ANALISI DELLE STRATEGIE COMMERCIALI E DI

ANALISI DELLE
STRATEGIE
COMMERCIALI E
DI MARKETING
DELLE COOPERATIVE
AGRO-ALIMENTARI:
APPROFONDIMENTO
SULLE PROBLEMATICHE
RELATIVE ALL’EXPORT
E POTENZIALITÀ DI
ESPANSIONE SUI
MERCATI ESTERI
Risultati dello studio svolto nel
secondo semestre 2013
ISMEA © Copyright 2014
www.ismea.it
Documento prodotto con il contributo del Ministero
delle politiche agricole alimentari e forestali
Responsabile della pubblicazione:
EGIDIO SARDO
Responsabile scientifico:
CAMILLO ZACCARINI BONELLI
Responsabile del progetto:
ROBERTO D’AURIA
Redazione:
FRANCO TORELLI, GILBERTO PESCI,
PAOLO GHIACCI
Elaborazione dati:
GIUSEPPE FORNACIARI
Progetto grafico ed impaginazione:
DAVIDE BARILLÀ
Il presente studio è stato realizzato grazie alla
preziosa collaborazione, nella raccolta delle informazioni,
degli operatori della cooperazione agroalimentare e
della distribuzione e del commercio alimentare italiana
ed estera, nonché gli Enti e le Istituzioni impegnati a
sostenere le imprese esportatrici.
Si segnala l’importante contributo delle Centrali
cooperative nella fase di progettazione e organizzazione dell’indagine. In questo ambito un sentito
ringraziamento va agli esperti Giorgio Unis e Giuseppe
Piscopo, intervenuti fattivamente nel gruppo di lavoro
di progettazione e di verifica dei risultati.
Un sentito riconoscimento va alla Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare
e dell’ippica del MiPAAF e all’ufficio competente, in
particolare a Stefano Soldano, Vincenzo D’Ambrosio
e Patrizia Colasanti, per il sostegno ricevuto nella
fase di sviluppo e discussione dei risultati dello studio.
ANALISI DELLE STRATEGIE COMMERCIALI E
DI MARKETING DELLE COOPERATIVE
AGRO-ALIMENTARI:
APPROFONDIMENTO SULLE PROBLEMATICHE
RELATIVE ALL’EXPORT E POTENZIALITÀ DI
ESPANSIONE SUI MERCATI ESTERI
Risultati dello studio svolto nel
secondo semestre 2013
4
INDICE
1. GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE
6
2. LE METODOLOGIE ADOTTATE
3. LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE
COOPERATIVE
8
3.1. Il campione 10
10
3.2. L’attività di esportazioni 3.3. Le strategie attuate 3.4. Le principali barriere e le difficoltà incontrate
11
12
16
21
3.5. Essere cooperativa
3.6. La conoscenza, l’utilizzo e le valutazioni degli strumenti istituzionali di supporto all’export
3.7. Gli atteggiamenti relativi alla contraffazione
3.8. Le previsioni e le preoccupazioni per il futuro
4. LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE
RELATIVE CONSEGUENZE
4.1. Inquadramento
4.2. Barriere non tariffarie
4.3. Bric: barriere tariffarie
23
26
28
29
29
31
46
4.4. Alcune considerazioni
49
5. LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING
51
5.1.
Premessa
5.2.
Ambiti
5.3. Settori, canali, consumatori
5.4. Anche gli italiani
5.5. Catene Gdo e Private Label
5.6. I risultati delle rilevazioni nei punti vendita
5.7. Dimensioni e produttori
51
51
53
54
55
56
65
5.8. Protezione e opportunità
67
6. GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
69
6.1.
Gli strumenti in Italia
6.1.1.
Premessa
6.1.2.
L’agroalimentare italiano: una eccellenza
6.1.3.
Il supporto del settore pubblico all’internazionalizzazione
6.1.4.
La cabina di regia per l’Italia internazionale
6.1.5.
Il coordinamento tra i vari attori
6.1.6.
Il sistema italiano di supporto all’export
6.1.7.
Gli strumenti istituzionali finanziari e assicurativi
6.2.
Gli strumenti in Germania
6.2.1.
Il mercato alimentare tedesco: caratteristiche e opportunità di business
6.2.2.
Il sistema tedesco di promozione all’estero
6.2.3.
Il sistema tedesco di supporto all’export agroalimentare
6.2.4.
Il supporto finanziario e assicurativo all’export tedesco
6.2.5.
Case History - Il modello bavarese
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
69
69
71
75
77
81
82
104
110
110
114
117
122
127
5
INDICE
7. L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE
COOPERATIVE ITALIANE
7.1. Ungheria
7.1.1.
La fotografia del paese
7.1.2.
L’import e l’export
7.1.3.
I consumi alimentari e la distribuzione commerciale
7.1.4.
Requisiti richiesti al fornitore
7.1.5.
Prodotti concorrenti di quelli italiani
7.1.6.
Forze e debolezze dell’offerta italiana
7.1.7.
I canali di vendita del prodotto italiano
7.1.8.
Barriere all’importazione
7.1.9.
Le prospettive dell’economia ungherese e dell’export italiano
7.2. Regno Unito
7.2.1.
Il contesto
7.2.2.
I pareri delle istituzioni
7.2.3.
I pareri degli operatori
7.2.4.
I pareri dei consumatori
7.3. Svezia
7.3.1.
Il contesto
7.3.2.
I pareri delle istituzioni
7.3.3.
I pareri degli operatori
7.3.4.
I pareri dei consumatori
7.3.5.
Il gioco competitivo attraverso la lettura degli scaffali
7.3.6.
Una analisi quantitativa
141
141
141
141
143
146
147
147
148
151
152
153
153
154
157
161
168
168
169
171
173
180
180
7.3.7.
Alcuni spunti qualitativi
192
8. ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
200
8.1. Le valutazioni e le previsioni espresse dalle cooperative
8.2. Le barriere tariffarie e non tariffarie 8.3. La tutela dei marchi, la contraffazione, l’Italian sounding
8.4. Gli strumenti a supporto dell’internazionalizzazione
8.5. Dalla lettura degli scaffali
8.6. Contesto e potenzialità delle esportazioni in Ungheria
8.7. Contesto e potenzialità delle esportazioni in Svezia
200
203
204
207
210
212
214
8.8. Contesto e potenzialità delle esportazioni nel Regno Unito
216
9. ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
218
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
6
1. GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE
La ricerca si è focalizzata sul settore della cooperazione agro-alimentare,
sotto l’aspetto delle scelte e delle politiche commerciali e di marketing con una
particolare attenzione al mercato estero. Queste tematiche si sono rivelate nodi
particolarmente critici nella gestione commerciale, verso cui le cooperative hanno
mostrato una accentuata sensibilità.
Data la saturazione della domanda interna, gran parte delle cooperative cerca
infatti strade di sviluppo sui mercati esteri, tanto che molti interlocutori hanno
definito l’attività di export come una strategia di sopravvivenza o comunque di
vitale importanza.
L’obiettivo ultimo era l’identificazione di spazi e di potenzialità di miglioramento in termini di incisività, di relazioni commerciali con i diversi gruppi di clienti
esteri, di potere contrattuale e, in definitiva, di margini economici ottenibili.
Più in dettaglio, le tematiche conoscitive oggetto dello studio possono essere
sintetizzate nei punti di seguito riportati.
La tutela dei marchi e la lotta alla contraffazione/Italian sounding
Solo potendo disporre di dati certi, le imprese cooperative potranno pianificare strategie promozionali e commerciali tese a riappropriarsi di parte della
domanda di Made in Italy oggi soddisfatta da imitazioni, e potranno trasformare
l’Italian sounding da minaccia a opportunità. Si è analizzata quindi la presenza
di contraffazioni e di quella zona “grigia” di prodotti a scaffale che non possono
essere chiamati di contraffazione, ma che sono in grado di evocare lo stile italiano
ed eventualmente di creare confusione percettiva nel consumatore estero.
Gli atteggiamenti, le opinioni e i comportamenti che caratterizzano la
clientela estera in relazione alle cooperative italiane
Questa fase ha studiato, presso operatori commerciali e consumatori esteri,
le valenze dell’origine italiana e in modo specifico della provenienza da una
cooperativa italiana, i fattori di stimolo rispetto all’accettazione di prodotti provenienti dal mondo della cooperazione italiana, le richieste da parte degli operatori
esteri rivolte al fornitore, i vincoli nei rapporti commerciali, le attese corrisposte
e non corrisposte, le strategie da implementare. Si sono presi in esame da un
lato i clienti intermedi (grossisti, buyer della distribuzione moderna, imprese di
trasformazione, operatori dell’Horeca), dall’altro i consumatori finali.
Dato l’obiettivo principale, costituito dalla raccolta di opinioni sui prodotti
italiani e sulla matrice cooperativa di questi prodotti, si è ritenuto utile indagare
paesi in cui la presenza italiana sia già ora effettiva.
Si sono considerati tre paesi appartenenti a tipologie diverse, tutti però caratterizzati dall’esistenza di relazioni commerciali da parte per lo meno delle maggiori
cooperative italiane (per molte cooperative di minore dimensione, si tratterebbe
invece di mercati ancora da scoprire): il Regno Unito, quale paese caratterizzato
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE
da una tradizionale buona presenza delle produzioni italiane, ma coinvolto dalla
crisi economica, al fine di capire come affrontare un mercato buon cliente, ma
in un’ottica e con esigenze legate a un periodo critico; la Svezia, come paese che
mantiene una buona capacità di spesa e un elevato livello di reddito, nonostante la crisi economica mondiale, al fine soprattutto di capire i motivi per cui le
cooperative hanno visto ridurre i propri volumi di vendita nonostante la tenuta
del livello di ricchezza, oltre che per identificare soluzioni opportune; un paese
dell’Est Europa (Ungheria), per individuare esigenze e attese espresse da parte
di un mercato emergente in cui la rete di rapporti commerciali con le cooperative
italiane è meno sviluppata.
Le conseguenze delle barriere tariffarie e non tariffarie
Al fine di lavorare per ridurre le barriere tariffarie e non tariffarie cui sono
sottoposti i prodotti nelle nostre aziende in ambito internazionale (restrizioni alle
importazioni di alcuni paesi europei a causa dalla mancata armonizzazione dei
residui sui fitofarmaci, dazi e normative igienico-sanitarie in molti paesi terzi con
lo scopo di tutelare le produzioni locali, ecc.), si è effettuato un esame del fenomeno, per quanto riguarda alcuni mercati di interesse per il prodotto italiano.
Gli strumenti a supporto dell’internazionalizzazione
In Italia esiste una serie di strumenti istituzionali che svolgono il ruolo di supporto all’internazionalizzazione. Con questa fase di indagine si sono studiati la
conoscenza e l’utilizzo di questi strumenti, la loro rispondenza alle esigenze
delle cooperative, gli spazi e le modalità di miglioramento, la necessità di uno
strumento operativo unico sul modello delle EX-IM (Export-Import) Bank.
Inoltre, si sono analizzati alcuni importanti casi esteri di istituzioni ed organismi
che offrono alle proprie aziende un supporto pubblico esteso e integrato.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
7
8
2. LE METODOLOGIE ADOTTATE
Fase desk
Una fase di lavoro è stata di tipo desk, attraverso la raccolta, la selezione e la rielaborazione di dati e informazioni esistenti, al fine di tracciare un quadro sotto
l’aspetto delle problematiche commerciali e in particolar modo con questi scopi:
• mappare il fenomeno delle barriere sanitarie e tariffarie, a livello globale e
disaggregando per settori merceologici o gruppi di prodotti, per quanto
riguarda alcuni mercati;
• identificare gli strumenti istituzionali a supporto dell’internazionalizzazione
in Italia e soprattutto analizzare alcuni importanti casi esteri di istituzioni od
organismi che offrono alle proprie aziende un valido supporto pubblico;
• delineare, descrivere e classificare il fenomeno dell’Italian sounding legato ai
prodotti agroalimentari italiani nel mondo.
Case history di strumenti a supporto dell’internazionalizzazione
Un’altra fase di studio è stata l’analisi sul campo di alcuni importanti casi esteri
di strumenti che offrono alle aziende un supporto pubblico esteso ed integrato, al
fine di esaminarne caratteristiche, modalità di gestione, ecc.
Questa fase è stata realizzata tramite colloqui personali con dirigenti di alcune
istituzioni italiane ma soprattutto estere.
Interviste a operatori commerciali esteri
Una fase di studio ha preso in esame i tre paesi di interesse definiti nell’ambito degli obiettivi (Regno Unito, Svezia, Ungheria) per realizzare una serie di
interviste personali a un piccolo campione stratificato di operatori intermedi,clienti o
potenziali clienti dei prodotti agroalimentari italiani, per mezzo di un questionario semistrutturato. In queste interviste si sono affrontate le tematiche
della valenza della provenienza italiana, e in modo specifico da una cooperativa
italiana, delle richieste rivolte al fornitore da parte degli operatori esteri, delle
attese corrisposte e non corrisposte, delle strategie da implementare.
Sulle stesse tematiche si sono realizzati anche alcuni colloqui con testimoni privilegiati, quali Ice, Ambasciata Italiana, Camere di Commercio Italiane all’estero.
Rilevazioni nei punti vendita e focus group con consumatori
In due paesi si è realizzata una analisi sul tema della tutela dei marchi aziendali
e di prodotto in ambito internazionale per mezzo di rilevazioni degli scaffali in
punti vendita della distribuzione moderna.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LE METODOLOGIE ADOTTATE
Parallelamente, si sono realizzati focus group con consumatori responsabili degli
acquisti per il nucleo familiare, per ricavarne indicazioni su tipologia di consumatori orientati ad acquistare prodotti fake made in Italy, la loro consapevolezza,
gli atteggiamenti, le conoscenze, ecc. In questi focus group si sono trattate anche
alcune tematiche riferite a un altro punto degli obiettivi: le valenze che i consumatori attribuiscono alla provenienza italiana e in modo specifico alla cooperativa, i fattori di stimolo rispetto all’accettazione di prodotti provenienti dal mondo
della cooperazione italiana.
Interviste a un campione di cooperative
Un’ulteriore fase di lavoro è consistita nell’intervista a un campione stratificato
di imprese cooperative italiane in attività nel comparto agro-alimentare, dove i
parametri di stratificazione sono stati la dimensione, il settore specifico di attività, l’area geografica di ubicazione. Si sono ovviamente prese in considerazione le
cooperative che svolgono attività di esportazione.
Nell’universo statistico delle cooperative da considerare, si sono fatti rientrare anche i consorzi di secondo grado e altri organismi analoghi, mentre non si sono prese
in considerazione le imprese cooperative che non commercializzano direttamente,
ma si avvalgono esclusivamente del conferimento del proprio prodotto, delegando
ad altri le decisioni strategiche e le fasi operative della commercializzazione.
Più precisamente, si sono attuate 60 interviste face to face per mezzo di un questionario semistrutturato, durante le quali si sono indagati in profondità gli items
oggetto di analisi:
• la capacità delle cooperative di guardare ai nuovi mercati, i livelli di concentrazione del proprio volume di affari, i paesi di destinazione, le strategie attuate e gli investimenti per arrivare a commercializzare i propri prodotti su nuovi
mercati, le strategie pianificate per il futuro;
• le barriere tariffarie e non tariffarie da fronteggiare in ambito internazionale;
• la conoscenza e l’utilizzo degli strumenti istituzionali a supporto dell’internazionalizzazione, la loro rispondenza effettiva alle esigenze delle cooperative,
le attese di uno strumento operativo unico, i suggerimenti per migliorare gli
strumenti attualmente in uso;
• le opinioni sul tema della tutela dei marchi aziendali e di prodotto in ambito
internazionale, le strategie per fronteggiare il fenomeno dell’Italian sounding;
• le valenze della provenienza italiana e in modo specifico da una cooperativa
italiana sui mercati esteri, i fattori di stimolo rispetto all’accettazione di prodotti provenienti dal mondo della cooperazione italiana.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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10
3. LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE
PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
3.1. IL CAMPIONE
Il campione è costituito da imprese cooperative esportatrici. Più precisamente,
l’intervista è stata effettuata se la cooperativa aveva esportato nell’anno precedente per almeno un 10% del proprio fatturato. Si è realizzata l’intervista anche se
nell’ultimo anno la cooperativa aveva esportato per almeno 4 milioni di euro. Per
esportazione si è inteso l’export con fatturazione al cliente estero, non il prodotto
fatturato a un cliente italiano, come un esportatore, che poi provvede a esportarlo.
Il campione è distribuito nelle diverse aree nazionali, con una prevalenza del
nord-est, ossia delle regioni maggiormente caratterizzate da imprese cooperative
che intrattengono rapporti con l’estero.
DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE AL SETTORE DI APPARTENENZA
N. COOPERATIVE
%
Lattiero-caseario
12
20,0%
Ortoflorofrutticolo
21
35,0%
Vitivinicolo
18
30,0%
Altro
9
15,0%
Totale
60
100,0%
Nella categoria altro, rientrano per esempio carne e salumi, prodotti ittici, olio, pasta
Un quarto delle cooperative intervistate ha un fatturato complessivo al massimo
di 10 milioni di euro, mentre al polo opposto un terzo abbondante del campione
si colloca oltre i 45 milioni di euro.
DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE AL FATTURATO COMPLESSIVO NEL 2012
N. COOPERATIVE
%
Fino a 10 ml di euro
15
25,0%
Da 11 a 45 ml di euro
24
40,0%
Oltre 45 ml di euro
21
35,0%
Totale
60
100,0%
L’analisi dei terzili relativi al giro d’affari svolto con l’estero vede il primo scaglione fino a 4 milioni di euro, il secondo fino a 16 milioni, l’ultimo oltre questa soglia.
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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE AL FATTURATO ATTRIBUIBILE ALL’EXPORT NEL 2012
N. COOPERATIVE
%
Fino a 4 ml di euro
20
33,3%
Da 5 a 16 ml di euro
20
33,3%
Oltre 16 ml di euro
20
33,3%
Totale
60
100,0%
3.2. L’ATTIVITÀ DI ESPORTAZIONE
I principali paesi di esportazione, per le cooperative facenti parte del campione, sono i mercati europei tradizionalmente clienti del prodotti agroalimentari
italiani (Germania, Regno Unito, Francia, Spagna, Svizzera) a cui si affiancano
altri paesi europei (come Svezia, Finlandia, Austria, Danimarca, Slovenia, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca), e mercati di altri continenti: in primo luogo, Stati Uniti, Canada, Giappone, Emirati Arabi, Argentina, Russia, Cina.
Questi ultimi due paesi sono stati più spesso citati (insieme alla Germania) come
i mercati che hanno evidenziato una crescita più sostenuta, negli ultimi due anni,
nel ruolo di clienti delle cooperative intervistate.
I paesi su cui si punta maggiormente, come sviluppo delle esportazioni per i prossimi cinque anni, sono rappresentati in primo luogo da Germania, Russia, Cina,
Stati Uniti; seguono Regno Unito, Francia, Danimarca, Svizzera e Canada; sono
poi stati citati con una frequenza inferiore: Giappone, Brasile, Sud Corea, Olanda,
Spagna, Austria, Emirati Arabi, Slovacchia, Polonia.
Nell’ambito dei principali clienti esteri, i commercianti all’ingrosso e gli importatori detengono un ruolo molto importante. Sono abbastanza frequenti, comunque, anche i rapporti diretti con le catene della Gdo, mentre più raramente ciò si
verifica con piccoli dettaglianti (tradizionali e specializzati), ristorazione - catering, industria.
Il rapporto diretto con le catene della Gdo estera è intrattenuto soprattutto dalle
grandi imprese cooperative.
Al di là del cliente a cui le cooperative vendono, i canali finali verso cui si orienta
il prodotto esportato sono principalmente le grandi superfici di vendita, il dettaglio specializzato (per esempio, le delicatessen), la ristorazione.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
PRINCIPALI CATEGORIE DI CLIENTI DELLE COOPERATIVE ESPORTATRICI
N. COOPERATIVE
%
Società commerciali partecipate o controllate
6
10,0%
Importatori - commercianti all’ingrosso
52
86,7%
Catene della Gdo
40
66,7%
Piccoli dettaglianti (tradizionali e specializzati)
5
8,3%
Ristorazione, catering
9
15,0%
Industria
8
13,3%
Altri
13
21,7%
La somma delle risposte è superiore al numero di cooperative rispondenti,
in quanto era possibile indicare più risposte
PRINCIPALI CANALI FINALI A CUI SI INDIRIZZA IL PRODOTTO DELLE
COOPERATIVE ESPORTATRICI
N. COOPERATIVE
%
Grandi superfici di vendita
51
85,0%
Dettaglio tradizionale
19
31,7%
Dettaglio specializzato (es. delicatessen)
32
53,3%
Ristorazione, catering
36
60,0%
Industria
5
8,3%
Altri
3
5,0 %
La somma delle risposte è superiore al numero di cooperative rispondenti,
in quanto era possibile indicare più risposte
3.3. LE STRATEGIE ATTUATE
Analizzando i fattori che hanno consentito alle aziende del campione di sviluppare ed eventualmente di incrementare l’export nel corso degli anni, si evince
che una carta vincente è di sicuro lo sviluppo di buoni rapporti di medio-lungo
periodo con importatori seri nei paesi di riferimento: sono operatori che svolgono funzioni commerciali, in alcuni paesi svolgono ruoli di interfaccia culturale e
soprattutto funzioni logistiche, a maggior ragione quando la distanza è notevole.
In altri termini, lo sviluppo di una buona rete commerciale e delle giuste relazioni
con operatori del settore, unitamente a una valida gestione commerciale del cliente, investendo sui clienti già acquisiti in termini di fidelizzazione.
Importante è anche curare le attività promozionali per aumentare in questi mercati la conoscenza del proprio prodotto, gestendo anche i rapporti con i giornalisti
in loco. Per fare ciò, essenziale risulta l’organizzazione aziendale con personale
qualificato, al fine di migliorare il servizio.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
Altra corrente di pensiero è quella di chi preferisce un approccio diretto, senza
la figura intermediaria dell’importatore, diversificando l’offerta e ricercando nicchie che aumentino la marginalità.
Si denota inoltre una forte crescita dell’attenzione al “Made in Italy”, della conoscenza del marchio e della percezione di questo.
Ovviamente, aiutano avere un buon rapporto qualità/prezzo e la conseguente
aggressività sui prezzi, senza andare a discapito di un miglioramento continuo
della qualità dei prodotti. Anche le certificazioni di qualità sono un buon biglietto
da visita.
La partecipazione a iniziative di promozione diretta in loco aiuta a migliorare la
percezione della propria immagine; cercando clienti in un’ottica di medio termine, con una ragionata politica di marketing basata sulla segmentazione del mercato e sul conseguente posizionamento del brand più coerente e adeguato. Avere
perciò un prodotto studiato per mirare alla domanda, soddisfacendola, e quindi
avere all’interno dell’azienda chi conosce i mercati esteri di riferimento, puntando principalmente ai paesi emergenti e con clima sociale favorevole.
Chi si discosta da questo pensiero è chi ha mirato sull’aumento della domanda
interna, investendo in ricerca, innovazione del prodotto, puntando sull’investimento prima in Italia per poi da lì crearsi canali esteri.
Anche l’ampiezza della gamma di prodotti offerti e la conseguente entrata in nuove catene di Gdo sono state in diversi casi fattori che hanno consentito di aumentare l’export.
C’è invece chi sostiene che un elemento fondamentale sia l’introduzione nella
propria offerta di prodotti bio, anche come conseguenza dell’attenzione da parte
di molti mercati alla sostenibilità ambientale, alla tracciabilità, ecc.
Non molto dissimili sono i fattori su cui si baseranno le strategie per sviluppare
nei prossimi anni i mercati esteri. Risulta fondamentale la partecipazione a fiere,
anche come visitatori per conoscere nuovi clienti, e a manifestazioni ed eventi di
promozione e comunicazione, come incontri B2B e attività di incoming.
Importanti sono anche gli accordi di lungo termine con gli importatori, quindi
workshop per un primo approccio, poi eventuali attività di co-marketing. L’importatore viene visto come figura fondamentale, un filtro positivo, ed è importante anche il suo affiancamento per poi essere personalmente presenti sul mercato.
È fondamentale acquisire nuovi clienti, ai quali poi dare supporto, tramite attente
informazioni di mercato. Ciò è possibile grazie anche ad approcci diretti con la
Gdo, a maggiori relazioni con i distributori, all’individuazione di partner affidabili, a una diffusione della conoscenza del proprio prodotto, eventualmente
tramite l’apertura di punti vendita sul mercato estero.
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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
Alla base di tutto ciò sta una forte conoscenza e consapevolezza delle richieste dei
mercati per poter poi lavorare in funzione di queste. Adeguarsi perciò al mercato,
proponendo prodotti specifici per ogni area; il cliente estero chiede una gamma
tendenzialmente più vasta rispetto a quello italiano.
D’altra parte bisogna praticare un’adeguata assistenza verso i clienti già acquisiti:
investire nella relazione, presenza di figure aziendali che visitino il cliente, sito in
lingua; insomma, una gestione attiva dei propri clienti.
Si ritiene importante puntare sui valori del nostro territorio, enfatizzando le peculiarità dei prodotti con iniziative anche di tipo turistico. E a questo proposito, è
utile istituire organizzazioni di produttori, per garantire tutela e per raggiungere
la massa critica.
Anche le collaborazioni con imprese di settori diversi, i cui prodotti possono essere affiancabili e sinergici, risulta una possibile strategia: proporre al cliente un
paniere completo di prodotti alimentari made in Italy.
Fondamentale rimane puntare sulla qualità e sul servizio, per soddisfare le richieste specifiche, migliorando i cicli produttivi, garantendo disponibilità del
prodotto e quindi un presidio stabile sul mercato. A questo riguardo, si intende
necessaria l’innovazione nella logistica e nel prodotto stesso.
In modo particolare, si è posta una domanda per capire l’importanza rivestita
dall’innovazione di prodotto nella conquista dei mercati esteri. Ciò che è emerso
è che in tutti i settori, in qualcuno di più in altri meno, è comunque importante
l’innovazione di prodotto per quanto riguarda i mercati esteri. Si può affermare
che per la maggior parte delle aziende intervistate è fondamentale, praticamente
un’esigenza, l’adeguamento al paese d’esportazione, ognuno diverso; e questo
comporta studi aziendali approfonditi. Importante è capire le esigenze, centrare i
gusti dei mercati, e orientarsi verso una produzione studiata per il mercato estero
da affiancare a una gamma base di prodotti, quindi offrire una maggiore varietà.
Nel fare ciò si incontrano anche dei limiti, caratterizzati dalle regole delle Dop e
delle Igp che impongono il rispetto di determinate caratteristiche; altre problematiche riguardano le risorse disponibili da investire in questo senso; ed altre
ancora sono dovute al fatto che spesso la singola cooperativa è troppo piccola per
affrontare da sola innovazioni di una certa rilevanza.
C’è chi ritiene che si debba partire dall’esportare la produzione classica e tradizionale per poi adeguarsi ed innovare la produzione in un secondo momento. Quindi l’importante in questo caso diventa la tradizione assecondata dalla novità.
Alcune aziende non ritengono utile innovare il prodotto, anche perché necessiterebbero di anni di lavoro, ma magari soltanto parte del packaging o dei servizi incorporati. L’innovazione del packaging e della presentazione del prodotto
serve per adattarsi alle diverse esigenze dei mercati esteri e per differenziarsi.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
L’importanza della componente immagine è molto cresciuta negli ultimi anni, e
quindi tutto quello che riguarda il confezionamento e l’etichettatura è diventato
fondamentale per farsi spazio sui mercati esteri.
Qualcuno invece pensa che l’innovazione di packaging comporterebbe il rischio
di creare un’immagine incoerente di sé; il confezionamento deve essere uniformato anche per abbassare i costi logistici.
Le strategie di comunicazione adottate dalle cooperative verso i mercati esteri
sono variegate, ma si può affermare che la più comune sia la partecipazione a
fiere di settore. Altrettanto diffusa è la creazione del proprio sito internet in più
lingue, con l’invio eventuale di mail e newsletter. Affiancata a ciò, ma meno diffusa, è la presenza su riviste di settore, come forma di pubblicità classica.
Si cercano anche di promuovere eventi che diano visibilità al prodotto, come le
degustazioni, per rendere il consumatore consapevole, fornendogli informazioni
ed “educandolo” alla qualità. Questo tramite presenza diretta sul punto vendita
e tramite una comunicazione diretta. Sempre in quest’ottica, vengono sviluppati
brochure e cataloghi della propria azienda in più lingue, e viene distribuito materiale pubblicitario nei punti vendita.
Diverse aziende non si muovono sole: c’è chi si avvale di agenzie di comunicazione in loco; chi aderisce a consorzi di promozione all’estero; chi ancora adotta
politiche di co-marketing con distributori e con catene della Gdo.
Qualche azienda punta sul packaging adattato a ogni paese, con etichette diversificate.
Qualche cooperativa ammette di non adottare nessuna particolare strategia di
comunicazione rivolta ai mercati esteri, sia perché non ci sono fondi disponibili,
sia perché si reputa che la propria azienda sia già conosciuta all’estero, sia infine
perché si intravvede un ritorno economico troppo lento.
Per conquistare spazi sui mercati esteri, la partecipazione alle fiere (nonostante
sia alquanto diffusa, come sopra affermato) si caratterizza per opinioni piuttosto
controverse.
Per la maggior parte delle cooperative intervistate, le fiere sono un momento di
incontro e scambio importante ed essenziale, soprattutto per i mercati nuovi e se
gestite direttamente dall’azienda. Sono utili e fondamentali per conoscere i mercati, per consolidare i rapporti; sono una vetrina, un momento di incontro diretto con operatori e consumatori, anche per individuare nuovi partner; sono utili
anche per controllare la concorrenza. Anzi, nelle grandi fiere di settore diventa
quasi obbligatorio essere presenti per un discorso d’immagine.
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Da questa visione si distacca leggermente chi vede un’utilità soltanto parziale
della partecipazione alle fiere. È stato sostenuto che in queste situazioni non si approcciano clienti nuovi, ma si mantengono soltanto i contatti con i clienti già acquisiti. C’è chi individua la loro utilità soltanto per agevolare i contatti nei mercati
già consolidati. O comunque solo se si è affiancati e aiutati da consorzi ed enti.
Diffusa è la valutazione che le fiere siano inflazionate: occorre quindi fare valutazioni in merito e focalizzarsi su poche ma interessanti manifestazioni. Per molti,
le fiere sono adatte soltanto alle grandi aziende: risultano costose ed impegnative
per i piccoli produttori. Sono interessanti per i paesi in via di sviluppo, ma nei
mercati maturi risultano più significative altre iniziative come workshop, incontri
con i buyer. Le fiere hanno parecchi limiti, secondo alcune cooperative del campione: sono importanti soltanto se si hanno prodotti nuovi da promuovere; sono
utili solamente se si è già presenti sul territorio e solo in un’ottica di lungo periodo; necessitano di prendere contatti già prima della fiera stessa.
Per qualche cooperativa intervistata, le fiere non sono per niente utili, forniscono
pochi ritorni e scarsi risultati; non sono più efficaci anche perché troppo dispersive; si tende a prediligere le fiere estere comunque rispetto quelle italiane, a parte
poche eccezioni.
3.4. LE PRINCIPALI BARRIERE E LE DIFFICOLTÀ INCONTRATE
Le principali difficoltà incontrate sui mercati esteri nel 2012 e nella prima parte
del 2013 riguardano una serie di aspetti molto diffusi e condivisi tra le cooperative italiane.
Primo tra questi è la forte pressione concorrenziale, soprattutto da parte dei cosiddetti paesi emergenti, oltre a una produzione propria interna dei mercati di esportazione. Se a questo si aggiunge il periodo di generale congiuntura economica
negativa, si può facilmente capire come i prezzi minori applicati dai concorrenti
vadano a schiacciare al ribasso i prezzi applicati dalle cooperative esportatrici.
Altro forte elemento di difficoltà è il doversi adeguare a richieste di tipo burocratico alquanto gravose: l’aumento di tasse e di dazi, la pretesa di certificazioni
impegnative (sia di tipo sanitario che di qualità), la documentazione richiesta alla
dogana, le formalità di controllo della spedizione con relativi costi e ritardi nella
stessa. Tutto ciò con diverse interpretazioni per ogni mercato di riferimento e con
cambi improvvisi di contesti.
Si denota una scarsa cultura del prodotto esportato, con conseguente necessità di
informare che le produzioni sono di qualità, sicure, garantite e sane. Le abitudini
di consumo estere sono diverse dalle nostre, e non vi è uniformità di pensiero nel
considerare il prodotto italiano, con conseguente difficoltà nella differenziazione
dei prezzi. Non si riconosce nel prezzo lo spessore qualitativo del prodotto.
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Altri problemi riguardano il packaging e il fatto che ogni paese richiede il suo, con
relativi costi per l’etichettatura, e quindi con un relativo aumento di costo complessivo. Anche la logistica può essere complicata: i costi di trasporto incidono pesantemente, mancano infrastrutture destinate alla giacenza temporanea delle merci, i
trasportatori sono in diminuzione e non sempre appaiono adeguatamente attrezzati, e in caso di trasporti lunghi sussiste un rischio di deterioramento merce.
Pure la realtà distributiva può diventare complicata, appare concentrata e di difficile reperimento per quanto riguarda importatori affidabili.
I clienti non sono sempre affidabili, non è trascurabile il rischio di insolvenze ed è
forte la percentuale di contestazioni merce. In più, non tutti hanno la consapevolezza di avere a che fare con cooperative.
Si denota anche una mancanza di liquidità necessaria per gli investimenti verso i
nuovi mercati.
Una manciata di intervistati non ha rilevato nessun tipo di difficoltà nell’esportare.
In modo particolare, le principali difficoltà incontrate nell’esportare verso la Cina
da parte delle cooperative riguardano principalmente la sfera della burocrazia.
Questa risulta estremamente pesante e complessa, così come la documentazione
richiesta. Il cambiamento repentino di normative in quest’ambito non va di certo
ad aiutare. Altro problema riguarda le pratiche di sdoganamento, che risultano
lunghe (causando problemi ai prodotti deperibili), oltre che complicate, il che
richiede massima precisione per l’azienda esportatrice.
I dazi risultano molto onerosi, si può parlare di azioni di dumping contro l’importazione.
Qui ancora si parla di un consumo di nicchia, nel senso che non si conseguono
alti volumi di fatturato causa abitudini di consumo estremamente differenti dalle
nostre. Si fatica perciò a posizionarsi sul mercato, anche a causa della concorrenza
interna; nonostante si denoti un buon potenziale di mercato, questo non si pensa
possa concretizzarsi a breve.
Altre difficoltà riguardano la comunicazione e la percezione del prodotto
esportato: è scarsa la cultura del prodotto italiano, spesso non lo si conosce,
così come le abitudini alimentari (si richiedono prodotti a lunghissima scadenza). Inoltre, i due mercati in esame sono diversi tra loro: Hong Kong appare già più professionale, mentre la Cina risulta ancora poco interessata a
investire nei prodotti italiani.
Un altro problema è quello logistico legato alla distanza, ai trasporti e alla lingua. Problema quest’ultimo che si concretizza nella formazione delle etichette,
in cui il nome prescelto non dovrà risultare poi troppo distante dal nome del
prodotto italiano.
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Si denota, anche se non frequentemente, una mancanza di affidabilità di continuità degli operatori con cui si va a trattare, e anche una sorta di imprevedibilità, in
quanto chi decide agisce incontrastato.
Il cliente inoltre è difficile da controllare, se per esempio la sua decisione è di contestare il prodotto.
Sempre legata a una distanza geografica quanto culturale, affiora la difficoltà di
ottenere certificazioni riconosciute.
Qualche intervistato sta iniziando adesso ad esportare in questi paesi, e per qualcuno non sussistono problemi rilevanti.
Ciò che appare molto evidente quando si parla del mercato russo è la scarsa trasparenza dello stesso: mancano regole chiare, non sussistono certezze. È difficile
il rapporto con gli importatori, è difficile la comunicazione con gli stessi, i quali
risultano in tanti casi poco seri e affidabili. Esistono barriere all’entrata costituite
da licenze e dazi agevolati per determinati paesi. Vengono introdotti ed eliminati
permessi all’importazione in modo repentino e senza valide motivazioni, e in
questo le autorità periferiche risultano scollegate da quella centrale.
Le normative relative alla sicurezza sanitaria vedono la frequenza richiesta di
certificazioni particolari. A questo si aggiungono difficoltà doganali, riguardanti
la discrezionalità nell’applicare queste norme. La burocrazia appare pesante, la
normativa complessa. Ma ciò che più pesa è l’instabilità delle regole, unitamente
al fatto che il mercato appare “chiuso” cioè con liste restrittive nelle quali si entra;
si importa quindi grazie a conoscenze e rapporti in loco.
Altro elemento rilevante è l’inaffidabilità del cliente: molti acquirenti risultano
a rischio, causando difficoltà nell’incassare i crediti; a ciò si aggiungono frequenti contestazioni dove il lungo trasporto costituisce un alibi per riuscire a
pagare meno.
Qualche cooperativa non esprime difficoltà, ma anzi intravvede forti possibilità
di crescita, in quanto il mercato della Russia è ancora giovane.
Parlando dell’esportazione verso gli Stati Arabi. non si denota invece un elemento
di difficoltà che accomuni un certo numero di cooperative. Sicuramente rilevante
è la richiesta di lavorazioni particolari, quindi di una produzione ad hoc e di un
relativo costo per determinate certificazioni e codifiche richieste, come ad esempio etichettatura particolare. In questo senso la burocrazia diventa pesante.
Inoltre le condizioni sociali, religiose ed economiche parecchio diverse dalle nostre causano abitudini di consumo altrettanto differenti ed una relativamente
scarsa conoscenza del mercato italiano e dei suoi prodotti.
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Qualche cooperativa individua problemi riguardanti il trasporto, la lingua e l’assicurazione dei crediti, ma la maggior parte di esse non riscontra difficoltà rilevanti in questi mercati.
Il Brasile ha instaurato un forte sistema protezionistico al suo interno, quindi i
dazi particolarmente alti e il loro relativo aumento causano difficoltà all’export
delle cooperative italiane. Ci sono forti complessità doganali e burocratiche, inoltre i dazi sono agevolati per altri paesi, e le cooperative italiane risultano così
meno competitive rispetto ad altre produzioni: o si aumentano i prezzi di vendita
con il conseguente rischio di vendere poco, o si abbassano per poter comunque
competere sul mercato. La concorrenza risulta in questo modo sleale.
La documentazione e le certificazioni richieste sono molto meticolose e quindi
costose. È inoltre difficile la ricerca di agenti e partner affidabili.
La distanza con questo paese e i relativi tempi lunghi dei trasporti non agevolano
i rapporti. A fianco di questo aspetto notiamo che la scarsa cultura che si ha in
Brasile del prodotto italiano, e le differenze nelle abitudini di consumo, vanno ad
aggravare queste difficoltà.
C’è anche però chi non rileva difficoltà di nessun genere.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’elemento principale di difficoltà da parte delle nostre cooperative riguardo l’esportazione è ciò che concerne gli aspetti legali,
le normative e la burocrazia. Vi è una sorta di protezionismo, ma è stato definito
sostanzialmente ragionevole; i dazi doganali sono comunque alti, causando un
aumento del prezzo finale di vendita e un conseguente rischio di diminuzione dei
volumi di vendita. La complessità e la variabilità della documentazione richiesta,
soprattutto per quanto riguarda le etichette, diventano problematiche, così come
le certificazioni e i controlli ai quali la merce deve essere sottoposta.
La concorrenza sta acquisendo un ruolo importante, sia quella statunitense abbastanza aggressiva, sia il fatto che la maggior parte degli operatori a libello mondiale voglia vendere su questo mercato.
La distanza e quindi i trasporti vanno poi a incidere sul costo di vendita e a volte
sulla qualità finale del prodotto.
È un mercato relativamente nuovo per molte delle nostre cooperative, e soprattutto talmente ampio, che varia da stato a stato. Ciò che cambia da stato a stato è
anche la distribuzione, per questo si rende necessaria la figura dell’importatore.
In alcuni stati la distribuzione è concentrata in grandi colossi.
Come per altri paesi, anche per quanto riguardo gli Stati Uniti qualche cooperativa non individua problemi rilevanti.
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Le principali difficoltà che si incontrano sul mercato canadese sembrano innanzi tutto riconducibili al fatto che in questo paese esiste una forma di monopolio
per quanto riguarda la distribuzione. Ciò costituisce una chiara barriera all’esportazione.
Sussiste una sorta di protezionismo, a causa dell’esistenza di dazi elevati e della
richiesta di certificazioni e controlli in loco. Quindi, una problematica conseguente risulta la concorrenza riguardante i prezzi.
A ciò si aggiunge una difficoltà di approccio a questo paese, dovuta al doversi
adeguare a standard particolari, il che rende necessaria la figura dell’importatore.
Inoltre, le licenze per l’importazione sono in mano a pochissimi soggetti.
Data la posizione geografica, anche la distanza con l’Italia e i relativi trasporti
possono risultare onerosi.
Molte cooperative invece non denotano difficoltà di nessun tipo.
Prescindendo dai singoli paesi, le principali barriere tariffarie a cui le cooperative
vanno incontro sono i dazi, le tasse e le accise particolarmente elevati. La loro
incidenza poi si ritrova sul prezzo del prodotto finale. Spesso le tariffe variano a
seconda del periodo dell’anno, o, come nel caso degli Stati Uniti, a seconda del
paese. È emersa poi la minaccia di ulteriori dazi che saranno introdotti a breve.
Le principali barriere in riferimento agli ostacoli di tipo non tariffario riguardano
sostanzialmente i contingentamenti, strumenti di protezione della produzione locale, che si attivano e disattivano durante l’anno, e hanno forti oscillazioni.
Altra difficoltà riguarda le licenze di importazione. Il cliente ne fa richiesta al suo
stato di appartenenza, ma questi permessi sono spesso in mano a pochi operatori,
con una forte incertezza riguardo la loro continuità.
Barriere non tariffarie sono considerate anche la distribuzione, che risulta scarsamente libera e vincolata da logiche di vario tipo, e i controlli scrupolosi a cui
spesso i prodotti sono sottoposti.
Parlando di barriere normative, i requisiti richiesti sono differenti e spesso le norme risultano pesanti e complesse; in tanti casi non è semplice venirne a conoscenza; inoltre, sono in continuo cambiamento. La non chiarezza della normativa di
riferimento la rende poi soggetta a interpretazioni personali, e anche ad applicazioni soggettive.
Altra barriera è la richiesta di certificazioni (di qualità, igienico-sanitarie, bio,
ecc.), e di particolari ed onerose registrazioni, come la lista di prodotti ammessi
nel singolo paese.
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Problema non irrilevante è l’obbligo di codifiche ad hoc per quanto riguarda la
confezione e l’etichetta del prodotto esportato.
La burocrazia risulta complessa, con minuziosi controlli in fase di sdoganamento,
e manca uniformità riguardo i metodi dei controlli.
Altre barriere si rispecchiano nel problema dell’embargo, nella normativa antidumping e nei monopoli di stato.
Per quanto riguarda le norme igienico-sanitarie, vengono richieste apposite
certificazioni da specifici enti accreditati, la cui difficoltà di ottenimento varia a
discrezione di ogni paese. I protocolli sanitari diventano sempre più rigidi e, se
non si rispettano certi parametri, si è fuori dal mercato. I controlli su additivi,
conservanti e residui fitofarmaci risultano severi, con parametri restrittivi e stringenti rispetto alle norme comunitarie. Tutto ciò diventa gravoso, prima gli standard erano più accessibili, e questo cambiamento è avvenuto per proteggere la
produzione locale e inibire l’importazione. Anche la documentazione richiesta è
alquanto laboriosa. Vengono effettuati controlli per problemi sanitari che in Italia
non si sono mai verificati.
Si nota anche carenza di idonei depositi temporanei.
3.5. ESSERE COOPERATIVA
Secondo parte delle opinioni raccolte, essere cooperativa ha una valenza positiva
nella percezione dei clienti sui mercati esteri, principalmente per quanto riguarda
l’aspetto della gestione della filiera. Il controllo su di essa aumenta esponenzialmente la credibilità che si ha come produttori; offrire prodotti dei soci dà più
sicurezza al cliente, la gestione è percepita come più controllata e trasparente. La
filiera corta migliora l’immagine del prodotto della cooperativa.
Legata all’aspetto della gestione della filiera, risulta molto rilevante la vicinanza ai
produttori; la cooperativa rappresenta la produzione stessa con un conseguente
miglioramento di immagine. In alcuni casi, il cliente riesce a “toccare con mano”
il prodotto durante visite organizzate.
Il consumatore percepisce quindi maggiori garanzie di qualità attraverso la cooperativa ed ulteriori garanzie di controllo. Importante è inoltre la possibile tracciabilità delle materie prime, ulteriore garanzia di fiducia riguardo la provenienza del prodotto.
L’offerta aggregata garantisce inoltre determinate quantità, una tutela dell’approvvigionamento data dalla disponibilità del prodotto.
Si nota come positiva la percezione che la cooperativa possa investire nel lungo periodo,
garantendo continuità nel portafoglio prodotti e nella programmazione di produzione.
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Un po’ più marginale sembra il fatto che la cooperativa possa vantare finalità sociali, di salvaguardia dei diritti dei lavoratori e di sostegno alle zone rurali.
Qualche intervistato invece non riscontra nessun effetto positivo in confronto alle
imprese private.
I principali effetti negativi sottolineati a proposito della natura cooperativa, rilevati da parte delle stesse cooperative intervistate, riguardano il complesso sistema decisionale. Risulta difficile comunicare all’esterno l’organizzazione della
cooperativa, ma il neo maggiore sta proprio nel fatto che la struttura decisionale
interna è complessa e lunga, risultando perciò meno snella e reattiva nel rapporto
con il mercato.
I soci sono in certi casi poco propensi all’innovazione e a investimenti in comunicazione e promozione, i CdA non sempre vogliono investire nella struttura commerciale con la conseguenza che le cooperative vengono percepite come meno
reattive e meno flessibili; ciò anche perché “la loro prospettiva frequentemente
non supera il medio termine”.
Secondo altri pareri, determinati clienti percepiscono il prodotto della cooperativa come produzione di massa, percepiscono che la finalità della cooperativa sia
la quantità a discapito della qualità, ma contemporaneamente “la cooperativa
risulta troppo rigida sui prezzi”.
Si denotano inoltre problemi amministrativi e una organizzazione non adeguata
per risolvere determinate problematiche; può mancare un interlocutore che sia
costante nel rapporto con i clienti.
La rigidità nell’acquisto di prodotti che non siano dei soci causa un minor assortimento rispetto alla concorrenza, ed è un limite per l’offerta. Proprio perché la
mission della cooperativa è vendere la produzione dei soci si possono verificare
casi di surplus produttivo o talvolta di produzione carente: la compagine dei soci
è limitata quanto a volumi che possono essere introdotti sul mercato, si faticherebbe a rispondere a richieste di consistenti aumenti di fornitura. ulteriori vincoli
riguardano l’impossibilità di delocalizzare.
Un altro aspetto rilevato è che in diversi casi manca nel consumatore la consapevolezza che si stia trattando di una cooperativa.
Un numero abbastanza significativo di intervistati non ha evidenziato effetti
negativi.
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3.6. LA CONOSCENZA, L’UTILIZZO E LE VALUTAZIONI DEGLI STRUMENTI ISTITUZIONALI DI SUPPORTO ALL’EXPORT
Per quanto riguarda gli strumenti istituzionali di supporto finanziario all’internazionalizzazione, le cooperative del campione hanno fornito un numero molto
limitato di indicazioni, in quanto il ricorso a questi strumenti è poco diffuso. Due
cooperative intervistate hanno indicato SACE, una ha accennato a SIMEST, tre
hanno indicato la Cassa Depositi e Prestiti (a proposito di quest’ultima si intendeva un utilizzo diretto, non mediato da altri strumenti).
Il supporto ricevuto, relativamente a questi strumenti utilizzati, è rappresentato
da contributi a fondo perduto, contributi per investimenti sulla base di progetti,
finanziamenti per strutture.
Tra i suggerimenti e le opinioni espressi in proposito, è affiorato in genere un
discreto livello di soddisfazione, a fianco di qualche motivo di insoddisfazione o
parziale soddisfazione: per esempio, i tempi lunghi a volte costringono a rivolgersi al credito privato nel periodo di attesa del finanziamento pubblico; occorrerebbe riuscire a ridurre i tempi e rendere più leggera la burocrazia.
Leggermente superiore (nove intervistati) è il numero di cooperative che hanno utilizzato strumenti istituzionali per l’assicurazione del rischio su crediti commerciali oppure
per il recupero dei crediti relativamente all’attività di esportazione. Sono stati citati Sace,
strumenti istituzionali del mondo cooperativo, ma anche assicurazioni private come
Heuler Siac e Coface.
Diversi intervistati hanno specificato che si cercano di utilizzare le lettere di credito o le
riscossioni anticipate, oppure che non ci sono solitamente problemi di insolvenze con
l’estero che invece si verificano in Italia.
Una parte dei rispondenti si è dichiarata soddisfatta del servizio ricevuto, altre cooperative utilizzatrici hanno invece fatto emergere suggerimenti o spazi di miglioramento; per
esempio, costi molto alti, riduzione delle coperture, estrema rigidità, scarsa dinamicità.
È stato poi affermato che si tende ad assicurare solo quando il rischio è limitato, oppure
tutte le esportazioni in blocco. D’altra parte, è stato sottolineato, anche le coperture delle
società assicurative private stanno riducendosi per i sempre maggiori rischi.
Ben diverso è il grado di utilizzo di strumenti istituzionali per il supporto di mercato
o di consulenza commerciale all’internazionalizzazione. Oltre l’80% delle cooperative
rispondenti ha dichiarato di avere usufruito di tali servizi. Ice, Regioni e Camere di Commercio sono stati i riferimenti più spesso citati. Sono emersi con una certa frequenza i
fondi OCM di sostegno all’export verso paesi terzi.
Approfondendo sui supporti ricevuti, sicuramente il finanziamento della partecipazione
a fiere, o per lo meno l’agevolazione finanziaria della partecipazione, è ciò che è stato
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maggiormente utilizzato. Altri tipi di supporti ricevuti sono: incontri con buyer e importatori, workshop con importatori, fondi da utilizzare nella promozione del prodotto,
aiuti nella ricerca di nuovi contatti, organizzazione di eventi, manifestazioni per promuovere i prodotti, organizzazione di incontri con la GDO.
Andando maggiormente nello specifico, con l’Ice molte cooperative hanno potuto partecipare a fiere; hanno avuto informazioni riguardo le varie schede paese e le relative
procedure per entrare nel mercato; hanno avuto facilitazioni nell’incontro con buyer e
operatori di settore.
Le Camere di Commercio hanno agevolato la partecipazione a fiere, a workshop e a incontri B2B, hanno dato informazioni su procedure fiscali e pratiche burocratiche, e hanno
sostenuto la promozione dei prodotti delle cooperative che ne hanno chiesto il supporto.
La Regione ha favorito la partecipazione a fiere, spesso anche con stand collettivi.
I principali motivi per cui una parte seppur minoritaria di cooperative tende a non utilizzare strumenti di questo tipo, sono riconducibili all’assenza di necessità di utilizzo,
per l’impiego di partner e collaboratori in zona che creano contatti o per l’orientamento
a gestire direttamente queste problematiche.
DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE ALL’UTILIZZO DI STRUMENTI ISTITUZIONALI
PER IL SUPPORTO DI MERCATO O DI CONSULENZA COMMERCIALE
ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
N. COOPERATIVE
%
Hanno utilizzato
50
83,3%
Non hanno utilizzato
7
11,7%
Non risposto
3
5,0%
Totale
60
100,0%
PRINCIPALI STRUMENTI ISTITUZIONALI UTILIZZATI
N. COOPERATIVE
%
ICE
12
20,0%
Camere di Commercio
21
35,0%
Regioni
18
30,0%
Altro
9
15,0%
La somma delle risposte è superiore al numero di cooperative rispondenti, in quanto era possibile indicare più risposte; le percentuali sono calcolate sulle 50 cooperative utilizzatrici. Nella voce altro rientrano per esempio i consorzi di
tutela, le organizzazioni agricole, le centrali cooperative, associazioni e federazioni di vario genere, istituti bancari.
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
La rispondenza di questi strumenti alle esigenze degli utilizzatori vede una concentrazione di risposte in corrispondenza della voce “abbastanza rispondente”. Una
quota non del tutto trascurabile, tuttavia, si è espressa per una scarsa rispondenza.
Tra le cooperative che hanno ritenuto che gli strumenti utilizzati non abbiano risposto alle esigenze, si evidenzia che gli interventi delle istituzioni di riferimento
sono risultati approssimativi, generici, dispersivi. Le manifestazioni a cui hanno
partecipato sono apparse inconcludenti, senza risultati o con scarso ritorno, spesso perché carenti di una comunione di intenti.
Si è inoltre evidenziato che i finanziamenti richiesti sono soggetti a molti vincoli,
e con tempi per il rilascio alquanto lunghi.
Le iniziative proposte in alcuni casi sono risultate frazionate e hanno mancato di
concretezza; in altri casi, necessitavano di una forte organizzazione commerciale
che non tutte le cooperative hanno.
Per la maggior parte di cooperative non è stato complesso attingere a queste risorse: non hanno avuto particolari problemi, soltanto normali adempimenti burocratici. Si è trattato solamente di richiedere il servizio e di pagarne il corrispettivo,
tutto ciò coadiuvato dal fatto che in molti casi sono poche le aziende che richiedono questo tipo di servizio.
Per altre cooperative, al contrario, è risultato alquanto complesso accedere ai fondi,
perché le normative appaiono complicate e le relative competenze si sovrappongono.
I pareri riguardanti i criteri di selezione per accedere ai finanziamenti sono abbastanza unanimi: la maggior parte ritiene che siano adeguati, appropriati anche se
selettivi, congrui, non troppo stringenti e non problematici.
Poche cooperative li ritengono inadeguati, con presenza di eccessivi controlli.
C’è anche chi non sa rispondere, in alcuni casi perché non è stata necessaria la
selezione, in quanto le aziende richiedenti erano inferiori alla disponibilità dei
finanziamenti.
DISTRIBUZIONE DELLE COOPERATIVE UTILIZZATRICI IN BASE ALLA VALUTAZIONE SULLA
RISPONDENZA DI QUESTI STRUMENTI ALLE ESIGENZE DEGLI UTILIZZATORI
N. COOPERATIVE
%
Completamente rispondente
9
18,0%
Abbastanza rispondente
30
60,0%
Poco rispondente
9
18,0%
Per nulla rispondente
0
0,0%
Non so
2
4,0%
Totale
50
100,0%
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Per stimolare le esportazioni, le cooperative intervistate sono abbastanza concordi nel constatare che l’ente pubblico dovrebbe snellire le pratiche burocratiche,
limitare le barriere doganali, soprattutto per quanto riguarda i paesi extraeuropei. Quindi maggiori accordi a livello politico, per aumentare poi il peso decisionale dell’Italia in tali trattative.
Lo Stato dovrebbe poi agevolare gli incontri tra operatori dello stesso settore, per
creare iniziative significative e non frammentate, per favorire l’aggregazione e
trovare punti di riferimento comuni, e quindi anche un’aggregazione della produzione stessa.
Si dovrebbe istituire un marchio Italia, un “Made in Italy”, un sistema paese per
coordinare e creare un’immagine a livello nazionale, e far conoscere maggiormente l’Italia e i suoi prodotti. A questo proposito, si dovrebbero favorire iniziative di promozione, facendosi carico di queste attività di comunicazione, promuovendo le eccellenze e facendo conoscere il territorio. Andrebbero inoltre proposte
iniziative di educazione del consumatore.
Di conseguenza, l’ente pubblico dovrebbe concedere finanziamenti per favorire
chi fa attività di export, e investire maggiormente nelle esportazioni. Dovrebbero
essere maggiormente coordinati i diversi enti.
Si necessita di azioni concrete contro le imitazioni e le contraffazioni, più controlli
in questa direzione.
Andrebbero armonizzate le tariffe doganali e di trasporto, e si dovrebbero creare
infrastrutture adeguate alle attività di esportazione.
Le cooperative vorrebbero inoltre dall’ente pubblico più aiuti nell’esser tutelati
dal punto di vista finanziario.
Si chiede una maggior formazione dei funzionari pubblici e degli operatori del
settore; una più incisiva protezione delle certificazioni di qualità come le Dop e le
Igp; una maggior stimolazione dell’innovazione e ricerche di mercato specifiche.
C’è anche chi non nutre grandi aspettative verso lo Stato riguardo ad aiuti per
agevolare l’esportazione.
3.7. GLI ATTEGGIAMENTI RELATIVI ALLA CONTRAFFAZIONE
L’esistenza di problemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani
all’estero è stata dichiarata da quasi quattro cooperative su cinque. Una parte di
queste, tuttavia, ha specificato che si tratta di episodi infrequenti. Sono state soprattutto le imprese del settore lattiero-caseario e le cooperative di minore dimensione a porre in evidenza l’esistenza di questi problemi, anche per una maggiore
frequenza di casi esistenti nel settore in esame.
La distribuzione delle cooperative in base all’opinione sulla natura di questi pro-
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
blemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani all’estero, vede una
supremazia dei pareri tesi a evidenziare la coesistenza di entrambi gli aspetti sullo stesso mercato, alla pari delle cooperative che invece hanno puntato maggiormente sulle caratteristiche di Italian sounding piuttosto che sulla contraffazione
vera e propria.
DISTRIBUZIONE DELLE COOPERATIVE IN BASE ALL’OPINIONE SULL’ESISTENZA DI
PROBLEMI DI IMITAZIONE O DI CONTRAFFAZIONE DEI PRODOTTI ITALIANI ALL’ESTERO
N. COOPERATIVE
%
Si
34
56,7%
Raramente
13
21,7%
No
12
20,0%
Non so
1
1,7%
Totale
60
100,0%
QUOTA DI COOPERATIVE CHE AFFERMANO L’ESISTENZA DI PROBLEMI DI IMITAZIONE O
DI CONTRAFFAZIONE DEI PRODOTTI ITALIANI ALL’ESTERO NEI DIVERSI SETTORI E
NELLE DIVERSE FASCE DI FATTURATO
SETTORE
%
Lattiero-caseario
83,3%
Ortoflorofrutticolo
38,1%
Vitivinicolo
55,6%
Altro
66,7%
FATTURATO
Fino a 4 ml di euro
70,0%
Da 4 a 16 ml di euro
45,0%
Oltre 16 ml di euro
55,0%
In complesso
56,7%
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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
3.8. LE PREVISIONI E LE PREOCCUPAZIONI PER IL FUTURO
I principali fattori che preoccupano per l’immediato futuro, relativamente ai rapporti con l’estero, sono concentrati principalmente sulla concorrenza, anche italiana, a fronte della quale però si cerca di mantenere comunque gli standard qualitativi per non far scadere l’immagine dei prodotti. La concorrenza che si teme è
spesso quella di Spagna e Grecia, come similarità di produzioni, ma anche quella
di paesi emergenti, che spesso diventa concorrenza sleale. La concorrenza più
temuta è quella di chi va a screditare il nostro made in Italy. Inoltre i costi di produzione italiani sono più elevati con una conseguente perdita di competitività.
Un altro aspetto che preoccupa è che non vadano a prevalere le barriere: si denota
una sorta di selva burocratica che va ad appesantire le procedure di esportazione, senza nessuna tutela da parte delle istituzioni. Anzi, le normative sono molto
complesse, ed eccessive sono le richieste di certificazioni; inoltre i tassi di cambio
rendono l’Europa meno competitiva e l’Italia ne risente perché a causa di tutto ciò
esce con una bassa forza contrattuale, sua e delle sue aziende.
La crisi economica globale spaventa perché causa contrazione di domanda, e a
questa va aggiunto il periodo di crisi propriamente italiano: il mercato italiano
risulta fermo; ciò è peggiorato in alcuni casi da sfavorevoli eventi climatici che
hanno svantaggiato le produzioni interne. Si necessita di politiche d’insieme, perché ormai non si pianifica più a livello regionale o nemmeno italiano; c’è troppa
polverizzazione dei settori e della produzione stessa.
C’è molta difficoltà nel far riconoscere che il prezzo applicato è giusto rispetto alla
qualità garantita; manca all’estero la cultura del prodotto italiano. Ciò comporta
il rischio che non vengano poi valorizzate le nostre produzioni ma che si punti a
qualità inferiori. Bisogna lavorare per differenziarsi ancora di più dalle contraffazioni, che danneggiano il made in Italy.
Preoccupano anche i rischi d’insolvenza dei clienti esteri, la loro affidabilità, il
problema quindi della riscossione dei crediti.
I piccoli produttori hanno difficoltà ad affrontare i mercati esteri, non hanno forza
finanziaria e volumi di fatturato sufficienti. Si necessita quindi di forme di coordinamento, per contrastare l’eccessiva forza delle grandi catene che schiaccia le
piccole e medie imprese.
Esiste anche chi ritiene che non esista nessun motivo fonte di preoccupazione
riguardo al futuro dell’export nel proprio settore.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
4. LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE
E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
4.1. INQUADRAMENTO
Le barriere sono ostacoli di diversa natura creati da un paese al fine di limitare o
controllare le importazioni da uno o più altri paesi e in questo modo divengono
ostacoli oggettivi all’export per questi ultimi.
Le barriere possono avere molteplici motivazioni:
• proteggere l’industria e la produzione locale;
• proteggere la salute dei cittadini;
• creare ritorsioni nei confronti di paesi che hanno a loro volta eretto
barriere nel settore o in altri settori o hanno espresso atteggiamenti
non di favore;
• favorire il rapporto con un paese ai danni di un altro;
•…
e le motivazioni riferentesi alla stessa barriera possono essere più di una.
Le barriere si suddividono in due grandi categorie:
• tariffarie
• non tariffarie (non tariff barriers - NTB).
Quelle tariffarie sono i cosiddetti “dazi”, cioè tasse, normalmente rapportate al
valore dei prodotti importati.
Possono configurarsi come normali dazi o come countervailing measures (CVD),
misure compensative il cui obiettivo è quello di bilanciare gli effetti di sovvenzioni del paese esportatore tendenti a favorire la penetrazione dei suoi prodotti nei
paesi d’importazione.
E’ evidente che i dazi limitano la competitività del paese esportatore o comprimono i margini delle sue aziende esportatrici qualora queste si impegnino a mantenere il medesimo livello di prezzo al cliente, facendosi quindi carico dell’assorbimento del dazio.
Quelle non tariffarie possono assumere le vesti più diverse:
• contingentamenti, cioè limitazioni imposte alla quantità di prodotti che possono essere importate;
• restrizioni volontarie alle esportazioni, dette pure accordi negoziali (bi o multi
laterali), da parte dei paesi esportatori;
• licenze per le importazioni;
• norme igienico sanitarie da rispettare;
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
• richiesta di certificazioni;
• modalità amministrative e doganali che rendono complesse le pratiche;
• non interventi di protezione delle denominazioni dei paesi esportatori;
• ecc.
Non è sempre facile valutare se un provvedimento non tariffario ha, nelle intenzioni del paese che lo adotta, lo scopo precipuo di limitare le importazioni; alcuni
provvedimenti, infatti, possono avere semplicemente scopi di regolamentazione
del commercio, di tutela della salute, di trasparenza circa l’origine, ecc.
In ogni caso i provvedimenti hanno ricadute negative, almeno nel breve termine,
sulla capacità del paese esportatore di elevare le proprie prestazioni e i volumi
esportativi.
Vi è poi da sottolineare che anche la complessità interpretativa e applicativa di
tanti provvedimenti diventa un ostacolo psicologico ed operativo per gli esportatori, soprattutto per quelli di piccole dimensioni che debbono impegnarsi non
poco al fine di corrispondere alle prescrizioni dei provvedimenti.
E ciò comporta, inoltre, doversi affidare in tante occasioni ad importatori non soltanto per il normale percorso commerciale-distributivo, ma per tutte le pratiche
doganali, relative all’etichettatura, per i controlli sanitari, ecc.
Qualche volta poi le grandi imprese delocalizzano nei paesi troppo protetti per
aggirare le barriere erette.
Vi sono poi le barriere implicite, cioè situazioni che non dipendono dall’esplicita
volontà degli stati, ma che in ogni caso creano difficoltà alle esportazioni come la
distanza fisica, l’ambiente sociale, le tradizioni, la religione, il grado di trasparenza della pubblica amministrazione, ecc.
Nel suo rapporto 2013 “L’Italia nell’economia internazionale” Ice dichiara
che, “pur non essendosi verificato il temuto rialzo generalizzato delle barriere
tariffarie, cresce la preoccupazione che sia in atto un processo di sostituzione tra
le misure tariffarie e quelle non-tariffarie.
Alcuni studi riportano sia l’esistenza di una correlazione negativa tra il livello
delle tariffe e l’equivalente in valore delle misure non-tariffarie, sia un legame
causale tra l’abbassamento dei dazi e il ricorso alle misure non tariffarie.
Anche se queste ultime sono spesso espressione di politiche pubbliche volte a tutelare
la salute, la sicurezza, l’ambiente, e dunque perseguono obiettivi legittimi, molte regolamentazioni sono per loro natura poco trasparenti. Pertanto si prestano ad essere usate
dai governi per rispondere alle istanze dei gruppi di interesse nazionali, anche se apparentemente il fine dichiarato è il perseguimento di un obiettivo di politica pubblica.
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
L’impatto delle misure non tariffarie sui flussi di commercio internazionale sembra essere peraltro considerevole: alcuni studi indicano che, riducendo l’equivalente in valore delle misure non tariffarie dal 10% al 5%, si otterrebbe un incremento degli scambi commerciali intorno al 2-3%.
Le misure non tariffarie sarebbero in grado di determinare degli effetti restrittivi sui flussi di scambio anche maggiori rispetto ai dazi, soprattutto nel caso dei
prodotti agricoli. Va anche considerato che le stime effettuate per valutare il loro
impatto sui flussi commerciali non tengono conto dei loro effetti sulle reti globali
di produzione che, come noto, implicano per i beni intermedi un attraversamento
ripetuto dei confini, e che quindi possono avere un effetto cumulativo.”
“Si stima che eliminare gli effetti delle barriere non tariffarie sulle reti transnazionali di produzione potrebbe far crescere il Pil mondiale del 4,7%, contro lo 0,7%
in caso di rimozione delle sole barriere tariffarie.”
4.2. BARRIERE NON TARIFFARIE
Venendo al settore di interesse, vediamo, assumendo come riferimento
principale il quadro delineato da Federalimentare nel luglio 2013, alcuni esempi,
riferiti a importanti paesi non comunitari, di barriere soprattutto non tariffarie che
frenano le potenzialità esportative delle nostre aziende.
Questi casi offrono uno spaccato interessante che ci fa toccare con mano la complessità e frammentarietà di una situazione in continua evoluzione e ci rende
meglio consapevoli di quanto può essere importante l’intervento degli organismi
nazionali e sovranazionali per ridurre le spigolosità, i cavalli di frisia del commercio internazionale.
Australia
Il sistema di protezione non tariffario continua a destare preoccupazione, con
particolare riferimento agli standard fitosanitari.
L’orientamento restrittivo dell’Australia in materia di bio-sicurezza rappresenta
il primario fattore di attrito fra UE ed Australia.
La principale criticità della politica di bio-sicurezza è costituita dal generale divieto alle importazioni in assenza di una preventiva analisi di valutazione del
rischio. La tempistica e le procedure per l’analisi del rischio non sono, però, predeterminate in anticipo.
Nel febbraio 2008, il Governo australiano ha avviato un processo di riforma
complessiva del sistema di bio-sicurezza, con l’obiettivo di venire incontro alle
critiche dei principali partner commerciali.
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Il processo di riforma procede tuttavia molto lentamente.
A livello bilaterale, l’Italia ha ottenuto nel 2006 l’autorizzazione definitiva alle importazioni di prosciutto crudo disossato, ma a condizioni restrittive e sono tuttora
vietate le esportazioni di salumi cotti e prodotti a breve stagionatura.
Brasile
Si registrano occasionalmente blocchi di importazione di generi alimentari italiani per ragioni sanitarie e fitosanitarie.
Nel 2009 é stato concordato un nuovo modello di certificato sanitario che ha permesso di risolvere buona parte dei problemi.
Il Brasile ha varato una regolamentazione, in vigore dall’1 gennaio 2011, per le
etichettature dei prodotti di origine animale importati, che appesantisce in maniera esagerata le procedure per gli esportatori. La UE ne ha chiesto la modifica e
si è tuttora in attesa delle decisioni del Ministero dell’Agricoltura brasiliano.
Nel caso di prodotti alimentari, soprattutto se di origine animale, è necessario
avvalersi della collaborazione di un operatore (di preferenza importatore) locale.
Dal 2002 è vietata l’esportazione dei prodotti di salumeria stagionati per periodi
inferiori ai 10 mesi (es. salami, coppe, pancette ecc), mentre la chiusura del mercato ai prodotti a breve stagionatura - stabilita a seguito dei focolai di malattia
vescicolare del suino in Italia - si pone in contrasto con i principi che regolano
l’intesa tecnica, siglata nel 1995, per la disciplina delle importazioni di prodotti a
base di carne provenienti dall’Italia.
Per quanto concerne i vini, qualche anno fa è stata modificata in senso meno restrittivo la legislazione laddove prevedeva che un prodotto per essere considerato
vino non potesse eccedere i 13 gradi alcolici (oltre tale soglia il prodotto veniva
considerato “vino liquoroso” e pertanto si applicava una imposta del 40% contro
il 27% dei vini comuni).
In base a una nuova normativa a partire dall’1 gennaio 2011, le bottiglie di vino
devono avere un bollo anti-contraffazione della “Receita Federal” (Agenzia Doganale brasiliana), la cui apposizione appesantisce le procedure di sdoganamento.
Le bevande spiritose, unitamente ai vini, sono soggette alle analisi di controllo al
momento dell’importazione.
Per alcune tipologie di vini e le bevande spiritose è previsto l’obbligo di apporre
un contrassegno a seconda del tipo di prodotto e della categoria fiscale di appartenenza, tale procedura risulta molto macchinosa.
Sia per i vini che per le bevande spiritose vanno presentati dettagliati certificati di
origine e di analisi.
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
La legislazione brasiliana prevede che al momento dell’importazione del vino
(accompagnato da un certificato unificato di analisi e di origine) possano essere
prelevate due bottiglie per ogni partita per effettuare le analisi di controllo.
Il prodotto non può essere venduto sul territorio nazionale prima del risultato
delle analisi. Si sono registrati casi in cui il risultato delle analisi è stato reso noto
dopo un anno.
L’atteggiamento del governo brasiliano nei confronti delle importazioni di vino
è stato sempre piuttosto ambiguo. Ad alcuni momenti di relativa apertura se ne
sono alternati altri di protezionismo estremo.
Fino all’autunno 2012 il Brasile ha applicato misure di salvaguardia sui vini
(in conformità ai regolamenti del WTO), con l’obiettivo di proteggere il settore
dall’aumento delle importazioni.
La clausola di salvaguardia è stata rimossa grazie all’intermediazione italiana,
ma è importante monitorare la situazione per scongiurarne un futuro ripristino.
Canada
Il Department Foreign Affairs and International Trade (DFAIT) richiede le licenze
di importazione per certe specie di piante e animali, prodotti agricoli, alcuni prodotti alimentari come i lattiero-caseari, le uova e il pollame.
Agriculture and Agri-Food Canada accorda invece le licenze di importazione per
le carni lavorate.
In genere sono richiesti dei certificati sanitari per i prodotti agroalimentari.
Tutte le province del Canada hanno un ente di monopolio (Liquor Board) che
controlla l’importazione e la commercializzazione delle bevande alcoliche. Nonostante la rigidità del sistema, il mercato canadese figura spesso tra i primi mercati
di sbocco per molti esportatori italiani.
Nel 2010, l’agenzia delle dogane canadesi (CBSA) ha reso noti cambiamenti in relazione a diritti doganali e contenuto alcolico di spumanti e vini importati. Quello
più importante riguarda gli spumanti che da gennaio 2010 vengono importati in
esenzione di dazio.
L’accordo Canada-UE sui vini e le bevande alcoliche del 2003 prevede una registrazione che consente di inserire le Indicazioni Geografiche nel registro canadese
dei Trade Marks.
In virtù di tale accordo l’Italia ha registrato oltre 500 denominazioni di origine
presso le locali autorità federali.
In Canada è obbligatorio l’arricchimento con sostanze vitaminiche della farina
bianca venduta sia all’industria alimentare che al dettaglio e tutti gli alimenti contenenti farina bianca devono essere preparati con farina bianca arricchita.
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Tale normativa crea problemi per l’esportazione di alcuni prodotti dolciari come
i lievitati di ricorrenza (ad es. il panettone) ed altri prodotti da forno (ad es. i wafer), in quanto sussistono delle difficoltà tecnologiche per uniformarsi ai requisiti
richiesti.
Cina
La cucina cinese è estremamente radicata nella cultura popolare, è quindi improbabile che la cucina italiana qui possa incontrare il successo avuto in altre aree,
dove ha spesso rappresentato un nuovo modello di riferimento.
I cinesi apprezzano però il gusto e ancor di più l’aspetto culturale associato al cibo
e la sua esclusività, quindi la cucina italiana può ritagliarsi discreti spazi.
Detto ciò veniamo alle barriere in senso stretto.
Per tutti i prodotti agroalimentari confezionati importati è obbligatoria l’etichettatura originale in lingua cinese.
Oltre al controllo delle etichette, le merci che arrivano in dogana sono sottoposte ad una serie numerosa di controlli previsti dalle procedure di ispezione e
quarantena.
La normativa locale richiede la presentazione di numerosi documenti tra cui
particolare rilievo hanno le certificazioni, soprattutto di carattere sanitario.
A partire dal 1° ottobre 2010, la General Administration of Quality Supervision,
Inspection and Quarantine (AQSIQ) richiede l’anticipo per via informatica dei
certificati veterinari rilasciati per i prodotti a base di carne, nonché la certificazione per l’influenza A/H1N1.
L’autorizzazione degli impianti di trasformazione delle carni suine per l’esportazione in Cina è subordinata all’ispezione degli stessi da parte delle autorità cinesi.
Numerosi prodotti agroalimentari italiani, soprattutto freschi, continuano ad essere vietati all’importazione in Cina per ragioni di carattere sanitario.
Tra le principali categorie di prodotti ancora vietati vanno ricordati:
• gli ortofrutticoli freschi (con la recente eccezione del kiwi), a causa del virus
della mosca mediterranea;
• le carni di origine bovina per il morbo BSE (c.d. mucca pazza);
• le carni di origine ovina per il virus che ha colpito gli ovini (c.d. lingua blu);
• le carni suine e prodotti a base di carne suina, ad eccezione dei prodotti cotti e
del prosciutto crudo stagionato 313 giorni;
• le carni di origine aviaria per la malattia definita bird flu (c.d. peste aviaria).
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Sussistono problemi di importazione di latticini freschi in quanto vi è un problema sul certificato veterinario concordato: il latte deve provenire solo dall’Italia e
non dall’UE, come nei certificati concordati da altri Paesi. Il Ministero della Salute
ha emesso una nota interpretativa che consente l’impiego di latte comunitario.
Numerose, inoltre, sono le difficoltà riscontrate dalle aziende produttrici di grappe e distillati. Tra questi si segnalano:
• limiti alcol metilico: la quantità massima ammessa dalla normativa cinese è
nettamente inferiore ai limiti imposti da quella comunitaria e il tema ha particolare rilevanza per la IG Grappa;
• certificazione di analisi sulla presenza di ftalati (sostanze chimiche utilizzate
negli imballaggi) che deve dimostrare che il loro livello sia inferiore ai limiti
stabiliti dalla normativa cinese;
• tutela indicazioni geografiche protette: la legislazione cinese non le tutela in
modo adeguato;
• capacità delle bottiglie: gli standard cinesi non sono uniformi alla normativa
UE e creano costi per la predisposizione del diverso packaging;
• tempistiche particolarmente lunghe per lo sdoganamento.
Recentemente il Governo cinese ha notificato alla Commissione Europea l’avvio
dell’indagine anti dumping e anti sovvenzioni sul vino di provenienza UE, a seguito della richiesta di un’associazione cinese di produttori di vino.
L’indagine è ancora in corso e ha costretto 1300 aziende italiane alla compilazione
di un articolato questionario per iscriversi ad una lista che, nel caso di inasprimento tariffario, potrebbe garantire un dazio ridotto.
Corea del Sud
L’attenzione delle autorità di impedire l’ingresso di malattie animali comporta
una serie complessa di controlli.
A seguito di negoziati condotti dall’Ambasciata con le autorità locali, sono stati
comunque raggiunti alcuni, importanti risultati:
• è ora possibile esportare in Corea parmigiano reggiano, grana padano ed altri
formaggi a base di latte crudo;
• il mercato è aperto ai prodotti a base di carne suina cotti e stagionati almeno 400
giorni; permane però il vincolo della materia prima di origine italiana e il divieto di esportazione per la carne suina fresca e i prodotti a breve stagionatura;
• è stato superato il bando alle importazioni di mozzarella di bufala adottato
nel 2008;
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
• sono state riconosciute le certificazioni di prodotti biologici da parte degli enti
italiani autorizzati e si sta sensibilizzando il Ministero dell’Agricoltura perché
la nuova legislazione in materia sia semplificata;
• sono in corso negoziati fra ambasciata e autorità fitosanitarie coreane per aprire il mercato alle esportazioni di kiwi ed è stata fatta richiesta per avviare le
esportazioni di arance, pere, mele ed uva da tavola italiane;
• è stato aperto un contingente per le importazioni della varietà di riso italiano
usato per i risotti.
Emirati Arabi Uniti
Gli Emirati Arabi Uniti promuovono una politica economica piuttosto liberale,
anche se permangono barriere non tariffarie.
Le imprese straniere per ampliare il proprio raggio d’azione nell’area hanno necessariamente bisogno di uno sponsor locale. La legge federale prevede inoltre
che la distribuzione dei prodotti da parte di aziende straniere avvenga esclusivamente tramite agenti di nazionalità emiratina, persone fisiche o giuridiche.
Gli agenti per ottenere la necessaria licenza commerciale esclusiva, oltre che per
usufruire di tutela legale relativa al contratto, devono essere registrati presso il
Ministero dell’Economia e del Commercio.
Gli importatori possono commerciare esclusivamente prodotti conformi ai termini previsti dalla loro licenza.
I prodotti commestibili sottostanno a restrizioni che possono considerarsi barriere minori, come la presenza delle date di produzione e di scadenza sull’etichetta.
Sono inoltre previste ferree limitazioni, dovute a norme religiose, che riguardano
l’importazione di alcolici, carne di maiale e prodotti derivati.
Per lo stesso motivo le carni bovine ed il pollame d’importazione necessitano della certificazione di macellazione Halal, rilasciata da un apposito centro islamico
nel paese d’origine.
In tale ambito, va ricordato il riconoscimento ottenuto dalla Comunità Religiosa
Islamica Italiana da parte del Ministero dell’Ambiente e Acque emiratino, al rilascio delle certificazioni Halal sui prodotti italiani da esportare negli EAU.
Giappone
Sui seguenti prodotti alimentari provenienti dall’Italia o di origine italiana, grava
il divieto d’importazione:
• carne bovina (problemi legati alla BSE);
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
• ortofrutticoli freschi non a foglia (eccetto le arance tarocco);
• provolone (presenza dell’additivo conservante Esamina/ Esametile Tetrammina E329);
• pollame (peste aviaria);
• alimenti contenenti il colorante Sudan I.
Le barriere fito-sanitarie sono tra i principali ostacoli per i molti prodotti ortofrutticoli italiani.
Risulta al momento possibile solo l’importazione di carciofi, asparagi, tartufi,
funghi, radicchio rosso, cicoria fresca, lattuga, pistacchi, mandorle, cipollotti e
carote. Cipolle e cipollotti sono soggetti ad esame con obbligo di certificato di
quarantena.
La liberalizzazione delle importazioni delle arance di Sicilia “tarocco”, ottenuta
sulla base del Protocollo d’intesa che riconosce l’efficacia del trattamento a freddo
per l’eliminazione della mosca mediterranea, ha aperto interessanti possibilità
per i nostri prodotti ortofrutticoli.
Da parte italiana è stata, inoltre, avanzata la richiesta di includere le varietà di
arance “moro” e “sanguinello” all’interno del Protocollo bilaterale per le importazioni della varietà “tarocco”, sulla base della similarità tra queste esistenti.
In merito all’apertura del mercato giapponese alle importazioni dall’Italia di kiwi,
mele, pere e uva da tavola, sono stati da tempo avviati i contatti con le autorità
giapponesi.
Il Giappone non accetta gli standard internazionali per l’impiego di additivi alimentari. In numerose occasioni è stato richiesto a Tokyo di adottare i metodi di
ricerca comunemente in uso in Europa e nel resto del mondo (in linea con il CODEX Alimentarius).
La UE è tuttora in attesa che il Giappone completi l’iter di approvazione per una
serie di additivi compresi in una lista considerata prioritaria e presentata alle Autorità giapponesi nel 2002 (ad oggi ne rimangono 15 su un totale di 46).
Il Ministero della Salute nipponico ha presentato una lista di 80 additivi che intende eliminare dal novero degli autorizzati, senza per questo vietarne l’uso qualora vengano riconosciuti come ingredienti naturalmente presenti nel prodotto.
L’intenzione dichiarata è quella di semplificare il processo di controllo sanitario,
eliminando la verifica per additivi non più in uso.
Ad oggi il Giappone ha deciso di mantenere nella lista 25 additivi, eliminandone 55.
La normativa giapponese prevede tolleranza zero nei confronti del batterio Listeria e la creazione di una “lista nera” in cui vengono iscritte le aziende qualora i
campionamenti effettuati sui salumi da queste esportati diano esito positivo.
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Per contrassegnare i prodotti ottenuti secondo gli standard agricoli locali, esiste il
marchio JAS (Japan Agricultural Standards) semplice e quello biologico.
Le norme JAS stabiliscono che i prodotti alimentari biologici debbano essere certificati da un ente, giapponese o estero, registrato presso il Ministero dell’Agricoltura giapponese e devono riportare il logo JAS col nome dell’ente certificatore, ma
le procedure di registrazione per l’applicazione del logo stesso sono complicate
e costose.
La UE attende ora di conoscere gli effetti che deriveranno dall’accordo del maggio
2010 sulla piena equivalenza in fatto di certificazione.
Il divieto di importazioni di carni bovine e prodotti derivati per timore dei rischi
BSE sono contrari ai principi del WTO in materia sanitaria e fitosanitaria. Pertanto, è auspicabile che il Giappone giunga a un riconoscimento della classificazione
ai fini del rischio BSE secondo i principi dell’Organizzazione Mondiale della Salute Animale (OIE).
Relativamente alle capacità nominali delle bottiglie, gli standard giapponesi non
risultano uniformi alla normativa UE. Una soluzione a tale problematica consentirebbe una riduzione dei costi sostenuti dalle imprese per la predisposizione del
diverso packaging.
La legislazione giapponese inoltre non tutela in modo adeguato le indicazioni
geografiche né le denominazioni di origine.
Relativamente allo sdoganamento delle merci, si segnalano tempistiche particolarmente lunghe ed è spesso richiesta documentazione, talvolta superflua e/o non
prevista dalla normativa.
Relativamente agli ingredienti e alle aromatizzazioni, sarebbe poi auspicabile il
recepimento delle possibili aromatizzazioni con vegetali naturali e la possibilità
di utilizzare tutti gli ingredienti previsti dalla normativa comunitaria (es. ruta,
genziana, ecc.).
India
Vi sono numerose restrizioni che limitano l’accesso al mercato dei prodotti alimentari importati.
Le importazioni di molte specie animali e di prodotti derivati da animali sono
vietate in base ai requisiti richiesti dalle normative vigenti.
Questo divieto riguarda latticini, salumi, pollame, ovini, caprini e alimenti per
animali domestici.
Le importazioni di carne bovina sono, invece, vietate per motivi religiosi.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Le importazioni di bevande alcoliche sono soggette ad elevati dazi, ad imposte
locali e ad un complesso sistema di licenze che di fatto ne limitano i volumi e gli
esportatori non possono prescindere dall’operare a stretto contatto con gli importatori locali.
Nonostante l’espansione economica l’India continua a presentare una serie di sfide per coloro che vogliono esportare:
• tariffe elevate sui prodotti di importazione;
• rigorose norme sanitarie e fitosanitarie;
• restrizioni agli investimenti esteri (IDE) che non sono consentiti in agricoltura;
• difficoltà per la distribuzione dei prodotti nei mercati rurali.
L’India applica una tariffa del 30 % sulla pasta importata e probabilmente ridurrà
strada facendo questo dazio. Infatti vi sono solo poche aziende locali produttrici
di pasta (vedi bluebirdpasta). Molte hanno tentato di produrre pasta nel sud del
paese negli anni ‘70 e ‘80, ma non sono riuscite a ottenere i risultati attesi a causa
della scarsa domanda e del loro basso livello di competenza ed esperienza.
Le conserve di frutta e verdura sono regolate dal Fruit Products Order gestito
dal Department of Food Processing Industries e quindi l’importazione di questi
prodotti deve rispettare le disposizioni del provvedimento.
Tariffe elevate sulla maggior parte dei prodotti alimentari unitamente alle barriere non tariffarie continuano ad ostacolare la crescita del commercio.
I dazi di importazione sulla maggior parte dei prodotti alimentari di consumo
rientrano nella fascia tra il 26% e il 74%. Ma il governo indiano tende a modificare
la struttura dei dazi, di volta in volta, in base alle esigenze del suo mercato.
Il calcolo del dazio effettivo è spesso complesso e coinvolge una serie di accise:
dazio base (doganale), dazio addizionale o compensativo (Countervailing Duty
- CVD) e un Cess Education (supplemento particolare su tutte le tasse dirette e
indirette pari al 3%, introdotto nel 2007).
Il dazio di base sulla maggior parte dei prodotti alimentari trasformati è pari al
30%. Eccezioni riguardano vino, liquori, frumento, riso, mais, caffè, tè, oli vegetali, le sigarette e il tabacco e diversi prodotti lattiero-caseari, per i quali sono
applicati dazi di base molto più alti.
Inoltre in India vigono numerose normative per il settore alimentare che ricadono
sotto la competenza di vari Ministeri.
Gli esportatori devono seguire le normative relative all’utilizzo di additivi e coloranti, ai requisiti di etichettatura, all’imballaggio, ai pesi e misure, alla shelf life e
ai certificati fitosanitari.
Il governo indiano ha recentemente costituito un’Autorità per la sicurezza alimentare (FSSAI).
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
L’obiettivo del FSSAI è quello di unificare le diverse normative e creare un’unica
agenzia di regolamentazione in luogo delle molteplici attuali.
Alcune delle principali normative che riguardano gli importatori di prodotti alimentari sono:
• The Prevention of Food Adulteration (PFA) Act, 1954, and PFA Rules of 1955 e
successive modifiche. Questa legge protegge i consumatori contro i cibi adulterati e riguarda i coloranti e conservanti, i residui di pesticidi, l’imballaggio,
l’etichettatura e regola le vendite. Questa legge riguarda sia i prodotti importati che locali;
• The Standards of Weights and Measures Act, 1976, and the Standards of
Weights and Measures (Packaged Commodities) Rules, 1977 e successive modifiche. Questa legge determina gli standard per i pesi e le misure per regolare
il commercio interstatale e prevede le diciture per le etichette: denominazione
di vendita, nome e indirizzo del produttore, quantità, data di produzione e di
scadenza, il prezzo massimo di vendita al dettaglio. I requisiti sono richiesti
sia per prodotti confezionati importati che locali.
Per le importazioni vengono richiesti il certificato di origine (rilasciato dalla Camera di Commercio) e il certificato fitosanitario.
Russia
Non si può più parlare di sola “Russia”, ma si deve fare riferimento all’Unione
Doganale (Russia, Bielorussia e Kazakistan).
Per il settore lattiero-caseario, al di là delle questioni inerenti l’autorizzazione degli stabilimenti nella lista Russia, i parametri di riferimento sono in molti casi
differenti da quelli comunitari e possono richiedere un valore inferiore al limite
di rilevabilità con metodica ISO.
Ne consegue che, quando vengono effettuati controlli, ad esempio sui coliformi,
le merci sono bloccate. Segue la richiesta al Ministero della Salute di una relazione alla quale fa seguito comunque la sospensione dell’impianto. Ed è da definire
la procedura di reintegro.
Inoltre, secondo la legge federale russa, rientrano fra i prodotti lattiero-caseari
anche i gelati, categorizzazione criticabile ed in disaccordo con la normativa comunitaria.
Ai fini dell’accertamento dell’idoneità strutturale ed igienico-sanitaria degli stabilimenti, le aziende iscritte in liste e quindi abilitate ad esportare nell’Unione Doganale (Russia, Bielorussia e Kazakistan) sono sottoposte ad un inutile e oneroso
piano di campionamento per determinare, fra gli altri, livelli di radionuclidi ed
una serie di ulteriori contaminanti. Risultano inoltre, allo stato attuale, chiuse le
liste per l’esportazione a fronte di una motivata quanto urgente esigenza da parte
delle aziende del comparto di farne parte.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Ogni misura sanitaria e fitosanitaria applicata in Russia e nell’Unione Doganale
dovrà essere in linea con gli standard WTO.
La Russia si impegna a garantire che ogni regolamento in tema di regole, standard e procedure di conformità sia in linea con l’Agreement on Technical Barriers
to Trade.
Purtroppo, però, è costante la frapposizione di ostacoli burocratici all’attività di
esportazione.
La costituzione dell’Unione Doganale, con l’obiettivo di creare un mercato comune con un sistema di regole interne armonizzate, anche in ambito sanitario e fitosanitario, sta creando difficoltà alle nostre carni lavorate, a causa dell’incertezza
sulla normativa in vigore.
A ciò si aggiunge la decisione di autorizzare all’esportazione di prodotti a base di
carne, solamente stabilimenti comunitari preventivamente ispezionati dalle Autorità sanitarie dell’Unione.
Stati Uniti
La tutela delle indicazioni geografiche e dei nomi semi-generici che identificano i
prodotti italiani è una tematica di particolare rilevanza.
La Commissione Europea è titolare del negoziato con gli Stati Uniti in ambito
WTO.
Pur nei limiti posti dalla competenza comunitaria in materia, la rete diplomaticoconsolare, d’intesa con ICE, segue con attenzione la tutela delle indicazioni geografiche e dei nomi semigenerici.
Ciò, anche con specifico riferimento alla problematica posta dalla diffusa presenza
di prodotti che utilizzano impropriamente nomi ed indicazioni geografiche italiane.
Per il settore vinicolo, è in vigore un accordo specifico (2005/798/EC) tra l’UE e gli
Stati Uniti e gli elementi principali di tale accordo sono i seguenti:
• alcune denominazioni di vini europei (Burgundy, Claret, Chablis, Champagne, Chianti, Malaga, Marsala, Madeira, Moselle, Port, Prosecco, Retsina, Rhine Wine Hock, Sauterne, Haute Sauterne, Sherry e Tokay) sono considerate
semigeneriche. Il loro uso viene limitato negli Stati Uniti, i quali si adoperano
per modificare lo status giuridico di tali denominazioni e riservarne l’uso sul
mercato statunitense ai soli vini UE;
• sono accettate le pratiche enologiche degli Stati Uniti ma gli Stati Uniti potranno esportare i vini ottenuti in base a tali pratiche solo dopo aver modificato lo
status giuridico dei nomi semigenerici. Le nuove pratiche enologiche saranno
valutate e accettate nell’UE soltanto se non saranno sollevate obiezioni. Non si
tratta di un riconoscimento reciproco;
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
• gli Stati Uniti e l’UE hanno convenuto di adoperarsi per risolvere eventuali
contenziosi bilaterali attraverso consultazioni bilaterali informali anziché facendo ricorso a meccanismi formali di composizione delle controversie.
In attuazione dell’accordo, il 20 dicembre 2006 è stato promulgato negli Stati Uniti
il “Tax Relief on Health Care Act 2006”, in cui è inserito il provvedimento dello
stato giuridico dei 17 nomi semigenerici.
Con tale provvedimento, le COLAs (Certification of Label Approval) esistenti ed
approvate fino al 10 marzo 2006 sono confermate, permettendo così ai produttori
americani in possesso delle certificazioni di continuare ad usare i nomi sia sul territorio nazionale che in paesi terzi, ad esclusione di quelli UE. Le condizioni stabilite dall’accordo fra Stati Uniti e UE per il commercio del vino diventano in tal
modo applicabili unicamente alle richieste di COLAs successive al 10 marzo 2006.
L’approvazione preventiva delle etichette, le numerose informazioni e l’obbligo
di registrazione dei produttori richieste in virtù del Bioterrorism Act sono complesse per i piccoli operatori.
In alcuni Stati è richiesto il permesso federale per l’importazione, mentre in altri
esistono veri e propri monopoli per importare e distribuire bevande alcoliche.
Oltre alle tasse federali i prodotti importati sono soggetti alle tasse interne applicate diversamente in ogni singolo Stato.
Relativamente alle grappe, è da rilevare che la quantità massima di alcool metilico che può essere presente nelle bevande spiritose è inferiore a quanto ammesso
dalla legge comunitaria.
Nell’ottica di individuare possibili forme di cooperazione con gli Stati Uniti
nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale (IPR), si evidenzia come l’Italian
Sounding sia una pratica molto più sofferta rispetto alla contraffazione vera e
propria e che erode gran parte della quota di mercato Stati Uniti destinata alle
aziende italiane, danneggiando l’immagine dei prodotti italiani di qualità.
Ovviamente i nomi più utilizzati dai produttori locali riguardano soprattutto i
prodotti protetti da indicazioni geografiche, ma il fenomeno riguarda anche quelli propriamente industriali mediante anche l’uso di bandierine, monumenti nazionali, città, ecc. che ne richiamano l’italianità.
Le norme generali di etichettatura della FDA stabiliscono che nelle etichette di
tutti i prodotti alimentari debbano essere riportate informazioni riguardanti, tra
l’altro, il Paese di origine (“Product of Italy”) e il nome e l’indirizzo del produttore
e/o importatore mentre non è regolamentato l’uso di simboli e fregi che possano
enfatizzare la nazionalità di un particolare prodotto.
Il “Food Safety Modernization Act” (FSMA) stabilisce il quadro di riferimento
per la modifica delle disposizioni sul controllo sanitario dei prodotti alimentari
americani e stranieri, in particolare ortofrutticoli ed ittici.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
La nuova disciplina prevede l’introduzione di standard sanitari più elevati, controlli più frequenti presso le aziende nazionali ed estere, e l’identificazione di enti
riconosciuti ai fini della certificazione di conformità.
Le aziende straniere che sono parte della catena di produzione di derrate alimentari destinate al mercato americano avranno l’obbligo, dal 2012, di registrarsi
presso la FDA ogni due anni.
Numerose sono le barriere di carattere sanitario e fitosanitario per i prodotti agroalimentari.
Per quanto riguarda i prodotti vegetali, gli Stati Uniti permettono l’importazione
soltanto di alcune categorie di derrate ortofrutticole dall’UE.
Relativamente al settore lattiero-caseario, si segnala che sono state fermate alla
dogana partite di formaggio molle a latte pastorizzato per il superamento del
nuovo limite stabilito per gli E. coli.
E criticità si hanno anche per la Listeria m..
E’ in vigore il divieto d’importazione di carne bovina e di prodotti a base di carne
bovina dall’UE a causa della BSE.
Tutti i prodotti a base di carne suina importati dall’Italia devono essere lavorati
esclusivamente in stabilimenti approvati dall’United States Department of Agriculture (USDA).
L’USDA consente l’importazione dall’Italia di prosciutti crudi stagionati almeno 400 giorni, di prodotti cotti (esempio mortadella, prosciutto cotto,cotechino)
e dalle regioni del Centro Nord Italia indenni da malattia vescicolare, anche di
carni suine e di prodotti a base di carne suina, senza vincoli sulla durata della
stagionatura.
L’apertura all’import di carni fresche e di prodotti a breve stagionatura, in vigore
dal 28 maggio 2013, è un importantissimo risultato, ma sarebbe auspicabile che
si giungesse al riconoscimento di indennità da malattia vescicolare di tutto il territorio italiano.
Turchia
Le merci importate in Turchia devono essere sdoganate entro il termine perentorio di 20 giorni se provenienti via terra o aria, oppure entro 40 giorni se provenienti via mare. Qualora la merce non venga sdoganata in tempo utile, può essere
nazionalizzata e venduta all’asta.
Tale procedura comporta spesso problemi per gli operatori italiani che, per via di
ostacoli burocratici (verifiche sul rispetto di standard tecnici, certificazioni sanitarie) o a causa dell’operato di importatori turchi che tardano a ritirare la merce in
dogana, vengono espropriati.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Le più numerose restrizioni alle importazioni riguardano i prodotti agricoli ed
agroalimentari, sottoposti di fatto a un regime di importazione a licenza. Le autorizzazioni sono concesse, in via discrezionale dal Ministero dell’Agricoltura e,
per i vini, dal TAPDK (Ente per la regolamentazione del mercato del tabacco,
derivati del tabacco e delle bevande alcoliche).
Per l’esportazione di prodotti agroalimentari, gli operatori devono munirsi di un
certificato di analisi sanitaria del prodotto ottenuto presso i laboratori pubblici
(per l’Italia le ASL).
Da un punto di vista generale, la Commissione Europea e la comunità degli investitori internazionali in Turchia richiedono ad Ankara di abbandonare il sistema
dei controlli preventivi all’ingresso dei beni nello spazio doganale turco, in quanto ritenuto inefficiente ed inutilmente costoso per gli importatori che devono produrre un’ingente, ma non significativa, documentazione.
In alternativa, essi suggeriscono di sviluppare un meccanismo di controlli ex post
sui beni circolanti nel mercato, offrendo una più accurata tutela delle esigenze di
sicurezza e di protezione dei consumatori.
Ulteriori problemi segnalati dagli operatori italiani sono legati all’embargo sulla carne bovina proveniente dall’UE, introdotto per far fronte ad eventuali contagi da BSE, nonché alle difficoltà di importare dalla Turchia olio d’oliva non
raffinato (gli esportatori turchi, infatti, vengono incentivati ad esportare olio
d’oliva raffinato).
La Commissione ha ritenuto necessario che la Turchia riapra le sue frontiere al
commercio di carni e bovini con l’UE, mettendo fine a quella che si configura
come infrazione rispetto alle obbligazioni internazionali.
Per quanto riguarda gli Organismi Geneticamente Modificati, il Ministero dell’Agricoltura turco (MARA) aveva varato nel 2009 una regolamentazione relativa
all’importazione, alla lavorazione, all’esportazione e al controllo dei prodotti OGM. Nove sono le categorie di sostanze che rendono obbligatori i controlli:
mais e derivati, semi di soia, colza, patate, prodotti a base di cotone, riso grezzo,
papaya, pomodori e barbabietole da zucchero.
Dopo vari interventi della UE la materia continua ad essere caratterizzata da
fluidità ed incertezza.
Thailandia
Sono richiesti permessi sanitari e fitosanitari per le importazioni di prodotti di
origine animale e vegetale.
Una specifica normativa di tipo sanitario disciplina l’importazione dei prodotti alimentari, farmaceutici e cosmetici: è richiesta una procedura specifica per la registrazione ed
approvazione di tali prodotti, che alle volte può divenire piuttosto lenta e difficoltosa.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
Le bevande alcoliche ed il tabacco richiedono una licenza di importazione, approvata dal Thai Excise Department.
Per quanto riguarda i prodotti alcolici, nel settembre 2006 è stata promulgata una
legge sul controllo del consumo di alcool che tra l’altro impone un divieto di pubblicità per le bevande alcoliche. Questo provvedimento costituisce un ostacolo
all’attività promozionale e pubblicitaria per tutto il settore dei vini e delle bevande alcoliche.
4.3. BRIC: BARRIERE TARIFFARIE
Vediamo infine con riferimento ai soli quattro paesi Bric (Brasile, Cina, India e Russia):
• il valore e la quota della UE e dell’Italia relativamente all’import ed export dei
prodotti alimentari e bevande sul totale del paese (Ice - Gti - Onu);
• il quadro dei dazi, per gruppo di prodotti, riferiti alla Nazione Più Favorita
(MFN - la normale tariffa non discriminatoria) e la quota del gruppo sul totale
delle importazioni, così come li presenta il WTO.
Da questo quadro leggiamo una situazione piuttosto variegata con dazi medi per
gruppo di prodotti che toccano punte del 56% per il gruppo caffè e the in India e
scendono a 0 per il cotone in Russia.
Il quadro è in continua evoluzione e, in base agli accordi che via via si raggiungono in sede Wto, destinato a vedere i dazi ridursi, come nel caso della Russia, che
ha appena aderito all’organismo del commercio mondiale.
Brasile
Il Brasile è entrato nel WTO al momento della sua costituzione, l’1 gennaio 1995.
Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:
EXPORT
IMPORT
Mil $
Quota %
Mil $
Quota %
UE
10.082
23,0
1.664
24,1
ITALIA
592
1,4
166
2,4
MONDO
43.775
100,0
6.919
100,0
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno
specifico prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni
sono i seguenti:
PRODUCT GROUPS
MFN APPLIED DUTIES
IMPORTS
AVG %
Max %
Share %
Animal products
8,9
16,0
0.1
Dairy products
18,5
28,0
0.2
Fruit, vegetables, plants
9,7
14,0
1.0
Coffee, tea
13,3
20,0
0.2
Cereals & preparations
11,8
20,0
1.8
Oilseeds, fats & oils
8,0
12,0
0.5
Sugars and confectionery
16,5
20,0
0.0
Beverages & tobacco
17,2
20,0
0.3
Cotton
6,4
8,0
0.0
Other agricultural products
7,6
14,0
0.3
Fish & fish products
10,0
14,0
0.6
Cina
La Cina è entrata nel WTO l’11 dicembre 2001.
Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e
bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:
EXPORT
IMPORT
Mil $
Quota %
Mil $
Quota %
UE
5.694
13,5
6.905
15,4
ITALIA
348
0,8
384
0,9
MONDO
42.259
100,0
44.769
100,0
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno specifico
prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni sono i seguenti:
PRODUCT GROUPS
MFN APPLIED DUTIES
IMPORTS
AVG %
Max %
Share %
Animal products
14,8
25,0
0.2
Dairy products
12,0
20,0
0.2
Fruit, vegetables, plants
14,8
30,0
0.4
Coffee, tea
14,7
32,0
0.0
Cereals & preparations
24,3
65,0
0.3
Oilseeds, fats & oils
10,8
30,0
2.9
Sugars and confectionery
27,4
50,0
0.1
Beverages & tobacco
22,3
65,0
0.2
Cotton
15,0
40,0
0.4
Other agricultural products
11,3
38,0
0.6
Fish & fish products
10,8
23,0
0.5
I dazi doganali sono notevolmente diminuiti nel corso degli anni, soprattutto a seguito
dell’adesione della Cina al WTO, ma combinati con l’IVA continuano comunque ad incidere sensibilmente sul prezzo del prodotto importato.
India
L’India è entrata nel WTO al momento della sua costituzione, l’1 gennaio 1995.
Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e
bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:
EXPORT
IMPORT
Mil $
Quota %
Mil $
Quota %
UE
2.510
9,0
609
4,6
ITALIA
223
0,8
57
0,4
MONDO
27.788
100,0
13.127
100,0
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno
specifico prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni
sono i seguenti:
PRODUCT GROUPS
MFN APPLIED DUTIES
IMPORTS
AVG %
Max %
Share %
Animal products
31,6
100,0
0.0
Dairy products
33,7
60,0
0.1
Fruit, vegetables, plants
30,3
100,0
0.9
Coffee, tea
56,1
100,0
0.1
Cereals & preparations
30,7
150,0
0.1
Oilseeds, fats & oils
18,8
100,0
1.9
Sugars and confectionery
34,4
60,0
0.2
Beverages & tobacco
70,8
150,0
0.1
Cotton
12,0
30,0
0.0
Other agricultural products
21,5
70,0
0.4
Fish & fish products
29,6
30,0
0.0
Russia
E’ entrata nel WTO soltanto il 22 agosto 2012.
Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e
bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:
EXPORT
IMPORT
Mil $
Quota %
Mil $
Quota %
UE
1.410
15,7
10.474
40,9
ITALIA
212
2,4
978
3,8
MONDO
8.973
100,0
25.587
100,0
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno specifico
prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni sono i seguenti:
PRODUCT GROUPS
MFN APPLIED DUTIES
IMPORTS
AVG %
Max %
Share %
Animal products
24,7
80,0
3.0
Dairy products
17,7
25,0
0.9
Fruit, vegetables, plants
11,0
19,0
4.5
Coffee, tea
7,7
20,0
1.3
Cereals & preparations
18,7
90,0
1.0
Oilseeds, fats & oils
8,7
25,0
1.1
Sugars and confectionery
13,3
50,0
0.7
Beverages & tobacco
35,2
335,0
1.8
Cotton
0,0
0,0
0,1
Other agricultural products
5,8
25,0
0.7
Fish & fish products
12,3
109,0
1.1
4.4. ALCUNE CONSIDERAZIONI
Federalimentare stima che se si eliminassero i dazi e gli ostacoli non tariffari l’export
potrebbe raddoppiare il ritmo di crescita e nel 2020 le nostre esportazioni potrebbero
raggiungere i 60 miliardi contro i 43 attesi dalla crescita fisiologica.
E per il superamento delle barriere ritiene che si debba spingere soprattutto sulle negoziazioni tra paesi e, in alternativa, sulle negoziazioni in sede UE (vedi recente positivo
accordo con Corea del Sud).
La Commissione UE a sua volta nella relazione 2013 sugli ostacoli al commercio e agli
investimenti dichiara che “la diplomazia commerciale costituisce solitamente il mezzo
più rapido per lottare contro gli ostacoli agli scambi in quanto non richiede un contesto
specifico, come nel caso dei negoziati relativi agli accordi di libero scambio, né una lunga
e complessa strategia contenziosa come nel caso delle vertenze commerciali.
I contatti diretti con le autorità locali possono essere sufficienti per mettere in evidenza gli ostacoli e segnalare l’incompatibilità di alcune misure con gli obblighi derivanti dal WTO.
Inoltre, questo modo di affrontare gli ostacoli al commercio rappresenta effettivamente uno strumento diplomatico: il suo obiettivo è infatti proprio quello di risolvere i
problemi, proponendo che nessuna parte abbia la meglio a scapito di un’altra. Si evita
così il rischio di un’escalation delle controversie e di misure di ritorsione, in ambito
giuridico o meno.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE
L’efficacia della diplomazia commerciale dipende però dalla possibilità di convincere il
paese con cui si sta trattando che è nel suo interesse eliminare gli ostacoli in questione.
Ciò dipende in particolare dalla:
• possibilità di dimostrare in modo convincente che l’eliminazione dell’ostacolo ge-
nererebbe, per i consumatori e le imprese di tale paese, vantaggi superiori alle perdite
che avrebbero le altre imprese in concorrenza diretta con le imprese dell’UE che subiscono gli effetti negativi di tale ostacolo;
• capacità dell’UE di fornire soluzioni alternative convincenti e proposte concrete,
preferibilmente basate sulla propria esperienza e sul bagaglio di esperienza degli
Stati membri come pure sugli insegnamenti ricavati. La cooperazione in materia normativa o i dialoghi sono molto utili a tal fine. Tale cooperazione dovrebbe rientrare
pienamente nell’agenda economica globale esterna dell’UE nei confronti di un determinato paese e rafforzarla, integrando i negoziati commerciali e agevolando l’accesso
al mercato;
• possibilità di portare il caso in tribunale: questo può funzionare se la minaccia di
una controversia ha un effetto sufficientemente dissuasivo da spingere il paese ad eliminare l’ostacolo. A tal fine, un processo di risoluzione delle controversie credibile ed
efficace è essenziale per ottenere risultati sul fronte della diplomazia commerciale.”
Come si vede l’obiettivo della riduzione delle barriere all’import non può essere affidato
al solo WTO, ma deve essere perseguito a tutti i livelli comunitari e nazionali, coinvolgendo ministeri, reti consolari e senza trascurare i confronti tra le istanze più tecniche,
rappresentanze imprenditoriali, enti di certificazione e perfino comunità religiose.
In sostanza si deve fare sistema paese, ma in un ambito di sistema Europa.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
5. LA TUTELA DEI MARCHI,
LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING
5.1. PREMESSA
Per Italian sounding possiamo intendere il fenomeno che attraverso l’utilizzo di:
• nomi e marchi
• simboli (di luoghi, monumenti, personaggi, …)
• colori (verde, bianco, rosso)
• tecniche produttive
tende a far vivere come prodotti italiani prodotti che tali non sono o tende a ricreare atmosfere italiane attorno a prodotti realizzati all’estero.
Si parla di Italian sounding con riferimento ai mercati esteri, ma il fenomeno potrebbe domani assumere rilievo anche nel mercato domestico, pur considerando
che, trattandosi di prodotti tipici o della tradizione, è più difficile per le imitazioni
riuscire a penetrare sul nostro mercato.
I consumatori italiani conoscono, infatti, sufficientemente bene le loro produzioni
tipiche e non sono troppo disponibili ad accettare surrogati.
Inoltre i prezzi di questi prodotti, portati qui in Italia, non possono di certo essere
così competitivi come nel paese di origine e per di più devono trovare canali distributivi disposti a veicolarli.
5.2. AMBITI
Gli ambiti dell’Italian sounding non sono ben definiti, in ogni caso dobbiamo
escludere le palesi false dichiarazioni e contraffazioni, purtroppo sempre tante,
all’estero come in Italia, che vanno considerate azioni illecite a tutti gli effetti e in
quanto tali dovrebbero essere relativamente semplici da perseguire.
Provando, senza pretesa di offrire un quadro esaustivo, a delimitare il campo
di questo fenomeno pensiamo di trovarci di fronte a parecchie situazioni, che in
taluni casi possono anche sovrapporsi:
a) il prodotto è protetto da una denominazione: Dop, Igp o Stg.
In questo caso viene utilizzato un nome senza le specifiche che identificano
la denominazione (caciocavallo, provolone, romano, mozzarella, asiago, oppure parmesan, mortadella, …, anziché caciocavallo silano, provolone valpadana, pecorino romano, mozzarella stg, parmigiano reggiano, mortadella di
Bologna …, vedi: sartoricheese.com - columbussalame.com - cravecheese.com
- belgioioso.com) per produrre similari che possono avvicinarsi nel gusto e
nelle modalità produttive molto o poco al prodotto originario.
Quindi l’imitazione diventa un prodotto con nome comune non protetto da
tutti utilizzabile.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING
A proposito di Parmigiano Reggiano, tante volte ritroviamo Parmesao o Parmesan, però, come semplici traduzioni in lingua portoghese o inglese del termine Parmigiano (Reggiano).
b) Analogo il caso dei vini, dove il prodotto è protetto da una Doc (lambrusco
grasparossa, chianti classico) e l’imitazione utilizza soltanto il nome generico
del prodotto o del vitigno in lingua italiana (lambrusco, chianti, prosecco, sangiovese…, vedi: debortoli.com.au - carlorossi.com) o in quella del paese (prosek) per ottenere un vino comune senza denominazione che riporta in qualche
misura al prodotto protetto.
c) Il prodotto è molto conosciuto nel mondo come tipicamente italiano (ragù bolognese, sugo all’arrabbiata, …) e il nome non è protetto da alcuna denominazione o da un marchio registrato.
Si utilizzano nomi adattati (bolognese sauce, arrabiata - con una B soltanto, …)
per prodotti simili, non di rado lontani dalla ricetta originaria e vicini invece al
gusto del paese di produzione (dolmio.co.uk - unileverfoodsolutions.co.uk).
d) Il nome è molto conosciuto nel mondo e non è protetto da alcuna precisa
denominazione o da un marchio registrato.
Identifica un prodotto di chiara origine italiana, così noto nel mondo che talvolta non si pensa neppure di associarlo al paese di origine (spaghetti, fusilli,
ravioli, ma anche focaccia, soppressata, mascarpone, burrata, … pizza, vedi:
distefanocheese.com - annabellacheese.com - bluebirdpasta.com).
L’imitazione utilizza lo stesso nome per proporre un prodotto analogo a quello italiano, anche se non di rado di qualità e gusto diversi e con componenti
diversi (ad esempio pasta con grano tenero).
e) Poi vi sono i nomi di fantasia (cambozola - mix di gorgonzola e camembert,
vedi: cambozola.de - tinboonzola - reggianito, vedi: lapaulina.com.ar) che riportano, con maggiore o minore aderenza alla tradizione produttiva, a uno
specifico prodotto italiano talvolta protetto da una denominazione.
Il nome di imitazione può a sua volta essere registrato.
Il prodotto di imitazione può essere molto o poco simile per forma, gusto, …
al prodotto originario.
f) Infine vi sono tantissimi prodotti che riportano, attraverso nomi propri, cognomi, luoghi geografici (vesuviopasta.com - mokate.eu), segni grafici, colori,
… a un’origine italiana, ma che non si identificano con uno specifico prodotto
italiano da imitare, bensì con l’immagine che del prodotto si ha in quell’area
(ad esempio: Roberto’s Sauce, Mario’s cheese, Napoli …).
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Non va trascurato neppure il mondo della ristorazione con:
• menu italiani realizzati nei modi più diversi e su tutti spicca la pizza;
• un’infinità di locali in stile e con ambientazioni italiane che spesso hanno
legami molto labili con questa origine,
ma forse è preferibile non fare rientrare questa situazione nel grande fenomeno
dell’Italian sounding in senso stretto: diverrebbe proprio difficile definire confini.
Per di più contiamo ormai numerose importanti società acquisite da stranieri
che operano nell’ambito dei prodotti tipicamente italiani e con marchi leader
nei loro settori: Star, Parmalat e Galbani (Invernizzi, Mozarì, Gim, Cadermatori,
Pizzaiola, Vallelata, Certosa, Santa Lucia, …), Deoleo - ex Sos Cuetara (Carapelli, Bertolli, Sasso), Nestlè, … un vero patrimonio di immagine ed esperienze non
più in mani italiane.
Queste società, se tenderanno nel breve - medio periodo a valorizzare al meglio
i marchi in portafoglio, domani potranno svuotarli e renderli contenitori utili a
tante operazioni commerciali, fruttuose e legittime. Ma entrando su questo argomento si aprirebbe un altro grande capitolo dell’agroalimentare italiano da affrontare con tutta la dovuta attenzione.
5.3. SETTORI, CANALI, CONSUMATORI
Tutti i settori merceologici sono in qualche misura coinvolti nel fenomeno dell’Italian sounding, che, come visto, è più rilevante nei formaggi, nei vini, nella pasta, nelle salse, settori dove peraltro sono particolarmente elevati i nostri livelli di
esportazione.
È evidente che queste imitazioni del prodotto italiano da parte di tanti operatori
stranieri le riscontriamo in ogni parte del mondo, ma prevalentemente:
• nei paesi dove vi sono radicate comunità italiane più sensibili ai richiami della
terra di origine (Stati Uniti, Canada, Argentina, Germania, Francia, Gran Bretagna, Australia, …) e che costituiscono segmenti di mercato interessanti che
possono esprimere buoni volumi in acquisto;
• laddove il nome del prodotto è veramente forte e cattura l’interesse di tanti
consumatori, di origine italiana o meno (parmesan, romano, pizza, chianti,
bolognese, …) e quindi può essere speso ottenendo ritorni.
Si deve poi riflettere sul canale a cui si indirizzano i prodotti similari.
L’imitazione ritrova senza dubbio maggiore evidenza nei prodotti veicolati dai
canali di vendita (grandi superfici, negozi tradizionali e specializzati) ai quali
si rivolge il consumatore finale, mentre nell’Horeca, pur essendovi di sicuro un
grandissimo utilizzo di similari, il prodotto, salvo che non debba esprimere buona visibilità per offrire prestigio al locale (vedi carta dei vini), viene manipolato
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e utilizzato come componente per la preparazione di una portata, quindi difficilmente è riconosciuto dal cliente. Ma questo è un fenomeno che riscontriamo in
ogni parte del mondo, anche in Italia.
Il prodotto di imitazione può essere ben veicolato dai punti vendita retail in quanto il consumatore, soprattutto quello nativo del paese, mai del tutto preparato e
competente, è sempre alla ricerca del prodotto diverso e della nuova piccola emozione da provare e quindi è più facile che si faccia allettare da un prodotto che
richiama a un’origine straniera, anche in modo talvolta improbabile, proposto a
un prezzo interessante.
Mentre gli italiani immigrati, di prima e seconda generazione, presumibilmente sono più preparati e desiderosi di ritrovare il segno, il profumo, il sapore, la
marca vera del loro territorio, inteso non soltanto come nazione, ma anche come
espressione di ambiti più limitati (regione, provincia, …).
Il valore della marca, però, per un prodotto di origine straniera è spesso molto
relativo in quanto, eccetto che per poche marche in portafoglio alle multinazionali, raramente una realtà straniera riesce, infatti, a sviluppare vera politica di
marca fuori dai propri confini. Di conseguenza la fiducia del consumatore si
orienta verso la proposta del punto vendita, che viene elevato anche al ruolo di
selettore dell’offerta.
Nel merito della qualità vi è da osservare che, l’acquirente, in particolare nativo
del paese, essendo spesso un consumatore non continuativo e occasionale, non è
in grado di effettuare confronti, né di apprezzare fino in fondo differenze, salvo
là dove si manifestano spiccate evidenze.
5.4. ANCHE GLI ITALIANI
È tutt’altro che semplice valutare se e quando un’imitazione si deve considerare
illegale anche perché, come abbiamo visto, le casistiche di imitazione sono innumerevoli e ogni paese esprime normative proprie relative alla proprietà e protezione di marchi, simboli, brevetti.
Fatto positivo è che l’Italia risulta il paese maggiormente coinvolto nel processo
di imitazione, pur riscontrandosi fenomeni simili, ma di dimensioni ben più limitate, anche in Italia, fenomeni a cui non sempre prestiamo grande attenzione
(sushi, kebab, wurstel, chili, baguette, muffin, …).
Ciò significa che i nostri prodotti sono tra i più conosciuti e apprezzati nel mondo,
primato derivante dalla nostra tradizione enogastronomica e dalla emigrazione di
tanti lavoratori nel corso di oltre un secolo che ha visto coinvolti i principali paesi
guida dello sviluppo, dalla Germania, alla Gran Bretagna, dall’Australia agli Stati
Uniti, paesi che hanno contribuito a fare cultura e tendenza nel resto del mondo.
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Questo processo di imitazione, come osservato in precedenza, si è sostanzialmente fermato alle soglie dei confini nazionali.
Ma vi sono produttori italiani, in particolare nel settore caseario, che stanno
andando con determinazione verso similari, realizzati e proposti in Italia o all’estero e altri ancora che commercializzano all’estero prodotti similari di produzione estera.
Non possiamo permetterci di valutare le scelte dei primi anche perché il mercato
ha le sue regole e se una scelta trasparente, con prodotto ben identificabile, confezionato a marchio del produttore, è vincente significa che è una buona scelta,
almeno per quella azienda e in un certo momento, pur se crea disorientamento
tra i competitori produttori di tipici.
Mentre qualche riflessione in più può rendersi necessaria per gli operatori italiani che commercializzano all’estero prodotti similari realizzati in paesi stranieri,
talvolta unitamente a prodotti tipici italiani: ciò non soltanto crea confusione nel
mercato, ma non offre una bella immagine di coerenza circa le nostre politiche
relative alla tipicità, pur essendo comprensibile l’esigenza da parte di un’azienda
di offrire una gamma che soddisfi le esigenze di tante tipologie di clienti.
Per di più abbiamo operatori italiani, in particolare nelle conserve vegetali,
che commercializzano con nomi di fantasia (probabilmente ben protetti) che
riportano all’origine italiana, ma che sono realizzati con materie prime di paesi con tradizioni e riconoscimenti qualitativi molto meno prestigiosi rispetto
a quelli italiani.
Anche questo fenomeno non depone a favore di un rafforzamento dell’immagine
italiana e delle nostre politiche di qualità.
5.5. CATENE GDO E PRIVATE LABEL
Ma vi è un fatto da considerare: per giungere al consumatore il produttore di tipico italiano deve passare sotto le forche caudine del distributore e nel caso delle
grandi catene, che in tutti i paesi detengono le quote di mercato maggiori, non si
confronta soltanto con un canale distributivo, con un partner, ma talvolta con un
vero competitor.
Il fenomeno delle private label è ormai dirompente e mentre anni addietro si
fermava, pur con quote importanti, ai prodotti commodities, oggi le catene più
importanti scandagliano con più linee molteplici segmenti: dal primo prezzo al
posizionamento medio, dal biologico - salutistico, al tipico.
Parioli è senza dubbio uno dei casi più emblematici: Tesco, primo retailer
europeo, ha lanciato nel 2011 questa linea di “autentici prodotti italiani” (pasta,
salse, olio di oliva, aceto balsamico, …), che “realizzati secondo ricette italiane offrono il vero gusto italiano”. E la linea, supportata da un sito dedicato:
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pariolicucina.com, sta riscontrando notevole successo, almeno con riferimento
alle dichiarazioni di Tesco stessa.
E oltre a Tesco abbiamo pure Rewe, Aldi, … che si stanno cimentando con linee
di prodotti italiani.
Quindi il produttore italiano ha una difficoltà in più ad entrare in contatto con il
consumatore in quanto si ritrova di fronte non soltanto un tenace interlocutore,
ma un competitore agguerrito, con molti mezzi, che gioca sul proprio terreno.
Al riguardo si deve per di più considerare che nessuna delle grandi catene operanti sui mercati esteri è italiana e queste catene, da Tesco a Auchan, da Carrefour
a Metro, a Lidl non tenderanno certamente, ceteris paribus, a favorire produttori
italiani con il loro volto, i quali per affermarsi nei grandi spazi di vendita dovranno forse pensare a forme nuove di alleanze e sinergie tra loro.
E senza dubbio è sempre più necessario un intervento delle istituzioni italiane per
aiutare gli operatori a tenere alta la bandiera dell’origine e della qualità attraverso
un maggiore coordinamento delle iniziative di promozione dell’immagine e delle
attività in store.
5.6. I RISULTATI DELLE RILEVAZIONI NEI PUNTI VENDITA
Per concretizzare quanto fino ad ora esposto, si riportano diversi esempi, frutto
delle rilevazioni e dei sopralluoghi effettuati nei punti vendita del Regno Unito e
della Svezia.
SOSTITUTO DEL PANE CON
SAPORE DI PIZZA,
PRODOTTO IN SVEZIA;
GRAFICA E COLORI
RICHIAMANO
EVIDENTEMENTE L’ITALIA
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MINESTRONE PRODOTTO IN SVEZIA, RICHIAMA LO STILE ITALIANO NELLA
PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO
ZUPPA PRODOTTA IN SVEZIA, CON RICHIAMO A UNA DETERMINATA AREA GEOGRAFICA (TOSCANA)
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FORMAGGIO PRODOTTO NEL REGNO UNITO, CON TRICOLORE E RICHIAMO A SITUAZIONE ITALIANA
PRIMO PIATTO PRODOTTO
NEL REGNO UNITO;
PRODOTTO DI ORIGINE
ITALIANA, DI CUI SI
RICHIAMA CHIARAMENTE
L’ASSOCIAZIONE AL PAESE
DI ORIGINE
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QUARTA GAMMA DI
PRODUZIONE LOCALE,
REGNO UNITO,
CON L’ITALIAN STYLE IN
EVIDENZA
QUARTA GAMMA DI PRODUZIONE SVEDESE CON EVIDENZIATE L’ISPIRAZIONE MEDITERRANEA,
IL RICHIAMO ALLA SICILIA, IL SENTIMENTO ITALIANO, IL CONTRASTO DI COLORI ITALIANO
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PASTA ITALIAN INSPIRATION A PRIVATE LABEL “THE CO-OPERATIVE”, REGNO UNITO
PIZZA PRODOTTA NEL REGNO
UNITO: LA PIZZA È CONOSCIUTA NEL MONDO COME
TIPICAMENTE ITALIANA, E IN QUESTO CASO SI RIPORTA
IL COLLEGAMENTO ALLA RICETTA DEL NOSTRO PAESE E
ALL’ISPIRAZIONE ITALIANA
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FORMAGGIO PER PIZZA DI PRODUZIONE OLANDESE, IN VENDITA IN SVEZIA
GRATTUGIATO CON MATERIA PRIMA ITALIANA,
CONFEZIONATO IN ITALIA PER UNA AZIENDA CON
SEDE NEL REGNO UNITO
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PARMIGIANO-REGGIANO A PRIVATE LABEL INGLESE
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PRESENTAZIONE DEL PARMIGIANO-REGGIANO IN UN BANCO FORMAGGI IN SVEZIA
PASTA ITALIANA CON
PRIVATE LABEL SVEDESE E
RICHIAMO A SENSAZIONI
ITALIANE CON L’IMMAGINE
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PRIMO PIATTO PRODOTTO NEL REGNO UNITO, CON IL PARMIGIANO EVIDENZIATO COME INGREDIENTE
SALAME SVEDESE CON FORMAGGIO (PARMIGIANO)
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5.7. DIMENSIONI E PRODUTTORI
Ma quanto vale l’Italian sounding nel mondo? Difficile, se non impossibile, dirlo.
Tutte le dichiarazioni di cui si sente parlare e si legge non vanno definendo il perimetro e non si sa esattamente come siano costruite.
La CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) nel novembre 2012 dichiara che “se
il made in Italy agroalimentare registra un danno medio di circa 60 miliardi di
euro l’anno per colpa dell’invasione mondiale di prodotti taroccati, il made in
Europe arriva a 100 miliardi”.
La Coldiretti in un recente rapporto ipotizza che negli Usa il peso delle imitazioni
per quattro prodotti: vino, pasta, olio, formaggi raggiunga un livello pari al 2,4
volte il valore delle esportazioni italiane. Un numero effettivamente molto elevato.
Federalimentare nel luglio 2013 dichiara che “il giro di affari del falso italiano è
un fardello che pesa per oltre 60 miliardi di euro (6 miliardi di contraffazione e
54 miliardi di Italian sounding), quasi 3 volte il valore dell’export, e raggiunge
livelli macroscopici (24 miliardi circa) sui mercati più ricchi, come quello nordamericano (Usa e Canada). Ma anche negli altri paesi dove le comunità italiane
sono più radicate e la nostra emigrazione è stata più massiccia”.
Ed anche la Commissione parlamentare di inchiesta sui “fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale”, istituita nel 2010, nella relazione
conclusiva del 2013 stima che “a livello mondiale, il giro d’affari dell’Italian sounding superi i 60 miliardi di euro l’anno, cifra 2,6 volte superiore al valore delle
esportazioni italiane di prodotti agroalimentari 2009”.
Al di là dei numeri, si può in termini di buon senso ritenere che se nel perimetro
facciamo rientrare soltanto le categorie di cui sopra:
a)nome che rende generico una Dop, Igp, Stg;
b)nome che rende generico una Doc, Igt;
non si possa parlare di grandi fatturati, mentre se nel perimetro rientrano anche
le categorie:
c)nome adattato di un nome molto conosciuto non protetto;
d)semplice utilizzo di un nome generico molto conosciuto non protetto;
e)nome di fantasia che imita un nome molto conosciuto o una Dop, Igp, Stg;
f)nomi propri, cognomi, luoghi geografici, segni grafici, colori, … che collocano
il prodotto in un’atmosfera italiana
il fatturato aumenta notevolmente; pensiamo soltanto a quanta pasta viene prodotta nel mondo, da produttori non italiani utilizzando nomi italiani (spaghetti,
fusilli, macaroni, …) e quanti nomi di origine italiana si trovano su prodotti alimentari nel mondo, del tutto impossibili da censire.
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Se vogliamo inserire anche l’offerta della ristorazione non vi sono più confini: soltanto l’offerta di pizza è “infinita” e ormai della pizza non rimane che un lontano
ricordo.
Ma qui entriamo in ambiti sociali e di costume che poco ci servono ai fini di una seria
valutazione economica e di prospettiva per i nostri produttori.
Ma chi sono i produttori di Italian sounding?
Anche a questa domanda una risposta precisa naturalmente non c’è, proviamo però di
costruire un minimo quadro di riferimento.
Senz’altro il maggior numero dei produttori sono italiani emigrati e loro discendenti che
hanno iniziato pensando di riproporre nei paesi nei quali si trovavano quello che sapevano fare e che potesse rispondere alle attese di mercati inizialmente anche ristretti.
Quindi il fenomeno nasce dal desiderio di onorare le tradizioni della terra di origine e dalla voglia di fare “affari” di italiani che spesso poi hanno messo anche il
loro nome o cognome (jiuliano.com.au - ronzoni.newworldpasta.com)
Alcune imprese sono cresciute e hanno fatto scuola, così altri operatori, non italiani, si sono inseriti in questo filone di attività.
È poi evidente che, se si riscontrano spazi di mercato interessanti, tanti operatori
entrano e arriviamo a dimensioni tipo Pizza Hut.
Ma la maggioranza dei produttori sono senz’altro oggi di piccole e medie dimensioni, pochi con un brand aziendale forte e riconosciuto al di fuori dei confini
regionali o nazionali (Zott- con la Zottarella e Panzani forse sono le aziende più
note, vedi: zott.de - panzani-international.com).
D’altra parte, quando un’azienda cresce e il suo brand si afferma ha tutto l’interesse:
• a proteggerlo e a evitare che ne possa essere inibito l’utilizzo per una disputa
perduta sulla proprietà industriale;
• a caratterizzarsi non con nomi generici di prodotto, ma il più possibile esclusivi, interessanti, ben memorizzabili e difendibili.
Inoltre vuole essere percepita come una realtà vera, che non copia, ma che esprime una precisa identità e un rapporto con il consumatore che va rafforzandosi
anche con un portafoglio prodotti ricco e variegato.
Poi vi è tutto il mondo dei truffaldini, sofisticatori, … ma il mondo è grande.
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5.8. PROTEZIONE E OPPORTUNITÀ
E’ inoltre evidente che il livello di protezione di numerosi nostri nomi è senza
dubbio più robusto nei paesi comunitari.
In particolare le Dop, Igp e Stg, quali strumenti dell’UE funzionali alla valorizzazione del tipico e degli specifici territori, sono più difficili da imitare impunemente, mentre nelle altre aree del mondo anche il contrasto alle imitazioni delle denominazioni si rileva impegnativo, specialmente se le modalità di registrazione non
hanno coperto adeguatamente.
I costi dell’opposizione all’utilizzo del nome, sempre piuttosto elevati, sono da
valutare con attenzione e da rapportare al beneficio che l’inibizione all’utilizzo
improprio di un nome può produrre. Per cui, con ogni probabilità, i nostri produttori e i consorzi di tutela si concentreranno laddove il fenomeno acquisisce
dimensioni veramente rilevanti, tralasciando di perseguire tanti piccoli operatori
attivi in ambiti limitati.
E costoro continueranno a spendere le imitazioni in quanto non vi sono normative che inibiscano l’utilizzo di un nome, di un marchio senza che vi sia la denuncia, l’opposizione del soggetto che vede lesi i propri diritti di proprietà.
L’Italian sounding può considerarsi, però, anche un’opportunità.
Come detto, nessun altro paese come il nostro è così imitato nell’agroalimentare, pur
essendoci stati casi da manuale che hanno coinvolto altri paesi, tipo Emmentaler emmentaler.com (Svizzera) o Budwar - budejovickybudvar.cz (Repubblica Ceca).
Possiamo perciò considerare questa proliferazione di prodotti similari e a immagine italiana come un’apripista, un diffusore di cultura ed emozioni italiane.
È evidente che il prezzo e la piacevolezza della presentazione giocano un ruolo
importante, nel senso che il prodotto similare, considerato che non può esprimersi appieno sul terreno della tipicità, del gusto e della qualità così come il prodotto
originario, fa leva soprattutto sul prezzo.
Ma se il prodotto viene proposto da un’azienda veramente competitiva, attenta al mercato, anche nella vestizione, nelle modalità di presentazione, in tutte le
tecniche di marketing più opportune può conquistare il consumatore e il cliente
rivenditore e mantenerli fedeli nel tempo.
Quindi ci troviamo in una situazione circolare, in un loop: il prodotto similare nasce in quanto c’è attesa di italianità da parte di consumatori, il prodotto similare
contribuisce a diffondere atmosfera, cultura alimentare italiana e, di conseguenza, incrementa il bisogno di prodotto italiano.
Si possono ampliare perciò gli spazi di mercato al cui interno il produttore di tipico deve tentare di conquistare quote, con intelligenza, lavorando, oltre che sulla
qualità intrinseca e la corrispondenza piena alle ricette originali e ai disciplinari,
sul prezzo, sui formati, sulle confezioni, su tutte le migliori tecniche commerciali.
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E’ un percorso senz’altro lungo, difficile, irto di tentazioni, ma, se i produttori italiani opereranno in questa direzione con caparbietà, si rafforzerà la credibilità nei
confronti dei partner commerciali, l’autorevolezza nel dialogo con le istituzioni,
l’immagine del paese e di conseguenza aumenterà il livello di fiducia dei consumatori e il loro desiderio e capacità di scoprire il vero italiano.
E in questo percorso devono aiutare anche le istituzioni italiane ed europee a
sostenere l’origine e la qualità italiana attraverso iniziative a livello dei maggiori
paesi del mondo, che consentano di proteggere più facilmente le nostre identità,
i nostri nomi e simboli, così come già qualche piccolo progresso si è realizzato
avvenuto nel vini con:
• Canada: un accordo con UE del 2003 consente di inserire le Indicazioni Geografiche nel registro canadese dei Trade Marks e in virtù di tale accordo l’Italia ha
registrato oltre 500 denominazioni di origine presso le locali autorità federali;
• Stati Uniti: un accordo con UE del 2005, recepito da normativa statunitense
nel 2006, offre parziale protezione a 17 nomi europei tra cui Chianti, Marsala
e Prosecco.
Nel contempo è opportuno operare per una presentazione sempre più chiara
della immagine italiana che realizzi un vero denominatore comune tra tutte le
nicchie territoriali che senza troppe risorse e talvolta senza una visione strategica
di lungo periodo si presentano sul fronte dei mercati esteri.
E ciò può avvenire anche grazie a riflessioni sincere e approfondite sulla situazione di oggi, dando il giusto peso ai fenomeni che ci troviamo di fronte nei tanti
paesi del mondo e riflettendo altresì sulle coerenze dei nostri produttori.
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6. GLI STRUMENTI A SUPPORTO
DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
6.1. GLI STRUMENTI IN ITALIA
6.1.1. PREMESSA
L’export nazionale ha registrato un rallentamento negli ultimi anni rispetto al
trend di crescita registrato nel biennio 2010/2011 ove si registravano incrementi a
due cifre.
Le proiezioni economiche sono sostanzialmente peggiorate a livello mondiale, e
soprattutto europeo, anche a causa:
• della crisi di liquidità e conseguente contrazione degli investimenti;
• dell’andamento dei cambi, con un valore dell’Euro sistematicamente oltre
l’1,30 sul dollaro che sta penalizzando l’export italiano;
• del quadro economico internazionale assai fragile anche in termini di PIL e
produttività;
• della decelerazione globale che non ha risparmiato nemmeno le economie più
dinamiche (quali Cina, Russia e Brasile) sia pure su tassi di crescita ancora
sostenuti.
In una fase di recessione e di persistente calo della domanda interna, è importante potere contare sulla domanda estera, l’unica forza trainante che può sostenere
la nostra economia e riportarla alla crescita. In proposito, il CSC di Confindustria,
stima che un aumento di un punto percentuale del tasso di crescita dell’export di
merci sia associato ad un aumento di 0.24 punti percentuali del tasso di crescita
del PIL italiano.
In Italia si è fermata la crescita delle esportazioni registrata negli scorsi anni, segnando nel 2013 lo stesso dato del 2012 (circa 390 miliardi di euro) - si veda grafico.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
La destinazione delle esportazioni italiane nel 2013, come si evidenzia nella tabella che segue, ha riguardato gran parte delle aree geografiche, ma si è verificata
una riduzione del peso dei paesi dell’Unione Europea, in favore dei paesi europei
non UE. E’ cresciuta l’importanza delle esportazioni verso gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, in ripresa quest’ultima rispetto al calo dell’anno precedente, mentre
risulta in calo la Turchia. Negli altri paesi si registrano incrementi a due cifre per
il Nord Africa, l’Arabia Saudita e Corea del Sud mentre in calo le esportazioni
2013 verso alcuni paesi in via di sviluppo, come Messico e India.
Da una recente riunione della Cabina di Regia per l’Italia Internazionale - la cui
attività è descritta nel prosieguo - è emersa un’interessante analisi di confronto
delle performance del grado di penetrazione del nostro paese rispetto ai nostri
principali competitors, Germania e Francia, nelle diverse aree del mondo.
L’Italia registra una performance migliore rispetto alle due potenze europee solo
nell’area africana del Mediterraneo e nei paesi europei non UE, mentre registra un
ritardo nei paesi Bric, confermando il trend dei dati sopradescritti. Per quanto riguarda le esportazioni per macrosettori, si riscontra che, anche nel settore Alimentari
e bevande, la quota dell’Italia nel mondo rimane inferiore a quelle dei competitors
europei e si attesta al 3,9% rispetto al 7,6% della Germania e del 6.3% della Francia.
Nel settore agroalimentare, in particolare, i margini di crescita sono ampi, se si
considera che il peso percentuale dei beni esportati è soltanto del 6,7% (fonte Ice
su dati Istat), rispetto a valori ben superiori degli altri settori, che rischiano di
esaurire la spinta all’export.
Passando ad analizzare le principali caratteristiche degli operatori italiani dell’export, in relazione al numero elevato di piccole e medie imprese che caratterizza la
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
struttura produttiva italiana, il numero delle PMI che esportano è molto limitato.
Secondo le stime di Unioncamere, considerando soltanto le aziende manifatturiere, le imprese esportatrici sono infatti così suddivise:
• Imprese esportatrici occasionali (-10 % fatturato export) 31,5% pari a circa
36.000 aziende;
• Imprese esportatrici abituali (da 10 a 50% fatturato export) 40,1% pari a circa
45.000 aziende;
• Imprese esportatrici prevalenti (fatturato export superiore al 50%) 28,5% pari
a oltre 25.000 aziende.
Sempre secondo Unioncamere sarebbero 73.000 le potenziali imprese esportatrici, che hanno le caratteristiche di prodotto e di fatturato per affacciarsi sui mercati
internazionali ma che ancora non si sono internazionalizzate.
E’ auspicabile quindi che vengano attuate tutte le azioni necessarie a stimolare e sostenere le imprese italiane che vogliono affrontare i mercati internazionali e che le
aziende che già hanno intrapreso questo percorso dell’internazionalizzazione abbiano gli strumenti per ampliare la propria attività puntando di più sull’esportazione.
6.1.2. L’AGROALIMENTARE ITALIANO: UNA ECCELLENZA
L’industria agroalimentare italiana costituisce sicuramente un’eccellenza per la
qualità, il valore e l’ampia varietà dei prodotti offerti e detiene, nell’Unione Europea, il record per numero di prodotti a denominazione d’origine garantita e a indicazione geografica protetta. Negli anni la domanda di prodotti agroalimentari
Made in Italy ha registrato considerevoli aumenti, al punto che il settore alimentare è giunto ad assumere un ruolo di rilievo nel nostro export.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il valore totale delle esportazioni agroalimentari nel 2013 ha quasi raggiunto i 32
miliardi di euro, confermando il trend positivo, con una crescita al 5,2% rispetto
al 2012, seppure in rallentamento rispetto al biennio 2010/2011. Il miglioramento
delle esportazioni deriva da un miglioramento qualitativo dei prodotti esportati
e dalla capacità di posizionarsi nella fascia più alta dei prodotti, in modo da non
risentire della competizione di prezzo dei paesi emergenti. Peraltro le previsioni
di crescita della domanda mondiale di alimentari e bevande evidenziano possibilità di aumenti nei prossimi anni di oltre il 9% (elaborazione Ice in collaborazione
con Prometeia).
L’Italia esporta principalmente nei paesi della Comunità Europea (Germania e
Francia sono ai primi 2 posti) mentre il principale partner non europeo sono gli
Stati Uniti.
A livello geografico, l’andamento delle esportazioni si è contraddistinto per variazioni positive generalizzate. Da segnalare la costante crescita, con trend in miglioramento, per la Russia (€ 687 milioni + 14.2%) il Canada con circa 650 milioni di
euro e la Polonia (€558 milioni +9%). Le vendite in Asia orientale, in particolare,
sono aumentate di oltre 20 punti percentuali grazie alla crescita della domanda
proveniente da Giappone (con circa € 730 milioni) e Cina (€ 314 milioni +10% sul
2012 e +22% sul 2011). In evidenza alcuni paesi con forte potenziale di sviluppo
- percentuali di crescita a due cifre - come l’Australia (€ 420 milioni +12.2%), la
Libia (€218 milioni +30%) e la Turchia (€190 milioni + 15,4%).
Il Rapporto Ice 2012-2013, di cui si riporta un estratto relativo al settore alimentare, analizza specificamente gli andamenti dell’import-export sia del settore
alimentare che di quello agricolo, individuandone le caratteristiche. Nel settore,
Prodotti alimentari e bevande, nel 2012, il disavanzo commerciale nei Prodotti
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
alimentari e bevande si è trasformato in un avanzo. Da un lato, il deficit relativo
ai Prodotti alimentari si è ridotto notevolmente, soprattutto grazie alla crescita
delle esportazioni (+6,6%). Le importazioni invece sono diminuite solo dell’1%
rispetto al 2011. I dati relativi agli scambi in quantità riflettono la stessa dinamica.
Dall’altro lato, l’avanzo relativo alle Bevande si è ampliato in virtù di una crescita
delle esportazioni del 7,1 per cento.
Le importazioni di Prodotti alimentari e bevande stanno scontando il calo della
domanda interna. La quota di mercato dell’Italia sulle esportazioni mondiali di
Prodotti alimentari, nel 2012 non ha subito variazioni rispetto al 2011 (3,3 per cento), ma resta lontana dai livelli del 2003 (3,8 per cento) (elaborazioni Ice su dati
Eurostat e Istituti nazionali di Statistica).
Attualmente, i primi dieci Paesi esportatori di prodotti agroalimentari, ordinati rispetto alla loro quota del biennio 2010/2011, coprono il 53% delle
esportazioni mondiali di tali prodotti, mentre i primi venticinque ne coprono l’80% - si veda grafico.
Fonte: Elaborazioni su dati Un-Comtrade
Primo esportatore mondiale nel settore sono gli Stati Uniti con un importo di oltre 106 miliardi di euro - un decimo del totale - seguiti dalla Germania con oltre 65
miliardi di euro. Il Brasile ricopre la terza posizione con oltre 61 miliardi di euro,
subito seguito dai Paesi Bassi e dalla Francia con oltre 59 miliardi di euro.
L’Italia è decima, superata peraltro negli ultimi anni, oltre dai paesi soprarriferiti,
dalla Cina, Belgio, Argentina e Canada. In relazione allo specifico settore degli
alimentari e bevande, si riportano alcuni commenti forniti dall’ICE in merito agli
andamenti delle principali produzioni italiane nel 2012.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
VINO
Il vino si conferma una delle colonne portanti dell’export agroalimentare italiano.
Il comparto del vino, che in Italia coinvolge oltre 383 mila imprese, nel 2012 ha
inviato oltreconfine 21 milioni di ettolitri, con un fatturato di 4,7 miliardi di euro
(+ 6,5% sul 2011), nonostante la contrazione dei volumi dell’8,8%.
PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI
Nel 2012 il fatturato da esportazioni di prodotti ortofrutticoli è risultato in calo
del 2,4% e ammonta a 4 miliardi di euro derivanti da volumi pari a 4,1 milioni
di tonnellate (-1,6%). Anche l’aspetto prezzo medio non fornisce segnali positivi.
L’indice euro/chilo, infatti, è lievemente calato rispetto al 2010 e comunque si
mantiene in un range 0,94-0,97 euro, segno di una forte competizione sui mercati
mondiali che fa evidentemente perno sulla leva del prezzo.
PRODOTTI DOLCIARI
Il 2012 si è chiuso molto positivamente per le aziende del settore superando i
buoni dati del 2011. Le esportazioni di prodotti dolciari hanno registrato un incremento del 10,2%, arrivando a più di 3 miliardi di euro, derivanti da oltre 1 milione
di tonnellate di prodotto esportato.
CONSERVE VEGETALI
Il 2012 si è chiuso, per le aziende del settore conserviero, con un aumento delle
esportazioni pari al 6,1% rispetto al 2011. Il prezzo medio per chilo di prodotto
esportato è in lieve rialzo rispetto ai valori del 2010/11 ma ancora inferiore se confrontato con il 2009.
CARNI
Nel comparto delle carni l’Italia è un importatore netto con un saldo negativo
che, nel 2012, è stato pari a 3,7 miliardi di euro. Tuttavia, l’analisi delle voci che
compongono l’import evidenzia una netta preponderanza delle carni fresche, refrigerate o congelate, mentre sul lato export la quasi totalità del valore è costituito
dalle carni preparate.
Il 2012 si è chiuso in modo soddisfacente per le aziende del settore il cui fatturato
export è aumentato del 5,1% a 2,6 miliardi di euro.
Calo delle esportazioni dei prodotti ittici che hanno chiuso il 2012 a -9,3% in valore.
LATTIERO CASEARIO
Rispetto agli anni precedenti ha perso slancio l’export in valore di formaggi e latticini (che ha segnato un +3,5% dopo due anni di incrementi di circa il 15%). Sono
state più consistenti le esportazioni in volume (+7,1%).
Il 2012 si è chiuso in modo comunque positivo per le aziende del settore lattierocaseario: le esportazioni di formaggi sono cresciute di oltre il 7% rispetto al 2011
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
superando le 300.000 tonnellate, per un valore che ha sfiorato i 2 miliardi di euro
(+3,5% rispetto al 2011).
PASTE ALIMENTARI
Continua a crescere la domanda estera di paste alimentari: nel 2012 l’export delle
paste nazionali ha raggiunto il valore record di circa 2,1 miliardi di euro (+ 7%
rispetto al 2011). Le esportazioni di pasta secca non all’uovo, che rappresentano
la percentuale più ingente delle esportazioni totali di paste alimentari, hanno registrato una crescita del 7,8% rispetto al dato del 2011.
In leggero calo, rispetto ai valori dell’anno precedente, le esportazioni
di riso (-0,3%).
OLIO D’OLIVA
L’olio d’oliva italiano, che conta quasi 1 milione di aziende, nel 2012 guadagna
posizioni all’estero chiudendo con un bilancio di 378.040 tonnellate esportate, per
un valore superiore a 1,2 miliardi di euro, in crescita del 2,5 per cento. A contribuire in maniera determinante alla performance, gli oli di pregio extravergini, che
rappresentano il 70% delle quote dell’export.
Il valore dell’export di olio di oliva italiano nel 2012 ha però perso slancio rispetto
al 2010 (+15%) ed al 2011 (+3,5%).
CAFFE’
Il 2012 si è chiuso, per le esportazioni di caffè con un brillante +20,3% raggiungendo quota 974 milioni di euro pari più di 130 mila tonnellate di prodotto.
Non si arresta la tendenza al rialzo generalizzato dei prezzi medi all’export
che, già nel 2011 aveva registrato una impennata del 13,7% a euro 6,82 per
chilo di prodotto.
6.1.3. IL SUPPORTO DEL SETTORE PUBBLICO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Iniziamo ad analizzare il ruolo svolto dal sistema pubblico a favore dell’internazionalizzazione del sistema produttivo e del sostegno dei prodotti italiani all’estero, definito anche “Sistema paese”.
Come rappresentato graficamente dalla figura 1 (fonte Banca d’Italia), l’Italia
è caratterizzata da un’articolazione del “Sistema paese” estremamente complessa e frammentata.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Al vertice del Sistema paese, quali decisori delle linee d’indirizzo e delle strategie,
si collocano il Ministero degli Affari Esteri (MAE), il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), competente per il commercio estero, e, per le materie di pertinenza,
il Ministero con delega al Turismo. Questi ministeri, ove del caso su delega del
Presidente del Consiglio dei Ministri, presiedono i due comitati di coordinamento
attualmente esistenti, la V Commissione Permanente del CIPE (area blu nella figura) e la neo istituita Cabina di Regia (area gialla) che coinvolge - in seguito alla
devoluzione delle competenze dello Stato centrale - le regioni, nonché i soggetti
privati. Ai due comitati partecipano anche il Ministero dell’Economia e le Finanze
(MEF) e il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF).
L’attuazione degli interventi è affidata a un complesso di attori pubblici definiti
come “Enti operativi”. In particolare, si tratta dell’Istituto per il Commercio con
l’estero (ICE), della SACE - Servizi assicurativi del commercio estero, della Società
italiana per le imprese all’estero (Simest), del sistema delle Camere di Commercio
in Italia e all’estero, degli enti regionali di promozione, della Finest, di Informest
e dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo (ENIT).
Nella figura, oltre a Cassa Depositi e Prestiti (CDP), sono rappresentati solo i primi tre per importanza.
Negli ultimi anni il settore è stato ridefinito con svariati interventi normativi
e, anche a causa della stratificazione di norme, le competenze dei vari attori
dell’export non sono sempre perfettamente delineate; inoltre manca un’unica
amministrazione Ministeriale al vertice del Sistema paese, che possa assicurare una strategia efficace e organica a supporto dell’internazionalizzazione
commerciale delle imprese.
Come dimostrato dalla tavola che segue, anche al livello degli “Enti operativi” si verificano alcune sovrapposizioni di competenze tra i diversi attori, sia pubblici che privati.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
FUNZIONI DEGLI ENTI OPERATIVI DEL SISTEMA PAESE
ISTITUTO
COMMERCIO
ESTERO /
AGENZIA ICE
Promozione
X
Consulenza
X
Finanziamento
Formazione
CDP
X
X
SACE
X
X
X
X
X
X
Capitale di Rischio
Assicurazione
SIMEST
ENTI
REGIONALI DI
PROMOZIONE
CAMERE
COMM.
INDUSTRIA E
ARTIGIANATO
CAMERE
COMM.
ITALIANE
ALL’ESTERO
ASSOCIAZIONI
IMPRENDITOR.
(CONFINDUSTRIA
RETE IMPRESE
COOP ABI)
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Fonte Questioni di Economia e Finanza edito dalla Banca d’Italia - settembre 2013
Le attività caratteristiche di un “Sistema paese” - promozione, consulenza,
finanziamento, formazione - sono svolte in sovrapposizione tra diversi enti,
solo l’assicurazione all’export e l’assunzione di partecipazione al capitale di
rischio, quest’ultima peculiare all’esperienza italiana, sono riconducibili a un
unico e ben identificato attore. La convenzione Export Banca che coinvolge
CDP, SACE e Simest appare semplificare il quadro almeno nel campo della
concessione di finanziamenti.
6.1.4. LA CABINA DI REGIA PER L’ITALIA INTERNAZIONALE
Al fine di coordinare le politiche del Paese in tema di internazionalizzazione,
coinvolgendo tutti gli attori, pubblici e privati dell’export italiano, nel 2011 è stata
istituita la Cabina di Regia per l’Italia Internazionale. L’obiettivo è di definire le
linee guida e mettere a sistema iniziative per la promozione, strumenti di analisi e
penetrazione sui mercati e concentrare l’uso delle risorse finanziarie verso obiettivi specifici e condivisi.
Tale organismo, è co-presieduto dal Ministro degli Affari Esteri e dal Ministro
dello Sviluppo Economico, e vede anche la partecipazione dei principali attori
governativi ed economici nazionali e regionali nel settore, quali il Ministro
per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo (che co-presiede per le materie di
propria competenza) il Ministro dell’Economia e Finanze, il Ministro per le
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, i Presidenti della Conferenza delle
Regioni, di UnionCamere, Confindustria, Rete Imprese Italia, ABI e Alleanza
delle Cooperative.
La Cabina di Regia si è riunita tre volte (18 luglio 2012, 22 ottobre 2012 e 10 luglio 2013)
e, nella riunione del 10 luglio 2013, ha definito le linee guida sul piano promozionale
2014 in coerenza con l’auspicato aumento delle risorse promozionali e di funzionamen-
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
to a servizio del presidio di nuovi mercati. Questi sono i punti fondamentali:
• missioni economiche - rilancio dello strumento delle missioni, sia istituzionali
che imprenditoriali, aumentando il numero di paesi e di settori presidiati, definendo tre diversi formati per le missioni all’estero:
a) missioni di sistema con rappresentanza politica ad alto livello, presenza
multisettoriale e del sistema bancario;
b) missioni settoriali di follow up, dedicate a settori specifici;
c) missioni Government to Government, intese come preparazione delle missioni di sistema.
• maggiore focalizzazione su progetti integrati di filiera, puntare su forme di
aggregazione di imprese;
• impegno accresciuto per i settori più innovativi: meccatronica, biotecnologie,
aerospazio, energia per l’ambiente;
• valorizzazione dei progetti in chiave di sinergia e complementarietà con i
fondi Made in Italy e il Piano Export Sud;
• inserimento della promozione di Expo 2015 in tutte le grandi manifestazioni della filiera alimentare, sostenibilità ambientale, ecc. al fine di sfruttare le
grandi potenzialità dell’evento come vetrina per il rilancio dell’intera economia italiana.
Sono stati inoltre previsti due progetti speciali:
• il roadshow, che ha iniziato la sua attività nel Gennaio 2014, toccherà una ventina di località italiane tra il 2014 e il 2015. L’obiettivo è di stimolare le aziende
con potenziale ma non ancora o poco internazionalizzate, offrendo informazioni sulle opportunità offerte dai mercati e consulenza diretta mirata sulle
potenzialità di export di ogni singola azienda. In particolare verranno illustrati gli strumenti pubblici e privati che possono sostenere l’azienda nell’ingresso
sui mercati esteri. Scopo dell’iniziativa è contribuire al raggiungimento dell’obiettivo d’incremento di circa 20 mila del numero delle aziende stabilmente
esportatrici, illustrando gli strumenti a loro disposizione per favorirne una
maggiore presenza all’estero;
• progetti promozionali volti a consolidare la rete distributiva sul mercato USA
e a promuovere il Made in Italy in preparazione dell’accordo TTIP - Transatlantic Trade and Investiment Partnership cioè la costruzione di un mercato
unico per merci, investimenti e servizi fra Europa e Nord America.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Piano promozionale 2013 e 2014
Nella tabella che segue, relativa all’anno 2013 (elaborazione ICE) si evidenziano le
risorse nazionali messe a disposizione per la promozione dell’attività di esportazione, rispetto alle risorse dei nostri principali competitors europei. I fondi nazionali per il piano promozionale - ultima colonna della tabella - sono stati nel 2013
pari a 28 milioni di Euro, contro i 170 della Germania, 150 milioni della Francia
e 140 della Spagna. Per quanto riguarda l’Italia, si fa notare la sproporzione fra il
valore del budget istituzionale rispetto a quello promozionale (quest’ultimo pari
solo a un terzo dei fondi complessivi) rispetto alle diverse proporzioni dei principali paesi oggetto del confronto.
Nella tabella sono altresì confrontati i principali elementi che contraddistinguono
l’organizzazione destinata all’export da parte dei principali paesi europei - uffici
nello specifico paese e all’estero, i dipendenti dedicati - oltre al budget dei costi
delle strutture istituzionali.
BUDGET
BUDGET
ISTITUZIONALE
PROMOZIONALE
(MILIONI EURO)
(MILIONI EURO)
82
28
UFFICI
UFFICI
DIPENDENTI
DOMESTICI
ALL’ESTERO
NAZIONALI*
ICE - Agenzia per
la promozione
all’estero e
internaz.
2
65
434
GTAI - German
Trade & Invest**
2
48
UBIFRANCE
23
63
1388
152
150
ICEX - Instituo
Espanol del
Commercio
Exterior
31
100
1170
64
140
TIPO
344 + 1700
(Camere di
Commercio)
42
170
(Camere di
Commercio)
* non include il personale locale
** L’attività di GTAI si limita ai servizi di assistenza alle imprese mentre l’attività promozionale viene realizzata dai
singoli Lander o dalle Camere di Comm.
Fonte: Ice sui dati delle singole TPO
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Si tratta di un dato che rappresenta il minimo storico e che ha comportato notevoli limitazioni delle attività finanziate. Causa la limitatezza delle risorse, le
attività promozionali 2013 sono state orientate alla conservazione della posizione
dell’Italia sui mercati maturi, poiché un’azione più incisiva sui nuovi mercati e
diversificata su base geografica e settoriale avrebbe richiesto risorse promozionali
e di funzionamento più sostanziose.
Per quanto riguarda più specificamente il settore agroalimentare, il sostegno è
stato di una quota del 7.4% per oltre 2,7 milioni di euro, compresi i fondi “Made
in Italy”.
Nella riunione del 10 luglio 2014, di cui si è detto, la Cabina di Regia, nella considerazione che “ il volano dell’export è una leva fondamentale per elevare il ritmo
di sviluppo dell’economia italiana” ha definito per il 2014 linee guida sul piano
promozionale, in considerazione di un correlato aumento degli stanziamenti.
Il finanziamento è avvenuto tramite il Decreto legge “Destinazione Italia”, che ha
stanziato ulteriori 22,6 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere ai fondi del
Made in Italy per 8 milioni di euro, accentrando la gestione delle risorse finanziarie sull’ICE-Agenzia.
L’obiettivo posto dalla Cabina di Regia è il raggiungimento nel 2015 di 545 miliardi di Euro di esportazioni, prevedendo in particolare:
• coinvolgimento dagli attuali 40 a 60 Paesi;
• presidio da 50 a 90 sottosettori;
• realizzazione da 300 a 800 iniziative;
• effetto moltiplicatore derivante dall’integrazione con programmi di Regioni,
Numero Unioncamere, ecc.
Verranno quindi rafforzate:
• azioni presso la GDO;
• missioni imprenditoriali di settore con incontri B2B;
• incoming a fiere e distretti industriali;
• corsi di formazione.
Sono stati confermati gli interventi nei paesi BRICS, UE e Nord America ed inoltre verranno potenziati o inseriti stanziamenti per i principali paesi emergenti.
La partecipazione complessiva stimata è di circa 18.000 aziende italiane.
25.000 gli incontri B2B che si prevede di realizzare nel corso di missioni,
seminari e workshop.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
6.1.5. IL COORDINAMENTO TRA I VARI ATTORI
Particolare importanza, come si è detto, è insita nella chiarezza dei rapporti tra i
vari attori in gioco, pubblici e privati, nella gestione strategica e nell’utilizzo delle
risorse messe a disposizione, per evitare che si verifichino sovrapposizioni e conflitti di competenze.
In particolare, si riportano di seguito i fondamentali rapporti interistituzionali tra
i vari soggetti coinvolti nella promozione dell’export e il Ministero degli Esteri
MAE che è il soggetto deputato ad effettuare attività di coordinamento tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, altri Ministeri, articolazioni interne al MAE,
Istituzioni UE, Ambasciate, Consolati e Istituti di Cultura, Regioni, Province e
Comuni, mondo produttivo ed accademico.
Rete estera delle strutture di promozione.
Importante il coordinamento tra Ice /Agenzia e Enit nell’ambito delle Rappresentanze diplomatiche, in particolare nei Paesi e mercati con maggiori potenziali di
crescita.
Rapporti con le Autonomie territoriali
Il Commercio internazionale è una delle materie che la riforma del titolo V della
Costituzione attuata nel 2001 definisce “a legislazione concorrente” delle regioni
rispetto allo Stato nazionale. Ciò comporta una sovrapposizione di competenze e
una complessità che rendono necessaria un’importante opera di coordinamento
per assicurare unitarietà e coerenza alla politica estera del Paese e per definire le
attività di promozione dei territori italiani.
Si ritiene utile evidenziare come a livello nazionale tale impostazione Costituzionale
sia in fase di discussione, visti anche i numerosi conflitti di competenze tra Stato e Regioni che si sono verificati in questi anni, oltre che l’aumento della Spesa Regionale.
Il coordinamento rientra tra le competenze del Ministero Affari esteri MAE e avviene mediante l’Intesa tra Governo e Regioni nell’ambito della Conferenza Stato
Regioni. In relazione a ciò, importante è anche il ruolo svolto dalla Cabina di Regia.
Inoltre sul piano delle attività regionali sono state individuate le seguenti linee
guida per favorire l’internazionalizzazione:
• formazione di export manager e supporto all’attività delle imprese, anche attraverso l’impiego di temporary manager;
• raccordo con l’attività di promozione nazionale del Governo per promuovere
il primo approccio delle imprese al mercato;
• supporto nello svolgimento del roadshow per l’aumento delle imprese esportatrici attraverso attività dedicate sul territorio.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Nella riunione del luglio 2013 della Cabina di Regia, è stato evidenziato che i fondi spesi dalle Regioni per l’internazionalizzazione sono ca. 100 milioni di Euro, di
cui fondi regionali 50 milioni, contributi europei 30 milioni, accordi con le Camere di Commercio 20 milioni, che solo per un ammontare limitato si integrano con
la programmazione nazionale.
Relazioni con il sistema camerale
Il Ministero degli Affari Esteri, attraverso l’Amministrazione centrale e la rete
di Uffici all’estero, mantiene uno stretto raccordo con Unioncamere e il sistema camerale italiano e con l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane
all´Estero, Assocamerestero.
Il sistema camerale partecipa attivamente ai lavori della Conferenza dei Servizi e
dei diversi Consigli per gestire l’attività internazionale delle Camere di Commercio italiane all’estero, delle Camere miste e delle Camere di Commercio nazionali.
Contribuisce al riconoscimento delle Camere di Commercio italiane all’estero e
all’erogazione dei contributi economici governativi e favorisce, nel pieno rispetto
dell’autonomia del sistema camerale, iniziative di promozione tramite la condivisione degli obiettivi di promozione triennale elaborati dalla Rete diplomatica e
consolare per la realizzazione congiunta di piani promozionali annuali che consentano la massimizzazione dei risultati e la razionalizzazione delle risorse.
Relazioni strategiche con Enti, Associazioni e imprese
Il Ministero degli Affari Esteri si raccorda con i vertici degli enti economici, dei
principali gruppi industriali e finanziari nazionali e delle piccole e medie imprese che intendono espandere la propria attività all’estero per l’elaborazione delle
necessarie strategie e per gestire le problematiche. Le tematiche settoriali e geografiche vengono trattate in appositi incontri.
Per il settore agroalimentare il principale referente è Federalimentare.
6.1.6. IL SISTEMA ITALIANO DI SUPPORTO ALL’EXPORT
L’analisi del sistema italiano di supporto all’export, è stata effettuata mediante
una serie di interviste ad Enti ed operatori del sistema nazionale e di quello territoriale, al fine di evidenziarne le caratteristiche e le attività svolte in favore delle
imprese.
Per quanto riguarda il sistema nazionale, abbiamo incontrato l’ICE, Istituto per il
Commercio con l’Estero, oggi “ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane”.
In seguito è stato analizzato il ruolo di un’Agenzia Regionale di sviluppo dell’exAnalisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
port - si riferirà di una struttura modello, quella Altoatesina - per passare poi
all’analisi delle iniziative del sistema camerale territoriale, con interviste a Unioncamere Emilia Romagna e CCIAA di Ferrara.
Inoltre sono state verificate le azioni per l’internazionalizzazione di una importante struttura unitaria nazionale nel settore dell’ortofrutta - il CSO - Centro Servizi Ortofrutta.
Per finire, per quanto riguarda il sostegno finanziario e assicurativo alla internazionalizzazione delle imprese, sono state sintetizzate le attività di SACE, Simest e
Cassa Depositi e Prestiti.
L’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle
imprese italiane - Ice
L’analisi del sistema italiano di supporto all’export dei prodotti agroalimentari
è iniziata con l’incontro presso l’ICE, Agenzia sottoposta ai poteri di indirizzo e
vigilanza del Ministero dello sviluppo economico che li esercita, per le materie
di rispettiva competenza, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e sentito il
Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’ICE ha subito in questi anni un radicale processo di revisione: infatti l’ente venne soppresso nel luglio 2011 e successivamente nel dicembre 2011 ricostituito con
apposita legge, in forma di Agenzia come “ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane”.
Il nuovo modello adottato si è basato su azioni di semplificazione, focalizzazione
e coordinamento di tutto il sistema, in primo luogo attraverso l’integrazione con
la rete estera delle Ambasciate. In tale contesto, l’Agenzia per l’Internazionalizzazione vuole rappresentare una discontinuità importante rispetto al passato.
Le sue linee d’azione sono:
• maggiore orientamento al servizio nei confronti delle imprese;
• nuova gamma di servizi e temporary management;
• massima trasparenza gestionale e apertura verso tutti i soggetti che intendano
utilizzare la Rete estera;
• maggiore proattività, innovatività e creatività nell’azione promozionale;
• marketing aggressivo sulle aziende potenzialmente clienti (Roadshow, Digital Promotion, ecc.);
• discontinuità comunicativa: nuovo logo - ITA (Italian Trade Agency) - e nuovo portale www.ice.gov.it che fornisce direttamente e gratuitamente servizi
on line indispensabili per un primo approccio sui mercati di riferimento e
www.italtrade.com banca dati dedicata agli operatori esteri.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il piano di razionalizzazione ha comportato un taglio dei costi di funzionamento
e degli addetti e un riassetto della rete di uffici italiani e nel mondo: in Italia restano solo le sedi di Roma e Milano, mentre la rete estera ha subito un sensibile
ridimensionamento nell’area geografica europea che si ritiene più facilmente accessibile alle imprese italiane, mentre è stata confermata con prospettive di rafforzamento in aree geografiche e Paesi che presentano opportunità di espansione.
In relazione a questo cambiamento, il Piano Strategico dell’Agenzia Ice ha previsto l’aumento futuro degli stanziamenti, se saranno confermate su base triennale
le risorse, (+ 10 milioni all’anno per funzionamento e + 25 milioni anno per promozione) per il raggiungimento degli obiettivi legati all’aumento delle iniziative
promozionali, del rafforzamento della Rete estera sui mercati a più alto potenziale e dell’aumento dei ricavi da servizi nel triennio (a condizione che si attivino gli
incentivi fiscali sulla spesa in promozione su rete estera ICE), come già riferito nel
capitolo della Cabina di Regia.
L’ICE-Agenzia ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti
economici e commerciali italiani con l’estero - con particolare attenzione alle
esigenze delle piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti - e
opera al fine di sviluppare l’internazionalizzazione delle imprese italiane nonché
la commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati internazionali.
Attraverso la sede di Roma, l’Ufficio di Milano e la rete nel mondo - attuali 65 sedi l’Agenzia svolge attività di informazione, assistenza, promozione a imprese e istituzioni, di formazione a imprese e a giovani laureati e promuove la cooperazione
nei settori industriale, agricolo e agro-alimentare, della distribuzione e del terziario.
L’ICE-Agenzia opera all’estero nell’ambito delle Rappresentanze diplomatiche
italiane, in sinergia con le organizzazioni imprenditoriali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati, assicurando un supporto coordinato alle imprese e reti
nazionali che si impegnano nel processo di internazionalizzazione, con l’obiettivo di promuovere l’immagine del prodotto italiano nel mondo e l’Italia quale
destinazione degli investimenti esteri.
Come rilevato in diverse sedi, il settore della promozione all’estero soffre dell’eccessiva frammentazione dei soggetti e necessita quindi di una importante opera
di coordinamento. In alcuni paesi sono infatti presenti rappresentanze delle Regioni italiane e addirittura dei Comuni italiani. La Cabina di regia nazionale ha
sollecitato tutti gli operatori a svolgere le proprie attività, in raccordo con l’ICE /
Agenzia che opera con le Regioni, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le Organizzazioni Imprenditoriali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati, ai sensi di linee guida e di indirizzi strategici in materia di
promozione ed internazionalizzazione delle imprese assunte dalla Cabina stessa.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Passando a trattare più specificamente il settore agroalimentare, il modello prevede l’integrazione dei seguenti soggetti:
• la Camera di Commercio e/o le Associazioni di categoria che svolgono un
supporto di prima informazione e sviluppano programmi di promozione sul
territorio nei diversi settori;
• Unioncamere e/o le Agenzie Regionali per l’export che a loro volta sviluppano programmi di promozione;
• ICE/ Agenzia che organizza;
• iniziative promozionali;
• supporti alla partecipazione di fiere internazionali (collettive italiane);
• attività di incontri con GDO estere in collaborazione con le Associazioni di
categorie - cofinanziamento - vedi Federalimentare, Assica (carni lavorate)
e Aidepi (settori poste e dolciario);
• iniziative autonome / workshop (modello Borsa vini) nelle quali 40/50 produttori italiani presentano i loro prodotti a diversi operatori del settore
estero;
• iniziative promozionali di cucina italiana presentate a scuole di cucina internazionali, che permettono di diffondere il made in Italy e far crescere il
proprio personale.
Per quanto riguarda in particolare l’organizzazione di workshop/borse vini, il
criterio adottato è quello di prevedere 2/3 tappe a distanza di 1 o 2 giorni su
mercati vicini (vedi novembre 2013 Singapore, Taiwan e Tokyo), prevedendo ove
possibile anche una ricognizione sulla distribuzione locale, in modo da consentire alle aziende partecipanti di razionalizzare le spese.
Le principali iniziative dell’ICE nel biennio 2013 - 2014 nel settore agroalimentare sono:
• azioni con la GDO in Giappone, Hong Kong, Cina,
• fiere:
• Anuga, Colonia
• Hofex, Hong Kong
• Summer Fancy Food, New York
• Fine Food, Australia
• Food and Hospitality China, Shanghai
• Vinexpo, Bordeaux
• missioni operatori presso SANA, FLORMART, MACFRUT, SIGEP, CIBUS
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• grandi degustazioni in CANADA
• Borse vini in Estremo Oriente
Nel corso dell’incontro è emerso che per accedere ad alcuni mercati, è necessario
che il sistema agroalimentare italiano si rivolga agli importatori specializzati, in
relazione alle diverse normative; in particolare si segnala:
• Usa: è presente in prevalenza una struttura distributiva piramidale con 3 livelli: 1-importatore grossista 2-Distributore grossista e 3-distributore al dettaglio.
La legge Antitrust Usa consente di esercitare al massimo 2 delle 3 suddette
funzioni;
• Russia: normalmente il produttore straniero si affida a un operatore logistico/
commerciale russo, che affida la merce a un operatore commerciale specializzato in vendite all’ingrosso il quale provvede alla distribuzione presso il
consumatore finale (negozi, ristoranti, reti commerciali);
• Giappone: non esiste un vincolo normativo ma la tradizione, molto importante in Giappone, impone il passaggio attraverso gli importatori.
Per contro nella Comunità Europea queste intermediazioni sono sempre meno
utilizzate e si fa ricorso ad un contatto diretto con gli operatori commerciali della
distribuzione finale.
Si sottolinea che per le imprese italiane è importante migliorare sul fronte della
distribuzione del prodotto, creando accordi diretti con la GDO; a tal fine l’ICE
sta attivandosi per valorizzare e promuovere accordi con la GDO Europea, anche
organizzando incontri B2B tra imprese e operatori della grande distribuzione, per
consentire ad imprese di ogni dimensione di internazionalizzarsi.
Dall’esperienza degli operatori dell’ICE, i principali canali cui le imprese italiane si rivolgono cambiano sui diversi mercati; ad esempio:
• UE ripartito equamente fra GDO, distribuzione specializzata e Horeca;
• USA CANADA: 50% GDO 50% Horeca/distribuzione specializzata;
• ASIA CINA e GIAPPONE prevalenza Horeca (>70%).
I paesi nei quali è cresciuta maggiormente la penetrazione, negli ultimi due anni,
(premesso che l’1% di crescita in un paese dell’UE o del Nord America in volumi
vale molto di più del +200% della Thailandia), sono:
• Usa e Canada, con segnali decisamente positivi in particolare aumento nel
settore vinicolo);
• Giappone con un aumento incoraggiante;
• Corea del Sud: mercato interessante che esce da due anni di blocco in relazione
alla crisi economica;
• Asia: vi sono alcuni paesi da tenere in osservazione (per es. Thailandia, MaleAnalisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
sia Vietnam e Taiwan) mentre in Cina, dopo una serie di aumenti, si è registrata una stasi e oggi si avvertono segnali di recupero.
I fattori che hanno consentito di incrementare l’export in questi paesi consistono
essenzialmente nel riconoscimento dell’eccellenza del prodotto italiano con una
attenzione sempre maggiore da parte dei consumatori alla ricerca del prodotto
originale. Si è riscontrato che, parallelamente all’evoluzione dei Paesi nella ricerca
della qualità, crescono le richieste di prodotti italiani - vedi sviluppo Cina, Russia,
Brasile e Asia in generale. Per contro in Europa possiamo parlare di tenuta della
posizione.
Per quanto riguarda la possibilità di conquistare spazi sui mercati esteri per le
cooperative agroalimentari, si registrano:
• Effetti positivi: nel caso di grandi strutture lanciate e riconosciute - vedi ortofrutta, vino e vivaismo vitivinicolo;
• Effetti negativi: spesso le piccole realtà cooperative hanno una scarsa capacità
di commercializzare il prodotto e sono poco attente alle richieste del mercato.
E’ necessario invece che le cooperative acquisiscano mentalità rivolta ai mercati e non pretendano di imporre al mercato il proprio prodotto, al contrario
devono imparare ad adeguare la propria attività produttiva alle richieste del
mercato.
Infine i principali fenomeni che Ice segnala per l’immediato futuro, riguardo i
rapporti con l’estero, si riferiscono al fermento dei mercati in crescita.
Per evitare di entrare in competizione con nuovi produttori locali, che hanno
prezzi più bassi dei nostri, è opportuno collocarsi nella fascia alta come qualità e
valore dei prodotti esportati.
Le previsioni a medio termine circa la propensione ad importare prodotti agroalimentari, italiani e non, evidenziano che il nostro export aumenta in valore, nonostante siano calate le quantità. Ciò accade ad es. per il vino e in taluni casi anche
per l’ ortofrutta e settore caseario.
EOS - Export Organisation Sudtirol della Camera di Commercio di
Bolzano
Passiamo ora all’analisi di un’Agenzia Regionale di sviluppo all’export.
La fondazione nel 2007 dell’Organizzazione Export Alto Adige (in breve EOS) è
stata un passo importante per la crescita del volume delle esportazione dei prodotti altoatesini. E’ stata costituita infatti un’unica organizzazione che concentra
le forze per il sostegno dell’export in Alto Adige, svolgendo compiti precedentemente di competenza di diversi enti e promuovendo le iniziative di export
delle imprese altoatesine.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
L’obiettivo dell´Eos è di assistere le imprese altoatesine nell’apertura e nel consolidamento di mercati internazionali e nell’aumento dell’attività di export,
oltre a rafforzare la notorietà dei prodotti di qualità altoatesini in Alto Adige e
all’estero.
Per raggiungere questo scopo, EOS individua nuovi trend e opportunità e, grazie anche alla disponibilità della cooperazione e delle imprese altoatesine, crea
nuove sinergie per rendere competitiva l’attività di export dell’Alto Adige. Aver
istituito una rete efficace nell’ambito dell’economia, della politica e dei media, in
Italia e all’estero, è la chiave per accedere a nuovi mercati con successo.
EOS si rivolge alle imprese altoatesine e ai loro clienti, per i quali cerca di essere
un punto di riferimento, fungendo da piattaforma che offre un’assistenza completa.
La società è controllata al 100% dalla Camera di Commercio di Bolzano ed è governata da un CdA. Il management opera su direttive previsionali annuali, con
forte attenzione alle dinamiche dei mercati e sulle misure di indirizzo indicate dal
CdA in merito alle attività.
EOS ha ottenuto uno specifico incarico dalla Provincia autonoma di Bolzano, in
base alla Legge Provinciale 4/97 “interventi per il sostegno dell’economia”, con
l’obiettivo di incrementare la notorietà dei prodotti tipici altoatesini e di incrementare le vendite attraverso la Gdo e Horeca, il tutto attraverso un messaggio
comune chiaro, semplice ed integrato.
L’organizzazione consta di due settori: International trade support e Marketing
support.
Il primo settore, International trade support, offre vari servizi per sostenere l’internazionalizzazione dell’impresa con le seguenti attività:
• Missioni all’estero
• Incontri B2B
• Fiere
• Export Coach
• Studi analisi di mercato
Attraverso un network costruito negli anni nei diversi paesi del mondo, le imprese possono contare su riferimenti e consulenti in modo da confezionare progetti
su modello “Taylormade”.
Tali supporti possono essere rivolti sia alle singole aziende ma anche con misure
collettive - tipo missioni all’estero o fiere - purché si superi il numero minimo di
3 aziende per essere finanziate, come indicato dalla UE e nel rispetto della legge
del De minimis.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Per aver successo nell’intraprendere ed estendere attività di export, secondo l´EOS
è necessario compiere in maniera sistematica alcuni passi veramente decisivi per
l’entrata in un nuovo mercato estero. Si elencano quindi una serie di consigli utili
da seguire, forniti da EOS, per redigere agevolmente la pianificazione, gli obiettivi e i provvedimenti necessari per procedere:
a) fissare un punto di partenza: punti forti + punti deboli dell’azienda in confronto
alla concorrenza - consulenza per l’export;
b) fissare gli obiettivi: prodotti, mercati, timing, volumi - giornate di consulenza;
c) scegliere paesi e mercati: analisi, potenziale di crescita, segmentazione del mercato - ricerca desk e analisi del mercato;
d) creare le condizioni nell’impresa: adattamento del prodotto, management, organizzazione, finanze - seminari;
e) canali di distribuzione: scelta, realizzazione, ottimizzazione - viaggi d’affari;
f) stipulare il contratto: requisiti per contratti d’acquisto, contratti di vendita e contratti di licenza - contratti internazionali;
g) attività di marketing: dinamiche dei prezzi che si riferiscono all’estero, condizioni di consegna e di pagamento adatte al mercato, strumenti di promozione
- promozione;
h) pianificazione delle vendite e del successo: budget per il primo e secondo anno
di export - coach per l’export.
Il secondo settore è quello del Marketing support che offre sostegno alle produzioni tipiche, tenendo conto che l’Alto Adige è stata la prima regione della UE
ad avere un marchio di qualità del territorio - 1976 - e che da diversi anni vanta i
seguenti importanti marchi di origine Europea:
• Mela Alto Adige Igp
• Speck Alto Adige Igp
• Vini Alto Adige Doc
• Formaggio Stelvio Dop.
Il settore del Marketing support porta avanti iniziative legate alla promozione
con eventi dedicati. Gestisce la comunicazione via internet, strumento sempre più
diffuso ed apprezzato. Vengono svolte attività di marketing in Italia e all’estero,
su mercati tradizionali e nuovi, con azioni mirate sia per incentivare le vendite,
che per rafforzare l’immagine dei prodotti altoatesini e aumentarne la notorietà.
Le iniziative come degustazioni al punto vendita, manifestazioni, attività PR e
attività online sono realizzate per più gruppi di prodotti. Per ogni gruppo di interesse esiste inoltre un programma d’azione specifico.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il settore organizza inoltre la partecipazione ad alcune fiere specializzate comeCibus a Parma e Anuga a Colonia.
Le attività nel 2014 sono sostenute anche dall’ICE e, relativamente al settore
agroalimentare, si sviluppano progetti in Usa, paesi Scandinavi e Germania.
EOS conduce specifiche attività promozionali congiunte al territorio grazie alla
collaborazione con ALTO ADIGE MARKETING, che si occupa di marketing territoriale, in modo da collegare i prodotti tipici al territorio Alto Adige.
Gli interlocutori ai quali si rivolgono sono:
• i consorzi, in particolare quelli del vino, speck e mela, con i quali concordano
le azioni e i budget dei prodotti principali;
• le singole imprese ed in particolare quelle riferite al target specifico;
• responsabili acquisti della GDO - in particolare settore latte e latticini, speck e
mele - vedi campagna pubblicitaria “Una Spesa che cambia la vita”;
• negozi specializzati - vedi vino.
I dati dell’export altoatesino si confermano rispetto al trend del Sistema paese - in
forte crescita nel 2010 e 2011, con un leggero rallentamento nella crescita nel 2012
ma in recupero nel 2013.
Si riporta una tabella con le esportazioni per i principali gruppi merceologici,
evidenziando i dati del settore agroalimentare:
ALTO ADIGE: ESPORTAZIONI PER GRUPPO MERCEOLOGICO
2010
2011
2012
2013
Prodotti dell’agricoltura e silvicoltura e della pesca
483.065
571.048
598.142
614.456
Prodotti alimentari, bevande e tabacco
614.765
651.277
679.607
698.364
Altri Prodotti
2.224.067
2.442.007
2.406.422
2.547.762
TOTALE EXPORT
3.321.896
3.664.333
3.684.170
3.860.582
10,3%
0,5%
4,8%
(DATI /000 EURO)
Variazione % rispetto all’anno precedente
Fonte dei dati: Coeweb ISTAT elaborati Istituto di ricerca economica Bz
Le peculiarità dei prodotti esportati e delle relative produzioni si possono così
riassumere:
• mele - quantità prodotta in media 950.000 tonnellate all´anno (10-12% del raccolto europeo e 50% del raccolto italiano) su 18.400 ettari attraverso più di
7.000 frutticoltori nelle 2 cooperative produttive VOG e VIP, l´associazione dei
commercianti privati Fruttunion e l´associazione Astefrutta FOS raggruppate
nel Consorzio Mela Alto Adige. Il 50% della produzione é destinata all´export,
in particolare Germania, paesi Scandinavi, Gran Bretagna, area mediterraneo
ed Europa centrale e Russia- in totale 25 nazioni;
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• latte e latticini - produzione di circa 370 milioni di litri di latte l’anno, di cui 22
milioni venduti come latte fresco e 90 tipi di formaggi di cui lo Stelvio/ Stilfser
riconosciuto come Dop attraverso oltre 5.000 contadini allevatori, con in media 14 mucche a testa, e il prodotto risulta raccolto da 10 cooperative lattiero
casearie;
• vino - produzione di circa 330.000 ettolitri di vino (42% rossi, 58% bianchi) su
una superficie totale di produzione di oltre 5.300 ettari su altezze tra i 200 e
i 1.000 metri di altitudine. Il 98% della superficie vitata è classificata DOC. I
vitigni autoctoni sono la Schiava, il Lagrein e il Gewürztraminer. Il 70% del
prodotto viene commercializzato dalle 13 cantine sociali mentre il restante attraverso 40 tenute private e più di 100 vignaioli. Il 35% della produzione è
rivolto all`export;
• speck - produzione di 2.4 milioni di baffe di Speck Alto Adige Igp attraverso
29 produttori.
Altre produzioni minori ma di rilievo sono il pane e prodotti da forno, l’ortofrutta, miele, grappa, carne bovina e le erbe aromatiche.
Le cooperative rappresentano una fetta molto importante dell’economia altoatesina e sono spesso caratterizzate dai seguenti elementi di pregio:
• organizzazione della produzione
• gestione delle aree produttive
• gestione dei contributi pubblici ed agevolati
mentre debbono migliorare rispetto alle produzioni su larga scala in quanto, nonostante gli sforzi, non arrivano a modelli industriali performanti - vedi effetti
leverage industriali tipo per i latticini (grandi in Italia ma piccoli per Europa) o a
lentezze decisionali nei diversi processi da affrontare.
La prima cooperativa è stata fondata nell’ottocento - la cantina di Terlano - su
modello Raiffeisen per rafforzare i piccoli nei confronti dei grandi produttori.
Il modello diffuso, con identificazione del coltivatore diretto con azienda propria che produce qualità e commercializza il prodotto tramite la cooperativa.
In tale modo anche il piccolo produttore può fronteggiare il mercato con una
visione di gruppo.
Per trasmettere questo messaggio, EOS ha prodotto dei video dimostrativi diffusi ai clienti e ha organizzato eventi per i clienti internazionali alla presenza di
un produttore agricolo e di un cuoco. Il fine é valorizzare la diversità dei prodotti
dell`Alto Adige.
In merito alle cooperative, va enfatizzata l’esigenza di proporre modelli di gestione equilibrata, con sistemi di controllo interni sul management - vedi sistema
delle Raiffeisen Bank - nonché ispirate al principio della trasparenza, non confrontabile con le normali società.
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Un’importante novità nel settore della commercializzazione internazionale delle
mele è rappresentata da una realtà commerciale fondata 5 anni fa: FROM consorzio sotto forma di associazione a tempo indeterminato, dopo un test durato 3 anni.
Costituito dalle quattro organizzazioni dei produttori cooperativi del Trentino Alto Adige (Melinda, Trentina, Val Venosta e Marlene), FROM si occupa di commercializzazione extra Ue - per es. Russia, India - permettendo di concentrare
il prodotto e di superare i provincialismi, in modo da fornire il prodotto con le
caratteristiche adatte allo specifico mercato. Va evidenziato che la grande collaborazione su questo obiettivo permette di fare fronte a concorrenti molto attivi sul
piano europeo.
Le iniziative promozionali dell´EOS si basano su mezzi di comunicazione sempre più evoluti, in quanto essendo in contatto con un’importante clientela, comprendono le esigenze del consumatore moderno, in particolare:
• stampa a internet
• internet Tv o TV con format specifici
e, con il supporto di agenzie esterne specializzate, diffondono messaggi che tendono ad essere diversi da quelli della concorrenza (USP = unique selling proposition) con i seguenti elementi
• qualità
• abito semplice
• tradizione
• legame con il Territorio
• lifestyle.
I paesi in cui sono cresciuti maggiormente negli ultimi anni sono gli Stati Uniti,
i paesi scandinavi e i paesi dell’est Europeo - in particolare la Polonia, la Repubblica Ceca e la Russia, la Svizzera e il Benelux - mentre risulta stabile la relazione
con la Germania e con l’Austria per effetto di produzioni similari e con il Regno
Unito, sempre alla ricerca del label, per la forte concorrenza dei paesi ex Commonwealth - Australia e Cile.
Le recenti iniziative di sviluppo si rivolgono a paesi quali:
• Asia e in particolare India, Singapore e Giappone
• Nord Africa con mele
• Paesi Arabi
attraverso uno sportello unico - International Trade Support - ove le aziende altoatesine che intendono esportare, espongono le loro esigenze per valutare se
sia possibile sviluppare un progetto su misura, oppure collegialmente con altre
aziende. Ad esempio per sviluppare l’attività in un paese estero ci si rivolge al
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
partner, si forniscono dati di mercato, si valuta la partecipazione alla fiera del posto, che spesso è la porta di ingresso per il Paese, oppure un viaggio conoscitivo
per incontri B2B.
In merito ai supporti istituzionali, viene fatto presente che in Germania e Austria l’attività dello sportello unico a supporto delle aziende, è caratterizzata dalla
massima trasparenza, con sedi distaccate che funzionano, procedure trasparenti,
supporti informatici ed elettronici che rendono fruibili i sistemi a tutti gli operatori e un regolamento chiaro e visibile da tutti.
Inoltre il turnover dei manager è molto ridotto, nella considerazione che dove i
manager permangono e di conseguenza operano per periodi lunghi si riescono
ad organizzare solidi progetti di sviluppo, che necessitano di almeno alcuni
anni di lavoro. Il succedersi continuo dei manager non rende profittevoli questi
progetti.
Viene inoltre sottolineato che in Italia, nonostante ci siano valide professionalità
nei Ministeri (Ministero Agricoltura e Sviluppo Economico in particolare) o nelle
diverse strutture a supporto dell’export, manca un’efficace regia che supervisioni
le diverse attività; manca inoltre una certa autonomia dei territori, nel rispetto
delle regole nazionali, in quanto non sempre la centralizzazione è vincente. Inoltre manca governabilità, gestione e rispetto dei tempi.
Per quanto riguarda i rapporti con l’ICE, purtroppo a causa della trasformazione
e della riduzione delle risorse, EOS rimarca come i progetti interregionali non
sempre risultino soddisfacenti, visto che in alcune regioni sono operative strutture meno sviluppate di quelle altoatesine. I finanziamenti ricevuti dall’ICE sono
stati particolarmente esigui e insufficienti. Per contro l`EOS è stata riconosciuta
capace di ottenere buoni risultati rispetto ai fondi ricevuti.
Risultano essere molto importanti i fondi europei - vedi OCM vino - che hanno
permesso iniziative di sviluppo negli Stati Uniti e Russia.
I fattori su cui bisogna lavorare per il futuro sono:
• innovazione - bisogna essere i migliori - confronto con l’eccellenza del vicino
Trentino che opera attraverso la fondazione MART e l’Università;
• cluster in determinate categorie - per es. erbe aromatiche - nella logica che occorre passare dal ruolo di artigiano al gruppo specializzato nell’export.
Le previsioni a medio termine di EOS consistono nella crescita dalla quota del
16% attuale di export al 25%, sviluppando una cabina di regia locale fra le eccellenze altoatesine, ed in particolare valorizzando la galassia dei piccoli produttori
che risultano essere elastici e dinamici attraverso l’integrazione con:
• le principali strutture agroalimentari;
• le Raiffeisen Bank;
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• gli Enti pubblici con bilanci equilibrati;
• le strutture del turismo;
• gli operatori dell’industria, in particolare delle costruzioni ed energetiche.
Le strutture territoriali delle Camere di Commercio
Passiamo ora ad analizzare le strutture territoriali delle Camere di Commercio,
attraverso le interviste effettuate con Unioncamere Emilia Romagna e CCIAA di
Ferrara.
Unioncamere sviluppa la propria attività secondo le seguenti 5 direttrici:
1. attività di rappresentanza istituzionale delle Camere di commercio;
2. informazioni, studi, ricerche e monitoraggio statistico ed economico per tutto il sistema regionale;
3. iniziative per le imprese;
4. servizi regionali a supporto delle Camere di commercio;
5. servizi di accesso al credito attraverso i Consorzi di garanzia fidi (Fidindustria, Cofiter, Cooperfidi).
Per coordinare le politiche per l’internazionalizzazione, è stata istituita una apposita Cabina di regia alla quale partecipano, oltre Unioncamere, l’Assessorato
alle attività produttive e l’assessorato Agricoltura della Regione Emilia Romagna.
Recentemente si sta sviluppando un progetto regionale che prevede il collegamento fra il settore agroalimentare e il turismo e che vede protagonisti Unioncamere e APT-Azienda di promozione turistica. Tale attività non è comune a tutte
le regioni italiane, alcune delle quali hanno istituito società promozionali per l’estero (vedi Toscana, Piemonte e Veneto).
La Direzione Generale Agricoltura della Regione Emilia-Romagna reputa la
qualità dei prodotti agroalimentari come un obiettivo imprescindibile, dove la
qualità è intesa come un insieme di caratteristiche legate al prodotto, al sistema
produttivo e al forte legame con il territorio, che rendono tali produzioni uniche
al mondo. In effetti, le diverse tipologie di produzione della Regione hanno
in comune un consolidato sistema di controllo delle tecniche produttive e dei
parametri di qualità e possono, quindi, essere riconosciute dal consumatore attraverso specifici marchi ed etichettature consentendo così una scelta di acquisto
più consapevole.
Le produzioni a qualità certificata riconducibili al territorio della Regione Emilia-Romagna, attraverso specifiche Leggi di riferimento, sono rappresentate dai
prodotti:
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• D.O.P. denominazione d’origine protetta, I.G.P. indicazione geografica protetta (LEGGE REGIONALE 21 marzo 1995, n. 16 “Promozione economica dei
prodotti agricoli ed alimentari regionali”);
• produzioni ottenute da agricoltura biologica (LEGGE REGIONALE 2 agosto
1997, n. 28 “Norme per il settore agroalimentare biologico” Abrogazione della
L.R. 26 ottobre 1993, n. 36);
• produzioni ottenute da agricoltura integrata a marchio QC Qualità controllata
(LEGGE REGIONALE 28 ottobre 1999, n.28 “Valorizzazione dei prodotti agricoli ed alimentari ottenuti con tecniche rispettose dell’ambiente e della salute
dei consumatori” Abrogazione delle L.R. n. 29/92 e n.51/95);
• produzioni vitivinicole D.O.P. (ex Docg e Doc) e I.G.P. (ex IGT) (LEGGE REGIONALE 27 dicembre 1993 n.46 “Contributi per la promozione dei prodotti
enologici regionali”).
Le attività sono altresì sviluppate dai Consorzi di Tutela - vedi Parmigiano e Prosciutto di Parma - nonché l’Enoteca che ha fatto da apripista con azioni promozionali e di valorizzazione estero.
Inoltre per il settore agroalimentare va evidenziato il recente progetto “Deliziando”, un marchio creato dalla Regione Emilia-Romagna, in partnership con
Unioncamere Emilia-Romagna e con l’Istituto per il Commercio Estero e in collaborazione con le Camere di Commercio provinciali, i consorzi di tutela e valorizzazione e l’Enoteca Regionale per i prodotti aventi determinati requisiti.
Relativamente al paniere di Deliziando, la promozione riguarderà i seguenti
comparti:
• 36 prodotti Dop e Igp;
• prodotti a Qualità Controllata e prodotti bio da agricoltura biologica;
• vini Dop (ex Docg e Doc) ed Igp (ex Igt), prioritariamente da vitigni autoctoni;
• prodotti selezionati dall’elenco dei prodotti agro-alimentari tradizionali dell’Emilia-Romagna, al fine di completare l’offerta enogastronomica regionale;
• ulteriori prodotti quali caffè e cioccolato.
Gli strumenti operativi per promuovere questo marchio consistono in un programma di attività promozionali quali fiere, workshop, incontri B2B, in Italia e
all’estero, attività che valorizzino le eccellenze enogastronomiche emiliano-romagnole, nei seguenti mercati di riferimento:
• Area Europa: Austria, Francia, Germania, Regno Unito, Danimarca e Russia;
• America Latina: Brasile, Messico e Colombia;
• Nord America: USA, Canada;
• Asia-Pacifico: Thailandia, Hong Kong, Corea del Sud e Vietnam.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Vengono altresì organizzate missioni di operatori e giornalisti in Italia per incontri B2B con imprese emiliano-romagnole e visite alle realtà produttive più
rappresentative e all’estero per attività promo-commerciali, anche nell’ambito di
progetti nazionali nonché campagne promozionali con le reti distributive estere
ed il canale Horeca, campagne supportate da giornate gastronomiche e degustazioni guidate.
Quanto agli strumenti non operativi, sono state svolte attività formative in collaborazione con Scuole Alberghiere e di Ristorazione, oltre ad attività di comunicazione e pubblicità finalizzate sia alla promozione delle produzioni delle singole
aziende regionali, che alla valorizzazione delle eccellenze.
Nel 2012, per la prima volta sono state realizzate attività in collaborazione con
due Catene alberghiere (una londinese ed una svedese) e si sono avviati contatti con alcuni nuovi mercati di potenziale interesse, in maniera particolare per il
comparto vitivinicolo (Canada, Cina, Korea del Sud, Francia e Germania).
Tra le altre iniziative volte a favorire l’export, importanti sono anche gli incontri
con catene della GDO europea. Talvolta per garantire le quantità richieste, è necessario creare delle alleanze con sistemi associativi aggregativi (per es. associazioni temporanee di imprese) o fare ricorso a innovativi sistemi organizzativi (per
es. temporary manager) in modo da dare professionali risposte agli operatori di
reti distributive o reti di logistica estere.
Anche lo sviluppo di progetti di rete di imprese per la promozione, in alcuni casi
ha prodotto effetti positivi, nonostante le difficoltà iniziali.
Abbiamo chiesto a Unioncamere, quali suggerimenti può fornire ad un operatore
che voglia affrontare i mercati esteri. Premesso che le iniziative debbono avere
una prospettiva di rapidità e di azione, Unioncamere ritiene necessario:
• possedere un’adeguata preparazione;
• avere una strategia basata sulla differenziazione per canali;
• individuare i giusti interlocutori imprenditoriali;
• al fine di sviluppare efficaci azioni, fare progetti a medio termine, ovvero dai
3 ai 5 anni.
Per quanto riguarda la partecipazione a Fiere e Missioni, posto che è sempre necessaria la presenza del titolare o del responsabile con deleghe al fine di concludere le trattative. Si sintetizzano nella tabella che segue i suggerimenti di Unioncamere:
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
UNIONCAMERE SUGGERISCE:
• vanno individuate iniziative prima e dopo lo svolgimento della manifestazione in modo
da rendere efficace la presenza
FIERE
• vanno sviluppati specifici desk sia in Italia che c/o la fiera
• azioni collaterali - tipo ER Day con degustazione prodotti e vini
MISSIONI
• vanno organizzate specifiche visite a supermercati organizzati, Enoteche e negozi specializzati
Nell’ambito di questi incontri, l’uso della lingua si rivela il primo problema. Di
norma è importante avere un proprio referente del territorio e in proposito si può
fare riferimento al desk dell’ICE o di Assocamere che sono in grado di dare un
buon supporto e fare la differenza. L’obiettivo è trovare un partner affidabile, da
monitorare per proseguire il rapporto.
Inoltre Unioncamere può fornire supporti operativi per conoscere meglio il paese
o attivare le proprie referenze di collaborazione, compreso supporti di chef, sommelier o scuole alberghiere.
Sul fronte finanziario e assicurativo esiste un accordo quadro con Sace e Simest
che vanta 300/350 mila euro di fondi per il supporto delle attività attraverso i
principali Istituti di credito disponibili per mercati consolidati e soprattutto per
le grandi imprese. Per le piccole imprese esiste un agreement che coinvolge le
banche italiane ed estere con l’obiettivo di semplificare il sistema.
Successivamente si è svolto un incontro con lo Sportello estero - International
Marketing Department - Worldpass - della Camera Commercio di Ferrara.
Nell’ambito delle attività che la CCIAA di Ferrara svolge a sostegno delle imprese
ferraresi, hanno un particolare rilievo i servizi per l’internazionalizzazione, rivolti
sia alle aziende che esportano sia a quelle che vogliono iniziare un’attività di export,
Worldpass è la rete degli Sportelli per l’internazionalizzazione, che offre servizi
di primo orientamento, informazione e assistenza sui temi legati al commercio
estero e mette a disposizione le informazioni delle altre istituzioni che supportano l’export italiano.
Come illustrato sul sito, lo sportello Worldpass o la piattaforma web www.
worldpass.camcom.it permettono di ottenere:
• accesso a informazioni su Paesi e mercati, settori economici, normative internazionali e trend di mercato;
• informazioni sulle formalità per aprire un’impresa di import-export e sui
passi da compiere per intraprendere un’operazione commerciale internazionale, sui principi di marketing internazionale indispensabili per la costruzione di un’adeguata strategia, e conoscere il livello di esportabilità dei prodotti;
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• assistenza specializzata su certificazione, procedure doganali, fiscali e assicurative; normative internazionali; costituzione di società all’estero, contrattualistica internazionale; finanziamenti internazionali e comunitari, informazioni sulle opportunità offerte da Simest e Sace;
• conoscere le normative e le disposizioni sui documenti necessari per esportare, le convenzioni internazionali, i certificati, i visti e tutti gli atti necessari
per intraprendere rapporti commerciali con l’estero;
• consultare l’elenco delle iniziative promozionali quali missioni, partecipazione a fiere e iniziative speciali intraprese dentro e fuori dal Sistema camerale;
• accedere - in particolare attraverso il sito worldpass.camcom.it - a un servizio gratuito di consulenza, per ottenere risposte personalizzate sui quesiti di
maggiore complessità sorti nel corso delle operazioni con l’estero. In questo
caso, un team di esperti fornirà entro 3 giorni una risposta dedicata.
Per lo specifico settore agroalimentare, la Camera di Commercio di Ferrara,
nell’ambito delle iniziative per l’internazionalizzazione, sostiene la partecipazione delle imprese ferraresi al progetto Regionale “Deliziando” che promuove le
eccellenze enogastronomiche emiliano romagnole - di cui si è già sopra riferito.
Per il 2014, la Camera di Commercio di Ferrara, anche in relazione al progetto
Deliziando, ha previsto l’organizzazione di Missioni all’estero, Manifestazioni
Fieristiche e Incoming come di seguito riportata:
MISSIONI ALL’ESTERO CHE POSSONO INTERESSARE
L’AGROALIMENTARE O SETTORI ATTINENTI
PAESE
PERIODO
SETTORE
ATTIVITÀ
Russia
Aprile
Meccanica Agricola
Macchinari e attrezzature per il food processing
Workshop con esperti russi ed italiani sullo
stato dell’arte delle tecnologie e tecniche
di coltivazione in ambito ortofrutticolo e
vitivinicolo, visite ad aziende agricole e
centri raccolta ortofrutta e incontri B2B con
imprese russe
Cile e Perù
Giugno
Multisettoriale
Organizzazione in loco di incontri d’affari
con controparti locali
India
Autunno
Tecnologie e macchinari
per il food processing
Organizzazione di un retails tour, visite
aziendali e incontri B2B in almeno due città
indiane
Messico e
Colombia
Novembre
Multisettoriale
Organizzazione in loco di incontri d’affari
con controparti locali.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Manifestazioni fieristiche
• SIAL CANADA - Montreal 2-4 aprile
• VINITALY - Verona 6-9 aprile
• CIBUS - Parma 5-8 maggio
• THAIFEX - Bangkok Thailandia 21-25 maggio
• LONDON WINE FAIR - Londra 2-4 giugno
• SIAL BRAZIL - San Paolo 24-27 giugno
• I.F.E.A. - Johannesburg Sud Africa - 5-7 novembre
La Camera ha organizzato degli incoming di buyer e ha organizzato incontri B2B
all’interno delle principali fiere di settore (Vinitaly - Verona, MACFRUT - Cesena,
CIBUSTEC -Parma, EIMA - Bologna). Ha inoltre organizzato incontri B2B telematici tra buyer canadesi e imprese regionali con supporto ad una decina di cantine,
per favorirne l’accesso al mercato canadese e attività promozionali all’interno di
13 punti vendita della catena Big C in Thailandia e di City Mart in Birmania.
Proseguendo l’analisi delle iniziative della Camera, si segnalano:
• servizi di informazione e assistenza: consulenze specialistiche, informazioni
commerciali su imprese all’estero, newsletter, ricerche di mercato e ricerche di
partner, assistenza su gare di appalto internazionale, desk all’estero. In merito agli
esperti la Camera mette a disposizione un gruppo di esperti selezionati in base ad
una graduatoria per varie materie, con la disponibilità di una prima consulenza
gratuita entro 3 giorni dalla richiesta e, nel caso di ulteriori approfondimenti, una
prestazione a pagamento con tariffa fissata di € 70 all’ora oltre IVA;
• check up per valutare la propensione all’internazionalizzazione;
• disponibilità di Temporary export manager in comarketing con le associazioni
di categoria.
Per quanto riguarda le analisi che le imprese chiedono alla Camera, gli operatori hanno a disposizione le informazioni sui vari paesi presenti sul sito della
CCIAA, sul portale Worldpass o sul portale Promos, ovvero fanno riferimento
al sito dell’ICE, benché non sempre aggiornato.
Nel caso non siano disponibili da queste fonti, si rivolgono direttamente agli
sportelli delle Camere di Commercio all’estero o dell’ICE, se presenti, o alle Ambasciate italiane; utile anche il ricorso alle informazioni presenti sul sito dell’Agenzia americana CIA, in primis per informazioni riguardo i paesi a rischio.
Sul fronte del supporto finanziario e assicurativo, è possibile fare ricorso ai consulenti selezionati dalla Camera, in primis per la verifica dell’affidabilità degli
operatori e del loro comportamento commerciale.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Per offrire alle imprese strumenti di gestione e recupero dei crediti commerciali,
relative all’attività di esportazione, la CCIAA di Ferrara ha recentemente stipulato una convenzione con Atradius Collections, una delle società leader nel mondo,
con 80 anni di esperienza nel campo della gestione del credito. Tale società, con
sede centrale in Olanda e uffici in 20 paesi, garantisce una copertura mondiale
del servizio con i suoi 250 gestori e i suoi contatti con professionisti ed avvocati.
La società gestisce il servizio di recupero crediti con un intervento diretto nel Paese del debitore: l’azione di recupero viene quindi svolta nella stessa lingua del
debitore e secondo le procedure legali e di riscossione proprie di ciascun Paese.
Tale convenzione offre alle imprese ferraresi le migliori condizioni contrattuali
per l’attività di recupero (stragiudiziale), nazionale ed internazionale, dei crediti
commerciali certi ed esigibili.
Per offrire un aiuto alle imprese estere interessate a iniziative in Italia, la Camera si avvale della collaborazione di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione
degli investimenti e lo sviluppo dell’impresa, che agisce su mandato del Governo
Italiano per accrescere la competitività del Paese e per sostenere i settori strategici
per lo sviluppo. I suoi obiettivi prioritari sono favorire l’attrazione d’investimenti
esteri, sostenere l’innovazione e la crescita del sistema produttivo e valorizzare la
potenzialità dei territori.
Il Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara
Al termine della serie delle nostre visite in Italia, abbiamo incontrato il CSO Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara.
CSO è una società cooperativa che opera dal 1998 in Italia e conta ad oggi più di
65 soci che esprimono un fatturato complessivo aggregato di oltre il 14% dell’ortofrutta italiana. Nel 2012 Cso ha inglobato le attività di Mfc, Mediterranean Fruit
Company, società creata per dare un respiro più internazionale alle aziende locali. L’integrazione tra Mfc e Cso ha permesso di potenziare l’attività esistente e di
far sì che le aziende locali si presentino all’estero con più peso specifico e con un
abbattimento dei costi.
La base sociale è costituita da imprese di produzione e da aziende operanti
nell’ambito dell’intera filiera ortofrutticola dal packaging, alle macchine per la
lavorazione dei prodotti, alle tecnologie, alla logistica. CSO si posiziona di fatto
come struttura di riferimento dell’intero sistema dell’ortofrutta italiana, leader in
Europa sia per entità di produzioni che per livello di tecnologie.
L’attività del CSO si articola in quattro fasi:
• Statistica e Osservatorio dei mercati - ha il compito di elaborare le informazioni e monitorare il mercato e le produzioni, per fornire agli operatori gli
elementi di conoscenza utili per la messa a punto di strategie commerciali sui
mercati nazionali ed esteri. L’obiettivo principale è fornire tempestivamente
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
ed in modo articolato una fotografia del mondo ortofrutticolo, dall’analisi produttiva del settore, agli aspetti inerenti la commercializzazione, fino ad arrivare alle problematiche relative al consumo;
• Marketing e Comunicazione - realizza attività di comunicazione e promozione in Italia e all’estero a sostegno dei consumi di ortofrutta. Il CSO vanta un’esperienza pluriennale sulla valorizzazione dei prodotti ortofrutticoli di qualità
come le Pere dell’Emilia Romagna Igp e le Pesche e Nettarine di Romagna Igp.
L’attività di CSO nella sezione Marketing comprende anche l’organizzazione
della partecipazione dei propri associati a Fiere nazionali e internazionali e la
progettazione e gestione di grandi eventi di comunicazione. Nell’ambito della
Comunicazione cura inoltre l’attività di ufficio stampa e public relation sia in
Italia che all’estero;
• Internazionalizzazione e Filiera - l’obiettivo è quello di rafforzare l’immagine
del “Sistema Italia” e favorire nuove opportunità di business nei nuovi mercati. CSO rappresenta oggi un sistema di imprese leader nel settore, attente e
sensibili ai mercati di tutto il mondo. Il CSO può essere identificato come un
punto di riferimento per venire in contatto con il sistema delle imprese italiane
leader del settore, dalla produzione ai servizi, passando per tecnologia, logistica e packaging. L’attività consiste nell’organizzare le missioni e gli eventi
all’estero, accompagnando le imprese nei primi approcci dei nuovi mercati;
• Progettazione e Legislazione - ha il compito di gestire e fornire conoscenze,
intrattenendo relazioni esterne, al fine di monitorare l’evoluzione normativa
europea per l’internazionalizzazione. Il focus dell’osservatorio è costituito dai
provvedimenti, nazionali, europei ed internazionali, connessi all’igiene, alla
sicurezza alimentare, alle norme di commercializzazione, alla qualità dei prodotti ortofrutticoli, nonché tutte le disposizioni nazionali ed europee in materia di prodotti fitosanitari (autorizzazioni e revoche) e di fissazione dei livelli
di residui massimi ammessi (RMA). A livello europeo, CSO è attivo per far sì
che venga definito ed applicato il regolamento europeo relativo all’armonizzazione degli RMA, mentre a livello internazionale è fortemente impegnato
per far rimuovere le barriere fitosanitarie (SPS) che impediscono l’export dei
prodotti italiani su alcuni mercati di Paesi Terzi.
Il CSO attua un notevole numero di progetti per la promozione del consumo
della frutta e della verdura, in Europa e nei paesi extra europei con attività di
Marketing e comunicazione molto innovative, svolte anche grazie al sostegno di
fondi dell’Unione Europea o Italiani, come illustrato di seguito.
Importante è la campagna di comunicazione promossa da CSO per favorire il consumo di ortofrutta fresca e di stagione e la conoscenza dei prodotti ortofrutticoli
italiani di qualità. La campagna “Ortofrutta d’Italia” vede la partecipazione delle
più importanti imprese del settore e prevede una serie di iniziative pubblicitarie
sia sulla carta stampata nazionale che sulla televisione oltre che sui social network.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
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Va sottolineato che, per la prima volta, le organizzazioni dei produttori si uniscono
sotto lo stesso slogan per comunicare i valori dell’ortofrutta organizzata italiana.
Di particolare rilevanza, il nuovo modello di partecipazione alle principali fiere
del settore ortofrutticolo, FRUIT LOGISTICA 2014 a Berlino e ad ASIA FRUIT
LOGISTICA 2013 di Hong Kong, fiera leader del settore e punto di riferimento
per l’accesso ai mercati asiatici. A Berlino il CSO, in collaborazione con Fruitimprese e con il supporto dell’ICE Agenzia hanno organizzato un unico stand collettivo, con il formato “Italy the beauty of Quality” al quale hanno partecipato
diverse imprese del settore ortofrutticolo provenienti da varie regioni d’Italia.
All’interno dello spazio espositivo, di oltre 900 mq, sono previste degustazioni di piatti realizzati da famosi chef italiani, oltre che eventi e presentazioni. In
particolare nello spazio “Fruits and Veg Experience” vengono proposte modalità
innovative e accattivanti per incentivare il consumo della frutta e della verdura.
Sul mercato italiano, è stato condotto un progetto di marketing e valorizzazione
della tipicità per le Pere dell’Emilia Romagna Igp. Sono state portate avanti azioni
di promozione e comunicazione con l’obiettivo di aumentare la visibilità e notorietà
di marchi aziendali per valorizzare le pere, come il caso Solarelli o Valfrutta fresco.
CSO è inoltre promotrice di un importante progetto di promozione dell’Unione
Europea, attivo già da sette anni, il progetto FRUITNESS, che si rivolge a bambini e adolescenti in Germania, Danimarca, Polonia, Regno Unito e Svezia per
incentivare il consumo della frutta con modalità innovative e ludiche. Viene data
informazione sulla qualità nutrizionale e sugli effetti del consumo della frutta
in paesi che hanno un consumo pro capite inferiore alla quantità consigliata
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mr.FRUITNESS è il supereroe dai
poteri speciali che gli derivano dalle sostanze nutritive contenute nella frutta. Da
sottolineare l’utilizzo di nuovi strumenti come i social network per promuovere
i consumi di ortofrutta adattandosi al linguaggio dei più giovani, permettendo
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
di raggiungere 40 milioni di contatti nel primo triennio e 70 milioni di contatti
nell’ultimo triennio.
Il progetto, promosso dal CSO, è cofinanziato dall’Unione Europea e dal Ministero delle
Politiche Agricole e Agea, per un ammontare complessivo in tre anni di 5,3 milioni di euro.
Per quanto riguarda i progetti extra Europa, progetto di rilievo è quello dei Sapori di Europa (European Flavors), progetto che mira a promuovere - negli Stati
Uniti, Russia, Giappone e Canada - i sapori e le caratteristiche di frutta e verdura
prodotte sulla base delle migliori tradizioni europee, che, come suggerito anche
dalla dieta mediterranea, sono tra i componenti di base di una dieta ricca e sana.
È supportato da un finanziamento di 5 milioni di euro in tre anni e prevede un
sostegno del 50% da parte della Unione Europea, 20% del Ministero Italiano e la
restante parte dalle imprese.
Il progetto - che sarà prossimamente riproposto - è stato concepito con azioni
apripista che permettono di introdurre le singole imprese parlando in generale di
frutta europea (non si può trattare solo la frutta italiana) e permette azioni aggregate tra imprese che sul mercato sono concorrenti.
Ad esempio sono stati previsti incontri con importatori e giornalisti del settore (incontri B2B) a New York nell’ambito delle iniziative della valorizzazione delle pere.
A proposito di Stati Uniti, si evidenzia l’accordo fra l’assessorato dell’Agricoltura
della Regione Emilia Romagna e lo stato del Delaware con l’aspettativa di importanti sviluppi nelle relazioni con il mercato statunitense. Avrà una durata in via
sperimentale di un anno ed è il frutto di un riuscito gioco di squadra che ha visto
coinvolti, oltre al Cso e Assomela, il Ministero delle politiche agricole, la Regione
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento e Bolzano.
Determinante è stato il ruolo svolto dal Servizio fitosanitario della Regione Emilia-Romagna che ha consentito di superare le restrizioni dovute alla rigida normativa fitosanitaria statunitense, offrendo tutte le garanzie richieste nelle diverse fasi produttive.
Un ruolo questo già giocato con successo a favore di un altro prodotto di cui l’EmiliaRomagna è leader - il kiwi - per permetterne l’esportazione nella Corea del sud.
Il Servizio fitosanitario regionale, in stretta collaborazione con il Cso e gli ispettori
statunitensi, hanno effettuato anche continui controlli sulla pera Abate presso i
magazzini che hanno partecipato al programma.
Per concludere, va sottolineato anche l’importante ruolo svolto dal CSO nel presidio della normativa del settore e in particolare nell’abbattimento delle barriere
fitosanitarie dei paesi esteri.
Come accennato sopra, il CSO ha recentemente svolto con successo un intervento
in Corea del Sud, nei confronti di un movimento cooperativo coreano che ha pratiche commerciali fortemente protezionistiche.
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La filiera distributiva coreana è fortemente concentrata e l’Italia ha impiegato
anni per ottenere l’accesso dei soli kiwi con un lavoro congiunto al Ministero delle politiche agricole e della nostra Ambasciata a Seul.
Il CSO ha contribuito a facilitare questa vicenda fornendo un supporto molto utile al Ministero, dal quale è stato incaricato di raccogliere e strutturare i dati sugli
stabilimenti in Italia e di assistere gli agronomi coreani in missione in Italia.
6.1.7. GLI STRUMENTI ISTITUZIONALI FINANZIARI E ASSICURATIVI
Per un’azienda che esporta, è particolarmente importante trovare le soluzioni assicurative
e finanziarie che permettano di ridurre i rischi di mancato pagamento dei crediti relativi
alle esportazioni e accedere alle risorse finanziarie necessarie in maniera adeguata.
Recentemente è stato creato un apposito Polo della finanza per l’Internazionalizzazione formato da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), SACE e SIMEST, che hanno
siglato in data 3 luglio 2013 la convenzione Export Banca, proprio al fine di garantire a costi competitivi la disponibilità di risorse, servizi finanziari e assicurazione
commerciale per le aziende che esportano e/o effettuano investimenti all’estero.
L’accordo ha l’obiettivo di rafforzare la competitività internazionale; l’operatività
potrà contare su un plafond di complessivi 6 mld. di euro a fronte delle cifre stanziate nel 2012 all’estero per decine di miliardi di euro in Germania a favore dell’Ipex Bank o decine di miliardi di dollari stanziati in favore dell’omologa cinese e
statunitense, solo per citare alcuni esempi significativi e certamente eloquenti.
Questo è il modello del nuovo polo per l’export, tratto da un documento della
Cassa e Depositi e Prestiti:
La convenzione ha lo scopo organizzare le operazioni di finanziamento alle imprese esportatrici italiane per il sostegno dell’export, con un supporto finanziario
della CDP e dell’ABI, con la garanzia di SACE e con un intervento di stabilizzazione del tasso di interesse predisposto da SIMEST, permettendo così di integrare
le competenze e le risorse finanziarie dei tre attori.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Come evidenziato precedentemente, molte delle attività caratteristiche del “Sistema paese”, promozione, consulenza, finanziamento, formazione, sono attribuite
a diversi attori e spesso svolte in sovrapposizione tra diversi enti. L’assicurazione all’export e dell’assunzione di partecipazione al capitale di rischio, quest’ultima peculiare all’esperienza italiana, hanno come unico attore, rispettivamente la
SACE e la SIMEST.
Nelle pagine che seguono, analizzeremo i soggetti che formano il polo della finanza.
Sace
SACE S.p.A. deriva dalla trasformazione in società per azioni - con decorrenza
dal l° gennaio 2004 del preesistente ente pubblico economico denominato Istituto
per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero (SACE). Il capitale è interamente
posseduto dalla Cassa depositi e prestiti.
Il gruppo SACE è composto dalla capogruppo che opera nell’assicurazione dei
rischi del credito all’esportazione, da SACE BT, attiva nei settori della copertura
rischio di credito, delle cauzioni e della copertura dei rischi legati all’edilizia, da
SACE Fct specializzata nel factoring e dalla società di servizi SACE SRV.
La struttura è costituita da 12 uffici in Italia e 8 uffici all’estero, impiega 700 dipendenti e dispone di un patrimonio netto di oltre Euro 6.200 mln; opera con oltre
25 mila imprese in più di 180 Paesi.
Oggetto dell’attività di SACE consiste nella copertura del rischio di mancato pagamento nelle transazioni internazionali e dei rischi natura politica per gli investimenti all’estero ed è svolta con la garanzia dello Stato; vi si aggiunge l’attività
assicurativa e di garanzia dei cosiddetti rischi di mercato, esercitata senza garanzie pubbliche.
Le due fasi principali di ampliamento dell’operatività della SACE consistono
nell’estensione della tipologia di transazioni assicurabili: oltre le originarie esportazioni di prodotti italiani, la società è stata autorizzata ad assicurare anche le
transazioni delle controllate e collegate estere di imprese italiane nella loro attività con l’estero (denominate “made by Italy”) e, con la legge finanziaria per il 2007,
anche le operazioni di imprese estere “di rilievo strategico per l’economia italiana
sotto i profili dell’internazionalizzazione, della sicurezza economica e dell’attivazione di processi produttivi e occupazionali in Italia” (il cosiddetto “made for Italy”).
L’obiettivo di quest’ultimo ampliamento è il sostegno a progetti che presentino rilevanti ricadute per l’Italia in termini occupazionali, strategici o di sicurezza economica, anche quando tali iniziative siano realizzate senza il concorso di aziende
italiane o di loro controllate estere. In generale, l’operatività è concentrata su reti
e infrastrutture energetiche, infrastrutture di trasporto o fisiche (come i corridoi
europei) e sui grandi progetti commerciali o di investimento. In questa categoria
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
di operazioni, condotte a condizioni di mercato ed individuate discrezionalmente
dagli organi amministrativi della SACE, sono recentemente rientrate transazioni
relative a materie prime energetiche e non. Le altre attività del gruppo comprendono il factoring, la consulenza e la formazione.
Da un punto di vista gestionale, SACE si finanzia con il proprio patrimonio e
non riceve contributi dallo Stato. Entro il 30 giugno di ciascun anno, però, il
CIPE delibera, su proposta del MEF e di concerto con il MiSE, il Piano previsionale degli impegni assicurativi, con cui si fissano i limiti globali degli impegni
assistiti dalla garanzia dello Stato, nonché la quota massima delle garanzie e coperture assicurative per il “made by Italy”.
Nella relazione dei saggi nominati dalla Presidenza della Repubblica nel 2013 si
è suggerito di superare i limiti che ha oggi SACE sulla disponibilità del capitale,
concentrazione e tipologia dei rischi: “si deve favorire lo sviluppo di schemi di
garanzie, in linea con il modello tedesco e francese, che hanno il vantaggio di favorire un accesso diretto alle garanzie pubbliche statali sia per le operazioni strategiche del paese, sia per il sistema di crediti all’esportazione, pur non avendo un
impatto diretto sull’indebitamento pubblico”. La relazione propone inoltre che
gli utili della SACE siano reinvestiti “ in progetti promozionali” come già fatto
per la Simest e per sviluppare strumenti informativi di supporto alle PMI.
Le sollecitazioni che la Cabina di regia nazionale ha raccolto per quanto riguarda
la SACE, in particolare rispetto alle necessità manifestate dalle imprese riguardano:
• miglioramento accessibilità e abbassamento del costo dei servizi per le PMI;
• potenziamento risorse disponibili attraverso interventi di policy sui rischi sovrani;
• sviluppo di meccanismi semplificati per agevolare la partecipazione alle grandi gare internazionali di aziende italiane;
• sviluppo sinergie con Simest (per due diligence, info, ecc.);
• potenziamento presidio su alcune geografie chiave (Asean, Africa Subsahariana, Asia Centrale).
Simest
La Simest SpA è una finanziaria controllata dalla CDP (partecipazione del 76%), con
partecipazione di minoranza di banche e imprese e dispone di un patrimonio netto
di circa Euro 246 mln. Opera negli uffici di Roma e Milano attraverso 156 dipendenti.
Nel 2013 ha erogato oltre 400 finanziamenti per un totale di oltre 5 miliardi
di euro, supportando le aziende per lo sviluppo dell’internazionalizzazione con
vari strumenti: credito all’esportazione, inserimento sui mercati esteri, partecipazione e patrimonializzazione delle aziende che investono sull’export.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Simest partecipa al capitale di aziende italiane che costituiscono società fuori dalla UE, con quote di minoranza. L’assunzione di partecipazioni si svolge senza
contributi pubblici, tramite il capitale sociale della Simest. Svolge inoltre attività
di consulenza allo sviluppo per le imprese italiane, specie le PMI, che vogliono
realizzare un progetto di investimento all’estero.
In particolare SIMEST offre il credito all’esportazione, nella duplice forma del
credito acquirente e del credito fornitore.
Grazie al supporto della SIMEST che si sostanzia in un contributo agli interessi
su finanziamenti concessi da banche italiane o straniere, le imprese esportatrici
italiane possono proporre agli acquirenti/committenti esteri, di pagare fino ad
un massimo dell’85% del prezzo della fornitura mediante una dilazione di pagamento a medio/lungo termine (comunque non inferiore a due anni) a condizioni
e tassi di interesse in linea con gli accordi OCSE. Il restante 15% del prezzo della
fornitura verrà corrisposto dall’acquirente in contanti.
Dal 2004 alla Simest è stata affidata la gestione di fondi rotativi di venture capital mirati a specifiche aree geografiche (Europa orientale, Balcani, Mediterraneo,
Africa, Medio Oriente, Estremo Oriente, America centrale e meridionale) poi unificati in un fondo con la legge finanziaria per il 2007.
È stato istituito un Fondo di venture capital per imprese start up volte all’internazionalizzazione, alimentato con le disponibilità attribuite al MiSE sulla base
degli utili realizzati dalla Simest. Lo strumento consente il finanziamento in equity transitorio e di minoranza (fino al 49 per cento del capitale) di società che realizzino progetti d’internazionalizzazione attraverso la costituzione di un veicolo
societario apposito, eventualmente abbinati anche all’innovazione di prodotto e
di processo. Destinatari dell’agevolazione sono i raggruppamenti di PMI (costituiti sotto forma di società di capitali), singole PMI e, prioritariamente, piccole
imprese, anche artigiane ed imprenditoria femminile.
Simest è ente gestore dei Fondi rotativi ex lege 295/1973 (Fondo 295) ed ex lege
394/1981 (Fondo 394), alimentati da stanziamenti annuali del MEF. Tramite il primo si offre un finanziamento agevolato dei crediti all’esportazione, di durata non
inferiore ai 24 mesi mentre, tramite il Fondo 394, vengono concessi finanziamenti
agevolati a medio e lungo termine.
Le sollecitazioni che la Cabina di regia nazionale ha raccolto per quanto riguardo la
Simest, in particolare rispetto alle necessità manifestate dalle imprese riguardano:
• potenziamento ruolo geografico: maggiore attenzione verso i next eleven e
Africa Sub-Sahariana;
• velocizzazione delle tempistiche relative alle pratiche di investimento;
• rilancio gestione fondi Venture Capital e riduzione costi relativi;
• potenziamento della comunicazione per far conoscere i servizi Simest alle
aziende italiane (livello di conoscenza ancora molto basso).
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Infine Simest partecipa al sistema Export Bank insieme a CDP, Abi e Sace.
Cassa Depositi e Prestiti (CDP)
La CDP S.p.A. è la società risultante dalla trasformazione, avvenuta nel 2003, in
società per azioni della Cassa depositi e prestiti - Amministrazione dello Stato.
E’ controllata per l’80,1% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre il
18,4% è posseduto da fondazioni bancarie.
La CDP è quindi esterna al perimetro della Pubblica amministrazione, come istituti simili in Europa (KFW in Germania e la CDC francese), pertanto i debiti assunti dalla CDP non costituiscono debito pubblico.
CDP gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale
e reimpiega risorse per il sostegno della crescita del paese e precisamente:
• finanziando gli investimenti della Pubblica Amministrazione;
• favorendo lo sviluppo delle infrastrutture;
• sostenendo l’economia e del sistema imprenditoriale nazionale.
Rientra in questa linea di attività anche il finanziamento di operazioni legate
alla internazionalizzazione delle imprese italiane, attraverso il sistema “Export
Banca” di cui si è detto sopra.
La legge prescrive la separazione organizzativa e contabile tra le attività di interesse economico generale e le altre attività per le quali CDP opera in concorrenza con il settore privato. In particolare fanno capo alla cosiddetta “Gestione
Separata” le attività di finanziamento delle regioni, degli enti locali degli enti
pubblici e degli organismi di diritto pubblico, la concessione di finanziamenti,
destinati a operazioni di interesse pubblico promosse dai medesimi soggetti,
le operazioni di interesse pubblico per sostenere l’internazionalizzazione delle
imprese (quando le operazioni sono assistite da garanzia o assicurazione della
SACE), le operazioni effettuate a favore delle PMI per finalità di sostegno dell’economia e la fornitura di servizi di consulenza alle amministrazioni pubbliche.
La Gestione Separata è finanziata tramite i Buoni fruttiferi e i Libretti postali,
che beneficiano della garanzia dello Stato.
Un altro strumento per agevolare l’accesso al credito e offrire un sostegno stabile al
sistema produttivo, è il PLAFOND PMI. Nel gennaio 2013 la CDP ha incrementato
la dotazione del PLAFOND PMI INVESTIMENTI di ulteriori 2,5 miliardi di euro,
ampliando la platea delle imprese beneficiarie. Nel nuovo Plafond PMI, la Cassa
Depositi e Prestiti ha introdotto la provvista a “Ponderazione Zero” creando un
link con i principali strumenti di garanzia pubblica (fino all’80% del finanziamento
PMI assistito da garanzia pubblica) e con il sistema dei Confidi (pari all’importo del
finanziamento PMI controgarantito da garanzia pubblica).
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Si riporta lo schema del Nuovo Plafond PMI, proveniente da documentazione
della Cassa Depositi e Prestiti.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
6.2. GLI STRUMENTI IN GERMANIA
6.2.1. IL MERCATO ALIMENTARE TEDESCO: CARATTERISTICHE E OPPORTUNITÀ
DI BUSINESS
Passiamo ora ad analizzare il sistema tedesco di supporto all’export, evidenziando le caratteristiche del paese e le sue eccellenze.
Gli oltre 80 milioni di consumatori rendono la Germania il più grande mercato
retail nella commercializzazione dei prodotti alimentari e nella ristorazione in
Europa.
La Germania, è altresì il più grande produttore europeo di prodotti alimentari e
bevande, seguita dalla Francia, dall’Italia, dal Regno Unito e dalla Spagna, come
evidenziato nel grafico che segue.
L’industria alimentare tedesca è il quarto settore industriale in Germania con un
fatturato registrato nel 2011 di oltre 163,3 miliardi di euro e un valore aggiunto
di oltre 11,5 miliardi di euro attraverso le circa 6 mila imprese, prevalentemente
piccole e medie, che impiegano 550 mila lavoratori.
La produzione alimentare è costantemente in crescita così come costantemente in
crescita è l’aumento dei beni alimentari e bevande esportati e la relativa incidenza
sul PIL.
• I dati riferiti in questa sezione sono stati forniti dai diversi interlocutori incontrati nel corso delle interviste effettuate
in Germania - settembre 2013 - e si riferiscono prevalentemente agli anni 2011 e 2012.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
I più importanti settori sono quelli della carne e prodotti derivati per oltre il 23%,
seguito dai latticini (16%) e dai dolciumi e dal pane e prodotti da forno.
Fra le principali imprese sono annoverati brand come Nestlè, dr.Oekter,Vion
Food Group, Tschibo, Coca-Cola and Kraft Foods.
Il totale delle esportazioni agroalimentari tedesche ha superato i 64 miliardi di
euro nel 2012 con una crescita del 6,4%.
I principali paesi di destinazione sono quelli europei e registrano un trend in crescita negli anni 2010-2012, salvo l’Italia che nel 2012 ha registrato un -1.5% prevalentemente legato al contesto socio-economico del nostro paese. In forte crescita
l’export verso gli altri paesi + 9,8%.
Il mercato tedesco conosce e apprezza i prodotti italiani anche grazie alla forte
presenza della ristorazione italiana e alla particolare attenzione alla tracciabilità
dei prodotti ed al biologico ove l’Italia registra un ruolo primario.
Infatti l’Italia si colloca al 3° posto fra i paesi fornitori, dopo i Paesi Bassi e la Francia, con una quota di oltre l’8% pari a 6 miliardi di euro (un quinto dell’export
italiano) e in continua crescita.
I prodotti più richiesti, oltre l’ortofrutta, sono la pasta, l’olio e il vino.
Gli attuali trend dei consumi in Germania sono:
• BIOLOGICO: la Germania è il 1° consumatore europeo mentre, per contro,
l’Italia è il primo produttore ed esportatore in Europa; nel 2012 il mercato
tedesco di biologico è stato quotato oltre 7 miliardi di euro (10% del mercato
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
mondiale) e tale richiesta va soddisfatta con prodotti importati (dal 2008 l’import in Germania si è duplicato) e i principali prodotti sono di origine vegetale
(vino, pasta, conserve, olio, verdura e agrumi);
• CONVENIENCE: è un trend riferito a nuclei familiari piccoli o single e riguarda le insalate/macedonie tagliate e lavate e piatti veloci e pronti;
• REGIONALE: in relazione all’ultimo scandalo della carne di cavallo, è emersa
l’esigenza di garantire la rintracciabilità dei prodotti, in particolare della carne
fresca, delle uova e dell’ortofrutta;
• PRODOTTI DI ALTISSIMA QUALITA’ E DI NICCHIA: prodotti certificati
Dop e Igp, olio di oliva monovarietà, pasta trafilata a bronzo, ecc.
Si riportano di seguito alcune indicazioni sulle importazioni tedesche dei principali prodotti tradizionali:
VINO
Il totale del valore importato ammonta a oltre 1,8 miliardi di cui oltre un terzo
dall’Italia - costantemente in crescita - seguita dalla Francia (30%). Il prodotto è
commercializzato in larga misura presso la GDO (85%).
SALUMI
Il settore dei salumi sviluppa oltre un terzo del suo fatturato attraverso i discount
e, includendo anche la catena Aldi, supera il 50%. La restante parte riferita alla
distribuzione tra negozi specializzati riguarda per il 18% la GDO tradizionale,
per il 17% le macellerie e per il 12% gli altri settori minori.
FRUTTA FRESCA E ORTAGGI
In Germania il consumo di frutta e verdura è abbastanza limitato: mediamente il
consumatore tedesco consuma 92,7 kg/capite di ortaggi all’anno e 102,2 kg/capite
di frutta, peraltro in costante diminuzione.
Le principali categorie di frutta consumate in Germania sono le mele, banane, uva
da tavola, arance, clementine, pesche, pere mentre gli ortaggi più consumati sono:
pomodori, carote, cipolle, cetrioli, cavoli bianchi e rossi, lattughe, verze, rapa.
Il primo paese fornitore di ortofrutta è l’Italia con il 28%, grazie alla prevalenza
dell’export nella frutta, seguito dalla Spagna con il 24% e dall’Olanda con il 7%.
Per quanto riguarda la frutta fresca, nello specifico, il principale prodotto esportato dall’Italia in Germania è rappresentato dalle mele, a cui fanno seguito le uve
fresche, le pesche, le pere e le cotogne, le ciliegie e le fragole. Tra gli agrumi, al
primo posto troviamo le arance (oltre il 50%).
Nel comparto degli ortaggi, il principale prodotto esportato dall’Italia in Germania è costituito dalle lattughe. Seguono pomodori, cavoli e cavolfiori, carote, finocchi e zucchine.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Per i soli ortaggi invece l’Olanda rappresenta oltre il 38% del fatturato importato,
seguita dalla Spagna con il 29% e in terza posizione l’Italia con il 10%.
FORMAGGI
Nel 2011 il consumo di formaggi in Germania ha raggiunto un volume di 2.078,1
mila tonnellate, con un consumo pro capite è di 22.2 kg. L’abitudine alimentare è
di un consumo abbinato con il pane, spesso per colazione o a cena, mentre hanno
poco successo i piatti di formaggio serviti dopo il pasto. Il trend di mercato del
segmento dei formaggi self-service è sempre in aumento.
I formaggi italiani conosciuti dai consumatori tedeschi sono il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il Gorgonzola, il Pecorino e la Mozzarella; tra i formaggi
preferiti dai tedeschi ricordiamo il Gouda tedesco, Camembert, Edamer e Tilsiter. I principali prodotti caseari italiani importati sono stati i formaggi grattugiati (16,2%), formaggi freschi (8,8%) e formaggi a pasta erborinata (6,2%).
(Fonte: ICE, 2013).
L’Italia è il 3° fornitore per valore e 6° per volume, nel 2012 i prodotti importati
dall’Italia hanno raggiunto un valore di 291,2 milioni di Euro con un volume di
37,6 migliaia di tonnellate.
Il paese è contraddistinto da un sistema distributivo molto strutturato ed efficiente, in cui i cinque principali operatori della GDO (Edeka, Rewe group - fra cui il
marchio Penny -, Schwarz Group - fra cui il marchio Lidl -, Aldi Group e Metro
Group) coprono oltre l’80% del mercato, svolgendo una funzione di forte stimolo
sui produttori tedeschi, che li avvantaggia nell’approccio sul mercato estero. Le
catene della GDO hanno una forte presenza sui mercati dell’est e ciò permette lo
sviluppo nelle vendite dei prodotti tedeschi.
Posizioni di rilievo sono ricoperte dalla presenza di discount e dal canale cosiddetto “etico” che fornisce prevalentemente la ristorazione.
Si tratta quindi di un mercato maturo e complesso, che richiede grandi investimenti promozionali ed una chiara strategia di marketing.
Per un’azienda italiana che voglia muoversi sul mercato tedesco è necessario
quindi:
• studiare il mercato, la struttura e le esigenze anche attraverso visite a fiere, perché
per affrontare il mercato in maniera adeguata è necessario avere sintonia culturale;
• verificare la rispondenza della propria offerta rispetto alle esigenze del mercato;
• analizzare i propri punti di forza rispetto ai competitors presenti sul mercato;
• individuare il canale commerciale adeguato ed impostare una strategia coerente;
• sviluppare attività di promozione del prodotto assieme al proprio distributore- partner commerciale.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
6.2.2. IL SISTEMA TEDESCO DI PROMOZIONE ALL’ESTERO
Va premessa innanzitutto la rilevanza che le esportazioni hanno per il tutto il sistema economico tedesco. Nel 2012 infatti le esportazioni costituivano il 43% del
PIL della Germania contro il 30% italiano.
Per ottenere queste eccellenti performance il modello tedesco si avvale di un sistema di promozione all’estero particolarmente efficace ed efficiente affidato a due
principali organizzazioni:
• Camere di Commercio Tedesche all’Estero (AHK);
• Germany Trade and Invest (GTAI).
Le Camere di Commercio all’estero rappresentano la struttura operativa di supporto alle imprese ed alle istituzioni tedesche ed interagiscono con GTAI, di cui si
riferirà in seguito, formando un sistema di promozione unico.
Le Camere rappresentano il partner più importante all’estero per le attività di
internazionalizzazione svolte dal Ministero dell’Economia e rappresentano ufficialmente, accanto ad Ambasciate e Consolati, gli interessi dell’economia tedesca nei confronti delle amministrazioni e della politica nei rispettivi Paesi esteri.
Dal punto di vista puramente organizzativo il sistema delle AHK comprende tre
forme a seconda del Paese in cui opera:
• Camera bi-laterale;
• Delegazione economica;
• Rappresentanza economica.
Si tratta di formule organizzative adottate in relazione al grado di interscambio
tra la Germania ed il Paese specifico. Sono previste delle strutture piú “leggere”,
ma con un maggiore o quasi esclusivo finanziamento da Berlino, laddove non ci
siano ancora le condizioni in grado di garantire ad una Camera bilaterale un buon
grado di copertura dei costi attraverso le entrate per servizi e quote associative.
L’organizzazione delle Camere all’estero si compone di 120 Camere in 80 Paesi
(esistono quindi anche Paesi pluricamera) e 1.500 dipendenti in tutto il mondo. Le
Camere fungono da cappello per tutte le attivitá di promozione economica della
Germania nei rispettivi Paesi, coordinando ad esempio tutte le missioni economiche ma fungendo anche da punto di riferimento per i singoli Länder, qualora intendano aprire le proprie rappresentanze all’estero, che vengono collocate presso
le Camere.
Le Camere svolgono tre funzioni:
1. Rappresentanza ufficiale degli interessi dell’economia tedesca all’estero;
2. Organismi associativi per le imprese;
3. Provider di servizi di assistenza alle imprese.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Non esiste una legge specifica che regoli ed ordini le Camere di Commercio all’Estero. Esse costituiscono un sistema integrato ma allo stesso tempo indipendente
rispetto al sistema camerale tedesco, tuttavia a livello centrale riportano al DIHK
che é l’Unioncamere tedesca. Il DIHK coordina ed assiste tutte le Camere tedesche all’estero e funge da elemento di connessione tra la rete estera e tutti gli organismi associativi delle imprese in Germania.
In virtù dell’attribuzione delle competenze di cui al punto 1) le Camere all’estero
ricevono un contributo ministeriale che viene stanziato in un apposito capitolo
del bilancio statale tedesco ogni anno. Sullo stesso capitolo di spesa afferiscono
gli stanziamenti sia per le Camere che per il GTAI.
Entro il mese di Ottobre di ogni anno le Camere presentano il loro budget per
l’anno successivo al Ministero dell’Economia ed entro il mese di dicembre viene definita la somma stanziata. Al massimo entro il mese di gennaio le Camere
all’estero ricevono la comunicazione dell’esatto importo che loro spetta per l’anno
corrente. Nel corso dell’anno sono ammessi degli aggiustamenti del budget e la
possibilità di richiedere (con adeguata motivazione) delle piccole integrazioni.
Per lo svolgimento di tale funzione le Camere ricevono ogni anno un contributo
che corrisponde approssimativamente al 23% del loro budget. Per l’anno 2011 lo
stanziamento dello Stato tedesco per il supporto all’internazionalizzazione, come
desunto dal bilancio dello Stato, é stato di € 55 Milioni di cui circa 36 Milioni per
le Camere all’estero (il rimanente per il GTAI). Per l’anno 2012 l’importo stanziato
per le Camere tedesche all’estero é stato pari a circa 40 Milioni di euro.
Con riferimento alla funzione di cui al punto 3) é stato definito uno schema operativo valido per tutte le Camere estere: con il marchio DE INTERNATIONAL (di
proprietà di Unioncamere tedesca) si identificano tutte le società di servizi che
fanno capo alle Camere all’estero. In sostanza quindi le Camere all’estero (che
sono di natura associativa di diritto del Paese ospite) hanno al loro interno una società denominata DE INTERNATIONAL (nel caso della Camera Italo-Germanica
a Milano la società è la DE INTERNATIONAL srl) che svolge tutti i servizi e si
finanzia al 100% attraverso queste entrate.
Il funzionamento prevede che:
• proprietario del 100% delle quote è la Camera di Commercio;
• amministratore è il Direttore della Camera, affiancato eventualmente da altri
due amministratori che sono dirigenti della struttura camerale e alla società fanno capo la maggior parte dei dipendenti della struttura e tutte le entrate vengono fatturate dalla società;
• tutte le attività commerciali/di servizi vengono svolte dalla società che usufruisce dei locali e dell’infrastruttura della Camera;
• le tipologie e gli standard dei servizi sono definiti in maniera omogenea in tutte
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le Camere all’estero e sono quindi oggetto di uno stretto coordinamento, scambio di esperienze attraverso un portale Intranet e meeting tra i responsabili di
struttura delle diverse AHK.
Il budget che le Camere inviano a Berlino risulta dal consolidamento dei bilancio
della Camera e della rispettiva società di servizi (quindi comprende tutti i costi e
tutte le entrate).
Organi delle Camere sono i rispettivi Consigli che eleggono in loco un Presidente, mentre il Direttore viene in genere nominato all’interno dei funzionari di
carriera che sono pagati da Berlino. Questa regola non é tuttavia ferrea, ovvero
esiste anche la possibilità che il Consiglio camerale proponga una candidatura
“esterna” che deve venire avallata da Berlino. In ogni caso il costo del Direttore
viene coperto dal Ministero dell’Economia in quanto svolge le funzioni di “delegato dell’economia tedesca”.
Le Camere inoltre possono venire incaricate dal Ministero dell’Economia di svolgere alcuni specifici progetti finanziati su base pluriennale con fondi specifici.
In particolare, al momento esistono due grandi iniziative pluriennali:
• Iniziativa sul tema energie rinnovabili ed efficienza energetica;
• Progetti di supporto per l’Agroalimentare tedesco.
In entrambi i casi si tratta di un framework in cui afferiscono progetti ed attivitá
svolte dalle Camere all’Estero ed i cui costi (compresi quindi quelli di struttura
delle Camere) vengono coperti dal Ministero. Il coordinamento afferisce all’organismo che fa da riferimento per le Camere Estere presso l’Unioncamere tedesco.
Le Camere all’estero rappresentano altresì l’interlocutore per tutte le Camere di
Commercio ed Industria in Germania (IHK) e ricevono da queste, in via quasi
esclusiva, tutti gli incarichi per svolgere attività di supporto all’internazionalizzazione ed a loro vengono canalizzate tutte le richieste di servizi delle imprese
tedesche.
Infine per quanto riguarda Germany Trade and Invest (GTAI), le funzioni sono
molto ben definite, e consistono nello svolgimento di studi di mercato e nel fornire assistenza per l’attrazione di investimenti in Germania.
Il rapporto con DIHK/AHK(il sistema camerale tedesco) é definito sulla base di
un apposito accordo.
All’estero il GTAI ha una struttura estremamente snella: si avvale di alcuni funzionari (complessivamente 50 persone in tutto il mondo) che lavorano presso la
Camera e ne utilizzano i locali messi a disposizione con un eventuale collaboratore (a Milano opera una persona con un’assistente). Anche per l’organizzazione
e lo svolgimento di attività in loco il GTAI si avvale dell’organizzazione della
Camera affidandole gli incarichi.
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6.2.3. IL SISTEMA TEDESCO DI SUPPORTO ALL’EXPORT AGROALIMENTARE
Per il sostegno all’esportazione agroalimentare, la Germania si avvale della
GEFA - German Export Food Association, un’associazione di tipo privatistico,
supportata dalle PMI tedesche, che opera con delega del Ministero dell’Agricoltura della Repubblica Federale Tedesca e che abbiamo incontrato nella loro sede
di Berlino.
GEFA rappresenta il settore tedesco alimentare ed agro-industriale ed è un partner chiave per il mercato dell’esportazione.
Lavora a stretto contatto con le organizzazioni industriali e commerciali e con il
Governo tedesco e può contare su una fitta rete di rapporti internazionali, con
l’obiettivo di mettere in contatto acquirenti internazionali con società tedesche
del settore alimentare ed agro-industriale, al fine di facilitare la crescita dei mercati dell’export esistenti ed emergenti.
Fino al 2009, la promozione dei prodotti alimentari era attuata da un soggetto
statale denominato CMA. Tale ente beneficiava, attraverso un supporto legislativo, di risorse derivanti dalle trattenute ai produttori (per es. una trattenuta fissa
per capo di bestiame, per quantità di prodotti ecc.); tali somme negli ultimi anni
ammontavano a circa 120 milioni di euro e venivano destinate per 3/4 a sostegno
di iniziative sul territorio tedesco e per la restante parte per iniziative di sviluppo
all’export. Nel 2009 una sentenza della Corte Costituzionale tedesca ha decretato
l’abolizione di questo ente che è stato messo in liquidazione. Ritenendo necessario dotarsi di un organismo di tipo privatistico, seppur con un cofinanziamento
pubblico, che risponde meglio alle esigenze di efficienza e risparmio di risorse, è
stata quindi costituita la GEFA, organismo di tipo associativo di cui fanno parte
tutte le associazioni di settore della filiera dell’alimentare che lo supportano finanziariamente.
Lo stato tedesco mette a disposizione annualmente un budget per la promozione
verso l’estero (nel primo anno è stato di €6,5 milioni e si è progressivamente ridotto) al quale si aggiungono le quote che le imprese sostengono in proporzione
al fatturato.
Nella tabella che segue sono indicati i dati più significativi dell’export tedesco
2011: i due principali settori della carne e dei latticini, sono seguiti dai settori dei
dolciumi e delle apparecchiature meccaniche agricole.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Source: Federal Statistic Office / AMI - Report Gefa 2011/2012
Quasi tutti i settori registrano margini di crescita a due cifre con punte di eccellenza nell’export di macchine agricole e di bestiame.
La Germania è al 3°posto nella commercializzazione dei prodotti della filiera
agroalimentare, dopo gli Stati Uniti e l’Olanda - quest’ultima grazie anche alle
movimentazioni attraverso i suoi porti commerciali. La percentuale dei prodotti
esportati sul Pil registra un costante trend in aumento (nel 2006 era del 23.2% oggi
supera il 30%) con circa un 80% verso i paesi europei - in particolare Polonia - e
consistenti sviluppi nei paesi terzi, in particolare quelli asiatici con percentuali di
crescita a due cifre (per es. Cina in pochi anni più che decuplicato).
In generale i fattori che hanno consentito di incrementare l’export dei prodotti
tedeschi si basano sull’elevata considerazione del Made in Germany, rappresentato da marchi riconosciuti nel mondo, con elevati standard qualitativi e di buon
funzionamento e da operatori affidabili e seri anche nel settore agroalimentare.
Va evidenziato che il settore tedesco dell’agro-industriale tedesco gode di un’eccellente fama in tutto il mondo e che l’eccellenza raggiunta nell’industria delle
macchine agricole ha fatto da apripista nei mercati internazionali ai settori delle
sementi e dell’allevamento del bestiame.
Ottimi risultati anche per l’export delle piante coltivate, dei prodotti alimentari
e delle bevande.
In relazione all’industria del food and beverage, si sostengono spese per Ricerca
e Sviluppo R&D con il supporto del Governo federale e degli enti regionali per
circa 500 milioni di euro.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Sebbene l’export di prodotti agroalimentari tedeschi abbia raggiunto standard di
elevati livelli, il paese è un netto importatore di food and beverage e il più importante mercato europeo di prodotti stranieri.
Importante sottolineare che, oltre all’eccellente qualità dei prodotti, la Germania
può vantare una valida organizzazione nazionale per il supporto dell’export, che
ha permesso alle imprese tedesche di sviluppare una profonda esperienza adeguandosi alle evoluzioni dei mercati esteri. Infatti le imprese del settore sono di
medie dimensioni e si sono organizzate per affrontare i mercati esteri in quanto
non sarebbero in grado di gestirli in autonomia.
In particolare, per facilitare l’internazionalizzazione delle imprese agroalimentari, le caratteristiche del servizio fornito da GEFA sono le seguenti:
• accesso diretto a quasi 1.200 società tedesche di alimentari ed agro-industriali;
• punto centrale di contatto per importatori, grossisti, dettaglianti, negozi di
specialità & cibi gourmet, Horeca ed altri;
• attività di marketing e promozionali per aiutare a sviluppare i mercati
dell’export;
• fiere ed esposizioni commerciali internazionali, padiglioni tedeschi;
• informazioni di background su società e prodotti;
• consulenza e supporto in generale;
• contatti con studi legali per la difesa degli interessi delle imprese tedesche.
GEFA mette a disposizione delle imprese un pacchetto di servizi che comprende:
• info mercati;
• supporto logistici durante le fiere per hotel e servizi connessi - traduzioni ecc.;
• ricerca partner commerciali.
In particolare GEFA permette di far ottenere alle imprese tedesche i seguenti vantaggi:
1. possono offrire una vasta gamma di prodotti - per es. la German Food attraverso le 65 aziende che rappresenta (oltre 200 marchi e 1260 prodotti) fa
da traino anche per gli altri settori;
2. organizzano missioni con rappresentanti esteri ed iniziative con tutti gli
ambasciatori accreditati a Berlino, fornendo una visione completa dell’assortimento dell’offerta tedesca;
3. sono in grado di fornire alle imprese dei servizi a condizioni migliori rispetto al mercato - vedi analisi di mercato, condizioni sul credito - ed in tal
modo fidelizzano il rapporto.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Molto importante anche il ruolo svolto per il coordinamento dell’attività fieristica, che costituisce un elemento fondamentale per l’internazionalizzazione. Ogni
anno il Ministero dell’Agricoltura Federale definisce attraverso GEFA, in stretto
raccordo con le Associazioni che rappresentano il 90% delle imprese esportatrici,
un programma di partecipazione a fiere all’estero che nel 2014 prevede la presenza a 14 fiere. Di regola esistono fiere con stand di GEFA di metratura dai 300 ai
1.000 mq, ai quali partecipano le imprese, che suddividono i costi in proporzione
alla presenza negli stand. Vengono organizzati anche specifici stand a tema, purchè vi sia la partecipazione di almeno 5/6 imprese.
Le principali manifestazioni alle quali è prevista una partecipazione, sono:
• USA S. Francisco, New York;
• RUSSIA Mosca, Novosibirsk e Kiew in Ucraina e Astana in Kazakistan;
• EUROPA Bordeaux, Amsterdam e Colonia;
• ASIA Tokio, Shangai, Dubai, Hong Kong, Seoul, Bangalore in India e Istanbul;
• AFRICA Marocco e AMERICA SUD Brasile.
A tal fine si fa rilevare anche il coordinamento dell’Associazione fieristica nazionale (Ausstellungs und Messe Ausschuss, AUMA) che, pur ricevendo risorse dal
Ministero dell’Economia, rimane un soggetto privato e collabora con le Associazioni di categoria.
Anche le imprese tedesche riscontrano problematiche nell’accesso ad alcuni mercati esteri. Solitamente le soluzioni vengono trovate da parte degli organi della
Comunità Europea in base a convenzioni fra i paesi, in particolare per quanto
riguarda le convenzioni sanitarie.
Le principali problematiche riguardano i seguenti paesi:
• Russia - difficoltà nell’esportazione di animali, carne e prodotti caseari, limitazione a partire dal 1 marzo 2013 che coinvolge tutta l’unione doganale (compresa Ucraina e i paesi minori);
• Stati Uniti - categorie di prodotti con forti restrizioni;
• Cina - barriere all’entrata non corrette per quanto riguarda gli insaccati ed il
pollame con richiesta di documentazione difficile da produrre. Sentito anche
il problema del cosiddetto German Sounding a livello di singole imprese, in
particolare con riferimento alle imprese Cinesi che imitano qualsiasi prodotto.
L’Associazione GEFA è sostenuta dai seguenti soci promotori:
• BGA - Bundesverband Großhandel, Außenhandel, Dienstleistungen e.V. - la
Federazione del Commercio all’Ingrosso, del Commercio Estero e dei Servizi
della Repubblica Federale di Germania.
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• BVE - Bundesvereinigung der Deutschen Ernährungsindustrie e.V. - la Federazione delle Industrie Tedesche degli Alimentari e delle Bevande (BVE).
• Ministerium für Landwirtschaft, Umwelt und ländliche Räume des Landes
Schleswig-Holstein - Il Ministero dell’Agricoltura, dell’Ambiente e delle Aree
Rurali (MLUR) è responsabile, tra l’altro, di portare avanti gli interessi dell’industria agricola ed alimentare dello Schleswig-Holstein.
• Ost-Ausschuss der deutschen Wirtschaft - È un’organizzazione tedesca che
si occupa di intrattenere relazioni economiche con i paesi dell’Est e la Russia
nell’interesse delle imprese e di Enti tedeschi.
• Bayerisches Staatsministerium für Ernährung, Landwirtschaft und Forsten - Il
Ministero si occupa della valorizzazione dei prodotti alimentari della Baviera
e delle imprese produttrici.
I soci ordinari sono oltre 1200 imprese tedesche attraverso le proprie associazioni
o le relative società per l’export, che supportano volontariamente le attività della
GEFA fra cui:
Per i prodotti alimentari
• German Meat GMBH per carni e salumi;
• Export-Union fur Milchproducte e.V. per il latte e prodotti derivati;
• German Sweets e.V. per i prodotti dolciari;
• German Brewers e Bayerischer Brauertund e.V. per le birre;
• Bundesvereinigung der Erzeugerorganisationen Obst und Gemüse e.V.
(BVEO) per i prodotti ortofrutticoli;
• Food Made in Germany per gli altri prodotti.
Per i prodotti utili in agricoltura
• VDMA (Verband Deutscher Maschinen- und Anlagenbau e.V.) per le macchine
agricole;
• Bundesverband Deutscher Pflanzenzuchter e.V. (BDP) per i coltivatori di piante;
• German Livestock per i produttori di bestiame.
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6.2.4. IL SUPPORTO FINANZIARIO E ASSICURATIVO ALL’EXPORT TEDESCO
In Germania i progetti di investimento per l’export possono ricevere una specifica
assistenza finanziaria attraverso diversi strumenti derivanti sia da risorse private
che da incentivi pubblici e sono ottenibili da tutti i tipi di impresa - con specificità
in relazione al territorio di provenienza - come illustrato nel seguente modello.
Al di là del sistema bancario privato, gli istituti di riferimento o i principali prodotti sono:
• KFW Development Bank e Regional Development Bank che possono offrire
prestiti con tassi di interesse agevolati in combinazione con sistemi di rimborso al termine del periodo dello start up, in particolare per piccole e medie
imprese. In merito si precisa che in Germania gli incentivi sono di norma amministrati dalle regioni federali. In particolare il Joint Task Program (Gemeinschaftsaufgabe, GRW) è un programma istituito dal Ministero dell’Economia
e della Tecnologia che regola la distribuzione di sostegni a fondo perduto attraverso la Germania. La determinazione del sostegno varia da regione a regione, in relazione ai programmi di sviluppo con sostegni dal 20 al 50%.
• BVK German private Equity and Venture capital Association per start up
tecnologicamente innovative.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• L’Investment Allowance (Investitionszulage, IZ) è uno speciale programma di incentivazione per promuovere investimenti in attività nella Germania
dell’Est.
Per lo specifico settore agroalimentare, il supporto fornito da GEFA, di cui si è
precedentemente riferito, non si estende alle trattative fra le imprese e il sistema
bancario o le istituzioni, ma fornisce informazioni o organizza speciali eventi o
conferenze sui temi finanziari.
Il gruppo KFW e KWF - IPEX BANK - Progetti internazionali e finanza per
l’esportazione
Un fondamentale strumento per promuovere la competitività e l’internazionalizzazione degli esportatori tedeschi, è la banca KWF - IPEX BANK, controllata al
100% dalla KFW (Kreditanstalt für Wiederaufbau - Istituto di credito per la Ricostruzione), nata nel 1948 per gestire i fondi del Piano Marshall.
Va premesso che KFW è uno dei più grandi gruppi bancari, interamente controllato dallo Stato: per l’80% dal governo federale mentre il restante 20% è detenuto
dai Länder cioè le regioni in cui è divisa la Germania. Tale istituzione beneficia
della garanzia statale di ultima istanza per gran parte delle sue attività; non paga
imposte né distribuisce dividendi ai suoi azionisti. I fondi necessari sono prevalentemente raccolti attraverso emissioni di titoli a medio-lungo termine (nel
quinquennio 2008-2012 €70-80 miliardi di emissioni ogni anno) che ricevono favorevole accoglienza sia per la copertura statale sia per il massimo di rating a
lungo termine (AAA) ricevuto dalle tre agenzie internazionali. Le attività totali
ammontano ad oltre 500 miliardi di euro.
Le principali aree d’intervento dell’attività del GRUPPO KWF sono le seguenti:
• Esportazione: quasi la metà della produzione economica della Germania e
un posto di lavoro su quattro in Germania dipendono dalle esportazioni.
Quindi è di particolare importanza garantire agli esportatori le giuste soluzioni di finanziamento.
• Infrastrutture: l’ampliamento delle infrastrutture e trasporti è indispensabile
per garantire lo scambio globale delle merci e l’integrazione del mercato europeo. Vengono finanziate strade, ferrovie, aeroporti e porti marittimi.
• Protezione del clima e dell’ambiente: KFW finanzia l’energia innovativa e
progetti di tutela ambientale, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi nazionali, europei e mondiali di protezione dell’ambiente e del clima.
• Approvvigionamento di materie prime: viene finanziato l’approvvigionamento di materie prime, per garantire le performance dell’economia tedesca,
poiché la Germania è un paese altamente industrializzato con limitata presenza di materie prime.
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Per le attività di International Finance, KFW Group opera attraverso le seguenti
principali strutture:
• KFW IPEX-Bank - fornisce alle aziende soluzioni di finanziamento su misura
per l’esportazione e il commercio internazionale, mettendo a disposizione la
propria esperienza e competenza specifica per specifici paesi e settori;
• DEG - offre consulenza alle aziende o agli enti statali che investono in paesi
via di sviluppo, in alcuni casi partecipando direttamente all’investimento con
l’acquisizione di quote minoritarie;
• KFW Development Bank - finanzia progetti e programmi di cooperazione allo
sviluppo in tutto il mondo, per conto del governo federale tedesco.
Finanziamento dell’export tramite KFW IPEX - Bank
La mission della banca KFW -IPEX BANK è di sostenere l’internazionalizzazione e la competitività delle aziende tedesche ed europee, fornendo finanziamenti
per l’economia tedesca ed europea con diversi strumenti finanziari quali l’Export
finance, il Project finance, la finanza strutturata, il Trade finance e la Finanza di
investimenti.
La banca ha la sede principale a Francoforte e una sede estera a Londra oltre che
a numerosi uffici di rappresentanza a Abu Dhabi, Bangkok, Istanbul, Johannesburg, Mosca, Mumbai, New York, Singapore, San Paolo. È stata costituita nel
2002 e dal 2008 ha una entità giuridica autonoma.
Il volume dei prestiti concessi è di circa 61 miliardi di euro e impiega oltre 500
dipendenti.
Da sottolineare che l’esperienza e la competenza di KFW IPEX-Bank nei vari
settori e paesi, permettono una ottimale valutazione dei rischi di un progetto di
esportazione che necessita l’analisi di fattori quali, fra l’altro, lo sviluppo del mercato di un settore e le condizioni competitive e tecnologiche.
Il ruolo di KFW IPEX - Bank Export nel sostegno finanziario dell’esportazione si
sviluppa anche attraverso i seguenti strumenti di cui si riferisce successivamente:
• Programma di Finanziamento ERP Export;
• Finanziamento a piccole e medie imprese - progetto Northstar Europe;
• KFW-Unternehmerkredit (Prestito imprenditore) - Debt Capital;
• ERP Loan Start-up - Universal.
Programma di Finanziamento ERP Export
Il programma di finanziamento delle esportazioni ERP, condotto da KFW IPEX
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
-Bank per conto del governo federale e KFW, fornisce prestiti per finanziare le
esportazioni tedesche verso i paesi in via di sviluppo, consentendo agli esportatori tedeschi di attingere a nuovi mercati.
I fondi per i prestiti del programma sono previsti dal Fondo speciale ERP, fondo
che risale al Piano Marshall, ufficialmente conosciuto come il “Programma europeo di ripresa” dopo la fine della seconda guerra mondiale. È gestito da KFW a
nome della Repubblica Federale ed è ancora in uso oggi per sostenere l’economia
tedesca.
Nell’ambito del programma, KFW IPEX-Bank e AKA Ausfuhrkredit-Gesellschaft
concedono prestiti ad acquirenti stranieri di esportazioni tedesche. Questi fondi,
noti anche come “prestiti TICR” (TICR: interesse commerciale di riferimento),
devono soddisfare determinati criteri del programma. Ad esempio, le operazioni
di esportazione devono essere coperte da una garanzia di credito all’esportazione
della Repubblica federale (Euler Hermes).
L’AKA è uno speciale istituto di credito per il finanziamento a medio e lungo termine di esportazione con un totale attivo di 3,8 miliardi di euro. Lavora a stretto
contatto con le banche partner, sia nazionali che regionali, per lo più con sede in
Germania, e insieme operano a livello mondiale nel finanziamento delle imprese.
La sede della Banca AKA si trova nel centro di Francoforte sul Meno.
Finanziamento a piccole e medie imprese - progetto Northstar Europe
La KFW IPEX -Bank Export fornisce una gamma di soluzioni di finanziamento
specifiche altresì per le piccole e medie imprese tedesche che sono interessate a
portare a termine piccoli progetti di esportazione e che difficilmente trovano offerte di finanziamento sostenibili. Si sottolinea che molte imprese tedesche hanno
medie dimensioni ed effettuano transazioni di limitati volumi che costituiscono
comunque un importante campo di attività.
In particolare KFW fornisce prestiti commerciali da Euro 500 mila a 5 milioni, con
scadenze che vanno da due a cinque anni per le piccole operazioni di esportazione.
I prodotti finanziari sono offerti nell’ambito della partnership con la Northstar
Europe e la condizione per accedere al finanziamento è che le operazioni di esportazione siano coperte da una polizza di assicurazione del credito all’esportazione
a cura di una delle Agenzie di credito all’esportazione ufficiali o ACE (più note in
inglese con l’acronimo ECA). Per la Germania l’Agenzia ufficiale di credito all’esportazione è la Euler Hermes Kreditversicherungs-AG.
Nell’ambito di questo progetto è attiva una procedura accelerata per il credito
acquirente “buyer credit cover - express” con la garanzia di Euler Hermes. Per
credito acquirente si intende il finanziamento concesso al cliente straniero perché
possa pagare l’esportatore attraverso un intermediario finanziario.
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KFW-Unternehmerkredit (Prestito imprenditore) - Debt Capital
È un prodotto che permette di finanziare investimenti sia in Germania che in altri
paesi ed è rivolto alle imprese tedesche, alle loro controllate estere e joint venture
con alta partecipazione tedesca, ai liberi professionisti e alle società di leasing tedesche e di altri Paesi che sono attivi sul mercato tedesco da più di tre anni.
KfW Unternehmerkredit, consente di ottenere un prestito KFW con una durata
fino a 20 anni e un importo massimo di 25 milioni di euro a copertura delle spese
in conto capitale e capitale circolante, sostenute in Germania e all’estero.
Caratteristiche di questo prestito KFW sono:
• Finanziamento al 100% per joint venture e investimenti in partecipazioni al di
fuori della Germania ma all’interno dell’Unione Europea, anche la spesa in
conto capitale al di fuori della Germania sarà finanziata in proporzione alla
quota di partecipazione;
• Tassi d’interesse vantaggiosi fissi per 10 anni o per tutta la durata del prestito,
particolarmente vantaggiosi per le piccole e medie imprese;
• Nel periodo iniziale non è richiesto il pagamento della quota capitale e può
essere combinato con altri programmi KFW e fondi pubblici promozionali;
La banca di riferimento assume solo il 50% del rischio di credito in quanto KFW
sopporta il restante 50%.
ERP Loan Start-up - Universal
Questo prodotto si rivolge a imprenditori, liberi professionisti e piccole e medie
imprese (PMI) che sono attive sul mercato da meno di tre anni e hanno esigenze
di finanziamento fino a 10 milioni di euro.
Si può contrarre un prestito con durata fino a 20 anni e per un importo fino a 10
milioni di euro per spese in conto capitale e per il capitale circolante.
• Per la costituzione o acquisizione di un’impresa, per l’acquisizione di una partecipazione in un’impresa, anche per un’attività part-time se il progetto è quello di arrivare a realizzare un’attività autonoma a tempo pieno.
• Per il consolidamento di un’impresa nei primi tre anni di attività, nello specifico per spese in conto capitale e per il capitale circolante.
Caratteristiche di questo prestito KFW sono:
• tasso di interesse del prestito più favorevole rispetto a un prestito bancario
tradizionale; è fisso per 10 anni, o anche per l’intero periodo;
• possibilità di iniziare il rimborso delle rate di capitale a partire dal terzo anno
dalla concessione del prestito.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
EULER HERMES
La gestione delle garanzie tedesche per l’export è nelle mani dell’azienda leader
Euler Hermes Deutschland AG, una sussidiaria di Euler Hermes, società con
sede a Parigi ma controllata con il 68% da Allianz.
Il gruppo e le sue principali società di assicurazione crediti hanno ricevuto il rating AA- da Standard & Poor’s (agosto 2012).
Il Gruppo è presente in oltre 50 paesi in tutto il mondo, nel 2011 disponeva di più
di 6.000 dipendenti e assicurava transazioni commerciali per 702 miliardi di euro,
pari al 36% del mercato totale delle assicurazioni del credito.
E’ pertanto leader assoluto del mercato per fatturato e numero di clienti e di
buyers assicurati.
La sua attività consiste nel principalmente nell’assicurare e fornire garanzie alle
imprese impegnate nell’interscambio estero, attività svolta su mandato del governo tedesco secondo un contratto di servizio triennale, soggetto a periodico
rinnovo.
La società sviluppa anche operazioni a breve termine, in questo caso a condizioni
di mercato.
Il tipico strumento tedesco noto come Hermes cover è un modo comune di riferirsi ad una garanzia di credito all’esportazione (ECG) da parte del governo federale
tedesco.
Queste garanzie sono una parte importante della politica tedesca del commercio
estero e permettono agli esportatori di coprirsi contro i rischi economici (rischio
cliente) e i rischi politici (rischio paese).
Dal punto di vista dello stato tedesco, la copertura fornita da Hermes consente di
promuovere le esportazioni, contribuendo allo sviluppo dell’economia e dei posti
di lavoro tedeschi.
6.2.5. CASE HISTORY - IL MODELLO BAVARESE
La Regione della Baviera rappresenta la regione più attiva della Germania, in
particolare con riferimento ai progetti di internazionalizzazione.
Con un Pil pari a quello di Grecia e Portogallo messi insieme, l’economia bavarese rappresenta, senza ombra di dubbio, il “motore” per la crescita della Germania. Basti pensare che i beni e servizi che si producono in Baviera in un anno
“pesano” per quasi un quinto sull’intera produzione nazionale.
Attraverso una serie di incontri, abbiamo potuto analizzare dei casi concreti di
Enti e Associazioni che ci hanno permesso di verificare “sul campo” la validità
del sistema tedesco di supporto all’export.
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Per inquadrare le caratteristiche produttive e commerciali della regione Baviera, i
principali prodotti dell’industria agroalimentare esportati sono nell’ordine (relativamente al fatturato):
• formaggi
• latte e derivati
• carne e derivati
• prodotti di origine vegetale
• prodotti da forno
• prodotti dell’industria del tabacco
• birra
• zucchero
• frumento
• luppolo
Le esportazioni bavaresi dei prodotti del settore agroalimentare, sono rivolte
principalmente ai Paesi dell’Unione Europea e l’Italia rappresenta il primo paese
cliente, seguita da Austria, Olanda e Francia. Si registra anche un importante sviluppo nei paesi dell’Est.
Le ragioni che hanno consentito di avere un costante aumento dell’export sono
legate all’eccellente qualità dei prodotti bavaresi ma anche alla grande tradizione
di specialità tipiche regionali e alle tradizioni culinarie: le salsicce grigliate di Nuremberg, le birre e i Bretzel bavaresi, l’Emmental dalla regione di Allgäu e molti
altri prodotti sono conosciuti in tutto il mondo. A tutto ciò va abbinato il senso del
divertimento bavarese, l’ospitalità e lo stile di vita e un territorio estremamente
ricco anche dal punto di vista naturale e culturale.
I canali commerciali utilizzati dalle imprese bavaresi sono diversi a seconda del
Paese e della strategia aziendale (distributori, importatori, GDO).
Per avere un riferimento nella lettura di questo case-history, si tenga presente che
in Baviera si genera un quarto del PIL nazionale e l’export bavarese si colloca sui
170 miliardi di euro, di cui l’agroalimentare rappresenta il 5% (soprattutto formaggi, altri latticini e derivati della carne). Le destinazioni vedono ai primi posti
l’Italia (oltre il 20% del totale dell’agroalimentare) e l’Austria (oltre il 10%).
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Ministero Agricoltura bavarese - Alp Bayern
Per iniziare a comprendere il modello Bavarese, in primo luogo abbiamo intervistato operatori dell’Agenzia di sviluppo bavarese Alp Bayern.
Per valorizzare il marchio “Bayern” per i prodotti agricoli e alimentari, e per
promuovere i prodotti agroalimentari della Baviera, è stata istituita nel luglio
2011 Alp Bayern, agenzia per i prodotti alimentari dalla Baviera, entità indipendente ma controllata dal Ministero di Stato bavarese dell’alimentazione, dell’agricoltura e foreste.
Obiettivo di Alp Bayern è far conoscere le aziende produttrici bavaresi e i loro
prodotti, tenendo conto che il 50% dei prodotti è commercializzato in Germania e
il restante 50% esportato all’estero.
Le attività sono supportate dai fondi del Ministero in collaborazione con le Associazioni dei produttori con le quali organizzano le attività: i fondi ministeriali
possono supportare al massimo il 50% delle iniziative. I programmi sono biennali
e ammontano a 6 milioni di euro (erano 2 milioni 2 anni fa), di cui il 50% destinati
a iniziative in Germania e il resto all’estero.
A differenza di GEFA, Alp Bayern sostiene determinate iniziative che altrimenti
gli imprenditori bavaresi non avrebbero potuto sviluppare.
Analoghe iniziative sono sviluppate da altre Regioni, direttamente o attraverso
società specializzate di marketing.
Alle iniziative di Alp Bayern accedono 400 imprese a livello informativo e 100
con continuità di presenza alle loro iniziative, di cui 30/40 attive con contatti giornalieri. Strategici i rapporti con le Associazioni, partner rappresentativi delle imprese e delle diverse istituzioni bavaresi.
In particolare si segnalano le Associazioni degli Agricoltori, dei produttori e Trasformatori del latte - incontrate nel corso delle interviste effettuate in Germania e
di cui si riferirà nel seguito - le Associazioni delle Cooperative, delle Industrie di
trasformazione della carne, dei birrai e viticoltori, gli industriali, gli artigiani e i
commercianti del settore alimentare e gli albergatori.
Fra gli Enti si segnala l’Università di Monaco - area Marketing e consumi - l’Istituto bavarese per l’Agricoltura e il Centro per Eccellenza per gli alimenti.
Presso l’Alp Bayern opera un Comitato Consultivo, composto dai rappresentanti delle istituzioni chiave e confederazioni di settore. Attraverso questo “canale
aperto” è possibile seguire i problemi attuali dell’economia e rispondere con misure concrete. Tali misure possono essere attuate in modo efficiente attraverso
una stretta collaborazione con l’industria e le associazioni.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Gli obiettivi dell’Agenzia sono:
• focalizzazione sul profilo e l´immagine della denominazione “Bayern”;
• sviluppo ed elaborazione del marchio “Marke Bayern” di prodotti agricoli e
alimentari per i consumatori e produttori;
• rafforzare la consapevolezza della qualità per i prodotti agricoli e alimentari
bavaresi con i consumatori e produttori;
• miglioramento dell’apprezzamento e della stima e valore aggiunto dei prodotti agricoli e alimentari bavaresi ai diversi livelli di mercato;
• espansione della posizione di mercato della cucina bavarese e dei prodotti
agricoli, insieme con lo sviluppo economico.
Alp Bayern promuove la vendita di piatti bavaresi e prodotti agricoli attraverso
attività in Germania e all’estero e offre alle aziende bavaresi i seguenti servizi:
• organizzazione di stand collettivi presso fiere settoriali rivolte sia ad addetti
del settore che ai consumatori in Germania e all’estero e presentazioni di prodotti presso fiere specializzate;
• organizzazione di azioni di informazione ed iniziative in Germania e all’estero
(ad esempio “Le settimane bavaresi” nel settore del commercio alimentare);
• inviti di partner commerciali stranieri o promozioni presso catene della Gdo e
presso sistemi commerciali organizzati;
• match making che consistono in incoming di operatori stranieri, giornalisti specializzati nel settore alimentare e visite aziendali presso le aziende produttrici;
• organizzazione di viaggi informativi per aziende e delegazioni commerciali e ufficiali per conoscere i mercati nel corso delle quali vengono presentati i prodotti;
• realizzazione di campagne di informazione e di relazioni pubbliche o di seminari informativi e conseguente fornitura di materiali per azioni di informazione sui prodotti alimentari;
• studi di mercato.
Le attività sono sviluppate attraverso 18 rappresentanze in tutto il mondo e la
rete delle Camere di commercio tedesche nel mondo, con il supporto di altre reti
istituzionali quali: Ministero degli esteri, le Camere di Commercio straniere fra cui
quella Italo-Tedesca con sede a Monaco, consulenti privati ed esperti del settore.
In occasione delle principali fiere del settore vengono programmate iniziative nei
paesi partner ove non sono previste iniziative del programma federale.
E’ importante evidenziare che viene mantenuto un costante contatto con il livello
centrale, per non creare sovrapposizioni, ma integrarsi ricercando iniziative che
corrispondano alle peculiarità delle aziende bavaresi.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Per la fornitura di servizi di tipo legale e doganale, il Ministero mette in contatto
le imprese con la Camera di Commercio ed Industria della circoscrizione relativa.
La Baviera vanta 26 prodotti Dop la cui difesa e tutela è garantita dalla legislazione comunitaria. La difesa del German sounding non sempre è efficace: un insuccesso, per esempio, sono state le diverse iniziative intentate verso un produttore
di birre olandese che usava il marchio Bavaria ma che non hanno prodotto risultati in quanto il marchio è esistente da oltre 100 anni.
I fattori che preoccupano il sistema bavarese in futuro potrebbero essere rappresentati dai problemi con Bruxelles per la promozione del marchio Baviera in
quanto è consentito fare pubblicità solamente nell’ambito ristretto dei prodotti
con denominazione di origine tutelati.
Altro problema è connesso al rischio di riduzione dei consumi nei paesi grandi
importatori (si veda la riduzione dei consumi in Italia e problematiche di export
del latte in alcuni paesi). Si sta valutando quindi come ampliare l’attività su altri
paesi, in particolare la Cina che ha un potenziale di crescita importante su prodotti specifici - vedi latte in polvere - anche se non è il partner principale.
Landesvereinigung der Bayerischen Milchwirtschaft e.V. - Associazione
Produttori e Trasformatori di Latte della Baviera
Nel corso della visita in Baviera abbiamo avuto modo di incontrare alcune importanti realtà della Regione. Il primo incontro si è svolto con l’Associazione che
raggruppa i produttori e trasformatori delle due principali produzioni agroalimentari bavaresi - latte e formaggi.
A tale Associazione aderiscono sia gli agricoltori che i produttori di latte, le aziende di trasformazione private e cooperative (40 cooperative - fra cui Bayerland -,
piccoli caseifici e 40 imprese private - fra cui anche Müller) nonchè le strutture
commerciali dedicate e le associazioni dei consumatori.
Va premesso che il settore lattiero-caseario rappresenta il settore più importante
dell’industria alimentare bavarese, con un fatturato di 9,4 miliardi di euro. Tale
eccellenza deriva dall´impegno comune delle organizzazioni del settore lattiero,
che da oltre 50 anni supportano l’industria casearia bavarese.
I principali paesi di destinazione sono, per il latte, l’Italia (per oltre il 25% dei
beni esportati), l’Olanda e l’Austria e per i formaggi sempre l’Italia al primo posto
con oltre il 32% dei prodotti esportati seguiti da Austria e Francia; si segnala che
quest’ultima nazione rappresenta anche il primo importatore di formaggi.
Il consiglio direttivo dell’Associazione, composto dai rappresentanti delle diverse componenti, decide le azioni da intraprendere, in particolare per il supporto
delle attività di marketing e le informazioni da veicolare al consumatore, nella
logica del “Milk is good.” Da rilevare l’importanza strategica della presenza in
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Consiglio di un rappresentante dei consumatori, figura che fornisce importanti
spunti per lo sviluppo nei consumi del latte.
Le iniziative sono decise dal Consiglio direttivo e il Ministero, se condivide,
dispone di conseguenza.
Riunendo gli interessi delle diverse organizzazioni che lavorano nel settore lattierocaseario, l’Associazione promuove la qualità e le vendite dei prodotti lattiero-caseari bavaresi anche all’estero e rafforza l’industria, anche tramite le seguenti attività:
• rappresentanza del settore lattiero-caseario bavarese a livello federale e difesa
degli interessi dell’industria casearia bavarese - leggi, regolamenti;
• partner di coordinamento dell’industria casearia per la difesa degli interessi
presso i Ministeri, le Autorità, le scuole, gli istituti di ricerca e altri istituzioni.
Le attività sono finanziate attraverso una trattenuta ai produttori stabilita annualmente dall’assemblea dei soci, che attualmente ammonta a 0,0043 centesimi
per litro di latte. Tali trattenute vengono devolute al Ministero dell’Agricoltura
della Baviera e un terzo dell’importo va a finanziare il supporto commerciale in
Germania e all’estero, ed in particolare fiere, comunicazioni e missioni.
A differenza delle trattenute all’epoca effettuate per la struttura CMA, oggi in
liquidazione - si veda il riferimento nel precedente capitolo dedicato alla GEFA
- che venivano obbligatoriamente effettuate a tutti i produttori del latte - quelle
in Baviera sono volontarie così come in altri 7 regioni, con dimensioni diverse da
regione a regione.
Importante è anche l’attività svolta dall’Associazione per organizzare la partecipazione a fiere di categoria in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura.
Ogni anno viene effettuata una verifica con i soci, si negozia con il Ministero la
partecipazione ad una fiera - per es. Anuga di Colonia - e si decide lo stand, ovvero se la partecipazione è limitata ai produttori latte o estesa ad altri in relazione
alle diverse iniziative. A queste iniziative di solito partecipano le imprese di medie dimensioni e, talvolta, le grandi e i costi vengono equamente suddivisi.
Per l’organizzazione in loco si fa riferimento alla Camera di Commercio tedesca
nel paese interessato oppure (laddove non sia presente una Camera tedesca all’estero) all’agenzia che sviluppa i contatti e organizza le iniziative. In altri casi le
iniziative promozionali si sviluppano attraverso i contatti dei soci o loro presenze
sul territorio interessato.
Altro elemento da evidenziare è che le imprese che sono concorrenti sul territorio
di riferimento si supportano per l’accesso sui mercati esteri.
Fattore di successo è il Ministero dell’Agricoltura che ha permesso lo sviluppo di
canali di commercializzazione all’estero, particolarmente strategici se si considera che la produzione bavarese corrisponde al 300% del consumo.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il marchio Baviera, apprezzato in Europa, non necessariamente lo è fuori dall’Europa e di conseguenza è necessario sviluppare attività su altri mercati finalizzate
alla conoscenza delle specificità. Si prevedono importanti iniziative all’estero, ad
es. in Brasile, per incrementare i contatti commerciali su iniziativa del Ministero
dell’Agricoltura e attraverso il coinvolgimento dei soci.
Le problematiche sanitarie, rappresentano un problema per la Germania, in
quanto le regole non sono federali, ma ogni regione applica una propria regolamentazione e ciò costituisce una complicazione. In particolare, per quanto riguarda la Russia, che preferisce la regolamentazione fortemente centralizzata del
sistema francese, il Ministero dell’Agricoltura Federale sta discutendo con le autorità russe come migliorare i requisiti richiesti. In proposito va segnalato che si è
registrata una riduzione dei volumi esportati verso la Russia.
Va segnalato che questo sistema di controllo, particolarmente rigoroso, ha permesso di trovare tracce di melamina nel latte cinese e ciò ha provocato la richiesta
di forti quantitativi di latte in polvere bavarese che al momento sono contingentati. Il latte in polvere in Asia è in grande sviluppo ma occorre verificare potenzialità e prezzi in quanto talvolta la Nuova Zelanda risulta essere più competitiva.
Si forniscono alcuni esempi di iniziative dell’Associazione che hanno visto il consenso dei diversi operatori coinvolti:
• Formazione del personale di vendita;
• Seminari informativi per i consumatori;
• Formazione di ostetriche, medici, dietisti, insegnanti;
• Opuscoli e materiale per il web;
• “Milch & Käsebote” (rivista specializzata per la ristorazione);
• Formazione di “sommelier del formaggio”.
Nell’ottica di ampliare i mercati di riferimento, le aziende grandi produttrici si
stanno organizzando per l’ottenimento della certificazione halal per l’accesso ai
mercati islamici o comunque ai consumatori di tale tradizione, così come per il
rispetto dei disciplinari e della certificazione kosher per la religione ebraica.
Per quanto riguarda i prodotti certificati, non incontrano grandi difficoltà salvo
contrasti su Emmental - con svizzeri e austriaci.
Private Brauereien Bayern e.V. - Associazione Birrai privati bavaresi
L’altra Associazione che abbiamo incontrato raggruppa i piccoli - medi produttori artigianali bavaresi di birra, prodotto riconosciuto ed apprezzato nel mondo.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Va premesso che in Baviera esistono due associazioni di produttori di birra:
1.privati grandi produttori - fra cui per es. Paulaner e le altre grandi aziende che conta 240 associati che sviluppano l’80% del volume complessivo di birra
prodotta annualmente
2.piccoli birrifici a gestione familiare, composta da 620 produttori.
L’associazione intervistata riguarda quest’ultima categoria che aderisce alla Camera dell’Artigianato - diversa dalla Camera di Commercio.
Tenuto conto delle dimensioni ridotte degli associati, l’Associazione offre supporto nei seguenti settori:
• assistenza legale;
• marketing;
• processi produttivi/prodotti con tecnici specializzati.
Le grandi aziende produttrici invece non necessitano di questi servizi essendo
organizzate autonomamente mentre le aziende assistite esportano anche in paesi
lontani e l’Associazione offre la propria consulenza e ne supporta le attività alla
luce di un know how acquisito negli anni.
Il primo supporto consiste nell’emissione dei certificati da allegare ai prodotti
ed è offerto in collaborazione con la Camera dell’Artigianato a titolo gratuito in
quanto l’associazione ne è socia.
L’associazione non ha statistiche sull’export dei propri soci, ma a livello generale di settore (quindi grandi e piccoli produttori) si registra un 25% di prodotto
esportato. Ad oggi le proporzioni dell’export sono 70% relativamente ai grandi
produttori mentre il restante 30% riguarda i piccoli: l’associazione confida che si
possa mantenere in futuro tale proporzione, tenuto conto della continua richiesta
dall’Europa di prodotti speciali, che proprio le birrerie di piccole dimensioni, e
quindi piú flessibili, potrebbero essere le più adatte a soddisfare.
Il mercato esprime potenzialità ma va verificata la disponibilità dei piccoli produttori a sostenere lo sviluppo, più facile da realizzare da parte dei grandi produttori.
Nel 2012 su 22 milioni di tonnellate prodotte risultano 5,6 ton. esportate: l’Italia
risulta essere il primo cliente e il partner più affidabile, viste le forti relazioni tra i
produttori bavaresi che visitano il paese e i clienti italiani.
Da qualche tempo si registra una forte richiesta dalla Cina per l’aumento della
capacità di acquisto da parte dei consumatori cinesi che cercano prodotti tedeschi
o bavaresi - immagine fattore di successo. Rispetto ai nuovi paesi, l’associazione s’interroga sulla sostenibilità della crescita e sull’instabilità dello sviluppo, in
quanto il rapporto si basa unicamente sull’importatore. Anche in Russia ci sono
difficoltà a creare un rapporto con il cliente finale, anche per le problematiche
legate alla lingua visto che i referenti russi non parlano altre lingue.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Per quanto riguarda le iniziative specifiche e l’accesso ai mercati, l’Associazione
utilizza i contatti del Ministero dell’Agricoltura bavarese e le Camere di Commercio all’estero con le quali concorda le modalità di partecipazione alle diverse
iniziative: per quanto riguarda le fiere si valuta la partecipazione diretta o negli
stand già organizzati con altre imprese, comunque su iniziativa dell’Associazione.
Per contro le missioni “Programma paese” sono organizzate con la Camera
dell’Artigianato e il supporto del Ministero dell’Agricoltura nelle seguenti fasi:
1.descrizione e conoscenza del mercato di riferimento;
2.colloqui individuali per valutare il reale interesse;
3.definizione della delegazione all’estero con piccolo contributo delle aziende
produttrici.
In merito alle spese da sostenere per la fase 2 e 3, le tariffe dipendono da paese
a paese - per un’iniziativa in repubblica Ceca le imprese hanno sopportato una
spesa di € 800,00.
La Camera dell’Artigianato in occasione di queste missioni valuta se organizzare
delle iniziative in collaborazione con altri settori - per es. birra e latte.
Per quanto riguarda la difesa del prodotto, la denominazione “Birra Bavarese” risulta protetta dalla UE consentendo pertanto di fruire di strumenti legali per agire
contro un uso improprio. Come già sopra riferito, da molti anni tuttavia si stanno
combattendo battaglie legali con un produttore olandese che ha denominato la birra “Bavaria”, tuttavia senza grandi risultati in quanto tale marchio risale a molto
tempo addietro e ben prima della decisione di proteggere la denominazione.
LfA Förderbank Bayern
Per quanto riguarda il supporto finanziario, a Monaco di Baviera ha sede una
importante banca regionale bavarese, la LfA Förderbank Bayern (LFA), fondata
nel 1951 per finanziare la ricostruzione economica della Baviera dopo la guerra,
ed attualmente considerata la banca di sviluppo della Regione di Baviera.
Il capitale sociale ammonta a € 368.000.000 e il patrimonio netto è di circa un
miliardo di euro.
Ha la forma giuridica di un istituto di diritto pubblico ed è diretta dal Consiglio di Gestione e dal Consiglio di amministrazione. In qualità di banca, LfA è
soggetta alla vigilanza della “Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht”
(BaFin - il Federal Financial Supervisory Authority) e alle disposizioni del “Kreditwesen-Gesetz” (KWG - Testo Unico Bancario tedesco).
In quanto istituzione pubblica, LfA è esente dall’imposta sulle società inoltre per
legge la responsabilità grava integralmente sul Libero Stato di Baviera.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Come risultato di ciò e grazie alle ridotte dimensioni della Banca (dispone solamente di circa 300 dipendenti) le operazioni sono altamente convenienti.
La mission della banca LfA, è di garantire il successo della Baviera nel tempo e
sostenere gli effetti positivi sul mercato del lavoro, concedendo prestiti in linea
con il criterio di “banca di casa“. LfA mantiene una posizione neutrale nei confronti delle banche commerciali e non è in concorrenza con loro.
Dalla sua fondazione, la Banca ha fornito circa 370.000 prestiti commerciali con
un importo a credito complessivo di 56 miliardi.
LfA Förderbank Bayern aiuta a realizzare i progetti delle imprese bavaresi
quando la finanza praticabile solo attraverso le banche commerciali non sarebbe possibile. La banca offre alle piccole e medie aziende bavaresi un programma
di supporto flessibile nelle diverse aree del business (avvio, crescita, innovazione,
tutela ambientale, consolidamento e infrastrutture) mediante prestiti a lungo termine e spesso a ridotti interessi.
Nel 2012, circa 5.400 aziende hanno ottenuto prestiti per un totale di quasi € 2,5
miliardi contribuendo a creare circa 6.100 nuovi posti di lavoro, garantendo nel
contempo il futuro di più di 156.000 posti di lavoro esistenti
In qualità di banca di sviluppo regionale, LfA supporta i progetti delle aziende
bavaresi, anche nel caso in cui trasferiscano attività in altri paesi, in quanto i
benefici delle opportunità nei mercati esteri possono essere particolarmente importanti, in particolare per le piccole imprese. Fornisce inoltre assistenza per le
attività estere che hanno influenza positiva sulla piazza economica bavarese.
In relazione alle operazioni di esportazione, LfA offre un valido sostegno alle
piccole - medie imprese, mediante controgaranzie e garanzie di pagamento (garanzia d’ordine e garanzia di indennizzo) che rendono possibile il finanziamento
di Commesse internazionali.
LfA offre “garanzia di ordine” in relazione a offerta, pagamento anticipato, consegna e altri tipi di garanzie, che sono spesso necessari in relazione a operazioni
di esportazione. Offre inoltre “garanzia di indennizzo” di norma pari al 50%, per
i prestiti ceduti da “banche di casa“ o compagnie di assicurazione per commesse
internazionali e nazionali.
Sono inoltre presenti “impegni quadro” a garanzia di ordini, nei quali le garanzie all’esportazione e le garanzie nazionali possono essere collocati in via
continuativa per un periodo concordato di non più di due anni e che sono a
disposizione di aziende o gruppi con un fatturato annuo non superiore a € 500
milioni.
Come sopra accennato, LfA sostiene con i propri prodotti finanziari, gli investimenti in paesi stranieri, in quanto contribuiscono alla capacità competitiva della regione (effetto Baviera). L‘assistenza di LfA rende più facile per
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
le imprese locali stabilire le proprie sedi e siti produttivi in paesi stranieri, o
stabilire relazioni con i partner di distribuzione e di marketing o partecipare
in joint venture.
Il sostegno finanziario è previsto per:
• gli investimenti e joint venture con una sostanziale quota di investimento bavarese;
• la costituzione di imprese controllate;
• l’acquisizione di immobili aziendali;
• gli investimenti in costruzioni e macchinari;
• gli investimenti in attrezzature per ufficio e operative, scorte di magazzino
iniziali e immobilizzazioni immateriali.
I prestiti, con tasso di interesse più basso degli attuali tassi di interesse di mercato, possono coprire fino al 100% delle somme di investimento richieste e possono
avere una durata di 10, 15 o 20 anni, di cui due senza rimborsi.
A titolo di garanzia e, a seconda del paese in cui sono realizzati gli investimenti,
è possibile garantire per rischi fino al 70%.
Camera di Commercio Italo-Tedesca di Monaco di Baviera
Il tour in Baviera si conclude con l’intervista alla Camera di commercio Italo-tedesca che ci ha assistito nella creazione dei contatti e nel supporto alle interviste.
La Camera, con sede a Monaco di Baviera, è un’associazione di imprese, liberi
professionisti e istituzioni che promuove le relazioni commerciali tra Italia e
Germania: è presente sul territorio tedesco con la sede principale di Monaco di
Baviera e con la filiale nella città di Stoccarda.
Costituita nel 1926 a Monaco, è riconosciuta dal Governo italiano ai sensi della
legge 1 luglio 1970, n. 518 ed ha come missione la promozione e lo sviluppo dei
contatti commerciali tra Italia e Germania, offrendo un punto di riferimento affidabile per tutti i soggetti che hanno interesse ai contatti con il mercato tedesco,
che costituisce il primo partner commerciale per l’Italia.
Grazie all’esperienza pluridecennale ed ai radicati contatti con il mondo imprenditoriale ed istituzionale, mette a disposizione un’ampia gamma di servizi in grado
di soddisfare sia le esigenze delle imprese che si affacciano sul mercato tedesco, o
che intendano ampliarvi la propria presenza, sia quelle dei soggetti istituzionali
che desiderino sviluppare assieme a loro delle attività di promozione in Germania.
Aderisce ad Assocamerestero che è l´Associazione delle Camere di Commercio
Italiane all´Estero (CCIE), nata alla fine degli anni ´80 per valorizzare le attività
delle Camere e per diffondere la conoscenza della rete delle CCIE presso le istiAnalisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
tuzioni italiane ed internazionali e presso le organizzazioni imprenditoriali. La
rete conta 74 Camere nel mondo, presenti in 49 paesi con 140 uffici, e oltre 24.000
imprese associate (il 70% sono aziende locali).
L’Associazione nazionale svolge una costante azione di indirizzo strategico per
le attività svolte dalle Camere di Commercio Italiane nel mondo a sostegno dell’
internazionalizzazione delle PMI e la promozione del Made in Italy, rappresentando le esigenze e le potenzialità delle CCIE attraverso un’assistenza specifica,
sia sul versante organizzativo che su quello progettuale. La sua funzione di rappresentanza e di lobbyng istituzionale è avvalorata dalla continua ricerca di collaborazioni con soggetti pubblici e privati e da un’intensa azione di comunicazione
verso i media italiani, le istituzioni e le imprese.
I soci della Camera di Commercio Italo-Tedesca possono usufruire di un’estesa
rete di contatti e di una serie di vantaggi esclusivi per essere accompagnati nello
sviluppo del proprio business.
La Camera supporta le decisioni attraverso l’individuazione delle migliori opportunità sul mercato tedesco, basata su un’analisi settoriale di dati statistici ed
economico-congiunturali a livello nazionale, di Länder o singole città.
Il servizio comprende:
• analisi accurata del prodotto/servizio che si vuole proporre sul mercato tedesco;
• relazione con descrizione del settore del mercato che interessa (principali attori del settore, dati statistici settoriali rilevanti), finalizzata a verificare la fattibilità dell’introduzione del prodotto/servizio sul mercato tedesco;
• fruizione di servizi di assistenza a condizioni agevolate o a titolo gratuito a
seconda della tipologia richiesta;
• partecipazione agli eventi associativi con la possibilità di sviluppare contatti
con potenziali clienti e/o partner;
• fruizione di agevolazioni presso esercizi convenzionati in tutto il Mondo attraverso la Membership Card di Assocamerestero.
Le aziende che necessitano di un supporto per l’individuazione di opportunità
commerciali in Germania o per l’ampliamento della rete commerciale attraverso
una ricerca di potenziali distributori od agenti di commercio, ottengono dalla Camera una consulenza specializzata, a partire dalla fase di start-up dell’attività in
Germania, fino allo sviluppo di progetti di ampliamento della presenza commerciale, strutturata in diverse soluzioni di ricerca personalizzate, compreso:
• identificazione della tipologia di agenti/ distributori/ clienti;
• implementazione di una piattaforma di potenziali leader sul mercato tedesco
sulla base delle caratteristiche specifiche dell’azienda e del prodotto;
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
• avvio dei contatti con i potenzali partners commerciali con presentazione
dell’azienda e follow-up;
• organizzazione incontri B2B presso i business center di Monaco di Baviera e/o
Stoccarda o presso altra sede;
• report finale a conclusione del servizio e consegna banche dati.
Nel caso si abbia necessità di acquisire informazioni importanti per un’analisi
dell’affidabilità di un’impresa tedesca, con cui si intende avviare o già si intrattengono dei rapporti di lavoro, la Camera fornisce informazioni dettagliate su
liquidità, solvibilità, dati di bilancio, organi aziendali, soci, partecipazioni, variazioni di capitale societario o di forma societaria, e ulteriori aspetti di interesse
relativi a singole aziende tedesche. La Camera è in grado di fornire visure dal
Registro delle imprese su tutto il territorio tedesco. L’estratto dal Registro delle
imprese è un documento ufficiale con valore legale che comprende generalmente:
• data di apertura/chiusura dell’attività;
• forma giuridica;
• nominativi degli amministratori;
• nomi di eventuali soci di maggioranza;
• breve descrizione dell’attività svolta.
La CCIT è autorizzata dall’Agenzia delle Entrate italiana e dall’Ufficio Imposte
tedesco a prestare il proprio servizio di assistenza per aziende con sede in Italia
che vogliano richiedere il rimborso dell’IVA tedesca, fungendo da intermediario
tra l’azienda richiedente e l’ufficio competente in Germania.
Seguono per conto delle aziende tutto l’iter previsto dalla legislazione per il rimborso dell’IVA pagata in Germania da una ditta appartenente ad un altro Paese
EU: dall’esame della documentazione necessaria, alla presentazione della domanda di rimborso per via telematica curando i contatti con l’Ufficio delle Imposte tedesco per eventuali chiarimenti e quesiti fino al bonifico dell’importo recuperato.
Anche per quanto concerne l’organizzazione di eventi di promozione dei prodotti italiani, di incontri con la stampa, convegni e missioni commerciali, la
Camera Italo-Tedesca mette a disposizione dei propri partners e clienti il suo
know how e i suoi consolidati contatti. In proposito sono in grado di offrire un
servizio completo per l’organizzazione dell’evento in ogni dettaglio, dalla sua
pianificazione all’individuazione della location più adatta e funzionale, dall’elaborazione grafica degli inviti alla sua promozione al target di partecipanti che
interessa raggiungere.
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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Per le aziende che intendono partecipare ad una manifestazione fieristica, possono fornire un pacchetto di servizi che comprende:
• l’organizzazione dello Stand;
• il Direct Marketing a potenziali visitatori;
• l’organizzazione di incontri d’affari con i clienti;
• il follow-up dei contatti dopo la fiera.
Il sito internet della Camera di Commercio Italo-Tedesca è visitato mensilmente
da oltre 3000 persone. È una piattaforma interattiva a disposizione di aziende e
professionisti che desiderino sviluppare i propri affari nel mercato tedesco.
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7. L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI
E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.1. UNGHERIA
Il presente capitolo è sostanzialmente frutto di colloqui personali (otto) e via
e mail o telefono (due) svoltisi tra giugno ed agosto 2013 con importatori di
prodotti agro alimentari di diversi settori, società di consulenza all’imprenditoria
e rappresentanti di istituzioni, quali Agenzia Ice e Ambasciata d’Italia di Budapest.
In occasione del viaggio in Ungheria si sono, inoltre, effettuate rilevazioni prezzi, relative a prodotti italiani confezionati, in alcuni punti vendita di Auchan,
Cba, Spar, Tesco e si sono visitati il mercato ortofrutticolo all’ingrosso e lo storico
mercato al dettaglio al centro di Budapest.
7.1.1. LA FOTOGRAFIA DEL PAESE
L’Ungheria è un paese di poco più di 10 milioni di abitanti.
La capitale Budapest ha una popolazione di 1,8 milioni che con l’agglomerato
urbano sale a 2,5.
Budapest è il centro motore del paese e, con il suo grande afflusso turistico,
rappresenta il 30 - 35% dei consumi alimentari ungheresi.
L’Ungheria ha una superficie di 93.000 kmq, circa un terzo di quella italiana e una
densità di 108 abitanti per kmq, la metà di quella italiana.
Suo punto di forza è l’essere il crocevia dell’Europa centrale, confina infatti con
ben sette stati: Austria, Slovenia, Croazia, Serbia, Slovacchia, Romania, Ucraina.
Il suo sistema autostradale è molto migliorato rispetto a 6-7 anni fa e ora tutte le
autostrade che s’irradiano da Budapest raggiungono gli stati confinanti, mentre
in precedenza terminavano in territorio ungherese a 150 - 200 km dalla capitale.
Il Pil ungherese nel 2013 supera i 98 miliardi di euro, circa il 6% di quello italiano
e ha ripreso a crescere dopo la contrazione del 2012.
La moneta ufficiale è il fiorino: a luglio 2013 un euro valeva 295 fiorini, nel febbraio 2014 310.
Il tasso di inflazione nel 2013 ha superato l’8%.
7.1.2. L’IMPORT E L’EXPORT
Nel 2012 l’export ungherese è stato pari a 83 miliardi di euro, con l’Italia in 5a
posizione tra i paesi importatori dietro a Germania (il grande partner), Romania,
Slovacchia e Austria.
L’import ammonta a 79 miliardi, con l’Italia in 7a posizione tra i paesi esportatori, preceduta da Germania, Russia (grazie ai prodotti energetici), Cina, Austria,
Slovacchia, Polonia.
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
L’import di alimentari e bevande (escluso ortofrutta fresca) rappresenta il 5,2%
del totale (cioè 3,9 miliardi) e qui l’Italia si colloca al sesto posto dopo Germania,
il cui peso è di circa 4 volte quello dell’Italia, Polonia, Slovacchia, Austria, Paesi
Bassi.
L’import di alimentari, bevande e ortofrutta fresca provenienti dall’Italia nel 2013
vale 254 milioni di euro.
ESPORTAZIONI ITALIANE IN UNGHERIA (000 EURO)
CATEGORIE
2000
2012
2013
101 - Carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne
6.870
26.296
18.444
693
4.141
4.872
103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati
4.174
21.459
23.747
104 - Oli e grassi vegetali e animali
6.040
21.069
31.175
105 - Prodotti delle industrie lattiero-casearie
535
6.297
9.669
106 - Granaglie, amidi e di prodotti amidacei
8.812
18.141
21.452
107 - Prodotti da forno e farinacei
4.687
14.027
14.686
108 - Altri prodotti alimentari
8.092
36.906
33.030
109 - Prodotti per l’alimentazione degli animali
3.434
15.402
15.493
43.337
163.738
172.568
497
509
794
1.276
34.510
27.793
867
2.417
3.384
11030 - Sidro e altri vini a base di frutta
1
18
10
11040 - Altre bevande fermentate non distillate
4
1.053
945
11050 - Birra
.
560
566
11070 - Bibite analcoliche, acque minerali
1.908
4.235
4.949
SUBTOTALE
4.553
43.302
38.441
012 - Prodotti di colture permanenti (frutta fresca)
9.342
37.541
27.029
01130 - Ortaggi
1.548
16.122
16.553
89
240
130
SUBTOTALE
10.979
53.903
43.712
TOTALE
58.869
260.943
254.721
102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e conservati
SUBTOTALE
11010 - Bevande alcoliche distillate, rettifiche e miscelate
11021 - Vini da tavola e vini di qualità
11022 - Vino spumante e altri vini speciali
01134 - Patate
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
L’Italia esporta principalmente:
• ortofrutta fresca e conservata
• vino, in grande quantità sfuso
• carni lavorate e prodotti a base di carne
• pasta e prodotti da pasticceria, freschi e conservati
• riso
• caffè
• piatti pronti
• derivati del latte
oltre a prodotti per l’alimentazione animale.
Nel 2013 si registra una flessione di circa il 2% da imputare in particolare all’ortofrutta fresca, alle carni e ai vini, in contenitori superiori ai 2 lt, ma il nostro export
rispetto all’anno 2000 è incrementato di quasi cinque volte.
Questa flessione, a fronte di un incremento delle importazioni agroalimentari
ungheresi porta ad una perdita di quota del nostro export di circa mezzo punto
percentuale, quota che scende al 5,3%.
7.1.3. I CONSUMI ALIMENTARI E LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
I consumi alimentari ungheresi, concentrati nella carne suina e salumi, nella
carne avicola, nelle patate e cipolle, nel latte e derivati, non sono particolarmente
effervescenti.
Dal 2000, in base ai dati dell’Ufficio Centrale di Statistica (KSH), poche categorie appaiono in crescita e alcune, come carni, uova e anche ortofrutta segnano
flessioni non marginali.
Sulla base dei colloqui con gli operatori e degli ultimi dati Nielsen e KSH emerge,
anche nell’ultimo periodo, un quadro dei consumi alimentari sostanzialmente
statico, se non flettente.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
CONSUMI PRO-CAPITE (KG, ECCETTO UOVA)
CATEGORIE
2000
2010
2011
Carne totale, di cui
70,2
56,7
55,8
Suino
28,0
25,3
24,8
Avicoli
33,7
24,6
24,4
3,0
3,5
3,6
Latte e derivati esc. burro
160,6
156,8
152,3
Uova - Pz
275,0
235,0
217,0
39,0
34,6
34,4
0,9
1,2
1,2
Olio e margarina
18,0
20,1
19,9
Farina
89,4
83,2
80,3
4,7
5,1
4,6
64,0
60,5
63,5
217,0
190,0
177,0
33,6
29,2
28,4
Caffè
2,8
2,3
2,2
Vino
28,3
23,4
26,0
Birra
71,6
66,4
69,1
6,4
6,3
6,5
Pesce
Grassi, di cui
Burro
Riso
Patate
Frutta e verdura
Zucchero
Spirits
Nel sistema distributivo ungherese le grandi catene inglesi, francesi, tedesche e
austriache stanno dominando.
PRESENZA DELLE GRANDI CATENE DELLA GDO (FATTURATO 2011 MIL. EURO - FONTE NIELSEN)
CATENA
NAZIONE
FATTURATO
N. PUNTI VENDITA
IPER
SUPER
DISCOUNT
ALTRI
DETTAGLIO
TOTALE
DETTAGLIO
INGROSSO
Tesco
GB
2.526
118
57
0
37
212
Cba
HU
2.170
8
819
22
2.255
3.104
94
Coop
HU
1.927
0
131
73
5.039
5.243
55
Spar
AU
1.395
31
358
0
0
389
Real
HU
1.314
0
540
0
1.600
2.140
Auchan
FR
1.131
19
0
0
0
19
Lidl
DE
840
0
0
148
0
148
Metro
DE
659
0
0
0
0
0
Penny
DE
604
0
0
189
0
189
Aldi
DE
247
0
0
78
0
78
12.154
176
1.905
510
8.931
11.522
Totale
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Le grandi catene hanno cominciato la loro scalata al mercato ungherese nel 1996.
Sono stati i costruttori di centri commerciali a dare il via: iniziavano a costruire, poi
affittavano gli spazi.
Il primo nuovo centro è il Duna Plaza a Budapest, che vede un Cba Prima come grande
punto vendita alimentare.
Hanno seguito Tesco e Auchan, dando vita a parchi commerciali dove la locomotiva è
l’ipermercato, in genere di notevoli dimensioni e proprio in Ungheria, a Budaors nei
pressi di Budapest, è localizzato uno dei maggiori punti vendita Auchan d’Europa.
Negli anni 90 non vi era programmazione commerciale e tante micro botteghe hanno
così cessato l’attività.
Le licenze per attivare grandi superfici sono state poi bloccate a partire dall’1 gennaio
2012 per almeno tre anni.
Nel 2011 erano attivi 176 ipermercati, 1905 supermercati, 530 discount, con una densità,
rapportata al numero degli abitanti, superiore, per i primi due format, a quella italiana.
Tesco è il principale competitore, seguito da Cba, Coop e Spar.
Cba e Coop sono due catene ungheresi e quest’ultima pare in una fase non particolarmente brillante.
I suoi punti vendita, di piccole dimensioni e in franchising, sono localizzati soprattutto
nelle periferie delle città e nei piccoli centri abitati.
I competitori più temibili appaiono Tesco, Cba, Spar, Auchan, oltre ai discounter Aldi,
Lidl, Penny (Rewe) che stanno acquisendo sempre più quote di mercato ed esprimono
una notevolissima aggressività: molti punti vendita sono aperti 24 ore su 24, 7 giorni su
7 o, in ogni caso, 7 giorni su 7.
Non va trascurata neppure Metro, attiva con ben 13 cash and carry nei principali centri
del Paese, che sviluppa un fatturato di 650 milioni di euro, da considerarsi, rapportato
alle potenzialità di acquisto del paese, doppio rispetto a quello di Metro Italia.
KSH dichiara attivi 45.000 punti vendita al dettaglio, ma il numero sembra elevato
considerando la popolazione e la quota di mercato acquisita dalle grandi catene (70-75%
nel grocery).
A parte gli 11.500 punti vendita delle grandi catene, gli altri sono senz’altro piccole realtà,
operanti soprattutto in mercati rionali e nei piccoli centri abitati.
PUNTI VENDITA AL DETTAGLIO PER TIPOLOGIA
PUNTO VENDITA
2000
2011
2012
Non specializzato con prevalenza food
37.154
25.398
25.320
Specializzato food, beverages e tabacco
14.571
19.008
19.885
Totale
51.725
44.406
45.205
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Questi punti vendita offrono per lo più:
• ortaggi, con notevoli quantità di cipolle, patate, rape, cetrioli e frutta di stagione soprattutto ungherese: albicocche, ciliegie, pesche, di qualità non eccelsa e prezzi piuttosto alti in rapporto al potere d’acquisto ungherese;
• carni e salumi ungheresi (Pick marca principale).
Sempre KSH dichiara attivi oltre 55.000 ristoranti, buffet e pub, numero che si è mantenuto sostanzialmente stabile negli ultimi 7-8 anni.
Si stima, inoltre, che operino 80 società italiane nei servizi di ristorazione e gastronomia,
con 14 ristoranti a Budapest insigniti del marchio di qualità “Ospitalità Italiana”.
7.1.4. REQUISITI RICHIESTI AL FORNITORE
Non vi sono particolari barriere all’import del prodotto italiano, considerato di buona
qualità e ben apprezzato dai consumatori più attenti.
In genere l’esportatore italiano si avvale di importatori, soprattutto per i prodotti confezionati e di grossisti per l’ortofrutta.
Per quello che ci risulta, soltanto Ferrero è presente in Ungheria, con ottima visibilità nei
punti vendita, direttamente con una propria società (Ferrero Magyarország Kft).
I requisiti più importanti richiesti dai clienti ungheresi al fornitore sono sostanzialmente:
• la serietà nel rapporto;
• la volontà di investire con una prospettiva di lungo periodo;
• la disponibilità a piccole concessioni (tipo invio di campionature) che possono agevolare il lavoro del cliente;
• la determinazione a lavorare al fine di accreditare, in una certa misura, la marca;
• la disponibilità a sostenere, in partnership con l’importatore, attività sui punti vendita
della gdo;
• l’attenzione, soprattutto in ortofrutta, a corrispondere pienamente agli standard richiesti e a offrire un prodotto ben lavorato e selezionato;
• l’attenzione al giusto rapporto qualità prezzo;
• la capacità di offrire prodotti nuovi e diversi.
Non pare, invece, avere fondamentale interesse per il cliente che il prodotto provenga
o meno da una realtà cooperativa e anche la dimensione del fornitore ha scarso rilievo,
anche se si può presumere che un operatore di maggiori dimensioni sia in genere meglio
strutturato per affrontare i mercati esteri.
Ciò che rileva è la qualità del rapporto.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.1.5. PRODOTTI CONCORRENTI DI QUELLI ITALIANI
Prodotti concorrenti di quelli italiani ve ne sono parecchi, in particolare:
• in ortofrutta, a seconda delle tipologie di prodotto, incalzano quelli provenienti da
Spagna, Grecia e Paesi Bassi, apprezzati, specialmente questi ultimi, per qualità,
lavorazione, calibratura e prezzo;
• nell’olio d’oliva il prodotto spagnolo ha un posizionamento analogo a quello delle
marche italiane, ma è presente in quantità minori nei punti vendita;
• nelle mozzarelle sono i produttori ungheresi, oltre al tedesco Zott, i dominanti
(Szarvasi in primis), con qualità ritenuta di tutto rispetto;
• nella pasta si ritrovano grandi quantità di prodotto ungherese, considerato però di
qualità inferiore e in ogni caso diversa rispetto a quella del prodotto italiano. E nei
punti vendita si ritrova pure la franco-spagnola Panzani.
Gyermelyi è il maggior produttore ungherese con oltre 430 addetti e 30% di quota nel
mercato domestico.
Il primo grande concorrente del prodotto confezionato a marca italiana si può, però,
considerare quello a marca privata: ormai le principali catene stanno gestendo con notevole attenzione e accuratezza le loro linee.
7.1.6. FORZE E DEBOLEZZE DELL’OFFERTA ITALIANA
I punti di forza del prodotto italiano risiedono:
• nella sua qualità e nella sua immagine di qualità;
• in una certa misura nella ristorazione che può contribuire a veicolare ed accreditare le
positive valenze delle nostre produzioni e tradizioni culinarie;
• nella logistica, in quanto l’Italia è un paese vicino, facilmente raggiungibile, almeno
più comodamente di Spagna, Paesi Bassi, Grecia.
I punti di debolezza si ritrovano invece:
• nel prezzo, particolarmente elevato, a cui viene proposto al consumatore, prezzo
che fa sì che si indirizzi sostanzialmente a quella fascia medio e medio alta della
popolazione con maggiori disponibilità, che già lo conosce in virtù di viaggi in Italia,
di passaparola, di informazione dei media. Il prezzo determina altresì il posizionamento e, nel contempo, ne è una risultante, quindi un prezzo elevato non sempre
deve considerarsi una vera debolezza;
• nella non sempre convinta e continua azione del fornitore che talvolta si colloca
in una prospettiva di “cogli l’opportunità al volo”, anziché lavorare in un’ottica di
medio lungo periodo;
• nel non costante rispetto degli standard concordati, in particolare in ortofrutta.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.1.7. I CANALI DI VENDITA DEL PRODOTTO ITALIANO
Il prodotto italiano si indirizza verso molteplici canali distributivi: grandi catene, ristorazione, delicatessen e pure piccolo dettaglio.
I piccoli dettaglianti, in particolare di prodotti ortofrutticoli, non è raro che si approvvigionino nei mercati all’ingrosso locali o in quelli italiani (Udine, Verona, Padova e anche
Bologna), con trasporto gestito direttamente da loro.
Pur con pesi ancora molto marginali, sta nascendo il canale della vendita online, come,
ad esempio, il negozio Punto Italia di Budapest, attivo con una ricca offerta di prodotti
italiani (Barilla, Lavazza, Kimbo, Fattorie Ferrarini, Roberto, Mutti, Brimi,…), secchi e
freschi (incluso ortofrutta confezionata).
Nei grandi punti vendita della gdo il prodotto italiano è meglio rintracciabile e qui le
marche che si ritrovano più di frequente sono:
MARCHI
ALCE NERO
LAVAZZA
BARILLA
MARTINI
BERIO
MONINI
BERTOLLI
MUTTI
CINZANO
OLITALIA
CIRIO
PARMALAT
COLAVITA
SEGAFREDO
FERRERO (NUTELLA, KINDER,…)
VERGNANO
ma pure Illy, Isola Bio, Kimbo, Ferrarini, Gran Moravia, Rio Mare, Zanetti,…
Entrare nelle catene significa, come avviene in Italia, investire nei listing fee e poi seguire
il prodotto per aumentarne la rotazione e la notorietà, partecipando alle attività promozionali che le catene vanno costruendo nel corso dell’anno (volantini e tagli prezzo).
È certo però che le principali catene distributive, quelle che dispongono dei punti vendita di maggiori dimensioni, con un parco clienti più disponibile a sperimentare prodotti
diversi, non locali, di maggiore valore aggiunto, sono quelle inglesi, francesi, tedesche,
austriache e ciò di certo non aiuta, a parità di ogni altra condizione, il referenziamento
del prodotto italiano.
L’importatore ha un ruolo fondamentale: è lui che dialoga con la catena e valuta le opportunità di inserimento e di vivacizzazione nel punto vendita, ma in ciò deve essere
supportato dal fornitore che valuterà a sua volta i costi a proprio carico e i ritorni degli
investimenti.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Mentre non pare che, salvo eccezioni, i fornitori italiani stipulino accordi direttamente con le catene.
In ortofrutta le catene esprimono comportamenti d’acquisto diversi le une dalle altre,
comportamenti che le caratterizzano, ad esempio:
• Tesco acquista molto dai produttori dei diversi paesi, direttamente o attraverso
intermediari;
• Spar acquista parte da produttori, parte da grossisti nei mercati all’ingrosso
ungheresi;
• Lidl fa giungere il prodotto dalle sue piattaforme;
• Cba acquista soprattutto da grossisti dei mercati all’ingrosso ungheresi.
Le maggiori catene richiedono precisi standard (tracciabilità, tenore zuccherino, specifica varietà, pack) e prezzi contenuti, d’altra parte il potere contrattuale è nelle loro mani.
Sempre nel settore ortofrutta il prodotto italiano può essere acquistato dalle catene
presso grossisti in uno dei sei mercati ungheresi, presso grossisti operanti fuori mercato
o direttamente in Italia.
Nel caso di acquisto presso un operatore italiano, l’acquirente non di rado si avvale di
agenti o intermediari che aiutano a selezionare il fornitore, garantiscono, in una certa
misura, quest’ultimo da rischi di credito e aiutano ad ottenere condizioni più vantaggiose.
I mercati ortofrutticoli all’ingrosso ungheresi sono alimentati anche da tanti agricoltori
che portano giornalmente il loro prodotto di stagione ai grossisti o per la vendita diretta
a negozianti e ristoratori.
Numerosi sono i prodotti italiani confezionati che si ritrovano nei grandi punti vendita,
anche se talvolta in piccole quantità.
In tre settori la presenza italiana del prodotto confezionato appare più massiccia:
pasta, caffè e olio di oliva, per quest’ultimo si deve osservare che non sempre si tratta di
extravergine, ma pure di olio di oliva e di oliva e sansa.
Nell’olio di oliva, il prodotto a marca italiana è dominante, incalzato da qualche referenza spagnola; si deve però considerare che i consumi ungheresi sono molto orientatati
verso l’olio di semi.
Mentre nella pasta, come detto in precedenza, grande è la quantità di prodotto ungherese
(di qualità inferiore alla pasta italiana), e così pure nelle mozzarelle, considerate invece
di buona qualità.
Anche i sughi pronti, con Barilla e Cirio, godono di un buono spazio.
Si deve poi osservare che le catene giocano fortemente le Private Label, non di rado
con più linee, in tutti i prodotti che hanno una spiccata caratterizzazione di italianità:
dalla pasta alle conserve di pomodoro, dall’olio al vino.
Nel vino, però, la presenza delle marche italiane è piuttosto debole: si rileva qualche
sporadica e non sempre nota etichetta.
Segnaliamo, per semplice informazione, i prezzi (non in offerta - in euro) di alcune referenze
rilevati in punti vendita a Budapest e nell’area circostante (cambio luglio 2013:1 euro = 295 huf).
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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PREZZI DI ALCUNE REFERENZE RILEVATI A BUDAPEST
PRODOTTO
MARCA
FORMATO
PREZZO
caffè
Lavazza Qualità Oro
250 gr.
3,878
caffè
Segafredo
250 gr.
4,064
caffè
Vergnano - barattolo
250 gr.
6,776
caffè
Pellini Top - barattolo
250 gr.
8,603
crema
spalmabile
Nutella
400 gr.
2,834
burro
Gran Moravia
250 gr.
1,963
gorgonzola
Plus Bon - Dop
1000 gr.
15,220
latte
Parmalat - intero
100 cl.
0,980
latte di riso
Isola Bio
100 cl.
2,607
mozzarella
Bufala Dop - Zanetti
100 gr.
2,468
panna spray
Hoplà Tre Valli
250 gr.
1,692
olio extra
vergine
Monini
1000 ml.
8,102
olio extra
vergine
Olitalia
1000 ml.
8,407
olio extra
vergine
Berio
500 ml.
4,573
olio extra
vergine
Basso
500 ml.
4,664
passata
Cirio - cartone
500 gr.
1,319
passata
Mutti - cartone
500 gr.
1,488
pasta
Colavita
500 gr.
1,251
pasta
Barilla
500 gr.
1,285
sugo pronto
Alce Nero Bio
200 gr.
3,441
sugo pronto
Barilla
400 gr.
3,695
vino
La Gioiosa
250 ml.
1,359
vino
Lambrusco Casa Dell’Albero
750 ml.
3,725
vino
Gavi Doc
750 ml.
5,081
La ristorazione è un canale di indubbio interesse, soprattutto nell’area di Budapest e in
particolare per il vino, ma è un canale da valutare con attenzione.
Vi sono società ungheresi specializzate nel foodservice, ma non si caratterizzano per dimensioni robuste (tipo Marr o Quartiglia in Italia), d’altra parte pare che i ristoratori siano attivi nell’acquisto diretto da produttori e grossisti, anche oltre confine, con trasporto
gestito in proprio.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Una variabile non marginale da considerare è la propensione dei ristoratori all’acquisto
senza fattura, che l’elevata aliquota iva, passata nel 2102 dal 25 al 27%, sembra incentivare.
Si deve, inoltre, considerare il forte peso che Metro, la cui offerta si rivolge prioritariamente al canale Horeca, esprime nel panorama ungherese.
I ristoranti italiani sono di certo i più interessati al prodotto italiano e alcuni di questi,
in particolare i più importanti, vedono tra i loro fornitori importatori di prodotti italiani.
Va però osservato che non pochi ristoranti ad insegna italiana, ad esempio “Da Raffaello” a Budapest, sono gestiti da ungheresi che in genere li hanno rilevati dal precedente
titolare italiano.
In questi ristoranti ad insegna italiana e gestione ungherese, cuochi italiani vengono
spesso chiamati per fare formazione sulla nostra cucina.
Nell’ambito degli ortaggi i ristoranti ungheresi sono orientati verso cipolle, patate,
cavolfiori, peperoni, cetrioli, quelli italiani verso rucola e insalata mista.
Le pizzerie di Budapest si approvvigionano di filoni di pasta filata da produttori ungheresi.
Un altro canale di interesse per il prodotto italiano risulta quello dei negozi specializzati, i “delicatessen”, concentrati in Budpapest, tipo Culinaris Kft, Gusti Meditarreneo
Kft, Olaszbolt Kft, ma non vi sono informazioni precise sul loro numero e sulle loro
potenzialità in termini di acquisto.
I prodotti italiani, come tutti quelli di fascia alta e di qualità, subiscono ricarichi notevoli
nei diversi passaggi che naturalmente variano in funzione di diversi parametri.
Dalle dichiarazioni raccolte risulta che gli importatori possono ricaricare a seconda delle
tipologie di prodotto e delle marche, dal 30 al 50%, mentre le catene della gdo dal 40 al
150%, anche se questa ultima cifra ci sembra elevata.
7.1.8. BARRIERE ALL’IMPORTAZIONE
Non esistono barriere all’importazione dall’Italia, né sostanziali ostacoli burocratici.
Pare, però, che vi siano da parte delle autorità di vigilanza controlli frequenti sui vini di
importazione circa la regolarità delle etichette e la corrispondenza del magazzino fisico
con quello contabile. E anche in ortofrutta si segnalano numerosi controlli della polizia
sugli automezzi che trasportano il prodotto ai punti vendita.
Nel caso di contestazioni, riguardanti prevalentemente l’origine del prodotto, il fornitore
ungherese, responsabile del trasporto, deve fornire in poche ore la documentazione che
attesti la regolarità del suo operato.
Le oscillazioni del fiorino nei confronti dell’euro, valuta dei paesi che rappresentano
almeno il 60% dell’interscambio ungherese, senza dubbio qualche problema lo
stanno creando agli importatori, almeno per una programmazione di medio periodo, ma
sembra altresì che costoro già si siano abituati e riescano a convivere sufficientemente
bene con le fluttuazioni della loro valuta.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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7.1.9. LE PROSPETTIVE DELL’ECONOMIA UNGHERESE E DELL’EXPORT ITALIANO
Il 2012 è stato un anno particolarmente critico per l’economia ungherese con il pil in flessione, per la prima volta dal 2009, dell’1,7%.
Il governo sta tenendo sotto controllo il deficit e il debito e nel giugno 2013 l’Ungheria è uscita dalla procedura di deficit eccessivo, pur non essendo un obiettivo ancora
consolidato.
Nel perseguimento di questo obiettivo sono state introdotte nuove imposte che hanno
colpito banche, catene gdo, terreni agricoli, utilities (gas, energia elettrica), tutti settori
dove è forte la presenza di capitale estero e nei quali il governo ritiene che si siano realizzati nel recente passato grandi utili.
Inoltre vi sono stati aggravi di tariffe (vedi quelle autostradali), di tasse su transazioni finanziarie, su rendite da capitale, su imballaggi,… ed è stata elevata al 27% l’aliquota iva.
Questa politica, restrittiva, di risanamento dei conti pubblici non ha certamente stimolato i consumi.
Ma l’Ungheria ha buoni atout:
• logistica: il paese è un crocevia tra mercati dell’Est e dell’Ovest Europa;
• elevato livello di formazione delle giovani generazioni;
• costo del lavoro contenuto
che certamente aiuteranno nei prossimi anni, come già hanno aiutato negli anni scorsi.
Ora pare intravedersi qualche segnale di ripresa dei consumi, mentre il pil già nel 2013
ha messo a segno un dignitoso recupero pari all’1%.
Il trend dell’export italiano pare ben correlato al ciclo economico ungherese, quindi una
ripresa del pil e dei consumi non può che favorirlo.
Ma il recupero del nostro export alimentare viene dai più posto in relazione soprattutto
all’incremento turistico ungherese, di Budapest in particolare, e quindi al canale Horeca.
TREND DELL’EXPORT ITALIANO (MILIONI DI EURO)
2000
2008
2009
2010
2011
2012
2013
43
158
134
137
164
163
173
5
22
13
19
41
43
38
Ortofrutta
11
65
42
55
59
54
43
Totale
59
245
189
211
264
260
254
Alimentari
Bevande
Riteniamo tuttavia che, come ha dichiarato un autorevole nostro interlocutore nel corso
della visita nel paese, gli italiani per trarre buone soddisfazioni debbono lavorare con
metodo, conoscere bene il territorio, i clienti e i canali di vendita e porsi obiettivi di lungo
periodo, senza andare a caccia di occasioni mordi e fuggi, che possono offrire qualche
ritorno nell’immediato, ma non consolidano la presenza e la qualità delle relazioni.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Per di più gli importatori e operatori ungheresi richiedono ancora maggiore collaborazione, disponibilità ad investire e in ortofrutta grande attenzione agli standard del
prodotto: il made in Italy si rafforza anche e soprattutto attraverso la qualità della
relazione e la buon reputazione del fornitore.
7.2. REGNO UNITO
7.2.1. IL CONTESTO
Il contesto del Regno Unito, tracciato dalle pubblicazioni di Ice-Italian Trade Agency,
Assocamerestero, The Italian Chamber of Commerce for the UK e Studio Cerbone, indica una popolazione pari a 63,5 milioni di persone, di cui 8,2 milioni residenti a Londra.
La comunità italiana si colloca sui 220 mila abitanti. È la sesta economia al mondo (la terza in Europa), oltre ad essere una delle più globalizzate. L’economia risente ancora, tuttavia, della crisi iniziata nel 2009. Per arginare il problema del calo della domanda di beni
di consumo, si sono diffuse strategie come il taglio dei prezzi e le vendite promozionali.
Il Regno Unito è uno dei maggiori mercati di sbocco per le produzioni alimentari del
nostro paese. Le esportazioni italiane di prodotti alimentari e bevande verso il Regno
Unito si collocano su un fatturato di 2,7 miliardi di euro (anno 2013). La variazione media
annua dell’ultimo quinquennio è stata del 5,5%. La quota in valore detenuta dall’Italia è
intorno al 6% dell’import complessivo britannico agroalimentare.
Nell’ambito dell’export italiano, si notano il vino con il 23%, la pasta (12%), gli ortaggi trasformati - soprattutto derivati del pomodoro (16%), i formaggi (8%), i salumi (8%), l’olio (3%).
Per i prodotti alimentari, l’IVA è pari allo 0%, con poche eccezioni peraltro non riguardanti i nostri flussi di export. I vini sono soggetti all’IVA del 20% e ad accise elevate (intorno a £ 2,5 per litro).
Lo scenario della distribuzione alimentare vede un dominio dalle catene della Gdo britannica.
Le prime quattro catene controllano circa l’80% della spesa complessiva delle famiglie
britanniche per i prodotti alimentari. Negli ultimi anni è cresciuto il peso di distributori
che adottano politiche di discount.
Tempi e costi di trasporto si possono rivelare una barriera importante per le aziende
italiane di dimensione non elevata.
I consumatori di beni alimentari possono essere suddivisi in quattro categorie:
• i gourmless: acquirenti che prestano poca attenzione alla qualità e si focalizzano sulla
praticità;
• gli unconvenience, che considerano la qualità e la freschezza elementi importanti
nella scelta;
• i locals, che acquistano prodotti alimentari freschi in punti vendita di ridotte dimensioni;
• i puristi, che acquistano esclusivamente prodotti qualitativamente elevati, freschi e genuini.
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
La sfida per l’imprenditore italiano che intende avere successo nel mercato britannico è
quella di trovare la formula che coniughi tradizione e innovazione.
È importante puntare su qualità e su sapori particolari, su canali distributivi come ristorazione e punti di vendita di alto livello che servono i segmenti di mercato sensibili
a qualità, su rispetto per l’ambiente e consumo etico. La ristorazione italiana di alto
livello negli ultimi anni si è andata sempre più affermando nel Regno Unito e specialmente a Londra.
Sono sempre più numerosi i consumatori sensibili alle problematiche dell’impatto del
produttore sull’ambiente: si tratta di un tasto che è sempre più spesso considerato dalle
imprese un elemento indispensabile per acquisire vantaggio competitivo. Le maggiori
catene di supermercati hanno eliminato i contenitori non bio-degradabili in numerose
linee di prodotto.
Prodotti biologici e commercio equo e solidale sono un fenomeno a crescente rilevanza.
7.2.2. I PARERI DELLE ISTITUZIONI
Il mercato del Regno Unito cresce sotto l’aspetto numerico, anche perché l’immigrazione
si caratterizza per una elevata natalità. Si riscontra una immigrazione di livello piuttosto
alto, se confrontata con quella che arriva in Italia.
Il mercato del Regno Unito è molto ricettivo verso i prodotti esteri e nei confronti delle innovazioni. In particolare, è ricettivo verso le imprese alimentari italiane. Ci sono
abitudini proprie del Regno Unito in ambito alimentare, ma la storia è un po’ povera
da questo punto di vista. Anche per questo una larga fascia di popolazione è aperta al
prodotto estero.
C’è un atteggiamento positivo verso il prodotto italiano, si è convinti che esista una buona tutela delle indicazioni geografiche. A Londra, soprattutto, il consumatore è attento,
anche all’Italian style; nelle aree più rurali ci sono invece minori attenzioni e conoscenze.
Il consumatore dei grandi centri è più consapevole dei plus del prodotto italiano, per
esempio in riferimento alla salvaguardia del territorio. Nelle altre zone, sono diversi
gli atteggiamenti e pure gli stili alimentari. Londra è un caso particolare, dove la sensibilità è elevata e l’apertura verso costumi alimentari diversi è superiore. Nella capitale,
esistono mercati finanziari pronti a sponsorizzare iniziative come Eataly. Le banche
incentivano l’ingresso di nuovi operatori nella ristorazione e nella distribuzione, anche
per cercare alternative alla Gdo. La ristorazione aiuta il prodotto italiano, in quanto
offre solitamente i prodotti migliori.
L’Italia ha un rilevante spazio potenziale di crescita, ma la principale difficoltà è la dimensione della classica azienda italiana; in tanti casi, non ci sono le risorse per investire
in maniera adeguata. Le imprese italiane si dovrebbero organizzare in gruppi e consorzi,
per affrontare adeguatamente questo mercato.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Altre importanti difficoltà nell’esportare nel Regno Unito sono legate ai costi di
trasporto, alle accise su alcuni prodotti, e a tutto ciò che fa lievitare i prezzi finali, al
punto che in tanti casi si rischia di essere fuori mercato rispetto ai prodotti locali. Ci sono
inoltre referenze di altre provenienze molto competitive (dal punto di vista del prezzo)
rispetto ai prodotti italiani, come i vini australiani venduti nei canali della Gdo.
L’Italia è vista come un paese di alto livello, in riferimento al food, ma l’italiano è
percepito a volte come poco affidabile, un fornitore che non dà sicurezze.
L’azienda italiana quindi genera prudenza e timori. Un consorzio di cooperative, data la
maggiore dimensione, potrebbe fornire maggiori garanzie.
È necessario avere un buon rapporto qualità/prezzo, sono importanti la partecipazione
alle fiere, una buona attenzione alla logistica, mentre gli investimenti nel brand richiedono cifre alquanto elevate, che solo le multinazionali riescono ad affrontare.
Altri problemi sono costituiti dal fatto che il mercato britannico dei prodotti alimentari è
molto affollato e peraltro maturo, e da una piuttosto evidente e diffusa obesità.
È infatti in vigore un sistema di segnalazioni sulle confezioni dei prodotti, che indica le
quantità di grassi, zuccheri, calorie, ecc. presenti nel prodotto. Da questo punto di vista,
l’Italia offre referenze piuttosto pesanti, in genere, e la caratteristica peculiare del prodotto italiano è in tanti casi da bollino rosso.
In questo momento, stanno affiorando molte rimostranze, per esempio da parte del settore dolciario, nei confronti del semaforo, ossia nei confronti della normativa che ha generato una sorta di classificazione dei prodotti alimentari e che in un certo senso prevarica le
posizioni dell’UE, tanto che è in corso una chiarificazione a livello europeo su questo
sistema.
Quello del Regno Unito è un mercato che si caratterizza per una marcata presenza della
Gdo, la quale detta letteralmente legge.
A fianco di una forte concentrazione della funzione di buyer, affiora la tendenza del
consumatore a tornare ai supermercati a scapito degli ipermercati. I trend migliori li hanno per esempio i Sainsbury Local, con piccole dimensioni di vendita. Si sviluppa anche la
vendita on line per le grandi spese.
Rispetto al mercato delle delicatessen, la Gdo è in aumento, a causa anche della crisi
che ha favorito le soluzioni tendenzialmente economiche. C’è comunque una parte di
popolazione con elevata capacità di acquisto, grazie alla quale le delicatessen mantengono una discreta quota di mercato.
Il prodotto italiano in tanti casi non entra nei canali della Gdo, trattandosi solitamente di
un prodotto pregiato; le referenze italiane che entrano nella distribuzione moderna sono
quelle che hanno un prezzo di base ridotto.
Un canale da non trascurare è quello dei fornitori della famiglia reale, si tratta di circa 250
prodotti, ri-selezionati ogni anno. I fornitori sono provenienti da tanti paesi.
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Nel corso degli ultimi anni, gli inglesi hanno iniziato ad amare i mercatini locali, anche
perché sono sempre più attenti alla natura e al concetto di km zero. C’è stata quindi una
rivalutazione del prodotto locale, quello di stagione.
Il prodotto italiano meno tipico, per esempio ortofrutta, si scontra con la produzione
locale; per gli ortaggi, per esempio, la provenienza locale è posta bene in evidenza. Si
cerca di promuovere anche la salvaguardia ambientale e quella del lavoratore.
È anche vero però che, dal momento che si importa anche da Africa e Sud America, la
provenienza italiana non è percepita come troppo distante, e se un prodotto non è presente in loco, la referenza italiana è quasi considerata come una referenza locale.
L’Italian sounding porta via spazio ai prodotti realmente italiani, ma apre anche la porta
a questi. In svariati casi, peraltro, se non ci fosse l’imitazione, difficilmente molti acquirenti del prodotto imitatore si rivolgerebbero alla referenza realmente italiana, per il gap
di prezzo in tanti casi rilevante. Forse si genera confusione, ma il consumatore è sempre
più consapevole. L’imitazione fa leva spesso sull’acquisto di impulso.
Relativamente alla tutela rispetto all’Italian sounding, si fanno azioni legali e tante consultazioni pubbliche.
Nel Regno Unito, il concetto di cooperativa è piuttosto vago e non bene delimitato, fino
a comprendere anche la joint-venture; si capiscono invece i significati degli enti no profit.
Il consumatore inglese, insomma, non ha chiaro il concetto di cooperativa, anche perché
esistono cooperative di tipologia del tutto diversa, come The Cooperative nell’ambito
della Gdo. È un plus da spendere maggiormente con il buyer, ma occorrerebbe raggiungere volumi maggiori, per garantire una massa critica superiore a quella che caratterizza
la cooperativa media. Una dimensione maggiore comporterebbe una superiore resa degli investimenti.
Il consumatore inglese è attento al fair trade, per il contenuto e il significato etico, che
viene collegato ai paesi in via di sviluppo, mentre per la cooperazione italiana si dovrebbe puntare sulla valenza della tracciabilità, sul controllo della filiera, sulla vicinanza alla
produzione, sulla specificità del territorio, sulla genuinità del prodotto.
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IL SEMAFORO INGLESE SUGLI ALIMENTI
7.2.3. I PARERI DEGLI OPERATORI
Gli operatori intervistati sono soprattutto importatori che riforniscono il canale Horeca (alberghi, ristoranti italiani di alto livello, ma anche trattorie di medio livello), le
delicatessen, in alcuni casi la Gdo. Qualche importatore gestisce direttamente negozi o
esercizi misti, come bar-ristoranti e delicatessen.
Ci sono sostanzialmente due categorie di importatori, specializzati per paese o specializzati per merceologia. Per esempio, nel caso del vino, ci sono importatori che trattano solo
vino e comprano da tanti paesi, e quelli che lavorano su una gamma ampia di prodotti
(non solo vino) e che sono specializzati sull’Italia.
Parte degli importatori non serve la Gdo, in alcuni casi a seguito di episodi spiacevoli.
La Gdo non ha scrupoli morali ed è arrogante, ha affermato qualcuno, e nelle grandi
superfici domina la private label. I buyer sono consapevoli del fatto che il mercato
italiano è in crisi e che le imprese italiane sono costrette ad esportare; se ne approfittano,
rendendo aspra la battaglia sui prezzi.
I prodotti italiani trattati dal singolo importatore possono essere anche oltre il migliaio,
e spesso sono affiancati da acquisti di referenze di altri paesi, in special modo Spagna e
Portogallo, poi Svizzera e altri.
Generalmente, i fornitori sono piccoli e medi produttori specializzati, in alcuni casi qualche grande produttore.
In buona parte del Regno Unito, verso i prodotti italiani c’è molta apertura, non c’è più
la diffidenza dei decenni scorsi. Si tratta di uno dei paesi europei più aperti ai prodotti
esteri in generale. L’inglese verso la cucina straniera è innovativo e curioso. A Londra si
trovano prodotti provenienti da tutto il mondo, ma soprattutto ciò che in loco non si può
produrre o non sarebbe conveniente produrre.
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La domanda del prodotto italiano non proviene più solo da emigrati italiani, quindi,
ma da un pubblico generalizzato di estrazione inglese, che apprezza il food italiano. La
qualità richiesta oggi è ben superiore a quella richiesta decenni indietro dagli italiani
residenti in UK. Spesso, chi cerca il prodotto italiano rappresenta una clientela tendenzialmente ricca che cerca qualità superiore rispetto ai prodotti locali. Gli effetti della crisi
economica sono ancora concreti per vaste fasce di popolazione.
La cucina italiana è ben apprezzata, per alcuni è l’unica vera cucina. A livello alimentare
l’Italia viene associata alla tradizione. La tv inglese fa molta pubblicità all’Italia e ai suoi
prodotti alimentari.
Per quanto riguarda i requisiti richiesti ai produttori italiani, emergono in modo particolare la precisione e l’efficienza, aspetti sui cui, secondo alcuni, le aziende italiane sono
piuttosto carenti (“come qualità l’Italia è il meglio, ma è deludente nell’organizzazione e nel
marketing”; “il prodotto italiano è più genuino di quelli concorrenti, quello che manca è l’organizzazione”): molte aziende sono poco organizzate e non riescono ad assicurare la qualità
in modo costante nel tempo (“il fornitore deve consegnare i prodotti ogni settimana, altrimenti
viene scartato dalla catena”; “la chiusura in agosto provoca forti rischi di rotture di stock”; “occorre affidabilità nelle consegne, altrimenti a valle non si riescono a evadere gli ordini”).
Per altri, gli italiani sono molto approssimativi ma anche poco flessibili sulle esigenze
del cliente. Per esempio, in riferimento alla disponibilità a consegnare bancali misti:
si tende a consegnare 15 cartoni di una stessa referenza. Se è vero che il trasporto da
Milano a Londra si fa in un week-end (diversi importatori impiegano un sistema logistico
basato su corrieri e su piattaforma nel nord Italia: “la parte difficile è fare arrivare i prodotti dal
sud Italia al nord Italia”), è altrettanto vero che in tanti casi il produttore non si rende
bene conto delle problematiche del trasporto. Sulla pasta, il trasporto arriva a incidere
fino al 50% del costo complessivo del prodotto. Il produttore deve impegnarsi per ottimizzare i volumi di trasporto. La logistica è un problema quando si ha a che fare con
aziende poco organizzate.
Il fornitore avveduto è quello che ascolta le esigenze e si rende disponibile a collaborare.
Soprattutto inizialmente, deve fornire campioni e deve vendere bancali misti di prodotti,
per sperimentare la vendita e vedere quali hanno successo.
Anche il tasting, per certi prodotti, può essere importante, magari nell’ambito di degustazione presso i ristoratori.
Spesso i fornitori non capiscono le esigenze del mercato locale, lo conoscono poco, e
hanno una mentalità orientata al prodotto. In realtà, la situazione è molto diversa dal
mercato italiano.
Una volta che il prezzo è stato concordato, è insomma importante la mentalità di business
per garantire una costanza nella qualità. Il fornitore deve dare continuità alla qualità, e deve
essere efficiente in modo da non ribaltare sul prezzo finale i suoi costi di produzione. La Spagna e l’Olanda sono entrate nella mentalità del consumatore, soprattutto garantendo continuità e costanza qualitativa che l’Italia in tanti casi non è in grado di garantire. In Italia ci sono
tante piccole realtà con buone potenzialità, ma è difficile aggregarle e coordinarle, è stato
affermato. I produttori non devono necessariamente crescere, devono organizzarsi meglio.
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È soprattutto la fascia media del mercato ad essere dominata da Olanda e Spagna.
Quest’ultima sta crescendo, anche come quantità, e secondo alcuni importatori ha un
migliore rapporto qualità/prezzo. Ci sono prodotti spagnoli di buona qualità e a prezzi
più bassi di quelli italiani (per esempio, le olive). Rispetto all’Italia, i produttori spagnoli sono penalizzati dal fatto di non avere la reputazione dei prodotti italiani, così
come gli svizzeri, che tuttavia hanno i vantaggi legati alla serietà, alla puntualità, alla
buona organizzazione.
A proposito di innovazioni, è stato affermato che l’Italia è positivamente percepita per
le tradizioni, ma questo non esclude innovazioni per esempio in termini di packaging o
restyling, magari finalizzate a una migliore conservazione o a una maggiore praticità.
Se il prodotto non ha radicate tradizioni, allora può valere la pena di proporre referenze
diverse da quelle già esistenti sul mercato in coerenza comunque con i sapori richiesti
in UK (è stato fatto l’esempio dei tarallucci al caffè come prodotto pensato per il mercato
inglese). Per servire la Gdo, in modo particolare, occorre fare innovazioni, altrimenti il
prodotto rischia di sembrare antico o antiquato. Molte catene richiedono di innovare
continuamente per poter restare tra i fornitori.
L’innovazione deve essere funzionale, ragionata e motivata, non può essere fine a se
stessa (dal momento peraltro che comporta costi).
Cosa si chiede alle istituzioni, secondo i pareri degli operatori intervistati? Collaborare
a livello europeo per ridurre la problematicità della legislazione e i problemi di univocità
di interpretazione.
All’interno dell’Italia, occorre sburocratizzare (“ci sono almeno sedici enti che controllano
produttori e distributori di vino; ne basterebbero tre, uno per la sanità, uno per la qualità, uno
per le frodi di marchio”): in Italia è tutto difficile a livello burocratico, e questo ostacola
l’intraprendenza. Lo Stato italiano deve facilitare la vita degli imprenditori: mentre
nel Regno Unito si apre una società in un giorno, in Italia il procedimento è lungo e
complicato, con un esercito di middle men che intervengono; “ci sono 3 mila leggi in Uk,
10 mila in Francia, 100 mila in Italia”. Sembra quasi, è stato affermato, che l’istituzione
italiana intenda punire le iniziative; ci sarebbe ben maggiore competitività se lo Stato
italiano rendesse tutto più semplice.
Un problema specifico su cui si chiede alle istituzioni italiane di intervenire è quello
delle assicurazioni, che non dovrebbero essere legate all’intera attività svolta nel Paese,
se si intendono assicurare solo ordinativi ridotti, altrimenti non è conveniente stipularle.
Le compagnie di assicurazione non vogliono assumersi rischi, e per le nuove imprese
diventa praticamente impossibile assicurare i propri crediti. La gestione dei crediti, è
stato affermato, non dovrebbe essere in mano alle iniziative private (che hanno costi
troppo elevati), sarebbero necessarie alternative a queste. Occorrerebbe insomma una
tutela pubblica anche rispetto alle insolvenze.
Altri operatori hanno poi parlato delle imposte (le accise inglesi); si arriva infatti sul
mercato con prezzi alti, anche con prodotti base, per cui se non si ha un marchio forte,
diventa difficile sopravvivere.
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La pubblica amministrazione dovrebbe inoltre controllare maggiormente l’autenticità
dei prodotti ed emettere normative più efficaci per la tutela. Molti produttori inglesi
stanno imitando le referenze italiane: mozzarella Made in England, oliveti piantati in
Galles, pizze surgelate, ecc.
Le opinioni raccolte sulle cooperative, nel ruolo di fornitori, sono state di vario genere.
Intanto, è stato specificato che ci sono cooperative ben organizzate ed efficienti (“certe cooperative sono esempi di eccellenza”), però ci sono anche cooperative che dal punto di vista
commerciale sono alquanto carenti, scarsamente intraprendenti, a volte intersecate dalla
sfera politica. In modo particolare, quando la cooperativa non delega ai dirigenti, diventa
piuttosto difficile dialogare (“bisogna sempre trattare con il presidente”; “quando non c’è una
figura incaricata delle vendite, si ha l’impressione che non ci sia nemmeno un grande interesse
a vendere”).
Essendo aggregazioni di tante teste, l’iter decisionale tende a prolungarsi nel tempo;
diventa più difficoltoso decidere di investire nell’innovazione ed è inferiore la disponibilità a prendersi il rischio di investire in generale. Secondo diversi operatori interpellati,
insomma, le cooperative sono poco orientate al rischio, preferiscono il profitto di oggi e
la ripartizione di un buon margine tra i soci.
Molte cooperative, poi, non hanno la massa critica e sono bloccate nella produzione conferita dai soci.
Per quanto riguarda la percezione e la conoscenza del consumatore inglese, è stato affermato dagli operatori intervistati che proclamare di essere una cooperativa non è molto
rilevante, dal momento che nel Regno Unito non è diffusa la conoscenza delle cooperative come quelle italiane. Semmai, si pensa a un’entità di grande dimensione perché ci si
collega a The Co-operative, che in origine era una vera cooperativa, oggi è in realtà un
colosso della distribuzione diversificato in tanti settori (tra cui quello creditizio).
In altri termini, comunicare di essere una cooperativa di per sé non serve; ciò nonostante, si tratta di un potenziale valore, ma occorre che sia ben spiegato come struttura
e obiettivi, e si devono porre alcuni punti di forza in evidenza: per esempio, il rispetto
dell’ambiente (cresce l’attenzione all’ambiente e all’adozione di processi in linea con la
salvaguardia ambientale, allo spopolamento dell’agricoltura, ecc.); l’idea della vicinanza
all’agricoltore e gli effetti positivi per i soci; il controllo della filiera; ecc. Occorre, naturalmente, avere la capacità di comunicare questi plus; “lo stesso Parmigiano non comunica
nessun messaggio sul beneficio per i soci allevatori”.
In Inghilterra, esistono tante charity foundations a cui sono collegate le singole aziende;
l’inglese è sensibile e vuole esprimere questa sensibilità in atti di acquisto quotidiani.
Alcune aziende creano proprie charity, altre aderiscono a charity esistenti. Ovviamente,
il fair trade non è percepito adatto all’Italia, ma la cooperativa può ugualmente porre in
risalto il proprio impegno di tipo sociale, ambientale, ecc. affinché possa salire di livello
rispetto alle altre aziende.
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7.2.4. I PARERI DEI CONSUMATORI
Dalle discussioni di gruppo è emerso chiaramente che la reputazione dei prodotti alimentari italiani è davvero eccellente.
Un numero crescente di inglesi ha una passione per la cucina, e il cibo italiano è adatto
a questo uso, dato che non rientra nel concetto di fast food, è percepito come fresco e
facile da preparare. Soprattutto comunica salute, entusiasmo, freschezza, tutti fattori che
si possono porre in evidenza da parte dei produttori italiani. Per esempio, le preferenze
vanno decisamente alla mozzarella italiana, rispetto a una versione inglese o tedesca.
Un prodotto troppo basico, dal prezzo basso, come la mozzarella Cheese Ball, non viene
attribuita all’Italia, proprio in virtù di queste caratteristiche.
La percezione della provenienza italiana è nel contempo quella di prodotti costosi; nonostante questo, si comprano, se non c’è un corrispondente prodotto locale, come avviene
per le arance. Nel caso del vino, per esempio, i prodotti realizzati nel Regno Unito sono
poco numerosi in confronto a Francia o Italia.
In altri casi, si tratta di acquisti fatti non in modo routinario, bensì per occasioni particolari o per concedersi un lusso.
Alcuni ipotizzano che i produttori italiani siano piuttosto grandi, ma limitatamente ai
prodotti che si trovano nei supermercati, dal momento che hanno la forza e l’organizzazione per arrivare alla Gdo del Regno Unito. Il prodotto italiano reperibile nel piccolo
negozio è invece più probabilmente proveniente da un piccolo agricoltore.
La dimensione del produttore incide sulla scelta, con una preferenza per la piccola azienda (che “tende ad essere più attenta alla qualità, mentre crescendo perde parte delle sue motivazioni”), anche se a volte la confezione volutamente richiama l’idea di un piccolo podere,
ma in modo non corrispondente alla realtà.
La Gran Bretagna è un’isola, rientra nella sua cultura il ricorso all’importazione. A Londra, in modo particolare, l’offerta di prodotti esteri è molto vasta, fuori dalle grandi città
c’è meno scelta; i piccoli paesi non sono altrettanto multietnici.
Si è abituati ad acquistare svariate tipologie di frutta e verdura da tanti paesi al mondo,
in quanto il Regno Unito non ne produce. Per altre varietà, come le mele, dispiace invece
vedere una bella produzione locale a fianco di tante referenze estere.
Se un prodotto è realizzato anche in loco, solitamente si privilegia il prodotto locale,
anche per sostenere il piccolo produttore e l’economia locale; dall’estero, si apprezzano le specialità che non sono realizzate in loco o che non sono disponibili in quantità
sufficienti.
La conoscenza dell’origine del prodotto è importante per certe categorie merceologiche
(per esempio, la pasta o il pesto devono essere italiani): questo vale soprattutto per i
prodotti che si ipotizzano come tipici.
In certi casi, la provenienza non è chiara. Se questa scarsa chiarezza si ha quando si
acquistano determinati prodotti (come la carne e il pesce), si tende a rifiutare l’acquisto.
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Quanto deve essere precisa la provenienza? In certi casi, è sufficiente citare la nazione,
in altri casi l’indicazione della regione è (da parte di alcuni) gradita. Una provenienza
dall’UE è senza dubbio troppo generica. È ritenuto ancora più riprovevole chi importa
prodotti poi li spaccia per inglesi; è quanto si verifica per esempio per pasta, olio di
oliva, pomodoro.
Dai focus group realizzati, è emersa una delimitazione piuttosto chiara fra un’origine
italiana e il richiamo a una ricetta o a uno stile italiano.
Se si scrive che un prodotto è ispirato all’Italia, si ipotizza che non provenga da questo
paese (“per esserne certi, però, bisognerebbe leggere attentamente le etichette, ma non sempre si
ha il tempo per farlo”). In linea di massima, quindi, il consumatore inglese non è tratto in
inganno dalle parole Italian style, e ritiene che questi termini siano evidenziati sulla confezione semplicemente per ricordare la cultura e l’ambiente dell’Italia.
Nel caso della confezione di spaghetti alla carbonara, mostrata agli intervistati, sembra
chiaro che il prodotto non è italiano, e che “potrebbe avere al massimo qualche ingrediente
italiano”. Nulla di illegale, insomma: si legge che è pasta italiana, ma non che è stata prodotta in Italia.
Anche nel caso dell’Italian salad, si tratta di stile italiano, non si vuole convincere che la
provenienza è italiana.
Medesima affermazione può essere ripetuta a proposito della pizza, sulla cui confezione
si dice che è un prodotto ispirato all’Italia.
Fanno eccezione alcune strategie valutate come discutibili, basate per esempio su scritte
piccole o su ingannevoli suggestioni italiane; è stata citata la Dolmio, che pubblicizza in
Tv prodotti dallo stile italiano, basandosi su una famiglia pseudo-italiana, che inganna
anche tramite l’accento.
Se si escludono queste eccezioni, solo una parte minoritaria di consumatori, meno accorti
oppure che acquistano velocemente, di fronte a un prodotto che dichiara “ispirato all’Italia” potrebbero pensare a un’origine italiana.
Se invece sulla confezione figura scritto solamente “Italian”, si deduce che il prodotto sia
italiano. Se così non fosse, si tratterebbe di un atto disonesto e ingannevole: questo parere
è stato praticamente unanime; “la legge consente, come produzione locale del Regno Unito, un
prodotto tipo prosciutto di Parma, ma non il Parma vero e proprio; così come è legale la confezione
che riporta la dicitura: yogurt tipo greco”.
Ci sono però situazioni più complesse e articolate. Intanto, entra in gioco la credibilità
dell’insegna del distributore: M&S per esempio viene giudicata una insegna affidabile,
che non cerca di mistificare la provenienza.
Se un formaggio, un salume o un vino vengono realizzati da una famiglia di emigrati
italiani da lunga data presenti sul territorio del Regno Unito, questi prodotti non sono
considerati italiani a tutti gli effetti, sia perché i produttori si sono in un certo senso “inglesizzati”, sia perché la materia prima è prodotta nel Regno Unito. È una sorta di ibrido,
come nel caso di un’azienda italiana che si è delocalizzata nel Regno Unito, da considerare semi-italiana per la sua base e per l’esperienza pregressa.
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Dubbi emergono a proposito delle private label: il prodotto si ipotizza realizzato
in loco da una fabbrica di proprietà del distributore oppure da un’azienda che ha
contratti speciali con la catena, e in questo secondo caso l’impresa in questione
potrebbe essere italiana.
Per quanto riguarda il concetto di cooperativa, per molti consumatori affiora l’evocazione di una grande dimensione, in virtù del collegamento all’insegna della Gdo “The
Cooperative”. Ad altri, questo termine non fa pensare a nulla (“non è un concetto familiare
al consumatore britannico, non ci sono informazioni evidenziate al riguardo, nei negozi o sulle
confezioni”); tanto che spesso non si sa nemmeno come affrontare una eventuale scelta in negozio fra provenienza cooperativa e altra provenienza. Anche in riferimento al
prezzo, non si immaginano diversità tra cooperativa e privato, sempre per il fatto che
non si hanno impressioni al riguardo.
Solo per una minoranza di consumatori, il termine cooperativa si associa a un gruppo
di contadini che vendono insieme i loro prodotti (“e che non lavorano con scopi di lucro”,
ha aggiunto qualcuno).
Adottando quest’ultima ottica, il valore da comunicare non è quello della cooperativa, in sé e per sé, ma il fatto che questo “gruppo di produttori” può curare e seguire il
proprio prodotto fino dall’origine, offrendo così garanzie e maggiore protezione a
prodotto e produttori. Si ipotizza che sia più probabilmente un prodotto non trasformato
come l’insalata, emotivamente vicina al produttore oltre che più facile da realizzare (non
occorrono impianti complicati), ad avere come matrice una cooperativa.
Per entrare nel Regno Unito, è stato affermato, oltre che proporre una buona qualità del
prodotto, le cooperative italiane dovrebbero caratterizzarsi da un marchio collettivo con
fondo etico, quasi come il marchio del fair trade. Ma non proprio aderente alla logica del
fair trade, che sarebbe sorprendente in relazione a prodotti italiani, in quanto adatta a
paesi in via di sviluppo.
Per inciso, è emerso dalle discussioni con i consumatori che quando si acquistano
prodotti nell’ambito del fair trade, non sono assenti dubbi sul fatto che questa etichetta
venga impiegata in modo sempre corretto. Soprattutto, non si è sicuri che il differenziale
di prezzo vada a beneficio del produttore.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
PRIMO PIATTO PRODOTTO NEL REGNO UNITO
PASTA FRESCA ITALIANA
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
MOZZARELLA PRODOTTA IN ITALIA
MOZZARELLA PRODOTTA IN GERMANIA
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
PARMIGIANO REGGIANO GRATTUGIATO
MIX DI QUARTA GAMMA, STILE ITALIANO, PRODOTTO LOCALE
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
PIZZA PRODOTTA NEL REGNO UNITO
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.3. SVEZIA
7.3.1. IL CONTESTO
Il contesto del paese, tracciato dalle pubblicazioni di Ice-Italian Trade Agency,
Assocamerestero e Studio Cerbone, indica una popolazione di 9,4 milioni di abitanti, in crescita grazie ad immigrazione e incremento delle nascite.
Più del 30% della popolazione è concentrato nel triangolo Stoccolma, Goteborg
e Malmö, mentre il settentrione è piuttosto spopolato, ad eccezione della costa.
L’economia della Svezia, in termini di PIL, è la nona per dimensione dell’Unione
Europea e contribuisce per il 2,4% al PIL dell’UE a 27 a fronte dell’1,8% della popolazione. Il reddito medio pro capite è pari al 117% del livello medio UE 27. Con
un indice Gini di 25 la Svezia vanta il terzo miglior coefficiente a livello mondiale
in termini di distribuzione della ricchezza. ueste caratteristiche rendono la Svezia
un mercato attrattivo soprattutto per i produttori di beni di largo consumo.
La crisi economico-finanziaria internazionale iniziata nel 2008 ha avuto ricadute
anche sull’economia svedese, ma a partire dalla fine del 2009 si sono evidenziati
segnali di una progressiva uscita dalla crisi.
Il sistema distributivo svedese è tra i più oligopolisti al mondo, e questo attribuisce ai buyer un rilevante potere contrattuale.
Le singole catene distributive stanno diventando sempre più grosse, specializzate
ed integrate; il potere d’acquisto dei dettaglianti sta diventando sempre più forte
grazie anche al ruolo svolto dalle loro strutture associative.
Stanno scomparendo i magazzini dei punti vendita per cui sempre più un prodotto viene immesso negli scaffali solamente se il fornitore può assicurare un
rifornimento puntuale.
Questi centri d´acquisto e catene di distribuzione curano “centralmente” tutti gli
aspetti relativi agli acquisti, al marketing, ai contatti con i fornitori nazionali ed esteri.
Per introdursi nel mercato svedese dei beni di consumo è importante collaborare
con agenti, grossisti, importatori che abbiano non solo una buona conoscenza del
gusto dei consumatori e delle loro abitudini di acquisto e consumo ma soprattutto sappiano rapportarsi con la distribuzione.
La Svezia è un mercato di interesse per diverse tipologie di prodotti italiani, tra
cui i vini e i prodotti agro-alimentari di qualità.
Le esportazioni italiane in Svezia hanno raggiunto, nel 2013, il livello di 380 milioni
di euro per gli alimentari, 150 milioni di euro per le bevande. Negli ultimi cinque
anni, il tasso medio annuo di incremento dell’export italiano agro-alimentare verso
la Svezia è stato superiore al 10%. Tra le categorie più importanti, figura il vino, con
quasi il 27% del totale. Il ”Made in Italy” in Svezia gode di un’ottima reputazione.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Le bevande alcoliche di gradazione superiore al 2,8% possono essere
distribuite al pubblico unicamente tramite Systembolaget, oppure possono essere
vendute al comparto Horeca; in entrambi i casi, l’importazione avviene solo tramite
importatori registrati e dotati di licenza svedese.
L’aliquota Iva sui prodotti alimentari è del 12%.
Il consumatore svedese è piuttosto selettivo, consapevole di quanto è preparato a spendere per i singoli prodotti, attento agli aspetti ecologici ed etici delle
produzioni.
Il mercato dei prodotti biologici continua a conquistare quote a scapito del
mercato convenzionale. Anche il ventaglio dei prodotti biologici è sempre
più´vasto. Ciò è legato anche alla crescente affezione della classe media urbana
(circa il 90% della popolazione) verso stili di consumo salutistici.
7.3.2. I PARERI DELLE ISTITUZIONI
Secondo i principali pareri raccolti, per entrare nel mercato svedese occorre
innanzi tutto evitare la concorrenza diretta con aziende già presenti, cercando di
offrire qualche aspetto di novità o un plus diverso (servizio, tipicità, ecc.).
Si entra più facilmente con prodotti di nicchia e differenziati, per esempio con
olio di oliva extravergine di livello qualitativo superiore.
Lo svedese è aperto alle novità, ma questo non significa una apertura a tutti i
prodotti, indistintamente. Per un prodotto nuovo, occorre quindi capire se è
adatto al consumatore svedese e alle sue peculiarità, ai suoi gusti.
Una fase importante è l’analisi delle merceologie esistenti sugli scaffali, che
eventualmente possano svolgere un ruolo di traino o che abbiano già svolto una
funzione di apripista.
In linea generale, la Svezia è un mercato piuttosto accessibile. I fattori principali a
cui prestare attenzione sono il prodotto (non tutti i prodotti hanno una domanda
consistente in Svezia), la lingua (non è raro che l’impresa ambisca a esportare in
Svezia senza conoscere nemmeno l’inglese) e una serietà di comportamento.
Per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto, gli importatori (a volte si
tratta di svedesi, altre volte di italiani, magari emigrati in Scandinavia) sono
fondamentali per individuare i profili corretti; non raramente, il successo sul
mercato dipende proprio da queste figure commerciali.
Gli svedesi sono estremamente corretti dal punto di vista commerciale (il pagamento è preciso a 30 giorni) e pretendono altrettanta serietà (per esempio, puntualità delle consegne). Con i clienti svedesi occorre essere sempre trasparenti e diretti.
Il settore alimentare vede svariate aziende italiane presenti sugli scaffali svedesi.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Questo è vero soprattutto per le grandi città. Le altre zone hanno una densità
abitativa molto limitata. Se un prodotto è accettato, si può diffondere ovunque,
insomma, ma buona parte del mercato è nel sud del Paese.
C’è una buona apertura verso i prodotti esteri e l’Italia gode di un’ottima fama
relativamente al food, tanto da essere il paese meglio posizionato. Non a caso,
spesso sugli scaffali si rischia la rottura di stock nel caso dell’olio extravergine,
della pasta, del pomodoro, ecc. L’apertura degli svedesi fa sì che si cerchi anche
il prodotto asiatico, quello sudamericano, ma l’Italia per ora è imbattibile, anche
rispetto a Francia e Spagna.
Non avendo forti e radicate tradizioni alimentari, il consumatore svedese non
necessariamente è in grado di capire subito come si utilizza un prodotto, con
quali piatti e bevande va accostato, con quali ricette deve essere impiegato. Fa
eccezione il caso in cui il prodotto è stato conosciuto tramite la frequentazione dei
canali della ristorazione. Occorre quindi spiegare le modalità di utilizzo, senza
dare per scontato aspetti che in Italia sarebbero da ritenere consolidati. Positive,
solitamente, sono le iniziative basate su stand e dimostratori al supermercato.
C’è attenzione al prodotto di prossimità, nell’ottica di ridurre le fonti di inquinamento, ma la Svezia non produce tanti prodotti alimentari, per esempio nell’ambito
della verdura, quindi gli svedesi sono abituati a prodotti provenienti dall’estero.
Il biologico sta crescendo in misura rilevante, in particolar modo per quanto riguarda i vini. La Svezia si sta indirizzando con sempre maggiore decisione verso
il consumo di prodotti biologici, ma in questo mercato i canali sono affollati, soprattutto se si considerano i prodotti base. Cresce anche la domanda di biodinamico, per segmenti più piccoli, ma pure di valenze etiche, equosolidali (riferite ai
paesi in via di sviluppo).
La distribuzione svedese è in mano a poche insegne; tre di queste, in modo particolare, gestiscono una quota assolutamente maggioritaria degli acquisti food. Le
cooperative, se vogliono servire la Gdo, devono consorziarsi, anche per raggiungere quantità sufficienti per la fornitura.
Oltre alla Gdo, ci sono gli importatori che trattano prodotti di nicchia, e quelli che
si interfacciano con la ristorazione. Questi distributori non gestiscono solamente
il mercato svedese, ma anche quelli norvegese e danese.
Una parte prioritaria degli importatori, quindi, serve l’Horeca e/o le delicatessen,
altri servono pure la Gdo, soprattutto in riferimento a quella fascia di acquisti gestiti con una certa libertà a livello di punto vendita, in base alle peculiarità della
domanda di una determinata zona. Per fare un esempio, gli importatori di vino
sono circa 600. Nel caso del food, il numero è senz’altro superiore.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Alcuni importatori stanno perseguendo una strategia di integrazione verticale a
valle, aprendo loro stessi punti vendita al dettaglio. Altri importatori, a volte di
origine italiana, hanno creato proprie marche.
Il consumatore svedese conosce il concetto di cooperativa, ma sull’esempio di
Coop Konsum, nell’ambito della Gdo. A parte questo, il concetto di cooperativa
non è conosciuto e non è rilevante. Sono però rilevanti la leva della componente
etica e quella del controllo della filiera.
Occorrono quindi strategie di marketing e comunicazione che pongano in
evidenza tutti gli aspetti presenti alle spalle di una cooperativa tipo italiana,
che la possono caratterizzare. Per esempio, la particolare cura delle fasi di lavorazione, le componenti etiche, il benessere animale, la sostenibilità ambientale, ecc.
7.3.3. I PARERI DEGLI OPERATORI
Dai pareri raccolti dagli operatori commerciali risulta che l’orientamento ai prodotti italiani è forte, ma risente di problemi legati ad alcuni scandali, come quello
della Terra dei Fuochi. Anche le notizie sulla mafia colpiscono negativamente
l’opinione pubblica.
L’Italian sounding è un fenomeno molto diffuso in tanti settori: per esempio,
formaggi, salumi, gelati, ecc. Sul mercato svedese, il lavoro da fare è ancora
molto per contrastare i prodotti italiani di bassa qualità e per diffondere una chiara
immagine dei prodotti di elevata qualità.
Il sud della Svezia presenta una mentalità più aperta al mondo, soprattutto nell’ambito delle grandi città, mentre le regioni settentrionali sono più
chiuse e maggiormente nazionaliste. Le abitudini di consumo sono di conseguenza
alquanto differenti.
Date le distanze che caratterizzano questo mercato e la forte concentrazione del
mercato in alcune città del sud del Paese, difficilmente si ha la convenienza e
conomica a raggiungere mercati lontani. Si rischierebbe di affrontare costi
logistici altissimi per vendere poche unità di prodotto.
La Svezia produce pochi prodotti alimentari, quindi non ci sono grossi rischi di
andare in sovrapposizione con le produzioni locali. Per esempio, le mele svedesi
sono molto diverse da quelle italiane.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Tra i principali criteri di scelta dei fornitori, rientrano l’attenzione alle materie
prime e alla loro provenienza, oltre a un packaging curato; per esempio, è vivace
il dibattito sulla latta nell’ambito del confezionamento.
È importante l’affidabilità in materia logistica, altrimenti lo stesso importatore
rischia di perdere l’immagine e la reputazione. Sono state riportate situazioni di
piccole imprese in difficoltà anche solamente nel arrivare al centro logistico sul
territorio italiano da cui partono i prodotti per raggiungere la Svezia.
Altre carenze riguardano il packaging, in tanti casi trascurato, eccessivamente
semplice, quasi povero rispetto allo spessore qualitativo del prodotto contenuto.
La confezione ha un ruolo importante nel creare un impatto positivo nei confronti
del consumatore svedese. Questo è a maggior ragione vero per i prodotti importati, che sono mediamente più costosi di quelli locali, per cui le pretese sono di
conseguenza superiori.
Un prodotto dal packaging povero è percepito come un prodotto che vale la pena
di acquistare solo se il prezzo è molto conveniente. In altri termini, è stato affermato, “non si può avere successo con prodotti ottimi per qualità, ma proposti con confezioni adatte al discount”.
Il packaging italiano, inoltre, rispetto a quello richiesto sul mercato svedese, solitamente contiene troppo testo.
Per una piccola azienda, è più facile esportare in Svezia nell’ambito dei prodotti
di nicchia, per i quali si cerca la qualità, mentre nei canali della Gdo occorre produrre e assicurare grandi volumi.
Il rischio delle piccole imprese è legato a una organizzazione non adeguata, per
esempio in riferimento all’etichettatura, all’utilizzo non corretto della lingua locale, alla movimentazione poco tempestiva delle merci.
Secondo gli operatori interpellati, una gestione cooperativa non presenta aspetti
negativi, ma nemmeno particolarmente positivi. Il concetto di cooperativa non è
ben conosciuto, al massimo si capisce che si tratta di un insieme di produttori. Lo
svedese può però essere sensibile al fatto che con la cooperazione si sostengono
gli agricoltori; un’altra leva su cui puntare è quella della tracciabilità.
Occorre dare una chiara giustificazione collegata all’acquisto di un prodotto che
ha compiuto tanti km di trasporto, altrimenti si preferisce il prodotto a km zero o
comunque quello che proviene da aree limitrofe. Il consumatore svedese è infatti
sempre più attento all’ambiente. La giustificazione, nel caso di una cooperativa,
può consistere nel profilo qualitativo particolarmente interessante, nel sostegno a
piccole realtà territoriali, oltre che nell’assenza di prodotti analoghi in loco.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.3.4. I PARERI DEI CONSUMATORI
L’Italia ha un’ottima immagine presso i consumatori svedesi, la cucina italiana
non è altezzosa come quella francese, genera anzi l’idea di contesti amichevoli
per tutti, di piatti piuttosto facili da preparare, con il calore del piccolo produttore.
Alcuni ipotizzano che in Italia ci siano tante piccole aziende, spesso a gestione
familiare, ma che quelle che arrivano in Svezia siano probabilmente le più grandi.
Sarebbe invece opportuno diffondere l’idea che anche piccoli gruppi, se bene
organizzati, possono esportare, dal momento che emerge una preferenza, almeno
teorica, a favore della piccola impresa in confronto alla grande azienda.
Le multinazionali sono sempre meno amate. Si ritiene che parte di queste
sfruttino la manodopera, per cui emerge la volontà di boicottarle.
Il trend del consumatore è rivolto all’eco-friendly. Diversi intervistati scelgono frutta e verdura in base ai contenuti etici o di salvaguardia dell’ambiente;
si riscontra anche una disponibilità a pagare una cifra leggermente superiore,
evitando brand internazionali, considerati scarsamente etici.
Un numero crescente di consumatori svedesi sembra orientato a preferire
prodotti locali, almeno come pulsione, pensando sia all’ambiente, sia all’economia
locale, sia infine alla salute. Ma si tollerano anche i trasporti, da un lato per
sostenere lo sviluppo dell’economia di paesi in difficoltà, dall’altro quando un
prodotto non viene realizzato nel proprio territorio. Soprattutto in certe stagioni
(inverno), è normale per esempio vedere frutta e verdura proveniente dall’estero
o addirittura da altri continenti. Anche per il vino non si cerca il prodotto locale,
dal momento che la Svezia non ne produce, se non in minima parte.
È importante che la provenienza sia specificata in modo chiaro. Infastidisce il
fatto di non trovare l’indicazione precisa della provenienza, soprattutto per certe
categorie di prodotti alimentari, al punto di rinunciare all’acquisto. Diversa è la
situazione relativa a prodotti non food, come i detersivi.
Tra le provenienze estere preferite, rientrano la Spagna e soprattutto l’Italia,
entrambe caratterizzate da tante specialità.
Si ha però l’impressione che il prodotto italiano abbia un sapore migliore se
acquistato in Italia, ma diversi consumatori hanno ammesso che si tratta
soprattutto di un fattore emotivo, connesso al contesto. Diventerebbe quindi una variabile importante la ricostruzione di un certo contesto anche per i
momenti di acquisto e di consumo in Svezia, per esempio con ambientazioni
particolari nel punto vendita.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
L’osservazione di alcuni prodotti da parte degli intervistati nel corso dei focus
group ha evidenziato che esiste una chiara differenza fra origine italiana e il concetto di ispirazione all’Italia.
Il mix di quarta gamma, per esempio, non è stato attribuito all’Italia, si ritiene che
sia svedese; i termini “Italiensk mix” starebbero a indicare uno stile. Lo stesso
packaging, nel suo complesso, dà l’idea di una produzione svedese. È stato quindi giudicato legale, anche se si richiama al concetto di italiano.
Pure il nome bolognese, riferito al condimento per pizza, significa ispirato all’Italia, ma non prodotto in Italia. Bolognese è come il termine pizza, molto comune in
Svezia, riferito a una ricetta, a un modo di cucinare. È sinonimo di pasta al ragù.
Anche salami è una parola di uso assolutamente comune.
Pure alcuni simboli, come la sagoma della penisola o la bandiera italiana, sono
giudicati da parte di molti consumatori legalmente utilizzabili, dal momento che
si limitano a suggerire il collegamento alla cultura italiana, senza dichiarare una
provenienza italiana.
È emerso anche che un prodotto italiano che ha come portabandiera un testimonial svedese rischia di perdere un poco di nitidezza della percezione, per lo meno
a livello emotivo. È il caso del Parmigiano-Reggiano garantito dal politico naturalizzato svedese Anna Maria Bildt.
A proposito di cooperative, l’associazione che molti consumatori effettuano si riferisce alla Coop Konsum (“è una realtà industriale, non è più una vera cooperativa”;
“è sullo stesso livello di Ica”). Di conseguenza, un’azienda privata è immaginata
come un’impresa più piccola e quindi, in tanti casi, con maggiore attenzione dedicata alla qualità.
Altri consumatori, non esistendo in Svezia cooperative come quelle italiane, non
hanno nemmeno un sentimento nei confronti delle cooperative stesse, perché non
capiscono di cosa si stia parlando.
Sarà importante per le cooperative italiane fornire una serie di informazioni per
dimostrare che si tratta di piccole realtà legate al settore primario. I consumatori
svedesi sono disposti a spendere qualcosa in più per contenuti di garanzia, genuinità, rispetto dell’ambiente, biologico, ecc.
Occorre insomma comunicare l’immagine della cooperativa italiana, facendo capire che si tratta di piccoli gruppi di agricoltori legati alla terra. In questo caso,
potrebbe ispirare l’idea di aiutare le cooperative, se piccole, a resistere all’economia globale e alla grande industria.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
GRATTUGIATO DISIDRATATO, PRODOTTO IN ITALIA
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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Prodotti mostrati ai consumatori
ANTIPASTO, PRODOTTO IN ITALIA, CON TESTIMONIAL SVEDESE
CONDIMENTO DISIDRATATO, PRODOTTO IN SVEZIA
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
MIX DI QUARTA GAMMA, PRODOTTO IN SVEZIA
FORMAGGIO PER PIZZA, PRODOTTO IN SVEZIA
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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Prodotti mostrati ai consumatori
CREMA DI PESTO, CON GARANZIA DI UN PERSONAGGIO SPORTIVO SVEDESE
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Prodotti mostrati ai consumatori
PARMIGIANO-REGGIANO CON GARANZIA DI UN TESTIMONIAL LOCALE
(ANNA MARIA BILDT, POLITICO NATURALIZZATO SVEDESE)
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.4. IL GIOCO COMPETITIVO ATTRAVERSO LA LETTURA DEGLI SCAFFALI
7.4.1. UNA ANALISI QUANTITATIVA
I risultati esposti in questo capitolo derivano da rilevazioni in store compiute in
una serie di punti vendita della distribuzione moderna svedese e inglese (medie e
grandi superfici). Il campione non ha la pretesa di essere statisticamente significativo per le realtà nazionali nel loro complesso, ma intende comunque fornire una
serie di spunti conoscitivi sugli orientamenti strategici adottati. Per esempio, in
riferimento alle tecniche di merchandising, mirate a ottenere la redditività dello
spazio nel negozio, e al layout del punto vendita, quindi alla ripartizione degli
spazi e all’impiego di determinate attrezzature.
Le rilevazioni sono state effettuate nella seconda settimana di settembre 2013
(Svezia) e nella settimana centrale di ottobre 2013 (Regno Unito).
I principali parametri presi in considerazione sono:
• la superficie di vendita destinata al food e la superficie di vendita di alcuni
reparti (salumi, formaggi, ortofrutta, vino);
• il numero medio di livelli espositivi, ossia il numero medio di piani (in verticale) dello scaffale;
• il lineare del singolo reparto, ossia l’estensione degli scaffali in una dimensione
lineare. Più precisamente, si è considerato sia il lineare a terra, sia il lineare
complessivo del singolo reparto; per calcolare quest’ultimo, si è moltiplicato il
numero medio di livelli espositivi per il lineare a terra;
• relativamente alle singole referenze, oltre ad effettuare un semplice conteggio
per tipologia, si sono presi in considerazione il prezzo di vendita, lo spazio
occupato (in termini di lineare), il posizionamento sullo scaffale (livello alto,
occhi, mani, terra).
A livello di reparto, è stato possibile calcolare il coefficiente di occupazione dello
spazio di vendita (rapporto, moltiplicato per 100, tra metri lineari a terra e mq di
superficie di vendita). Questo indicatore esprime il grado di densità espositiva di
un reparto; ci sono negozi sul 50%, altri sul 25%, ecc. È nota l’attuale tendenza a
ridurre il livello di occupazione dello spazio di vendita per migliorare la spaziosità ed offrire al consumatore una sensazione piacevole. La percezione di spaziosità
e piacevolezza è legata anche all’altezza dello scaffale, strettamente associata al
numero di livelli espositivi.
A proposito di tipologia di display, ossia della modalità con cui sono esposti i
singoli prodotti sullo scaffale, in termini di ampiezza dello spazio espositivo e
di livello di collocazione, si è partiti dall’assunto che, all’aumentare dello spazio
espositivo, si incrementino le vendite, seppur a tassi decrescenti. Sono gli acquisti
di impulso a risultare maggiormente condizionati dall’esposizione dei prodotti.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Lo spazio minimo (da letteratura) è in genere di 20 cm lineari, ma si sono spesso
riscontrate referenze con un lineare inferiore.
Naturalmente, l’esistenza di un piccolo spazio per un prodotto comporta maggiori probabilità di finire in rottura di stock; favorisce però al gestore del punto
vendita la possibilità di introdurre molte referenze.
Anche il posizionamento sullo scaffale ha la sua importanza nella vendibilità di
un prodotto, tanto che non raramente si tende a compensare la penalizzazione
del posizionamento con un maggiore spazio espositivo. Per quantificare i diversi
posizionamenti, si sono utilizzati questi parametri:
• alto 0,6
• occhi 1,0
• mani
0,8
• terra 0,6
La letteratura in proposito sostiene infatti che il livello occhi, per probabilità di
vendita, supera del 25% il livello mani, del 60-70% i livelli alto e terra. L’indicatore ricavato, quindi, è prossimo a 1 nel caso di una esposizione alquanto favorevole, e decresce nel caso di una esposizione penalizzante.
Tutti i risultati che si esporranno di seguito fanno riferimento a un punto vendita
standard in termini di dimensioni: una superficie food di 2500 metri quadrati per
la Svezia, di 1500 metri quadrati per il Regno Unito. In altri termini, i dati sono
stati riparametrati su queste superfici food, per avere un riferimento univoco.
Per quanto riguarda il reparto vino in Svezia, ci si riferisce a un punto vendita
Systembolaget di dimensioni piuttosto grandi.
In Svezia, il banco formaggi e il banco salumi sono presenti solo in una parte dei punti vendita, peraltro con un numero piuttosto contenuto di referenze.
Per esempio, in un punto vendita con superficie food di 2500 metri quadrati, il
numero di referenze nel banco formaggi si colloca tra 18 e 22; di queste, 6-7 sono
costituite da erborinati, nell’ambito dei quali il Gorgonzola è ben posizionato
con circa 2-3 referenze (prezzo medio 25-25,5 euro/kg, di poco superiore alla media degli erborinati). Si trovano inoltre un paio di referenze di formaggio grana
italiano (soprattutto Parmigiano, intorno ai 33-34 euro/kg) e un paio di pecorini.
Per quanto riguarda il banco salumi, sempre in Svezia, la numerosità riferita a
un punto vendita con superficie food di 2500 metri quadrati, oscilla sulle 18-20
referenze (esclusi i cotti e i wurstel). L’Italia è bene posizionata, con 7-8 tipologie
di salami (su circa 12 in complesso), una referenza di mortadella e circa tre di
crudo (solitamente, almeno un Parma e un San Daniele).
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Anche nel Regno Unito, il banco formaggi e il banco salumi sono presenti in
una parte dei punti vendita. Per esempio, in un negozio con superficie food
di 1500 metri, il numero di referenze nel banco formaggi si colloca tra 35 e 40,
esclusi i cotti e i wurstel; per il banco salumi, questa numerosità oscilla sulle
15-20 referenze.
Nel banco formaggi, un paio di referenze spettano solitamente al formaggio grana
italiano (con prezzi sui 20 euro/kg per il Padano e sui 26 euro/kg per il Parmigiano). Normalmente, gli erborinati contano 5-6 referenze (Blue Stilton, Saint Agur,
Roquefort, Cambozola, ecc.), di cui un paio di Gorgonzola (circa 15 euro/kg).
Nel banco salumi, in genere si ha un paio di referenze di crudo (spesso, una italiana
e una spagnola), una tipologia di mortadella e tre salami, di cui uno o due italiani.
Le produzioni locali di salumi sono prevalentemente focalizzate sui cotti. Come
sostiene Ice, per i salumi cotti il made in Italy entra in diretta concorrenza con le
produzioni locali, irlandesi e tedesche. I reparti gastronomia dei maggiori supermercati non inducono all’acquisto di salumi. La modesta presentazione dei prodotti, la scarsa conoscenza del personale di vendita, non favoriscono le vendite di
salumi al taglio.
Analizzando gli altri reparti rilevati (formaggi a scaffale, salumi a scaffale, ortofrutta e vino), si osserva che l’incidenza dei reparti salumi e formaggi a scaffale,
sulla superficie complessiva del punto vendita, si colloca sul 4% in Svezia, sull’11,5% nel Regno Unito. In quest’ultimo paese, infatti, quote importanti di superficie sono destinate a una serie di prodotti trasformati refrigerati (per esempio,
primi piatti refrigerati).
Senz’altro superiore è la percentuale di superficie dedicata al reparto vino (pur
tralasciando la situazione della Svezia, del tutto particolare per l’esistenza dei
punti vendita specifici a gestione Systembolaget).
È interessante sottolineare come il campione dei punti vendita svedesi si caratterizzi per un lineare medio per referenza superiore rispetto a quello britannico.
Il coefficiente di occupazione dello spazio vede una superiorità del Regno Unito
rispetto ai punti vendita svedesi campionati, e questo significa che nel Regno Unito è maggiore la tendenza a premiare il fattore della densità espositiva, mentre il
punto vendita svedese sembra premiare maggiormente la percezione di spaziosità e vivibilità da parte del consumatore. Questo vale in modo particolare per i
salumi e per l’ortofrutta, mentre la tendenza a sfruttare ogni centimetro di spazio
raggiunge livelli più marcati nel caso del reparto vino inglese. È proprio quest’ultimo a evidenziare una estensione di lineare per referenza più contenuta, mentre
si rilevano più di 40 cm di lineare a disposizione della referenza media nel reparto
formaggi svedese.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
ALCUNE CARATTERISTICHE DEI REPARTI FORMAGGI, SALUMI, VINO E
ORTOFRUTTA IN SVEZIA E NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTI:
NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ IN SVEZIA E DI 1500 MQ NEL
REGNO UNITO - PER I VINI IN SVEZIA: NEGOZIO SYSTEMBOLAGET DI 680 MQ)
FORMAGGI
SALUMI
VINO
ORTO FRUTTA
SVEZIA
REGNO
UNITO
SVEZIA
REGNO
UNITO
SVEZIA
REGNO
UNITO
SVEZIA
REGNO
UNITO
Superficie reparto
(mq)
107
20
103
16
490
94
295
148
Numero medio di
livelli espositivi
5
7
5
5
3,9
4,5
1
1
Lineare a terra (mt)
43
8,7
19,5
6,8
181
45,4
54
56
Lineare
complessivo (mt)
215
60,9
97,5
34
705,9
204,3
56
58
Numero referenze
509
218
267
98
2093
698
144
235
Incidenza % superficie reparto sulla
superficie food
4,3
1,3
4,1
1,1
72,1
6,3
11,8
9,9
Coefficiente di
occupazione dello
spazio
40,2
43,5
18,9
42,5
36,9
48,3
19,0
39,2
Lineare medio per
referenza (cm)
42,2
27,9
36,5
34,7
33,7
29,3
38,9
24,7
Concentrando l’attenzione su alcune categorie di prodotti del reparto formaggi
a libero servizio che più di altre vedono una buona presenza del nostro Paese,
si nota che nell’ambito dei negozi svedesi sia gli erborinati, sia le mozzarelle, sia i formaggi grana e i duri grattugiati hanno incidenze in termini numerici sistematicamente più elevate delle corrispondenti incidenze in ponderata
sul lineare (in altri termini, il lineare medio concesso a queste referenze è più
ridotto rispetto alla media dell’intero reparto). Ciò vale anche nel Regno Unito,
ad esclusione però delle mozzarelle.
Nei negozi svedesi, l’incidenza ponderata sul lineare è sostanzialmente
equivalente all’incidenza ponderata contemporaneamente sul lineare e sul
posizionamento, mentre nel Regno Unito quest’ultimo indicatore è superiore
all’incidenza valutata solo sul lineare, in virtù di un posizionamento sullo
scaffale premiante per le referenze in oggetto, in confronto alla media dello
scaffale.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
184
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI FORMAGGI RILEVATI
(A LIBERO SERVIZIO) IN SVEZIA E NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTI: NEGOZIO CON
SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ IN SVEZIA, 1500 MQ NEL REGNO UNITO)
SVEZIA
REGNO UNITO
N. REFER.
LINEARE
MEDIO
(CM)
PREZZO
MEDIO
(€/KG)
INDICE
POSIZ.
N. REFER.
LINEARE
MEDIO
(CM)
PREZZO
MEDIO
(€/KG)
INDICE
POSIZ.
Gorgonzola
4
18,8
22,18
0,80
3
14,2
15,92
0,80
In complesso
22
19,1
22,40
0,76
14
14,5
17,06
0,82
Padano
7
15,3
27,37
0,89
1
15,0
18,93
0,80
Parmigiano
9
14,1
38,38
0,84
4
19,2
28,97
0,87
Padano
2
10,0
34,81
0,90
Parmigiano
1
10,0
31,29
1,00
2
21,7
35,10
0,80
In complesso
9
10,9
29,40
0,93
5
23,2
18,40
0,84
Italiana
8
27,7
17,45
0,80
4
24,5
14,08
0,80
In complesso
11
30,5
15,28
10,9
5
28,6
13,56
0,84
ERBORINATO:
FORMAGGIO
GRANA INTERO:
FORMAGGIO DURO
GRATTUGIATO:
MOZZARELLA:
Nel caso specifico delle mozzarelle, l’incidenza dell’origine italiana nel negozio
svedese supera il 75% in numerica, quota che però si riduce se si considera il lineare corrispondente e se si prende in considerazione pure il posizionamento. Medesimo meccanismo si verifica nel Regno Unito, dove l’incidenza delle referenze
italiane, in numerica, si colloca sull’80%.
Per gli erborinati, quote in numerica e in ponderata sono molto simili, e l’Italia
raggiunge percentuali intorno al 18% in Svezia e al 21% nel Regno Unito.
Il Parmigiano e il Padano, nell’ambito dei duri grattugiati, si collocano sul 33% di
incidenza in numerica in Svezia, sul 40% nel Regno Unito. In entrambi i paesi, le
corrispondenti quote in ponderata si riducono, per un lineare inferiore rispetto
alla referenza media dei grattugiati.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
Su 270 referenze del reparto salumi a libero servizio nel negozio svedese,
circa 50 sono attribuibili alle famiglie merceologiche che maggiormente vedono la
presenza del nostro Paese (crudo, salame e mortadella). Nel Regno Unito, su un
centinaio di referenze complessive, una quota analoga a quella del punto vendita
svedese (circa il 20%) è ascrivibile alle suddette categorie merceologiche.
Il prezzo medio del prodotto di origine italiana è in genere superiore alle referenze di diversa provenienza, in alcuni casi in misura assolutamente rilevante.
Rispetto al negozio svedese, quello britannico si caratterizza per una quota
maggiore del prodotto italiano; la superiorità del prezzo medio della referenza italiana comporta una incidenza in termini ponderati sul valore che è ben
maggiore dell’incidenza in termini numerici.
PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI SALUMI RILEVATI (LIBERO
SERVIZIO) IN SVEZIA E NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTI: NEGOZIO CON SUPERFICIE
DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ IN SVEZIA, 1500 MQ NEL REGNO UNITO)
SVEZIA
REGNO UNITO
N. REFER.
PREZZO MEDIO
(€/KG)
N. REFER.
PREZZO MEDIO
(€/KG)
Parma
3
68,70
3
42,60
San Daniele
1
69,50
In complesso
13
49,90
6
42,40
Italiana
2
32,30
1
18,70
In complesso
3
24,20
1
18,70
Italiano
13
38,18
6
30,34
In complesso
35
29,08
14
22,94
CRUDO:
MORTADELLA:
SALAME:
La numerosità di referenze nel reparto ortofrutta, riferita al negozio standard
come prima specificato, vede per la Svezia quasi 50 referenze nell’ambito della
verdura e poco più di 40 per la frutta; si tratta di numeri ben inferiori a quelli
riscontrati nel Regno Unito, a maggior ragione se si considera la differenza di
superficie dedicata al food per il negozio standard dei due paesi. Del resto, si
era precedentemente visto che il reparto ortofrutta svedese si caratterizza per un
basso coefficiente di occupazione dello spazio e per una ambientazione che mira
decisamente alla piacevolezza.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
L’Italia è praticamente assente dal reparto degli ortaggi in Svezia, mentre conta
una discreta presenza nell’ambito della frutta (intorno al 12% delle referenze).
Importanti sono l’Olanda e la Spagna, rispettivamente per verdura e frutta.
Medesima affermazione può essere ripetuta per il Regno Unito, dove però la produzione locale raggiunge una quota rilevante nell’ambito delle referenze orticole
esposte. In riferimento alla frutta, oltre alla Spagna è ben presente il Sud Africa, e
l’incidenza italiana non è molto consistente (intorno al 6-7%).
PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI CATEGORIE DEL REPARTO ORTOFRUTTA IN
SVEZIA (RIFERIMENTO: NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ)
PRINCIPALI CATEGORIE
N. REFER.
PREZZO MEDIO (€/KG)
Carote
3
2,44
Insalate
7
2,65
Patate
3
1,48
Peperoni
6
5,29
Pomodori
16
8,70
TOTALE ORTAGGI
47
5,42
Susine
3
3,20
Uva
5
5,07
Pesche e nettarine
3
3,23
Pere
3
3,42
Mele
8
2,94
TOTALE FRUTTA
42
3,24
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI CATEGORIE DEL REPARTO ORTOFRUTTA NEL
REGNO UNITO (RIFERIMENTO: NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 1500 MQ)
PRINCIPALI CATEGORIE
N. REFER.
PREZZO MEDIO (€/KG)
Broccoli
4
6,09
Carote
5
3,22
Cavoli, cavolfiore
5
1,12
Lattuga
3
7,78
Patate
12
2,20
Peperoni
4
5,77
Pomodori
8
6,86
TOTALE ORTAGGI
70
4,87
Mandarini
5
4,51
Mele
19
3,02
Pere
6
3,64
Pesche e nettarine
3
5,79
Uva
8
5,75
TOTALE FRUTTA
67
4,83
Il reparto vino nel Regno Unito è stato analizzato considerando il solito punto
vendita standard di 1500 mq, mentre per la Svezia si è preso in considerazione un
negozio Systembolaget di dimensioni piuttosto grandi (680 metri quadrati, di cui
490 destinati al vino).
Come già accennato, lo stato svedese ha assegnato a Systembolaget la missione di gestire la rivendita al dettaglio delle bevande alcoliche secondo modalità
rispettose della salute pubblica. Systembolaget ha una rete di vendita di 412 negozi propri distribuiti su tutto il territorio nazionale e una rete di oltre 500 venditori
delegati in aree che non motivano economicamente l’apertura di propri negozi.
I venditori delegati non hanno depositi, ma si riforniscono in uno dei magazzini
centralizzati dove Systembolaget tiene l’assortimento completo.
Nel Regno Unito, le referenze italiane sono 95 su quasi 700 in complesso.
Il prodotto del nostro Paese è leggermente penalizzato rispetto alla media del reparto, sia in termini di spazio lineare occupato, sia per quanto riguarda il posizionamento sugli scaffali. Si nota anche una inferiorità, seppur non particolarmente
marcata, in riferimento al prezzo unitario. Da questo punto di vista, il prezzo
medio di reparto è sospinto verso l’alto dai vini francesi e, in minor misura, da
quelli della Nuova Zelanda. La Francia ha una posizione di leader di mercato,
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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190
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
con un 22% di numerica e un 35% di ponderata sul valore, seguita dall’Australia
e, in terza posizione, dal nostro Paese.
Nel punto vendita di Systembolaget, l’Italia fa riscontrare una quota del 12,9%,
che si abbassa all’11,4% se si considerano i valori, in virtù di un prezzo mediamente più basso rispetto alla media del negozio nel suo complesso. I vini francesi,
per esempio, nell’ambito del Systembolaget, fanno riscontrare un prezzo medio
di 29,20 euro/litro.
L’incidenza delle referenze italiane sulla gamma complessiva del punto vendita
è compressa da una quota inferiore al 9% riscontrata per lo spumante. Quest’ultimo, nel negozio considerato nella sua globalità, ha una incidenza su tutta la
gamma dei vini intorno al 10%, che si riduce se invece del numero di referenze
si considerano le superfici di vendita dei singoli segmenti. Quote non dissimili
caratterizzano il vino in bag in box.
CARATTERISTICHE DEL VINO ITALIANO NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTO: NEGOZIO
CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 1500 MQ)
N. REFER.
LINEARE MEDIO
PREZZO MEDIO
(€/LT)
INDICE POSIZ.
ITALIANO
95
26,9
12,35
0,74
IN COMPLESSO
698
28,4
13,98
0,78
PREZZO MEDIO (€/KG) E INCIDENZA DELLE DIVERSE PROVENIENZE DEL VINO NEL REGNO
UNITO (RIFERIMENTO: NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 1500 MQ)
PROVENIENZE
N. REFER.
PREZZO MEDIO
(€/LT)
% NUMERICA
% PONDERATA
SUL VALORE
Argentina
12
10,95
1,7
1,3
Australia
119
11,45
17,0
14,0
Cile
36
11,24
5,2
4,1
Francia
150
22,45
21,5
34,5
Germania
24
8,61
3,4
2,1
Italia
95
12,35
13,6
12,0
Nuova Zelanda
24
15,94
3,4
3,9
Regno Unito
5
13,62
0,7
0,7
Spagna
65
13,35
9,3
8,9
Sudafrica
70
9,93
10,0
7,1
Usa
74
10,32
10,6
7,8
Altri
24
13,89
3,4
3,4
In complesso
698
13,98
100,0
100,0
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
CARATTERISTICHE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI VINO NEL SYSTEMBOLAGET
(RIFERIMENTO: PUNTO VENDITA DI 680 MQ)
BOTTIGLIA
NON
SPUMANTE
BOTTIGLIA
SPUMANTE
BAG IN BOX
BRIK
IN COMPLESSO
Superficie reparto (mq)
375
45
48
22
490
Numero medio di livelli
espositivi
4
4,5
3
2,5
3,9
Lineare a terra (mt)
157
21
20
6
204
Numero referenze in
complesso
1684
224
160
25
2093
Numero referenze italiane
225
20
23
3
271
% Italia numerica
13,4
8,9
14,4
12,0
12,9
CARATTERISTICHE DEL VINO ITALIANO NEL SYSTEMBOLAGET (RIFERIMENTO:
PUNTO VENDITA DI 680 MQ)
N. REFER.
PREZZO MEDIO
(€/LT)
% ITALIA NUMERICA
% ITALIA PONDERATA
SUL VALORE
ITALIANO
271
16,62
12,9
11,4
IN COMPLESSO
2093
18,90
100,00
100,00
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
191
192
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
7.4.2. ALCUNI SPUNTI QUALITATIVI
Lo store check compiuto e la corrispondente lettura degli scaffali, oltre agli aspetti
quantitativi sopra esposti, hanno fatto affiorare una serie di elementi che contribuiscono efficacemente all’interpretazione delle richieste del consumatore locale.
Non è un caso che, dalle interviste alle cooperative esportatrici, sia emersa l’importanza di effettuare monitoraggi in loco dei punti vendita, come fase determinante
di lavoro, per scoprire e dimensionare orientamenti dei consumatori, preferenze,
linee evolutive delle richieste, oltre che comportamenti e tattiche dei distributori.
Si riportano, di seguito, alcuni esempi riscontrati nei punti vendita del Regno
Unito e della Svezia, da cui si deducono abitudini peculiari dei singoli mercati
esaminati o scelte che sono presenti anche in Italia, ma con minore intensità.
Per esempio, riguardo alle pezzature dei prodotti e alle soluzioni multipack, il Regno Unito vede una forte accentuazione delle tendenze chiare a livello europeo,
con proposte di pezzature veramente minime e di confezioni con mix di prodotti.
Sempre a proposito di packaging, si riscontrano con una certa frequenza soluzioni che coniugano una pezzatura ridotta, un forte contenuto di servizio in termini
di praticità di consumo e in alcuni casi una originalità estetica. A volte, l’obiettivo
è quello di avvicinare al prodotto le giovanissime generazioni.
In parte, si tratta di proposte presenti anche in Italia ma con peculiarità diverse o
con frequenze minori; oppure, si tratta di proposte in un certo senso inedite per
un’azienda che non conosca il mercato di quel paese.
CONFEZIONE MULTIPLA DI FORMAGGI IN MICROPEZZATURE, REGNO UNITO
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
MINIDESSERT IN BICCHIERE, REGNO UNITO
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
VINO ITALIANO IN CALICE, REGNO UNITO
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
FORMAGGIO PER DIVERTIMENTO, REGNO UNITO
I dispenser presenti nelle grandi superfici della distribuzione moderna svedese coinvolgono una gamma di prodotti rilevante: pasta; patate; cipolle; salami
mignon; ecc.
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
DISTRIBUTORE DI GAMBERETTI, SVEZIA
Dall’osservazione di svariati prodotti e scaffali, è risultato evidente l’orientamento del mercato ad apprezzare da un lato la vicinanza geografica con la fonte
della materia prima (si vedano le evidenziazioni della bandiera del Regno Unito
o di quella svedese), dall’altro la leva, utilizzata da alcuni produttori, dello stretto
collegamento con il produttore primario e quindi di una componente etica centrata sull’aiuto economico alla permanenza in attività delle piccole aziende rurali.
Per esempio, la fotografia sulla confezione cerca di fare conoscere l’agricoltore
direttamente al pubblico.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
VERDURA PRETAGLIATA, REGNO UNITO
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
CONTENITORE DI ORTAGGI SUGLI SCAFFALI, REGNO UNITO
ESPOSIZIONE DI MELE, REGNO UNITO
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE
ESPOSIZIONE DI MELE, SVEZIA
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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200
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8. ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
8.1. LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE
I fattori che hanno consentito alle aziende del campione di sviluppare l’export
nel corso degli anni sono gli stessi elementi su cui si baseranno le strategie nel
prossimo futuro:
• lo sviluppo di buoni rapporti di medio-lungo periodo con importatori seri
(interfaccia commerciale, culturale e logistico), con eventuali attività di
co-marketing;
• la partecipazione a fiere, a manifestazioni ed eventi di promozione e comunicazione, come incontri B2B, attività di incoming, degustazioni per rendere il
consumatore più consapevole;
• una buona conoscenza e consapevolezza delle richieste dei mercati per poter
poi lavorare in funzione di queste;
• l’innovazione di prodotto per adeguarsi ai mercati esteri, anche solo dal punto
di vista del servizio fornito o del packaging (l’importanza della componente
immagine è molto cresciuta negli ultimi anni, e quindi tutto quello che riguarda il confezionamento e l’etichettatura diventa fondamentale per farsi spazio);
• contemporaneamente, l’enfatizzazione delle peculiarità dei prodotti e dei valori del territorio.
In certi casi, è stato fondamentale istituire organizzazioni di produttori, per
garantire tutela e per raggiungere massa critica. Anche le collaborazioni con imprese di settori diversi, i cui prodotti possono essere abbinabili, risulta una possibile strategia per proporre al cliente un paniere più completo di prodotti alimentari Made in Italy, concetto al quale sembra sia dedicata una crescente attenzione.
A proposito della partecipazione alle fiere, per la maggior parte delle cooperative
intervistate si tratta di un momento di incontro e scambio importante ed essenziale, soprattutto per i mercati nuovi, fondamentale per conoscere e farsi conoscere,
per individuare partner, per controllare la concorrenza.
Una parte minoritaria di cooperative vede un’utilità soltanto parziale della partecipazione alle fiere:
• queste occasioni aiutano a sviluppare nuovi contatti, che però raramente si
riesce a tradurre in nuovi clienti, mentre aiutano a mantenere i contatti con
clienti già acquisiti;
• risultano costose ed impegnative per i piccoli produttori;
• nei paesi maturi risultano più significative altre iniziative come workshop e
incontri con i buyer;
• possono essere importanti soltanto se si hanno prodotti nuovi da promuovere.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
Le principali difficoltà incontrate sui mercati esteri sono:
• la forte pressione concorrenziale, soprattutto da parte dei cosiddetti paesi
emergenti;
• il periodo di generale congiuntura economica negativa, parallelamente a una
disinformazione sul prodotto esportato e a una barriera nel riconoscere sul
prezzo lo spessore qualitativo del prodotto stesso;
• la necessità di adeguarsi a dazi, a richieste di certificazioni impegnative e specifiche etichettature, a formalità di controllo con relativi costi e ritardi nella
spedizione; tutto ciò con diverse interpretazioni per ogni mercato di riferimento e con cambi improvvisi di contesti;
• la logistica che spesso è complicata: i costi di trasporto incidono pesantemente,
a volte mancano infrastrutture destinate alla giacenza temporanea delle merci,
i trasportatori sono in diminuzione e non sempre appaiono adeguatamente
attrezzati;
• la questione delle licenze per l’importazione, che in certi mercati sono in mano
a pochissimi soggetti, con forte incertezza riguardo alla loro continuità;
• l’esistenza di problemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani
all’estero, dichiarati da quasi quattro cooperative su cinque, che danneggiano
il Made in Italy;
• il rischio di insolvenza dei clienti esteri e la loro non sempre sufficiente affidabilità.
I piccoli produttori, in modo specifico, hanno difficoltà ad affrontare i mercati
esteri, non hanno forza finanziaria e volumi di fatturato sufficienti. Si necessita
quindi di forme di coordinamento, per contrastare l’eccessiva forza dei grandi
clienti che schiaccia le piccole e medie imprese.
Per il campione interpellato, i paesi su cui si punta maggiormente, come sviluppo
delle esportazioni per i prossimi cinque anni, sono rappresentati in primo luogo
da Germania, Russia, Cina, Stati Uniti; seguono Regno Unito, Francia, Danimarca, Svizzera e Canada; sono poi stati citati con una frequenza inferiore Giappone,
Brasile, Sud Corea, Olanda, Spagna, Austria, Emirati Arabi, Slovacchia, Polonia.
Per quanto riguarda gli strumenti istituzionali di supporto finanziario all’internazionalizzazione, è affiorato in genere un discreto livello di soddisfazione,
a fianco di qualche motivo di insoddisfazione o parziale soddisfazione: per esempio,
i tempi lunghi che a volte costringono a rivolgersi al credito privato nel periodo
di attesa del finanziamento pubblico e la pesantezza della burocrazia.
In riferimento agli strumenti istituzionali per l’assicurazione del rischio su crediti
commerciali oppure per il recupero dei crediti relativamente all’attività di espor-
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
tazione, una parte dei rispondenti si è dichiarata soddisfatta del servizio ricevuto,
altre cooperative hanno invece fatto emergere spazi di miglioramento, per esempio in riferimento ai costi, alle coperture ridotte e alla rigidità.
Oltre l’80% delle cooperative rispondenti ha dichiarato di avere usufruito di strumenti istituzionali per il supporto di mercato o di consulenza commerciale all’internazionalizzazione. Lo strumento maggiormente utilizzato è stato il finanziamento della partecipazione a fiere, seguito da workshop con buyer o importatori
e dall’organizzazione di eventi per promuovere prodotti.
La rispondenza di questi strumenti alle esigenze degli utilizzatori è stata valutata abbastanza positivamente, ma qualche cooperativa ha parlato di interventi
approssimativi, generici, dispersivi, poco produttivi. In qualche caso, è risultato
alquanto complesso accedere ai fondi.
Per stimolare le esportazioni, l’ente pubblico dovrebbe snellire le pratiche burocratiche, irrobustire gli accordi a livello politico, cercare di accrescere il peso
decisionale dell’Italia nelle trattative.
Sarebbe opportuno istituire un marchio “Made in Italy”, un sistema paese per
coordinare l’immagine a livello nazionale. A questo proposito, si dovrebbero promuovere le eccellenze e fare conoscere il territorio. Andrebbero inoltre proposte
iniziative di educazione per il consumatore. Dovrebbero essere maggiormente
coordinati i diversi enti che intervengono nel sostegno all’internazionalizzazione.
Si chiede poi una maggior formazione dei funzionari pubblici e degli operatori
del settore alimentare, una maggiore stimolazione dell’innovazione e ricerche di
mercato specifiche.
Secondo parte delle opinioni raccolte, essere cooperativa ha una valenza positiva
nella percezione dei mercati esteri principalmente per quanto riguarda l’aspetto
della gestione della filiera. Il controllo su di essa aumenta esponenzialmente la
credibilità che si ha come produttori; offrire i prodotti dei soci dà più sicurezza al
cliente.
Legata all’aspetto del controllo della filiera, risulta rilevante la vicinanza ai produttori; la cooperativa rappresenta la produzione stessa con un conseguente miglioramento d’immagine, e il consumatore percepisce maggiori garanzie di qualità.
Si nota come positiva la percezione che la cooperativa possa investire nel lungo
periodo, garantendo continuità nel portafoglio prodotti e nella programmazione
di produzione.
Un po’ più marginale sembra il fatto che la cooperativa possa vantare finalità sociali, di salvaguardia dei diritti dei lavoratori e di sostegno alle zone rurali.
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
I principali effetti negativi sottolineati a proposito della natura cooperativa riguardano il complesso sistema decisionale: si può quindi risultare meno snelli e
meno reattivi nel rapporto con il mercato.
I soci sono in certi casi poco propensi all’innovazione e a investimenti in promozione e nella struttura commerciale, anche perché la loro prospettiva frequentemente non supera il medio termine.
Secondo altri pareri, il cliente a volte percepisce il prodotto della cooperativa
come un prodotto di massa, a discapito della qualità.
8.2. LE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE
Come abbiamo visto, si stima che se si eliminassero i dazi e gli ostacoli non tariffari
l’export potrebbe raddoppiare il suo ritmo di crescita e che nel 2020 le nostre esportazioni potrebbero toccare i 60 miliardi contro i 43 attesi in base ai tassi attuali.
D’altra parte sappiamo che per il superamento delle barriere sono fondamentali
soprattutto le negoziazioni tra paesi e quelle in sede UE.
La stessa Commissione UE è convinta che la diplomazia commerciale costituisca
solitamente il mezzo più rapido per combattere contro gli ostacoli agli scambi, ma
che la sua efficacia dipenda dalla possibilità di convincere il paese con cui si sta
trattando che è nel suo interesse eliminare gli ostacoli.
L’obiettivo della riduzione delle barriere non può essere affidato, quindi, al solo
WTO, ma deve essere perseguito a tutti i livelli comunitari e nazionali, coinvolgendo ministeri, reti consolari e, senza trascurare i confronti tra le istanze più tecniche,
rappresentanze imprenditoriali, enti di certificazione e perfino comunità religiose.
In sostanza si deve fare sistema paese, ma sempre più in un ambito di sistema
Europa.
Naturalmente le barriere hanno le medesime ricadute su tutte le aziende italiane,
cooperative o non.
Le aziende si debbono impegnare per le tante pratiche, certificazioni, analisi di
prodotto,… che consentono loro di accedere ai mercati e nel caso di barriere,
tariffarie e non, insuperabili o eccessivamente elevate, non possono fare altro che
constatare passivamente i vincoli posti dai diversi paesi.
E le cooperative a fronte di questa tipologia di barriere hanno una sola alternativa: sostenere con le loro organizzazioni il sistema paese e il sistema Unione
Europea nelle diverse sedi internazionali, bilaterali o multilaterali, che operano
per rendere sempre più fluidi gli scambi.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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A fronte, invece, di barriere superabili pur con un certo impegno, che richiedono
pratiche complesse per accedere ai mercati, le cooperative di maggiori dimensioni tendono ad attivarsi direttamente, anche con il concorso di loro importatori
preparati e consolidati nel rapporto, mentre quelle di dimensioni più contenute
sono spesso indotte a ricorrere a contributi esterni e ad avvalersi della assistenza
dei consorzi di tutela e valorizzazione, delle camere di commercio, ecc.
E qui si apre una riflessione: possono le organizzazioni di rappresentanza delle
cooperative attivarsi ancor più per offrire assistenza alle loro associate su un versante dove notevoli sono le difficoltà legate a procedure farraginose oppure è più
opportuno che lascino ad altri enti il compito di assistere su questo versante?
Certo è che le cooperative di minori dimensioni hanno difficoltà ad affrontare da
sole in particolare i mercati extra UE, quelli che offrono gli spazi di crescita più
interessanti.
Per accedere a tali mercati tante volte debbono ricercare l’appoggio di importatori
locali, con i quali non di rado, però, i rapporti di forza sono sbilanciati a favore di
questi ultimi e sono ben liete quando possono ritrovare appoggi di organizzazioni ed enti italiani a loro vicini.
8.3. LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING
L’indagine svolta a livello desk ha posto bene in evidenza la complessità e le tante
sfaccettature della problematica dell’Italian sounding, che a volte sfocia in una
vera e propria contraffazione.
Si tratta di una materia indubbiamente complessa, e la stessa normativa incontra
molte difficoltà nel controllare e proteggere la provenienza, in un’epoca di delocalizzazioni, joint ventures internazionali, contoterzismo, step di lavorazioni in
aree mondiali diverse, ecc.
L’ampiezza dell’indagine svolta sul campo, pur affiancata a quella desk, non
consente di quantificare con precisione il fenomeno dell’Italian sounding e delle
contraffazioni, i cui confini peraltro non sono univocamente tracciabili. Si vuole
tuttavia dare qualche generico ordine di grandezza, se non altro per delineare le
diverse tipologie e i relativi impatti sul mercato.
A livello di Europa in complesso, si può a grandi linee stimare che l’export di
prodotti italiani rappresenti poco meno di un terzo dei consumi dell’insieme di
prodotti realmente italiani, Italian sounding e contraffazioni. Da questa quota si
è volutamente escluso l’export di produzione realizzata in Italia che può essere considerata in ambito contraffazione o Italian sounding, in quanto imitazione
spesso non trasparente di prodotti italiani tipici e blasonati.
Una quota poco più elevata è attribuibile ai prodotti che richiamano lo stile italiano, le ricette del nostro Paese, ecc., in modo trasparente e facilmente leggibile
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
dal consumatore. Sono queste le tipologie di concorrenti che affrontano con
una maggiore chiarezza la competizione con le autentiche referenze italiane a
marca aziendale. Si stimola l’associazione allo stile alimentare italiano (attraverso nomi propri, luoghi geografici, segni grafici, colori), ma è chiaro il ruolo
dell’Italia (è ciò che si verifica per una parte delle referenze targate Italian style
o Italian inspiration).
Si evita di parlare di matrice italiana, ma ci si limita a sottolineare che si sono
seguiti canoni legati alla tradizione italiana o che un ingrediente, in grado di
fornire un particolare valore all’intero prodotto, proviene dall’Italia. Ci si basa
anche sul fatto che tanti nomi e prodotti sono ben conosciuti nel mondo come
tipicamente italiani e questi nomi non sono protetti da alcuna denominazione o
da marchi registrati.
In queste situazioni, si sviluppa la capacità di scelta del consumatore fra referenze italiane e referenze non italiane, che si può accompagnare a un ricorso ai
prodotti competitor spesso come scelta mirata al risparmio.
Se la competizione è serrata ma trasparente e ben delineata, con una chiarezza informativa destinata al consumatore, le aziende italiane si trovano a dover
migliorare ulteriormente la qualità pure in termini di costanza e di servizio fornito,
differenziandosi anche sull’area emozionale legata al Made in Italy, a fronte della
minore convenienza di prezzo. Si tratta di attuare strategie opportune per investire
nel perimetro dell’Italian sounding trasparente fuori dall’area delle contraffazioni.
Diventa importante per le nostre imprese valorizzare le caratteristiche del
proprio prodotto e sensibilizzare sui vantaggi della qualità, conquistando la
fiducia di buyer e consumatori con strategie improntate alla serietà, evidenziando il concetto che il prodotto non è Italian style, ma è italiano autentico.
L’Italian styling può fare da cassa di risonanza, può agevolare la conoscenza
trasparente e leggibile ed è quindi una sorta di potenziale trampolino di lancio.
Ci si trova in una situazione circolare: il prodotto similare nasce in quanto c’è attesa di italianità da parte di consumatori; nel contempo, il prodotto similare contribuisce a diffondere atmosfera, cultura alimentare italiana e,
di conseguenza, incrementa il bisogno di prodotto italiano.
Non raramente, il consumatore inizia ad acquistare in un’ottica di Italian style,
poi fa un salto di qualità verso il vero italiano, magari in seguito a una prova del
prodotto avvenuta in una particolare circostanza.
A fronte di prodotti e produttori che manovrano la leva dell’Italian sounding
in modo trasparente, una proporzione non molto inferiore di prodotti si trova nell’ambito di quell’area che è definibile come Italian sounding equivoco.
È importante sottolineare che parte dell’Italian sounding equivoco è realizzato da
aziende italiane.
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
Nei fatti, il confine fra l’imitazione equivoca (o parzialmente equivoca) e l’Italian
sounding trasparente è piuttosto labile. Parte dei consumatori, secondo quanto
emerso dai focus group svolti, potrebbe infatti attribuire una provenienza italiana a referenze che invece ad altri risultano chiaramente di matrice diversa e
che semplicemente richiamano sensazioni e concetti legati all’italianità. Non solo:
nell’ambito dello stesso consumatore, può verificarsi un contrasto percettivo tra
la sua sfera emotiva e quella razionale.
Anche per questi motivi, non è semplice applicare una specifica normativa comunitaria (regolamento 1169 del 2011) la quale stabilisce che le informazioni sui
prodotti alimentari non devono indurre in errore il consumatore.
Può essere comunque interessante sottolineare il fatto che, all’interno del perimetro dell’imitazione equivoca, solo una parte (minoritaria) rappresenta una reale
sottrazione di spazio di mercato per il prodotto realmente italiano. Si possono
infatti identificare due tipi di situazioni:
• i consumatori che, se avessero la consapevolezza che si tratta di una imitazione, sarebbero indotti ad interrompere l’acquisto, per passare al prodotto
autentico;
• i consumatori che acquistano l’imitazione percependola come italiana, ma non
acquisterebbero comunque il prodotto autentico italiano perché su una fascia
di prezzo troppo diversa.
Esiste poi l’area delle contraffazioni vere e proprie, quantificabile per l’Europa in
qualche punto percentuale, che è assolutamente da contrastare, a livello aziendale e istituzionale.
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
A livello mondiale, è probabile che le proporzioni fra export italiano e Italian
sounding non siano molto differenti da quelle relative all’Europa; in diversi paesi extra-europei, invece, le proporzioni interne all’Italian sounding fra soluzioni
trasparenti e soluzioni equivoche sono maggiormente sbilanciate in direzione dei
casi equivoci; inoltre, i casi di contraffazione sono proporzionalmente superiori.
La cooperativa opera sul mercato alla stregua delle altre realtà imprenditoriali e quindi dovrebbe essere coinvolta nella stessa misura rispetto al fenomeno
dell’Italian sounding.
Questo fenomeno, tuttavia, penetra meno intensamente, crediamo, là dove si gioca in modo spinto sulla caratterizzazione territoriale e sulla tipicità; quindi, chi
opera con maggiore forza su questi valori e ne fa la bandiera della propria offerta,
è maggiormente al riparo da fenomeni banali di imitazioni.
Non pensiamo che per evitare speculazioni imitative che coinvolgono interi settori dell’industria alimentare italiana si debba per forza di cose ripensare al proprio
portafoglio e caratterizzarlo maggiormente nel senso della tipicità e della territorialità, è certo però che la cooperativa, qualora intenda farlo, ha maggiori frecce
nella propria faretra ed è un’operazione che le può riuscire in modo più semplice
e credibile rispetto ad altri.
8.4. GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Dall’analisi e comparazione dei dati delle esportazioni nazionali relative ai prodotti agroalimentari emerge come le performance dell’Italia siano inferiori a quelle dei principali competitors europei, nonostante l’indiscussa eccellenza dei prodotti italiani sul fronte della qualità, del valore e le certificazioni di qualità Dop
- Igp. Segnali positivi provengono dai dati dell’export dei prodotti agroalimentari
nel 2013, cresciuto del 5.2% mentre si registra una battuta di arresto della crescita
del totale dell’export italiano.
Il numero di imprese esportatrici è ancora troppo basso, occorre che le piccole
e medie imprese, che compongono il nostro tessuto produttivo, siano sostenute
nello sforzo dell’internazionalizzazione, vista l’importanza per tutta l’economia
italiana. Per contro, le iniziative commerciali degli imprenditori italiani che, districandosi tra le numerose problematiche, sono riusciti a inserirsi con successo
in mercati lontani, hanno sicuramente una ricaduta generale sulla conoscenza
del nostri prodotti ma non sono sufficientemente “messe a sistema” come invece
sarebbe auspicabile per fare conoscere e apprezzare tutto ciò che è Made in Italy,
dal cibo, all’artigianato, al turismo e alla cultura.
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
L’analisi ha evidenziato un “sistema paese” complesso e frammentato: anche a
causa della stratificazione normativa, le competenze sono spesso svolte in sovrapposizione tra i vari enti. La Cabina di Regia nasce nel 2011 proprio per la
necessità di coordinamento tra i vari attori dell’internazionalizzazione del Paese,
fra cui lAlleanza delle Cooperative.
Si notano i primi segnali di cambiamento, in linea con i più organizzati paesi focalizzati sull’export, dalla razionalizzazione delle attività promozionali in seguito
alla riorganizzazione dell’Ice, alle azioni delle Agenzie regionali ed al supporto
delle Camere di Commercio, in Italia e all’estero.
Sotto il profilo del supporto finanziario all’internazionalizzazione, è stato creato
recentemente un polo della finanza - modello EXPORT BANCA - che grazie al
supporto della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e dell’ABI con la garanzia della
SACE e con un intervento di stabilizzazione del tasso di interesse da SIMEST,
tende a rendere più efficace il supporto alle imprese. Da rilevare le scarse risorse
messe a disposizione rispetto alle decine di miliardi disponibili da strutture analoghe all’estero - tipo Ipex Bank in Germania.
Come abbiamo avuto modo di valutare nella disamina delle varie strutture incontrate, la Germania è caratterizzata da una lineare definizione delle competenze
a livello centrale - che si fonda su una chiara strategia perseguita dal Governo
Federale Tedesco - e da una straordinaria efficacia degli strumenti pubblici a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese.
L’export dei prodotti tedeschi costituisce oltre il 43% del PIL della Germania contro il 30% italiano. La Germania è il più grande produttore europeo di prodotti
alimentari - quarto settore del paese - con performance in continua crescita.
La possibilità di far ricorso a diversi strumenti e organizzazioni dedicate allo
sviluppo dell’export ha permesso alla Germania di concentrarsi anche sui paesi
emergenti, cogliendone i vantaggi, mentre le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani sono ancora molto concentrate entro i confini dell’Europa, anche
se nel 2013 si sono registrati importanti sviluppi sui nuovi mercati.
I principali fattori di successo riscontrati dall’analisi del modello di supporto all’esportazione dei prodotti della Germania possono essere così sintetizzati:
• organizzazioni nazionali snelle ed efficienti con funzioni ben definite e ottimo
sostegno da parte del sistema camerale, che si pone come unico interlocutore
per l’azienda che vuole espandersi sui mercati esteri nonché forte ruolo economico dei diplomatici nelle rappresentanze all’estero;
• le strutture tedesche di supporto all’export operano in stretto contatto con le
aziende, con le loro associazioni di categoria (comprese quelle dei consumatori) e le Istituzioni;
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
• disponibilità di strumenti finanziari forniti dall’export bank di matrice pubblica KFW-Ipex insieme alle banche regionali, anche grazie ad un sostegno
pubblico e supporto fornito da Euler Hermes Deutschland AG, su mandato
del Governo tedesco, per la copertura dei rischi.
La Germania è al 3° posto nella commercializzazione dei prodotti della filiera
agroalimentare dopo gli Stati Uniti e l’Olanda. Per il sostegno all’esportazione
agroalimentare, la Germania si avvale della GEFA - German Export Food Association, un’associazione di tipo privatistico, supportata dalle PMI tedesche, che opera
con delega del Ministero dell’Agricoltura della Repubblica Federale Tedesca.
La Germania sostiene le proprie PMI agroalimentari mediante le Associazioni
di categoria che sono fortemente proiettate all’obiettivo dell’incremento dell’export, finanziando le attività di sviluppo attraverso trattenute ai produttori, presidiano i tavoli consultivi con le istituzioni e sono alleate per l’ottenimento di
risultati comuni.
Anche le imprese italiane dovrebbero riuscire ad affrontare nuovi mercati, come
ad esempio quello asiatico, per sfruttare al meglio le potenzialità, con la consapevolezza che nel momento in cui si esce dall’Europa e dal mondo occidentale,
aumentano le difficoltà e gli ostacoli all’esportazione. Innanzitutto le abitudini
alimentari sono radicalmente diverse non solo rispetto all’Italia ma anche rispetto
ad altri paesi europei e sono necessari tempo e costanza per modificarle e quindi
per fare apprezzare i nostri prodotti. Inoltre si devono fronteggiare le barriere
fitosanitarie poste a protezione dei mercati e produttori interni dall’arrivo di produzioni concorrenziali. Abbiamo già evidenziato come interventi promossi da
strutture come il CSO facilitano il superamento di tali ostacoli.
Un altro aspetto importante sono le relazioni con le aziende importatrici che, è
stato sperimentato, costituiscono un inevitabile passaggio fra l’esportatore straniero e il mercato di destinazione interno, vista la necessità di curare gli aspetti
procedurali d’importazione. La grande distribuzione può essere un importante
alleato, a condizione di disporre di una filiera organizzata ed efficiente.
Le cooperative stanno affrontando questi nuovi mercati anche con iniziative innovative in grado di fare fronte a concorrenti molto attivi, come il consorzio
costituito dalle quattro organizzazioni dei produttori cooperativi del Trentino
- Alto Adige che si occupa di commercializzazione extra Ue di mele, permettendo di concentrare il prodotto e di superare i provincialismi e di fornirlo con le
caratteristiche adatte allo specifico mercato.
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
È evidente infine che, affinché le nostre imprese riescano a fronteggiare i nuovi
mercati dei paesi emergenti e coglierne le opportunità di sviluppo, è necessario
che possano contare su un sostegno efficiente alla propria attività di esportazione,
come quello sul quale possono contare le imprese tedesche.
8.5. DALLA LETTURA DEGLI SCAFFALI
Dall’opinione di cooperative esportatrici e imprese di importazione intervistate,
è emersa chiaramente l’importanza di effettuare monitoraggi in loco dei punti
vendita, come fase determinante di lavoro, per scoprire e dimensionare orientamenti dei consumatori, abitudini peculiari dei singoli mercati (scelte che
magari sono presenti anche in Italia, ma con minore intensità), linee evolutive delle
richieste, oltre che comportamenti e tattiche dei distributori.
Per esempio, riguardo alle pezzature dei prodotti e alle soluzioni multipack, il Regno Unito vede una forte accentuazione delle tendenze chiare a livello europeo,
con proposte di pezzature veramente minime e di confezioni con mix di prodotti.
Sempre a proposito di packaging, si riscontrano con una certa frequenza soluzioni che coniugano una pezzatura ridotta e un forte contenuto di servizio in termini
di praticità di consumo
Dall’osservazione di svariati prodotti e scaffali in Svezia e Regno Unito, è risultato evidente l’orientamento del mercato ad apprezzare da un lato la vicinanza
geografica con la fonte della materia prima (si vedano le evidenziazioni della
bandiera del Regno Unito o di quella svedese), dall’altro la leva, utilizzata da alcuni produttori, dello stretto collegamento con il produttore primario e quindi di
una componente etica centrata sull’aiuto economico alla permanenza in attività
delle piccole aziende rurali. Per esempio, la fotografia sulla confezione cerca di
fare conoscere l’agricoltore direttamente al pubblico.
Questo può rappresentare un problema per prodotti di importazione che non
siamo diversi dai prodotti locali, ma anche un’opportunità per le cooperative
che possono vantare tra i propri fini il sostegno di aree produttive e la vicinanza all’agricoltore. Questo è vero soprattutto in città come Londra, Stoccolma,
Malmo, caratterizzate da una forma mentale orientata all’internazionalizzazione dei consumi.
Un altro dato da sottolineare è che nel Regno Unito è maggiore la tendenza a
premiare il fattore della densità espositiva, mentre il punto vendita svedese sembra premiare maggiormente la percezione di spaziosità e vivibilità da parte del
consumatore, con conseguenze positive sulla valorizzazione dei prodotti. Questo
vale in modo particolare per i salumi e per l’ortofrutta.
La tendenza a sfruttare ogni centimetro di spazio raggiunge livelli più marcati
nel caso del reparto vino inglese. È proprio quest’ultimo a evidenziare una esten-
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
sione di lineare per referenza più contenuta, mentre si rilevano più di 40 cm
di lineare a disposizione della referenza media nel reparto formaggi svedese.
L’indice di sfruttamento dello spazio con tante referenze riscontrato nel Regno
Unito può essere letto come una maggiore opportunità di ingresso, ma anche
come un problema di superiore esposizione alla concorrenza dei nuovi entranti.
È inoltre più difficile vedere le proprie referenze valorizzate adeguatamente e
con spazi opportuni.
In Svezia, il banco formaggi e il banco salumi sono presenti solo in una parte dei
punti vendita, peraltro con un numero piuttosto contenuto di referenze. Anche
nel Regno Unito, questi reparti caratterizzano solo una quota dei negozi della
Gdo. Questo si traduce in qualche difficoltà per il produttore italiano, la qualità
dei cui prodotti potrebbe esaltarsi proprio in una gestione accurata del banco.
Concentrando l’attenzione su alcune categorie di prodotti del reparto formaggi
a libero servizio che più di altre vedono una buona presenza del nostro Paese, si
nota che nell’ambito dei negozi svedesi sia gli erborinati, sia le mozzarelle, sia i
formaggi grana e i duri grattugiati hanno incidenze in termini numerici sistematicamente più elevate delle corrispondenti incidenze in ponderata sul lineare (in
altri termini, il lineare medio concesso a queste referenze è più ridotto rispetto
alla media dell’intero reparto). Ciò vale anche nel Regno Unito, ad esclusione
però delle mozzarelle. In complesso, tuttavia, si osserva un evidente orientamento verso acquisti di routine+ che premiano in quantità i prodotti diversi dalle tipiche categorie merceologiche italiane, le quali hanno una presenza sicuramente
minoritaria, per numero di referenze e per lineare.
Una situazione analoga caratterizza il reparto salumi a libero servizio. Su 270 referenze nel negozio svedese, circa 50 sono attribuibili alle famiglie merceologiche
che maggiormente vedono la presenza del nostro Paese (crudo, salame e mortadella). Nel Regno Unito, su un centinaio di referenze complessive, una quota
analoga a quella del punto vendita svedese (circa il 20%) è ascrivibile alle suddette categorie merceologiche. Il prezzo medio del prodotto di origine italiana è in
genere superiore alle referenze di provenienza diversa, in alcuni casi in misura
assolutamente rilevante.
Rispetto al negozio svedese, quello britannico si caratterizza per una quota maggiore del prodotto italiano; la superiorità del prezzo medio della referenza italiana comporta una incidenza in termini ponderati sul valore che è ben maggiore
dell’incidenza in termini numerici.
Nel reparto vino, l’Italia non tiene il passo della Francia in riferimento agli spazi
accordati e ai valori unitari. Nel Regno Unito, le referenze italiane sono 95 su
quasi 700 in complesso, con una inferiorità, seppur non particolarmente marcata,
rispetto al prezzo unitario dell’intero reparto. La Francia ha una posizione di leader di mercato, con un 22% di numerica e un 35% di ponderata sul valore.
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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
Nell’ambito del Systembolaget svedese, l’Italia ottiene una quota del 13%, che si
abbassa all’11,4% se si considerano i valori, in virtù di un prezzo mediamente più
basso rispetto alla media del negozio considerato nel suo complesso. I vini francesi, per esempio, nell’ambito del Systembolaget fanno riscontrare un prezzo medio
di 29 euro/litro, contro un valore del vino italiano inferiore ai 17 euro. L’incidenza
delle referenze italiane sulla gamma complessiva del punto vendita è compressa
da una quota inferiore al 9% riscontrata per lo spumante.
8.6. CONTESTO E POTENZIALITÀ DELLE ESPORTAZIONI IN UNGHERIA
Dalla serie di incontri con operatori di diversi settori attivi nell’importazione e nella distribuzione di prodotti agro-alimentari, con società di consulenza
all’imprenditoria e rappresentanti di istituzioni, quali l’Agenzia Ice e l’Ambasciata d’Italia di Budapest, abbiamo dedotto che i punti di forza del prodotto italiano
risiedono:
• nella sua qualità e nella sua immagine di qualità, acquisita soprattutto presso
fasce di consumatori evoluti, mentre il consumatore medio è certamente meno
sensibile;
• in una certa misura nella ristorazione che, in particolare a Budapest, può
contribuire a veicolare ed accreditare le positive valenze delle nostre produzioni
e tradizioni culinarie;
• nella logistica, in quanto l’Italia è un paese vicino e i suoi prodotti possono
raggiungere comodamente l’Ungheria, almeno in misura maggiore rispetto a
quelli dei paesi diretti concorrenti quali Spagna, Paesi Bassi, Grecia.
Mentre i punti di debolezza si ritrovano:
• nel prezzo, particolarmente elevato, a cui viene proposto al consumatore,
prezzo che fa sì che il prodotto italiano si indirizzi sostanzialmente a quella
fascia medio e medio alta della popolazione con maggiori disponibilità, che
già lo conosce in virtù di viaggi nel nostro paese, di passaparola, di informazione acquisita attraverso i media. Il prezzo determina altresì il posizionamento e, nel contempo, ne è una risultante, quindi un prezzo elevato non sempre
deve considerarsi una debolezza;
• nella non sempre convinta e continua azione dell’esportatore che talvolta si
colloca in una prospettiva di “cogli l’opportunità al volo”, anziché lavorare
in un’ottica di medio lungo periodo, programmando investimenti i cui ritorni
non sempre sono in tempi veloci;
• nel non costante rispetto degli standard concordati, in particolare in ortofrutta.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
I requisiti più importanti richiesti dai clienti, in particolare importatori, ungheresi
al fornitore italiano (e non solo) si ritrovano sostanzialmente nella:
• serietà a gestire il rapporto;
• volontà di investire con una prospettiva di lungo periodo, coinvolgendo il
cliente, il retailer, il consumatore;
• determinazione a lavorare al fine di accreditare, nei limiti del possibile, la marca del produttore;
• disponibilità a sostenere, in partnership con l’importatore, attività sui punti
vendita della gdo;
• attenzione, soprattutto nel settore ortofrutta, a corrispondere pienamente agli
standard richiesti e a offrire un prodotto ben lavorato e selezionato;
• attenzione ad un equilibrato rapporto qualità prezzo;
• vivacità del portafoglio prodotti e capacità di offrire prodotti nuovi e diversi.
Non pare, invece, avere fondamentale interesse per il cliente che il prodotto
provenga o meno da una realtà cooperativa e pure la dimensione del fornitore
ha un rilievo non particolarmente significativo, anche se si può presumere che
l’operatore di maggiori dimensioni sia in genere meglio strutturato per affrontare
i mercati esteri, sotto l’aspetto del servizio, del prodotto e della relazione.
Si può, però, ritenere che se il fornitore cooperativo lavora bene sulla propria
identità, facendo apprezzare che cooperativa è sinonimo di:
• territorialità
• origine certa dei prodotti
• volumi di produzione controllabili
• deontologia imprenditoriale
• correttezza relazionale
può rendere il rapporto con i clienti, importatori o grossisti, forse meno con i
grandi retailer internazionali che operano nel paese, più fluido e di prospettiva.
Questi si sentiranno infatti maggiormente rassicurati e quindi spinti a lavorare
con accentuato interesse per accreditare i prodotti della cooperativa sui loro mercati nella convinzione di operare con un partner affidabile, in grado di proporre
un’offerta ben controllata, di qualità e effettivamente espressione di territori del
made in Italy.
Valori questi che possono poi essere riversati sui consumatori e da questi via via
sempre più apprezzati.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
213
214
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
8.7. CONTESTO E POTENZIALITÀ DELLE ESPORTAZIONI IN SVEZIA
Lo svedese è aperto alle novità, ma questo non comporta un’apertura a tutti i
prodotti, indistintamente. Per un prodotto nuovo, occorre quindi innanzi tutto
analizzare il grado di aderenza al consumatore svedese, alle sue peculiarità,
ai suoi gusti.
L’Italia gode di un’ottima immagine relativamente al food, tanto da essere il paese meglio posizionato fra tutti. La cucina italiana non è altezzosa come quella
francese, genera l’idea di contesti amichevoli, del calore del piccolo produttore,
di piatti relativamente facili da preparare.
Nel contempo però, non avendo forti e radicate tradizioni alimentari, il consumatore svedese non necessariamente è in grado di capire subito come si utilizza
un prodotto, con quali piatti o bevande va accostato, con quali ricette deve essere
impiegato. Occorre quindi evitare alcuni classici errori, come quello di dare per
scontato aspetti che in Italia sarebbero da ritenere consolidati: si devono invece
spiegare in modo semplice le modalità e i momenti di utilizzo.
Si ha l’impressione che il prodotto italiano abbia un sapore migliore se consumato in Italia, ma diversi consumatori hanno ammesso che si tratta soprattutto di un
fattore emotivo, connesso al contesto. Diventerebbe quindi una variabile importante la ricostruzione di un certo contesto anche per i momenti di consumo e di
acquisto in Svezia, per esempio con ambientazioni particolari nel punto vendita.
A proposito della dimensione del produttore, emerge sempre più una preferenza, almeno teorica, per la piccola impresa in confronto alla grande azienda.
Le multinazionali e i brand internazionali, in modo particolare, non sono per
niente amati; si ritiene che buona parte di questi sfruttino la manodopera e
adottino in generale comportamenti scarsamente etici. Per l’azienda italiana,
sarebbe opportuno diffondere l’idea che anche piccoli gruppi, se bene organizzati, sono in grado di esportare; altrimenti, si immagina il comparto food italiano caratterizzato da piccoli produttori, ma giusto con le eccezioni delle imprese
presenti sugli scaffali svedesi.
Oltre che al biologico, in Svezia è crescente l’attenzione al prodotto di prossimità;
il trend del consumatore è rivolto all’eco-friendly, almeno come pulsione, ma in
loco si producono pochi prodotti alimentari (si pensi per esempio al vino), quindi gli svedesi sono abituati a referenze provenienti dall’estero. Occorre tuttavia
dare una chiara giustificazione collegata all’acquisto di un prodotto che è stato
sottoposto a un lungo trasporto: questa giustificazione può consistere nel profilo
qualitativo particolarmente interessante, nel sostegno a piccole realtà territoriali,
nell’assenza di prodotti analoghi in loco.
In riferimento all’Italian sounding, dai focus group condotti è emersa chiaramente la percezione di un richiamo allo stile italiano, ben distinta dalla convinzione
di un’origine italiana cera e propria. Per esempio, il mix di quarta gamma non
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
è attribuito all’Italia anche se presenta il termine Italiensk mix. È chiaro che si
tenta in qualche modo di richiamare il concetto di italiano, ma è considerata una
strategia nell’ambito della legalità. Anche i nomi pizza, bolognese e tanti altri non
dicono che il prodotto è italiano, essendo definizioni utilizzate in tutto il mondo:
significano ispirazione all’Italia, a una ricetta, a uno stile. Per molti consumatori,
pure alcuni simboli, come la bandiera italiana o la sagoma della penisola, si limitano a suggerire il collegamento alla cultura italiana.
La distribuzione svedese è in mano a poche insegne. Le cooperative italiane, tranne pochissime eccezioni, se vogliono servire la Gdo devono consorziarsi, anche
per raggiungere quantità sufficienti di fornitura.
Spesso, gli importatori sono figure fondamentali: intanto, per individuare i profili
corretti e le caratteristiche opportune del prodotto; poi, per il fatto che occorre un
tramite di relazione e di garanzia, oltre che di groupage (soprattutto se ci si indirizza all’Horeca o alle delicatessen).
Alcuni importatori stanno perseguendo una strategia di integrazione verticale
a valle, aprendo loro stessi punti vendita al dettaglio; altri hanno creato proprie
marche; altri ancora gestiscono non solo il mercato svedese, ma anche quelli norvegese e danese.
Gli svedesi sono estremamente corretti dal punto di vista commerciale e pretendono altrettanta serietà di comportamento e affidabilità (per esempio, in materia
logistica). Con i clienti svedesi occorre essere sempre trasparenti e diretti.
A proposito di cooperative, l’associazione che molti consumatori effettuano si
riferisce alla Coop Konsum, colosso della distribuzione al dettaglio. A parte
questo collegamento, il concetto di cooperativa, in sé e per sé, non è conosciuto
e non è rilevante. Sono però rilevanti alcune leve corrispondenti ad aspetti presenti alle spalle di una classica cooperativa italiana, che la possono caratterizzare.
Per esempio, la particolare cura delle fasi di lavorazione, le componenti etiche,
il benessere animale, la sostenibilità ambientale, ecc. Lo svedese può essere
sensibile al fatto che con la cooperazione si sostengono gli agricoltori, si oppone
resistenza all’economia globale e alla grande industria; è ancora più sensibile al
controllo della filiera e alla tracciabilità.
Occorrono quindi strategie di comunicazione che pongano in evidenza questi
aspetti; è assolutamente opportuno comunicare l’immagine della cooperativa
italiana, facendo capire che si tratta di gruppi di agricoltori legati al settore
primario e in grado di controllare tutto l’iter produttivo.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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216
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
8.8. CONTESTO E POTENZIALITÀ DELLE ESPORTAZIONI NEL REGNO UNITO
Il mercato del Regno Unito è piuttosto ricettivo verso i prodotti esteri, Londra in
modo particolare. Questo vale soprattutto per tutto ciò che in loco non si può produrre o non è conveniente produrre. Nel corso degli ultimi anni, infatti, gli inglesi
hanno iniziato ad amare i mercatini locali e il concetto di km zero; sempre più
spesso, la provenienza locale è posta bene in evidenza. Contemporaneamente, la
dimensione del produttore incide sulla scelta, con una preferenza per la piccola
azienda, percepita come più attenta alla qualità.
D’altra parte, dal momento che si importa anche da Africa e Sud America, la provenienza italiana non è percepita come troppo distante, se un prodotto non è
presente in loco o non è disponibile in quantità sufficienti, oppure se è speciale.
La cucina italiana è ben apprezzata, l’atteggiamento del consumatore è indubbiamente positivo e la reputazione dei prodotti alimentari italiani (seppur ritenuti
in tanti casi un po’ costosi) è eccellente: comunicano salute, entusiasmo, cultura,
tutti fattori che è opportuno porre in evidenza da parte dei produttori italiani.
L’Italia è positivamente percepita per le tradizioni, ma questo non esclude innovazioni per esempio in termini di packaging o restyling, magari finalizzate
a una migliore conservazione e praticità, o a una maggiore leggerezza (soprattutto da quando è in vigore il sistema evidente di segnalazione dei contenuti
sulle confezioni).
Secondo diversi operatori interpellati, l’Italia è vista come un paese di alto livello
in riferimento al food, ma l’italiano è percepito a volte come poco affidabile, un
fornitore approssimativo che non dà sufficienti sicurezze.
Si ha un rilevante spazio potenziale di crescita, ma le imprese italiane si dovrebbero organizzare in gruppi per affrontare adeguatamente questo mercato: per
esempio, consorzi di cooperative. I produttori non devono necessariamente crescere, è stato affermato: devono organizzarsi meglio. Anche le istituzioni italiane
dovrebbero collaborare, per esempio riducendo il carico di burocrazia: “nei rapporti con l’Italia tutto è difficile, complicato”.
Con le cooperative, difficoltà di relazione si hanno quando è scarsa o nulla la delega a dirigenti: l’iter decisionale tende a prolungarsi nel tempo; si ha una scarsa
intraprendenza; diventa più improbabile decidere di investire nell’innovazione.
Nel vissuto del consumatore britannico, il concetto di cooperativa è piuttosto
vago e non bene delimitato, in quanto esistono cooperative di tipologia del tutto
diversa, come The Cooperative nell’ambito della Gdo, che inevitabilmente evoca
una grande dimensione.
Non essendo un concetto familiare, la cooperazione dovrebbe puntare su alcune
valenze che la contraddistinguono, come la tracciabilità, il controllo della filiera,
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI
la vicinanza alla produzione agricola, la specificità del territorio; ma anche il proprio impegno etico e sociale, ambientale, di sostegno alle piccole comunità locali
(pur in modo distinto dal fair trade, che non è coerente con l’Italia, ma è adatto
ai paesi in via di sviluppo). Insomma, una maggiore protezione di prodotto e di
produttori, che consenta di salire di livello rispetto alle altre aziende e di concretizzare una potenzialità di valore.
Per quanto riguarda l’Italian sounding, questi prodotti sottraggono spazio alle
produzioni realmente italiane, ma aprono anche la porta ad esse.
Sono senza dubbio da osteggiare i casi in cui la provenienza non è chiara; se
questa scarsa chiarezza si ha quando si acquistano determinati prodotti (come
la carne e il pesce), si tende a rifiutare l’acquisto. Per esempio, una provenienza
dall’UE è troppo generica. Strategie non corrette, scritte piccole o ingannevoli,
suggestioni italiane artificiali, sono percepite negativamente.
Se invece è evidente che il prodotto non proviene dall’Italia, ma ci si limita a
un collegamento con lo stile italiano, a una ispirazione italiana, il consumatore
inglese non è tratto in inganno: è consapevole che si sta semplicemente ricordando la cultura e l’ambiente dell’Italia. Può però fare eccezione una fascia tutt’altro
che trascurabile di consumatori meno accorti, distratti, affrettati al momento
dell’acquisto.
Entra in gioco anche la credibilità del distributore: ci sono insegne più discutibili da questo punto di vista, e insegne che, nella percezione del consumatore,
non cercherebbero mai di nascondere la reale provenienza mistificandola per
un’origine italiana.
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
9. ALLEGATI: I QUESTIONARI
UTILIZZATI
SCALETTA PER GLI OPERATORI ESTERI
Il profilo
• profilo dell’operatore intervistato
• tipologie di prodotti acquistati, valore degli acquisti
• tipologie di prodotti importati, valore dell’import
• principali paesi dai quali acquista
• tipologia di operatori esteri dai quali importa
Lo scenario
• ruolo e prospettive delle grandi catene nel mercato agroalimentare locale
• ruolo e prospettive della ristorazione, in particolare per il prodotto di importazione
• ruolo e prospettive degli altri operatori intermedi (grossisti e piccolo dettaglio
specializzato e non)
I requisiti
• fattori più importanti richiesti ai fornitori e ai relativi prodotti
• importanza di una dimensione grande del fornitore
Il prodotto italiano
• principali prodotti concorrenti dei prodotti italiani
• punti di forza e di debolezza dell’offerta italiana (produzioni e operatori) rispetto ai principali paesi competitori: qualità, tracciabilità. varietà, prezzo, serietà, logistica, politiche di marca. made in...
• principali differenze tra piccoli e grandi operatori italiani
• principali canali sui quali si indirizza il prodotto italiano (ristorazione, delicatessen, dettaglio tradizionale, grandi superfici di vendita)
• incremento di valore del prodotto italiano nei vari passaggi, dall’importatore
al consumatore
• problemi di imitazione e contraffazione e suggerimenti per contrastarli; capacità di creare confusione percettiva nel consumatore estero; tipologia di prodotti coinvolti
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
• ostacoli burocratici, doganali e di dazi all’import e in particolare a quello
dall’Italia
• ostacoli normativi all’import e in particolare a quello dall’Italia
• problemi valutari, rivalutazione, svalutazione e difficoltà di programmazione
Le cooperative
• presenza di cooperative fra i fornitori
• principali difficoltà incontrate nel rapporto con le cooperative
• valenze della provenienza da una cooperativa italiana
• fattori di stimolo all’accettazione di prodotti provenienti dalla cooperazione
italiana
Previsioni
• previsioni per l’economia locale per i prossimi due o tre anni
• previsioni circa l’apertura all’import, italiano e non, degli operatori locali
• suggerimenti da offrire ai produttori italiani per migliorarsi nel rapporto
• suggerimenti da offrire ad istituti di promozione del prodotto italiano (vedi Ice)
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
SCALETTA PER LE ISTITUZIONI ESTERE
Lo scenario
• situazione dei consumi e trend
• ruolo e prospettive delle grandi catene nel mercato agroalimentare locale
• ruolo e prospettive della ristorazione, in particolare per il prodotto di importazione
• ruolo e prospettive degli altri operatori intermedi (grossisti e piccolo dettaglio
specializzato e non)
Il prodotto italiano
• principali prodotti concorrenti dei prodotti italiani
• punti di forza e di debolezza dell’offerta italiana (produzioni e operatori) rispetto ai principali paesi competitori: qualità, tracciabilità. varietà, prezzo, serietà, logistica, politiche di marca. made in...
• principali canali sui quali si indirizza il prodotto italiano (ristorazione, delicatessen, dettaglio tradizionale, grandi superfici di vendita)
• incremento di valore del prodotto italiano nei vari passaggi, dall’importatore
al consumatore
• problemi di imitazione e contraffazione e suggerimenti per contrastarli; capacità di creare confusione percettiva nel consumatore estero; tipologia di prodotti coinvolti
• ostacoli burocratici, doganali e di dazi all’import e in particolare a quello
dall’Italia
• ostacoli normativi all’import e in particolare a quello dall’Italia
• problemi valutari, rivalutazione, svalutazione e difficoltà di programmazione
Le cooperative
• valenze della provenienza da una cooperativa italiana
• fattori di stimolo all’accettazione di prodotti provenienti dalla cooperazione
italiana
Previsioni
• previsioni per l’economia locale per i prossimi due o tre anni
• previsioni circa l’apertura all’import, italiano e non, degli operatori locali
• suggerimenti da offrire ai produttori italiani per migliorarsi nel rapporto
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
SCELTE E POLITICHE COMMERCIALI E DI MARKETING RELATIVE
AL MERCATO ESTERO
Questionario per le cooperative
In fase di contatto iniziale, chiedere se l’azienda esporta per almeno un 10% del proprio
fatturato (o per almeno 4 milioni di euro) - Per esportazione si intende l’export con
fatturazione al cliente estero, non il prodotto fatturato a un cliente italiano, come un
esportatore, che poi provvede a esportarlo.
Azienda ............................................................................................................
Settore:
1 Lattiero-caseario
2 Ortoflorofrutticolo
3 Vitivinicolo
4 Altro
..........................................................................................................
Regione:
1 Piemonte
2 Valle d’Aosta
3 Liguria
4 Lombardia
5 Veneto
6 Trentino Ato Adige
7 Friuli VG
8 Emilia-Romagna
9 Toscana
10 Marche
11 Umbria
12 Lazio
13 Abruzzo
14 Molise
15 Puglia
16 Basilicata
17 Campania
18 Calabria
19 Sicilia
20 Sardegna
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
IL QUADRO DELL’EXPORT
1. Quanto ha inciso l’export sul vostro fatturato nel 2012?
.................................................%
2. In quali paesi esportate, principalmente? (indicare i quattro paesi più importanti e la relativa percentuale sul totale export dell’azienda, in valore; nell’ultima riga,
indicare sinteticamente i restanti paesi o le restanti aree mondiali)
1 .............................................................................%
2 .............................................................................%
3 .............................................................................%
4 .............................................................................%
Altri paesi o aree: ........................................................................................................................
........................................................................................................................................................
3. Quali prodotti esportate, principalmente? (indicare i quattro prodotti o categorie
di prodotto)
1 .............................................................................%
2 .............................................................................%
3 .............................................................................%
4 .............................................................................%
Altri prodotti o categorie: .........................................................................................................
........................................................................................................................................................
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
4. Sempre in riferimento all’export, quali sono i vostri clienti? (sono possibili più
risposte; ricordarsi che i clienti sono quelli a cui si fattura)
1 consorzio estero di grado superiore / OP estera a cui il prodotto
viene conferito
2 società commerciali partecipate o controllate
3 importatori - commercianti all’ingrosso
4 catene della Gdo ? (sono possibili più risposte)
5 piccoli dettaglianti (tradizionali e specializzati)
6 ristorazione, catering
7 industria
8 altri: ..............................................................................................................................
9 n.r. 5. Al di là del cliente a cui vendete, quali sono i principali canali finali a cui
si indirizza il vostro prodotto? (sono possibili più risposte)
1 grandi superfici di vendita
2 dettaglio tradizionale
3 dettagli specializzato (es. delicatessen)
4 ristorazione, catering
5 industria
6 altri: ...............................................................................................................................
7 non so
6. Quali sono i paesi che sono cresciuti maggiormente, negli ultimi due anni,
come vostri clienti?
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
7. Quali sono stati i fattori che vi hanno consentito di incrementare l’export in
questi paesi? (eventualmente, indicare l’area o il paese a cui si riferiscono)
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
8. Il fatto di essere una cooperativa ha qualche effetto, positivo o negativo,
sulla possibilità di conquistare spazi sui mercati esteri?
Effetti positivi ..................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
Effetti negativi ...............................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
Altri effetti .........................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
...................................................................................................................................................................
BARRIERE E DIFFICOLTA’
9. Quali sono state le principali difficoltà che avete incontrato sui mercati
esteri nel 2012 e nella prima parte del 2013? (eventualmente, indicare l’area o il
paese a cui si riferiscono)
...................................................................................................................................................................
....................................................................................................................................................
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
10. In modo particolare, quali sono le principali difficoltà che si incontrano
sui seguenti mercati esteri?
10.1 Cina/Hong Kong ................................................................................................................
........................................................................................................................................................
non esporto in questo paese
10.2 Russia ..................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
non esporto in questo paese
10.3 Stati Arabi ..........................................................................................................................
........................................................................................................................................................
non esporto in questo paese
10.4 Brasile .................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
non esporto in questo paese
10.5 Stati Uniti ...........................................................................................................................
........................................................................................................................................................
non esporto in questo paese
10.6 Canada ................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
non esporto in questo paese
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
11. In genere, quali sono le principali barriere a cui sono sottoposti i prodotti alimentari italiani? (sollecitare la risposta prima per le barriere tariffarie, poi
per quelle relative ai dazi, per quelle normative, per quelle igienico-sanitarie; infine,
chiedere se ci sono altri tipi di barriere; per ogni tipo di barriera, il paese o i paesi
maggiormente coinvolti)
Barriere tariffarie (per es. dazi doganali): ..............................................................................
........................................................................................................................................................
Relativi paesi: ..............................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Barriere non tariffarie (per es. contingentamenti, tasse aeroportuali, ecc.): ...................
........................................................................................................................................................
Relativi paesi: ..............................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Barriere normative: ....................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Relativi paesi:...............................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Barriere igienico-sanitarie: .......................................................................................................
........................................................................................................................................................
Relativi paesi: ..............................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Altre barriere:................................................................................................................................
........................................................................................................................................................
Relativi paesi:...............................................................................................................................
........................................................................................................................................................
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
12. Quali sono i paesi su cui puntate maggiormente, come sviluppo delle vostre esportazioni, per i prossimi cinque anni?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
13. Su cosa si baseranno, soprattutto, le vostre strategie per sviluppare il mercato in questi paesi? (eventualmente, indicare l’area o il paese a cui si riferiscono)
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
GLI STRUMENTI ISTITUZIONALI ESISTENTI IN ITALIA
14. Per quanto riguarda gli strumenti istituzionali di supporto finanziario
all’internazionalizzazione, la vostra cooperativa si è avvalsa della collaborazione di qualcuno di questi enti? (leggere i seguenti enti e barrare quelli che
ottengono una risposta affermativa; specificare che per la Cassa Depositi e Prestiti
si intende un utilizzo diretto, non mediato dagli altri strumenti; successivamente,
chiedere se ci sono stati altri enti a cui la cooperativa ha ricorso, e in caso affermativo
indicarli nelle righe per le risposte libere)
1 SACE 2 SIMEST
3 Export Banca
4 Cassa Depositi e Prestiti
SE E’ STATA DATA QUALCHE INDICAZIONE, PROSEGUIRE CON LA DOMANDA 15, ALTRIMENTI
PASSARE ALLA DOMANDA 17
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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
15. Quale tipo di supporto avete ricevuto?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
16. Hanno risposto alle vostre esigenze? Avete qualche suggerimento o commento?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
17. La vostra cooperativa ha utilizzato strumenti istituzionali per l’assicurazione del rischio su crediti commerciali oppure per il recupero crediti relativamente all’attività di esportazione? Se sì, quali ?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
SE E’ STATA DATA QUALCHE INDICAZIONE, PROSEGUIRE CON LA DOMANDA 18, ALTRIMENTI
PASSARE ALLA DOMANDA 20
18. Quale tipo di supporto avete ricevuto?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
19. Hanno risposto alle vostre esigenze? Avete qualche suggerimento o commento?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
20. Alla vostra cooperativa è capitato di utilizzare strumenti istituzionali per il
supporto di mercato o di consulenza commerciale all’internazionalizzazione?
1 sì
PASSARE ALLA DOM. 22
2 no
PASSARE ALLA DOM. 21
3 non so
PASSARE ALLA DOM. 28
21. Per quali motivi non li avete mai utilizzati?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
PASSARE ALLA DOMANDA 28
22. Quali avete utilizzato?
1 Ice 2 Camere di Commercio
3 Regioni
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
23. E’ stato complesso attingere a queste risorse?
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
24. Quali sono le sue opinioni in riferimento ai criteri di selezione per accedere ai finanziamenti?
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
229
230
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
25. Quale tipo di supporto avete ricevuto?
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
26 Questi strumenti hanno risposto alle vostre esigenze?
1 completamente
PASSARE ALLA DOM. 28
2 abbastanza
PASSARE ALLA DOM. 28
3 poco
PASSARE ALLA DOM. 27
4 per nulla
PASSARE ALLA DOM. 27
5 non so
PASSARE ALLA DOM. 28
27. Per quali motivi non hanno risposto alle vostre esigenze?
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
28. In quali modi l’ente pubblico potrebbe sostenere e stimolare l’esportazione nel vostro settore? (chiedere, per quanto possibile, una risposta piuttosto
dettagliata, senza fermarsi aindicazioni generiche, come “favorire il contatto con i
buyer”)
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari:
approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
STRATEGIE ATTUATE E PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA CONTRAFFAZIONE
29. Nel vostro settore è importante fare innovazione di prodotto per i mercati
esteri?
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
30. Quali sono le vostre strategie di comunicazione rivolte ai mercati esteri?
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
31. Quale è la sua opinione sull’utilità della partecipazione a fiere, per conquistare spazi sui mercati esteri?
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
32. Nel vostro settore, ci sono problemi di imitazione o di contraffazione dei
prodotti italiani all’estero?
1 sì
PASSARE ALLA DOM. 33
2 raramente
PASSARE ALLA DOM. 33
3 no
PASSARE ALLA DOM. 35
4 non so PASSARE ALLA DOM. 35
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
231
232
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
33. Di cosa si tratta, di contraffazioni vere e proprie, oppure di strategie per
creare Italian sounding?
1 contraffazioni
2 it sounding
3 entrambe
4 altro
5 non so
34. Mi può fare qualche esempio specifico, relativamente a determinati prodotti, alle modalità, ai paesi in cui ciò si verifica, alla perseguibilità per
legge, alla qualità del prodotto di imitazione, agli effetti sul mercato)?
34.1 Prodotto: ..............................................................................................................................
Modalità: .............................................................................................................................
Principali paesi: ..................................................................................................................
Perseguibilità per legge e motivi: ....................................................................................
Livello di qualità del prodotto di imitazione: ................................................................
Effetti sul mercato: ..............................................................................................................
Note: .....................................................................................................................................
34.2 Prodotto:..............................................................................................................................
Modalità: .............................................................................................................................
Principali paesi: ..................................................................................................................
Perseguibilità per legge e motivi: ....................................................................................
Livello di qualità del prodotto di imitazione: ................................................................
Effetti sul mercato: ..............................................................................................................
Note: .....................................................................................................................................
34.3 Prodotto:..............................................................................................................................
Modalità: .............................................................................................................................
Principali paesi: ..................................................................................................................
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approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri
Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013
ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
Perseguibilità per legge e motivi: ....................................................................................
Livello di qualità del prodotto di imitazione: ................................................................
Effetti sul mercato: ..............................................................................................................
Note: .....................................................................................................................................
PREOCCUPAZIONI PER IL FUTURO
35. Quali sono i principali fattori che la preoccupano, relativamente ai rapporti con l’estero, per l’immediato futuro? (se la risposta è generica - per esempio, il mercato -, chiedere di precisare e di dettagliare)
......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
.......................................................................................................................................................
SEZIONE ANAGRAFICA
36. Mi può dire il fatturato complessivo dell’azienda, nel 2012?............................. €
Concludere spiegando che, se interessa, Ismea invierà una sintesi dei risultati, gratuitamente, a titolo di ringraziamento per la partecipazione all’indagine, con le modalità
preferite (posta o e-mail).
Azienda .......................................................................................................................................................
Via ..................................................................................................................................................................
Località ............................................................... Prov. ............ Tel. ......................................................
Intervistato ............................................................... Ruolo ...................................................................
Indirizzo di posta elettronica ............................................................................................................
Intervistatore.............................................................. Data intervista...............................................
Osservazioni finali .................................................................................................................................
..........................................................................................................................................................................
..........................................................................................................................................................................
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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI
NOTE PER LA COMPILAZIONE
• Sul questionario, tutti i messaggi per l’intervistatore sono scritti in corsivo
• Le possibili risposte riportate nel questionario in corrispondenza di ogni domanda non sono da leggere, tranne quando specificato il contrario.
• Alle domande aperte, se la risposta è “non so”, non scrivere nulla
• Prendere nota di tutte le osservazioni dell’intervistato, che potranno risultare
molto utili in fase di elaborazione.
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