Anteprima gratuita - Matisklo Edizioni

Mary Blindflowers
Il filo conduttore
(l’anti-romanzo)
ANTEPRIMA GRATUITA
«Vertigini»
Collana di narrativa
a cura di Vera Bonaccini
Il filo conduttore
© 2015 Mary Blindflowers
© 2015 Matisklo Edizioni
Prima edizione, febbraio 2015
ISBN: 978-88-98572-37-3
Matisklo Edizioni S.N.C.
di Oddera Cesare & Vico Francesco
Via Eremita 14
17045 Mallare (SV)
[email protected]
www.matiskloedizioni.com
PREFAZIONE
Il testo che segue questa mia imprecisa introduzione
– che già dal titolo richiama l’idea di labirinto tanto cara ad
alcuni autori quanto universale e trasversale alle culture e
alle letterature – fornisce una prima definizione di se stesso
fin dal sottotitolo: anti-romanzo.
La particella avversativa, in questo caso, più che in­
dicare come scopo – ammesso che possa esserci, in lettera­
tura, uno scopo ulteriore o diverso dalla letteratura stessa:
autori differenti hanno a riguardo idee differenti, quando
tale differenza non riguarda addirittura lo stesso autore –
la distruzione del concetto stesso di romanzo, segnala la vo­
lontà di metterne a nudo i meccanismi ed i segni distintivi;
in questo senso un anti-romanzo agisce come un anticorpo,
legandosi al proprio bersaglio, fondendosi con esso e per­
mettendone una più agevole identificazione.
Si tratta senza dubbio di un’idea letteraria con forti
affinità organiche, chimiche, biologiche; tale idea è portata
talmente all’estremo da apparire quasi asettica, puramente
intellettuale, forse addirittura inutilmente cervellotica o va­
namente complessa, se si dimentica che ogni testo lettera­
rio è solo un’ombra della complessità di ciò che imita, sia
essa la realtà o qualsiasi prodotto a sua volta imitatore della
stessa. Il che è solo un modo difficile per dire che la com­
plessità in letteratura è il prodotto della complessità del
mondo e non viceversa.
Visto sotto questa luce, Il filo conduttore altro non è
– e qui torniamo al richiamo al labirinto – che una sempli­
ficazione del labirinto stesso, un suo tentativo di imita­
zione1.
Una riflessione secondo me doverosa a riguardo è
che tale semplificazione non può essere eccessiva: non si
può semplificare troppo un labirinto senza che esso diventi
altro. Un labirinto può essere definito con poche parole, ma
ogni sua rappresentazione dovrà tenere in conto i percorsi
“sbagliati”, la possibilità di perdersi nello stesso. Senza le
svolte sbagliate, i vicoli ciechi, la necessità di tornare sui
propri passi, un labirinto cessa di essere ciò e diventa un
percorso. Ogni labirinto sottende più percorsi, ma non
sempre un percorso nasconde le svolte di un labirinto.
Quello che abbiamo in queste pagine è un labirinto,
per essere precisi un labirinto che imita un altro labirinto –
quello delle possibilità narrative date dalla forma del ro­
manzo – che a sua volta imita il labirinto più grande: quello
del mondo.
Questo anti-romanzo è quindi allo stesso tempo
1 Ts’ui Pên avrà detto qualche volta: “Mi ritiro a scrivere un libro”. E
qualche altra volta “Mi ritiro a costruire un labirinto”. Tutti pensa­
rono a due opere; nessuno pensò che libro e labirinto fossero una
cosa sola. Il Padiglione della Limpida Solitudine sorgeva nel centro di
un giardino forse intricato; il fatto può aver suggerito agli uomini
l’idea di un labirinto fisico. Ts’ui Pên morì; nessuno, nelle vaste terre
che erano state sue, trovò il labirinto; fu la confusione del romanzo a
suggerirmi che il labirinto fosse il romanzo stesso. (J. L. Borges, Il
giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni).
strumento d’analisi, rappresentazione di un labirinto che
rappresenta un labirinto e labirinto a sua volta: se il testo e
il mondo sono entrambi labirinti, in cui il primo imita più o
meno grossolanamente il secondo, viene da chiedersi quale
sia il modello originale, quello dal quale prende spunto il
mondo stesso; qual’è lo sterminato e convulso modello del
quale il mondo è solo un’approssimativa semplificazione2.
Cinquecento anni di storia del libro ci hanno abituati
come lettori – e di conseguenza come autori – al predomi­
nio della storia e dei personaggi3; l’impulso dato da nuove
forme del libro possono essere una buona occasione per
ricordarci che c’è molto di più, che le possibilità sono ster­
2 «Ascoltami, Kitty, cerchiamo di capire chi ha fatto tutto questo so­
gno. È un problema molto serio, tesoro, e dovresti smetterla di lec­
carti la zampa a quel modo – come se Dinah non ti avesse già lavata
tutta stamattina! Capisci, Kitty, posso essere stata io oppure il Re
Rosso. Lui faceva parte del mio sogno, naturalmente – ma allora an­
ch’io facevo parte del suo! È stato il Re Rosso a fare il sogno, Kitty?
Tu eri sua moglie, e dovresti saperlo - Oh, Kitty, aiutami a risolvere
questa cosa! La tua zampa può anche aspettare!» Ma quella gattina
dispettosa si mise a leccarsi l’altra zampa e fece finta di non aver
sentito la domanda. Secondo voi, chi ha fatto il sogno? (Lewis Caroll,
Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò).
3 Mi fanno notare che in questa prefazione non faccio nessun riferi­
mento a “quello di cui parla il libro”. Tale scelta è voluta: era mia in­
tenzione parlare del libro stesso, non di ciò di cui esso a sua volta par­
la. Tutta l’importanza assegnata alla funzione narrativa di un testo è
il prodotto di abitudine e storia, può essere a volte una buona idea
lasciare entrambe da parte e cercare nuove strade, esplorare altre
possibilità.
minate. Questo libro ne esplora alcune, senza esaurirle. Mi
auguro possa essere un buon punto di partenza per succes­
sive spedizioni, un campo-base dal quale partire per terri­
tori letterari ancora sconosciuti.
Francesco Vico
INTRODUZIONE DELL’AUTRICE
Il filo conduttore non è un romanzo nel senso
tradizionale del termine. Più di qualche benpensante
rimarrà scandalizzato dal minimalismo dialogico della
scrittura e dirà che si trascendono le regole elementari
della narrativa. Giudicherà il lavoro alla stregua di un
copione cinematografico o teatrale, come se ogni for­
ma espressiva non avesse una sua peculiare dignità. Il
filo di cui si parla qui è spoglio di inutili orpelli, come
una donna senza gioielli. Ad alcuni piace, ad altri no.
L’anima dei personaggi nasce dal dialogo, che se ne
infischia volutamente delle figure retoriche, del bello
stile, delle allegorie e mascheramenti vari...
La letteratura ha le sue leggi: i personaggi bi­
sogna descriverli e collocarli per forza in un determi­
nato ambiente sociale, culturale, fisico, dal quale non
si può prescindere. Altrimenti si rischia di offrire per­
sonaggi congelati anziché tipici. C’è poi l’afflato poeti­
co che rende più gradevole le parole... Bella lezione
davvero. Le lezioni si dimenticano, la forza la lascio a
chi può esercitarla.
Qui, niente poesia, tranne quella presente nel
cinismo del protagonista. sì, perché anche il cinismo
di Tidelfo e della sua storia, ha una sua epifanica e
lacerante poesia. Il luogo principale non esiste nella
realtà, infatti è virtualmente regione dell’anima.
Le regole, come tutte le cose del mondo, na­
scono, vivono la loro stagione e poi muoiono. Non
esiste niente di stabile, di definitivo. I giudizi su un’o­
pera d’arte o su un libro dipendono dall’occhio di chi
guarda.
I personaggi freddi, non possono comunicare
calore umano ed empatia perché non sono né passio­
nali né simpatici, non sono buoni, né cattivi, sono
semplicemente soli ed umani. Talmente essenziali ed
altruisti che non si permetteranno mai di chiedere al
lettore di immedesimarsi con loro, né a se stessi di
stemperarsi in chi legge. Tidelfo, uno scrittore fallito,
vive in un universo-guscio di delirante solitudine, non
vuole, né può uscirne perché, tutto sommato, ci si tro­
va abbastanza bene e si stima a sufficienza da non
provare invidie. Si trova male nel mondo, è un per­
dente, questo sì. Chi si identificherebbe mai con lui?
Non è vestito di simboli, non appartiene ad una setta,
è apolitico. Rappresenta unicamente se stesso, e schi­
accia con le mani il proprio io nudo fino a farlo san­
guinare, servendolo su un misero piatto di plastica.
Gli ingredienti sono poveri. Il piatto forse non
è ben riuscito. Però non si sa mai, a qualcuno po­
trebbe anche piacere.
Il lettore che si aspetta di cadere per terra,
sopraffatto dall’emozione, legga qualcos’altro. Lo sco­
po dell’anti-romanzo non è dare emozione, ma segna­
larne piuttosto l’assenza, in un vuoto esistenziale e
primitivo che potrebbe avere una dimensione cosmica
oltre che individuale, data l’indeterminatezza del pro­
tagonista, il vuoto. La sensazione che si comunica non
è di gradevole suggestione, come una passeggiata in
campagna tra erbe e fiori, non è neppure sanguigna; è
semmai spazio silenzioso dove ronza una mosca ago­
nizzante, è l’uomo messo impietosamente e cinica­
mente di fronte a se stesso, nudo, senza difese o men­
zogne. Non sempre quest’idea di sé, nella completa
nudità, è sopportabile, tranquillizzante. L’allucinazio­
ne nasce dalla paura di vedersi sub luce. Tidelfo, in
fondo, si ama, pur nel fallimento, e non cambierebbe
una virgola della sua personalità, perché sa che non
sempre chi vince ha ragione...
Il filo conduttore
(l’anti-romanzo)
ANTEPRIMA GRATUITA
I.
«Non so da dove cominciare. È tutto qua, dentro la
mia testa, soltanto che quando lo trasferisco sulla pagina,
sembra cambiare aspetto. Non so se riesci veramente a ca­
pirmi...»
«Ti capisco.»
«È come quando pensi una frase e ti sembra meravi­
gliosa, poetica, poi la dici...»
«E ti sembra schifosa.»
«Esatto, come svuotata di senso, depauperata. Vedo
che intendi perfettamente. Il pensiero nobilita i gesti, le pa­
role, tutto insomma. Puoi viaggiare. La realtà è diversa, av­
vilente quasi, coi piedi piombati.»
«Leva il quasi.»
«Tutto così grigio sub luce, insulsamente prosaico.»
«Comunque devi cominciare.»
«Sì, sì, certo bisogna cominciare. Mi chiedevo come.
Forse tu puoi in qualche modo aiutarmi.»
«Lo sto già facendo.»
«Ossia?»
«Stai, anzi stiamo già iniziando, il tuo romanzo o
racconto o qualunque cosa io sia, inizia esattamente con
questo dialogo.»
«Ma è surreale, tu sei il mio romanzo!»
«E con questo? La letteratura, per fortuna ci consen­
te questo e altro.»
«Sì, ma... Non si è mai visto; sfugge ad ogni logica.»
«Curioso, uno scrittore che parla di logica... Certo, a
pensarci bene ogni giallo che si rispetti ha le sue regole, i
suoi ragionamenti deduttivi. Eppure tu dovresti saperlo, io
sfuggo, mi piace andare oltre, superare la materia per cro­
giolarmi nel metafisico. L’importante è non perdere di vista
l’essenziale, perché a questo mirano le parole.»
«A cosa, scusa?.»
«A cogliere il midollo nella sua sostanzialità. Dire la
verità attraverso la menzogna, tutto si ri-du-ce a questo! Il
resto è orpello, favola, magia, tecnica, fumo negli occhi,
mondo di fate e illusioni, nani, saltimbanchi, coboldi, ari­
maspi, effetti più o meno speciali, etc., etc., etc.»
«Sì, sì, certo ma... la tecnica, lo stile... Mi preoccu­
pano, sono ancora acerbo, piccolo letterariamente parlan­
do, s’intende...»
«Ti farò crescere, o almeno ci proverò.»
«Speriamo bene.»
«Forse insieme raggiungeremo una dimensione ap­
prezzabile... Abbi fede scrittore, lo sai anche tu che ogni
storia si scrive da sé, che schiacci dei tasti e le parole si
incollano alla pagina, poi vivono una vita propria, si muo­
vono, pulsano come cose vive, corrono in una certa dire­
zione, imboccano certi sentieri oscuri. Tu le insegui, perché
non sai e non puoi fare altro nella tua vita, le segui a di­
spetto di critiche e commenti sarcastici. Percorri strade che
non avresti mai immaginato di calcare, incontri facce sco­
nosciute, paesi nuovi... E finisci con lo scoprire sempre
qualcosa. Mettiamola così, comando io, perché guido le pa­
role, le porto dove mi pare, e tu mi segui, chiaro?»
«Chiaro.»
«Non protestare se i paesi che attraverseremo ti
sembreranno sporchi, polverosi, puzzolenti, e neppure se
incontreremo qualche marcescente cadavere, due o tre in­
verosimiglianze che ci passano davanti a braccetto del so­
gno.»
«Non protesterò.»
«Te la senti di seguirmi in silenzio?»
«Certo, son nato per questo.»
«Allora che fai lì impalato? Seguimi!»
«C’è tanto da camminare?»
«Ti verranno le vesciche ai piedi.»
«È buio.»
«Pensa e fa luce, idiota.»
«Da qualche parte nella tasca della giacca devo avere
una torcia.»
«Se non la trovi inventatela.»
«Eccola, ci vedo di nuovo. Prendo appunti: una
strada, filari di alberi a destra...»
«Mettici qualche albero anche a sinistra, per la par
condicio.»
«Va bene, ecco fatto.»
«Scritto?»
«Scritto, filari di alberi a sinistra.»
«Perfetto!»
«Che facciamo?»
«Camminiamo, vediamo che c’è. La curiosità è ma­
dre della scienza.»
«In fondo al viale alberato una casa.»
«Andiamoci.»
«Ma è lontana, più di un chilometro!»
«Ricordi il patto? Io comando e tu esegui in silenzio.»
«Uff!»
«Senza sbuffi o strepiti. Non sprecare energia nem­
meno per grattarti la testa, cammina.»
«La strada è sassosa e tutta in salita e fa un freddo
infernale.»
«Pazienza...»
«Siamo arrivati. Quanto tempo è passato?»
«Trenta minuti circa.»
«La casa sta a trenta minuti a piedi dal viale albe­
rato. Andatura sostenuta. Sai chi ci abita?»
«Dimmi un po’, tu sai quante gambe hai?»
«Dopo questa sfacchinata non lo so più. Non c’è la
faccio. Ho il fiato grosso.»
«Speriamo anche qualcos’altro.»
«Ah, ah. Piuttosto che faccio, busso?»
«Fa’ un po’ come ti pare.»
«Non mi risponde nessuno. Forse sono usciti. Ehi,
c’è qualcuno? Silenzio tombale. Guarda, la porta è aperta.
E se entrassi, così per curiosità?»
«Allora non hai capito! Perché mi costringi a ripete­
re sempre le stesse cose! Chi sei tu?»
«Tidelfo Bidoni.»
«Non ho chiesto come ti chiami, e comunque cam­
biati il nome perché è osceno... Ti ho domandato chi sei,
che cosa diavolo fai!»
«Scrivo.»
«Ecco, bravo, sei lo scrittore, quindi puoi fare come
vuoi, entra, esci, ficca il naso dappertutto, accendi le luci,
spegnile, commenta, sputa, va al bagno, salta, batti sulla ta­
stiera la E, la S, la Z. Tanto non fai parte di me, cioè della
storia, del dramma o romanzo che dir si voglia! Sei come
un fantasma, puoi attraversare perfino le porte. Nessuno
dei personaggi baderà a te, perché non esisti, non sei niente
senza di loro, non sei nessuno, capito?»
«Sì.»
«Non fare l’offeso e descrivi la casa.»
«D’accordo, comunque sul mio nome fammi dire
che...»
«Lascia perdere, entra.»
«Non spingere! Che modi! Dammi almeno il tempo.
C’è un ingresso stretto e lungo, guida rossa per terra, pa­
vimento lucido, in ceramica, dalla calda tonalità marrone,
un salone grande a sinistra: divano di pelle verde marcio,
mobile bar, impianto stereo, tavolino basso con base di
cristallo e puff in pelle di caimano. A destra la libreria, no,
non sono libri, sono fumetti, intere collane, impeccabili,
esemplari perfetti, da edicola. Sono sistemati in ordine,
dal numero uno fino all’ultimo acquisto... Secondo te è me­
glio specificare di che fumetti si tratta o rimaniamo sul ge­
nerico?»
«Non specifichiamo, tanto non è fondamentale per
la storia.»
«Ci sono anche dei libri in pergamenino, Classici
del ridere, Formiggini.»
«Ho detto non specifichiamo!»
«Mi è scappato, tanto l’editore è morto e sepolto.»
«So, so.»
«C’è tutta la collezione.»
«Sei sicuro?»
«No, ne manca uno, il numero zero, La ficozza fa­
scista... Al posto del volume c’è l’intensità allarmante ed
oscura d’uno spazio vuoto.»
«Interessante, lo spazio vuoto... Un tema midollare
per le sue implicazioni psicologiche e sessuali...»
«Ancora più interessante è l’uomo che sta ai piedi
della libreria.»
«In effetti...»
«Osservandolo meglio sembrerebbe piuttosto stec­
chito.»
«Ben messo, sembra che abbia tutte le cose al posto
giusto, tranne le mutande.»
«In effetti, un esame più attento denota che è nudo e
ha le mutande in testa e la testa dentro le mutande.»
«Geniale osservazione. Sarà stato un maniaco ses­
suale.»
«No, l’assassino lo avrà conciato così.»
«C’è dunque un assassino?»
«Per forza, l’uomo giace.»
«La forza è concetto illusorio e relativo. Potrebbe es­
sere morto di morte naturale, che so, infarto, inedia, ence­
falite letargica, cancro fulminante, un fulmine proprio al
centro della testa o del corpo, un cortocircuito, un colpo di
frusta o ai sacramenti...»
«Non sapevo che fosse mortale.»
«Che cosa?»
«Il colpo di frusta.»
«Lo è se ti danno una botta ben assestata col manico
di ferro della frusta.»
«Non ci avevo pensato... Però bisogna trovare una
frusta col manico di ferro.»
«Non ce ne sono tante in giro.»
«Hai ragione, questo particolare restringe notevol­
mente il campo...»
«E fa sorgere un nodo gordiano... Secondo te uno
prima di morire di morte naturale si spoglia nudo e si mette
le mutande in testa?»
«Tutto può essere, la morte mica ti avverte.»
«Ho capito, ma ci deve essere comunque un limite,
se permetti, altrimenti finiamo nel ridicolo, specialmente tu
come storia, diranno che sei una boiata pazzesca, una cio­
feca, un obbrobrio, un’essenza distillata di pura schifezza.»
«Forse hai ragione, mettiamo dei paletti di conteni­
mento entusiasmi in libertà.»
«Che fai?»
«Mi servo, guarda che bel mobile bar che ti sei in­
ventato. Vuoi un cocktail?»
«No, grazie, mi fa male allo stomaco.»
«Come sarebbe?»
«Sarebbe che ho la gastrite e un principio di ulcera.»
«Ma non è regolare! Quando mai si è visto uno scrit­
tore che non beve.»
«Sì, vuoi vedere che gli scrittori sono tutti alcoliz­
zati.»
«Non dico questo, ma almeno un goccetto, per ren­
dere più aerei e simpatici i neuroni...»
«Eh, no, non bevo e ti dispiacerebbe smetterla?»
«Di cosa?»
«Di fumare.»
«Perché?»
«Mi dà fastidio, ho la gola che si infiamma facil­
mente e non sopporto la puzza del tabacco misto ad altri in­
trugli, mi fa venire i conati di vomito.»
«Non fumi?»
«No, perché, non si può? È proibito dalla legge, per
caso?»
«Sei anomalo.»
«Spegni quella sigaretta schifosa!»
«Oooooh, qui gli ordini li do io.»
«Me ne vado? Vuoi che faccia questo, eh? Stai appe­
stando l’aria! Guardati un po’ intorno, la camera a gas! Cin­
que o sei anni di vita mi stai levando! Devo inventarmi una
finestra, così la apro.»
«Fa’ pure!»
«Ecco fatto! Spegni lo stesso!»
«Spengo, spengo! Sei peggio di una suocera.»
«Torniamo a noi.»
«Ecco, evitiamo di distrarci, per favore! C’è un mor­
to, un po’ di rispetto!»
«Un morto non ancora sepolto.»
«Ovvio, giace sul tappeto.»
«Siamo sicuri che sia proprio stecchito stecchito?»
«Toccalo.»
«Io?»
«Eh.»
«No.»
«Allora caro Tidulfo, non ci siamo capiti. Chi è che
scrive e si inventa la storia?»
«Io, e comunque Tidelfo, con la E di Empoli.»
«E allora toccalo tu e accertati che sia veramente
andato all’altro mondo.»
«Mi fa impressione!»
«Senti, E di Empoli, non fumi, non bevi, ti fanno im­
pressione i morti, non hai ancora pubblicato niente, ma che
campi a fare mi domando! Ci penso io! Ecco, guarda come
si fa, gli metti una mano sul collo... Il cuore non batte, fred­
do è freddo, secondo me è andato, anche perché il buco che
ha al centro della fronte non mi sembra niente di buono.»
«Bene. Gli hanno sparato.»
«Perché dici gli hanno?»
«Così, tanto per dire.»
«Sai qualcosa...»
«No, ancora non so niente.»
«Mi prendi in giro per caso?»
«Ti garantisco di no, ancora non so niente nemmeno
io. Devo inventare.»
«Non è che già ti è venuta in mente la soluzione e
me la tieni nascosta per dispetto?»
«No, giuro di no. E poi dispetto perché, scusa?»
«Perché mi odi e mi ami, ovvio.»
«Pfui.»
«Tu senza di me sei zero! Te ne rendi conto e da una
parte ti piace perché ti rende diverso, dall’altra ti infasti­
disce perché non sei libero.»
«Risparmiati la tua psicologia da quattro soldi e ve­
niamo al sodo! Il lettore di oggi non ha tempo di stare ap­
presso alle tue cazzate, legge sulla metro, in bagno...»
«Allora ti auguro che soffra di stitichezza, e continui
a soffrirne anche dopo averti letto.»
«Che cosa vorresti insinuare?»
«Te lo spiego un’altra volta. Torniamo al morto. Io
mi faccio un altro goccetto.»
«Così lasci un miliardo di impronte.»
«Le storie non lasciano impronte, non questa alme­
no, non io.»
«E se le lasciassi?»
«Tanto meglio per te, avresti gloria, fama, successo,
donne, soldi! E dovresti sempre ringraziarmi, di giorno, di
notte, appena sveglio, quando vai al cesso, sempre.»
«Forse hai ragione, le storie non lasciano impronte.»
«Di conseguenza neanche tu.»
«Temo che tu abbia detto giusto. Questo però ci con­
sente di vedere, toccare e sentire tutto senza che nessuno se
ne accorga.»
«Esatto.»
«In ogni male c’è un po’ di bene.»
«Battuta trita, vecchia come il cucco. Diranno che
sei a corto d’idee... Comunque rimane la questione del ca­
davere steso sul tappeto.»
«Già, inutile girarci attorno, dobbiamo affrontarla.
Per esempio, chi è o meglio chi era quest’uomo?»
«Che ne so.»
«Pensaci bene.»
«È un compito tuo.»
«Sì, tocca al creatore inventare.»
«Come se fosse dio.»
«Non esageriamo, adesso. Paragonarmi a una cosa
che non esiste non è proprio il massimo.»
«Perché tu esisti?»
«Si.»
«Chi ti dà questa certezza?»
«Mangio, bevo, penso, tocco le cose.»
«Il cadavere non l’hai voluto toccare, bere non hai
bevuto, non ti ho mai visto mangiare, in quanto al pensare
non sei adatto. Eh, se non ci fossi io... Lasciamo perdere,
che non puoi dimostrare niente.»
«Ti dispiacerebbe aiutarmi a capire chi diavolo è
quest’uomo e perché è stato ucciso?»
«Si chiama Roberto Chiari, ha trentotto anni, una
moglie, due figli, presumibilmente ricco.»
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Ecco.»
«Cos’è?»
«Sei cieco? Una carta d’identità.»
«Del morto?»
«Sì, gliel’ho levata dalla tasca esterna della giacca.»
«Ma non è nudo?»
«Nudo come mamma l’ha fatto, con una mutanda in
testa. Però sul divano c’è una giacca.»
«Sì, elegante, stoffa di ottima qualità.»
«Firmata. Sul tavolino basso c’è una foto, lui con la
moglie e due marmocchi. Era più giovane quando è stata
scattata. A occhio direi una decina d’anni fa.»
«Chi lo ha ucciso?»
«Sei proprio un cretino! Primo, come faccio a saper­
lo, secondo, se pure lo sapessi, non te lo direi.»
«Perché?»
«Perché se no la storia, cioè io, finisco subito e, se
permetti, voglio avere una vita un po’ più lunga.»
«Allora che facciamo?»
«Andiamocene.»
«Arriva qualcuno.»
«Sarà la moglie, descrivila, ne hai tutto il tempo.»
«Una donna giovane, sofisticata, entra nella stan­
za. Indossa un abito verde a pois bianchi, capelli rossi,
fronte alta, occhi grigio ferro al botulino, labbra ultimo
modello fior di canotto. Si guarda pensosamente le unghie
rifatte di fresco. Inciampa sopra il cadavere, lo scavalca
sollevando la gonna e si dirige sicura verso lo specchio.
Così, mentre i ghiacci polari si sciolgono, il buco dell’ozono
si espande, il riscaldamento globale ci arrostirà tutti come
piccioncini allo spiedo, Sara si guarda, estasiata. Oplà,
una spruzzata abbondante di lacca sui capelli ariosi, un
tocco di rossetto, et voilà. Posiziona entrambe le mani da­
vanti allo specchio e pensa...»
«A che cosa?»
«Che avrebbe dovuto scegliere il modello U24 anzi­
ché l’U72. O forse era meglio lo D45.2?»
«Ma di che parli?»
«Mi riferisco al modello di unghie finte, con relativi
strass. Il modello U24 aveva i cuoricini dorati più grandi...
No, no, no, meglio di no, pacchiano, Roberto non approve­
rebbe... Forse addirittura preferibile lo Z.206X2, perlaceo,
con vaghi riflessi azzurri di sogno, impalpabili... Ad un cer­
to punto la fata sembra ricordarsi, si gira e chiede candida­
mente al marito: Caro, alzati, che fai lì sul pavimento? Pri­
ma di tutto il cadavere non è sul pavimento ma sul tappeto.
Secondo, certe domande, per manifesta, distratta ed indif­
ferente idiozia, provocano inevitabilmente una reazione. Lo
sanno tutti che i morti, di fronte a certe cose, si rivoltano
nella tomba... Siccome, in questo caso, il caro estinto non è
stato ancora inumato, lo scrittore si prende una licenza po­
co poetica.»
«Ossia?»
«Dico che il morto si rivolta sul tappeto. Roberto si
alza leggermente. Risponde alla moglie che non può alzarsi
perché è un po’ morto. Si rimette nella posizione di prima.
La donna riflette incerta se ridere o piangere, poi opta per
una via di mezzo: – Roberto, non scherzare, ma che succ...
Ahhhhhhh! Ahhhhh! AAAAHHHHAHAHAAAAAHHH! – »
«Grida.»
«Sì me ne sono accorto. Non sopporto i rumori forti
e acuti per via dell’orecchio.»
«Quale orecchio?»
«Il mio. Sono stato operato da piccolo e ho il tim­
pano sensibile, devo stare attento.»
«Non sei uno scrittore ma una cariatide.»
«Andiamo via, che questa ci rompe i timpani, tanto
non possiamo fare niente.»
«Tu compassione proprio zero, eh?»
«Sbrigati, che è tardi, mi sta venendo sonno.»
«Beviti uno stramaledetto caffè!»
«Scherzi? la caffeina è un veleno per me, rovina le
mucose delicate del mio stomaco di cristallo.»
«Aggiungici un po’ di latte.»
«Ma sei pazza! Vuoi vedermi al posto di quello steso
sul tappeto, per caso? L’associazione della molecola del caf­
fè con quelle dei lipidi del latte fa malissimo per chi ha pro­
blemi digestivi!»
«Ma va’ all’inferno!»
«Comunque stiamo facendo tutto dialogo.»
«Mbè?»
«Diranno che questa non è narrativa, che nessun e­
ditore vorrà mai pubblicarla. Sai quelle cose come simili­
tudini ad effetto, batticuore, lirismo, poesia, qui mancano
del tutto... Diranno che siamo freddi, cinici, calcolatori, che
manchiamo di calore umano, che non facciamo arrossire le
orecchie al lettore, che annichiliamo la sua anima fiduciosa,
trasportandolo dentro una storia-iceberg.»
«Anche gli iceberg hanno una loro algida bellezza.
Anzi, auguriamoci che il riscaldamento globale non conti­
nui a farli sciogliere. Intanto chiacchiera poco e cammina.»
II.
«Ma proprio di notte dovevamo iniziare questa sto­
ria?»
«Che ne so, hai fatto tutto da solo. Ricordati che lo...»
«Scrittore sei tu, sì, lo so, me l’hai già detto. Qui ri­
schiamo di romperci l’osso del collo e farci male davvero.»
«Bene, stai scrivendo un giallo, non un romanzo d’a­
more. Il sangue mio caro, non deve mai mancare, se poi c’è
anche un po’ di fantasioso gotico...»
«Alberi che sembrano mostri, botteghe d’alchimisti,
leoni di pietra, voraci piante carnivore, vermi su zombi ma­
leodoranti? No, lascia perdere, qui, più che altro c’è un po’
di zotico. Lo stile mi sembra grezzo, immaturo, cinemato­
grafico.» [...]
NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Mary Blindflowers è criminologa, esperta di libri
antichi e moderni. Ha pubblicato: Dalle galee al bagno al
carcere (Armando Siciliano Editore, 2010), Fiori ciechi
(Annulli Editori, 2012), Mister Yod non può morire (La
Carmelina, 2012), Lo Strazio (Marco Saya, 2013), L'occhio
clinico (Edizioni della Lanterna, 2013) e Picacismo simbo­
lico (Bastogi, 2013). Un suo intervento compare in Nuova
Oggettività (La Carmelina, 2013), a cura di Roby Guerra.
Gestisce il blog Destrutturalismo e altro.
INDICE
Prefazione (di Francesco Vico)
Introduzione dell’autrice
Il filo conduttore (l’anti-romanzo)
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
Epilogo
Nota bio-bibliografica