Mary Blindflowers Il filo conduttore (l’anti-romanzo) ANTEPRIMA GRATUITA «Vertigini» Collana di narrativa a cura di Vera Bonaccini Il filo conduttore © 2015 Mary Blindflowers © 2015 Matisklo Edizioni Prima edizione, febbraio 2015 ISBN: 978-88-98572-37-3 Matisklo Edizioni S.N.C. di Oddera Cesare & Vico Francesco Via Eremita 14 17045 Mallare (SV) [email protected] www.matiskloedizioni.com PREFAZIONE Il testo che segue questa mia imprecisa introduzione – che già dal titolo richiama l’idea di labirinto tanto cara ad alcuni autori quanto universale e trasversale alle culture e alle letterature – fornisce una prima definizione di se stesso fin dal sottotitolo: anti-romanzo. La particella avversativa, in questo caso, più che in dicare come scopo – ammesso che possa esserci, in lettera tura, uno scopo ulteriore o diverso dalla letteratura stessa: autori differenti hanno a riguardo idee differenti, quando tale differenza non riguarda addirittura lo stesso autore – la distruzione del concetto stesso di romanzo, segnala la vo lontà di metterne a nudo i meccanismi ed i segni distintivi; in questo senso un anti-romanzo agisce come un anticorpo, legandosi al proprio bersaglio, fondendosi con esso e per mettendone una più agevole identificazione. Si tratta senza dubbio di un’idea letteraria con forti affinità organiche, chimiche, biologiche; tale idea è portata talmente all’estremo da apparire quasi asettica, puramente intellettuale, forse addirittura inutilmente cervellotica o va namente complessa, se si dimentica che ogni testo lettera rio è solo un’ombra della complessità di ciò che imita, sia essa la realtà o qualsiasi prodotto a sua volta imitatore della stessa. Il che è solo un modo difficile per dire che la com plessità in letteratura è il prodotto della complessità del mondo e non viceversa. Visto sotto questa luce, Il filo conduttore altro non è – e qui torniamo al richiamo al labirinto – che una sempli ficazione del labirinto stesso, un suo tentativo di imita zione1. Una riflessione secondo me doverosa a riguardo è che tale semplificazione non può essere eccessiva: non si può semplificare troppo un labirinto senza che esso diventi altro. Un labirinto può essere definito con poche parole, ma ogni sua rappresentazione dovrà tenere in conto i percorsi “sbagliati”, la possibilità di perdersi nello stesso. Senza le svolte sbagliate, i vicoli ciechi, la necessità di tornare sui propri passi, un labirinto cessa di essere ciò e diventa un percorso. Ogni labirinto sottende più percorsi, ma non sempre un percorso nasconde le svolte di un labirinto. Quello che abbiamo in queste pagine è un labirinto, per essere precisi un labirinto che imita un altro labirinto – quello delle possibilità narrative date dalla forma del ro manzo – che a sua volta imita il labirinto più grande: quello del mondo. Questo anti-romanzo è quindi allo stesso tempo 1 Ts’ui Pên avrà detto qualche volta: “Mi ritiro a scrivere un libro”. E qualche altra volta “Mi ritiro a costruire un labirinto”. Tutti pensa rono a due opere; nessuno pensò che libro e labirinto fossero una cosa sola. Il Padiglione della Limpida Solitudine sorgeva nel centro di un giardino forse intricato; il fatto può aver suggerito agli uomini l’idea di un labirinto fisico. Ts’ui Pên morì; nessuno, nelle vaste terre che erano state sue, trovò il labirinto; fu la confusione del romanzo a suggerirmi che il labirinto fosse il romanzo stesso. (J. L. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni). strumento d’analisi, rappresentazione di un labirinto che rappresenta un labirinto e labirinto a sua volta: se il testo e il mondo sono entrambi labirinti, in cui il primo imita più o meno grossolanamente il secondo, viene da chiedersi quale sia il modello originale, quello dal quale prende spunto il mondo stesso; qual’è lo sterminato e convulso modello del quale il mondo è solo un’approssimativa semplificazione2. Cinquecento anni di storia del libro ci hanno abituati come lettori – e di conseguenza come autori – al predomi nio della storia e dei personaggi3; l’impulso dato da nuove forme del libro possono essere una buona occasione per ricordarci che c’è molto di più, che le possibilità sono ster 2 «Ascoltami, Kitty, cerchiamo di capire chi ha fatto tutto questo so gno. È un problema molto serio, tesoro, e dovresti smetterla di lec carti la zampa a quel modo – come se Dinah non ti avesse già lavata tutta stamattina! Capisci, Kitty, posso essere stata io oppure il Re Rosso. Lui faceva parte del mio sogno, naturalmente – ma allora an ch’io facevo parte del suo! È stato il Re Rosso a fare il sogno, Kitty? Tu eri sua moglie, e dovresti saperlo - Oh, Kitty, aiutami a risolvere questa cosa! La tua zampa può anche aspettare!» Ma quella gattina dispettosa si mise a leccarsi l’altra zampa e fece finta di non aver sentito la domanda. Secondo voi, chi ha fatto il sogno? (Lewis Caroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò). 3 Mi fanno notare che in questa prefazione non faccio nessun riferi mento a “quello di cui parla il libro”. Tale scelta è voluta: era mia in tenzione parlare del libro stesso, non di ciò di cui esso a sua volta par la. Tutta l’importanza assegnata alla funzione narrativa di un testo è il prodotto di abitudine e storia, può essere a volte una buona idea lasciare entrambe da parte e cercare nuove strade, esplorare altre possibilità. minate. Questo libro ne esplora alcune, senza esaurirle. Mi auguro possa essere un buon punto di partenza per succes sive spedizioni, un campo-base dal quale partire per terri tori letterari ancora sconosciuti. Francesco Vico INTRODUZIONE DELL’AUTRICE Il filo conduttore non è un romanzo nel senso tradizionale del termine. Più di qualche benpensante rimarrà scandalizzato dal minimalismo dialogico della scrittura e dirà che si trascendono le regole elementari della narrativa. Giudicherà il lavoro alla stregua di un copione cinematografico o teatrale, come se ogni for ma espressiva non avesse una sua peculiare dignità. Il filo di cui si parla qui è spoglio di inutili orpelli, come una donna senza gioielli. Ad alcuni piace, ad altri no. L’anima dei personaggi nasce dal dialogo, che se ne infischia volutamente delle figure retoriche, del bello stile, delle allegorie e mascheramenti vari... La letteratura ha le sue leggi: i personaggi bi sogna descriverli e collocarli per forza in un determi nato ambiente sociale, culturale, fisico, dal quale non si può prescindere. Altrimenti si rischia di offrire per sonaggi congelati anziché tipici. C’è poi l’afflato poeti co che rende più gradevole le parole... Bella lezione davvero. Le lezioni si dimenticano, la forza la lascio a chi può esercitarla. Qui, niente poesia, tranne quella presente nel cinismo del protagonista. sì, perché anche il cinismo di Tidelfo e della sua storia, ha una sua epifanica e lacerante poesia. Il luogo principale non esiste nella realtà, infatti è virtualmente regione dell’anima. Le regole, come tutte le cose del mondo, na scono, vivono la loro stagione e poi muoiono. Non esiste niente di stabile, di definitivo. I giudizi su un’o pera d’arte o su un libro dipendono dall’occhio di chi guarda. I personaggi freddi, non possono comunicare calore umano ed empatia perché non sono né passio nali né simpatici, non sono buoni, né cattivi, sono semplicemente soli ed umani. Talmente essenziali ed altruisti che non si permetteranno mai di chiedere al lettore di immedesimarsi con loro, né a se stessi di stemperarsi in chi legge. Tidelfo, uno scrittore fallito, vive in un universo-guscio di delirante solitudine, non vuole, né può uscirne perché, tutto sommato, ci si tro va abbastanza bene e si stima a sufficienza da non provare invidie. Si trova male nel mondo, è un per dente, questo sì. Chi si identificherebbe mai con lui? Non è vestito di simboli, non appartiene ad una setta, è apolitico. Rappresenta unicamente se stesso, e schi accia con le mani il proprio io nudo fino a farlo san guinare, servendolo su un misero piatto di plastica. Gli ingredienti sono poveri. Il piatto forse non è ben riuscito. Però non si sa mai, a qualcuno po trebbe anche piacere. Il lettore che si aspetta di cadere per terra, sopraffatto dall’emozione, legga qualcos’altro. Lo sco po dell’anti-romanzo non è dare emozione, ma segna larne piuttosto l’assenza, in un vuoto esistenziale e primitivo che potrebbe avere una dimensione cosmica oltre che individuale, data l’indeterminatezza del pro tagonista, il vuoto. La sensazione che si comunica non è di gradevole suggestione, come una passeggiata in campagna tra erbe e fiori, non è neppure sanguigna; è semmai spazio silenzioso dove ronza una mosca ago nizzante, è l’uomo messo impietosamente e cinica mente di fronte a se stesso, nudo, senza difese o men zogne. Non sempre quest’idea di sé, nella completa nudità, è sopportabile, tranquillizzante. L’allucinazio ne nasce dalla paura di vedersi sub luce. Tidelfo, in fondo, si ama, pur nel fallimento, e non cambierebbe una virgola della sua personalità, perché sa che non sempre chi vince ha ragione... Il filo conduttore (l’anti-romanzo) ANTEPRIMA GRATUITA I. «Non so da dove cominciare. È tutto qua, dentro la mia testa, soltanto che quando lo trasferisco sulla pagina, sembra cambiare aspetto. Non so se riesci veramente a ca pirmi...» «Ti capisco.» «È come quando pensi una frase e ti sembra meravi gliosa, poetica, poi la dici...» «E ti sembra schifosa.» «Esatto, come svuotata di senso, depauperata. Vedo che intendi perfettamente. Il pensiero nobilita i gesti, le pa role, tutto insomma. Puoi viaggiare. La realtà è diversa, av vilente quasi, coi piedi piombati.» «Leva il quasi.» «Tutto così grigio sub luce, insulsamente prosaico.» «Comunque devi cominciare.» «Sì, sì, certo bisogna cominciare. Mi chiedevo come. Forse tu puoi in qualche modo aiutarmi.» «Lo sto già facendo.» «Ossia?» «Stai, anzi stiamo già iniziando, il tuo romanzo o racconto o qualunque cosa io sia, inizia esattamente con questo dialogo.» «Ma è surreale, tu sei il mio romanzo!» «E con questo? La letteratura, per fortuna ci consen te questo e altro.» «Sì, ma... Non si è mai visto; sfugge ad ogni logica.» «Curioso, uno scrittore che parla di logica... Certo, a pensarci bene ogni giallo che si rispetti ha le sue regole, i suoi ragionamenti deduttivi. Eppure tu dovresti saperlo, io sfuggo, mi piace andare oltre, superare la materia per cro giolarmi nel metafisico. L’importante è non perdere di vista l’essenziale, perché a questo mirano le parole.» «A cosa, scusa?.» «A cogliere il midollo nella sua sostanzialità. Dire la verità attraverso la menzogna, tutto si ri-du-ce a questo! Il resto è orpello, favola, magia, tecnica, fumo negli occhi, mondo di fate e illusioni, nani, saltimbanchi, coboldi, ari maspi, effetti più o meno speciali, etc., etc., etc.» «Sì, sì, certo ma... la tecnica, lo stile... Mi preoccu pano, sono ancora acerbo, piccolo letterariamente parlan do, s’intende...» «Ti farò crescere, o almeno ci proverò.» «Speriamo bene.» «Forse insieme raggiungeremo una dimensione ap prezzabile... Abbi fede scrittore, lo sai anche tu che ogni storia si scrive da sé, che schiacci dei tasti e le parole si incollano alla pagina, poi vivono una vita propria, si muo vono, pulsano come cose vive, corrono in una certa dire zione, imboccano certi sentieri oscuri. Tu le insegui, perché non sai e non puoi fare altro nella tua vita, le segui a di spetto di critiche e commenti sarcastici. Percorri strade che non avresti mai immaginato di calcare, incontri facce sco nosciute, paesi nuovi... E finisci con lo scoprire sempre qualcosa. Mettiamola così, comando io, perché guido le pa role, le porto dove mi pare, e tu mi segui, chiaro?» «Chiaro.» «Non protestare se i paesi che attraverseremo ti sembreranno sporchi, polverosi, puzzolenti, e neppure se incontreremo qualche marcescente cadavere, due o tre in verosimiglianze che ci passano davanti a braccetto del so gno.» «Non protesterò.» «Te la senti di seguirmi in silenzio?» «Certo, son nato per questo.» «Allora che fai lì impalato? Seguimi!» «C’è tanto da camminare?» «Ti verranno le vesciche ai piedi.» «È buio.» «Pensa e fa luce, idiota.» «Da qualche parte nella tasca della giacca devo avere una torcia.» «Se non la trovi inventatela.» «Eccola, ci vedo di nuovo. Prendo appunti: una strada, filari di alberi a destra...» «Mettici qualche albero anche a sinistra, per la par condicio.» «Va bene, ecco fatto.» «Scritto?» «Scritto, filari di alberi a sinistra.» «Perfetto!» «Che facciamo?» «Camminiamo, vediamo che c’è. La curiosità è ma dre della scienza.» «In fondo al viale alberato una casa.» «Andiamoci.» «Ma è lontana, più di un chilometro!» «Ricordi il patto? Io comando e tu esegui in silenzio.» «Uff!» «Senza sbuffi o strepiti. Non sprecare energia nem meno per grattarti la testa, cammina.» «La strada è sassosa e tutta in salita e fa un freddo infernale.» «Pazienza...» «Siamo arrivati. Quanto tempo è passato?» «Trenta minuti circa.» «La casa sta a trenta minuti a piedi dal viale albe rato. Andatura sostenuta. Sai chi ci abita?» «Dimmi un po’, tu sai quante gambe hai?» «Dopo questa sfacchinata non lo so più. Non c’è la faccio. Ho il fiato grosso.» «Speriamo anche qualcos’altro.» «Ah, ah. Piuttosto che faccio, busso?» «Fa’ un po’ come ti pare.» «Non mi risponde nessuno. Forse sono usciti. Ehi, c’è qualcuno? Silenzio tombale. Guarda, la porta è aperta. E se entrassi, così per curiosità?» «Allora non hai capito! Perché mi costringi a ripete re sempre le stesse cose! Chi sei tu?» «Tidelfo Bidoni.» «Non ho chiesto come ti chiami, e comunque cam biati il nome perché è osceno... Ti ho domandato chi sei, che cosa diavolo fai!» «Scrivo.» «Ecco, bravo, sei lo scrittore, quindi puoi fare come vuoi, entra, esci, ficca il naso dappertutto, accendi le luci, spegnile, commenta, sputa, va al bagno, salta, batti sulla ta stiera la E, la S, la Z. Tanto non fai parte di me, cioè della storia, del dramma o romanzo che dir si voglia! Sei come un fantasma, puoi attraversare perfino le porte. Nessuno dei personaggi baderà a te, perché non esisti, non sei niente senza di loro, non sei nessuno, capito?» «Sì.» «Non fare l’offeso e descrivi la casa.» «D’accordo, comunque sul mio nome fammi dire che...» «Lascia perdere, entra.» «Non spingere! Che modi! Dammi almeno il tempo. C’è un ingresso stretto e lungo, guida rossa per terra, pa vimento lucido, in ceramica, dalla calda tonalità marrone, un salone grande a sinistra: divano di pelle verde marcio, mobile bar, impianto stereo, tavolino basso con base di cristallo e puff in pelle di caimano. A destra la libreria, no, non sono libri, sono fumetti, intere collane, impeccabili, esemplari perfetti, da edicola. Sono sistemati in ordine, dal numero uno fino all’ultimo acquisto... Secondo te è me glio specificare di che fumetti si tratta o rimaniamo sul ge nerico?» «Non specifichiamo, tanto non è fondamentale per la storia.» «Ci sono anche dei libri in pergamenino, Classici del ridere, Formiggini.» «Ho detto non specifichiamo!» «Mi è scappato, tanto l’editore è morto e sepolto.» «So, so.» «C’è tutta la collezione.» «Sei sicuro?» «No, ne manca uno, il numero zero, La ficozza fa scista... Al posto del volume c’è l’intensità allarmante ed oscura d’uno spazio vuoto.» «Interessante, lo spazio vuoto... Un tema midollare per le sue implicazioni psicologiche e sessuali...» «Ancora più interessante è l’uomo che sta ai piedi della libreria.» «In effetti...» «Osservandolo meglio sembrerebbe piuttosto stec chito.» «Ben messo, sembra che abbia tutte le cose al posto giusto, tranne le mutande.» «In effetti, un esame più attento denota che è nudo e ha le mutande in testa e la testa dentro le mutande.» «Geniale osservazione. Sarà stato un maniaco ses suale.» «No, l’assassino lo avrà conciato così.» «C’è dunque un assassino?» «Per forza, l’uomo giace.» «La forza è concetto illusorio e relativo. Potrebbe es sere morto di morte naturale, che so, infarto, inedia, ence falite letargica, cancro fulminante, un fulmine proprio al centro della testa o del corpo, un cortocircuito, un colpo di frusta o ai sacramenti...» «Non sapevo che fosse mortale.» «Che cosa?» «Il colpo di frusta.» «Lo è se ti danno una botta ben assestata col manico di ferro della frusta.» «Non ci avevo pensato... Però bisogna trovare una frusta col manico di ferro.» «Non ce ne sono tante in giro.» «Hai ragione, questo particolare restringe notevol mente il campo...» «E fa sorgere un nodo gordiano... Secondo te uno prima di morire di morte naturale si spoglia nudo e si mette le mutande in testa?» «Tutto può essere, la morte mica ti avverte.» «Ho capito, ma ci deve essere comunque un limite, se permetti, altrimenti finiamo nel ridicolo, specialmente tu come storia, diranno che sei una boiata pazzesca, una cio feca, un obbrobrio, un’essenza distillata di pura schifezza.» «Forse hai ragione, mettiamo dei paletti di conteni mento entusiasmi in libertà.» «Che fai?» «Mi servo, guarda che bel mobile bar che ti sei in ventato. Vuoi un cocktail?» «No, grazie, mi fa male allo stomaco.» «Come sarebbe?» «Sarebbe che ho la gastrite e un principio di ulcera.» «Ma non è regolare! Quando mai si è visto uno scrit tore che non beve.» «Sì, vuoi vedere che gli scrittori sono tutti alcoliz zati.» «Non dico questo, ma almeno un goccetto, per ren dere più aerei e simpatici i neuroni...» «Eh, no, non bevo e ti dispiacerebbe smetterla?» «Di cosa?» «Di fumare.» «Perché?» «Mi dà fastidio, ho la gola che si infiamma facil mente e non sopporto la puzza del tabacco misto ad altri in trugli, mi fa venire i conati di vomito.» «Non fumi?» «No, perché, non si può? È proibito dalla legge, per caso?» «Sei anomalo.» «Spegni quella sigaretta schifosa!» «Oooooh, qui gli ordini li do io.» «Me ne vado? Vuoi che faccia questo, eh? Stai appe stando l’aria! Guardati un po’ intorno, la camera a gas! Cin que o sei anni di vita mi stai levando! Devo inventarmi una finestra, così la apro.» «Fa’ pure!» «Ecco fatto! Spegni lo stesso!» «Spengo, spengo! Sei peggio di una suocera.» «Torniamo a noi.» «Ecco, evitiamo di distrarci, per favore! C’è un mor to, un po’ di rispetto!» «Un morto non ancora sepolto.» «Ovvio, giace sul tappeto.» «Siamo sicuri che sia proprio stecchito stecchito?» «Toccalo.» «Io?» «Eh.» «No.» «Allora caro Tidulfo, non ci siamo capiti. Chi è che scrive e si inventa la storia?» «Io, e comunque Tidelfo, con la E di Empoli.» «E allora toccalo tu e accertati che sia veramente andato all’altro mondo.» «Mi fa impressione!» «Senti, E di Empoli, non fumi, non bevi, ti fanno im pressione i morti, non hai ancora pubblicato niente, ma che campi a fare mi domando! Ci penso io! Ecco, guarda come si fa, gli metti una mano sul collo... Il cuore non batte, fred do è freddo, secondo me è andato, anche perché il buco che ha al centro della fronte non mi sembra niente di buono.» «Bene. Gli hanno sparato.» «Perché dici gli hanno?» «Così, tanto per dire.» «Sai qualcosa...» «No, ancora non so niente.» «Mi prendi in giro per caso?» «Ti garantisco di no, ancora non so niente nemmeno io. Devo inventare.» «Non è che già ti è venuta in mente la soluzione e me la tieni nascosta per dispetto?» «No, giuro di no. E poi dispetto perché, scusa?» «Perché mi odi e mi ami, ovvio.» «Pfui.» «Tu senza di me sei zero! Te ne rendi conto e da una parte ti piace perché ti rende diverso, dall’altra ti infasti disce perché non sei libero.» «Risparmiati la tua psicologia da quattro soldi e ve niamo al sodo! Il lettore di oggi non ha tempo di stare ap presso alle tue cazzate, legge sulla metro, in bagno...» «Allora ti auguro che soffra di stitichezza, e continui a soffrirne anche dopo averti letto.» «Che cosa vorresti insinuare?» «Te lo spiego un’altra volta. Torniamo al morto. Io mi faccio un altro goccetto.» «Così lasci un miliardo di impronte.» «Le storie non lasciano impronte, non questa alme no, non io.» «E se le lasciassi?» «Tanto meglio per te, avresti gloria, fama, successo, donne, soldi! E dovresti sempre ringraziarmi, di giorno, di notte, appena sveglio, quando vai al cesso, sempre.» «Forse hai ragione, le storie non lasciano impronte.» «Di conseguenza neanche tu.» «Temo che tu abbia detto giusto. Questo però ci con sente di vedere, toccare e sentire tutto senza che nessuno se ne accorga.» «Esatto.» «In ogni male c’è un po’ di bene.» «Battuta trita, vecchia come il cucco. Diranno che sei a corto d’idee... Comunque rimane la questione del ca davere steso sul tappeto.» «Già, inutile girarci attorno, dobbiamo affrontarla. Per esempio, chi è o meglio chi era quest’uomo?» «Che ne so.» «Pensaci bene.» «È un compito tuo.» «Sì, tocca al creatore inventare.» «Come se fosse dio.» «Non esageriamo, adesso. Paragonarmi a una cosa che non esiste non è proprio il massimo.» «Perché tu esisti?» «Si.» «Chi ti dà questa certezza?» «Mangio, bevo, penso, tocco le cose.» «Il cadavere non l’hai voluto toccare, bere non hai bevuto, non ti ho mai visto mangiare, in quanto al pensare non sei adatto. Eh, se non ci fossi io... Lasciamo perdere, che non puoi dimostrare niente.» «Ti dispiacerebbe aiutarmi a capire chi diavolo è quest’uomo e perché è stato ucciso?» «Si chiama Roberto Chiari, ha trentotto anni, una moglie, due figli, presumibilmente ricco.» «Come fai a sapere tutte queste cose?» «Ecco.» «Cos’è?» «Sei cieco? Una carta d’identità.» «Del morto?» «Sì, gliel’ho levata dalla tasca esterna della giacca.» «Ma non è nudo?» «Nudo come mamma l’ha fatto, con una mutanda in testa. Però sul divano c’è una giacca.» «Sì, elegante, stoffa di ottima qualità.» «Firmata. Sul tavolino basso c’è una foto, lui con la moglie e due marmocchi. Era più giovane quando è stata scattata. A occhio direi una decina d’anni fa.» «Chi lo ha ucciso?» «Sei proprio un cretino! Primo, come faccio a saper lo, secondo, se pure lo sapessi, non te lo direi.» «Perché?» «Perché se no la storia, cioè io, finisco subito e, se permetti, voglio avere una vita un po’ più lunga.» «Allora che facciamo?» «Andiamocene.» «Arriva qualcuno.» «Sarà la moglie, descrivila, ne hai tutto il tempo.» «Una donna giovane, sofisticata, entra nella stan za. Indossa un abito verde a pois bianchi, capelli rossi, fronte alta, occhi grigio ferro al botulino, labbra ultimo modello fior di canotto. Si guarda pensosamente le unghie rifatte di fresco. Inciampa sopra il cadavere, lo scavalca sollevando la gonna e si dirige sicura verso lo specchio. Così, mentre i ghiacci polari si sciolgono, il buco dell’ozono si espande, il riscaldamento globale ci arrostirà tutti come piccioncini allo spiedo, Sara si guarda, estasiata. Oplà, una spruzzata abbondante di lacca sui capelli ariosi, un tocco di rossetto, et voilà. Posiziona entrambe le mani da vanti allo specchio e pensa...» «A che cosa?» «Che avrebbe dovuto scegliere il modello U24 anzi ché l’U72. O forse era meglio lo D45.2?» «Ma di che parli?» «Mi riferisco al modello di unghie finte, con relativi strass. Il modello U24 aveva i cuoricini dorati più grandi... No, no, no, meglio di no, pacchiano, Roberto non approve rebbe... Forse addirittura preferibile lo Z.206X2, perlaceo, con vaghi riflessi azzurri di sogno, impalpabili... Ad un cer to punto la fata sembra ricordarsi, si gira e chiede candida mente al marito: Caro, alzati, che fai lì sul pavimento? Pri ma di tutto il cadavere non è sul pavimento ma sul tappeto. Secondo, certe domande, per manifesta, distratta ed indif ferente idiozia, provocano inevitabilmente una reazione. Lo sanno tutti che i morti, di fronte a certe cose, si rivoltano nella tomba... Siccome, in questo caso, il caro estinto non è stato ancora inumato, lo scrittore si prende una licenza po co poetica.» «Ossia?» «Dico che il morto si rivolta sul tappeto. Roberto si alza leggermente. Risponde alla moglie che non può alzarsi perché è un po’ morto. Si rimette nella posizione di prima. La donna riflette incerta se ridere o piangere, poi opta per una via di mezzo: – Roberto, non scherzare, ma che succ... Ahhhhhhh! Ahhhhh! AAAAHHHHAHAHAAAAAHHH! – » «Grida.» «Sì me ne sono accorto. Non sopporto i rumori forti e acuti per via dell’orecchio.» «Quale orecchio?» «Il mio. Sono stato operato da piccolo e ho il tim pano sensibile, devo stare attento.» «Non sei uno scrittore ma una cariatide.» «Andiamo via, che questa ci rompe i timpani, tanto non possiamo fare niente.» «Tu compassione proprio zero, eh?» «Sbrigati, che è tardi, mi sta venendo sonno.» «Beviti uno stramaledetto caffè!» «Scherzi? la caffeina è un veleno per me, rovina le mucose delicate del mio stomaco di cristallo.» «Aggiungici un po’ di latte.» «Ma sei pazza! Vuoi vedermi al posto di quello steso sul tappeto, per caso? L’associazione della molecola del caf fè con quelle dei lipidi del latte fa malissimo per chi ha pro blemi digestivi!» «Ma va’ all’inferno!» «Comunque stiamo facendo tutto dialogo.» «Mbè?» «Diranno che questa non è narrativa, che nessun e ditore vorrà mai pubblicarla. Sai quelle cose come simili tudini ad effetto, batticuore, lirismo, poesia, qui mancano del tutto... Diranno che siamo freddi, cinici, calcolatori, che manchiamo di calore umano, che non facciamo arrossire le orecchie al lettore, che annichiliamo la sua anima fiduciosa, trasportandolo dentro una storia-iceberg.» «Anche gli iceberg hanno una loro algida bellezza. Anzi, auguriamoci che il riscaldamento globale non conti nui a farli sciogliere. Intanto chiacchiera poco e cammina.» II. «Ma proprio di notte dovevamo iniziare questa sto ria?» «Che ne so, hai fatto tutto da solo. Ricordati che lo...» «Scrittore sei tu, sì, lo so, me l’hai già detto. Qui ri schiamo di romperci l’osso del collo e farci male davvero.» «Bene, stai scrivendo un giallo, non un romanzo d’a more. Il sangue mio caro, non deve mai mancare, se poi c’è anche un po’ di fantasioso gotico...» «Alberi che sembrano mostri, botteghe d’alchimisti, leoni di pietra, voraci piante carnivore, vermi su zombi ma leodoranti? No, lascia perdere, qui, più che altro c’è un po’ di zotico. Lo stile mi sembra grezzo, immaturo, cinemato grafico.» [...] NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA Mary Blindflowers è criminologa, esperta di libri antichi e moderni. Ha pubblicato: Dalle galee al bagno al carcere (Armando Siciliano Editore, 2010), Fiori ciechi (Annulli Editori, 2012), Mister Yod non può morire (La Carmelina, 2012), Lo Strazio (Marco Saya, 2013), L'occhio clinico (Edizioni della Lanterna, 2013) e Picacismo simbo lico (Bastogi, 2013). Un suo intervento compare in Nuova Oggettività (La Carmelina, 2013), a cura di Roby Guerra. Gestisce il blog Destrutturalismo e altro. INDICE Prefazione (di Francesco Vico) Introduzione dell’autrice Il filo conduttore (l’anti-romanzo) I. II. III. IV. V. VI. Epilogo Nota bio-bibliografica
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