Francesco Testa IL RE PERDUTO

Francesco Testa
IL RE PERDUTO
Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Il re perduto
Autore | Francesco Testa
ISBN | 978-88-91111-16-6
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All’alba del tempo conosciuto, quando le stelle stavano a guardarci e
gli uomini erano sinceri, vivevano le leggende degli eroi. Non conosciamo il
suo nome reale ma crediamo nel suo mito… Artaban, Artabano II oppure,
come mi è stato raccontato, un altro saggio o un potente re guerriero a noi
sconosciuto proveniente dall’entroterra dell’area persiana, probabilmente, fu
uno di questi. La grande stella era il segno dei tempi tanto atteso, apparsa in
tutto il suo splendore proprio in quell’anno nell’immenso Oriente, un luogo
a volte aspro nella sua bellezza ma splendente nei suoi misteri, senza confini
e senza tempo, origine della meditazione. Si tramanda che tutti i miti antichi
hanno una corresponsione in importanti eventi astronomici e i Magi di quel
tempo lo sapevano benissimo, questo ne è uno. Re Artaban si attardò nel
suo viaggio a causa di eventi che lo portarono a perdersi tra le sabbie del
deserto e tra altri luoghi impensabili, peraltro inattesi, che lo avvilupparono
nelle loro spire facendogli perdere la via per la Giudea. In quell’anno il
tempo romano segnava il 753 ab Urbe condita e si era sotto l’imperatore di
Roma Cesare Augusto. Le sue invincibili legioni erano ovunque portando
con loro morte e distruzione coprendole con la parola “civiltà”. Così iniziò
proprio da quell’anno la leggenda del quarto re, il re perduto… l’invitto re
guerriero, la sua lunga storia piena di avvenimenti incominciò verso la fine
del mese di settembre, ben oltre duemila anni fa. Ascoltatela…
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INTRODUZIONE
Qualsiasi leggenda che ci è stata tramandata nasce dal grande bisogno
dell’uomo di comprendere, oltre al fatto in se stesso narrato, anche perché e
di come certi avvenimenti siano arrivati fino ai nostri giorni in punta di
piedi, senza dimenticare che alla base di tutto c’è pur sempre una luce di
verità. Nessuno credeva nella storia del cantore greco Omero ma la città di
Troia è stata trovata e con essa i suoi eroi vivono ancora oggi portandosi
dietro i loro amori, le loro battaglie e i loro destini, così come vive il viaggio
intrapreso in segreto e in ben altri scenari, all’alba della stella nascente, da
Artaban, il re perduto… il quarto re. Nonostante siano ormai trascorsi oltre
duemila anni egli vive tuttora con la sua leggenda e forse anche con la sua
storia e le sue traversie. La verità è lì, è stata sempre sotto i nostri occhi,
basterebbe solo saperla vedere. Il fumo segue sempre il fuoco, quindi… la
grandiosità della storia appartiene alla terra delle trasformazioni ideologiche
e non solo. L’uomo è da sempre la storia, egli vive con la storia ed è l’unico
autore di essa in virtù di tutti gli avvenimenti correlati ai suoi pensieri;
l’uomo percepisce fin dalla notte dei tempi di fondare una storia che è anche
l’insanabile fonte del pensiero religioso. Essa è dunque l’espressione unica
dei purissimi sentimenti umani. Dalla terra al cielo, dall’uomo a Dio, nel
luogo in cui il tempo non dimora e lo spazio non è delimitato se non dalla
fede, la storia respira incessantemente. Tutti i re passano, la gloria scema col
tempo, gli eroi caduti in battaglia per varie idealità diventano polvere, gli
amori consumati si dimenticano, i sogni come le illusioni svaniscono ma la
storia come percorso dell’uomo rimane scritta, mentre la leggenda, sua
sorellastra, si tramanda di uomo in uomo e forse la supera col suo perenne
raccontare, a volte ingigantendo oppure sminuendo i fatti accaduti. Il nostro
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si potrebbe definire un secolo davvero felice dal punto di vista delle
scoperte archeologiche e del continuo ritrovamento di testi antichi, basti
pensare ai manoscritti del Mar Morto rinvenuti a Qunram nel 1947 oppure
all’ampia collezione di Vangeli gnostici rintracciati nel 1945 a Nag
Hammadi nell’Alto Egitto. Suppongo però che il futuro abbia in serbo altre
scoperte importanti e che molte di esse, già realizzate, non siano ancora
state documentate del tutto. Ma ora guardiamo bene chi erano questi uomini
che andarono in Giudea. Il frate Iacopo da Varazze afferma che i nomi dei
tre re Magi erano Appellius, Amerius, e Damascus in lingua ebraica;
Galgalar, Malgalat e Sarathin in quella greca; Caspar, Balthasar e Melchior
nella lingua latina. I persiani per la loro grande competenza nella disciplina
dell’astronomia li chiamavano Magi e da questo lontano punto della terra
con ogni probabilità proviene il re perduto. Gli Ebrei li chiamavano scribi,
gli antichi Greci li delineavano come profondi filosofi e i Latini come dei
savi: da Ludolf di Sassonia nella Vita Christi. Molto è stato scritto e narrato
su questi personaggi poiché la loro storia completa ancora oggi è avvolta
nel mistero. Essi andarono, adorarono, parlarono anche il con re Erode da
pari a pari come re e poi tornarono ai loro regni, così come è scritto nelle
Sacre Scritture. Altro di loro, tranne pochissime cose, dalla cronaca storica
di quei tempi non conosciamo. Ma dobbiamo anche aggiungere che nelle
fitte nebbie del passato gli avvenimenti di un certo rilievo venivano
raccontate di villaggio in villaggio, di casa in casa, dai contadini e dai
pastori nella transumanza del bestiame per poi essere diffuse durante le
soste con altri uomini. Credo che da questo modo alquanto semplice di
comunicare si ebbero le primissime conferme di un evento straordinario che
è stato tramandato fino ad oggi. Quello era l’unico modo, di rapportarsi e di
divulgare le notizie, potremmo chiamarlo un antico giornale parlante! E i
pastori, per la semplicità nell’esprimersi, furono i primissimi testimoni
dell’avvenimento che da quel giorno in poi ha radicalmente cambiato la
storia, poiché essi videro tutto in quel tempo e in quel luogo, e in quella
notte irripetibile nella povera città di Betleem di Giudea. Secondo un’antica
leggenda i re Magi che partirono per la Giudea ad adorare Gesù non furono
tre ma bensì quattro. Questo ultimo re che si è perduto nella notte dei tempi,
che molti hanno chiamato Artaban oppure con altri nomi, dopo aver
venduto ogni suo avere si spogliò totalmente dei doni che erano destinati al
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Messia, non li poté mai portare personalmente al Salvatore ma li donò
durante la sua vita per aiutare coloro che ne avevano bisogno e per salvare
vite umane. Voglio credere in questo. Nel suo lungo e avventuroso viaggio
raccontano che probabilmente incontrò fisicamente anche Gesù solo per un
breve colloquio qualche anno prima della sua morte, senza sapere che
quello che cercava gli era accanto e davanti a lui in ogni avvenimento della
vita, e sono convinto che udì la sua voce prima della sua stessa morte circa
trentatré anni dopo appena dopo la crocifissione di quel bambino, così a
lungo cercato, diventato uomo, e mai conosciuto nella sua vera personalità.
A tal riguardo, mesi prima di andare a Creta, una nonnina dell’entroterra
calabrese, donna Rina, mi raccontò nella sua semplicità contadina questo
episodio che ho inserito nel romanzo ampliandolo con fantasia. Dai brusii
delle sere ci viene tramandato che Artaban fosse un Magio, ma che la sua
sapienza al termine del viaggio si trasformò nel conoscere la trascendenza.
Si completò pienamente alla fine della sua vita, questo è quello che ho
capito. Gli avvenimenti che qui andrò a raccontare di questo, nascosto a
molti, re magio perduto non sono delle affermazioni, ma una parte di questi
li ho raccolti con pazienza ascoltando anziani nei vecchi paesini arroccati
sui monti del sud della nostra penisola, da un’anziana professoressa
dell’isola di Creta, un’insegnante di lettere e da due miei professori
universitari, il prof. dott. Ulivieri Samuele O.F.M. e il caro prof. dott.
Coman Petre, due uomini speciali di grandissima cultura, di profonda etica,
dei quali ho conservato il ricordo, ma anche da tante altre persone. Samuele
Ulivieri, mi disse che anche a lui raccontarono una storia similare, come se
fosse una lunga fiaba, quando era un vivace ragazzino. Una persona tanto
semplice quanto profonda nella sua immensa cultura. Spesso mi diceva
sorridendo: “Se ascolti dentro di te, troverai tutto quello che cerchi”. In tutta
franchezza non so se davvero scherzasse. Ricordo, come se fosse oggi, che
mi chiese di farmi una passeggiatina a Roma per guardare nelle catacombe
di Domitilla uno strano ma importante particolare dell’adorazione dei Magi
e così mi decisi; le visitai e ne rimasi estasiato, rendendomi conto che tutto
quello che avevo sempre pensato era vero come l’antica leggenda. In quegli
anni non scrivevo niente, ma in me qualcosa del fanciullo nascosto tra le
pieghe della memoria mi diceva che un giorno l’avrei fatto. Scoprii verità
storiche che a una normale lettura dei testi sacri mi erano passate
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inosservate e così iniziai ad approfondire la mia ricerca. Compresi poi che le
grandi innovazioni, in seguito ritenute normali dall’umanità, grazie anche
all’assopirsi dei tanti contrasti tra studiosi, non si potevano ricondurre
soltanto alla capacità formale di aver saputo rendere visibile quello che allo
sguardo di altri sfuggiva ma andavano letteralmente sviscerate e per fare
questo bisognava addentrarsi nelle fonti storiche della ricerca. Mi rimisi sui
libri iniziando a rileggermi alcuni passaggi importanti della Bibbia e della
storia di quel periodo spulciando ogni frase e ogni senso che poteva
sembrarmi poco chiaro. Dovevo tornare indietro nel tempo per poter capire
qualcosa di quest’uomo dimenticato ma dovevo farlo partendo dalla figura
di Mosè l’israelita rileggendomi l’Esodo per comprendere la maturazione
teologica che avvenne nella mente di Artaban. Nella biblica fuga dall’Egitto
fino al monte Sinai, la grande valenza storica e teologica avuta da Mosè
nelle tre religioni come Ebraismo, Cristianesimo e Islam è da attribuire al
collegamento operato da lui stesso tra il Vecchio e il Nuovo sommando alla
vecchia concezione di pregare una nuovissima, proponendo in essere una
concentrazione etica e morale con un inedito concetto di Dio, un Dio unico,
il monoteismo. In quell’epoca molti popoli avevano intere gerarchie di dèi,
ad eccezione soltanto di una breve parentesi egiziana avuta con il faraone,
eretico per quei tempi, Akenhaton che costruì la sua nuova capitale
Akethaton nella zona della XV regione dell’Alto Egitto, a Ermopili. Per
questo concetto, nelle loro menti, sia Mosè sia Akenhaton non ebbero pace,
come anche il Magio Artaban che aveva già capito, fin da quando fu
iniziato allo Zoroastrismo, che la sua vecchia religione era effimera.
L’uomo matura lentamente come un frutto, e così pure la sua anima, e solo i
pochi eletti comprendono come avvenne nel quarto Magio e negli altri tre
ancora prima di partire per Betleem. Un dinamismo dall’interno verso la
fede? Molto probabilmente credo che avvenne proprio questo. Il passaggio
primario, come un ribaltamento dell’animismo, enoteismo al monoteismo, è
quello del faraone egiziano; fu il passaggio ad una nuova categoria
riconducendo ogni cosa ad un unico principio, assoluto e predominante cioè
la fede verso un solo dio. Ma l’idea fu ripresa dal roveto ardente di Mosè e
molto più tardi la stessa entrò anche nel cuore di Artaban, altrimenti non si
potrebbe spiegare come mai quattro re lasciarono le loro terre per andare ad
adorare un bambino ebreo in un paesino di pecorai nella secca e sperduta
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Giudea. Forse anche Artaban si sentì sussurrare dal vento prima della
partenza le stesse parole che Elifaz disse a Giobbe: “Da sei angustie Egli ti
salverà e da sette allontanerà il male. Nella fame ti scamperà da morte, e in
guerra dal potere della spada… tu giungerai maturo alla tomba, come si
raccoglie il grano al suo tempo” (Gb 5:19-25). Tutte le leggende, come
quella del quarto re Magio, e il loro ripetersi nel raccontare non credo che
sia tutta opera di fantasia. Comunque per dare un senso storico al romanzo
mi sono avvalso ed ho portato una particolare attenzione alle vicende
biografiche in stretta connessione alle dinamiche letterarie e storiche, come
La guerra giudaica di Giuseppe Flavio, le Sacre Scritture, i Vangeli apocrifi
e anche le Antichità giudaiche, sempre di Giuseppe Flavio il cui nome in
ebraico non era Giuseppe ma bensì Mattia. Il nome Flavio deriva
dall’augusta famiglia romana dei Flavi. Nella proliferazione letteraria su
questi argomenti, negli ultimi periodi, ci sono stati importanti lavori sui
Magi sia nel senso critico-biografico e sia nel senso di collocazione storicoculturale ed essendo questo il mio primo lavoro ho cercato di apportare un
mio modesto e piccolissimo contributo, perlomeno dal lato storico e un
adeguato resoconto anche, se mi ripeto, non è stato facile visto le poche
notizie su tale argomento. In questo racconto viene messo a fuoco il
persistere nel teatro dove si svolgono gli avvenimenti evidenziando spesso
una riflessione teologica da parte dello stesso Artaban che lo porterà alla sua
completa maturazione religiosa tra battaglie, città distrutte piene di orrori,
tradimenti, oracoli pagani, massacri e predizioni.
Dedico questo romanzo al mio nipotino Alessandro nato da pochi
mesi. Ho scritto quello che ho ascoltato aggiungendo la mia pura fantasia.
Buona lettura a tutti voi.
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CAPITOLO PRIMO
MENTRE ERODE IL GRANDE REGNAVA…
TRA STORIA E LEGGENDA
Quel giorno già lontano il cielo era bellissimo, di un celeste chiaro e
uniforme, mentre l’aria piena di mare rinfrescava ancora di più le casette
bianche del porticciolo, dondolando come culle alcune barche di pescatori,
appena rientrate dalla pesca notturna, dipinte di giallo, celeste e di bianco
mentre dormivano in ozio sull’onda. La professoressa di greco dell’isola di
Creta mi ricevette in un piccolo ma lussuosissimo salotto della sua casa che
guardava verso il mare, una signora anziana, affabile che mi mise subito a
mio agio. Era un bel sabato di luglio di qualche anno fa ed essendo lì in
vacanza andavo a chiedere notizie un pò dappertutto circa il quarto saggio a
molte persone di una certa età. Qualcuno strabuzzava gli occhi alle mie
domande prendendomi per pazzo, qualche altro mi rispondeva vagamente
mentre tanti altri non sapevano nemmeno di cosa stessi parlando, insomma
brancolavo nel buio più nero. Compresi che il compito di ricerca che mi ero
prefissato sembrava davvero arduo da chiarire e me ne accorsi ben presto
dal modo con cui venni guardato anche da un giovane sacerdote appena
all’uscita del monastero di Brontisi sul monte Psiloriti, ma con coraggio e
pazienza mi scrollai di dosso quegli sguardi esterrefatti e quelle bocche
torte. Non mi persi d’animo perché un pò di fortuna venne in mio aiuto dalla
mia sdrucita agendina. Fu davvero un lampo. Mi indirizzò a lei uno studioso
di antichi testi ebraici che avevo conosciuto casualmente a Firenze, in una
affollata riunione culturale un paio di mesi prima, al quale avevo sottoposto
questa mia idea di scrivere sul quarto saggio. Trascrissi tutto nell’agendina.
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Sinceramente non ero mai stato a Creta ma quello era probabilmente l’unico
modo per accertarmi delle mie teorie e per poter finalmente spegnere la sete
del mio sapere da un qualcuno che prima di me vi avesse studiato. Ansioso
di conoscere questo personaggio dimenticato partii, ma sinceramente devo
dire che all’inizio ero scettico sul risultato. Avevo letto molte storie su
questo re scritte da altri autori ma nessuna mi convinceva pienamente, e
volevo scrivere anche la mia perché questo quarto re l’ho sempre visto
molto diverso dagli altri tre Magi. Un uomo abbastanza frenetico in una
realtà compassata e ottusa per quei tempi lontani.
Conobbi la professoressa, un’anziana donna minuta, a prima vista
quasi sospettosa, che si sciolse quando le posi le mie prime domande
sprofondato in una comoda poltrona. Lo ricordo bene. Appena mi fui
presentato mi fece accomodare, le donai un cofanetto di alabastro di
Volterra e dei fiori bianchi che avevo comprato in un negozietto appena
svoltato l’angolo dell’albergo che mi ospitava, mi sembra fossero gigli e
alcuni fiori di campo. Le chiesi se avesse notizie di questa figura che si
stava perdendo nel tempo e che io volevo riscoprire.
Mi guardò attentamente per un paio di secondi perché la mia domanda
fu diretta e la sua risposta non si fece attendere. Mentre si passava una
mano tra i capelli bianchi, raccolti dietro la nuca da un fermaglio di
tartaruga, mi ringraziò dei fiori e del cofanetto ma per prima cosa mi chiese
chi mi avesse dato il suo indirizzo. “Il professor Rudolf Hasser di Berlino,
l’ho conosciuto a metà novembre dello scorso anno a Firenze, eravamo a
palazzo Strozzi”, risposi. E lei compiaciuta, a bassa voce: “Bene, bene…
già! Rudolf Hasser era un amico di mio marito, si vede che certe curiosità
sono arrivate fino in Germania, una terra di valenti studiosi e di grandi
teologi, ma venga professor Francesco s’accomodi pure e mi scusi se il
salottino è un pochino sotto sopra. Sa, oggi non attendevo nessuno… ma
venga, s’accomodi nello studio così staremo più tranquilli”. Sebbene avessi
un titolo in teologia non avevo mai voluto insegnare. Glielo dissi e lei, un
pochino meravigliata, mi rispose facendo un sorriso seguito da uno sguardo
obliquo: “Beh! se non l’ha mai fatto, credo che avrà avuto i suoi buoni
motivi, comunque sempre un professore è… e poi in quella materia così
difficile”. Sentii un forte odore di gatto ma non storsi il naso. Mi portò nel
suo studio, era arredato in stile marinaro, bianco e celeste con delle sottili
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sfumature verso il blu al centro del quale c’era un bellissimo lampadario in
vetro di Murano a otto braccia che curvavano verso un soffitto abbastanza
alto rispetto alle nostre abitazioni; la professoressa mi disse che anche lei
molto tempo prima aveva studiato su questo personaggio e che a suo tempo
ebbe la mia stessa curiosità, anzi aveva anche trovato un documento grazie a
suo marito, una quindicina di anni prima della sua scomparsa. Un testo
antichissimo di uno sperduto monastero copto, il S.Sergio, ma non mi seppe
dire chi l’avesse redatto. Per la mia educazione, considerata l’originalità di
quelle pagine antiche, non le chiesi come mai ora fosse di sua proprietà;
infatti trovare certi manoscritti è impossibile al giorno d’oggi. Volevo fare
delle fotografie al testo ma molto cortesemente non me lo permise
stringendo le labbra con un diniego seguito da un leggero movimento della
testa. Tra quelle antiche pagine mi mostrò una splendida raffigurazione
dell’adorazione riccamente colorata; al centro della scena c’era tutta la
natività per come ci è stata tramandata ma c’era un particolare che non
avevo mai visto prima in nessun’altra raffigurazione: in ginocchio davanti a
Giuseppe c’era un semplice uomo anziano dipinto con dei colori che
andavano dal marrone fino al grigio scuro con in testa una corona di re
mentre i tre re Magi erano tutti vestiti riccamente e con lunghi mantelli con
pagliuzze d’oro e argento. Proprio quell’uomo era il quarto re, vestito più
semplicemente con una tunica consumata in più parti e aveva in testa solo la
corona ma era decisamente anche quella più sfavillante, ma perché mai era
inginocchiato davanti a S. Giuseppe e non davanti all’astro nascente? Mi
chiesi questo appena lo vidi. Iniziai a grattarmi la tempia e la professoressa
capì quel mio gesto… mi era venuto un pensiero e probabilmente avevo
ragione che non erano soltanto chiacchiere quelle raccontate sulla leggenda
del quarto re . Ebbi un impulso e a cascata le dissi: “Professoressa, mi
servirebbero delle conferme. Sono oltre tre anni e passa che ci rimugino
sopra, questa storia non mi fa dormire perchè sono sempre più convinto che
fossero in quattro. A volte non riesco a capirci più niente e sinceramente
non so più bene a cosa credere se a quello che penso o a quello che hanno
scritto migliaia di anni fa”. E lei passandosi una mano tra i capelli mi
rispose: “Sappia che per capire lei deve andare oltre quello che ha letto e
studiato; ma ha ragione a porsi dei dubbi perché questi sono una
caratteristica degli studiosi come lei. Nel mio piccolo cercherò di farle
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