Francesco Testa IL RE PERDUTO Youcanprint Self-Publishing Titolo | Il re perduto Autore | Francesco Testa ISBN | 978-88-91111-16-6 © Tutti i diritti riservati all’Autore Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore. Youcanprint Self-Publishing Via Roma, 73 – 73039 Tricase (LE) - Italy www.youcanprint.it [email protected] Facebook: facebook.com/youcanprint.it Twitter: twitter.com/youcanprintit All’alba del tempo conosciuto, quando le stelle stavano a guardarci e gli uomini erano sinceri, vivevano le leggende degli eroi. Non conosciamo il suo nome reale ma crediamo nel suo mito… Artaban, Artabano II oppure, come mi è stato raccontato, un altro saggio o un potente re guerriero a noi sconosciuto proveniente dall’entroterra dell’area persiana, probabilmente, fu uno di questi. La grande stella era il segno dei tempi tanto atteso, apparsa in tutto il suo splendore proprio in quell’anno nell’immenso Oriente, un luogo a volte aspro nella sua bellezza ma splendente nei suoi misteri, senza confini e senza tempo, origine della meditazione. Si tramanda che tutti i miti antichi hanno una corresponsione in importanti eventi astronomici e i Magi di quel tempo lo sapevano benissimo, questo ne è uno. Re Artaban si attardò nel suo viaggio a causa di eventi che lo portarono a perdersi tra le sabbie del deserto e tra altri luoghi impensabili, peraltro inattesi, che lo avvilupparono nelle loro spire facendogli perdere la via per la Giudea. In quell’anno il tempo romano segnava il 753 ab Urbe condita e si era sotto l’imperatore di Roma Cesare Augusto. Le sue invincibili legioni erano ovunque portando con loro morte e distruzione coprendole con la parola “civiltà”. Così iniziò proprio da quell’anno la leggenda del quarto re, il re perduto… l’invitto re guerriero, la sua lunga storia piena di avvenimenti incominciò verso la fine del mese di settembre, ben oltre duemila anni fa. Ascoltatela… 3 INTRODUZIONE Qualsiasi leggenda che ci è stata tramandata nasce dal grande bisogno dell’uomo di comprendere, oltre al fatto in se stesso narrato, anche perché e di come certi avvenimenti siano arrivati fino ai nostri giorni in punta di piedi, senza dimenticare che alla base di tutto c’è pur sempre una luce di verità. Nessuno credeva nella storia del cantore greco Omero ma la città di Troia è stata trovata e con essa i suoi eroi vivono ancora oggi portandosi dietro i loro amori, le loro battaglie e i loro destini, così come vive il viaggio intrapreso in segreto e in ben altri scenari, all’alba della stella nascente, da Artaban, il re perduto… il quarto re. Nonostante siano ormai trascorsi oltre duemila anni egli vive tuttora con la sua leggenda e forse anche con la sua storia e le sue traversie. La verità è lì, è stata sempre sotto i nostri occhi, basterebbe solo saperla vedere. Il fumo segue sempre il fuoco, quindi… la grandiosità della storia appartiene alla terra delle trasformazioni ideologiche e non solo. L’uomo è da sempre la storia, egli vive con la storia ed è l’unico autore di essa in virtù di tutti gli avvenimenti correlati ai suoi pensieri; l’uomo percepisce fin dalla notte dei tempi di fondare una storia che è anche l’insanabile fonte del pensiero religioso. Essa è dunque l’espressione unica dei purissimi sentimenti umani. Dalla terra al cielo, dall’uomo a Dio, nel luogo in cui il tempo non dimora e lo spazio non è delimitato se non dalla fede, la storia respira incessantemente. Tutti i re passano, la gloria scema col tempo, gli eroi caduti in battaglia per varie idealità diventano polvere, gli amori consumati si dimenticano, i sogni come le illusioni svaniscono ma la storia come percorso dell’uomo rimane scritta, mentre la leggenda, sua sorellastra, si tramanda di uomo in uomo e forse la supera col suo perenne raccontare, a volte ingigantendo oppure sminuendo i fatti accaduti. Il nostro 5 si potrebbe definire un secolo davvero felice dal punto di vista delle scoperte archeologiche e del continuo ritrovamento di testi antichi, basti pensare ai manoscritti del Mar Morto rinvenuti a Qunram nel 1947 oppure all’ampia collezione di Vangeli gnostici rintracciati nel 1945 a Nag Hammadi nell’Alto Egitto. Suppongo però che il futuro abbia in serbo altre scoperte importanti e che molte di esse, già realizzate, non siano ancora state documentate del tutto. Ma ora guardiamo bene chi erano questi uomini che andarono in Giudea. Il frate Iacopo da Varazze afferma che i nomi dei tre re Magi erano Appellius, Amerius, e Damascus in lingua ebraica; Galgalar, Malgalat e Sarathin in quella greca; Caspar, Balthasar e Melchior nella lingua latina. I persiani per la loro grande competenza nella disciplina dell’astronomia li chiamavano Magi e da questo lontano punto della terra con ogni probabilità proviene il re perduto. Gli Ebrei li chiamavano scribi, gli antichi Greci li delineavano come profondi filosofi e i Latini come dei savi: da Ludolf di Sassonia nella Vita Christi. Molto è stato scritto e narrato su questi personaggi poiché la loro storia completa ancora oggi è avvolta nel mistero. Essi andarono, adorarono, parlarono anche il con re Erode da pari a pari come re e poi tornarono ai loro regni, così come è scritto nelle Sacre Scritture. Altro di loro, tranne pochissime cose, dalla cronaca storica di quei tempi non conosciamo. Ma dobbiamo anche aggiungere che nelle fitte nebbie del passato gli avvenimenti di un certo rilievo venivano raccontate di villaggio in villaggio, di casa in casa, dai contadini e dai pastori nella transumanza del bestiame per poi essere diffuse durante le soste con altri uomini. Credo che da questo modo alquanto semplice di comunicare si ebbero le primissime conferme di un evento straordinario che è stato tramandato fino ad oggi. Quello era l’unico modo, di rapportarsi e di divulgare le notizie, potremmo chiamarlo un antico giornale parlante! E i pastori, per la semplicità nell’esprimersi, furono i primissimi testimoni dell’avvenimento che da quel giorno in poi ha radicalmente cambiato la storia, poiché essi videro tutto in quel tempo e in quel luogo, e in quella notte irripetibile nella povera città di Betleem di Giudea. Secondo un’antica leggenda i re Magi che partirono per la Giudea ad adorare Gesù non furono tre ma bensì quattro. Questo ultimo re che si è perduto nella notte dei tempi, che molti hanno chiamato Artaban oppure con altri nomi, dopo aver venduto ogni suo avere si spogliò totalmente dei doni che erano destinati al 6 Messia, non li poté mai portare personalmente al Salvatore ma li donò durante la sua vita per aiutare coloro che ne avevano bisogno e per salvare vite umane. Voglio credere in questo. Nel suo lungo e avventuroso viaggio raccontano che probabilmente incontrò fisicamente anche Gesù solo per un breve colloquio qualche anno prima della sua morte, senza sapere che quello che cercava gli era accanto e davanti a lui in ogni avvenimento della vita, e sono convinto che udì la sua voce prima della sua stessa morte circa trentatré anni dopo appena dopo la crocifissione di quel bambino, così a lungo cercato, diventato uomo, e mai conosciuto nella sua vera personalità. A tal riguardo, mesi prima di andare a Creta, una nonnina dell’entroterra calabrese, donna Rina, mi raccontò nella sua semplicità contadina questo episodio che ho inserito nel romanzo ampliandolo con fantasia. Dai brusii delle sere ci viene tramandato che Artaban fosse un Magio, ma che la sua sapienza al termine del viaggio si trasformò nel conoscere la trascendenza. Si completò pienamente alla fine della sua vita, questo è quello che ho capito. Gli avvenimenti che qui andrò a raccontare di questo, nascosto a molti, re magio perduto non sono delle affermazioni, ma una parte di questi li ho raccolti con pazienza ascoltando anziani nei vecchi paesini arroccati sui monti del sud della nostra penisola, da un’anziana professoressa dell’isola di Creta, un’insegnante di lettere e da due miei professori universitari, il prof. dott. Ulivieri Samuele O.F.M. e il caro prof. dott. Coman Petre, due uomini speciali di grandissima cultura, di profonda etica, dei quali ho conservato il ricordo, ma anche da tante altre persone. Samuele Ulivieri, mi disse che anche a lui raccontarono una storia similare, come se fosse una lunga fiaba, quando era un vivace ragazzino. Una persona tanto semplice quanto profonda nella sua immensa cultura. Spesso mi diceva sorridendo: “Se ascolti dentro di te, troverai tutto quello che cerchi”. In tutta franchezza non so se davvero scherzasse. Ricordo, come se fosse oggi, che mi chiese di farmi una passeggiatina a Roma per guardare nelle catacombe di Domitilla uno strano ma importante particolare dell’adorazione dei Magi e così mi decisi; le visitai e ne rimasi estasiato, rendendomi conto che tutto quello che avevo sempre pensato era vero come l’antica leggenda. In quegli anni non scrivevo niente, ma in me qualcosa del fanciullo nascosto tra le pieghe della memoria mi diceva che un giorno l’avrei fatto. Scoprii verità storiche che a una normale lettura dei testi sacri mi erano passate 7 inosservate e così iniziai ad approfondire la mia ricerca. Compresi poi che le grandi innovazioni, in seguito ritenute normali dall’umanità, grazie anche all’assopirsi dei tanti contrasti tra studiosi, non si potevano ricondurre soltanto alla capacità formale di aver saputo rendere visibile quello che allo sguardo di altri sfuggiva ma andavano letteralmente sviscerate e per fare questo bisognava addentrarsi nelle fonti storiche della ricerca. Mi rimisi sui libri iniziando a rileggermi alcuni passaggi importanti della Bibbia e della storia di quel periodo spulciando ogni frase e ogni senso che poteva sembrarmi poco chiaro. Dovevo tornare indietro nel tempo per poter capire qualcosa di quest’uomo dimenticato ma dovevo farlo partendo dalla figura di Mosè l’israelita rileggendomi l’Esodo per comprendere la maturazione teologica che avvenne nella mente di Artaban. Nella biblica fuga dall’Egitto fino al monte Sinai, la grande valenza storica e teologica avuta da Mosè nelle tre religioni come Ebraismo, Cristianesimo e Islam è da attribuire al collegamento operato da lui stesso tra il Vecchio e il Nuovo sommando alla vecchia concezione di pregare una nuovissima, proponendo in essere una concentrazione etica e morale con un inedito concetto di Dio, un Dio unico, il monoteismo. In quell’epoca molti popoli avevano intere gerarchie di dèi, ad eccezione soltanto di una breve parentesi egiziana avuta con il faraone, eretico per quei tempi, Akenhaton che costruì la sua nuova capitale Akethaton nella zona della XV regione dell’Alto Egitto, a Ermopili. Per questo concetto, nelle loro menti, sia Mosè sia Akenhaton non ebbero pace, come anche il Magio Artaban che aveva già capito, fin da quando fu iniziato allo Zoroastrismo, che la sua vecchia religione era effimera. L’uomo matura lentamente come un frutto, e così pure la sua anima, e solo i pochi eletti comprendono come avvenne nel quarto Magio e negli altri tre ancora prima di partire per Betleem. Un dinamismo dall’interno verso la fede? Molto probabilmente credo che avvenne proprio questo. Il passaggio primario, come un ribaltamento dell’animismo, enoteismo al monoteismo, è quello del faraone egiziano; fu il passaggio ad una nuova categoria riconducendo ogni cosa ad un unico principio, assoluto e predominante cioè la fede verso un solo dio. Ma l’idea fu ripresa dal roveto ardente di Mosè e molto più tardi la stessa entrò anche nel cuore di Artaban, altrimenti non si potrebbe spiegare come mai quattro re lasciarono le loro terre per andare ad adorare un bambino ebreo in un paesino di pecorai nella secca e sperduta 8 Giudea. Forse anche Artaban si sentì sussurrare dal vento prima della partenza le stesse parole che Elifaz disse a Giobbe: “Da sei angustie Egli ti salverà e da sette allontanerà il male. Nella fame ti scamperà da morte, e in guerra dal potere della spada… tu giungerai maturo alla tomba, come si raccoglie il grano al suo tempo” (Gb 5:19-25). Tutte le leggende, come quella del quarto re Magio, e il loro ripetersi nel raccontare non credo che sia tutta opera di fantasia. Comunque per dare un senso storico al romanzo mi sono avvalso ed ho portato una particolare attenzione alle vicende biografiche in stretta connessione alle dinamiche letterarie e storiche, come La guerra giudaica di Giuseppe Flavio, le Sacre Scritture, i Vangeli apocrifi e anche le Antichità giudaiche, sempre di Giuseppe Flavio il cui nome in ebraico non era Giuseppe ma bensì Mattia. Il nome Flavio deriva dall’augusta famiglia romana dei Flavi. Nella proliferazione letteraria su questi argomenti, negli ultimi periodi, ci sono stati importanti lavori sui Magi sia nel senso critico-biografico e sia nel senso di collocazione storicoculturale ed essendo questo il mio primo lavoro ho cercato di apportare un mio modesto e piccolissimo contributo, perlomeno dal lato storico e un adeguato resoconto anche, se mi ripeto, non è stato facile visto le poche notizie su tale argomento. In questo racconto viene messo a fuoco il persistere nel teatro dove si svolgono gli avvenimenti evidenziando spesso una riflessione teologica da parte dello stesso Artaban che lo porterà alla sua completa maturazione religiosa tra battaglie, città distrutte piene di orrori, tradimenti, oracoli pagani, massacri e predizioni. Dedico questo romanzo al mio nipotino Alessandro nato da pochi mesi. Ho scritto quello che ho ascoltato aggiungendo la mia pura fantasia. Buona lettura a tutti voi. 9 CAPITOLO PRIMO MENTRE ERODE IL GRANDE REGNAVA… TRA STORIA E LEGGENDA Quel giorno già lontano il cielo era bellissimo, di un celeste chiaro e uniforme, mentre l’aria piena di mare rinfrescava ancora di più le casette bianche del porticciolo, dondolando come culle alcune barche di pescatori, appena rientrate dalla pesca notturna, dipinte di giallo, celeste e di bianco mentre dormivano in ozio sull’onda. La professoressa di greco dell’isola di Creta mi ricevette in un piccolo ma lussuosissimo salotto della sua casa che guardava verso il mare, una signora anziana, affabile che mi mise subito a mio agio. Era un bel sabato di luglio di qualche anno fa ed essendo lì in vacanza andavo a chiedere notizie un pò dappertutto circa il quarto saggio a molte persone di una certa età. Qualcuno strabuzzava gli occhi alle mie domande prendendomi per pazzo, qualche altro mi rispondeva vagamente mentre tanti altri non sapevano nemmeno di cosa stessi parlando, insomma brancolavo nel buio più nero. Compresi che il compito di ricerca che mi ero prefissato sembrava davvero arduo da chiarire e me ne accorsi ben presto dal modo con cui venni guardato anche da un giovane sacerdote appena all’uscita del monastero di Brontisi sul monte Psiloriti, ma con coraggio e pazienza mi scrollai di dosso quegli sguardi esterrefatti e quelle bocche torte. Non mi persi d’animo perché un pò di fortuna venne in mio aiuto dalla mia sdrucita agendina. Fu davvero un lampo. Mi indirizzò a lei uno studioso di antichi testi ebraici che avevo conosciuto casualmente a Firenze, in una affollata riunione culturale un paio di mesi prima, al quale avevo sottoposto questa mia idea di scrivere sul quarto saggio. Trascrissi tutto nell’agendina. 11 Sinceramente non ero mai stato a Creta ma quello era probabilmente l’unico modo per accertarmi delle mie teorie e per poter finalmente spegnere la sete del mio sapere da un qualcuno che prima di me vi avesse studiato. Ansioso di conoscere questo personaggio dimenticato partii, ma sinceramente devo dire che all’inizio ero scettico sul risultato. Avevo letto molte storie su questo re scritte da altri autori ma nessuna mi convinceva pienamente, e volevo scrivere anche la mia perché questo quarto re l’ho sempre visto molto diverso dagli altri tre Magi. Un uomo abbastanza frenetico in una realtà compassata e ottusa per quei tempi lontani. Conobbi la professoressa, un’anziana donna minuta, a prima vista quasi sospettosa, che si sciolse quando le posi le mie prime domande sprofondato in una comoda poltrona. Lo ricordo bene. Appena mi fui presentato mi fece accomodare, le donai un cofanetto di alabastro di Volterra e dei fiori bianchi che avevo comprato in un negozietto appena svoltato l’angolo dell’albergo che mi ospitava, mi sembra fossero gigli e alcuni fiori di campo. Le chiesi se avesse notizie di questa figura che si stava perdendo nel tempo e che io volevo riscoprire. Mi guardò attentamente per un paio di secondi perché la mia domanda fu diretta e la sua risposta non si fece attendere. Mentre si passava una mano tra i capelli bianchi, raccolti dietro la nuca da un fermaglio di tartaruga, mi ringraziò dei fiori e del cofanetto ma per prima cosa mi chiese chi mi avesse dato il suo indirizzo. “Il professor Rudolf Hasser di Berlino, l’ho conosciuto a metà novembre dello scorso anno a Firenze, eravamo a palazzo Strozzi”, risposi. E lei compiaciuta, a bassa voce: “Bene, bene… già! Rudolf Hasser era un amico di mio marito, si vede che certe curiosità sono arrivate fino in Germania, una terra di valenti studiosi e di grandi teologi, ma venga professor Francesco s’accomodi pure e mi scusi se il salottino è un pochino sotto sopra. Sa, oggi non attendevo nessuno… ma venga, s’accomodi nello studio così staremo più tranquilli”. Sebbene avessi un titolo in teologia non avevo mai voluto insegnare. Glielo dissi e lei, un pochino meravigliata, mi rispose facendo un sorriso seguito da uno sguardo obliquo: “Beh! se non l’ha mai fatto, credo che avrà avuto i suoi buoni motivi, comunque sempre un professore è… e poi in quella materia così difficile”. Sentii un forte odore di gatto ma non storsi il naso. Mi portò nel suo studio, era arredato in stile marinaro, bianco e celeste con delle sottili 12 sfumature verso il blu al centro del quale c’era un bellissimo lampadario in vetro di Murano a otto braccia che curvavano verso un soffitto abbastanza alto rispetto alle nostre abitazioni; la professoressa mi disse che anche lei molto tempo prima aveva studiato su questo personaggio e che a suo tempo ebbe la mia stessa curiosità, anzi aveva anche trovato un documento grazie a suo marito, una quindicina di anni prima della sua scomparsa. Un testo antichissimo di uno sperduto monastero copto, il S.Sergio, ma non mi seppe dire chi l’avesse redatto. Per la mia educazione, considerata l’originalità di quelle pagine antiche, non le chiesi come mai ora fosse di sua proprietà; infatti trovare certi manoscritti è impossibile al giorno d’oggi. Volevo fare delle fotografie al testo ma molto cortesemente non me lo permise stringendo le labbra con un diniego seguito da un leggero movimento della testa. Tra quelle antiche pagine mi mostrò una splendida raffigurazione dell’adorazione riccamente colorata; al centro della scena c’era tutta la natività per come ci è stata tramandata ma c’era un particolare che non avevo mai visto prima in nessun’altra raffigurazione: in ginocchio davanti a Giuseppe c’era un semplice uomo anziano dipinto con dei colori che andavano dal marrone fino al grigio scuro con in testa una corona di re mentre i tre re Magi erano tutti vestiti riccamente e con lunghi mantelli con pagliuzze d’oro e argento. Proprio quell’uomo era il quarto re, vestito più semplicemente con una tunica consumata in più parti e aveva in testa solo la corona ma era decisamente anche quella più sfavillante, ma perché mai era inginocchiato davanti a S. Giuseppe e non davanti all’astro nascente? Mi chiesi questo appena lo vidi. Iniziai a grattarmi la tempia e la professoressa capì quel mio gesto… mi era venuto un pensiero e probabilmente avevo ragione che non erano soltanto chiacchiere quelle raccontate sulla leggenda del quarto re . Ebbi un impulso e a cascata le dissi: “Professoressa, mi servirebbero delle conferme. Sono oltre tre anni e passa che ci rimugino sopra, questa storia non mi fa dormire perchè sono sempre più convinto che fossero in quattro. A volte non riesco a capirci più niente e sinceramente non so più bene a cosa credere se a quello che penso o a quello che hanno scritto migliaia di anni fa”. E lei passandosi una mano tra i capelli mi rispose: “Sappia che per capire lei deve andare oltre quello che ha letto e studiato; ma ha ragione a porsi dei dubbi perché questi sono una caratteristica degli studiosi come lei. Nel mio piccolo cercherò di farle 13
© Copyright 2024 ExpyDoc