pure, andiamo a vedere questo Ospedale”. Al che Kalura:
“Ma...Gelindo, sei diventato scemo tutto d'un colpo? Eppure te ne dovresti intendere un
po' più tu di me, di queste cose...ma se sono proprio i valori profondi della gente, che
vengono soppiantati da altri valori, dai valori di chi comanda! Ho letto da qualche parte che
anche amnesie totali possono essere indotte, sia dall'ipnosi criminale, sia da altri mezzi,
altrettanto criminali, ma ben più difficili da utilizzare, e da altri ancora, anche se appaiono
del tutto normali e legalmente leciti, ad esempio i messaggi subliminali nei computer o per
televisione!”. Gelindo, arrossendo e ripiegandosi su se stesso, si limitò a dire: “Si, quanto
tu dici è vero”.
Si guardarono negli occhi ben dieci minuti buoni e, infine, si abbracciarono stretti.
Kalura calmata, Gelindo tornato in sé, un po' timorosi, un po' sospettosi, un po' incuriositi,
tutti cinquecento e passa entrarono ordinatamente e in silenzio in questo Ospedale e
scoprirono ben presto che si trattava dell’Ospedale di tutta la zona attorno, cui ci si poteva
arrivare con una bellissima strada asfaltata da tutt’altra parte rispetto alla strada e al
sentiero accidentato che avevano percorso loro.
C’erano ambulanze che andavano e venivano, c’erano reparti di tutti i tipi, di Medicine Non
Convenzionali, di Medicine Convenzionali, c’era addirittura un reparto di Chirurgia
Spirituale dove lavoravano i guaritori sciamani facendo interventi di chirurgia sui tumori
semplicemente con l’energia delle mani, ma c’erano anche otto reparti di Neurochirurgia,
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dodici di Oncoematologia,
quattro di Cardiochirurgia, Medicina Uno, Due, Tre, fino al
Ventiquattro, Chirurgie con tutte le diramazioni adatte per un corpo umano, sedici
Laboratori e venticinque Radiologie con annesse Radioterapie dotate di macchinari
sotterranei a cinque piani sotto, che la NASA se li sogna, dodici Ostetricie, ognuna con
venti Sale Parto, dove tutte, o quasi, le donne incinte del mondo ci potevano partorire
contemporaneamente. Insomma, un polo sanitario di super super mostruoseccellenza. Un
grande eliporto, grande come l'Aeroporto di Fiumicino, dove Isy Herrandes, uruguagia e
Gyiad Maslyi, serba, erano sempre pronte, in divisa da aviatrici paracadutiste, con le loro
dita già in movimento, vicine ad otto medici di Medici senza Frontiere, e sedici infermieri di
Emergency, con ventuno elicotteri sempre con il motore acceso, dietro ad uno degli
ottantuno Pronto Soccorsi, di cui uno principale, con ventiquattro Medicine Legali ma una
sola Cella Mortuaria un po' in disparte, ma non tanto lontano. E lì dentro, nella grande
sala d'accesso al Pronto Soccorso principale, c’erano persone che effettivamente stavano
male, soffrivano, si lamentavano, vicine ai loro parenti, se i parenti c’erano. Qualcuno,
però, soprattutto se anziano, era solo.
In questo Ospedale, in questo enorme atrio, anche lì una reception, i nomi, un minimo di
documenti. Ognuno ricevette un suo braccialetto di plastica colorata e un cartellino con
generalità e foto, per poter accedere al reparto dove venivano assegnati. Gelindo e Kalura
vennero assegnati, con un gruppo di altri trenta allievi del Monte Vivo, a un r eparto di
Lungodegenza e Riabilitazione, dove si trovavano ricoverate, per lo più, persone anziane.
Era il principale di trenta analoghi reparti.
Entrati in reparto, cominciarono a guardarsi attorno e videro queste persone
fondamentalmente sole, sofferenti di varie malattie. Alcune di queste malattie erano
chiaramente inguaribili, altre erano malattie stazionarie, a tempo indeterminato.
Tutto era perfettamente organizzato secondo gli standard della medicina più avanzata.
Anche l’architettura e l’arredamento di questo Ospedale era in linea con quanto di meglio
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potevano produrre gli architetti ed arredatori ospedalieri migliori del mondo. Al progetto,
per le forme architettoniche in generale e, specificamente, per l'arredamento, ci avevano
lavorato, in successione, Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, che avevano litigato tra loro,
ed era rimasto tutto nel caos, e infine Norby Mos Pentastellato, architetto sostenitore di
una Città Solare, ed Anne Devotion, che avevano sistemato tutto per bene, bene al punto
che c'era sempre qualche imbarcata di architetti russi, cinesi e giapponesi, che venivano a
visitare quest'opera d'arte, scattavano milioni di foto, e se ne ripartivano quasi subito. Non
prima, però, di aver offerto qualche mazzetta sia a Norby Mos Pentastellato che ad Anne
Devotion, che sdegnosamente avevano sempre declinato l'invito di consegnare loro calcoli
e disegni nascosti, che solo loro due conoscevano.
Anne Devotion, anche lei architetto, come Kalura venne a sapere da Sibyl Ciacerona, che
le raccontò tutte le vicende dell'Ospedale e degli operatori sanitari fin dall'inizio, insegnava
Storia dell'Arte, in inglese, ai ragazzi delle medie inferiori e superiori che frequentavano
una grande Scuola che c'era lassù, anche se Gelindo e Kalura non l'avevano mai vista,
pur essendo stata loro descritta come grande grande. Anne Devotion era anche il
comandante della Polizia Municipale di tutti cinque i Monti, come disse Sibyl Ciacerona
aggiornando Kalura, e non permetteva di parcheggiare, fuori dagli appositi spazi delimitati
in rosso fluorescente, alcuna macchina o moto. Pretendeva, dai suoi subalterni, almeno
cinquanta multe salate al giorno.
Nell'Ospedale, in quel reparto, il personale di assistenza era nello stile, nel
comportamento, esattamente uguale agli Istruttori che Gelindo e Kalura avevano
incontrato fino a quel punto, ad Energy, a Sybil Ciacerona, a Grugno Snasuplòun, a
Mansueto Omobono, a Gufo Bianco.
Tutti sani, tutti belli tranne Biscia, robusti, soprattutto calmi, precisi, centrati. Quando uno
parlava l’altro stava zitto ed ascoltava. Non c’erano sovrapposizioni, non c’erano urla
lungo i corridoi, non si faceva uso di quindici caffè alla mattina, nella saletta delle
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infermiere. Al massimo si prendeva un caffè d’orzo che bastava per tutto il turno. E nel
vedere le persone che stavano cercando di invecchiare e di morire alla meno peggio,
Gelindo e Kalura, cominciarono a riflettere: “Ma diventeremo così anche noi? Ma, questa
storia, perché siamo venuti a viverla qui? Ce la potevamo sorbire bene anche restando a
Rovigo, dove abitavamo. Anche lì c’è un Ospedale grande!”.
Pieni di dubbi rispetto al senso dell’essere finiti in un Ospedale, in un reparto di
Lungodegenza e Riabilitazione, si attennero comunque alle precise e veloci istruzioni della
caposala che si presentò come E'kkime Sokquà, Inuit romana, che diede loro delle
incombenze umilmente necessarie, che consistevano sostanzialmente nel pulire i
pavimenti, nel portare via le padelle da sotto il sedere dei vecchi e delle vecchie, nel lavarli
accuratamente, cosa che altre due infermiere, Sofàr ben LeKos, marocchina di Lecce e
Hoièmpa Rat Bùon, thai-napoletana, insegnarono loro come fare per bene. Dovevano
badare, insomma, alla manutenzione dei ricoverati.
Non essendo né l’una né l’altro, tecnici del settore, dovevano semplicemente fare dei
lavori di sostegno. Il tutto era impregnato di questo odore di vecchiaia. Scoprirono che i
vecchi hanno un odore particolare ed è un odore che deriva dalla loro pelle, dal loro
sudore, dalla loro pipì che si perdono ogni tanto per incontinenza, e questo accade quasi
sempre, a una certa età. Ogni tanto si sentiva anche l’odore della cacca.
“La vecchiaia e la malattia: sono cose che potranno succedere anche a noi”. Lo
dissero mestamente, a voce alta.
E le infermiere e gli infermieri, proporzione femmine/maschi quattro a uno, erano tutti
assolutamente centrati e, chi più chi meno, disponibili a scambiare con loro tre o quattro
parole, smettendo di fare quello che stavano facendo e guardandoli dritti negli occhi,
magari sollevandosi dal profumo di una piaga da decubito infetta, per il tempo
strettamente necessario.
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“Sì, è così, succede alla maggior parte degli esseri umani. Succede a quasi tutti.
Sono in netta minoranza quelli che muoiono d'un colpo o si suicidano, anche se a
volte, prima, anche quelli...e sappiate che voi starete qui fino a quando non
riuscirete a vivere tutto ciò come un qualche cosa che si combina strettamente con
la vostra vita. Ed è esattamente necessario questo. Questo è il punto a cui si arriva
qui dentro, il punto a cui possono arrivare gli esseri umani come voi che vengono
spediti qui, perché ci possa essere anche poi la volontà, da parte vostra, di godere,
con gratitudine, della giovinezza e della salute che voi adesso avete. E pensare che,
a volte, ve la menate con la storia di sentirvi già tanto vecchi…e magari anche un
po' malati”.
E, con un sorriso appena accennato, riprendevano attentamente da dove si erano
interrotti.
Cominciò così un periodo di tirocinio a tempo indeterminato, lì, all’Ospedale.
Un tirocinio molto umile, come Gelindo e Kalura scoprirono sempre di più, di giorno
in giorno, fatto di pulizie, ma soprattutto di ascolto di suoni, di lamenti, di proteste e
grida soprattutto per i dolori, acuti o continui, di richieste d'aiuto soprattutto alla
mamma morta già cinquant'anni prima, da parte di qualche anziano, tirocinio fatto di
azioni, fatica e parole buone. E poi la vergogna che molti anziani ed anzianissimi,
ma anche alcuni giovani, provavano nell'essere ridotti in quello stato. Appresero
ben presto, sgomenti, che quel tipo di vergogna e di dolore conduce spesso al
desiderio di farsi fuori. Ma i medici e i paramedici del reparto dimostrarono nei fatti,
quasi sempre con ottimi risultati, cosa ci sia da fare in questi casi: generalmente un
abbraccio fino a che ce ne sia bisogno.
Questi degenti non erano assolutamente lì perché volevano fare un qualche viaggio
spirituale, e
tanto meno uno simile a quello di Gelindo e Kalura. Erano lì
semplicemente perché quello era il miglior ospedale di tutta la zona e di tutte le
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zone circostanti. Ed erano veramente tanti, questi anziani ammalati. E tanti anche i
malati giovani cronici, tanti, considerata appunto l’età.
Già da qualche mese erano lì, e ambedue avevano già scritto e riscritto a casa, e dai
rispettivi coniugi erano stati mandati tutti e due a quel paese, perché sia Freddy che Patty
erano molto offesi per come Kalura e Gelindo se n’erano andati, nonostante loro avessero
scritto chiaramente: “Se volete, potete venire anche voi. Guardate che qui c’è da imparare,
qui c’è la possibilità di conoscere. Qui si vedono delle cose che fuori, nel mondo normale,
non si riescono a vedere”. I coniugi, però, e per certi aspetti molto comprensibilmente, non
ne volevano sapere: “No, basta, me l’hai fatta troppo grossa. Te ne sei andato, te ne sei
andata, senza specificarmi bene quanto stavi via. Sapessi quanto mi hai fatto stare in
pensiero! Non ti perdono!”.
Fatto sta che, dopo due o tre tentativi di comunicazione, di lettere, di fax, di e-mail, di cose
di questo genere, tutto trasmesso e ricevuto in risposta tramite la reception del Monte
Vivo, cioè dirottato con perizia da Sybil Ciacerona e Grugno Snasuplòun, era chiusa,
basta, finita.
Così tutti e due si resero ben conto, sia Kalura che Gelindo, cosa che, peraltro, dentro di
loro già avvertivano con una discreta sofferenza, che in realtà questa relazione coniugale
in cui si trovavano non era poi così importante ed era, già da prima, in avanzato stato di
decomposizione.
Comunque per loro, in quel momento, era più importante vivere quell’esperienza che
stavano facendo, che non cercare di mettere dei cerotti su quella ferita.
La questione la conclusero comunicando semplicemente, sia Kalura che Gelindo: “Senti,
io sono qua. Se tu vuoi venire, vieni”. Chiesero a Sybil Ciacerona e a Grugno Snasuplòun,
gentilmente, di fornire ai rispettivi coniugi le indicazioni per la città che, a quel punto,
avevano ben compreso dal racconto di Mansueto trattarsi di Padova, e le
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raccomandazioni sul come raggiungere la cima di quella montagna, magari percorrendo la
strada asfaltata.
Loro, però, non vollero scrivere di quale città si trattasse, lasciando questa incombenza a
Sibyl Ciacerona e Grugno Snasuplòun. Sia Gelindo che Kalura si limitarono al contenuto
del messaggio: “Io sono qua. Se vuoi venire, vieni. Non so nemmeno per quanto tempo mi
fermerò”.
Di telefonare alle mamme, con un po' di dispiacere, si accorsero di non averne più
voglia...o meglio, la voglia un po’ c’era ancora, ma prevaleva la paura, il senso di colpa…
l’avevano fatta un po’ troppo grossa anche con i loro genitori. Forse, ma solo forse, Barka
avrebbe compreso...ma, secondo Kalura, nemmeno sua madre, perché si era imbevuta un
po' troppo della morale imperante a Rovigo. Forse solo la nonna avrebbe compreso
veramente.
Dopo la giornata di lavoro passata dentro questi luoghi ospedalieri, alla sera c’era sempre
il ritrovo per la cena e il dopo cena in quel posto della prima sera.
Gelindo e Kalura si sentivano sempre molto attratti verso quel posto dove, peraltro, erano
stati invitati ad andare dall'attuale loro caposala E'kkime Sokquà. Lì si poteva bere anche
qualche buon bicchiere, si poteva mangiare anche un po’ di carne, E'kkime Sokquà solo
foca monaca affumicata, si poteva anche ridere, c’era chi raccontava le barzellette,
c’erano i fuochi, le danze...
E lì, loro sentivano continuamente questo stacco enorme, ma lo sentivano come un
qualche cosa di evolutivo, questo stacco enorme tra quello che facevano durante il giorno
a contatto con dei malati cronici, a volte pazienti terminali per lo più anziani, ma anche
giovani, e la sera, quando sapevano di poter stare con altre persone che avevano detto di
essere anche loro alla ricerca di se stessi, di Dio, in un posto un po' difficile, ma che
sembrava ben organizzato per raggiungere l’obiettivo che si erano proposti. Fatto sta che,
di sera in sera, queste altre persone diminuivano sempre di numero. Dopo tre mesi, dalle
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cinquecento iniziali, erano rimaste sì e no in cinquanta. Gli ospiti di Koi Nahìm se n'erano
già andati da due mesi.
C’è però da dire che così, in numero minore, cominciavano a conoscersi meglio tra di loro,
raccontandosi a vicenda delle loro vite. E tra loro c’erano quasi sempre anche gli Istruttori,
che parlavano senza reticenza di se stessi, ma solo se venivano stimolati in questa
direzione. Ma ciò che più stupì, sia Gelindo che Kalura, fu la presenza, inaspettata, sia
della caposala del reparto dove loro due prestavano servizio in Ospedale, sia di altre
infermiere e infermieri, che scoprirono essere tutti Istruttori Regolamentari del Monte Vivo,
ma non tutti del loro reparto e che, essendo Istruttori Regolamentari, similmente agli altri
Istruttori si comportavano. Molti operatori sanitari, sia medici che paramedici, sia del loro
reparto che di altri reparti, si ritrovava altrove , la sera, a seconda delle idee politiche
prevalenti.
“Ma perché questa distinzione tra aderenti a partiti politici diversi?” chiese una sera
Gelindo alla sua caposala E'kkime Sokquà ”proprio qui, almeno, non ci dovrebbe essere
distinzione...”.“Eh, Gelindo, ci abbiamo provato, ci abbiamo provato, ma abbiamo
dolorosamente constatato che non funziona,,,cioè funziona solo in apparenza...ci sono
troppe ideologie nella testa della gente anche quassù...e anche in quelli che dicono di non
avere alcuna ideologia che li orienta nel loro pensiero, nelle loro parole, nei loro
comportamenti...noi compresi, ovviamente...comunque, purtroppo, nonostante il nostro
impegno nella direzione del confronto non bellicoso...molti, quasi tutti gli operatori
dell'Ospedale, hanno preferito andare dove ci fosse da litigare continuamente”. Gelindo
ringraziò e tacque, pensieroso. Ma, dopo un po' chiese: “Ma perché sia io che Kalura
siamo stati da te invitati a venire proprio qui?”. Al che, E'kkime Sokquà rispose: “Beh, sai,
lo capisco subito se uno è tollerante, o meno. Tu lo sei sia per sangue che per formazione.
Kalura l'ho invitata qui perché mi piace il suo impegno, anche se di sangue è
un'intollerante”. “Ah...”fece Gelindo, e la storia finì lì.
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Questi Istruttori, questi operatori sanitari del reparto in cui Gelindo e Kalura svolgevano il
loro tirocinio, erano infatti tutti un po' delusi dai partiti politici cui, un tempo, avevano
aderito, delusi dall'intolleranza nei confronti di chi la pensa diversamente, partiti distribuiti
su tutto l'arco costituzionale, ed anche fuori dall'arco e, forse proprio per questo,
ascoltavano, parlavano solo se interpellati, mangiavano, ridevano, suonavano, danzavano
attorno ai saltuari falò, senza fare alcuna distinzione tra compagni di libagioni e le loro
idee, e giù confidenze, cantate, suonate, ballate...
In occasione di uno di questi raduni serali, Gelindo conobbe Julia Trojinos, cubana di La
Habana, omeopata ed odontoiatra, responsabile delle ventidue odontoiatrie presenti in
ospedale. Forse perché assomigliava un po' a Kalura, forse perché gli piaceva proprio di
suo, Gelindo le espose i suoi problemi odontoiatrici e Julia gli propose, dopo averlo
guardato bene in bocca alla luce del falò, di recarsi da lei, dato che tutti i denti di Gelindo
si potevano ancora salvare, cosa che lui fece regolarmente, chiedendo prima il permesso
ad E'kkime Sokquà di potersi allontanare dal reparto ogni tre giorni per tre settimane, per
un'oretta ogni volta.
Corsa, Arti Marziali, Cucina, Qualità del Cibo, Sessualità e prima Verifica
dell'Apprendimento
Un bella mattina, dopo qualche mese che stavano facendo servizio all’Ospedale,
incorniciato nella cornice della porta del dormitorio, stagliato contro il sole, alle cinque in
punto si presentò Energy: “Sveglia! Sveglia! Adesso facciamo cinque chilometri di corsa”.
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E tutti, anche se un po' troppo riempiti di cibo dalla sera prima, si attrezzarono
velocemente come meglio poterono.
Energy, comunque, aveva accesso libero al magazzino dove c’erano le tute, le scarpe, i
pantaloncini. Fornì a tutti l’abbigliamento giusto, se già non l’avevano, berrettino
compreso, e partirono in cinquanta a fare una corsa di cinque chilometri.
Alla fine della corsa, terreno facile, pianeggiante, di cinque chilometri: “Adesso potete fare
quello che volete. Oggi abbiamo cominciato a smuovere le endorfine ed anche, per chi ne
sia interessato, il testosterone”.
Al che, Gelindo ricordò rapidamente ciò che, al proposito, aveva letto di un luminare
mondiale della psiconeuroendocrinoimmunologia, e questa storia del testosterone,
ricordata da Energy, lo compiacque molto. Ma ci fu anche chi, alla fine della corsetta,
crollò miseramente al suolo, e fu anche necessario ricoverarlo per insufficienza acuta
cardiorespiratoria, proprio nell’Ospedale dove fino al giorno prima andava a prestare
servizio.
La maggior parte, invece: “Che bello! Che bello, anche domani!”.
Infatti, l’indomani mattina, si continuò. Finita la corsa mattutina, alcuni, come Kalura,
passavano la giornata girando nei prati e nei boschetti lì intorno, da soli o in compagnia,
mentre altri, invece, non molti per la verità, preferivano tornarsene in branda
tranquillamente, per farsi una dormitina, o anche per starsene lì, anche senza
addormentarsi, come Gelindo. Bastava la posizione distesa, a pancia sopra, sotto, di lato,
destra, sinistra, in contorsione yogica spontanea. Fatto sta che l’indomani mattina,
puntualmente alle cinque, Energy si ripresenta.
“Oggi otto chilometri”. Insomma, per farla breve, cinque chilometri, otto chilometri, dieci
chilometri, dodici chilometri, quindici chilometri, venti chilometri, venticinque chilometri,
trenta chilometri e, mano a mano che andavano avanti, crescevano sempre più i pazienti
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nell’Ospedale, perché sempre meno persone riuscivano a tenere il ritmo che Energy
imponeva come numero di chilometri.
Cresceva anche, oltre al provvidenziale dosaggio quotidiano di endorfine, il livello ematico
di testosterone. E fu per questo, molto probabilmente, che Gelindo crollò. Cosa se ne
faceva, Gelindo, di tutto quel testosterone, dato che non sapeva, o non poteva, utilizzarlo
nelle faccende di competenza del testosterone stesso? Aggressività, sforzo fisico intenso
e veloce, sessualità. Niente.
E in questi casi, la vendetta del testosterone non valorizzato è terribile: se ne va del tutto,
indispettito. E si porta dietro un’infinità di altri ormoni, neurormoni, immunoglobuline, e
tante altre sostanze chimiche che restano così disorientate che, alla fine, il risultato è
come essere investiti da un camion.
Succede anche alle donne, ma a loro un po’ meno, per via delle pari opportunità, dato che
le donne sono un po' più svantaggiate, in altri aspetti fisiologici, rispetto agli uomini. A
parte in altri ambiti, ma questo lo sanno tutti, comprese le donne stesse. Tant’è vero che,
per molte donne, diventare come gli uomini è la loro massima aspirazione. Ma questa è
un’altra storia, prospettata, come Gelindo ricordò bene, una volta riavutosi dal coma
cantando a squarciagola mentre si contemplava il piccolo pene che gli serviva solo a far
pipì, anche se questa funzione non è da poco: “E la chiamano invidiaaa...questa invidia,
senza téee...” musica di Bruno Martino e parole, un po' modificate ma ugualmente molto
significative ed aderenti al pensiero dell'autore del testo, che di nome fa Sigmund,
massone austriaco ed ebreo, nato cento vent'anni prima di Gelindo e morto quando
nemmeno suo padre Toni era nato.
Gelindo crollò miseramente ai sette chilometri. Il giorno che c’erano da fare gli otto
chilometri crollò miseramente ai sette chilometri ed Energy gli dovette fare il bocca a
bocca per poterlo rianimare. E poi passò un periodo di convalescenza veramente dura
presso quell’Ospedale, dopodiché lo misero a pelare patate in cucina. Invece Kalura
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teneva bene. Kalura teneva bene fino addirittura ad essere una delle migliori allieve che, in
certi momenti di scatto, riusciva a superare Energy che, compiaciuto, gridava ai quattro
venti: “Questa è un’allieva che supera il maestro!”.
La cosa finì dopo un mese di addestramento. I superstiti, praticamente, erano già tutti
pronti alla maratona di New York.
Per quelli che riuscirono a sopravvivere, una decina, questa storia finì lì.
A quel punto subentrò ad Energy un altro Istruttore, un Istruttore con un’espressione molto
dolce, però lo si vedeva molto energico, un uomo senza neanche un pelino di grasso,
totalmente asciutto, solo muscoloso, tutto perfetto che si muoveva in modo
armoniosissimo, con i capelli lunghi e lisci fin sulle spalle, i tratti del viso un po’ orientali e
femminili, che assomigliava a Chèniu Rìivs, che si scrive Keanu Reeves, non quello di
adesso, grasso grasso, ma quello ai tempi della parte di Buddha grande ne “Il piccolo
Buddha”.
E questo, che si chiamava Kata, cominciò ad addestrarli al Tai Ji Chuan.
Gelindo, che nel frattempo si era un po’ rimesso, ci provò con buona volontà, ma non
riuscì a stare su un piede solo, fin dal primo giorno. Ogni volta che doveva alzare una
gamba e stare su un piede solo cadeva miseramente a terra, per cui venne scartato e
affidato definitivamente alle cucine.
Invece Kalura ce la fece bene a superare anche questa storia del Tai Ji Chuan . E oltre a
questa tecnica, cominciò con gradualità ad arrivare un qualcos’altro che aveva a che fare
con una cosa che loro avevano praticato, ma senza tanta convinzione, per un periodo
breve, nella loro città. D’altronde, a Rovigo non è che ci fossero tante iniziative, ma c’era
una palestra di Yoga, dove avevano imparato a respirare con la pancia.
Ogni mattina Kata, assolutamente diritto, in un attimo, pam, si metteva giù seduto: un
momento prima era in piedi e un momento dopo era seduto nella posizione del loto
completo. Avrebbe potuto mettere le gambe dove voleva. Si metteva giù seduto con la
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schiena perfettamente diritta…e, per tre mesi, Hata Yoga. Insegnò loro tutte le asanas,
cioè le posizioni previste dall’Hata Yoga, fino ad arrivare al Raja Yoga.
Gli allievi di Kata, a quel punto, erano rimasti in sei. E lui alternava settimane di Tai Chi a
settimane a settimane di Yoga, a settimane di Taekwondo, laddove il nome “Kata” si
identifica con le varie mosse da fare, senza dare la benché minima confidenza a nessuno,
e Kalura un po’ ne soffriva.
Nel frattempo Gelindo, ogni tanto, con il suo grembiulino si affacciava dalla cucina, e
guardava nelle stanze attorno. In un ufficio attiguo, notò che non si ricordava più tanto
bene come funzionavano quei certi marchingegni che c’erano lì dentro, quei computer di
cui era stato tanto esperto. Quanto tempo...quanto tempo era passato? Non lo sapeva più,
e forse avrebbe dovuto chiederlo a Kalura. Lei forse, anzi certamente, lo sapeva.
In compenso, Gelindo cominciava ad imparare a distinguere i vari tipi di patate e di altri
ortaggi e le tecniche che potevano essere usate per tagliarli o per pelarli. E aveva capito
che, per esempio, le carote potevano essere tagliate a tre per volta con dei colpetti
rapidissimi: tic, tic, tic...Si faceva molto più velocemente che non tagliarle una per volta.
Imparò tecniche di questo genere, che erano importantissime, sotto l’occhio esperto di
Banza Panza, una giamaicana ridanciana, mammona da centocinquanta chili. Marco il
“Pot”, ma senza il “Pol” davanti, assieme alla sua morosa Giuliana, dal momento che
anche loro due lavoravano in cucina e addirittura Marco era il titolare sostituto di Banza
Panza quando questa andava ad insegnare il reggae a Koi Nahìm, avevano suggerito
alcuni accorgimenti culinari a Gelindo che, tutto felice, aveva cominciato a sperimentarli la
sera stessa. Ad esempio le carote fatte a fiammiferino. Le carote fatte a fiammiferino, cioè
dei fili arancioni di carota.
Gelindo era diventato abilissimo in quelle cose lì. Aveva individuato tutti i tipi di coltello
giusti.
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Ma, contemporaneamente, non si ricordava quasi più niente di elettronica, dei computer,
faceva confusione sulle cose che sapeva
pur essendo laureato in Bioingegneria e
laureando in Ingegneria Informatica.
Ma lì, per la prima volta in vita sua, poteva apprezzare gli ortaggi e la frutta che lui,
probabilmente, non aveva non solo mai mangiato, ma nemmeno visto, in vita sua. Non
conosceva assolutamente queste creature vegetali, se non per aver studiato la materia sui
libri. Comunque era stipendiato, cioè mantenuto lì per vitto e alloggio gratuito, in cambio
del suo lavoro in cucina. Anche per creare nuove combinazioni culinarie vegetali che non
fossero sempre le stesse. E, in questo, gli fu di molto aiuto una signora di nome Laurel,
rossa rossa di capelli e gli occhi azzurri azzurri, sicuramente di sangue blu scozzese.
Laurel spesso, molto spesso, con incazzata dolcezza faceva delle prediche intelligenti ed
inconfutabili a tutti quelli che incontrava sui cinque Monti, a Gelindo e Kalura compresi, ma
soprattutto a Koi Nahìm, sul cibo schifoso che veniva consumato sui cinque Monti. Era, a
volte, in compagnia di un signore magro, elegantissimo, inodore, sia vestito tutto di nero,
com'era sua preferenza, sia con colori vivaci, con un iPad retinato ed un iPhone 7, di
prossima generazione sempre in mano, la stessa mano. Una sorta di newyorkese con
vampate mistiche, abitante a cento metri da Wall Street e ad altri cento da Assisi,
residente a Dharamsala, ma sicuramente siciliano d' antenati, che poteva essere un
giornalista indipendente e mordace, anzi, Gelindo e Kalura vennero a sapere da quel
pettegolone di Energy, sempre di corsa, che quel tizio magro, quando ne aveva sia il
tempo che la voglia, oltre a starsene con Laurel a bere tisane allo zenzero e al
cardamomo e a farsi con lei qualche passeggiatina o una dormitina, era tuttora un
giornalista molto bravo, esperto in giornali on line. Il suo nome era Courage Nick Mud e il
giornale da lui diretto, lassù, si chiamava “Cinque Monti News”, giornale letto più dai
padovani, lì sotto, che non dagli abitanti stabili o passeggeri su quei Monti. Solo Koi
Nahìm, Ian Ròsslyn, Grugno Snasuplòun e Mansueto Omobono, dei residenti sui Monti, lo
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leggevano quotidianamente. D'altronde lui, il Direttore del giornale on line, lo sapeva
benissimo dove il suo giornale veniva letto, visto che possedeva un marchingegno che gli
permetteva di vedere, attraverso lucine che si accendevano e spegnevano sul desktop
dell' iPad, chi stava leggendo qualcosa di quello che lui, quotidianamente, andava
mettendo in rete.
Energy, sempre correndo, aveva anche detto che quel giornalista era un amico, di vecchia
data, di Koi Nahìm, e che anche ogni tanto litigavano fra loro, ma poi si mettevano sempre
il cuore in pace e non si incazzavano di brutto vicendevolmente, come un tempo già
avevano fatto e scioccamente, a detta di ambedue, per poi pentirsene con rammarico
quasi subito.
Gelindo, pian piano, andava accorgendosi che, tutto sommato, sapere tutto di come si
pela e poi si taglia una carota in vari modi, in modo diagonale, oppure a fiammiferini,
oppure a cerchietti, era per lui molto più soddisfacente in quel momento, lo faceva sentire
più a presa diretta con la vita, che non sapere tutto dei microprocessori. Anzi, questa
parola stessa, “microprocessori”, non sapeva più che cosa volesse dire.
Kalura, invece, teneva dietro bene all’addestramento e si sentiva sempre più vitale,
sentiva dentro di lei le sue cellule sempre più desiderose di vivere, il suo corpo sempre più
desideroso di esserci e ben presente, nella sua forma materiale e sostanza.
Aveva anche adocchiato un norvegese di nome Jorg, particolarmente prestante, bello
davvero, almeno come aspetto esteriore.
Gelindo era un po’ geloso, ma nemmeno tanto, perché era tutto concentrato sul cercare di
capire quali fossero i coltelli giusti per le varie verdure che doveva tagliare.
Kalura, soprattutto negli intervalli dell’addestramento delle lezioni di Yoga, andava col
norvegese dentro un boschetto e, a volte, non si presentava alla lezione se non nel tardo
pomeriggio, nell’indifferenza più totale da parte di Kata, che si limitava a sorridere
guardando Jorg.
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Quella era una cosa che nessuno tra gli Istruttori considerava una mancanza da
rimproverare. Se delle persone si allontanavano perché veniva loro, improvvisamente,
voglia di far l’amore con un altro, con un’altra, dicevano: “Bene, fa parte
dell’addestramento, è parte del vostro percorso di conoscenza, quassù, ed è sufficiente
che siate tutti due d'accordo e che prendiate i dovuti accorgimenti”.
E allora, chi per una strada, chi per un’altra, tutti e due andavano scoprendo, per la
prima volta in vita loro, la bellezza, la potenza, la semplicità che ha la vita, e tutti e
due a modo proprio. Gelindo, attraverso il contatto con queste creature vegetali con
cui aveva a che fare ogni giorno, anche se continuava ad andare in bianco già da
quasi due anni, cosa che, in definitiva, poco gli importava.
Kalura, attraverso questa rinnovata vitalità finalmente libera di esprimersi, perché
col marito che aveva, che era sempre in giro per il mondo a combinare degli affari a
livello internazionale, o era in consiglio comunale, non poteva esprimersi molto e
andava scoprendo, di giorno in giorno, quanto salutare fosse per lei la sessualità.
Lì, qualche norvegese tipo Jorg, ma anche senza Jorg, uno che le piacesse e che ci
stesse, certamente lo poteva sempre trovare. Magari proprio Kata.
Ma il norvegese...era un personaggio veramente interessante, con una sua storia tutta
particolare, come tutti, del resto, ma a differenza di molti, troppi per i gusti di Kalura, il
norvegese era ben consapevole della sua enorme, anche se poco vigile, vitalità sessuale.
Così continuava ad essere attratta dal norvegese, dato che lui, per come lei lo sentiva, era
decisamente orientato a voler vivere. Fatto sta che, a un certo punto, non si sa bene se lo
stesso giorno o in giorni diversi, sia Gelindo che Kalura, vennero convocati da un gruppo
di esperti Istruttori che li osservarono, li toccarono e chiesero loro come stavano.
E anche Gelindo, pur non avendo fatto moltissimo esercizio fisico, avendo fatto quello che
lui era in grado di fare, poté documentare che lui in effetti non ricordava più tanto bene
tutte le cose che sapeva prima di tecnologia, di elettronica, di biologia, ma che invece
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aveva cominciato ad innamorarsi dei vari tipi di carote che c’erano, perché ce ne sono di
vari tipi: le carote più lunghe, più fini, più grosse, dritte, storte, rotonde.
E poi si sentiva bene perché aveva imparato come si fa a tagliarle a pezzettini e come
questo sia bello, perché poi anche le carote non hanno tutte lo stesso odore, come gli
esseri umani, né lo stesso identico sapore, quando le si cucina. E riuscì, nella più
rispettosa attenzione degli Istruttori, a descriverne le diverse forme e come una carota sia
fatta esattamente dentro, e gli odori diversi che emanano dalle sue varie parti, a partire dal
ciuffo verde, fino ad arrivare alla codina. E questo gli permise di superare l’esame.
Disse Gufo Bianco, a nome anche di tutti gli altri: “Bene, hai superato l’esame”.
Invece Kalura arrivò lì bella, scattante, abbronzata, felice, soddisfatta, con un’aria beata.
Non ci fu bisogno di farle neanche una domanda. Bastò guardarla e Gufo Bianco disse:
“Sì, hai già passato la tua prova”.
“Ma che cosa ci dite adesso della vostra esperienza che avete fatto nell’Ospedale?” saettò
all’improvviso Kata.
“Lì abbiamo imparato che la vita è importante viverla finché abbiamo un corpo e viverla
pienamente, ognuno di noi secondo le proprie possibilità...perché poi, quando si diventa
anziani, soprattutto se si è ammalati, questa possibilità non c’è più...e forse la maggior
parte delle persone che abbiamo visto lì in Ospedale non era partita di casa con
l’intenzione di fare una ricerca, avevano vissuto così tutta la loro vita, molto
inconsapevolmente...”, disse Gelindo, con sicurezza.
“Inconsapevolmente? Come ti permetti?” tuonò Banza Panza, la giamaicana della cucina.
”Ehm...no, volevo dire...sì, insomma” farfugliò Gelindo tossicchiando e facendosi piccolo
piccolo “volevo dire che...non avevano fatto per niente questa ricerca”.
Al che, uno sguardo fulminante di Mansueto Omobono gli fece cambiare velocemente
rotta.
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“Si, no, cioè, volevo solo dire che erano molto soli, molto disperati, avevano molti rimpianti,
avevano molte nostalgie e alcuni avevano delle speranze per il futuro...e io così ho capito
una cosa, che la malattia più profonda da cui dobbiamo guarire è la nostalgia...e
l’altra malattia da cui dobbiamo guarire è la speranza.” Gelindo, finalmente, riprese a
parlare con un tono di voce da uomo adulto, nonostante Mansueto, a questa sua ultima
uscita sulla speranza, lo stesse guardando torvamente “Ci hanno sempre insegnato che
la speranza è una grande virtù. No, la speranza è andare con la mente in un futuro
che non esiste perché la vita è ora, qui...per di più, la speranza sottintende, quasi
sempre, un futuro intervento provvidenziale per noi, ma forse nocivo per altri e non
è affatto detto che ciò in cui si spera si avveri...si rischia così una grande
delusione...anche se è molto umano coltivare la speranza, lo ammetto, ma
aggrapparsi ad essa no, non va bene contare sulla speranza, come molti fanno...ma,
a parte quello che fanno gli altri, ora per me è più importante coltivare il rispetto, sia
nei confronti di me stesso che di tutti gli esseri viventi ed anche apparentemente
non viventi. Così mi sento più responsabilizzato, di fronte alla mia stessa coscienza,
momento dopo momento”.
”E la superbia? La superbia che hai ancora non è forse la peggiore delle malattie che tu
hai?” sibilò nuovamente Kata.
Al che, Gelindo, stava cercando una risposta giusta, giusta sia per la sua propria sincerità,
sia per il gradimento da parte di quel serpente di Kata. Ma stava andando troppo per le
lunghe...
”Dunque?”,“Certo, hai ragione...la mia vita è nelle carote”, concluse Gelindo.
E Kalura: “La mia vita è nello stare nel boschetto con Jorg”.
“Bene, adesso avrete un’ultima prova...ci sarà un ultimissimo colloquio...se va bene,
potrete andare oltre, volendo continuare, beninteso”, disse Mansueto Omobono,
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aggiungendo: “Anche se questa storia della speranza non mi convince tanto...ci devo
pensare un po'”.
Erano rimasti in pochini. A quel punto erano rimasti solo in sei, come già detto. Furono
suddivisi in coppie, Gelindo con una di Berlino che si chiamava Angela, come la Merkel,
ma questa di cognome faceva Guttfigh, e che lui si stupì di non aver mai notato fino a quel
momento, perché era proprio bella e anche molto sensuale. Kalura in coppia con Jorg
Noosfadentro, di Oslo. Un certo Louis Spacamaroni, di origini italiane, ma francese di
Parigi, con una bosniaca di Sarajevo, Mìlena Mattànzjevic.
Furono accompagnati in un posto che loro subito riconobbero essere il Cimitero.
Il Cimitero, la Cella Mortuaria ed una Meditatio Mortis
Chi li accompagnava era un signore anziano, molto serio, ma allo stesso tempo, nella sua
serietà, con degli occhi buoni, che a tratti guizzavano di furbizia ironica tendente alla
ricerca della complicità dell'interlocutore, il volto arrossato, quasi bronzeo e pieno di rughe,
come un vecchio marinaio, con una voce dolcissima, scarponi ben lucidati, pantaloni verdi
di velluto a righe, camicia bianca, bretelle rosse, farfallino verde a pois gialli, barba e baffi
bianchi ben curati, un po’ tanto di pancia e l’incedere lento.
Indicò con un ampio gesto il Cimitero: “Anzitutto non fatemi parlare troppo, visto che è già
tanto che io sia qui a dirvi queste cose che sto per dirvi...quindi, plìis, donlèt mi kèssions,
uèder iù làik or not...ops...scusate...stavo ancora pensando al mio amico Iugìn, che si
scrive Eugene, che è il mio amico preferito di moto e macchine antiche...ogni tanto mi
viene anche a trovare e se n'è appena ritornato a Londra...dunque, cosa vi stavo
dicendo?...ah...sì, ecco, in italiano...per favore, non fatemi domande, sia che la cosa vi
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piaccia o meno...ma cosa vi voglio dire ora?...aspettate...mmmh...dunque, ecco qua: non
potrete utilizzare bene veramente la vostra vita, finché non guarderete bene in
faccia la morte”. Disse questo stiracchiandosi un po' indietro con il busto, facendo leva
con le mani appoggiate a dita larghe in corrispondenza della cresta iliaca, scomparsa
sotto la cuticola spessissima di grasso, specificando bene che soffriva di mal di schiena.
“E questo non per cercare di reagire contro la morte...non per sentirsi superiori alla
morte...non per darle contro...tanto, sapete, prima o poi vince la partita lei, la morte,
né, tanto meno, per esserne poi ossessionati….ehi, tu, Louis Spacamaroni con
l'accento acuto sulla o, per questa volta...smettila di toccarti le palle...ma perché capirete
quanto sia importante poter vivere pienamente tutto quello che vi è dato di vivere e
celebrare la vita in ogni momento...vedete tutte queste tombe?...di pietra grezza,
con un simbolo religioso scolpito sopra, a volte nemmeno quello, e sotto cosa
c'è?...ecco, lo scoprirete da soli quando sarà il vostro turno...”.
Scese a quel punto un silenzio d'attesa che durò almeno un quarto d'ora.
“Pensate un po' che io, solo da vecchio vecchio...come, d'altronde, è successo a Koi
Nahìm...me ne sono reso pienamente conto...solo se celebrerete la vita in ogni
momento, solo se in ogni momento la vita sarà piena di significato per voi, solo
allora, quando ciò che resterà del vostro corpo sarà lì sotto, e voi nella vostra
essenza sarete altrove, solo così non ci sarà nessun rimpianto, nessun rimpianto...
perché non vi sia nessun rimpianto nel momento della morte, farete il possibile per
vivere pienamente la vostra vita...ma adesso dovete guardare bene che cos’è la
morte”. In fondo al Cimitero c’era una costruzione bassa, squadrata, di marmo grigio. Lì
dentro, ognuno disteso sul suo tavolo di marmo bianco, almeno una ventina di cadaveri,
chi nudi, chi vestiti, donne, uomini...Tutti in attesa di sepoltura o di cremazione, a seconda
delle scelte che queste persone, da vive, o chi per loro, avevano fatto. C’era anche il
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cadavere di un bambino. C’erano due cadaveri di persone giovani e gli altri erano anziani.
Tutti provenivano dall’Ospedale.
E la prova da superare consisteva in questo: “Adesso state qui, in questa stanza
che...per chi di voi non l'avesse ancora capito...è la cosiddetta Cella Mortuaria, con
le iniziali maiuscole, per favore...vi sedete e osservate questi venti corpi
continuativamente per tre giorni, senza dormire...badate bene che ci sarà qualcuno
che verificherà se vi addormentate o meno e, se dormite, vi sveglierà... guardate
questi venti corpi: non sono più vivi...voi invece avete ancora il corpo
vivo...guardateli bene”. E accese, premendo un tasto replay regolato all'infinito, i
Carmina Burana, in tutte le loro versioni. E sia Gelindo che Kalura si misero lì, con gli altri,
seduti a guardare e ad ascoltare quella musica così allegra.
Avevano già imparato bene come si stia seduti in una posizione meditativa, e per tre giorni
e tre notti stettero lì, con un freddo boia, facendo ogni tanto i loro bisogni, a turno con gli
altri quattro, in un cesso lì dietro, bevendo un tè leggero, ma non riuscirono mai a vedere
chi fornisse loro il vettovagliamento, e sbocconcellando, anche se di mala voglia, due
biscottini ogni sei ore, a guardare questi venti corpi, ognuno disteso, a pancia in su, su
tavoli di marmo, da obitorio, ed ognuno con una sigla particolare, scritta su di un
cartoncino legato all'alluce destro con una cordicella. Due o tre non avevano più alcun
alluce, né piede, ma qualcosa a cui legare il cartellino, bene o male ce l'avevano ancora
tutti. Alla fine dei tre giorni, qualcosa dentro di loro era cambiato.
Anzitutto avevano scoperto, al di là dell’iniziale orrore, paura, per Kalura era
addirittura la prima volta che vedeva un cadavere, mentre Gelindo aveva già avuto
occasione di vedere una zia anziana morta a casa, ma venti cadaveri tutti assieme,
alcuni dei quali completamente nudi, alla luce soffusa di una batteria di neon blu,
era la prima volta che li vedevano anche gli altri quattro, persino Mìlena
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Mattanzjevic, la bosniaca, che fortunosamente era riuscita ad andarsene da
Sarajevo prima del macello.
Il corpo nudo di un morto ridotto all’essenziale. E non poterono non vedere se
stessi in quegli esseri lì, morti.
E sia pure con tempi leggermente diversi, sia Gelindo che Kalura realizzarono: “Ma quelli
siamo noi. Quella è la nostra evoluzione naturale e allora, a maggior ragione, non c’è da
buttare via il nostro tempo in stupidaggini. Indirizziamo la nostra vita finché siamo vivi nella
direzione della celebrazione della vita”.
Il terzo giorno ritornò l’Istruttore anziano che si faceva chiamare Friz, anche se il suo vero
nome era Qualcuno Due, per distinguerlo dal Qualcuno Uno, che Gelindo e Kalura
avevano incontrato in città. Friz dichiarò solennemente di essere allergico ai nomi che non
fossero molto comuni. Si fece raccontare la loro esperienza, ascoltando attentamente uno
per uno, gli occhi ben fermi negli occhi di chi parlava.
Poi se ne stette in silenzio, lo sguardo fisso su un punto lontano, all’infinito, per una buona
mezz’ora e infine uno sbadiglio appena accennato: “Adesso siete pronti...potete
proseguire, a meno che non desideriate rimanere qui...potete anche rimanere qui...e se
rimanete, potete specializzarvi nelle cose che avete visto qui...ora siete perfettamente
sani, non avete nessun disturbo”.
Gelindo aveva anche messo su un po’ di muscoli. Era stato, anni prima, addirittura
mandato via dal servizio militare perché aveva avuto un esaurimento nervoso, forse
perché i Lagunari sono impegnati in addestramenti duri, nonostante lui fosse un
Caporalmaggiore Aiutante di Sanità, che lo avevano fatto dimagrire tantissimo.
Kalura si era equilibrata nei suoi sbalzi umorali che aveva spesso. Era riuscita a diventare
molto più stabile nelle sue oscillazioni di euforia e di depressione di cui soffriva prima.
“Il corpo è il luogo concreto dell’incontro tra esseri umani” ricominciò Friz/Qualcuno
Due. “Questo è un aspetto di solito trascurato nelle nostre riflessioni, ma è proprio
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attraverso il corpo che noi sperimentiamo, quando siamo in relazione con l’altro, un
insieme di sensazioni che possono andare nella direzione della vicinanza oppure
dell’allontanamento...e tutto questo è dovuto ovviamente a meccanismi della nostra
mente che ci fanno apparire qualcuno particolarmente vicino, qualcun altro più
lontano, qualcuno simpatico, qualcuno antipatico...aspettate un momento, per
favore...sono un po' stanco di parlare...” disse Friz, mentre i suoi sei allievi lo guardavano
con grande rispetto, mentre lui se ne stette in silenzio, ad occhi chiusi, per un buon quarto
d'ora. “Ecco...grazie per la pausa...dicevo, volevo dire che, quando ci troviamo a
contatto con una persona che sta per morire, l’impatto è anzitutto con il corpo:
sentiamo una differenza, un’asimmetria...percepiamo la lontananza delle nostre
corporeità: sentiamo che dentro di noi la vita sta continuando a scorrere, che il
nostro corpo sta volendo ancora vivere, ed è vivo, mentre abbiamo di fronte a noi
un corpo che sta morendo...questa percezione di diversità induce una scelta, che in
genere facciamo molto rapidamente, tra lo scappare da quella situazione o
recuperare questa prima impressione di dualità dentro una visione che ci consenta,
viceversa, di sentire come il nostro corpo così pieno di vita, e quel corpo ormai così
infiltrato dalla morte, siano un tutt’uno...” burp!!!..e Friz emise un ruttino...”se la
nostra scelta è di vicinanza a chi sta morendo va tenuta ben presente l’importanza
che ha il corpo di chi ci sta lasciando...un corpo devastato dalla sofferenza può
suscitare una forte paura, può dare fastidio, può allontanare, può provocare
repulsione, ma se noi abbiamo fatto nostra la decisione di restare accanto al
morente,
ecco
che
cominciamo
finalmente
a
guardarlo,
e
lo
guardiamo
silenziosamente. SI-LEN-ZIO-SA-MEN-TE !!! Avete capito, brutti lazzaroni?” Friz
sembrava impazzito, ma nessuno dei sei ci fece caso “Se riusciamo ad essere solo un
po’ meditativi, se riusciamo ad essere presenti nella situazione senza la smania di
voler fare delle cose a tutti i costi, guardando bene ciò che sta succedendo a questo
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corpo, per poi portare l’attenzione al nostro...di corpo, riusciremo a cogliere, forse
per la prima volta, quale sia la sua vera natura...riconosciamo quel corpo e, al tempo
stesso, riconosciamo la traiettoria evolutiva altissimamente probabile del nostro
corpo...ritorniamo all’unità e comprendiamo che il nostro corpo e quel corpo sono
fatti della stessa natura... scopriamo così, per la prima o per l’ennesima volta, che
anche noi moriremo...se riusciamo a guardare bene, dritta negli occhi, la sofferenza
di chi stiamo accompagnando a lasciare il corpo, possiamo scoprire che la
sostanza di quella sofferenza, che magari in quel caso è prevalentemente attinente
al corpo fisico, ha spesso molto a che fare con sofferenze di tipo psicologico che
noi tutti proviamo...pensiamo al profondo disagio, cocente in ogni persona che sta
morendo, per non aver concluso nella sua vita tutto quello che pensava fosse suo
compito portare a compimento...sapete, non ho mai visto una persona morire
serenamente se non aveva la percezione precisa di aver portato a compimento
qualcosa di veramente importante per lui o per lei...di fronte a chi sta morendo
possiamo avvertire con molta precisione come sia anche nostro il desiderio di
concludere la nostra vita avendo la sensazione di aver portato a termine il nostro
compito e di aver fatto tutto il possibile per lasciare le cose a posto...il contatto con
la morte ha il pregio di mostrarci ciò che veramente conta nella vita...e scopriamo
invariabilmente che quello che conta è l’armonia, l’amore soprattutto nei confronti
dei familiari e degli amici...alcuni, proprio attraverso l’esperienza di vicinanza a
morenti, esattamente come accade ad alcuni morenti, scoprono in quell’occasione,
e non in altre, la dimensione della ricerca spirituale...è un’occasione cruciale per
rendersi conto che non c’è tanto da rimandare...la morte è certa, il momento della
morte è incerto...perché, allora, non cominciare da subito a praticare qualcosa che
abbia a che vedere con la possibilità per noi di giungere in punto di morte quanto
più sereni possibile, e avendo, quanto più possibile, seminato nella nostra vita
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serenità e felicità attorno a noi?...ciò che, in presenza della persona che sta
morendo, dovremmo favorire è, a un certo punto, aiutare questa persona a lasciarsi
andare...ma come potremo fare questo se già non avremo dentro di noi accettato
che la morte è un passaggio?...come potremo aiutare un’altra persona a lasciarsi
andare, se noi stessi, mai, avremo sperimentato il lasciarci andare alla vita?...il
lasciarci andare alla morte non è altro che un lasciarsi andare a un aspetto
particolare della vita...quando noi siamo nati, quando siamo usciti dalla pancia della
mamma, ricordiamocelo sempre, il feto è morto perché potesse nascere un
neonato...siamo già morti, abbiamo cambiato completamente fisiologia...immaginate
tutto quello che abbiamo passato dal momento delle prime contrazioni uterine fino a
quando hanno tagliato il cordone ombelicale...pensate a tutte le varie fasi del
passaggio attraverso il canale del parto...quante ne abbiamo già passate!...ma
soprattutto dobbiamo riflettere sul fatto che, quando siamo fuori, col cordone
ombelicale tagliato, il feto è certamente morto, ma noi siamo sempre noi...la morte,
quella che noi chiamiamo morte, quella così terrificante, rappresentata con un
mantello nero e la falce sulla spalla, sono propenso a vederla come un’ostetrica che
ci aiuta a passare in un’altra dimensione di vita, ma sempre di vita si tratta...anche
nel cosiddetto “aldilà”...ci sarà sempre vita...sotto forme diverse da quelle che
conosciamo ora, ma la vita ci sarà sempre...come da sempre c’è stata...la nera
signora con la falce è una metafora e, al fine di capirci, la accetto, anche se a
malincuore...ma la morte, la morte e soprattutto l’aldilà, cosa sono, dove sono?
...veramente esistono, o sono solo illusione?...mi ritrovo a essere più a mio agio,
anche se la cosa un po’ mi spaventa, a parlare di rapporto con un morente o con un
cadavere, corpo concreto, piuttosto che di ipotetiche e metafisiche dimensioni...ora,
però, voi state bene, siete vivi e avete un corpo sano...mi sono dilungato forse un po'
troppo sulla morte e sui morti... con persone giovani come voi...sapete anche che abbiamo
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fatto degli esami, un ceccàp completo poco tempo fa e risultate perfettamente sani, avete
dei corpi efficienti...certo, tu Gelindo non sei portato per fare degli sforzi eccessivi, ma il
tuo corpo va benissimo lo stesso...tu Kalura sei piena di energia e potresti benissimo
manifestarti anche in attività sportive...siete tutti e due sani”.
E un discorso simile lo fece anche agli altri quattro rimasti, ad uno per uno.
“Adesso avete la possibilità o di rimanere qui e continuare a stare qui e fare quello che
avete visto che si fa qui, oppure avete la possibilità di tornarvene in città, perché questa
possibilità ce l’avete sempre, in ogni momento, basta che torniate alla reception, lo diciate
a…come si chiamano...sempre questi nomi strani...ah sì...a Grugno Snauplòun o a Sybil
Ciacerona, che vi daranno le chiavi della vostra macchina e potrete tornarvene in città,
oppure, se lo desiderate, proseguirete il viaggio”.
Nessuno di loro ebbe il minimo dubbio, e tutti sei decisero di continuare il viaggio perché
dentro di loro c’era proprio la spinta a voler conoscere quanto più possibile se stessi e
avevano capito che quel qualcosa che si chiamava “ricerca spirituale” non era nient’altro
che un trovare, attraverso situazioni proposte dalla vita stessa, sempre nuovi aspetti di sé.
Lì avevano imparato a rispettare la vita, a riconoscere la preziosità della vita,
proprio attraverso il contatto con la vecchiaia, con la sofferenza e con la morte. Con
la morte, osservando il cadavere dell’essere umano.
Nel frattempo avevano già cominciato a leggere dei libri, perché c’era una parte della
giornata dedicata allo studio e le persone venivano invitate a leggere, a documentarsi, a
lasciar perdere con cose inutili da consultare o da studiare. Ma questi libri non avevano
niente a che fare con conoscenze antiche, con maestri moderni, niente rivelazioni
strabilianti, ma avevano a che fare, invece, con qualcosa che raccontava della vita in
modo molto simile a quello in cui si parla quando si parla comunemente per la strada con
qualcuno, senza scadere nei pettegolezzi o nell'ossessività di qualche argomento, sempre
lo stesso. Solo romanzi, non raccolte di lezioni, niente saggi, ma solo romanzi,
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appunto, nei quali tutto fosse centrato sui vari modi da adottare per manifestare a
tutti la riconoscenza per l'essere vivi e sufficientemente sani di anima, di corpo e di
psiche. Semplicemente questo.
Diagnosi e terapie non convenzionali, ma antichissime arti
Avevano anche imparato, stando lì su quel Monte, le basi dell'Astrologia, materia che, in
tutte le sue sottodiramazioni, aveva come Istruttore Regolamentare un certo Letzer Platz,
da tutti chiamato, amabilmente, Elle Pi, veneziano-carnico, architetto disegnatore raffinato,
di professione portinaio il cui nome, in tedesco, significa “Ultimo posto”. Elle Pi Conosceva
molto bene anche i tarocchi, ma non ne era Istruttore Regolamentare. Il posto era vacante,
per sovrabbondanza, lassù, di esperti.
Poi c'erano stati dei corsi, dei week-end, che venivano tenuti da esperti in Digitopressione,
Shiatzu, Reiki, con due Istruttori Complementari non di ruolo, Julie e Angel, lei sempre
attenta a tutto, con la commozione facile e la parola diretta, e lui centrato su se stesso,
silenzioso, impassibile, con le mani aperte per l' ecografia astrale, che era piaciuto molto a
Gelindo, mentre Kalura si era innamorata, a colpo, di Julie.
Poi: Chiropratica e Chinesiologia, e Gelindo si era divertito molto in quell’occasione,
perché l’Istruttore Regolamentare, di nome Scarabeo Sonno Sudato, era un tipo con una
logica basata sul dubbio perenne, sulla totale demolizione della certezza di qualsiasi cosa
non fosse l'incertezza stessa, sull’insanabile contraddizione tra il possibile e l’impossibile,
a tutto favore della contraddizione, solo apparente, tra il probabile e l’improbabile.
Scarabeo Sonno Sudato teneva anche periodicamente dei corsi in cui insegnava a
dubitare delle affermazioni fatte da qualsiasi Istruttore, regolamentare o meno, sostenesse
che la sua tecnica era infallibile e superiore alle altre. Così tutti gli allievi, pian piano,
cominciavano a diffidare di chi proclamasse miracoli e di chi parlasse male di altre
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tecniche, sia terapeutiche che alimentari ed altro. Ovviamente questi corsi tenuti da
Scarabeo Sonno Sudato erano molto osteggiati da altri Istruttori, ma Scarabeo Sonno
Sudato, dopo essersi consultato con Koi Nahìm, aveva deciso di ignorare tutte le critiche
che gli venivano mosse e ne parlava tranquillamente in gruppo.
Poi c'era un certo Tizione, un omone selvatico, generoso, dolce e gentilissimo con le
sopracciglia bianche e folte, una gran barba bianca, i capelli lunghi e scarmigliati fino alle
spalle, che teneva corsi di Radionica, per l'azione a distanza sia in senso semplicemente
protettivo, sia curativo da infestazioni di varia natura, sia fatture che malocchi, ma che
poteva anche essere usata in senso esattamente contrario. Questo uso malefico della
Radionica, Tizione lo aborriva, ma era a conoscenza di alcuni suoi colleghi che
campavano lussuosamente proprio di questo, cioè per mandare nelle persone, a distanza,
guai sia fisici che mentali di ogni tipo. Tizione era partito dalla Rabdomanzia che, nei suoi
corsi, insegnava tuttora.
Poi c'era Fabius, un toscanaccio settantasettenne che dimostrava almeno trenta anni di
meno e che aveva appreso i primi rudimenti della diagnosi e della terapia da suo padre, un
guaritore di campagna, ed era successivamente passato, con le sue ricerche, attraverso
tutti, o quasi, i tipi di diagnosi e di terapia.
Era molto generoso, generoso a causa del suo cognome che, per uno scherzo del
Destino, era proprio Providence.
Girava per l'Italia in un mucchio di posti dove guadagnava un sacco, tanto da mantenere,
attualmente, almeno venti persone e, in passato, almeno un centinaio tra le quali, anche,
Koi Nahìm in persona, quando quest'ultimo aveva ancora a che fare con il mondo
cosiddetto normale, ma per una serie di disavventure, che Sibyl Ciacerona omise all'inizio
di raccontare a Kalura, mentre in seguito glielo raccontò assieme a tutto il resto, si era
trovato senza una lira in tasca, con una moglie e una figlia da mantenere. Insomma,
Fabius Providence provvedeva a tutto ciò a cui era in grado di provvedere, sia con
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assegni, che con euro cash. Oltre ai vari Istruttori fin qui citati, Fabius Providence non era
un Istruttore Regolamentare, ma se arrivava lì, ed arrivava sempre senza preavviso,
aveva il via libera da parte di tutti per contattare Koi Nahìm, in qualsiasi Monte questi si
trovasse e, già che si trovava lì, teneva qualche corso.
Gelindo e Kalura avevano anche imparato a conoscere le proprietà delle piante con una
certa Lucrezia che, con un nome così, faceva venire in mente la Borgia, che di veleni se
ne intendeva un pochino, ma non così tanto come comunemente si crede. Di tutto ciò,
viceversa, il Papa Alessandro Sesto, suo padre, era un raffinatissimo maestro ed aveva
insegnato tutte le sue arti, oltre che amorose anche assassine, al suo figlio prediletto,
fratello maggiore di Lucrezia, grande esperto in strangolamenti con l'aiuto determinante di
un suo servo, mentre questa Lucrezia del Monte Vivo era un'esperta solo di quelle
sostanze chimiche che si estraggono da certe piante, di cui lei insegnava le proprietà, solo
curative, anche all’Università.
C’era stato persino un corso di Floriterapia, sempre con Lucrezia, sui fiori di Bach,
beninteso Edward, medico inglese, non Richard, quello americano de “Il gabbiano
Jonathan Livingstone” e “Illusioni”, testo, quest'ultimo, obbligatorio da studiarsi per bene
prima di ogni corso venisse tenuto sui Monti, un corso di floriterapia, dunque, sui fiori
californiani, alaskiani, italiani, francesi, sardi, australiani, hawaiani. Con Lucrezia, a venti
metri di distanza, vestito impeccabilmente di nero da capo a piedi, c'era un certo Frank
Baz, assieme a sua moglie Dony, che mentre scriveva su un computer portatile della
Apple i fondamentali di antichissime Scienze Iniziatiche, incomprensibili ai più , con un
programma che solo Steve Jobs era stato in grado di usare, contemporaneamente dava
consigli, richiesti, a chiunque desiderasse fare annullare il proprio matrimonio religioso
dalla Sacra Rota. Era molto introdotto in Vaticano e lui e Koi Nahìm si scambiavano
spesso dei favori, attraverso un apposito Servizio Segreto che loro due avevano fondato.
Lo veniva a trovare, per brevi periodi, un certo Donated Caskstar, con la compagna
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Natalja, moldava con una bellissima bambina. Donated, sempre vestito di nero come
Frank Baz, era anche lui espertissimo in computer e, un tempo, lui e Frank avevano fatto
lo stesso lavoro: costruttori e venditori di programmi computerizzati. A parte Frank Baz e
Donated Caskstar, Gelindo e Kalura avevano imparato a cavarsela bene per ogni cosa
riguardasse il rapporto con le cose naturali. E c’era stato, in uno dei tanti week-end, un
corso condotto da Koi Nahìm sul fare il nulla e sul non fare un bel niente, che a Gelindo, e
un po’ meno a Kalura, era piaciuto tantissimo.
E avevano ben compreso anche, e proprio durante quel corso, che c’erano delle
situazioni, con l'esperienza maturata frequentando l’Ospedale, in cui sia i rimedi naturali,
sia il fare il nulla, sia il non fare un bel niente, che in molte occasioni erano invece
provvidenziali, non potevano essere sufficienti. Avevano compreso che, in certi casi, ci
voleva anche l’azione, la volontà che si traduce in fatti concreti, ricorrendo all'aiuto della
Chirurgia e delle Medicine Convenzionali. Se uno aveva un’occlusione intestinale era un
po’ sciocchino dargli solo una tisana, questo lo avevano realizzato. Se uno aveva una
broncopolmonite, meglio qualche antibiotico, piuttosto che insistere con la Bryonia fino alla
morte del malcapitato. Mica si chiamavano Hahnemann e i tempi, in tutti i sensi, non erano
quelli di due secoli prima! I più duri in questo senso, infatti, passavano lì su quel monte
circa quindici anni per poter andare oltre, ed erano i “rigidi” di ogni ordine e grado, come
Gelindo e Kalura avevano assieme deciso di chiamarli, di qualsiasi materia fossero
sedicenti esperti, i quali si ostinavano a dare a quello che aveva l’occlusione intestinale,
scambiata quasi sempre per una banale stitichezza, dei decotti di alghe, manco fossero
Ohsawa, un secolo prima, che avrebbero dovuto sciogliere l’occlusione. Regolarmente gli
occlusi morivano tutti!
Si salvavano solo quelli che, implorando pietà, venivano portati all'Ospedale, ma anche lì,
se fossero incappati in un medico o in un chirurgo “rigido” sarebbero stati guai.
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Ma di medici e paramedici “rigidi”, lassù non ce n'erano, dato che tutti i dipendenti
dell'ospedale, e anche i semplici convenzionati, prima di cominciare a trattare, nelle
relative specializzazioni, qualche persona che stava male, erano sottoposti ad un
addestramento tenuto da due Istruttori non Regolamentari, ma estremamente efficaci.
Addestramento per futuri Operatori Socio Sanitari e relativo esame finale
L'addestramento era tenuto, anzitutto, da un certo Cole Torthon, di professione agricoltore,
che ne inventava ogni giorno una di nuova, compreso il “rumore caratteristico” del
Kalashnikov che lui si divertiva a scaricare loro addosso. Koi Nahìm l'aveva conosciuto
tanti anni prima in Oregon, in un ranch, nella Contea di Wasco, a quattrocento chilometri
da Portland e dieci da Antelope, il paesotto più vicino.
Torthon scaricava il Kalashnikov addosso ai suoi provvisori allievi caricato a salve, ma era
sufficiente solo il rumore per scatenare il panico: medici e paramedici in via di assunzione
che fuggivano, incespicavano, pestavano i più lenti e non si trattenevano a soccorrerli, si
spintonavano e ferivano tra loro per cercare un rifugio. Insomma, erano convinti che
arrivassero loro addosso delle pallottole vere. Superava l'esame solo chi avesse
dimostrato di essere un po', almeno un po', attento anche agli altri, e non solo a se stesso.
Torthon, alla fine, comunicando l'esito negativo dell'esame a chi non l'aveva superato, non
diceva niente, se ne stava zitto, ma fissava almeno per mezz'ora, dritto negli occhi,
ognuno dei bocciati, i quali se ne andavano per sempre da quel posto, da loro ritenuto, a
quel punto, “di matti”. Ecco, in quelle occasioni, le stracciamutande di bisciana memoria
erano all'ordine del giorno. La caposala del reparto in cui avevano lavorato, l'inuit-romana
E'kkime Sokquà, una sera a cena li aveva resi edotti, pur usando termini diversi da quelli
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proposti da Biscia. Torthon, prima di fare l'agricoltore, aveva ricevuto una formazione
particolare sia alle Everglades, Florida, che a Langley, Virginia. Nella contea di Wasco,
Oregon, faceva il pilota di elicottero, reduce dal Vietnam. Era stato lui a segnalare a Koi
Nahìm un certo Guglielmo Borghi, cosa che Sibyl Ciacerona, la solita spiffera notizie,
spifferò a Kalura, soggiungendo anche che Gelindo e Kalura lo avrebbero incontrato più
avanti
Anche Cole Torthon, come Fabius Providence, arrivava e ripartiva all'improvviso. Fabius
su una Ferrari rossa rossa, Cole su di un SUV nero, i vetri oscurati, e rintracciava Koi
Nahìm dovunque si trovasse, e nessuno degli Istruttori Regolamentari, nonostante tutti lo
guardassero storto, osava impedirgli o dirottargli la rotta. Anche loro due, comunque,
dovevano parcheggiare negli appositi spazi, altrimenti se la sarebbero dovuta vedere con
Anne Devotion e con tutto l'esercito dei suoi Vigili Urbani.
Koi Nahìm sapeva benissimo che Cole raccontava un mucchio di palle, anzi, più che
raccontare palle, Cole ingigantiva le sue avventure e le sue già straordinarie conoscenze,
ma Koi Nahìm lo invitava lo stesso ad addentrarsi anche in particolari che mai, nessuno al
mondo, avrebbe potuto contestargli. Koi Nahìm, quando Cole parlava, si faceva delle
risate che quasi si strozzava.
Cole Torthon, e Koi Nahìm l'aveva subito individuato come tale, era un eccezionale
affabulatore, ai limiti della sindrome di Munchausen, che prende il nome da “Le avventure
del barone di Munchausen”, libro che Koi Nahìm aveva letto e riletto, in una delle sue
ultime versioni, e di versioni ce n'erano state tante, ma proprio tante, dal diciottesimo
Secolo in poi, fin dalle elementari, ed anche allora, nel leggerlo, dal gran ridere
generalmente sveniva, come con l'odore delle candele in chiesa.
Ma Torthon, a differenza del barone di Munchausen, raccontava anche reali esperienze
terribili da lui vissute in giro per il mondo. Quarantasette ferite di guerra, con almeno
mezzo chilo di titanio, roccia e ferro ancora in corpo, commuovevano Koi Nahìm, e su di
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una sola cosa Torthon non permetteva che si scherzasse. Era un militare, di stirpe militare.
Guai a infrangere l'onore e il dovuto rispetto, non solo ad un suo commilitone, ma anche
ad un nemico che si fosse battuto contro lui e i “suoi”, rischiando di rimetterci la ghirba
come, in effetti, poi solitamente accadeva, con dignità e fede nel proprio Dio, nella
consapevolezza che ognuno dovrebbe avere del ruolo sociale e professionale rivestito.
Non sopportava i cagasotto, gli opportunisti, gli arrivisti di ogni ordine e grado ma,
soprattutto, chi osava mancare del rispetto dovuto all'umanità di chicchessia. Solo lui se lo
permetteva un po' troppo spesso, secondo Koi Nahìm, che glielo aveva anche detto chiaro
e tondo, ma lui, in questo, non lo ascoltava.
Thorthon non concedeva spazio alle lamentele e aveva stabilito attorno a sé un protettivo
muro emozionale, cosa che rimproverava spesso a Koi Nahìm di non voler fare.
Ed anche tutti questi nuovi particolari, Gelindo e Kalura vennero a saperli, come gli altri già
citati, una sera, a cena, da un'altra caposala che tutti chiamavano Sciato', e che si scrive
Chateau, che dirigeva il Pronto Soccorso principale dell'Ospedale. Il nome, per intero,
sarebbe stato Chateau Nouvel Sous, ma così era troppo lungo da pronunciare. Chateau
Nouvel Sous, che aveva in comune con Cole Torthon un amico delle scuole medie,
sempre stato un po' scarsino in storia, di nome Valerio Massimo Manfredi, riferì loro anche
che Cole Torthon sosteneva che, in moltissime occasioni, la sua capacità di
sdrammatizzare, ironizzando, facendo battute fulminee, in situazioni drammatiche, qualità
anche a lei molto famigliari, associata alla conoscenza di un'infinità di lingue parlate, gli
aveva salvato la vita e, assieme alla sua, anche quella di molti altri, soldati e civili.
Ma la parte più difficile da superare, sia per medici che per paramedici, era l'esame con
una certa Marcelina Benatìa, direttrice didattica infermieristica brasiliana “all'antica”, cioè
nel modo più efficace anche nei secoli a venire, che con le sue manone dava sberle,
quando una o uno sbagliava la risposta o la manovra, che avrebbero mandato in coma
perfino Mike Tyson, quello dei primi tempi.
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I superstiti venivano poi esaminati dal Collegio degli Istruttori Regolamentari del Monte
Vivo, cui potevano anche chiedere il perché mai di quelle preliminari prove, così inutili e
potenzialmente letali. Tutti avevano già compreso che chiedere questo direttamente a
Cole Torthon o, ancor di più, a Marcelina Benatìa, era molto, ma molto pericoloso per la
propria integrità fisica.
E la risposta che veniva data loro, da qualsiasi Istruttore Regolamentare cui rivolgessero
la domanda era sempre: ” Volete continuare ad essere dei veri sostenitori della Pace e
della Non Violenza?...allora pensateci bene: come potete esserlo se non sapete
niente né della Guerra, né della Violenza?”.
Alcuni Istruttori Regolamentari, ma solo i più anziani, aggiungevano: “Sappiate
anche che molti di quelli che avete accudito in Ospedale ed osservato in Cella
Mortuaria, sono vittime di guerra o di violenza...credete forse che l'Italia, dove per
ora ci troviamo, non sia in guerra?...credete non sia intrisa di violenza? ...eppure vi
piace tanto andare ad ascoltare le conferenze di Gino Strada!...secondo voi, Gino
Strada e sua figlia, come sono arrivati alle conclusioni cui sono arrivati, se non stando
sotto le bombe?...e non c'è solo Gino Strada che fa questo lavoro, da quelle parti, ma ce
ne sono altri, ad esempio il dottor Piana, con la moglie e la figlia, tutti tre chirurghi di
guerra...in Siria c'è Time 4 Life, associazione nata con il web a Modena, in Libano ce n'è
un altro ancora, un pediatra, tutti non aggregati ad Emergency...nella striscia di Gaza,
anche se c'è Emergency, come in Somalia, in Nigeria, in Sudan, in India, ed anche se
Emergency resta l'Organizzazione più famosa, c'è anche Save the Children, Action Aid,
Médecins sans Frontières, Libera, l'UHCR e poi la End Children Prostitution and
Traficking, che fa capo, in Italia, a un avvocato di Reggio Emilia che opera in Cambogia, la
Protezione Civile degli stipendiati e dei volontari non stipendiati, le Forze Armate con, in
testa, i Carabinieri e la Polizia con annessi e connessi, anzitutto i Finanzieri, i Vigili del
Fuoco e la Guardia Costiera, come, ad esempio, a Lampedusa...Forze Armate che
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quando non sono armate sono davvero Forze di Pace...e le Guardie forestali?...e i vari
Centri Antiviolenza sulle donne...non solo in Italia uccidere una donna è diventato uno
sport nazionale...e poi, sapete, in ogni città c'è qualcuno che cerca di fare del suo meglio,
generalmente sacerdoti cattolici, protestanti in tutte le loro sottodiramazioni, valdesi,
sacerdoti e non, ma praticanti veri, e anche qualche sindaco laico, supportato da volontari
non aderenti ad alcuna religione, ma praticanti, anche se a modo loro, e per un po' glielo
stanno ancora permettendo...ma ora basta chiaccherare, se vorrete comprendere,
comprenderete quando sarà il vostro momento”.
Koi Nahìm festeggiava a modo suo le promozioni: scatenava un inferno di fuochi artificiali
che, poi, fuochi artificiali non erano, ma si trattava di razzi, che esplodevano in aria senza
far del male a nessuno e che assumevano, nel cielo buio, l'aspetto di fuochi d'artificio.
Koi Nahìm ne aveva appreso l'esistenza, ed il significato dei colori, visto che ciò valeva
anche se, invece di razzi, fossero stati dei fumogeni colorati, quando aveva fatto tre mesi
di militare come Sottotenente Medico, Divisione Centauro, Terzo Reggimento Bersaglieri,
Venticinquesimo Battaglione, a Capo Teulada, in Provincia di Cagliari, in occasione di
esercitazioni a fuoco della NATO.
Dunque: il giallo stava a significare “tutto a posto”, l'arancione “richiesta di recupero”, il
rosso “S.O.S.”, il viola “richiesta di intervento aereo”, il verde “via all'attacco”. Fatto sta
che, una volta, e se lo ricordavano bene tutti gli Istruttori anziani, Koi Nahìm, senza
volerlo, aveva sparato troppo in alto il razzo rosso.
Il cielo era buio, sereno, e il colore di questo razzo allertò subito i militari americani di
stanza alla Caserma “Ederle” di Vicenza, i quali, a loro volta, allertarono quelli
dell'Aviazione di stanza ad Aviano, in provincia di Pordenone. Per un pelo si sfiorò la
tragedia, dato che la CIA e la Digos, subitissimo informate, comunicarono ai Generali
Comandanti sia di Vicenza che di Aviano, che il tutto era opera di un pazzo che viveva sui
Colli Euganei.
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Friz e Gufo Bianco, incazzati come iene, non rivolsero più la parola a Koi Nahìm per tre
mesi.
Corsi di Cucina, di Diagnosi e Terapia Astrale e colloquio finale sul Monte Vivo
Laurel teneva, a cadenza mensile, dei corsi di cucina deliziosa, ispirantesi a quella
vegana, ma molto, molto intelligentemente flessibile: antipasti, primi e secondi piatti,
contorni, dolci, bevande...tutti gli allievi si pregustavano la contentezza dei loro amici e
parenti, una volta tornati a casa. Tutti le erano molto grati.
Ma, a parte tutto questo, quando uno fosse sceso da quel Monte non sarebbe stato
più rigido rispetto a nulla, per esempio riguardo all’alimentazione, al riposo e
all'attività fisica, il che non è poca cosa. Cioè: avrebbe saputo scegliere quale fosse
l’alimentazione giusta per lui, avrebbe saputo scegliere quale fosse il modo giusto
per riposare e fare movimento.
Tutti avevano sperimentato come ci fossero delle persone che hanno bisogno di starsene
stese venti ore su ventiquattro e, viceversa, persone che hanno bisogno di stare quattro
ore stese e venti ore in movimento. E con questo scoprirono la bellezza della diversità
degli esseri umani e della vita.
Tutti avevano imparato qualcosa sulle energie.
Era stato organizzato un corso magnifico chiamando un esperto veggente, di nome
Ronny, un corso sui chakra, e anche, di conseguenza, sulle tecniche di intervento sui
chakra e sui corpi sottili connessi, dove si poteva fare, per l’appunto, anche della Chirurgia
cosiddetta “spirituale”, infilando le mani, tagliando i pezzettini di salamandre, di brontosauri
astrali che possono essere causa di malattie, che stazionano nei corpi sottili come
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malattie, ma che, una volta estratti, la persona che li ospita dovrebbe stare meglio... cose
di questo genere.
Ronny era un americano allampanato con la testa da alieno buono, sciamano occidentale
di New York, mezzosangue cherokee, ma bravo, molto bravo nel suo lavoro, che è anche
quello di guadagnare un casino, ma al tempo stesso sempre onesto, per esempio, a volte,
consigliava le persone di farsi fare certe analisi del sangue, e magari, anche, di ricoverarsi
in qualche Ospedale o di farsi vedere da qualcun altro, guaritore spirituale come lui, che
riteneva essere più adatto in un certo specifico caso. Ronny era bravo anche nel riuscire a
facilitare, nei gruppi da lui tenuti, un clima di serena, e a volte persino di festosa
condivisione, nonostante i suoi discepoli fossero, in prevalenza, macrobiotici rigidi. Ma,
data per certa la sua bravura nella diagnosi eseguita sull'aura delle persone, Gelindo e
Kalura non ebbero modo di poter verificare alcuna guarigione importante, nonostante i
discepoli più vicini a Ronny giurassero e spergiurassero di aver sperimentato su loro
stessi, o su altri, guarigioni a dir poco miracolose che non c'era alcun motivo, per Gelindo
e Kalura, di mettere in dubbio.
Tizione, il radionico selvatico, nonostante anche lui fosse un militante a tempo pieno
nell'organizzare gruppi di diagnosi e terapie olistiche di ogni tipo, si limitava ad osservare
Ronny e a scuotere leggermente la testa, cosa che, non si capiva bene, poteva significare
sia perplessità che curiosità. Molto più chiaro era lo scetticismo di Scarabeo Sonno
Sudato, il chiropratico, che dopo aver osservato Ronny al lavoro, per dieci minuti buoni, la
sigaretta in bocca, appoggiato al tronco di un albero, a gambe lunghe un po' larghe,
spostando il peso del tronco un po' sull'una e un po' sull'altra, senza dire nulla, nemmeno
sottovoce, finita la sigaretta si metteva a terra, si faceva un pisolino e poi sudava a litri.
Comunque, tutto funzionava nel rispetto profondo sia di questo tipo di medicina che
dell’altro, quello convenzionale ma, soprattutto, Gelindo e Kalura avevano imparato
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a gestire il loro corpo, i loro bisogni in un modo equilibrato, in un clima
assolutamente rispettoso dei tempi di ognuno.
Arrivò dunque il giorno in cui, dopo l’ultima prova, che era consistita nello stare a guardare
i cadaveri, e dopo che erano stati sottoposti a questo test finale della domanda su quello
che in realtà avevano imparato nel periodo in cui si erano fermati lì, giunse la stoccata.
La sferrò l’anziano, che ora tutti sei avevano cominciato a chiamare con il suo nome,
spifferato nuovamente da un Energy di passaggio e di fretta, ma un po' pettegolo come
quasi tutti, lassù, cioè semplicemente anche lui, Koi Nahìm, aveva organizzato un incontro
in cui li avrebbe guardati bene, uno per uno. E l'incontro si tenne all'aperto, sotto un albero
di pompelmi che produceva sia mele che pere.
“Volete rimanere qui? Volete tornare in città o andare avanti?”.
In un primo momento tutti sei i superstiti aderirono entusiasticamente all’idea di
proseguire. Ma dopo due o tre ore ci ripensarono meglio in quattro. In quattro: norvegese,
francese, bosniaca e berlinese chiesero di poterci pensare fino al giorno dopo. Viceversa,
Gelindo e Kalura furono i soli a confermare subito la loro volontà di continuare. Non a
caso, infatti, la Ricerca Storica si sta occupando di loro due, non degli altri. Ambedue
dissero all'unisono: “Andiamo avanti”.
“Allora, guardate, il prossimo Monte è il Monte dell’Unità, il Monte Intero” disse
soavemente Koi Nahìm “Si chiama Monte Intero ed è il Monte dell’Unità, dell’Integrità,
prendetela un po’ come pare a voi”.
“E cosa si fa su quel Monte?”.
“Ah, io di questo non voglio dire niente...non è che non possa…semplicemente non
voglio...saprete quel che c’è da sapere quando arriverete lì...prendete questo sentiero”. Ed
allungò stancamente un braccio, ma tenendolo ben dritto per almeno cinque minuti, in una
certa direzione.
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Senza aggiungere altro, si sdraiò lentamente a panza in su, appena fuori del cimitero,
all’ombra di una siepe poco distante dall'albero di pompelmi che produceva sia mele che
pere, e si addormentò in due minuti, con un sorriso da angioletto.
Il Monte Intero
Preso il sentiero indicato, Gelindo e Kalura arrivarono, a un certo punto, sul precipizio di
una grande vallata in fondo alla quale, a duecento metri di strapiombo, scorreva un rapido
torrente che separava un Monte dall’altro. Ciò che permetteva di passare dal Monte Vivo
al Monte Intero era una passerella di quelle oscillanti, fatte solo di corda.
Così tutti e due, sia Gelindo che Kalura, si avventurarono lentamente su questa passerella
tenendosi ben stretti alle corde. Ovviamente Gelindo mise, a un certo punto, un piede in
fallo,
facendo sbandare paurosamente la passerella. Fatto sta che, in un modo o
nell’altro, arrivarono tutti e due di là, sul Monte Intero.
E di là, ad attenderli, c’era un’altra persona, questa volta una persona anziana, non
giovanile come Energy, che era quello che li aveva attesi sulla cima del Monte Vivo e che
li aveva addestrati nella corsa mattutina, ma una persona anziana.
Si informò rapidamente su quello che stavano cercando e spiegò loro: “Qui il programma
consiste fondamentalmente in questo: nel farvi comprendere il significato di un
simbolo...ci sono di quelli che riescono a stare qui pochi giorni, altri che stanno qui un
anno, ce n’è qualcuno, ripetente, che deve stare qui anche cinque o sei anni prima di poter
passare oltre...il simbolo che noi vi presentiamo è il simbolo della croce”.
E, con poche parole, trasmise ai loro attenti orecchi, il significato di questo simbolo.
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“Vedete, c’è un braccio orizzontale, un braccio verticale e, dove si incrociano i due
bracci, lì c’è un puntino...quel puntino siete voi...e questi quattro bracci della croce
sono le direzioni in cui vuole andare la vostra Anima Individuale, per potersi
integrare armoniosamente con l'Anima del Mondo...c’è da recuperare dentro di voi
la forza, la capacità, ma anzitutto la consapevolezza che voi desiderate andare in
tutte e quattro le direzioni: verso il profondo di voi stessi, verso ciò che è più
grande di voi stessi, e infine verso tutto, ma proprio tutto, quello che c'è attorno a
voi”. E dicendo queste parole questo Istruttore anziano si mise diritto e spalancò le
braccia: “Vedete? Questo è il simbolo...l’alto...il profondo...e il mondo...e il centro è il
cuore...lasciate perdere il significato che il Cristianesimo ufficiale, con il rispetto dovuto a
molti cristiani...molto pochi, purtroppo...e dico purtroppo perché anch'io, e ben al di là della
mia volontà, sono stato cristiano...ma non solo cristiano...né, tanto meno, praticante...ma
pratico un pochino a modo mio...dato che sono morto nel corpo...lasciate stare, vi dicevo,
quello che la maggior parte dei cristiani, praticante o meno, conferisce a questo simbolo...il
mio nome è Giacomo ed il cognome è Uomocollina, anche se sono un po' più conosciuto
come James Hillman” e a questo punto Gelindo iniziò a svenire, anche perché Hillman era
morto per davvero mentre a Kalura quel nome non diceva niente e si limitava a guardarlo
fisso sbigottita, forse per la storia del morto che parla, mentre prestava le prime cure di
rianimazione a Gelindo “...pensate...ci ho messo quasi cinquant'anni a comprendere per
bene quel che vi sto dicendo” e sorrise mestamente, ma si riprese subito, con il suo
parlare a raffica.
“Ad esempio, la mia assistente si chiama Luna, o anche Risplendente, anche se è più nota
con il suo nome greco, Selène...gira il mondo da una vita in cerca di sciamani ed ha anche
scritto un libro su di me e sul lavoro che facevo un tempo...lei è ovviamente, per me,
anche una figlia, tra i tanti miei figli spirituali, ma continua a non voler comprendere la
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parte più importante di tutto questo, anche se è una delle persone più intelligenti che io
abbia conosciuto...sono più di vent'anni che ci conosciamo e siamo molto amici...”.
Sia James che Selène erano molto eleganti, vestiti tutto nero lui, anche se un pochino
grigio e tutta bianca lei, ambedue con un iPad in mano, non ancora in commercio, i quali
iPad dissero dal loro altoparlante, spontaneamente e con voce un po' gracchiante,
maschile quello di James, femminile quello di Selène, che Gelindo e Kalura li potevano
chiamare iMad o iBad, indifferentemente.
“Benissimo”. Gelindo stava già facendo alcune congetture, perché gli erano rimasti alcuni
brandelli di attitudini misteriche, da quando era ancora bioingegnere a Rovigo, e leggeva
libri malconsigliati rispetto a queste cose. Selène, no, non l'aveva mai sentita nominare,
ma James Hillman...solo a pensarci che ce l'aveva di fronte e per di più, morto, gli veniva
da svenire come, di fatto, fece.
Kalura invece si fece subito prendere dal contenuto del discorso che aveva appena
ascoltato, le piaceva molto questa storia delle braccia così, per poter abbracciare tutto il
mondo...anche se, per il momento, si sarebbe accontentata di poter abbracciare, a modo
suo, Selène, che James disse essere specialista in sciamanesimo di tutti i continenti e
un'autorità mondiale per la conoscenza e la diffusione delle pratiche dello sciamanesimo
del Myanmar e di quello siberiano dei buriati, passando attraverso una lettura molto
avvincente dell'intera opera di Nietsche e sempre di corsa, come Energy.
A Gelindo, nonostante le sue congetture e perplessità, interessava molto questa cosa del
braccio verticale, verso l’alto e verso il profondo. Kalura invece ere più portata
spontaneamente all’altro tipo di braccio, a quello orizzontale.
Lo dissero subito a James, come se lui già non avesse capito con chi aveva a che fare...e
lui commentò: ”Beh, se ci pensate bene, anche questa diversità di propensioni rende la
vita su questo pianeta così interessante, e per molti, divertente…comunque se
deciderete di restare qui…imparerete a conoscere per bene sia il braccio verticale
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che quello orizzontale…certo, un’attitudine specifica nessuno ve la potrà mai
togliere, almeno qui, ma saperne qualcosina anche del resto, che ora non vi attira,
non vi farà di certo male…o no?”.
E Gelindo: ”Certo, messa così, non ci farà sicuramente male”.
“Gelindo, Gelindo, come potrei metterla se non come già è, di fatto….ora, però, andate
alla reception, che si sta facendo tardi”. Lo disse in italiano, sorridendo, con un accento
inglese, e una leggera inflessione tedesca ma non di Germania, che subito Kalura
riconobbe come di Zurigo o dei dintorni.
A quel punto, un po' traballante, si fece vicino un altro signore che sembrava ancor più
anziano sia di James che, ovviamente, anche di Selène. Sorridendo, si mise ad osservare
tutta la scena.
A quel punto, James e Selène, che si presentò, a quel punto, anche con il suo cognome, si
allontanarono con molta discrezione, visto che la loro parte l'avevano già fatta.
Questo vecchio che si stava avvicinando aveva un’aria famigliare, che a Gelindo
ricordò...sì, certo...i capelli molto radi sopra la fronte messi assieme alla meno peggio in
un ciuffetto un po’ ridicolo, tutti bianchi anche se non del tutto, come la barba poco curata,
gli occhiali con la cordicella appoggiati a un naso pieno di punti neri e di arterioluzze da
bevitore, o da ex bevitore trasandato, anche se questo fu Kalura a notarlo, non Gelindo, e
la pelle color salmone aragosta, la dentiera ingiallita dalle sigarette, la corporatura a
triangolo con la punta sotto, da quanto le gambe erano da merlo, il torace a botte e i
movimenti lenti, affaticati, impacciati, una maglietta celeste sotto un giubbino da cacciatore
blu, pieno di tasche e senza maniche, jeans marroni con due patacche di unto, scarpe da
ginnastica bordeaux e calzini di lana bianchi.
Ma certo, Gelindo e Kalura furono d’accordo, si trattava proprio di Koi Nahìm.
Per averne conferma, già orientati verso la reception, si fermarono, si girarono, e glielo
chiesero.
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”Ma tu sei Koi Nahìm...non ti avevamo riconosciuto subito...ma non eri sul Monte Vivo?”
”Si, certo, sono Koi Nahìm ed ero anche sul Monte Vivo, ma per voi, nel senso che voi ora
mi vedete qui, ora sono proprio qui, sul Monte Intero”.
”Ma, allora questo significa che tu...che tu sei dovunque gli altri ti vedono...ma chi sei tu
Koi Nahìm, sei tu...Dio?”.
Koi Nahìm fece una piccola smorfia sorridente, e con voce pacata disse: ”Si, sono Dio,
ma esattamente come voi, come tutti gli esseri di questo mondo e degli altri mondi
vicini e lontani...niente di particolare, tutto sommato”.
Al che, sia Gelindo che Kalura, cominciarono a pensare, come la maggior parte delle
persone che lo avevano conosciuto, che Koi Nahìm fosse sbronzo o delirante ma,
nonostante pensassero questo, lo salutarono con un piccolo inchino e si diressero verso la
reception, un po’ storditi e un po’ perplessi, in un silenzio imbarazzato. Loro non lo videro,
ma Mansueto Omobono sì, e lo riferì poi a Gelindo che lo disse, un po' commosso, a
Kalura. Koi Nahìm li aveva seguiti con lo sguardo molto attentamente allontanarsi e due
lacrime gli erano scese lente dagli angoli interni degli occhi, cancellando del tutto la
smorfia sorridente di prima. E, con la barba tra le mani, seduto alla meno peggio su di un
masso, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, aveva chiuso gli occhi.
Reception del Monte Intero
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Anche qui, come sul Monte Vivo, la reception. E anche qui, come sul Monte Vivo, due
persone ad accoglierli. Molto diverse, però, da Sybil e Grugno. Anche la reception era
diversa e ben si combinava con quei due, una specie di anticamera di una bidonville.
Un tetto di lamiera ondulata, appoggiato alla benemeglio su tre pareti di mattoni tenuti
assieme da uno sputo di fango secco.
Dentro, un tavolinetto sgangherato, tre o quattro sedie di plastica bianca da bar gelateria
all’aperto, una cassetta di bottiglie piene senza etichetta, dal contenuto sospetto, un’altra
cassetta di bottiglie vuote, diverse pile di giornali e di riviste, e Gelindo vide che erano
recenti, anzi, i giornali erano proprio quelli del giorno prima. La data del Guardian, in cima
alla pila, lo diceva chiaro.
E poi, sparpagliati dentro quella baracca da campo nomadi, pile e pile di libri che, in alcuni
punti, arrivavano fino alla lamiera ondulata.
Libri di ogni tipo, prevalentemente rilegati, con sovracopertina lucida, colorata, e piegando
un po’ la testa, Gelindo vide che si trattava di libri in almeno cinque lingue, romanzi,
classici, di autori sconosciuti, in netta prevalenza riguardanti l’ampio ventaglio delle
cronache, cioè delle storie di vita vissuta, biografie, autobiografie, inchieste.
Quei due della reception li accolsero senza entusiasmo, tuttavia non distrattamente, non
con alterigia, ma semplicemente con molta attenzione al rispetto dei confini.
Se ne accorse per prima Kalura, quando, adocchiato un libro di poesie, cercò di sfilarlo
dalla pila, per guardarlo meglio. La mano pelosa e ossuta dell’uomo le prese il polso con
fermezza delicata, e lei lasciò subito perdere.
L’uomo era alto, con gli occhi verdi e un paio di occhiali alla John Lennon, magro, tutto
nervi e muscoli, il volto scavato, abbronzato e secco per sole e vento, una cicatrice bianca,
da coltello, sulla guancia sinistra, da sotto l’orecchio fino alla narice sinistra, e doveva
essere stato un colpo netto, vibrato con forza, pensò Kalura che, a quel pensiero, avvertì
nettamente allo stomaco, la paura.
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L’uomo era vestito con un maglione verde, che riprendeva il colore dei suoi occhi, un paio
di braghe di velluto a coste, di colore grigio, e scarponi, non scarponcini, ma scarponi
grandi e grossi, grigi pure quelli, sia di fattura che per fango secco. In testa, ben calcato
fino alle sopracciglia, un berretto di lana, nero, da clochard, spruzzato di polvere o sabbia.
Si limitò a guardarla con una grande, autentica tenerezza, e Kalura subito colse le bontà di
quello sguardo, tanto che la paura lasciò il posto alla fiducia, con lo stomaco normalizzato
e una sensazione di calore al cuore.
Solo a quel punto l’uomo distolse da lei lo sguardo e lo portò su Gelindo, che se ne era
stato impalato a guardare la scena dall’ingresso, che adesso l’uomo rivelò essere tale
tirando un telone di plastica, prima accartocciato da un lato.
”Io mi chiamo Ian, con l’accento sulla I iniziale e di cognome faccio Ròsslyn, con l'accento
grave sulla o...sono di Edimburgo e sto parlando in gaelico antico...ma ora mi trovo qui in
questo posto, provvisoriamente, anche se sono già passati quasi cinque anni”. Lo disse
con voce ferma, scandendo bene le parole, ma in che lingua? Era quello il gaelico antico?
Gelindo e Kalura solo a quel punto si posero la stessa domanda. Bastò tra loro una rapida
occhiata e capirono che stavano pensando alla stessa cosa. In che lingua avevano
parlato, con gli altri, da Rovigo in poi, in che lingua avevano parlato gli altri a loro fino a
quel punto, e capendosi benissimo?
“Non ponetevi, per ora, simili domande” disse ancora con tono fermo Ian Ròsslyn ”né, per
favore, chiedetelo a me...semplicemente accettate o, se più vi piace, subìte, che le cose
stiano così”.
“Ma come” pensarono sbigottiti in simultanea sia Gelindo che Kalura “noi non abbiamo
aperto bocca e questo...anche se, a pensarci bene, cose simili sono già successe, per
esempio con il primo Qualcuno, giù in città...”.
Ian Ròsslyn li stava osservando in silenzio e con un’espressione che Clint Eastwood dei
primi film, al confronto, era un estroverso ridanciano.
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E continuò, con la stessa voce, con la stessa faccia: ”Non conoscete nemmeno il nome
della città di sotto, né in quale stato del mondo ci troviamo...quali indicazioni del cazzo
avete dato ai vostri parenti per potervi raggiungere?...beninteso, se loro ne avessero avuto
il desiderio”.
Gelindo e Kalura, sprofondati nella vergogna, si bloccarono all’istante. Kalura si limitò a
chinare un po’ la testa, di lato, e un po’ arrossata in volto, a guardare di sotto in su e di
traverso, gli occhi di Ian Rosslyn, ora un po’ stanchi, dietro gli occhiali sotto la cuffia nera.
Gelindo, viceversa, pallido cadaverico, chiamate a raccolta tutte le sue forze, azzardò:
”Ma...ci avevano detto che ci avrebbero pensato Grugno Snasuplòun e Sybil
Ciacerona...abbiamo ricevuto tramite loro alcune risposte...purtroppo, sì...cioè, non
so...ma sia mia moglie che il marito di Kalura...mah, ecco...ci hanno fatto sapere che non
ne volevano più sapere”.
“Ve l’hanno fatto sapere per interposta persona” lo bloccò Ian Ròsslyn “d’ora in poi, se vuoi
parlare con una persona umana vivente, fallo direttamente, senza triangolare”.
Gelindo assentì subito, senza replicare, tanto ormai a fare il Fantozzi della situazione ci si
stava abituando.
Fu Kalura invece che, raddrizzatasi nella sua fierezza indorodigina femminile, parlò con
voce ferma, a quasi imitazione di Ian Ròsslyn: “Ian, se mi vuoi rispondere lo decidi tu, ma
a domandarti due cose lo decido io...dunque, ti chiedo anzitutto in quale zona del mondo
ci troviamo ora, con questo corpo fisico, e poi che nome ha la città qui sotto...Mansueto
Omobono ci ha raccontato molte cose e ci ha detto che la città qui sotto è Padova...quindi
siamo in Italia...o no?”.
“Questo sì che si chiama parlare chiaro” sorrise Ian Ròsslyn , spostando di lato un
sorrisino a labbra chiuse ”dunque, la zona del mondo in cui ci troviamo ora, in questo
corpo fisico, è l’emisfero terrestre settentrionale, e qui sotto non c’è nessuna città...una
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città, quella di cui vi ha parlato Mansueto Omobono, cioè Padova, è sotto il monte Vivo,
non qui sotto”.
“Ian, non fare lo stronzo con le risposte, se ti faccio delle domande chiare” socchiuse
minacciosamente gli occhi Kalura, ma con la stessa voce di prima.
A quel punto si fece un po' avanti la donna, sfumata fin qui sullo sfondo della baracca,
mentre Ian Ròsslyn se la rideva a braccia conserte, grattandosi la barba e muovendo
lentamente la testa di lato, qua e là, e facendo due passi indietro.
Era una piccoletta tutta nervi anche lei, come Ian Rosslyn, ma con un viso ovale, quasi
rotondo, le morbide sinuosità nei posti giusti, gli occhi con il copyright estremorientale,
berretto grigio calcato sui capelli neri, lisci e lunghi fino alle spalle, maglione di lana rossa,
jeans attillati su un gran bel culo, pensò Gelindo nell’angolo in cui si era rintanato, infilati
dentro due stivali di gomma verde, pulitissimi, pensò Kalura.
“Il mio nome è Lin Tao” esclamò la piccoletta con un’inattesa voce roca ”sono nata a
Pechino...ho quarant’anni e sono qui su questi Monti, un po' qua, un po' là, da quindici
anni, tre mesi e due ore…i minuti non hanno importanza”.
Ian Ròsslyn ora la guardava attento, con la testa un po' all’indietro, Gelindo e Kalura
incuriositi la ascoltavano, molto rilassati, anche se Gelindo, con la coda degli occhi, non
poteva esimersi dal controllare gli eventuali movimenti di Ian Ròsslyn.
Di Ian Ròsslyn e di Lin Tao, Gelindo e Kalura sapevano già qualcosa, ciò che aveva
raccontato loro Mansueto Omobono, in relazione a quel fattaccio.
“Sono qui per lo stesso vostro motivo” continuò Lin Tao “e tu, Kalura, sei stata molto chiara
nelle tue domande a Ian, che viceversa è stato proprio molto stronzo nelle sue risposte,
ma questo è il suo compito qui, in situazioni come questa, e lo svolge egregiamente”.
E, dopo un inchino, si ritirò nuovamente in fondo alla baracca.
Ian Ròsslyn, nel frattempo, si era stravaccato su una di quelle sedie bianche, e Gelindo
pensò a quanto fosse pericoloso azzardare una simile posizione. Ian Ròsslyn, dal canto
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suo, con un sorriso sornione e una voce melodiosa, accattivante, prima guardò Gelindo
con una certa simpatia, e Gelindo, accortosi di questo, quasi gli saltava in braccio dalla
gioia, poi posò il suo sguardo negli occhi neri di Kalura, a quel punto riaddolcita, e le
parlò.
“Kalura, qui siamo in Italia, la città qui sotto è proprio Padova, come vi ha detto Mansueto
Omobono, e non come erroneamente avevate ipotizzato, sia tu che Gelindo, Aix-enProvence o Sarajevo, arrivandoci...ma non esattamente quella Padova che ben
conoscete entrambi, soprattutto tu, Gelindo, ma una Padova in cui si mischia un
piano di realtà sottile, non percepibile dalla maggior parte della gente….mi state
seguendo?...bene…con un piano di realtà meno sottile, cioè quello che quasi tutti, e
sottolineo il quasi, considerano il solo reale, la sola realtà esistente...ora mi bevo un
po’ di succo di mela e albicocca…ne volete un po’ ?...tu ne vuoi un po', Lin Tao?”.
Tutti ne bevvero un po', Kalura due volte ne bevve, in bicchieroni di plastica trasparente.
La bottiglia finì in fretta e passò nella cassetta delle bottiglie vuote.
Mentre Lin Tao si accomodava con delicatezza su una sedia, sfogliando una rivista, che
poi era l’ultimo numero di Vanity Fear, edizione italiana, Gelindo e Kalura si accoccolarono
sui talloni, rapiti da ciò che Ian Rosslyn stava dicendo in trepidante attesa di nuove
sconvolgenti rivelazioni.
Lui era visibilmente soddisfatto di come stavano andando le cose e continuò: ”Dunque,
dove eravamo rimasti…ah sì…allora sappiate anche che tutti quelli che finora avete
incontrato, da quando siete arrivati a Padova, quella mista, ben s’intende, all'anagrafe dei
posti da cui vengono non sono affatto italiani, ma, essendo a Padova, in Italia, sono
italiani a tutti gli effetti, ed è per questo che vi siete potuti sempre capire bene, anche se
voi due parlate e capite bene anche altre lingue...io stesso vi ho mentito quando vi ho
detto di chiamarmi Ian Ròsslyn, e di essere di Edimburgo...no, aspetta, Gelindo...”.
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Gelindo si era alzato in piedi con un mucchio di altre richieste di spiegazione sulla punta
della lingua ma, a quel punto, si riaccoccolò di nuovo sui talloni, di fianco a Kalura che, nel
frattempo, si era seduta per terra, con le braccia attorno alle ginocchia.
“Il mio nome, in realtà, è Alberto Vaccari, e sono di Modena...vi ho detto questa balla,
per poi dirvi la verità, solo per iniziare ad addestrarvi sul non credere mai
ciecamente a quello che vi viene detto da chicchessia, soprattutto se non lo
conoscete bene...Lin Tao, diversamente da me, si è presentata a voi con il suo vero
nome, ed è veramente nata a Pechino, è arrivata in Italia, vicino a Firenze, mi sembra a
Prato, quando aveva diciannove anni, e ha fatto una vita…beh, lasciamo perdere...ma che
cazzo sto dicendo…anche gli Istruttori che finora avete incontrato vi hanno detto la verità
sul loro nome!...solo che si tratta di nomi spirituali…non sapete cosa sono i nomi
spirituali?...per favore diglielo tu, Lin Tao...io sono un po’ stanco di parlare...e pensare che
per tanti anni ho parlato, parlato, e a tante persone, ma forse è proprio per questo...che
ora...sono un po’ stanco di parlare”.
E si distese per terra, con naturalezza, sul fianco destro, con il gomito piantato a
sorreggergli il tronco e la testa appoggiata sulla spalla. Come su un triclinio, ma senza il
triclinio. A Gelindo, che se lo ricordava bene dai tempi in cui aveva frequentato, lì, a
Rovigo, ma sempre con molto scetticismo, sia un gruppo di neo nazisti, che un gruppo
della Lega Nord, sembrava una
runa dei “terribili uomini del Nord”, come li avevano
chiamati, tanti anni prima, sia i Celti che i Galli, ma conosciuti ora come Vichinghi, seguaci
di Odino e veneranti Thor, divinità sempre incazzatissima con tutti, navigatori fino
all'attuale Canada e guerrieri tremendi, a torso nudo estate e inverno, dotati di archi e
frecce potentissimi e della famosa ascia bipenne. Una loro batteria da combattimento,
forse la più temibile per gli avversari, date le conseguenze nel prossimo futuro di quando
entravano in azione, era costituita da sole donne, le famose Valchirie, corvi a cavallo di
lupi, non donne a cavallo di cavalli, come spesso si crede, sempre alla ricerca di guerrieri
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eroicamente caduti in battaglia, da riportare a Odino che li avrebbe resuscitati e scatenati
nello scontro finale che avrebbe segnato la fine del Mondo. Rune e Valchirie: Gelindo si
era sempre immaginato delle Aiutanti di Sanità, come era stato lui stesso, portaferiti, il cui
lavoro consisteva nel fare i cani da caccia e da riporto...
Lin Tao poggiò con delicatezza la rivista che stava sfogliando sopra una pila di altre riviste.
Guardò con tenerezza sia Gelindo che Kalura e con un po’ di evidente imbarazzo, che mal
si accordava con la sua voce roca, iniziò: ”Sapete, non so nemmeno da dove
cominciare...beh, sì, va là...comincio da questa storia del nome spirituale…sappiate però,
prima, che Ian Ròsslyn è veramente Ian Ròsslyn, di Edimburgo, dove faceva il professore
di Storia Italiana Contemporanea...era una celebrità mondiale...ed è qui non da cinque
anni, come lui vi ha detto, ma da quasi trenta...ora vi sta solo insegnando a non credere
ciecamente, mai, a nessuno...dunque, dov'ero rimasta?...ah, sì, al nome spirituale”.
Gelindo e Kalura si erano distesi a pancia sotto, e facendo leva sui gomiti, la guardavano
fissa, con un’attenzione ripulita da ogni aspettativa precostituita.
Gelindo aveva sfiorato con il piede destro il gomito puntello di Ian Ròsslyn e lui si era
limitato a spostarsi un po’ più indietro, cambiando lato e gomito, in silenzio, gli occhi chiusi.
Un’altra runa.
“Tutti quelli che sono stati battezzati secondo la particolare tradizione religiosa
dentro cui è avvenuta questa cerimonia, e da chi aveva l’autorità per farlo, ha già un
nome spirituale...per esempio io sono stata battezzata nell’energia di Confucio...sapete
cos’è il Confucianesimo, vero?...beh, anche se non lo sapete ora, prima o poi lo
imparerete...mentre voi, suppongo, siete stati battezzati nell’energia di Jehoshua, Gesù,
Cristo, o come lo volete chiamare, ed è per questo che siete cristiani, e siete stati
battezzati da un sacerdote cattolico, vero?...quindi siete già dentro l’energia
cattolica, che voi lo sappiate e vogliate, o meno.
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“Ma, senti” sussurrò Kalura “e quelli che non vengono battezzati perché, per esempio, i
loro genitori sono atei, o lasciano che siano loro stessi a scegliere, quando saranno
grandi, se vogliono o meno farsi battezzare dentro l’energia di una certa tradizione
religiosa, per usare le tue parole...hanno pure un nome anche loro, all’anagrafe hanno un
nome. Sulla carta di identità, sul passaporto, un nome lo hanno. Ma quello non è un nome
spirituale. Ho capito bene?”.
“No, quello per loro è anche un nome spirituale, anche se loro non lo sanno, e nemmeno
lo sanno gli stessi loro genitori e, a volte, anche altri che hanno dato loro quel nome
...perché quel nome è uscito da uno spirito d’amore, nonostante, a volte, si tratti di nomi
quasi impossibili da portarsi addosso per tutta la vita, ad esempio nomi di eroi dei fumetti,
o addirittura nomi di morti in famiglia...ad esempio Ian è nato da genitori atei che lo hanno
chiamato Ian, come suo nonno morto in guerra in Sud Africa, ma anche questo, per lui, è
un nome spirituale”.
“Però hai detto che, per essere spirituale, un nome deve uscire da uno spirito d’amore...e
se i genitori di Ian non si fossero voluti bene?”.
“Sarebbero affari loro, non miei...né tanto meno tuoi, e le cose non cambierebbero
comunque” disse con la solita voce ben scandita, ma niente affatto incazzata, Ian Rosslyn.
“Scusate...non capisco bene” si intromise Gelindo che, fino a quel punto non si era perso
una sola parola “mi sembra ci sia una contraddizione in quello che state dicendo...prima
tu, Lin Tao, hai detto che perché un nome possa essere considerato come un nome
spirituale deve uscire da uno spirito d’amore...poi tu, Ian, hai detto che...aspetta...ah
sì...che sarebbero affari loro anche se non si fossero voluti bene, come ha ventilato
l’ipotesi Kalura, e tu le hai anche detto, oltre al fatto che sarebbero affari loro, e non tuoi,
né di Kalura, né miei, certamente, che le cose non cambierebbero comunque...ma
facciamo così...facciamo, adesso, che non si stia parlando di te né dei tuoi genitori...mi
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rendo conto che per te questo discorso è forse un po' troppo delicato...per esempio io ho,
cioè avevo, un amico, a Rovigo….”.
“No, no, niente amici di Rovigo, Gelindo, parliamo pure di me...io sono qui presente e mi
presto ben volentieri, come esempio, all’insegnamento che vi sta dando Lin Tao”.
“Insegnamento?” pensò Kalura “ma se stavamo parlando in modo confidenziale!” e si
lisciò i capelli “Lin Tao non ha proprio il tono, né l’aspetto, di una che se la tira” ma tenne il
pensiero per sé, riservandosi di chiedere chiarimenti più avanti, su quella parola un po'
fuori luogo, a suo modo di intendere le parole: “insegnamento”.
“Non c’è alcuna contraddizione, Gelindo, ma il discorso vale anche per te, Kalura” e a quel
punto Kalura pensò che Lin-Tao cominciasse un pochino a tirarsela “vedete, quando un
essere umano viene al mondo, e per ora ci limitiamo a prendere in considerazione solo gli
esseri umani, non è forse stato concepito, solitamente circa nove mesi prima, da un atto
sessuale tra un uomo e una donna, persino nei casi di stupri di guerra?...sia io stessa che
Ian abbiamo vissuto storie del genere da molto vicino”.
“Ho capito, Lin Tao, e rispetto profondamente ciò che avete vissuto da molto vicino, sia tu
che Ian” la interruppe garbatamente Kalura “ma cosa c’entra un atto sessuale, senza
amore, e persino uno stupro, con il fatto che, poi, il nome che viene dato al bambino
o alla bambina, possa essere considerato un nome spirituale, e spesso senza
battesimo o in modo equivalente, in una qualsiasi chiesa organizzata o meno che
sia?...è un nome e basta. Che bisogno c’è di affibbiargli l’aggettivo “spirituale”?”.
Kalura si stava un po’ accalorando, mentre Gelindo, come accadeva di solito in questi
casi, si stava raggelando. Ian Rosslyn zitto, fermo, attentissimo, senza cambiare runa...Lin
Tao, ora un po’ sorridente, rilassata, riprese: “Ti ringrazio, Kalura, perché mi hai aiutata a
focalizzare meglio, con le tue obiezioni e le tue domande, il punto chiave del discorso che
volevo farvi fin dall’inizio...quasi quasi mi stavo perdendo in chiacchiere inutili”.
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Kalura e Gelindo erano attentissimi, ma cominciavano ad essere un po' stanchi, tanto che,
sia l’una che l’altro, soffocarono a stento uno sbadiglio.
“Ecco, ora faccio prestissimo a concludere, anche perché ora siete, tutti due, e
molto comprensibilmente, stanchi...dunque, ogni atto sessuale, e sottolineo ogni,
che trasmetta una vita, compresa la vita delle creature nate da stupri perpetrati sia
in tempi di guerra esplicita, sia in tempi e luoghi di pace...cioè...di guerra non
esplicita, ma a volte anche di pace vera, è un atto sacro perché, per l’appunto, nel
mentre trasmette una vita, al tempo stesso onora la vita e, secondo alcuni, anche se
si tratta di un atto sessuale solo potenzialmente atto a trasmettere...cioè, detto in
parole semplici, anche se una ha preso venti pillole anticoncezionali, si è messa il
diaframma e la spirale, si è fatta chiudere le tube, e poi scopa con uno che si è
messo otto preservativi, si è fatto chiudere anche lui qualche tubo seminale, il tutto
resta sempre un'azione che comunque simboleggia la propagazione della specie,
cioè della vita, indifferentemente se con la “v” minuscola o maiuscola”, e qui Lin Tao
virgolettò con le dita alzate “che onora, cioè, la vita...ricordo quando anch'io non
facevo caso ai simboli, ma qui ho imparato che i simboli sono più...come
dire...pregnanti...ecco, sì...pregnanti, di quella che comunque si crede essere la
vera, unica realtà...se non ci fosse l’atto sessuale, la vita di un essere umano non ci
sarebbe, non ci sarebbero più esseri umani, anche se da non molti anni li stanno
costruendo in provetta, e non c'è bisogno di alcun atto sessuale...ma l'anima di
questi nuovi esseri c'è o non c'è? ...secondo me, ed altri ben più culturalmente
attrezzati di me, in questi esseri costruiti in provetta, l'anima non c'è proprio,
almeno su questo piano di realtà e sugli altri sette verificati per bene dalla fisica
sperimentale...cosa c’è, Kalura, di più spirituale della vita in tutte le sue forme
materiali, e naturali, ma non artificiali?...ecco perché dico che il nome che noi diamo
ad un essere nato da un incontro sessuale tra un uomo e una donna, ma anche tra
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animali, e anche il nome che noi diamo a una tartaruga, merita l’aggettivo
“spirituale”...ma se non ti va di considerarlo spirituale, fa lo stesso, Kalura, basta
che tu li rispetti, i nomi, a cominciare da quello che tuo padre e tua madre ti hanno
dato e che, attraverso l’onore al tuo nome, basta che tu sappia che stai onorando i
tuoi genitori e, a proposito degli atti sessuali protetti, anche se non esce un figlio,
sono comunque dei simboli, simboli sacri di propagazione della specie...a questo
proposito...ecco...solo l'incontro sessuale tra un uomo e una donna assume questo
significato...per esempio...i maschi gay e le femmine lesbiche...quando tra loro
fanno l'amore...non fanno proprio niente che abbia il significato di cui ho appena
parlato... anche se l'amore tra omosessuali, donne e uomini, è amore anche quello,
ma non simboleggiante una possibile procreazione...e nemmeno quando ci si
masturba stiamo simboleggiando la procreazione...ma a volte è amore pure quello,
ma solo a volte”.
Lin Tao, dopo questa lunga disquisizione, era stremata. In vita sua non aveva mai fatto un
discorso così lungo in una sola volta.
Gelindo e Kalura avrebbero voluto chiedere qualcosa, ma erano così stanchi che, ormai,
sbadigliavano apertamente. Così Lin Tao fece in modo di stoppare le domande che loro si
stavano silenziosamente, e inutilmente, ponendo.
“Per questa sera è sufficiente così, e forse è anche troppo” disse sempre con dolcezza,
ma si vedeva bene che era stanca anche lei “ora ci facciamo tutti una bella dormita”.
Si guardò una patacca di orologio al polso, sollevando appena la manica del maglione che
fino a quel punto lo aveva coperto “Sapete che ora abbiamo fatto?” sorrise “abbiamo fatto
le due...le due di notte...vi siete accorti che è già buio da un pezzo? ...dormiremo almeno
sei ore buone, fino a quando farà un po' chiaro, poco prima che venga il sole, se verrà,
domani”.
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Gelindo e Kalura, a quel punto, in un misto tra seccatura e vergogna, si accorsero che non
solo non avevano più i loro orologi...da quando? li avevano persi? glieli avevano
rubati?...ma anche che era già buio da un pezzo, non se n'erano accorti e, ancora una
volta, fu Lin Tao a precederli.
“I vostri orologi sono ora alla reception del Monte Vivo...li hanno raccolti Sybil Ciacerona e
Grugno Snasuplòun la prima sera che eravate giunti lì, quando eravate distesi sul
praticello, prima della cena e del falò...forse ve li siete tolti da soli, forse si sono slacciati, vi
è scivolato a terra anche il cellulare, ricordate?...fatto sta che ora sono lì...se li volete, li
potete riavere entro domani sera, ma...prima di mostrarvi dove potrete riposare indossate
questi vestiti, che sono un po’ più pesanti di quelli che avete addosso ora”. “Ma vi siete
accorti, almeno,
che è già inverno?” continuò Ian Ròsslyn che, nel frattempo, si era
rimesso dritto in piedi “anche se un po' mi piace che non ve ne siate accorti. I freddolosi
sempre e comunque, così come i calorosi ad oltranza, mi stanno proprio sui coglioni”.
Gelindo e Kalura, a quelle parole, si sentirono morire dalla vergogna per non essersi
nemmeno accorti che erano già in inverno, anche se, per quanto riguardava il non sentire
il freddo, beh...di questo...quasi quasi ne andavano fieri. Così, con sentimenti un po’
confusi, cominciarono a indossare, sopra le loro magliette e i loro jeans, i maglioni e i
pantaloni pesanti che Lin Tao con molto garbo porgeva loro, dopo aver frugato, con
attenzione, in un grande sacco di plastica nera, sbucato da chissà dove.
La nuova vestizione si svolse in silenzio. Ma quando fu terminata arrivò l’inattesa, anche
se prevedibile, mazzata di Ian Rosslyn: “Ma come, e i vestitini di sotto?...perché non ve li
siete tolti prima di vestirvi pesante?...come li lavate, questa sera, le magliette e i jeans
perché si asciughino per domani sera?...sperate forse che venga una fatina buona a fare il
lavoro giusto al posto vostro?...con il poco sole che ci sarà domani, stento a credere che
ce la possiate fare a rimetterli belli asciutti nel vostro zainetto entro domani sera!”.
141
Gelindo e Kalura desiderarono, simultaneamente, di suicidarsi, oppure di uccidere Ian
Rosslyn con un corpo contundente qualsiasi.
Ma Lin Tao, ancora una volta, paziente come un’orientale, come di fatto era, venne in loro
soccorso. “Dai, su, fate come dice Ian...mettetevi adesso tutti nudi e rivestitevi solo con la
roba pesante...la roba leggera lavatela qui dentro, con queste scaglie di sapone” e diede
loro due catini di metallo sverniciati a chiazze, con l’acqua dentro e scaglie di sapone
marrone. Gelindo e Kalura eseguirono, si tolsero gli indumenti pesanti, poi quelli leggeri,
rimasero solo con le mutande, reindossarono la roba pesante, appoggiarono a terra la
roba leggera, vicino ai rispettivi catini, lavarono i vestitini leggeri, li misero ad asciugare
appena fuori della baracca, nel buio e, stanchissimi ma soddisfatti, assieme guardarono
sorridendo prima Lin Tao, e poi Ian Rosslyn.
”Va bene così?” chiese Gelindo con un filo di speranza.
Ian Rosslyn non se li filò per niente: si era già messo giù, disteso su un cartone, una
coperta grezza sulle gambe, a leggere con attenzione un libro, nella solita posizione,
anche se la runa era nuovamente cambiata. Una lanterna ad olio, non vista prima da
Gelindo e Kalura, provvedeva alla luce necessaria in tutta la baracca.
Lin Tao, angelo protettore dei non cagati, riprese la sua funzione: “Forza, venite con me,
seguitemi”.
Li fece uscire dalla baracca, assicurandosi che il telo di plastica fosse ben agganciato da
un parte e dall’altra e, fatte lentamente poche decine di metri in leggera discesa, dichiarò
soavemente: “Ecco, siamo arrivati”.
La casa del boss dei Monti
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Gelindo e Kalura non credevano ai loro occhi. Una grande villa, solo piano terra, ma la
luce gialla che si proiettava all’esterno da una finestra, laggiù, permetteva di vedere bene
quel che c’era da vedere. Un prato largo almeno venti metri tutto attorno alla villa, un muro
di cinta alto almeno tre metri, che se non ci fosse stata quella luce non si sarebbe visto di
certo, la sagoma di qualche albero grande, qua e là, che si innalzava dal prato, un
cancello semplice, di ferro battuto, che ora Lin Tao stava aprendo nel più assoluto silenzio.
Sembrava la casa di Usama Bin Laden, ad Abbottabat, in Pakistan, dove gli americani
dicevano di aver ucciso il proprietario. Gelindo e Kalura l'avevano visto in televisione, ma
Gelindo credeva di più a Giulietto Chiesa, che da sempre andava sostenendo che “quello”
non era il vero Sceicco del Terrore, già morto per insufficienza renale acuta, diversi anni
prima, o in alternativa, anche se questo non lo aveva mai detto Giulietto Chiesa, Usama
ora si trovava in Texas, USA, a giocare a golf con George W. Bush nel ranch di
quest'ultimo. I nonni dei rispettivi guerrafondai erano stati molto amici e, assieme, avevano
fatto un casino di soldi con l'edilizia. E, da bambini, Usama e George W. giocavano con i
soldatini, a indiani contro cow-boys, e vinceva sempre Usama.
Mentre Gelindo e Kalura andavano scambiandosi queste considerazioni, Lin Tao li
interruppe.
“Questa è la vostra casa, fino a quando deciderete di stare qui. Su, entrate, dai”.
Gelindo e Kalura si trovarono, senza nemmeno accorgesene, dentro una villa con stanze,
corridoi, sale, altri corridoi, stanzoni, bagni, biblioteche, corridoi, ancora biblioteche, solo
qualche libreria, libri a tutte le pareti fino al soffitto in locali grandissimi, con le librerie
disposte su più file all'interno dei saloni, come in un super mercato, il tutto arredato alla
perfezione, secondo le norme della moda più in voga nel mondo dei ricchi di tutto il
mondo, tranne i cinesi, cioè all’italiana. Lin Tao, precedendoli di qualche passo, spiegava e
143
forniva gentilmente le indicazioni necessarie. Loro due, un po’ impacciati, con gli zainetti
in spalla, procedevano verso l’ignoto sull’onda della voce arrochita e lenta di Lin Tao.
Non c’era un solo angolo della casa al buio, ma c'erano, per lo più, luci soffuse di colore
arancione, giallo, blu, verde, in una sala con grandi divani addirittura a macchie di
giaguaro, con Pier Luigi Bersani seduto comodamente su uno di quest'ultimi, che li salutò
appena, con un leggero sorriso ed un cenno del capo. Stava guardando in cagnesco
Daniela Garnero Santanchè, tutta fasciata dalla pelle di un pitone vivo, mentre stava
seduta sul teschio, vivo anche quello, di Alessandro Sallusti, ed ascoltava attentamente
ciò che le stava sussurrando all'orecchio Luigi Bisignani.
Poi c'erano lampadari,
portalampade, piantane, tavoli, sedie, librerie, cassettoni, madie, armadi e armadietti con
vetrine dai vetri lisci o lavorati, trasparenti o gialloscuri, due cucine perfettamente lisce,
tutto in ordine. Insomma, sembrava un grande mobilificio nella parte aperta al pubblico
anche la domenica.
“Sceglietevi da soli la stanza” prescrisse Lin Tao “il mio posto è làaa” ed inaspettatamente
si lanciò nell'interpretazione della canzone dei Pooh, di Valerio Negrini, Roby Facchinetti &
comp., mentre apriva una delle poche stanze chiuse, facendo vedere loro il suo
alloggiamento. “Entrate, entrate pure, guardate, così adesso sapete anche dove trovarmi,
se questa notte, o una delle prossime, avrete bisogno di me”.
Praticamente una suite da otto stelle.
“Ma ora sceglietevi le vostre, di stanze, quelle che volete, o anche una sola, se volete
stare assieme. I bagni ci sono dappertutto, ogni tre o quattro stanze, se non in qualche
stanza, in qualche appartamentino come il mio, insomma, dove i bagni e un salottino sono
proprio dentro. Mi raccomando solo che non tiriate su le tapparelle, se vi mettete dalla
parte della casa che è rivolta verso la baracca dove dorme, o fa finta di dormire, Ian. E,
naturalmente, non andate nella stanza di Koi Nahìm, quella da cui usciva la luce. Ha
appena finito di parlare con il Conte e il suo agente finanziario. Sicuramente ora sarà un
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po' stanco. Preferisce dormire da solo, ma nella stanza accanto alla sua c'è quella di sua
moglie. La conoscerete domattina. Ma per questa sera non c’è pericolo che vi sbagliate.
Tutti due chiudono sempre la porta della loro stanza, di notte, come faccio io, d’altronde, e
sulla porta sono ben evidenti i loro nomi”.
Gelindo e Kalura scelsero stanze attigue, ma separate, quasi di fronte alla suite di Lin Tao,
che li stava osservando. Quasi ovviamente, a quel punto, sia Kalura che Gelindo si
trovarono, ognuno, in una suite uguale a quella di Lin Tao. Quella di Kalura era rosa sia
nelle luci che nel ricco arredamento, quella di Gelindo, inevitabilmente, giallo limone.
“Ora datevi una lavata” Lin Tao si era riaffacciata “c’è sia la vasca da bagno che la
doccia...nei cassetti dell’armadio ci sono pigiami o camicie da notte per ogni
gusto...domattina ci penso io a svegliarvi, non preoccupatevi, già mi conoscete un po'...vi
sveglierò con molta mooooolta delicatezza...se sarà il caso di svegliarvi, poi sceglierete i
vestiti che più vi piacciono, quelli pesanti, nell’armadio...ah, a proposito, sapete che sono
già due anni, sei mesi, tre settimane, cinque giorni e quattordici ore che siete su queste
montagne? Beh, buonanotte, a domani”. E se andò, chiudendo la sua porta.
Gelindo e Kalura, senza scambiarsi una sola parola, entrarono nelle loro rispettive suites,
lasciando, però, le porte aperte. Eseguirono alla perfezione quanto aveva loro detto di fare
Lin Tao e, nel mentre si stavano infilando a letto, videro, sui rispettivi cuscini, una rosa
rossa per Kalura oltre che un bacio Perugina che Kalura si pappò all’istante
goduriosamente e leggendo velocemente il bigliettino allegato che diceva: “L'amore è
come uno sciroppo per la tosse. Fa bene, ma provoca assuefazione”, il che ne
richiede, pensò Kalura, una dose sempre più consistente. Gelindo, invece, posò il bacio
Perugina sul comodino, dove c'era una rosa gialla. Sul comodino videro anche, e
simultaneamente senza saperlo, un libro sottile e ben rilegato in cuoio bordeaux, dal titolo
in oro: “Manuale per chi legge questo manuale”. Beh, ambedue si immersero nella
lettura, e passarono tutta la notte a leggere, sonnecchiare, rimuginare.
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La colazione
Il mattino seguente, Lin Tao, delicatamente, bussò alla loro porta, rimasta aperta tutta la
notte, e comunicò loro che la colazione era già in tavola, nella grande cucina. I presenti
stavano aspettando solo loro due.
A capotavola c'era Koi Nahìm, poi, procedendo in senso orario, sua moglie Màriza, poi
Lory, Friz/Qualcuno Due, Gufo Bianco, Ian Ròsslyn, Donna, moglie di Scarabeo Sonno
Sudato, Scarabeo Sonno sudato stesso, Mansueto Omobono e Lin Tao alla destra di Koi
Nahìm.
Nella veranda, all'aperto, alle spalle di Koi Nahìm, Gelindo e Kalura videro un misterioso
signore che stava fumandosi un sigaro Habana lungo mezzo metro, con un diametro di
cinque centimetri, che si divertiva a sbuffare all'aria mattutina dei perfetti cerchietti di fumo.
Vestiva una divisa militare, con trenta centimetri alte decorazioni di tutti i colori, sopra la
tasca sinistra della giacca. Assomigliava in modo impressionante, dato il suo ghignosorriso, a Jack Nicholson nel film “Codice d'onore”, quello con Tom Cruise, che a Kalura
piaceva molto, e con Demi Moore, che a Gelindo piaceva ancor di più. Gelindo e Kalura si
ripromisero, sottovoce, di chiedere a Lin Tao chi fosse quel tale, ma solo un po' più tardi.
“Vi conoscete tutti, vero?” esordì Koi Nahìm “Se non vi conoscete, o sapete poco o niente
di che lavoro stia facendo qui qualcuno dei presenti, questo è il momento buono per
chiederlo” e si raddrizzò sulla sedia, guardandoli tutti, uno per uno...” E aggiunse subito,
senza cambiare tono: “Ho appena mandato via, con l'aiuto di Ian, un faccendiere, una
pitonessa e uno scheletro. Volevano comperare tutte queste montagne, residenti
compresi. Sono stati molto insistenti, ma io, ovviamente, ho rifiutato, anche se, con i soldi
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che mi proponevano, avremmo potuto trasferirci in una zona del mondo ancor più bella di
questa”.
“Come vedete c'è ogni tipo di colazione a disposizione” disse con la solita voce dolce,
pacata ed un po' roca Lin Tao “all'americana, all'inglese, all'italiana, alla cinese, e poi fate
un po' voi, non è obbligatorio mangiare qualcosa, se non ne avete voglia”.
Gelindo avrebbe avuto un sacco di domande da fare, ma preferì starsene zitto e mangiarsi
due brioches accompagnate da un caffè doppio, nonostante le precedenti affettuose
cazziate di Laurel.
Kalura, viceversa, non poté trattenersi “Senti Koi Nahìm, da questa notte mi porto dentro
una domanda forse imbecille, anzi due domande: non ci sono bambini, ragazzi o animali,
quassù? E poi, chi è questo Conte con il suo agente finanziario, che ieri sera Lin Tao ci ha
detto che sono venuti a parlare con te?”.
“Kalura, Kalura” rispose pronto Koi Nahìm, sorridendo un po' e aggiustandosi gli occhiali
sul naso “mi hai fatto almeno tre domande, ed io ti rispondo, se me lo permetti, in ordine
sparso...dunque, riguardo agli animali...”.
Non fece in tempo a finire di parlare, che un orango del Borneo, con molto garbo, gli si
sedette in grembo, e si mangiò una banana, mentre un' anaconda amazzonica, lunga
almeno venti metri, gli si attorcigliò con molta prudenza attorno al corpo, posando il suo
capino mostruosamente grande sulla sua barba. Al che Koi Nahìm le cacciò subito, nella
bocca spalancata, una manciata di carote, assieme a qualche topo morto che, con la
consueta sollecitudine, Lin Tao gli aveva messo, un attimo prima, sul tavolo proprio di
fronte a lui. E, a quel punto, sia l'orango che l'anaconda se ne andarono tranquilli per i fatti
loro, al di fuori della cucina sala per la colazione. “Vedi, Kalura, di animali ce ne sono
quanti ne vuoi, quassù, basta volerli vedere per davvero...ma anche arrivando sul Monte
Vivo ne hai visi tanti, di animali, o no?”. “Certo, certo” si affrettò a rispondere Kalura “ne ho
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visto proprio tanti, anche se mai con la sorpresa con cui ho visto quelli che se ne sono
appena andati”.
“A questo punto, Kalura, ti rispondo sulla domanda che mi hai posto, relativa ai bambini e
ai ragazzi” riprese Koi Nahìm “sappi che, oltre i dodici anni, ne hai già visti tanti, solo che,
magari, dimostravano qualche anno in più...e sotto i dodici anni vivono in una casa, per
conto loro e ci sono degli adulti, rigidamente omosessuali, sia uomini che donne, che si
danno il turno a due per volta, sotto la supervisione della qui presente Lory che, per
omaggiarvi, si è vestita come la Madonna Nera di Loreto...si è messa, come ben vedete,
anche del nerofumo in faccia e sulle mani”.
Lory annuì, con il viso basso, guardando il piatto che aveva davanti e aggiunse,
sollevando gli occhi celestazzurri verso Kalura: “Beninteso che quando i rispettivi genitori
desiderano stare un po' con un loro figlio o una loro figlia, vengono a prenderseli e li
tengono con loro per tutto il tempo che vogliono, ovviamente d'accordo con i rispettivi
Istruttori dei genitori e con le mamy e i papy, cioè i badanti e le badanti, rigidamente
omosessuali, dei piccoli...poi i genitori li riaccompagnano lì dopo aver raggiunto un
accordo ben chiaro, stipulato tutti assieme, bambine e bambini inclusi, che i piccoli
faranno, per un certo periodo, lo stesso lavoro che stanno facendo i loro genitori...ecco, la
sola cosa non tollerata, qui, sono i capricci eventuali dei bambini che si ritrovano a dover
lavorare anche loro, assieme ai loro genitori...ma finora non è mai successo...ah,
dimenticavo...il periodo di assenza dalla casa da parte dei bambini è al massimo di una
settimana al mese...i papy e le mamy sono rigidamente omosessuali perché, per
l'accudimento dei piccoli, sono risultati essere i migliori”. “ E quanti bambini ci sono, ora?”
chiese Kalura, molto affascinata da tutto ciò “Ah, ora sono solo cinquanta, tutti sul Monte
della Gioia, che avrete modo di vedere per bene quando sarà il momento giusto per voi”
rispose Lory, mentre già si stava allontanando dalla cucina, a passo veloce.
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Kalura comprese benissimo il forte significato pedagogico di tutto ciò, fondato sul concetto
di non attaccamento reciproco eccessivo tra figli e genitori naturali, e soprattutto sulla
possibilità, per i bambini, di farsi nuovi amici con cui condividere tutto, ma proprio tutto.
Gelindo, viceversa, stentava un po' a comprendere l'approvazione silenziosa di Kalura
all'esposizione chiara e veloce di Lory ma, ormai l'aveva appreso da un pezzo, non fece
alcuna obiezione.
Koi Nahìm, a quel punto, si alzò in piedi e si accese di gusto una Gauloise senza filtro.
Màriza, sua moglie, non sopportava il fumo e, sventolando le mani davanti a sè, per
allontanare le folate di catrame che le arrivavano addosso, si rivolse con occhi molto
eloquenti a Gufo Bianco e non a Friz, dato che nemmeno lui sopportava il fumo, perché
desse una mano a Koi Nahìm a non precipitare miseramente a terra. Gufo Bianco,
gentilissimo, eseguì prontamente, sostenendo per un braccio Koi Nahìm.
“Dunque, Kalura, mi hai chiesto anche del Conte e del suo agente finanziario, vero?”.
“Certo”, rispose con molta sicurezza Kalura.
“Sei proprio sicura sicura di volerlo sapere?”.
“Ma si, dai Koi Nahìm, dimmelo pure, sono sicura di volerlo sapere”.
“Bene, allora te lo dico...ma prima aspettiamo che chi non vuole sentire ciò che ho da dirti,
se ne possa andare”.
La prima ad andarsene fu Donna che, passando vicino a Kalura le sussurrò: “Devo andare
perché tutte le mie donne mi stanno aspettando”.
“Quali donne?” esclamò a voce alta Kalura, incuriosita, e a quel punto tutti i presenti
poterono udire la discussione.
“Beh, sai” riprese Donna, “io dirigo un Centro per donne vittime di violenza e sono un po' in
ritardo perché il Centro ed altri luoghi che non ti voglio dire, sono tutti sul Monte Vivo,
proprio vicino all'Ospedale, da un lato e, dall'altro, alla caserma grande dei Carabinieri.”.
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“Caserma grande dei Carabinieri?” sbottò Kalura “non ho visto nessun Carabiniere qui, né
tanto meno una caserma grande”.
“Beh, non ci avrai fatto caso...guarderai meglio la prossima volta che passerai di lì” rispose
in modo accomodante, come al suo solito, Donna, e dolcemente accarezzò il viso di Lin
Tao.
“Ma davvero?” riprese Kalura “ma se ripasserò di lì, mi farai vedere questo Centro?”
“Certamente” rispose pazientemente Donna, avviandosi con una certa titubanza verso
l'uscita. Aveva compreso bene che Kalura non aveva ancora smesso di fare domande.
“E quante sono queste donne?”
Kalura stava diventando petulante, ma Donna, impertubabile, rispose “ Il numero varia in
funzione di diversi fattori...e poi, sai, qui ci vengono anche donne da altre Province,
Regioni, Stati, ma diciamo che tra il Centro e gli altri luoghi, oscillano fra le cinquecento e
le duemila al giorno, e con le loro mamme, ci sono anche molti, molti bambini e bambine
piccoli...fortunatamente sono aiutata, in questo coordinamento, da un'altra donna, che si
chiama Bellezza Incompresa ed è esperta in organizzazioni di varie attività, soprattutto
quelle in cui vogliamo che i protagonisti siano bambini e bambine figli di genitori
africani...ogni tanto litighiamo, a proposito dell'educazione di due ragazzine...in questo
momento particolare, una è piccola piccola, ed è anche apparsa sui giornali in braccio a
un famoso uomo politico italiano, ora caduto un po' in disgrazia nel suo partito tormentato,
ed è per questo che lui, il famoso uomo politico italiano è venuto qui, per ritemprarsi un
po', anche perché è stato molto male e non si è ancora rimesso del tutto...l'avrete ben
visto ieri sera...ora, questa bambina di cui vi parlavo, è forse stata, nel passato, più vicina
a lei, mentre a me e a Scarabeo Sonno Sudato è forse sempre stata più vicina la sorella
più grande, una signorina, ormai... ma adesso tutte due abitano da me e Scarabeo Sonno
Sudato...comunque, rispetto alla piccola, ci mettiamo sempre d'accordo, con Bellezza
Incompresa”. E, definitivamente, Donna se ne andò.
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Bellezza Incompresa già la stava aspettando, fumando e andando avanti e indietro con
una smorfietta di leggero disgusto, fuori del cancello ed era, come al solito, sempre in
compagnia della madre Silvy, che cuciva vestitini, li rammendava, e preparava buoni cibi,
cotti e crudi, per chiunque ne volesse, oltre ad essere un' espertissima “guaritrice di
campagna”, specializzata in herpes zoster e distorsioni articolari di ogni articolazione.
Bellezza Incompresa aveva anche scelto l'arredamento, con i colori giusti, per la casa. Era
la sua passione, questa dei colori, e tutti la rispettavano per questo, dato che non si
trattava solo di passione, e basta, ma anche di vocazione ben riuscita.
Ad aspettare Donna, Vicino a Silvy, pazientissima e in compagnia di Bellezza Incompresa,
c'era Maggy “Meg” Loto, italiana amica anche di Lory....beh, lassù quasi tutte le donne
erano amiche....che non aveva un aspetto mediterraneo, ma tendeva all'irlandese di
Belfast o allo scozzese di Aberdeen. Maggy “Meg” Loto teneva al guinzaglio una quantità
enorme di cani e molti altri le scodinzolavano intorno. Amava moltissimo i cani, come più
tardi disse a Kalura, nonostante più d'uno l'avesse morsicata dolorosamente.
Poi c'era una certa Kòchin Pace, che passava, e giustamente, più tempo con Donna, che
non a casa sua. Kòchin Pace era vestita di rosso e di viola, una bellissima sari del Kerala,
dove era stata felice in ben due occasioni ma non voleva ammetterlo, perché laggiù, una
volta, si era presa una storta dolorosa a una caviglia, talmente storta che si era anche
rotto, ma poco, un osso. Donna faceva di tutto perché Kòchin Pace stesse bene, e
Scarabeo Sonno Sudato, il marito di Donna, era l'ultimo a conoscere le ingegnose, ma
sempre ospitalissime, trovate di sua moglie.
A quel punto, ritornando dentro la cucina della colazione mattutina, si alzò anche Màriza
che, passando vicino a Kalura, le disse con voce sussurrata: “Avremo modo di conoscerci
meglio, Kalura. Tra non molto tempo lavoreremo insieme”.
E, scivolando sul pavimento della cucina, come se fosse sui pattini da ghiaccio, sparì dalla
vista di tutti.
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A quel punto si alzò anche Friz che, senza dire una sola parola, annoiato da tutti quei
discorsi, se ne andò.
Nel frattempo, senza che nessuno se ne accorgesse, se n'era andato anche Ian Ròsslyn.
Koi Nahìm , a quel punto, si rimise seduto.
Gufo Bianco allora, liberatosi dall'incombenza di sorreggerlo, se ne andò anche lui, forse
per raggiungere Rainbow Pétite Rose Rouge Zir al d'O, quella donna non tanto alta, gli
occhi grigiazzurri e gli occhiali, che ballava saltando in alto come un'indemoniata, che era
rimasta sul Monte Vivo.
A quel punto, i rimasti erano: Koi Nahìm, che bloccò sul nascere un tentativo di fuga da
parte di Gelindo, che rimase senza obiettare nulla da quanto era frastornato da tutto quello
che aveva visto e udito lì dentro fino a quel punto, Lin Tao, Kalura, Scarabeo Sonno
Sudato da tutti chiamato, per fare più presto“S.S.S.”e Mansueto Omobono.
“Vedi, Gelindo” scandì lentamente Koi Nahìm “ciò che ora dirò a Kalura, riguarda anche te”
e, appoggiandosi bene con i gomiti sul tavolo, da dietro i suoi occhiali con la montatura
gialla, si mise ad osservare con attenzione ambedue.
“Dunque...dove eravamo rimasti...ah sì, il Conte e compagnia bella” e senza cambiare
tono continuò “il Conte è Vlad Tepes Terzo, Conte di Bucovina, Signore dei Boiardi, ma
anche Principe di Valacchia che, con il passare dei Secoli pieni di guerre sanguinosissime,
è diventata tutt'uno con la Transilvania, mentre il suo agente finanziario si chiama Marius
Lakatus. Qualche domanda?”.
Lin Tao era rimasta impassibile, Kalura era sempre più incuriosita, ma se ne stava buona
buona, mentre Gelindo che, dal suo amico libraio di Rovigo, aveva comperato e studiato
qualcosa anche sui vampiri, in particolare su Dracula e Nosferatu, cominciava a dare
segni evidenti di irrequietezza.
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“Il Conte è il nostro maggior benefattore, in termini di denaro” riprese Koi Nahìm “dato che
su tutti cinque i Monti c'è un sacco di gente da mantenere...non tutti possono lavorare, o
non vogliono...sapete...ci sono anche tanti bambini, quindi c'è bisogno di soldi, e tanti”.
Gelindo, a questo punto, chiamate a raccolta tutte le sue energie residue, azzardò una
domanda “Ma, questo Conte, cosa chiede in cambio?”.
Koi Nahìm, con assoluta indifferenza, rispose: “Vedi, Gelindo, devi sapere che il Conte sa
benissimo che noi, all'Ospedale, abbiamo una grande quantità di sacche di sangue, visto
che moltissime persone generose vengono qui, anche da lontano, a donare il loro sangue,
e ce ne sono a migliaia di queste sacche, con sangue di tutti i gruppi sanguigni, sia positivi
che negativi, anche di persone con la leucemia, l'AIDS, e altre malattie sia del sangue che
virali...ora...queste molte, moltissime sacche, sono troppe per le esigenze del nostro
Ospedale, e il fatto che ce ne siano alcune inutilizzabili, per i motivi che ti ho appena
esposto, soprattutto perché alcune sacche sono infettate, il Conte ha semplicemente
chiesto al Presidente dell'AVIS locale, che poi è Mansueto Omobono, di avere il via libera
per accedere ai depositi di sacche...così Mansueto gli fornisce le sacche inutilizzabili...in
fondo, al Conte ne basta una al giorno, anche se un po' avariata, per poter sopravvivere e
può farsi vedere in giro solo di notte, come certamente sia tu che Kalura avrete, a questo
punto, ben capito...o no?”.
Gelindo, sentito tutto ciò, se ne partì con un vomito a raffica e stramazzò a terra, bianco
come un cencio, mentre Lin Tao, con delicate ed abili mosse gli sollevava le gambe e gli
sussurrava qualcosa in cinese all'orecchio.
Kalura rimase immobile per alcuni istanti, poi, dopo qualche minuto di stretching, prese
uno straccio sotto il lavandino e pulì il vomito di Gelindo.
A quel punto Koi Nahìm, sorreggendosi su due stampelle, se ne andò in camera sua.
Dalla camera gridò con voce tonante: “Quando vi sarete rimessi un po', al massimo fra un'
ora, sarete chiamati da non so chi, per continuare con la vostra preparazione al veeero
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iiincontro cooon ddddio...è quello che volevate ed avete sbandierato ai quattro venti...o
no?”.
E si mise subito a russare come solo lui riusciva a fare.
A quel punto, Gelindo e Kalura si decisero a chiedere a Lin Tao, come si erano ripromessi,
chi fosse mai quel tizio che avevano visto seduto nella veranda, alle spalle di Koi Nahìm,
mentre si fumava un sigaro grande come un dirigibile, e perché mai fosse lì. Lin Tao,
sorridendo rispose “ Si chiama Jessep, Colonnello del Corpo dei Marines degli Stati Uniti,
Nathan Jessep, che si pronuncia Gèssap...è arrivato qui da Guantanamo, zona americana
nell'isola di Cuba, dove ogni giorno fa colazione e si fuma uno dei suoi sigari, a duecento
metri da tremila cubani addestrati a sparargli addosso...è qui, giunto all'improvviso, anche
se non è stato invitato da nessuno...e dice che vuol tornare a Guantanamo, per poi
trasferirsi a Washington come Generale, solo quando ci sarà, come Presidente degli Stati
Uniti, una donna, forse la prossima Presidente sarà proprio una donna...Hillary Clinton...la
sola categoria di donne, quella delle Presidenti, che manca alla sua collezione di
conquiste sessuali...sapete che, poco prima che voi lo vedeste, si era mangiato vivo, in tre
bocconi,
il parlamentare italiano, anche se veneziano, più rompiscatole di tutti i
parlamentari dei Parlamenti di tutto il mondo e solo perché questo, francamente un po'
antipatico a tutti, gli aveva chiesto se aveva la Posta Elettronica Certificata? Koi Nahìm
passa molto tempo con Jessep, e gli chiede continue spiegazioni sugli innumerevoli
distintivi che lui ha sopra la tasca sinistra della divisa...boh, anche Koi Nahìm, con tutte
queste sue manie sulle divise, i distintivi e le medaglie! A volte, ve lo confesso, non lo
sopporto proprio per queste sue manie...non so come faccia sua moglie ancora a
sopportarlo, nonostante gliele canti spesso”.
Gelindo e Kalura se ne stettero buoni buoni ad ascoltare. Si erano un pochino spaventati
per quello che avevano appena sentito da Lin Tao, ma non commentarono, né subito, né
in seguito.
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Psicoterapie varie e Meditazioni
Due ore dopo, tutti raccolti in cerchio e, vicini, un certo Anshin Thomas, amico di Koi
Nahìm, ex mitragliere di elicottero in Vietnam, monaco Zen itinerante “senza dimora” nel
suo abito monacale Zen color caffelatte, con Màriza alla sua sinistra, vestita con una
maglietta ed una calzamaglia rosse, aderenti al corpo, e i capelli neri sciolti sulle spalle.
Anshin Thomas, occhialini e volto un po' triste, abbronzato e avvezzo ad ogni intemperia,
disse solo: “Sono responsabile diretto della morte di almeno trecento persone” e,
chiudendo gli occhi, sedendosi a terra, senza cuscini e a schiena dritta, portò entrambe le
manone sul cuore, e se ne stette zitto. Ogni mattina, prima dell'alba, si faceva a piedi,
andata e ritorno, dal Monte Intero alla città, passando per il Monte vivo, con una ciotola da
mendicante in legno. Generalmente ritornava con la ciotola vuota, ma Biscia, di nascosto,
gli faceva trovare la ciotola piena di fagioli.
Màriza si limitò a salutare con un sorriso tutti i presenti, uno per uno...c'era perfino Ian
Ròsslyn...fissandoli dritto negli occhi.
In tutto, una ventina di persone, e c'erano due nuovi, Aurea Straw Mattress, di Baltimore,
Maryland, USA e Violet Crow, Lakota Oglala, del North Dakota, USA, ma Màriza già
sapeva tutto di loro, almeno quel tanto che le bastava sapere di qualcuno, in genere molto,
molto poco. Era stata informata preventivamente da Lin Tao, senza che lei, Màriza, le
avesse chiesto nulla. Lin Tao aveva raccontato tutto quel che sapeva anche a Koi Nahìm
che, a differenza di Màriza, era molto amante di tutti i particolari della vita di ognuno. In
breve: Koi Nahìm era un gran ficcanaso, un grande “impiccione”, come lo chiamava
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affettuosamente, ma non tanto, sua moglie. Quelli che lo conoscevano meglio,
sostenevano che Koi Nahìm possedesse queste caratteristiche non molto edificanti, ma
non lo rivelavano a quelli che l'avevano appena incontrato, anche se al diretto interessato
non poteva fregare di meno che cosa gli altri potessero pensare di lui o, meglio, gliene
fregava, eccome! Solo che non riusciva a tenerne conto. Tutto questo lo disse Koi Nahìm
in persona, a Gelindo e Kalura, in un intervallo di qualche gruppo, nei giorni successivi.
Màriza, uscita dalla casa infestata dalle prodezze, per lei pagliacciate, di Koi Nahìm, da lui
mai smentite come tali ma, al contrario, da lui sempre più enfatizzate come “veri”
insegnamenti di vita, si era risistemata un po' e, una volta nel gruppo, disse solo: “Oggi,
prima condotti da Thomas, e successivamente da me, lavoreremo assieme”.
Gelindo e Kalura, anche loro rimessisi bene in sesto, erano contenti preventivamente di
quello che poteva accadere e, guardandosi reciprocamente con gli occhi pieni d'amore, si
presero per mano. Erano anche molto attirati dai due nuovi, Aurea Straw Mattress e Violet
Crow, e da loro erano ricambiati con occhiate furtive, ma nemmeno tanto. Si
assomigliavano fisicamente come mai, nessuno dei quattro, avrebbe mai immaginato che
potesse succedere.
“Allora, cominciamo”, soavemente annunciò Màriza.
Bisognava, però, essere assolutamente disponibili a mettersi in gioco totalmente in alcune
situazioni che, lassù, venivano chiamate gruppi di terapia e di meditazione, di cui loro
sapevano qualcosina, per quanto riguarda la meditazione, fin dai tempi di Rovigo, poi con
Kata ed altri.
Il primo giorno fu fatto un discorso chiarissimo sia ai nuovi arrivati che ai vecchi.
Màriza disse loro: “ E' bene che sappiate, fin da subito, che qui si tratta di fare in
modo che voi recuperiate il vostro centro, cioè il vostro cuore, perché per poter
essere interi bisogna soprattutto recuperare il cuore. Ma per recuperare tutto il
cuore c’è, prima di tutto, da recuperare la propria storia. C’è bisogno di andare a
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recuperare tutte quelle parti che, dentro, tutti noi abbiamo negato, tutte quelle parti
che, dentro, tutti noi abbiamo messo in contrapposizione le une alle altre”.
E Gelindo, subito,: “Quali per esempio?”.
“Mah, per esempio, la contrapposizione tra ciò che sembra opposto, all'interno di
una storia che è solo nostra, a partire dalle figure più significative per noi”.
E allora iniziò un addestramento molto intenso, un addestramento fatto soprattutto, di
gruppi terapeutici che si alternavano a meditazioni di vario genere. Le meditazioni di
origine buddhista, tipo shamata e vipashyana venivano guidate da Anshin Thomas, mentre
altre, tipo il Kriya Yoga, vennero loro insegnate da Tizione, il radionico, che invitò tutti a
praticare questa meditazione ogni giorno, ogni giorno, per almeno mezz'ora. Questa
meditazione proveniva dall'insegnamento di Paramahansa Yogananda, che l'aveva
appresa, a sua volta, da Shri Yuktesvar Giri, e l'aveva insegnata al suo discepolo
Kriyananda.
Tizione aveva ricevuto il brevetto a Los Angeles, per poterla insegnare.
Julie e Angel introdussero i presenti alla Dinamic Meditation, alla Kundalini Meditation e
alla Mystic Rose, tutte tecniche strutturate di meditazione ideate da Osho, che lassù, su
quei Monti, era certamente di casa, anche se, nel corpo, era morto da più di vent'anni.
Vennero poi affrontate, con la guida di Màriza, tematiche quali il rapporto con i genitori,
il rapporto con i propri morti, il rapporto di coppia, il rapporto uomo/donna, il
rapporto sessuale in particolare.
Subentrarono, ad un certo punto, ma per un periodo limitato di tempo, tre nuovi conduttori
di gruppo: uno, che si chiamava Alby, di Genova, che introdusse i presenti alla tecnica del
“Dialogo delle Voci” che suscitò, nei partecipanti, solo un moderato interesse, non si sa
bene per quale motivo, visto che si tratta di una tecnica molto interessante. Il solo ad
incoraggiarlo a continuare per un'altra settimana, dopo i primi tre giorni, fu Koi Nahìm che,
tra l'altro, era stato proprio lui ad invitare Alby su quel Monte, vista la lunga conoscenza
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che intercorreva tra loro due, fin dai tempi in cui Alby era stato ospitato per un periodo
abbastanza lungo, in un'altra città, a casa di Koi Nahìm, generosamente ricambiato da
Alby con la preparazione del cibo. Alby era, a quei tempi, reduce da un periodo di
residenza attiva presso l'Istituto buddhista più famoso d'Italia, dove stava quasi per
prendersi gli ordini monacali. Da quell'Istituto era stato prelevato da una certa Carole Vik
Ferrouille, che ancora stava girando su quei Monti, ma tenendosi un po' in disparte da
tutto e tutti, tranne poche persone, selezionate nel tempo e attraverso vicende a volte
anche dolorose. Koi Nahìm era molto grato ad Alby per averlo introdotto nel mondo
buddhista ed era anche molto grato a Carole Vik Ferrouille che, per prima, aveva iniziato a
registrare, e poi a fare in modo di pubblicare, le infinite chiaccherate di Koi Nahìm, un
chiaccherone narcisista ed istrionico senza pari al mondo. Alby se ne andò per la sua
strada, senza soffermarsi troppo sul moderato interesse suscitato nei partecipanti ai gruppi
da lui tenuti con la tecnica del “Dialogo delle voci”. Altrove c'era gente più interessata e,
comunicandoglielo, tranquillizzò Koi Nahìm.
L'altro conduttore temporaneo si chiamava
Albione, veniva da Milano, passando per
Kabul e Reggio Emilia, ed aveva la fissa della Gioia, nei suoi gruppi, che conduceva con
un suo amico filosofo di lingua spagnola.
Anche lui, invitato lassù da Koi Nahìm, che non si ricordava nemmeno quando e come si
fossero conosciuti, ma di lui , di Albione, Koi Nahìm sapeva che era molto generoso ed
amante della natura in tutte le sue espressioni, di cui sapeva tutto, o quasi, ad esempio i
nomi di tutti gli alberi, dei fiori, degli uccelli, delle nutrie...ecco, Albione era specializzato in
nutrie e in viaggi. Soprattutto in viaggi. Dovunque si trovasse, nel mondo terracqueo, se la
sapeva sempre cavare bene. Albione spediva spesso a Koi Nahìm i suoi diari di viaggio, di
cui l'ultimo, più travolgente, dall'Afghanistan, dove, peraltro, era già stato come turista
anche in precedenza. Da Milano, dove era temporaneamente tornato per recuperare un
poco d'aria di famiglia, Albione aveva fatto una telefonata a Koi Nahìm, il quale lo invitò a
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raccontare l'episodio a tutto il gruppo. L'episodio consisteva in questo: un giorno, un po'
sprovvedutamente, Albione ed altri suoi amici recuperati sia lungo il viaggio, che a Kabul
città, cominciarono ad avventurarsi sulla strada impossibile, a senso unico e in salita, che
porta a Khyber Pass, dove c'è il confine con il Pakistan. Improvvisamente, percorsi
nemmeno cento metri, alcuni macigni rocciosi ed arbusti spelacchiati si trasformarono in
distinti signori con il turbante nero e con il Kalashnikov puntato a cinque centimetri dal loro
naso. Prima interrogati in un perfetto inglese su cosa diavolo ci facessero lì, assolti
inaspettatamente da morte certa, furono derubati di tutto quel che avevano con loro, tanto
da dover tornare a Kabul città in mutande e a chiedere asilo in un orfanatrofio, dove
ottennero un po' di cibo e, soprattutto, qualcosa con cui vestirsi. In cambio fecero del
volontariato di qualche giorno. Albione fu, da Koi Nahìm, amichevolmente invitato a
sostenere l'esame previsto per fare, di professione, la guida turistica elitaria, in luoghi
misteriosi ed interessanti, ad esempio proprio a Khyber Pass, o ancora un po' più sopra,
all' Eagle Pass, anche quello al confine tra l'Afghanistan e il Pakistan, dove recentemente
il Mullah Mohammed Omar e il medico egiziano Ayman Muhammad Rabi al-Zawahiri,
anche se tra loro due sorge ogni tanto qualche discussione, hanno allestito un ottimo
albergo ristorante. Koi Nahìm aveva saputo tutto ciò da qualcuno bene informato, che gli
aveva riferito la cosa in modo molto riservato, ma Koi Nahìm, un giorno, ne fece una
conferenza pubblica in presenza di una troupe di Telepadova, un'emittente televisiva
chiamata apposta. Loro due, disse Koi Nahìm alla conferenza, hanno aperto quell'albergo
ristorante in onore, sia pure per diversi motivi, di Usama bin Muhammad bin 'Awad bin
Laden, con specialità gastronomiche trafugate ad Alì Hassan Abd al-Majid al-Tikritieh,
cugino di Saddam Husayn 'Abd al-Majid al-Tikriti. Alì Hassan Abd al-Majid al-Tikritieh,
come Saddam Husayn 'Abd al-Majid al-Tikriti spettacolarmente e tragicamente impiccato,
era stato, non tanto scherzosamente, chiamato “il chimico”, da quanto era stato fantasioso
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nelle sue ricette culinarie, a base di curdi, frutti esotici appena scottati sulla brace e poi
conditi con sanguinaccio tipico iracheno sciita.
Koi Nahìm aveva incoraggiato Albione a fare la guida turistica non prima, ovviamente, di
scrivere nei minimi dettagli una guida di quei luoghi, migliore di quella della Lonely Planet
che, di quei luoghi, conosce abbastanza poco, per non dire niente. Albione era ripartito,
quasi subito, per l'Afghanistan, perché invitato dall'Università di Herat ad assumere una
docenza, in ruolo, in “Antropologia, zoologia e botanica comparata mondiale”.
Il terzo, ed ultimo Istruttore provvisorio, si chiamava Parla nella Notte, era uno psicologo
laureato a Padova, ma residente a Milano, dove frequentava una Scuola di
Specializzazione
quadriennale
in
“Psicologia
Transpersonale”
con
Pierre
Louis
Lactuadadaò, sciamano brasiliano-milanese molto bravo nel suo lavoro. Parla nella Notte,
che aveva anche bazzicato gli ambienti dell'Analisi Bioenergetica e dell'Analisi
Transazionale, faceva, di notte, il DJ, proprio di fronte alla Stazione Centrale di Milano,
sulla sinistra, in un grattacielo frequentato da Fabio Volo e da Platinette.
Per tre giorni e tre notti, senza interruzione, guidò tutti i partecipanti verso i primi rudimenti
del tamburo e del bastone, ma quasi tutti lo interrompevano di continuo con la domanda:
“Ma tu pensi davvero che se tuo padre, o tua madre, avendo un disturbo da curare...di
qualsiasi tipo esso sia...ci crederebbero a queste storie sciamaniche?”.
Evidentemente, tutti quelli che gli ponevano una simile domanda, avevano assimilato a
modo loro gli insegnamenti di altri Istruttori.
Fatto sta che Parla nella Notte, per cavarsela, rispondeva: “Mah, a me sembra che da
Pierre Louis ci vadano in tanti e che poi siano soddisfatti del trattamento ricevuto...”.
“Ma i clienti di Pierre Louis sono, anzitutto, milanesi acculturati, pieni di soldi, e già
conoscono qualcosa di sciamanesimo anche solo per averlo letto su qualche rivista...ma
soprattutto sono milanesi di qualche giro della Milano “bene”...ed è noto a tutti che ai
milanesi piacciano molto le cose un po' strane...per poi farsi belli con gli amici o con le
160
amiche...mica tutti, beninteso” sbottò Ian Ròsslyn, andandosene dal gruppo “solo quelli
che di soldi ne hanno tanti...e Milano è la città, al tempo stesso, più ricca e più viziosa di
tutte le altre città italiane!”. In Ian Ròsslyn, finalmente, stava uscendo nuovamente il
Professore Universitario di Storia Italiana Contemporanea, quale era stato ad Edimburgo.
Dal canto suo, Parla nella Notte, che non era affatto uno scemo, dopo aver ringraziato
tutti, e soprattutto Koi Nahìm, mollò tutto lì, se ne tornò a Milano, a giocare a pallacanestro
rompendosi il naso, poi si mise ad intervistare, con interviste niente male, i desideri, le
speranze, le delusioni, le disillusioni di molte persone, soprattutto giovani, interviste
rintracciabili, tutte, su You Tube e, alla fine, se ne andò prima in Brasile, da solo, e poi in
India con Beatrix, la sua morosa.
I partecipanti a quei gruppi rimasero lì circa cinque anni, su quel Monte. Alla fine dei
cinque anni, Koi Nahìm aveva cambiato il nome a Gelindo e Kalura, trasformandolo in
Gelura e Kalindo.
Gelura e Kalindo avevano preso questo nome da quando avevano partecipato a un
gruppo, guidato da Màriza, in cui c’era da conoscersi profondamente nel proprio
maschile e nel proprio femminile che ognuno di noi si porta dentro. Ogni uomo
porta dentro di sé una parte femminile e ogni donna porta dentro di sé una parte
maschile.
E da quando li avevano messi in coppia per tre mesi, e attraverso particolari indicazioni
dati da un’Istruttrice donna, Julie, che già tutti loro avevano conosciuto come insegnante
delle meditazioni di Osho, che faceva riferimento a tradizioni antichissime che rientrano
nel capitolo della sessualità sacra, l’uomo e la donna dentro Gelindo e Kalura si
erano rispettivamente ridimensionati, per lasciare posto, dentro di loro, alla polarità
opposta. Cioè : Gelindo era diventato cinquantun per cento uomo e quarantanove
per cento donna e Kalura cinquantun per cento donna e quarantanove per cento
uomo.
161
A quel punto, dato che gli Istruttori avevano una capacità di comprensione strabiliante,
avevano proposto a Koi Nahìm di cambiare il loro nome, dopo aver comunicato a Gelindo
e
Kalura:
“Bene,
avete
lavorato
assieme
tre
mesi...adesso
siete
diventati
praticamente...avete capito che siete la stessa cosa?...solo con una proporzione diversa
per quanto riguarda gli aspetti esteriori ma, per quanto riguarda le energie interiori, tutto
sommato siete la stessa cosa. L’avete compreso, questo?”.
“Sì, non solo l’abbiamo compreso, ma anche lo sentiamo con precisione!” risposero
assieme Gelindo e Kalura.
“Bene, allora da questo momento tu ti chiamerai Gelura e tu Kalindo”, sentenziò
solennemente Koi Nahìm.
Gelura e Kalindo, a quel punto, avevano realizzato questa unione.
Poi seguirono mesi e mesi e mesi di meditazioni, che servivano fondamentalmente
a buttare via tutte ciò che non era più necessario, che appesantiva il procedere e
impediva alla mente di snebbiarsi.
Alternavano queste meditazioni a gruppi di terapia in cui piano piano venivano
recuperate tutte le figure significative della loro vita, a partire dai loro genitori, vivi o
defunti, e finalmente apprendevano che il segreto era quello di onorare chi aveva
dato loro la vita. Per tutta la vita non avevano fatto altro che lamentarsi dei loro
genitori, come Kalura, o ad avere una paura terribile del loro giudizio, come Gelindo,
e non avevano risolto nulla e lì, guarda caso,
era stato loro proposto
martellantemente da Màriza: “No, ribaltate il concetto: onorateli,
inchinatevi di
fronte a loro. Voi siete piccoli, loro sono grandi. Inchinatevi di fronte a loro : solo
così vi potete mettere il cuore in pace. E questo non vuol dire assolutamente che
dovete fare quello che vogliono loro se non è anche il vostro volere, ma che li
dovete semplicemente onorare. “Onora il padre e la madre” ha questo significato”.
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E poi altri gruppi, gruppi in cui li facevano tornare bambini, gli davano in mano dei
peluches, degli orsacchiotti, dei biberon da succhiare... gruppi sui rapporti di
coppia in cui c’erano questi personaggi: la vittima, il persecutore, il salvatore, che si
intrecciavano tra loro. Insomma gruppi di tutti i tipi.
Erano stati rivoltati come guanti o come calzini e alla fine si erano ritrovati nudi,
centrati sul loro cuore. Erano andati dentro di loro in profondità alla ricerca delle
loro radici e avevano imparato ad allargare le braccia nei confronti del mondo che li
circondava. Quello che adesso mancava era il pezzo della croce che va dal centro
verso l’alto.
A quel punto Koi Nahìm disse loro : “Avete finito questo periodo di addestramento.
Giacomo Uomocollina mi ha detto che vi ha osservato per bene, durante questi ultimi anni
ed era davvero contento di comunicarmi che siete andati ben oltre ciò che, all'inizio, si
aspettava da voi. Mi ha anche detto che gli Istruttori sono stati bravissimi. Ora, mi ha detto,
ora che avete raggiunto il cuore dei due assi portanti del vostro corpo, ore è necessario un
ulteriore lavoro verso l'alto, per far fiorire in voi la vostra anima. Anche Selène si
complimenta con voi e vi saluta...è partita ora per la sua casa in Scozia...da parte sua un
abbraccio particolarmente caldo a Kalura e mi ha incaricato di dirti, Gelura, che se continui
il viaggio, molto probabilmente vi incontrerete nuovamente sul Monte della Gioia...quindi,
adesso potete proseguire”. Gelura piangeva di felicità “Il prossimo Monte è il Monte
dell’Infinito. Lì potrete continuare la vostra ricerca...di voi stessi e di Dio, cioè della stessa
identica cosa...a meno che non desideriate restare qui, per fare, magari, gli Istruttori...”.
“No, no, desideriamo proseguire” dissero all'unisono Kalindo e Gelura.
“Ma, Koi Nahìm, come si va sul Monte dell’Infinito?”chiese con apprensione Gelura.
“Al monte dell’Infinito si va solo nel momento in cui ci si riesce ad andare da soli, senza
ricevere nessuna istruzione” rispose sorridendo Koi Nahìm.
“Oh! Questa è bella!”, pensò Kalindo.
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Kalindo, in realtà, fu molto affascinato da questa storia. Era una specie di quiz.
Disse a voce alta: “Troveremo la strada solo quando sapremo da soli qual è la strada? In
questo casino di posto in cui non si capisce da che parte bisogna andare? Non riusciamo
più neanche a capire se siamo venuti da quel Monte lì o da quell’altro Monte là. Perché mi
romperebbe un po' le balle tornare nel Monte Vivo e di nuovo essere sottoposto a tutti
quegli addestramenti. Io voglio andare in questo nuovo Monte, ma se magari è quell'altro,
il Monte...come si fa a capire?”. E, a questo punto, si prese una potente sberla da Ian
Ròsslyn.
Allora Gelura, che era diventata molto più centrata di quanto non lo fosse all’inizio, ebbe
un’intuizione profondamente femminile e disse: “Ma per trovarci lì, su quel Monte, è
sufficiente che facciamo come se fosse già qui, quel Monte...cosa ci può essere nel
monte dell’Infinito se non la possibilità di contattare l’Infinito?”.
Kalindo, massaggiandosi un po' la guancia sinistra, allora disse: “Come si fa a contattare
l’Infinito?”. E Gelura: “Basta mettersi seduti così, chiudere gli occhi”.
A quel punto anche Kalindo fece come Gelura, si mise lì anche lui, così, e
improvvisamente si accorsero che gli spazi, i tempi in cui non c’erano tanti pensieri dentro
di loro, erano sempre più lunghi.
Di questo se ne accorgevano sempre dopo. “Dopo, ci si accorge di queste cose”,
aveva risposto Anshin Thomas, da loro interpellato per un simile fenomeno da loro
sperimentato dopo tre settimane consecutive di Vipassana. “Dopo un po’ ci si
accorge : sono passati due, tre minuti...e non ho pensato a niente”.
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Il Monte Infinito o Monte Sacro
E improvvisamente, come per magia, si ritrovarono su un altro Monte. Si trovarono
all’improvviso sul
Monte Infinito, seduti lì, fermi. C’erano riusciti. Erano passati di
dimensione. Erano riusciti ad andare oltre se stessi. Aprirono gli occhi, si guardarono
attorno e videro gente con bellissimi vestiti, di armoniosi colori e fogge, con delle tonache
arancioni, bordeaux, alcuni con una canottierina gialla con il braccio destro nudo, altri
vestiti con una tonaca bianca, altri con una tonaca nera, altri con una tonaca verde, alcuni
con una tonaca blu. E capirono che si trovavano in un posto dove c’erano persone
avanzate sul cammino perché erano tutte assolutamente ferme, silenziose, sembrava non
avessero alcun bisogno, molto, molto centrate e, soprattutto, estremamente serene.
Erano entrati in contatto con l’Infinito.
L’Infinito che va oltre il finito del nostro corpo, pur essendo ancora vivi.
Finché, dopo un po’ che erano lì, si avvicinò uno con gli occhiali, molto elegante, che
evidentemente era un Istruttore, vestito tutto di verde, i capelli bianchi ed una barba
brizzolata, ben curata, il naso un po' a becco che disse loro, sussurrando: “Adesso potete
stare qui finché vi pare, ma sappiate che il viaggio non finisce qui...però potete stare qui
finché sentite che vi siete proprio impregnati di Infinito, di qualcosa che va al di là degli
oggetti, delle cose che voi conoscete, delle cose che potete toccare, delle cose che potete
annusare, qualcosa che va al di là del vostro corpo...potete stare qui quanto vi pare”.
“Certo” risposero simultaneamente Gelura e Kalindo “ma, per favore, dicci prima il tuo
nome...se vuoi...”
“Ah, beh, il mio nome è Bandiera Gialla, ma sono conosciuto un po' in giro per il mondo
con il nome di Franco Battiato...”. Al che, sia Kalindo che Gelura, svennero per due giorni.
Ma, una volta ritornati in se stessi, stettero lì tutti e due, Gelura e Kalindo, forse due o tre
anni, assolutamente fermi, non sentivano bisogno di alcunché.
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Erano totalmente in pace dentro di loro.
Bandiera Gialla, un giorno di Primavera, ed era già passato qualche anno, si avvicinò loro
con molta discrezione e, sempre sussurrando com'era suo costume, disse a Kalura:
“Kalura, sto architettando un'orchestrina al gran completo...ci stai a fare da primo violino e
da cantante solista?”.
“Beh, sai, sono fuori allenamento da molto tempo...non so bene quanto, ma se me lo
proponi tu, ci sto, eccome...spero tu sia paziente con me...grazie, Bandiera Gialla” rispose
Kalura, mentre Gelindo, già stava automangiandosi tutto l'apparato digerente per l'invidia e
per la gelosia. Ovviamente Bandiera Gialla se ne accorse e gli sussurrò: “Ma Gelindo...ci
sarai anche tu...per te andrà benissimo il triangolo, strumento che pare facile, ma non lo è
affatto!”. E approfittò dell'occasione per presentare loro il suo carissimo amico, un po'
sbiadito in volto, Manlio Sgalambro, sbiadito come l'amico Giorgio Gaber e il coloratissimo
Andrea Deva Majid Valcarenghi.
Gelindo saltò in braccio a Bandiera Gialla e si misero a giocare come due pargoli innocenti
per almeno due settimane.
Bandiera Gialla, Kalura e Majid, nel giro di un anno, coinvolsero tutti i presenti sul Monte
Infinito, e Majid, esperto nell'organizzare eventi grandiosi, tipo due “Parchi Lambro” e
mistici incontri, con migliaia di persone sia underground che on the road al “Macondo”,
convinse tutti quelli che incontrava sui cinque Monti, e perfino giù in città, a mettere in
funzione un'orchestrona polietnica e multireligiosa composta da trenta strumenti a corda,
due pianoforti, cinquanta fiati, quattro percussioni e un solo triangolo. Bandiera Gialla
Direttore d'Orchestra.
Poi, cinquantadue coristi, maschi e femmine, ed una sola voce solista, Kalura.
Alla “prima” furono invitati gratis, su un pianoro che dava su un burrone a strapiombo di
duemila metri, tutti gli Istruttori e i residenti di tutti cinque i Monti che volessero e
potessero, visti i turni di servizio, partecipare. Fu un enorme successo, che Bandiera
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Gialla non aveva avuto modo di verificare né a New York, né a Vienna, né a
Berlino...quattro ore di applausi, venti bis e centoundici spettatori svenuti per la
commozione.
Gelindo e Kalura, stremati, dormirono di filato per un mese, senza mangiare, né bere e
solo lentissimamente si ripresero e continuarono a fare i fatti loro. Finché un bel giorno si
guardarono sorridendo e si dissero: “Vogliamo continuare o ci fermiamo qui?”. Perché
anche lì era stato detto loro, da parte di Bandiera Gialla: “Se volete fermarvi qui potete fare
gli Istruttori, oppure potete tornare in città”.
“No, noi vogliamo finirlo tutto, il viaggio”.
“Ah! Volete continuare il viaggio? Bene. Vi ho osservato in questo periodo e certamente
l’Infinito l’avete contattato, quindi sapete bene che cosa sia l’essere vivi, sapete bene che
cosa sia l’essere interi. E avete contattato l’Infinito, che è ciò che vi ha consentito di essere
interi per davvero, quindi sapete anche cosa voglia dire essere infiniti, soprattutto per
merito della musica. D'altronde tutto il magma cosmico ha preso l'abbrivio da un suono, da
un suono sacro...adesso sappiate che il prossimo monte è il Monte della Gioia...ma, ve lo
voglio proprio dire...chi ha fatto prima questi Monti avrà qualche difficoltà sul Monte della
Gioia”.
“E perché qualche difficoltà?”.
“Mah, sperimenterete...adesso per andare sul Monte della Gioia, però, sappiate che c’è un
solo modo: il deltaplano”.
Il Monte della Gioia
A tutti e due venne fornito un deltaplano.
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Si misero sul bordo del Monte Infinito, tutti e due in deltaplano... aggrappati a queste
ali...si buttarono e...atterrarono sul Monte della Gioia, dove c’era un casino della madonna,
dove c’era gente che cantava, che suonava, che ne faceva di tutti i colori, che si divertiva.
C’era anche chi era perfettamente fermo, addormentato, ma con un sorriso beato,
russando a tutto spiano, gioioso.
C’era chi si muoveva, e anche lì erano arrivati sia Energy che Selène, che correvano
ognuno per conto proprio, ambedue gioiosi! Selène vide subito Kalura e la portò con sé
in una tenda sciamanica, dalla quale, dopo due ore, Gelido vide uscire del fumo azzurrino,
ma non se ne preoccupò più di tanto.
Ben presto videro Aurea Straw Mattress e Violet Crow, che dissero loro, festosamente, di
chiamarsi, già da qualche anno, Violetaureo e Aureacrow. Avevano con loro una bambina
ricciolina, bionda-marroncino, di nome Gioia ed un piccolissimo bambino in braccio alla
mamma, di nome Elìa. Gioia guardò attentamente sia Gelura che Kalindo, e li mandò
subito a quel paese, correndo via veloce per giocare con i bambini e le bambine della sua
età, sotto l'occhio attento, affettuoso e competente di Lory.
Sul Monte della Gioia la regola era l'essere gioiosi in qualunque modo ci si possa ritrovare
gioiosi. Ovviamente, però, occorre tener conto che Gelura e Kalindo avevano già passato
qualche anno attraverso molte altre esperienze, sugli altri Monti. Quindi anche lì, dopo
tutto quel percorso, le occasioni di gioia erano cambiate a seconda dell’età e a seconda
delle esperienze che avevano vissuto. Dunque, nonostante tutto, c’era ancora Gelura che
aveva dentro di sè un po’ di Kalura!
E Kalura aveva capito che lei riusciva ad essere veramente gioiosa solo quando faceva
l’amore. Ah, che grandiosa scoperta poterlo dire! C’era una cerimonia che veniva fatta
ogni pomeriggio in cui uno doveva gridare ai quattro venti, con tutto il fiato che aveva in
gola “Io sono gioioso quandooo...”.
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E quando fu il momento di Gelura, lei gridò: “Io sono gioiosa quando faccio l'amoooore”.
Poi, fermatasi per un momento... “Con uno che mi piace...!!! Quando faccio l'amore con
uno che mi piace e che mi fa...con uno che mi fa provare un orgasmo cosmicoooo!!!
Fu ribattezzata all’istante Kalura.
A Kalindo, con il passare degli anni, erano spuntati alcuni capelli bianchi. Era dimagrito un
bel po’ e quando fu il suo turno di andare lì e dire le cose per cui lui era gioioso: “Io sono
gioioso quando... io sono gioioso quando... io sono gioioso... cazzo, non mi ricordo più!!!”.
Fu promosso lo stesso, perché per uno come lui non ricordarsi una cosa di questo genere
era molto importante. Però poi, alla sera, il capo Istruttore, che a quel punto era Scarabeo
Sonno Sudato, lo prese da parte e gli chiese: “Insomma, tu, quand’è che sei gioioso?”.
E lui rispose: “Guarda, la cosa più importante per me è che non mi rompano i coglioni”.
E Scarabeo Sonno Sudato: “Dillo in positivo, nessun “non”!”.
Allora l’indomani: “Io sono gioioso quando mi lasciano in paceee!!!”.
E ci fu un tripudio generale, perché tutti furono contentissimi che finalmente era riuscito a
dirlo, e a dirlo nel modo giusto. Nel frattempo,
Kalura stava dandoci dentro con un
armeno, molto delicatamente e con molto affetto.
E invece a Kalindo, ritornato Gelindo, su questo Monte della Gioia venne data proprio
come indicazione quella di cercare accuratamente tutte le situazioni in cui fosse lasciato in
pace. E lui poteva scegliere quello che gli andava al momento. A volte gli andava anche di
lavorare, di dare una mano. Gli era rimasta la passione delle carotine, di quelle robe lì,
perché andava spesso in cucina. Ma, soprattutto, si sentiva autorizzato da quel momento
in poi a dire a uno: “Senti, lasciami in pace!”. E si sentiva assolutamente a posto.
Insomma, in questo luogo si facevano danze, canti, recite, teatri, c’erano giocolieri, c’erano
funamboli, mangia e sputafuochi, c’erano falò tutta la notte, tamburelli, giravano a tutto
spiano sigarette elettroniche al tetraidrocannabinolo, ma anche sigarettine alla menta e,
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per i non fumatori, caramelline di ogni colore e sapore. Insomma, c’era di tutto, ma solo
per chi lo desiderasse davvero.
C’erano letti di tutte le proporzioni che ci potevano essere. E c’era sempre Koi Nahìm,
sempre lo stesso. Dormiva, o faceva finta di dormire. E lui era gioioso quando poteva stare
steso e dormiva. Un po' dormiva e un po' era così, con gli occhi socchiusi a guardare il
soffitto o il cielo, un po' perso. Vicino a lui, che amava fare le sue stesse cose, sempre
S.S.S., nonostante le rispettive incazzature, al proposito, di Màriza e di Donna.
C’erano, insomma, persone di tutti i tipi. C'era Uttama Das, “servo degli ultimi”, che aveva
ricominciato a voler essere padrone dei primi, e allora si prendeva solenni calci nel sedere
da Marius Solly, omeopata unicista, pluralista e complessista, psicoterapeuta allievo di
Marina Valcarenghi, junghiana sorella di Andrea Majid, ed anche sciamano discepolo di
Ronnie, assistito perennamente da Elizabeth Hijemm, fiamminga, pure lei discepola di
Ronnie e, pur essendo rigidamente macrobiotica, era una tra le donne più sensibili e al
tempo stesso forti ed intelligenti, apparse sull'emisfero settentrionale del Pianeta Terra dal
Mesozoico Superiore in avanti.
La caratteristica di questo Monte, comunque, era la molta gioia presente in tutti i suoi
residenti, passeggeri o permanenti.
C’era Cesco, che raccontava le sue barzellette accompagnandosi con il violino, e giù
barzellette, storie, racconti. Persino Gigi, ex ferroviere con una faccia da Woodstock non
ancora rientrato a casa, rideva dalla mattina alla sera! C'era Freccia che raccontava storie
misteriose dei nativi americani, Innocenza che poteva finalmente aspirare il profumo di tutti
i fiori che c'erano lassù, Amore che danzava il tango con Guido.
Quando Kalura e Gelindo raggiunsero un buon livello di conoscenza della gioia, e questo
era visibile dal loro aspetto, dalla loro serenità, allora vennero congedati. E anche in
quell’occasione venne posta loro la solita domanda: “Volete fermarvi qui, volete ritornare
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magari su qualche Monte precedente, e magari anche per fare gli Istruttori, volete tornare
in città o volete continuare?”.
“Vogliamo continuare”.
“Il prossimo Monte è quello della Saggezza, il Monte Saggio ed è l’ultimo Monte”.
Il Monte Saggio o Monte della Saggezza
Il Monte della Saggezza si poteva raggiungere solo scendendo a piedi dal Monte della
Gioia, una discesa faticosissima in cui ci si ruzzolava tirandosi dietro delle pietre, dei sassi,
scorticandosi da tutte la parti, e poi c’era da attraversare tutto un pantano pieno di rovi.
Insomma, un viaggio difficilissimo.
Poi ci si doveva inerpicare col sole che batteva su un ghiaione che conduceva a tremila
metri sul livello del mare, proprio in cima al Monte della Saggezza.
Kalura e Gelindo, arrivati sul Monte della Saggezza, videro pochissime persone, perché
pochissime persone riuscivano ad arrivare fino a quel Monte, soprattutto sulla cima. E gli
Istruttori erano tutti molto, molto anziani. Non si capiva bene se erano anziani per l’età
oppure se erano giovani che avevano l’aspetto di anziani, fatto sta che erano tutti molto
autorevoli nell'aspetto.
E la prima lezione che venne data loro fu una lezione che durò circa due mesi, sempre
sotto forma di meditazioni, e fu la lezione sull'interdipendenza di tutti gli esseri.
Tutti siamo uno, tutti siamo collegati. Partecipiamo tutti della stessa natura. Siamo solo
forme diverse, provvisorie, di una stessa natura. Gli Istruttori Regolamentari erano
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diversamente coloriti, con voci tra loro più o meno udibili da cinque metri e
intermittentemente consistenti nella loro figura, tanto da non essere sempre ben visibili
nemmeno da vicino, vicino. Gli Istruttori Regolamentari erano: il Direttore Mondiale di
Amnesty, Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma; Henning Mankell, genero di Ingmar
Bergman, romanziere, drammaturgo, attore teatrale e polivalente artista figurativo,
svedese-mozambicano appena uscito da una prigione israeliana; Sua Santità Tenzin
Gyatzo, il XIV Dalai Lama, tibetano esiliato in India; Padre Raimon Panikkar in compagnia
del suo conterraneo di nascita indiana e confratello di professione religiosa Anthony De
Mello, un po' pallidi ambedue, come Gandhi, e ambedue cosmopoliti come il Dalai Lama;
Hans Kung, teologo tedesco con qualche conto in sospeso con San Giovanni Paolo II, in
compagnia del suo amico genovese don Andrea Gallo, molto colorito anche se defunto.
Poi, inaspettatamente anche se non troppo, Papa Francesco, che cantava a squarciagola,
assieme a Suor Cristina Scuccia, la vincitrice di “The Voice”, edizione italiana, “ Hasta
siempre Comandante”, dei Nomadi, ed invitava tutti a pregare per la Pace nel Mondo
assieme a lui, in almeno otto lingue diverse, cosa che tutti, ma proprio tutti, accettavano di
fare molto contentissimi, in particolare il Dalai Lama, che aveva sospirato, in tibetano:
“Finalmente!”. Si erano esclusi J-Ax e Piero Pelù che passavano di lì per caso, ma
dovevano fare i duri a tutti i costi. Si era associata, nella preghiera, perfino Emma
Marrone, che finalmente aveva fatto la pace con Suor Cristina ed era giunta al seguito di
Maria De Filippi, spedita lassù sui Monti, a cercar nuovi talenti, da suo marito Maurizio
rimasto a Roma.
Questi Istruttori, oltre ad essere supervisori saltuari di tutti gli altri Istruttori dei cinque
Monti, avevano organizzato un incontro, della durata di undici mesi, sul tema
dell'interreligiosità e della multiculturalità. Qualcuno, però, alla fine, avrebbe dovuto
stendere un riassunto dell'incontro, e magari curarne anche un libro. Gelindo e Kalura, a
questo compito gentilmente invitati dal Dalai Lama in persona, non si persero una sola
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mezz'ora di incontro, prendendo rapidamente appunti con due Mac portatili, forniti loro da
Henning Mankell e Hans Kung, sotto la supervisione di Tiziano Terzani, che stava
passando di lì e che diede a Courage Nick Mud, il giornalista, indicazioni per case editrici
prestigiose per poterlo pubblicare e tradurre in simultanea in almeno cinquanta diverse
lingue, cosa che Courage Nick Mud puntualmente realizzò.
Poi, per altri tre mesi, meditazioni quotidiane dalle sette di mattina alle dieci di sera,
sull’impermanenza.
Già erano addestrati su questo, ma chi teneva le meditazioni sull’impermanenza era un
campano senza fissa dimora, pelato in testa, sempre assieme ad altri otto partenopei che
comunicavano tra loro con invisibili auricolari e microfoni. Lui era molto rigido, sempre
sudato con dei tic nervosi che sembravano studiati apposta per fare scena, timido da
sembrare arrogante e, al tempo stesso, con un evidente bisogno spropositato d'amore.
Faceva di nome Addicted, in inglese, come lui stesso si presentò, ma che in realtà era
Roberto Saviano. Tutto è impermanente, tutto passa, tutto è assolutamente transitorio,
anche questo nostro essere qui in questo momento, su questo Monte, è transitorio,
andava continuamente ripetendo. Tutti, lassù, conoscevano la sua storia: per quanto
riguarda l'impermanenza, non poteva esserci Istruttore migliore di lui. E alla fine, altri tre
mesi, con un Istruttore di nome Guglielmo Borghi, che riusciva ad essere tremendamente
balbuziente o assolutamente fluido nell'eloquio quando pareva a lui. Per questo era stato
nominato, all'unanimità, Presidente della Federazione Balbuzienti Italiani e, in occasione di
un Congresso di tale Federazione, Koi Nahìm lo aveva conosciuto e, con lui, aveva
concordato su come si possa guarire la balbuzie, anche grave, ma Guglielmo Borghi, con
un certo disappunto da parte di Koi Nahìm, gli aveva detto che era un metodo molto datato
e, nel giro di mezzo minuto, Borghi si era trasformato in Belen Rodriguez, così Koi Nahìm
ne divenne allievo, con un corso durato tre anni consecutivi nell'attico di un palazzo
signorile di Fara Sabina, appena sopra l'Abbazia di Farfa, in Provincia di Rieti, dove aveva
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appreso i rudimenti fondamentali degli insegnamenti di Borghi. Erano anche entrati un po'
in confidenza, quel tanto che Borghi consentiva, e Koi Nahìm, una volta iniziata
quell'avventura sui Monti, aveva invitato Borghi a tenere lassù dei corsi e Borghi aveva
accettato, portando con sé un suo allievo, tale Massimo Pagani, di scuola romagnola,
sottoscuola Cesenate, sotto sotto scuola Castanediana, che Koi Nahìm già conosceva per
essere stato, almeno una cinquantina di anni prima, il suo libraio di fiducia. Le lezioni e le
trovate di Borghi erano riassumibili in questo: la realtà esiste e non esiste allo stesso
tempo.
Alla fine dei tre mesi si doveva riuscire a dimostrare con qualche esempio come ci fosse la
coesistenza dell'esistenza e della non esistenza della realtà. Come una persona c’è e non
c’è allo stesso tempo, come la realtà è vera e, allo stesso tempo, è falsa. Supervisore,
S.S. Tenzin Gyatzo, il XIV Dalai Lama.
E qui, sia Kalura che Gelindo, dovettero ripetere l’esame diverse volte perché era
veramente dura.
E ogni volta tre mesi, tre mesi, tre mesi, finché passarono quindici anni.
Ogni lunedì sera, alle ventuno in punto, Koi Nahìm teneva una conferenza per chiunque
volesse ascoltarlo e magari poi, condividere con
lui stesso e con altri, le proprie
impressioni, sensazioni,esperienze di vita, che si collegassero, in qualche modo, alla
tematica della serata. Per queste occasioni, Koi Nahìm, seguendo le provvidenziali
insistenze di sua moglie, si presentava agli incontri vestito decentemente, senza patacche
di unto da qualche parte, con barba e capelli ben curati e, straordinario evento, dopo
essersi fatto appena prima una doccia.. Il luogo di ritrovo era, sia con il sole ancora alto
nelle lunghe e afose giornate d'estate, sia con la nebbia, la neve e il freddo dell'inverno
quale può essere l'inverno sui Monti, in una grotta che scendeva venti metri sotto terra,
dove Koi Nahìm parlava, piazzato in fondo ad uno slargo contornato, tutto attorno, e
contenuto, sotto e sopra, da rocce e muschio umido. C'erano delle fiaccole appese alla
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roccia, laggiù, e le ombre tremolanti dei presenti spaventavano un po' qualcuno, che però
ben presto ne prendeva confidenza. Gelindo e Kalura non si persero alcuna di queste
chiaccherate, anche perché Koi Nahìm li aveva incaricati di registrare tutto quello che
veniva detto, per poi sbobinarlo, battendolo su di un computer e confezionando, per la
settimana seguente, una dispensa da regalare a chiunque la volesse. Koi Nahìm, nella
sua megalomania, si era identificato con il Profeta, dell'omonimo libro di Khalil Gibran,
cosa che, peraltro, già aveva fatto il suo amico Paul Olive, sempre in divisa da Capo Scout
anche quando insegnava matematica, che aveva scritto un libro di bellissime poesie
raccolte in un libro titolato: “Il profeta semplice” ed edito dall'AIET tanti anni prima. Koi
Nahìm aveva invitato tutti quelli che avessero partecipato agli incontri del lunedì sera a
porgli delle domande, cui lui avrebbe risposto in diretta orale, giù nella grotta, e in diretta
streaming, con il solerte aiuto di Courage Nick Mud, tutto trasmesso a chiunque, fuori della
grotta, avesse avuto il tempo, il desiderio e la possibilità tecnologica, di ascoltare e vedere
gli incontri da lui tenuti.
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