L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 52 (47.187)
Città del Vaticano
venerdì 4 marzo 2016
.
Alla Pontificia accademia per la vita Francesco sottolinea la centralità dell’uomo anche in ambito scientifico
Dopo l’abbraccio tra Francesco e Cirillo
Valore da proteggere
Incontro
nella storia
E mette in guardia dalle colonizzazioni ideologiche mascherate da virtù e modernità
di ILARIONE
«La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo», indipendentemente dalle «sue condizioni di vita, è un valore da
proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di incertezze morali, che non le consentono di difendere la
vita in maniera efficace»: lo ha ricordato Papa
Francesco ai partecipanti all’assemblea generale
della Pontificia accademia per la vita, ricevuti giovedì mattina, 3 marzo. Il Pontefice ha approfondito il tema che è al centro dell’incontro annuale
dell’istituzione pontificia fondata nel 1994 — «Le
virtù nell’etica della vita» — e ha ricordato che «il
bene che l’uomo compie non è il risultato di calcoli o strategie», ma «il frutto di un cuore ben disposto, della libera scelta che tende al vero bene».
Non bastano quindi, ha aggiunto il Pontefice, la
scienza e la tecnica: «per compiere il bene occorre
la sapienza del cuore».
Difatti, oggi, molte istituzioni sono impegnate
nel servizio alla vita ma, ha sottolineato il Papa,
tante strutture sono «preoccupate più dell’interesse
economico che del bene comune». Infatti «parlare
di virtù significa affermare che la scelta del bene
coinvolge e impegna tutta la persona; non è una
questione “cosmetica”, un abbellimento esteriore».
E anche le norme, «pur necessarie», che sanciscono il rispetto delle persone, «da sole non bastano
a realizzare pienamente il bene dell’uomo» perché
«sono le virtù di chi opera nella promozione della
vita l’ultima garanzia che il bene verrà realmente
rispettato». Non deve quindi mai venire meno
l’«interesse reale» per le persone, in particolar modo per quelle più fragili. Così, se è vero che «oggi
non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno alla vita
umana nelle situazioni in cui si mostra debole»,
occorre però — ha raccomandato Francesco — che
«i medici e gli operatori sanitari non tralascino
mai di coniugare scienza, tecnica e umanità»: chi
si dedica alla difesa e alla promozione della vita
deve essere capace di mostrarne la bellezza e di
operare con «genuina compassione». È compito,
quindi, delle università lavorare affinché gli studenti «possano maturare quelle disposizioni del
cuore e della mente che sono indispensabili per accogliere e curare la vita umana».
Il Pontefice ha quindi messo in guardia dalle
«nuove colonizzazioni ideologiche» che, «sotto
forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi», si affacciano «nel pensiero umano» e «anche
cristiano», togliendo la libertà perché «hanno paura della realtà così come Dio l’ha creata».
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L’Europa al fianco della Grecia
versi Paesi dei Balcani che nelle ultime settimane hanno rafforzato i controlli alle frontiere o chiuso il passaggio. Ieri Tsipras ha avuto un colloquio con il collega turco Ahmet Davutoğlu. «La discussione — si legge
in una nota del Governo ellenico — si
è concentrata sulla riduzione dei flussi migratori verso la Ue e la gestione
dei rifugiati, in vista del vertice tra
Ue e Turchia che si terrà il 7 marzo a
Bruxelles e del Consiglio della cooperazione greco-turca che si terrà il
giorno dopo a Smirne». La Commissione europea si è detta pronta a riformare il regolamento di Dublino
sul diritto di asilo e sul riconoscimento dello status di rifugiato entro luglio. Nella bozza di risoluzione della
Commissione, resa nota ieri, si parla
anche di rafforzamenti dei controlli.
Questo mentre il numero dei migranti e dei rifugiati che restano
bloccati in Grecia, ai confini con gli
altri Paesi dei Balcani, continua a salire a ritmi di duemila-tremila persone al giorno. Una situazione drammatica, che rischia di sfociare in violenze diffuse e di trasformarsi in una
catastrofe umanitaria.
E intanto, oggi un gruppo di migranti e profughi bloccati da giorni a
Idomeni, la località greca alla frontiera con la ex Repubblica jugoslava di
Macedonia, hanno occupato i binari
di una linea ferroviaria che collega i
due Paesi chiedendo alle autorità di
Skopje di consentire loro l’ingresso in
territorio macedone e proseguire il
viaggio lungo la rotta balcanica fino
in Europa centrale. Sono oltre diecimila i migranti bloccati alla frontiera
greco-macedone. Le autorità macedoni aprono a intermittenza il confine,
facendo passare poche centinaia di
persone al giorno, tante — dicono a
Skopje — quanti sono gli ingressi
consentiti dalla vicina Serbia.
Sull’emergenza immigrazione è intervenuto anche il presidente della
Repubblica italiana, Sergio Mattarella, il quale ieri ha dichiarato che «il
dramma dei migranti rappresenta una
tragedia e un calvario» ma l’Italia, in
questi anni, «è stata e continua a essere all’avanguardia nella solidarietà».
Scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica asiatica
Udienza al primo ministro di Timor-Leste
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Migrante al confine greco-macedone (Reuters)
Schengen non è né un fine né un
mezzo. La Grecia resterà a far parte
di Schengen, dell’eurozona e della
Ue» ha aggiunto Tusk, sottolineando
poi che «le azioni unilaterali minano
la solidarietà».
Sulla stessa linea il premier Tsipras, che chiede alla Ue «sanzioni
contro gli Stati membri che con le loro azioni unilaterali nelle ultime due
settimane hanno persino indebolito»
la gestione dei flussi migratori. Un
chiaro riferimento al gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria), all’Austria e a di-
VOLOKOLAMSK
L’
Nella gestione dell’emergenza immigrazione
ROMA, 3. «La Grecia e il popolo greco stanno pagando un prezzo altissimo per un problema che non hanno
creato. Voglio dire molto chiaramente
che l’Unione europea non lascerà sola la Grecia». Con queste parole, oggi, il presidente del Consiglio Ue,
Donald Tusk, si è rivolto al premier
greco, Alexis Tsipras, in un incontro
ad Atene dedicato all’emergenza immigrazione. «Escludere la Grecia da
DI
incontro tra Papa Francesco e Cirillo, Patriarca di
Mosca e di tutta la Russia, avvenuto il 12 febbraio a
L’Avana, è stato definito, a ragione, storico. Storico non solo perché si è trattato del primo incontro tra i Primati della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa
russa. Ma anche perché a Cuba
ha avuto luogo un evento che è
espressione visibile del livello di
fiducia e di comprensione che è
stato raggiunto nelle relazioni tra
le due Chiese nel corso degli ultimi anni e che apre per loro nuove
prospettive storiche.
I risultati dell’incontro avvenuto «lontano dalle antiche contese
del “Vecchio Mondo”» dovrebbero determinare molte decisioni e
azioni da parte delle due Chiese,
volte a influenzare il corso della
storia. Dobbiamo riconoscere con
rammarico, e questo si riflette nella Dichiarazione comune, che ortodossi e cattolici sono separati
da quasi dieci secoli. Questa divisione ha ragioni teologiche e culturali. Tuttavia, il contesto storico
nel quale si trovano oggi i cristiani e le sfide che tutta l’umanità
deve affrontare ci spingono a vivere e ad agire in questo mondo
non come rivali ma come fratelli,
per difendere insieme i valori che
abbiamo in comune. Affidiamo lo
studio delle questioni teologiche
alle
commissioni
competenti.
L’incontro tra i Primati delle due
più grandi Chiese cristiane ha testimoniato come, da entrambe le
parti, vi sia la consapevolezza che
la situazione mondiale ha bisogno
di azioni urgenti e, come è stato
indicato nella dichiarazione, coordinate.
Un’attenzione centrale è stata
riservata, durante l’incontro e nel
testo che è stato firmato, alla tragedia del genocidio dei cristiani
in Medio oriente e nei Paesi
dell’Africa settentrionale e centrale. Dalla bocca del Papa e del Patriarca è risuonato un appello a
un’azione congiunta rivolto alle
forze che si oppongono all’estremismo, affinché i leader politici
superino le loro divergenze e si
uniscano nella lotta contro la minaccia comune. Grazie a Dio,
questo appello è stato ascoltato e
siamo venuti a conoscenza di una
notizia foriera di speranza: la
Russia e gli Stati Uniti si sono
messi d’accordo su una tregua in
Siria e questo accordo è stato sottoscritto anche dal governo siriano e dall’opposizione. Si tratta di
un primo passo nella direzione
suggerita dalla dichiarazione comune del Papa e del Patriarca.
È auspicabile che l’appello dei
due Primati a compiere ogni sforzo possibile per mettere fine allo
spargimento di sangue in Ucraina
venga accolto dalle parti coinvolte nel conflitto affinché nel Paese,
dove ortodossi e cattolici vivono
gli uni accanto agli altri, possa essere instaurata una pace durevole.
Questo obiettivo non potrà essere
raggiunto senza gli sforzi comuni
degli ortodossi e dei greco-cattolici per superare un’ostilità storica.
Una condizione preliminare importante per ristabilire la fiducia
è stata la dichiarazione fatta di
nuovo al livello più alto, secondo
cui l’unia non è uno strumento
per realizzare l’unità tra le Chiese, e il proselitismo, nelle relazioni tra ortodossi e cattolici, è inaccettabile in tutte le sue manifestazioni.
Nella mattina di giovedì 3 marzo,
nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto in udienza
il primo ministro della Repubblica
Democratica di Timor-Leste, Sua
Eccellenza il signor Rui Maria Araújo, il quale ha successivamente incontrato il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato
dal sotto-segretario per i Rapporti
con gli Stati, monsignor Antoine
Camilleri.
Nei cordiali colloqui sono stati
evocati i buoni rapporti tra la Santa
Sede e Timor-Leste, come pure il
contributo storico della Chiesa
all’edificazione della Nazione e la
collaborazione esistente con le Autorità civili in vari ambiti sociali, quali
l’educazione, la sanità e la lotta alla
povertà.
Al termine dell’incontro con il segretario di Stato ha avuto luogo,
nella Sala dei Trattati del Palazzo
Apostolico Vaticano, lo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo
tra la Santa Sede e la Repubblica
Democratica di Timor-Leste, firmato
Cristianesimo sociale francese
a Díli il 14 agosto 2015. L’Accordo,
composto da un Preambolo e 26 articoli, sancisce il riconoscimento della personalità giuridica della Chiesa
e delle sue Istituzioni e garantisce
alla Chiesa la libertà di svolgere la
propria missione in favore della popolazione timorese.
PAGINA 2
Il Papa
e i pesci rosa
JEAN-PIERRE DENIS
A PAGINA
5
La vecchia psicologia di rivalità
deve far posto a una collaborazione fraterna davanti alle sfide che
le nostre Chiese affrontano in Europa, dove, con il pretesto di promuovere le idee di tolleranza e di
democrazia e di diffondere i valori liberali, viene perpetrata una
vera e propria persecuzione del
cristianesimo e dei valori morali
evangelici. Ortodossi e cattolici
hanno già unito le loro forze per
combattere queste tendenze, ma,
dopo l’incontro dell’Avana, questa collaborazione dovrà raggiungere un nuovo livello qualitativo.
Durante l’incontro tra il Papa e
il Patriarca sono stati menzionati
vari progetti che contribuiranno
al riavvicinamento tra i fedeli delle nostre Chiese. Ciò riguarda in
particolare il pellegrinaggio ai
luoghi santi che abbiamo in comune. Ad esempio, ogni anno un
flusso enorme di pellegrini ortodossi si reca alle reliquie di san
Nicola di Bari e pellegrini cattolici visitano santuari ortodossi.
Possiamo intensificare questi due
flussi, affinché le persone che accedono ai luoghi santi dell’altra
Chiesa si incontrino e si conoscano meglio.
L’incontro a L’Avana avrà indubbiamente profonde conseguenze. Le parole del Papa e del
Patriarca, pervase da spirito pastorale e da amore, sono rivolte
alle persone più disparate, compresi i leader politici e religiosi.
Dal fatto che esse reagiscano oppure no a tali parole dipenderà in
gran parte il futuro dell’umanità.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
Sua Eccellenza il Signor
Rui Maria de Araújo, Primo Ministro di Timor-Leste, con la Consorte, e Seguito.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Monsignor Marek Solczyński, Arcivescovo titolare di Cesarea
di
Mauritania,
Nunzio
Apostolico in Georgia, in
Armenia e in Azerbaigian.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagreb (Croazia), Vice Presidente della Conferenza Episcopale Croata,
con le Loro Eccellenze i
Monsignori Želimir Puljić,
Arcivescovo di Zadar, Presidente, Ðuro Hranić, Arcivescovo di Ðakovo-Osijek,
Membro, e Dražen Kutleša,
Vescovo
di
Poreć-Pula,
Membro.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Monsignor
Carlos
Humberto
Malfa, Vescovo di Chascomús (Argentina).
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Frère Alois, Priore di
Taizé.
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venerdì 4 marzo 2016
Intervento
del leader nordcoreano Kim Jong Un (Ap)
Scambio degli strumenti di ratifica
dell’Accordo tra Santa Sede
e Repubblica Democratica di Timor-Leste
Lanciati sei missili a corto raggio
Pyongyang sfida le sanzioni
SEOUL, 3. La Corea del Nord ha
sparato oggi sei proiettili di corto
raggio nel mare di fronte alla sua
costa orientale, secondo quanto riferiscono autorità sudcoreane. L’episodio è avvenuto solo poche ore dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato le
più dure sanzioni contro Pyongyang
da vent’anni a questa parte, in risposta ai recenti test nucleari e al
lancio di un missile di lunga gittata.
I lanci di Pyongyang sono avvenuti dopo l’approvazione da parte
del Parlamento di Seoul della sua
prima legislazione sui diritti umani
in Corea del Nord. Il portavoce del
ministero, Moon Sang Gyun, ha
precisato che gli spari sono arrivati
dalla città costiera di Wonsan, aggiungendo che le autorità stanno
cercando di capire cosa esattamente
il regime comunista di Pyongyang
abbia sparato. I proiettili, secondo il
ministero, potrebbero infatti essere
missili, artiglieria o razzi.
Un dirigente dello stato maggiore
delle forze armate sudcoreane, parlando sotto anonimato, ha confermato che la Corea del Nord ha
esploso sei proiettili che hanno percorso dai 100 ai 150 chilometri (tra
60 e 90 miglia) prima di arrivare in
mare. Il regime di Pyongyang testa
abitualmente missili e razzi ma spesso mette in atto più lanci successivi
quando è adirata per la condanna
internazionale.
Nel frattempo, la Cina invita tutti
i Paesi a implementare «in pieno e
seriamente» le sanzioni più dure
contro la Corea del Nord, a poche
Due terroriste
uccise a Istanbul
dopo un attacco
alla polizia
ANKARA, 3. La polizia turca ha
ucciso le due donne che questa
mattina hanno sparato e lanciato
bombe a mano contro una stazione della polizia di Istanbul, prima
di fuggire e barricarsi in un palazzo vicino nel quartiere di Bayrampasa. Lo riferisce l’agenzia di
stampa turca Anadolu citando
fonti della polizia locale. Anche il
governatore di Istanbul Vasip
Sahin, ha confermato l’uccisione
delle due militanti, la cui identità
e affiliazione non sono state rese
note. Le donne sono arrivate in
taxi e hanno lanciato diverse bombe a mano contro la stazione di
polizia e sparato contro le guardie, che hanno risposto al fuoco.
La Nato invita
i talebani
a deporre le armi
KABUL, 3. Il nuovo comandante
delle forze americane e della Missione Resolute Support in Afghanistan, generale John Nicholson,
ha sollecitato i talebani a mettere
fine alla lotta armata e ad aderire
alle proposte di dialogo del Governo. In un discorso a Kabul in
occasione dell’assunzione del suo
nuovo incarico trasmessogli dal
generale John Campbell, Nicholson ha ringraziato i Paesi della
Nato che hanno sostenuto gli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11
settembre 2001 «sul nostro suolo
nazionale» di terroristi «ospiti dei
talebani». Rivolgendosi ai talebani
il generale Nicholson ha detto:
«Voi avete portato soltanto difficoltà e sofferenze per il popolo afghano. È arrivato il momento di
mettere fine a tutto questo, e il
momento per voi per deporre le
armi e scegliere il futuro».
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ore dal via libera dato dal Consiglio
di Sicurezza dell’Onu. «Le sanzioni
non dovrebbero colpire la vita quotidiana delle persone», ha affermato
Hong Lei, portavoce del ministero
degli Esteri, esprimendo l’auspicio
di rapida ripresa del negoziato multilaterale sul nucleare di Pyongyang
in stallo da fine 2008, e che coinvolge le due Coree, Stati Uniti, Giappone, Russia e Cina. Tra le nuove
sanzioni, c’è anche il mandato per
ispezioni su tutti i cargo in arrivo o
partenza dalla Corea del Nord.
Il regime comunista di Pyongyang «deve capire che questo messaggio non viene solo dai membri
del Consiglio di Sicurezza, quanto
dall’intera comunità internazionale»
ha detto l’ambasciatore giapponese
all’Onu, Motohide Yoshikawa.
Per Washington un risultato migliore del previsto
Regge
la tregua in Siria
DAMASCO, 3. Regge la tregua in Siria, nonostante diversi episodi di
violenza siano stati segnalati nelle
aree coinvolte. Ieri Mosca ha parlato di almeno 31 violazioni della tregua dal suo inizio, sei giorni fa. E
intanto scontri si registrano al confine tra Turchia e Siria. Sul piano
diplomatico, la Russia torna a insistere per la partecipazione dei curdi
siriani ai negoziati. «La nostra posizione è che, certamente, i curdi dovrebbero essere coinvolti nel processo dei negoziati sotto l’egida
dell’Onu» ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo,
Maria Zakharova, aggiungendo che
«questo dialogo e questo processo
negoziale è incompleto senza i curdi», fondamentali alleati di Assad,
soprattutto in contrasto al cosiddetto Stato islamico (Is).
Washington, intanto, esprime ottimismo sul futuro dei negoziati a
Ginevra (la terza tornata, tra governativi e ribelli), sottolineando che
la tregua al momento risulta essere
un successo. La tregua infatti «resta
fragile ma procede meglio del previsto» perché ha consentito una
«significativa riduzione della violenza» stando all’opinione di alti
funzionari americani. In un incontro con i giornalisti, questi funzionari hanno riconosciuto che la tregua «è lontana dall’essere ottimale»
e resta «fragile», ma hanno poi aggiunto che «sta procedendo al di là
delle nostre aspettative».
E nel frattempo, il Pentagono ha
annunciato ieri lo stanziamento di
nuovi aiuti economici e logistici,
nonché l’invio di forze militari in
Iraq, per sostenere l’esercito di
Baghdad nell’offensiva contro gli
uomini dell’Is a Mosul. Gli Stati
Uniti hanno ormai quasi 3.900 soldati in Iraq, impegnati essenzialmente in compiti di consulenza e
formazione. «Abbiamo in programma di fare di più, sia in termine di
volume che di tipologia di attività
militare» ha spiegato il segretario
alla Difesa, Ashton Carter.
Oggi, giovedì 3 marzo 2016, alle ore 10.30, nella Sala
dei Trattati del Palazzo Apostolico Vaticano, Sua Eminenza il Signor Cardinale Pietro Parolin, Segretario di
Stato, e Sua Eccellenza il Signor Rui Maria de Araújo,
Primo Ministro della Repubblica Democratica di Timor-Leste, hanno proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, firmato a Díli il 14 agosto
2015, tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di
Timor-Leste, che fissa in modo stabile il quadro giuridico delle relazioni sia tra la Santa Sede e la Repubblica
Democratica di Timor-Leste, sia tra la Chiesa cattolica
e lo Stato timorese.
gli Stati; Mons. Francesco Cao Minh Dung, Mons. Robert Murphy e Mons. Massimiliano Boiardi, Officiali
della Sezione per i Rapporti con gli Stati;
Erano presenti alla solenne cerimonia:
da parte della Santa Sede: Mons. Antoine Camilleri,
Sotto-Segretario per i Rapporti della Santa Sede con
Con lo scambio degli strumenti di ratifica, l’Accordo,
costituito da un Preambolo e 26 articoli, entra in vigore, ai sensi dell’articolo 26.
Il saluto del cardinale segretario di Stato
Nel corso della cerimonia l’Em.mo Segretario di Stato ha rivolto ai presenti
il seguente breve indirizzo di saluto.
Signor Primo Ministro, Signore e
Signori,
Desidero ringraziarLa per le cortesi attestazioni di stima che ha voluto pocanzi manifestare. Inoltre,
vorrei esprimere di nuovo la mia
gratitudine per l’accoglienza che Ella, Signor primo ministro, insieme
con le alte autorità governative ed
ecclesiastiche del Paese, mi hanno
riservato nel corso della mia visita a
Díli, nello scorso mese di agosto,
come Inviato Speciale del Santo Padre Francesco, per le celebrazioni
dei 500 anni dell’evangelizzazione
dell’Isola.
Il solenne atto che compiamo
quest’oggi, attraverso lo scambio degli strumenti di ratifica, suggella
l’entrata in vigore dell’Accordo tra la
Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, che è stato firmato nella cornice dei summenzionati festeggiamenti nazionali.
L’Accordo, tenendo conto del
ruolo storico e attuale svolto dalla
Chiesa cattolica nella vita della Nazione e del radicamento profondo
della Religione cattolica nella società timorese, fissa in modo stabile il
quadro giuridico delle relazioni, sia
tra la Santa Sede e la Repubblica
Democratica di Timor-Leste, sia tra
la Chiesa cattolica e lo Stato timorese. Esso è frutto di anni di negoziato, sostenuto da un comune spirito
di dialogo, di collaborazione e di
costante ricerca degli strumenti giuridici più idonei a sancire il riconoscimento da parte dello Stato del
servizio che la Chiesa cattolica svolge in favore del popolo timorese.
Tale impegno riguarda l’ambito spirituale, così come quello dell’educazione, della solidarietà, dell’assistenza ai più deboli e di molte altre attività che contribuiscono positivamente alla crescita integrale del vostro amato popolo.
Grazie allo strumento giuridico
dell’Accordo, la comunità cattolica
potrà prodigarsi con sempre mag-
giore sollecitudine in favore del bene di tutti. In tale cornice, conviene
notare, la Chiesa non ricerca privilegi particolari ma desidera offrire un
contributo libero e creativo per
l’edificazione di una società sempre
più armoniosa, animata dalla giustizia e dalla pace. Naturalmente, la
missione ecclesiale potrà essere ancora più fruttuosa e incisiva, se i
principi contenuti in questo Accor-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
TEL AVIV, 3. Il vice presidente degli
Stati Uniti, Joe Biden, sarà in visita in Israele l’8 marzo prossimo. A
renderlo noto è stato ieri il Governo israeliano sottolineando come la
visita del vicepresidente statunitense s’inquadra nel rinnovato sforzo
dell’Amministrazione Obama di rilanciare i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi dopo oltre due
anni di stallo. Questo soprattutto
in un momento molto delicato, con
l’instabilità crescente in Cisgiordania, la guerra in Siria e la minaccia
jihadista sempre presente.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
do troveranno da ambo le parti piena accoglienza e applicazione.
Signor primo ministro,
con questi sentimenti, desidero
ringraziare quanti si sono adoperati
per il felice esito delle trattative e
affidare il caro popolo della Repubblica Democratica di Timor-Leste
alla materna protezione di Maria
Immacolata, vostra celeste Patrona.
Grazie.
Il discorso
del primo ministro
Pubblichiamo la traduzione del discorso di Sua Eccellenza il Signor
Rui Maria de Araújo, Primo Ministro della Repubblica Democratica di
Timor-Leste.
Eminenza Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano, Eccellenze, Distinti Ospiti, Signore e Signori,
Per cominciare, permettetemi di
esprimere a lei, Eminenza, a nome
del popolo, dello Stato, del Parlamento e del Governo della Repubblica Democratica di Timor-Leste,
la nostra profonda gratitudine per
aver visitato Timor-Leste in veste
di Legato di Papa Francesco per la
celebrazione dei 500 anni di evangelizzazione a Díli.
Nel corso dell’udienza avuta
questa mattina, a nome di tutti i
timoresi ho ringraziato di persona
Sua Santità Papa Francesco per
averci onorato della presenza del
suo Legato nel momento culminante
del
500°
anniversario
dell’evangelizzazione e della cristianizzazione del nostro popolo.
Con profondo senso di soddisfazione e con animo fiducioso abbiamo celebrato la Santa Eucaristia
presieduta da vostra Eminenza nel
giorno in cui la Chiesa cattolica ricorda la solennità dell’Assunzione
in cielo della Beata Vergine Maria.
Biden visiterà
Israele
Macerie causate dai combattimenti nella città di Cizre al confine tra Turchia e Siria (Afp)
da parte della Repubblica Democratica di Timor-Leste: S.E. il Sig. Aderito Hugo da Costa, Vice-Presidente
del Parlamento Nazionale; S.E. il Sig. Roberto Sarmento de Oliviera Soares, Vice-Ministro degli Affari Esteri e
Cooperazione; S.E. il Sig. Egas da Costa Freitas, Ambasciatore presso la Santa Sede; S.E. il Sig. Armindo
Pedro Simões, Direttore per l’Europa, Africa e Medio
Oriente presso il Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione.
È stato inoltre un momento storico, per noi timoresi, vedere firmato l’Accordo tra la Santa Sede e
la Repubblica Democratica di Timor-Leste. Per di più è stato un
evento veramente storico, un momento clou per il Paese; un momento che molti timoresi attendevano da lungo tempo, e che si è
realizzato con l’Accordo nel 2015.
La firma di tale accordo ha definito il quadro legale per i rapporti
tra la Repubblica Democratica di
Timor-Leste e la Santa Sede.
Il nostro Parlamento nazionale,
svolgendo il suo dovere, ha quindi
proceduto a rettificare l’Accordo,
che è poi stato adottato all’unanimità e promulgato dal Presidente
della Repubblica. Noi timoresi apprezziamo l’accordo, che è basato
sul principio di mutuo rispetto, solidarietà e cooperazione.
Oggi, a nome del popolo e dello Stato, e alla presenza di Sua Eccellenza il secondo vicepresidente
del Parlamento nazionale e della
delegazione, ho l’onore di depositare e di scambiare formalmente
l’Accordo con Sua Eminenza per
celebrare i secoli di evangelizzazione e suggellare le relazioni eterne
tra la Santa Sede e Timor-Leste.
Molte grazie.
La Nuova Zelanda
sceglie la bandiera
WELLINGTON, 3. È iniziato oggi in
Nuova Zelanda l’ultimo atto del
lungo percorso che potrebbe portare il Paese ad avere una nuova bandiera nazionale. I neozelandesi sono infatti chiamati a scegliere tra
l’attuale vessillo — con il richiamo
alla Union Jack britannica, considerata da alcuni una scomoda eredità del passato coloniale — e la
nuova bandiera Silver Fern, che
mostra una foglia bianca di felce
argentata (pianta simbolo del Paese) con sfondo nero a sinistra e
sfondo blu a destra, con le quattro
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
stelle della Croce del Sud colorate
di rosso.
Il disegno della Silver Fern, opera di Kyle Lockwood, è infatti risultato il più votato, con il 50,58
per cento dei consensi, in un referendum dello scorso anno. La votazione odierna si svolgerà per posta.
La consultazione si chiuderà giovedì 24 marzo. Il risultato ufficiale
sarà, invece, proclamato il 30 marzo. Se i neozelandesi opteranno
per la nuova bandiera, è previsto
un periodo di transizione di dodici
mesi.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
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Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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venerdì 4 marzo 2016
pagina 3
Due ostaggi italiani uccisi durante una sparatoria nella regione di Sabrata
Monito di Kobler
agli oppositori libici
TRIPOLI, 3. L’inviato speciale
dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, mette in guardia contro lo stallo che sta favorendo l'avanzata del
cosiddetto Stato islamico (Is), e lancia l’ultimatum agli oppositori del
nuovo Governo: «Lo approvino entro l’inizio della prossima settimana» o ne pagheranno le conseguenze. Kobler ha riferito ieri sulla situazione in Libia al Consiglio di sicurezza dell’Onu affermando che «la
maggioranza del popolo libico appoggia il Governo di unità nazionale, ma non siamo riusciti ancora a
convincere quelli che si oppongono
all’accordo». La Libia non può «essere ostaggio di alcune minoranze
del Parlamento di Tobruk e del
Congresso di Tripoli». E se non ci
sarà l’attesa fiducia all’Esecutivo
«entro l’inizio della prossima settimana», il diplomatico riconvocherà
le delegazioni del dialogo politico
libico.
Ciò significa che senza il sì al
Governo del premier designato Fayez Al Sarraj, l’Onu si appresta a
perseguire altre strade per arrivare
alla stabilizzazione del Paese. Il primo passo, ha auspicato l’inviato di
Ban Ki-moon, dovrebbe essere quello di sanzionare chi boicotta l’intesa. Nel corso dell'audizione Kobler
ha avvertito che la situazione umanitaria nel Paese «è ulteriormente
peggiorata»: quasi un terzo della
popolazione è a rischio. L’Is «approfitta del vuoto politico, e si
espande» in ogni direzione dalla
roccaforte di Sirte, dove «proseguono le atrocità e le decapitazioni».
Una tesi condivisa dall’intelligence
italiana, convinta che sarà difficile
contrastare i terroristi in Libia se il
Paese resta instabile.
Intanto, le violenze non conoscono tregua. Ed è di oggi la notizia
per cui potrebbero essere rimasti uccisi in uno scontro a fuoco a sud di
Sabrata tra miliziani dell’Is e forze
libiche due dipendenti italiani della
Bonatti rapiti nel luglio del 2015,
Fausto Piano e Salvatore Failla. Lo
ha reso noto la Farnesina. Ieri, intanto, almeno otto jihadisti, la maggior parte dei quali di nazionalità
tunisina, sono morti in violenti combattimenti.
Le milizie del Consiglio dei rivoluzionari di Bengasi, di cui fanno
parte i salafiti di Ansar Al Sharia,
legati all’Is, hanno annunciato ieri
sera di essersi ritirate da alcuni
quartieri di Bengasi. Per la prima
volta le milizie islamiste hanno ammesso in una nota ufficiale di aver
perso terreno rispetto all’avanzata
dell’esercito libico fedele al generale
Khalifa Haftar, capo di stato maggiore e ministro della Difesa del
Governo transitorio libico con sede
a Tobruk, nell’est del Paese.
«Abbiamo deciso di ritirare i nostri uomini da alcuni quartieri per
salvare le loro vite. Chiediamo che
vengano salvati i nostri uomini musulmani e promettiamo di integrarci
nelle forze armate se in cambio si
porrà fine all’uccisione dei mujaheddin». Nei giorni scorsi Haftar ha offerto ai miliziani islamisti assediati a
Bengasi «un giusto processo» se decideranno di arrendersi.
Secondo il sito quotidiano libico
«Libya Herald», l’offerta di resa
rappresenta un chiaro tentativo di
portare l’offensiva contro il cosiddetto Stato islamico (Is) e le milizie
islamiste di Ansar Al Sharia a una
rapida conclusione. In un altro comunicato, il generale Haftar ha avvertito che non saranno tollerati
abusi nei confronti delle famiglie
dei militati o dei sospetti militanti:
si tratta di un monito rivolto soprattutto a coloro che hanno subito perdite nel conflitto e che intendono
vendicarsi. L’obiettivo è quello di
evitare una nuova spirale di violenza
nella città una volta liberata. Nel
frattempo, l’esercito del generale
Haftar sta avanzando a Bengasi verso gli ultimi avamposti jihadisti.
Escluse
PARIGI, 3. Nel mondo sono quasi sedici milioni le bambine tra i 6 e gli 11 anni che non frequentano e non frequenteranno mai le scuole elementari, il doppio rispetto
ai coetanei maschi. Lo ha calcolato l’istituto statistico
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), in uno studio pubblicato in preparazione alla giornata della donna, l’8
marzo. «Le bambine sono più suscettibili di essere private del loro diritto all’educazione, malgrado tutti i progressi degli ultimi 10 anni», sottolinea l’agenzia
dell’Onu in un rapporto pubblicato ieri, precisando che
le regioni con le disparità più marcate sono l’Asia meridionale e quella sudorientale, dove circa l’80 per cento
delle bambine che oggi non vanno a scuola — se non ci
saranno cambiamenti rilevanti del trend attuale — non
ci andranno mai. Gravi disparità, aggiunge l’Unesco, si
registrano anche in Africa subsahariana e in alcuni Paesi
arabi. «Non raggiungeremo mai gli obiettivi di sviluppo sostenibile se non lottiamo contro la discriminazione
e la povertà che colpiscono la vita delle bambine e delle
donne da una generazione all’altra», ha commentato il
direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova.
Nominato dalla Comunità dell’Africa orientale
Secondo l’Onu sono oltre 50.000 le vittime della guerra civile
Mediatore per la pace in Burundi
Per il Sud Sudan
un dramma senza fine
BUJUMBURA, 3. I capi di Stato della Comunità dell’Africa orientale
(East African Community, Eac) hanno nominato ieri l’ex presidente
della Tanzania, Benjamin Mkapa,
mediatore per la soluzione della
grave crisi politica e sociale in cui è
caduto il Burundi da oltre dieci
mesi. Si moltiplicano, dunque, gli
sforzi degli Stati africani e della comunità internazionale per venire a
capo di una situazione che rischia
di esplodere in una guerra civile
aperta. L’obiettivo principale di
Mkapa sarà quello di far partire al
più presto un dialogo pacifico tra
Operazione
antiterrorismo
in Tunisia
TUNISI, 3. È stata un’azione antiterrorismo, e non un attacco jihadista
sventato, quella in cui ieri a Ben
Guerdane, località tunisina vicino al
confine con la Libia, cinque miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is)
sono morti in scontri a fuoco con
militari, nei quali ha perso la vita
anche un civile. Secondo la versione
del ministero dell’Interno di Tunisi,
le forze di sicurezza hanno lanciato
un rastrellamento su larga scala sulla base di informazioni d’intelligence che segnalavano l’ingresso dalla
Libia di jihadisti in fuga dalla città
di Sabrata.
Stando alla ricostruzione ufficiale,
unità della Guardia nazionale hanno scoperto un deposito di munizioni in una zona della città di Ben
Guerdane. In seguito a questa scoperta alcuni veicoli con a bordo un
gruppo di jihadisti sono stati intercettati e inseguiti. Ne è nato un
conflitto a fuoco che ha costretto
parte del gruppo a cercare riparo
all’interno di un’abitazione e altri a
fuggire. La casa è stata circondata e
sul posto sono arrivati subito rinforzi. Alla fine delle operazioni, come
detto, si contano cinque terroristi
uccisi, cinque Kalashnikov, un’altra
arma da guerra, munizioni calibro
7,62 mm, una cintura esplosiva, granate, tre autoveicoli e telefoni cellulari sequestrati. Un civile è morto a
causa delle ferite da colpi di arma
da fuoco riportate.
D’altra parte per prevenire l’afflusso di miliziani dell’Is — che in
vista di un’eventuale azione militare
internazionale potrebbero fuggire
dalla Libia — la Tunisia ha deciso di
dispiegare unità militari lungo il
confine di terra e di mare con il
Paese. Per spiegare l’ampiezza
dell’operazione, il dispositivo delle
forze armate tunisine è stato rafforzato da unità della Guardia nazionale e della Dogana. Unità militari
sono state dislocate lungo la frontiera occidentale per impedire ogni
tentativo di infiltrazione da parte di
cellule terroristiche e per stroncare
anche il traffico di armi.
Milioni di bambine non riceveranno mai un’istruzione
Recenti disordini nella capitale Bujumbura
Nasce il primo gruppo italiano
dell’informazione
ROMA, 3. Il Gruppo editoriale
L’Espresso e la Itedi, editrice di
quotidiani come «La Stampa» e
«Il Secolo XIX», uniscono le loro
forze in un accordo che porterà alla costituzione del primo polo editoriale e di comunicazione in Italia. L’operazione, annunciata ieri,
prevede che sia il Gruppo
L’Espresso a incorporare Itedi in
una fusione che, secondo i dati di
bilancio del 2015, porterà il nuovo
aggregato a registrare un fatturato
di 750 milioni di euro con la più
alta redditività del settore, senza
alcun debito. L’unione tra i quotidiani e i periodici dei due gruppi
già oggi può contare nel suo insieme su circa 5,8 milioni di lettori e
oltre 2,5 milioni di utenti giornalieri sui loro siti d’informazione.
«L’accordo segna una svolta importante per il Gruppo L’Espresso
che avvia oggi un nuovo percorso
di sviluppo, garanzia di un solido
futuro in un mercato difficile» ha
dichiarato il presidente Carlo De
Benedetti. Il presidente di Fca
(che controlla Itedi), John Elkann,
ha invece parlato della nascita di
una nuova realtà «solida e integrata». L’operazione avviene «guardando al futuro» perché si tratta
di «un avvincente progetto imprenditoriale nel mondo dei media» ha detto Elkann. In questo
quadro, Fca ha annunciato la propria uscita dal settore editoriale,
vendendo anche le proprie azioni
in Rcs (la società che pubblica il
«Corriere della Sera»), per concentrarsi sulle attività automobilistiche. L’intero riassetto dovrà venir approvato entro la fine di giugno con la firma degli accordi definitivi, mentre il perfezionamento
della fusione tra i gruppi è invece
atteso nel primo trimestre 2017.
Governo e opposizioni al fine di
evitare nuove violenze e sofferenze
per la popolazione, e fare luce sulle
denunce di violazione dei diritti
umani.
La nomina del nuovo mediatore
è stata confermata dal presidente
tanzaniano, John Magufuli, al termine di un vertice dell’Eac ad Arusha, località nel nord-est della Tanzania. Al summit hanno partecipato
i capi di Stato di Kenya, Uganda,
Rwanda e Tanzania. Mkapa — informa l’agenzia di stampa Afp — affiancherà il presidente dell’Uganda,
Yoweri Museveni. Nelle intenzioni
dei presidenti della Comunità
dell’Africa orientale, la nomina dovrebbe dare slancio alla mediazione
nel conflitto burundese, anche se il
dialogo è in una fase di stallo perché il potere non accetta di fare sedere al tavolo delle trattative i rappresentanti delle opposizioni.
Il 25 febbraio scorso una delegazione dell’Unione africana guidata
dai presidenti della Mauritania, del
Senegal, del Sud Africa, del Gabon
e dell’Etiopia hanno incontrato a
Bujumbura i rappresentanti del
Governo burundese per favorire
una distensione del clima tra le forze in campo. Da circa dieci mesi i
sanguinosi combattimenti tra Governo e opposizioni hanno provocato la morte di oltre 400 persone e
più di 200.000 profughi costretti ad
abbandonare le proprie case.
L’omicidio
stradale
diventa reato
ROMA, 3. Diventa reato in Italia
l’omicidio stradale. L’Aula del Senato ha approvato ieri in via definitiva il disegno di legge sul quale
il Governo aveva posto la fiducia.
La proposta è passata con 149 voti
favorevoli, tre contrari e 15 astenuti, al termine di un lungo iter. Il
progetto è in discussione da quattro anni. Con le nuove misure
dunque l’omicidio stradale diventa
un reato a sé, la cui pena può variare: da due a sette anni se l’omicidio è causato da una violazione
del codice della strada; fino a dodici anni invece se la causa è la
guida in stato di ebbrezza. Sono
poi previste nuove norme sui conducenti dei mezzi pesanti, sulla
revoca della patente in caso di
condanna o patteggiamento e sui
termini di prescrizione del reato.
NEW YORK, 3. Sono almeno 50.000
le persone che hanno perso la vita
nella guerra civile in corso nel Sud
Sudan dal dicembre del 2013, quando il presidente, Salva Kiir, accusò
il suo ex vice presidente, Riek Machar, di aver tentato un colpo di
Stato. Lo denuncia un alto funzionario delle Nazioni Unite parlando
di «50.000 morti, forse anche di
più, 2,2 milioni di rifugiati e sfollati, carestia».
Il funzionario delle Nazioni Unite ha inoltre affermato di riporre
poche speranze nell’applicazione
dell’accordo di pace raggiunto ad
agosto. Da conflitto politico la
guerra in Sud Sudan ha da subito
assunto i caratteri di uno scontro
etnico tra le tribù Dinka, alla quale
appartiene Kiir, e quella dei Nuer
da cui proviene Machar. E la crisi
umanitaria peggiora di giorno in
giorno: almeno 40.000 persone
stanno morendo di fame mentre un
quarto della popolazione ha urgente bisogno di aiuti alimentari. E
questo anche se il Sud Sudan è ricco di acqua e terreni coltivabili
nonché di petrolio.
La nascita di uno Stato indipendente nel luglio del 2011 — è la Nazione più giovane del mondo —
non è riuscita a porre rimedio alla
radicale frammentazione del panorama politico ed etnico. Ed è questa la principale sfida — dicono gli
analisti — che ogni Esecutivo sudsudanese si trova a dover affrontare.
C’è poi il problema della ripartizione dei proventi del petrolio tra le
varie comunità. Un aspetto controverso anche nei rapporti col Sudan.
Si arrendono
decine di terroristi
di Boko Haram
ABUJA, 3. In preda alla fame e
agli stenti, decine di affiliati al
gruppo terroristico Boko Haram
si sono arresi ieri ai militari a
Maiduguri, nel nord-est della
Nigeria. Sempre per lo stesso
motivo, già a settembre e ottobre
scorsi centinaia di terroristi si
erano consegnati ai militari di
Abuja, che li avevano poi inviati
in centri di riabilitazione. Una
tendenza che dimostrerebbe, secondo gli analisti, «l’efficacia
della politica di assedio» praticata dal Governo. Quest’ultimo sta
tagliando le vie di rifornimento
ai terroristi, che fuggono spesso
nei Paesi confinanti.
L’Italia ancora nella morsa
del maltempo
ROMA, 3. Non accenna a diminuire
in Italia l’ondata di maltempo. La
Protezione civile ha lanciato un
nuovo allarme per le prossime ore.
Previsti su gran parte della penisola
pioggia, neve e forti raffiche di vento. Intanto, all’alba di oggi, un’auto
che procedeva a Roma in via dei
Colli Marini, all’altezza del chilometro 36 della via Laurentina, è stata colpita da un grosso albero. Due
uomini sono morti, mentre una
donna è ricoverata in gravissime
condizioni. Nel dettaglio, l’allarme
della Protezione civile prevede nevicate su Veneto, Emilia Romagna,
Marche e Toscana nord orientale.
Previsti inoltre venti di burrasca su
Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Sardegna,
con mareggiate lungo le coste. In
arrivo forti temporali su Campania,
Calabria e Basilicata, soprattutto
sui settori tirrenici; tali fenomeni
saranno accompagnati da attività
elettrica, raffiche di vento e locali
grandinate. Sull’Abruzzo, specie nei
settori occidentali, ci saranno intense nevicate al di sopra degli 800
metri. Si prevedono infine venti
molto forti su tutto il meridione,
sul Lazio e sulla Sicilia, in particolare sui settori costieri, con mareggiate lungo le coste esposte. E per
colpa del vento, una scuola è stata
fatta sgomberare stamane nel napoletano. Le avverse condizioni meteorologiche della scorsa notte hanno infatti sollevato parte della guaina che ricopre l’ultimo piano della
scuola Don Bosco a Qualiano. Dopo un sopralluogo, i vigili del fuoco hanno sgomberato l’edificio.
Una tormenta di neve ha invece costretto l’Anas a chiudere un lungo
tratto della strada statale 21 del
Colle della Maddalena, in provincia
di Cuneo.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 4 marzo 2016
I protagonisti
Emory Cohen e Saoirse Ronan
Due scrittrici, due romanzi
In cerca
di un significato
di GIULIA GALEOTTI
a mia fede mi
dice che Dio ha
condiviso con il
genere umano
la povertà, la
sofferenza e la morte, e questo può
solo voler dire che sono cose piene
di dignità e di significato».
È un incontro delicato e dirompente quello che Marilynne Robinson pone al centro del suo ultimo
romanzo Lila (Torino, Einaudi,
2015, pagine 273, euro 20). L’incontro tra la giovane protagonista, che
ha trascorso infanzia e adolescenza
nel mondo dei vagabondi senza tetto, e l’anziano e gentile reverendo
John Ames: due mondi dell’America profonda che, seppur così terribilmente lontani, in modo quasi
misterioso si scoprono capaci di riconoscersi, comprendersi e sostenersi a vicenda.
Quando, dopo anni di vita dura, brutale, precaria ma anche
calda (grazie alla donna che
l’ha sottratta a una casa del
tutto disinteressata a lei),
la ragazza si accampa
nella cittadina di Gilead e, per la prima
«L
di perdono. Così nelle sue pagine,
con delicatezza e forza insieme, troviamo una concezione esplicitamente religiosa della vita. E se ne esce
ritratta un’America piena di paure,
che generano rabbia, la vera fede
però — sembra dirci la scrittrice — è
incompatibile con questo sentimento. Un cristiano non può vivere nella paura.
Le domande di Lila sono continue, come le risposte del reverendo,
meditate e sincere («Sai, ci sono cose a cui credo, cose che non riuscirei mai a dimostrare, ma ci credo
tutto il giorno, tutti i giorni»). È il
primo passo per costruire qualcosa
insieme. «Lui disse: “Famiglia è una
preghiera. Moglie è una preghiera.
Matrimonio è una preghiera”».
Dopo le nozze, il cammino di Lila verso la maternità è reso in pagine bellissime. Perché scoprendosi
incinta, la ragazza si scopre figlia di
una donna che, con i suoi poveri
La scrittrice americana Marilynne Robinson
volta nella sua vita, varca la soglia
di una chiesa, ciò a cui aspira è solo un riparo momentaneo dalla
pioggia battente, un ristoro per gli
abiti fradici e la grande stanchezza.
Suo malgrado, resterà invece abbagliata dalla bellezza delle candele
accese, e dalla voce calda e possente del vecchio predicatore che, dal
pulpito, la guarda. E la vede.
Sono molti i temi che Robinson
— che si autodefinisce «una scrittrice che vive reclusa nell’Iowa» — pone al centro del suo racconto.
Innanzitutto il valore, e il peso,
dei ricordi. Sebbene sia una donna
ancora giovane, le ferite di Lila sono molte, tutte sostanzialmente riconducibili a una profonda solitudine. Perché se Doll, per sottrarla
all’abbandono, al freddo e alla fame, l’ha rapita dandole quel che la
bimba non ha mai conosciuto — il
calore di una coperta, il dondolio
di un abbraccio — resterà sempre il
tarlo che qualcuno, per opportunità, possa tornare a reclamarla. Con
parentesi più o meno fortunate, le
due
vagheranno
nel
cuore
dell’America, crescendo insieme,
dovendo però affrontare — come
emergerà dai continui flashback di
Lila – molte difficoltà e tanto dolore. Ecco dunque che la brutalità
vissuta dalla giovane si scontrerà
con la pacatezza del reverendo
Ames, che, dal canto suo, ha il
doppio dei suoi anni, altrettanti lutti, la responsabilità di molte anime
e una fede profonda. Eppure anche
per lui l’incontro con Lila significherà fare i conti con tanti ricordi.
Perché in realtà se nulla al mondo
parrebbe accomunarli, a unirli è
proprio la fedeltà a quanto vissuto
e la grande fame di risposte.
Così, ancora una volta come già
in altri suoi romanzi, è la calma sicurezza dell’umiltà raccontata da
Marilynne Robinson a rendere rivoluzionari la sua narrazione e il suo
sguardo.
La fede profonda di Ames, si è
detto: perché la religione è un altro
dei grandi temi del romanzo. Calvinista, Robinson ha al centro della
sua esistenza i concetti di grazia e
mezzi, l’ha comunque salvata. Sentire il suo corpo diventare madre, è
sentire l’enorme cambiamento interiore che si sta producendo. «In ottobre il bambino cominciò a muoversi. (...) Disse: “Bene, piccolo! Ti
aspettavo”. (...) Aveva dimenticato
che effetto faceva non essere da
sola».
Nel cambiamento quotidiano, la
paura può, lentamente, iniziare ad
abbandonare la ragazza. «Quando
sentiva il bambino muoversi si ricordava di quando dormiva in
grembo a Doll, irrequieta tra le sue
braccia per via del caldo e dell’umidità». Perché il cerchio, in qualche
modo, tra quello che si è ricevuto e
quello che si è in grado di dare, si
chiude.
Proprio per questo movimento
circolare in cui l’attesa di un bimbo
sana un’infanzia di grande sofferenza, Lila ci riporta all’ultimo romanzo del premio Nobel Toni Morrison, Prima i bambini (Frassinelli,
2015, pagine 218, euro 19,50), il primo ambientato nell’America di oggi. Protagonista anche qui una ragazza, Bride, che si è vista privata
dell’amore di una madre in un’infanzia dura e fredda, e che, una
volta cresciuta, si trova costretta
dalla vita a fare i conti con la bimba che fu. Il passo successivo non è
sempre facile, ma scoprire il proprio
corpo in via di cambiamento può
essere non tanto la molla quanto la
spia di un mutamento finalmente
assorbito. Perché a volte le colpe
dei padri possono non ricadere sui
figli. «Poi le offrì la mano che lei
desiderava da tutta la vita», scrive
Morrison nella sua inconfondibile
prosa, «la mano che non aveva bisogno di una bugia per concedersi,
la mano della fiducia e della cura –
una combinazione che alcuni definiscono amore naturale».
La nera Bride e la bianca Lila.
Così figlie e così madri, così diverse
e così vicine. «Abbi pietà di noi,
certo, ma noi siamo coraggiosi,
pensò, e folli», scrive Robinson in
chiusura, «in noi c’è più vita di
quanto ne possiamo sopportare».
Vecchio e nuovo mondo in un film di John Crowley
Elogio di New York
di EMILIO RANZATO
Il regista irlandese John Crowley porta
sullo schermo Brooklyn, un bestseller di
Colm Tóibín, adattato per l’occasione da
Nick Hornby.
All’inizio degli anni Cinquanta la giovane Eilis (Saoirse Ronan), nata e cresciuta in una piccola città irlandese, decide di
trasferirsi a New York per costruirsi un
avvenire. Qui non solo trova un impiego
in un grande magazzino, ma anche l’amore di Antonio, un idraulico italiano (Emory Cohen) che la convince a sposarsi dopo un brevissimo fidanzamento. Tornata
in Irlanda per un lutto familiare, però, Eilis, che ha tenuto nascosto il matrimonio
ad amici e parenti, conosce Jim, un ragazzo di buona estrazione. Anche per il lavoro, inoltre, la situazione da quelle parti
sembra nel frattempo essere migliorata.
La ragazza dovrà dunque decidere se liquidare la sua trasferta oltre oceano come
un errore di gioventù, e riconciliarsi di
conseguenza con le proprie radici, o portare definitivamente avanti il nuovo progetto di vita.
Candidato ai premi Oscar per la sceneggiatura e l’interpretazione di Saoirse
Ronan, nonché come miglior film, questo
racconto di maturazione, più che di formazione, per due terzi della sua durata
sembra fare di tutto per essere semplicemente un film “carino”. Il plot nudo e
crudo strizza più di un occhio al romanzo
Tratto da un romanzo di Colm Tóibín
«Brooklyn» racconta la storia
di tutta una generazione di donne
Il discorso femminista
s’incrocia con il sogno americano
d’appendice — come nell’episodio della
tragedia familiare, abbastanza gratuito —
mentre l’incontro-scontro con una nuova
realtà che dovrebbe sconcertarla, per la
protagonista si risolve serenamente in breve tempo, dato che tutti attorno a lei sembrano essere quanto mai prodighi di comprensione, mentre scetticismi e cattiverie
iniziali si fermano a innocenti frecciatine.
Infine, l’estetica della fotografia è domi-
nata da tonalità pure che la rendono immediatamente accattivante, ma che stemperano anche inevitabilmente il tasso
drammatico della storia e soprattutto la
dicotomia fra vecchio e nuovo mondo.
Anche perché lo sguardo con cui Crowley
inquadra New York è più vicino a Leone
che a Vidor, si tratta cioè di una metropoli più immaginata che reale.
Finché il film si mantiene su un piano
intimista, tutto ciò appare come un limite.
Nella mezz’ora finale, però, lo sguardo si
allarga, e soprattutto si innalza. Da contingente e piuttosto minuta, la storia di
Eilis si allarga dunque fino a comprendere
in sé l’esperienza di tutta una generazione
di donne. Quella che ha rischiato di trovarsi in una disorientante terra di nessuno
fra il giogo ancora ben
serrato del mondo maschile — per certi versi
paradossalmente rassicurante — e la vera,
completa emancipazione. In tal senso le scelte che la giovane farà,
la ergeranno a simbolo
di donna nuova, capace di traghettare idealmente le proprie coetanee verso una maggiore consapevolezza di sé
e soprattutto dei propri diritti.
Il discorso femminista si incrocia dunque
con un elogio dell’America fonte di opportunità,
peccando
forse in questo un po’
di ingenuità, data l’immagine in fin dei conti
opprimente che la Storia con la s maiuscola ha restituito della
donna americana degli anni Cinquanta,
almeno vista con occhi contemporanei.
Ma ciò che interessa al racconto è soprattutto la New York che abbraccia culture
diverse e soprattutto azzera le classi sociali. Dove una donna può sentirsi libera di
non cercare “un buon partito”, come a Eilis viene caldamente consigliato dalla madre, ma semplicemente un uomo da amare. Un elogio, dunque, per una volta davvero condivisibile e motivato. Così come
più unica che rara è la descrizione senza
stereotipi — fatta eccezione per gli obbligatori spaghetti — della famiglia di immigrati italiani cui appartiene Antonio,
giovane senza ombre e dalla nobiltà
d’animo.
Può dispiacere che l’emancipazione della protagonista passi anche attraverso un
matrimonio in municipio, ma si tratta
semplicemente di un gesto di discontinuità nei confronti dell’Irlanda e del proprio
passato, come conferma la figura non secondaria di un prete (Jim Broadbent), delineata con tratti molto positivi.
Col senno di poi, dunque, lo stile controllatissimo di Crowley, anziché apparire
inamidato, risulta carico di una tensione
impercettibile, quasi alla Douglas Sirk.
Una scena del film
Semmai lascia perplessi la trasformazione
camaleontica del suo cinema, che a inizio
carriera era nevrotico e aggressivo, quasi
sulla scia del Dogma scandinavo. Ronan,
che ricordiamo bambina in Espiazione
(2007), per il quale fra l’altro aveva già
ricevuto una nomination all’Oscar, non
deve fare in fondo niente di trascendentale, ma offre comunque una prova intensa
capace di esplicitare sul piano squisitamente emotivo ciò che una sceneggiatura
piuttosto snella tralascia volutamente di
dire.
Oltre il Sacro
Ogni anno nel duomo di San
Giacomo di Innsbruck durante la
quaresima la rassegna Kunstraum
Kirche promuove il dialogo tra
tradizione e modernità negli spazi
sacri, attraverso l’installazione di
opere d’arte contemporanea. Fin dal
diciannovesimo secolo la chiesa era
tra i principali committenti di opere
d’arte, oltre a essere il luogo dove le
stesse venivano esposte. Continuando
questa tradizione Kunstraum Kirche
vuole rinnovare, in chiave moderna,
la collaborazione tra chiesa e artisti
che ai giorni nostri si stava perdendo.
Il comitato scientifico, da venticinque
anni, seleziona un artista per
produrre un’opera da collocare
all’interno del duomo durante il
periodo che va dal mercoledì delle
Ceneri fino a Pasqua; l’edizione 2016
vede come protagonista l’artista
italiana Annamaria Gelmi con
l’installazione Oltre il Sacro, dedicata
al simbolo della croce, portatore di
molti significati, non solo religiosi.
Annamaria Gelmi cita spesso questo
simbolo nelle sue opere,
interpretandolo come una forma
geometrica che richiama alla mente
precise strutture architettoniche e un
segno primordiale di ordine cosmico.
A questo allude Oltre il Sacro. La
grande croce alla base dell’altare,
centrale rispetto al transetto, come
uno specchio d’acqua, raddoppia la
grandezza della cupola grazie a un
effetto ottico, ma emana altresì
un’intensa pulsione al trascendente.
Così come la seconda croce, uguale e
parallela alla prima, con il suo solo
perimetro luminoso di colore rosso
aggiunge, ai puri riferimenti
architettonici, elementi emozionali
che intrecciano un rapporto più
personale con chi guarda, quasi a
esprimere la tensione verso il mistero
che è in ognuno di noi.
venerdì 4 marzo 2016
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 5
Incontro con un gruppo del cristianesimo sociale francese
Il Papa e i pesci rosa
di JEAN-PIERRE DENIS
ove va la Francia? Dove va
l’Europa? Come rispondere
alla crisi spirituale che il nostro Paese e il nostro continente attraversano? Come
formulare una critica alla modernità che
non sia reazionaria? Non ci si stupirà
dunque se lo scambio verterà ampiamente
sulla politica, nel senso lato del termine,
includendo la sua dimensione spirituale.
Ma al di là dei discorsi tenuti e dei temi
affrontati, è lo stile a colpire. La semplicità evangelica, il contatto immediato, l’attenzione intensa. La disponibilità. L’uomo
d’intuito non viene schiacciato dal peso
D
Conversazione
sulla politica
Nel pomeriggio del 1° marzo il Papa ha
incontrato a Santa Marta
una trentina di aderenti al movimento
del cristianesimo sociale francese
dei Poissons Roses e al connesso
laboratorio di idee Esprit Civique.
Sui contenuti dell’incontro pomeridiano,
protrattosi per circa un’ora e mezza,
il direttore del settimanale «La Vie»
ha scritto sul sito internet della rivista un
accurato resoconto dal titolo
“Conversazione politica con Papa
Francesco”, che pubblichiamo quasi per
intero in traduzione italiana.
dell’istituzione, cosa che sconvolge tanto i
puristi attaccati a un papato gerarchico o
dogmatico. All’inizio e alla fine del colloquio, non c’è una mano che non si sia
stretta con attenzione, un volto che non si
sia stato guardato. Davvero. Senza stancarsi. Il Papa stesso a un certo punto si alzerà per andare a cercare dell’acqua. Non
per lui, ma per Carmen, la giovane traduttrice che ha fatto sedere al suo fianco, di
fatto una militante di Esprit Civique. Ovvero come distinguere un maestro spirituale da una celebrità.
«Emmanuel Lévinas fonda la sua filosofia sull’incontro con l’altro» riassume
Francesco. «L’altro ha un volto. Occorre
uscire da se stessi per contemplarlo».
L’avventura delle caravelle avrebbe dunque qualcosa di metafisico? «Da Magellano in poi, si è imparato a guardare il
mondo a partire dal sud. Ecco perché il
mondo si vede meglio dalla periferia che
dal centro e io capisco meglio la mia fede
a partire dalla periferia: ma la periferia
può essere umana, legata alla povertà, alla
salute, o a un sentimento di periferia esistenziale». Si capisce così l’importanza
che questa tematica ha assunto nella predicazione di Francesco.
Da qui una riflessione su ciò che gli
ispanici e gli anglofoni chiamano “globalizzazione” e noi “mondializzazione”. «C’è
qualcosa che mi preoccupa», dice il Papa.
«Certo, la globalizzazione ci unisce e ha
dunque aspetti positivi. Ma credo che ci
siano una globalizzazione buona e una
meno buona. La meno buona può essere
rappresentata da una sfera: ogni persona
si trova a eguale distanza dal centro. Questo primo schema distacca l’uomo da se
stesso, lo uniformizza e alla fine gli impedisce di esprimersi liberamente. La globalizzazione migliore sarebbe piuttosto un
poliedro. Tutti sono uniti, ma ogni popo-
lo, ogni nazione, conserva la sua identità,
la sua cultura, la sua ricchezza. La posta
in gioco per me è questa globalizzazione
buona, che ci permette di conservare ciò
che ci definisce. Questa seconda visione
della globalizzazione permette di unire gli
uomini pur conservando la loro singolarità, il che favorisce il dialogo, la comprensione reciproca. Affinché ci sia dialogo, c’è
una condizione sine qua non: partire dalla
propria identità. Se non sono chiaro con
me stesso, se non conosco la mia identità
religiosa, culturale, filosofica, non posso
rivolgermi all’altro. Non c’è dialogo senza
appartenenza».
«L’unico continente che può apportare
una certa unità al mondo è l’Europa», aggiunge il Papa. «La Cina ha forse una
cultura più antica, più profonda. Ma solo
l’Europa ha una vocazione di universalità
e di servizio». Francesco ritorna allora sul
tema del suo discorso di Strasburgo, del
25 novembre 2014, quando ha paragonato
l’Europa a una nonna un po’ stanca. «Ma
ecco la madre è diventata nonna» sorridecon un filo di ironia. Penso ai racconti biblici, alla vecchia Sara che ride quando
viene a sapere che rimarrà incinta. La domanda può sembrare strana, ma non riesco a non farla. È troppo tardi? La nonna
può ridiventare una giovane madre? «Un
capo di Stato mi ha già posto questa domanda» mi risponde il Papa. «Sì, può.
Ma ad alcune condizioni. La Spagna e
l’Italia hanno un tasso di natalità vicino
allo zero. La Francia se la cava meglio,
perché ha costruito una politica familiare
che favorisce la natalità. Essere madre significa avere dei figli». Ma il rinnovamento non può essere solo quantitativo. «Se
l’Europa vuole ringiovanire, deve ritrovare
le proprie radici culturali. Tra tutti i Paesi
occidentali, l’Europa ha le radici più forti
e più profonde. Attraverso la colonizzazione, queste radici hanno raggiunto persino
il nuovo mondo. Ma dimenticando la propria
storia, l’Europa s’indebolisce. È allora che rischia
di divenire un luogo vuoto».
L’Europa è diventato
un luogo vuoto? La frase
è forte. Centra l’obiettivo
e fa male. Ed è anche angosciante. Perché nella
storia delle civiltà il vuoto chiama sempre il pieno. E allora il Papa fa
un’analisi clinica. «Possiamo parlare oggi di
un’invasione araba. È un
fatto sociale» afferma
con distacco, come se osservasse che il tempo è
freddo. Ma aggiunge subito — e i teorici della
“grande sostituzione”, cara all’estrema destra, resterebbero allora delusi —
«quante invasioni ha conosciuto l’Europa nel
corso della sua storia!
Ma ha sempre saputo superare se stessa, andare
avanti per ritrovarsi poi
come accresciuta dallo
scambio tra le culture».
Quale uomo di Stato
porterà un simile rinnovamento? «A volte mi domando dove troverete uno Schumann o un Adenauer,
questi grandi fondatori dell’Unione europea» sospira il Papa. E continua a parlare
della crisi in Europa, minata dagli egoismi
nazionali, dai piccoli mercanteggiamenti e
dai giochi poco lungimiranti. «Si confonde la politica con soluzioni di circostanza.
Certo, occorre sedersi al tavolo dei negoziati, ma solo se si è consapevoli che biso-
gna perdere qualcosa perché tutti ci guadagnino».
«La vostra laicità è incompleta... Occorre una laicità sana». Restaurare la grande
Europa, reinventare la Francia. «Siamo venuti per parlarvi del nostro Paese» afferma
Philippe de Roux [fondatore dei Poissons
roses]. «La Francia ha bisogno di essere
scossa... Quale messaggio desidera trasmetterle?». Il Papa sorride, con tono
scherzoso: «Nel mondo ispanico si dice
che la Francia è la primogenita della Chiesa, ma non per forza la figlia più fedele».
Ma, pur affermando di doverle molto sul
piano spirituale, il Papa ammette di conoscere male la realtà del nostro Paese. «Sono stato solo tre volte in Francia, a Parigi,
per riunioni con i gesuiti, quando ero provinciale. Non conosco dunque il vostro
Paese. Direi che esercita un certo fascino,
ma non so esattamente in che senso... In
ogni caso, la Francia ha una fortissima vocazione umanistica. È la Francia di Emmanuel Mounier, di Emmanuel Lévinas o
di Paul Ricoeur». Un cattolico, un ebreo,
un protestante!
«Da un punto di vista cristiano, la
Francia ha dato i natali a numerosi santi,
uomini e donne di finissima spiritualità.
Soprattutto tra i gesuiti, dove accanto alla
scuola spagnola, si è sviluppata una scuola
francese, che io ho sempre preferito. La
corrente francese comincia molto presto,
fin dalle origini, con Pierre Favre. Ho seguito questa corrente, quella di padre
Louis Lallemant. La mia spiritualità è
francese. Il mio sangue è piemontese, è
forse questa la ragione di una certa vicinanza. Nella mia riflessione teologica mi
sono sempre nutrito di Henri de Lubac e
di Michel de Certeau. Per me, de Certeau
resta a tutt’oggi il più grande teologo».
E su un piano politico? «La Francia è
riuscita a instaurare nella democrazia il
concetto di laicità. È una cosa sana. Oggi
uno Stato deve essere laico. La vostra laicità è incompleta. La Francia deve diventare un Paese più laico. Occorre una laicità sana [saine]». Una laicità santa [sainte],
riprende garbatamente la nostra interprete,
Carmen Bouley de Santiago. In poche parole, si capisce che la “sana laicità” di cui
parla il Papa si oppone comunque un po’
a quella santa laicità che è divenuta la nostra religione civile. È una laicità inclusiva,
che lascia spazio al senso, allo spirituale,
all’espressione delle convinzioni. «Una laicità sana include un’apertura a tutte le
forme di trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche. D’altro canto anche un laico può avere un’interiorità» aggiunge il Papa, accompagnando la parola con un gesto della mano che
parte dal cuore. «Perché la ricerca della
Giotto, «Francesco che dona il mantello a un povero»
(1295-1299, Assisi, basilica superiore)
trascendenza non è solo un fatto [hecho],
ma un diritto [derecho]». Gioco di parole
molto spagnolo tra hecho e derecho che si
applica perfettamente a una laicità troppo
francese, che prende in considerazione il
“fatto religioso”, pur volendo negare alla
religione il diritto di cittadinanza rinchiudendola nella sfera privata. «Una critica
che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo legata alla filosofia
dell’illuminismo, per il quale le religioni
erano una sottocultura. La Francia non è
ancora riuscita a superare questo retaggio». Discorsi che non mancheranno di
preoccupare coloro per i quali l’illuminismo deve restare un indispensabile punto
di riferimento della Repubblica, posta al
di sopra di ogni sospetto, persino della filosofia del sospetto. Ma che fanno anche
reagire Jérôme Vignon [presidente delle
Settimane sociali di Francia], il quale considera il quadro della laicità alla francese
un po’ troppo nero e non vuole che a Roma si creda che la Chiesa è schiacciata o si
schiaccia. «La sua analisi è un po’ dura,
Santo Padre. In Francia si sta svolgendo
un vero dibattito sulla laicità e il clero difende la visione della laicità da lei evocata». «Tanto meglio!», esclama Francesco,
con aria sinceramente allegra.
Il fondo della critica rimane ed è incisi-
smarriti nell’ideologia del denaro. Ecco il
nemico: la dipendenza dal vitello d’oro.
Quando leggo che il venti per cento dei
più ricchi possiede l’ottanta per cento delle ricchezze, non è normale. Il culto del
denaro è sempre esistito, ma oggi questa
idolatria è diventata il centro del sistema
mondiale». Davanti a questo areopago di
cristiani sociali, il Papa si lancia quindi in
un inaspettato elogio di Christine Lagarde, a capo del Fondo monetario internazionale (Fmi). «Una donna intelligente.
Sostiene che il denaro deve essere al servizio dell’umanità e non il contrario». Per il
Papa, che dice di non avere la fobia del
denaro, la posta in gioco consiste nel
«collegare la finanza e il denaro a una spiritualità del bene comune».
Per il Papa il rinnovamento del cristianesimo passa, come si sa, per la misericordia. «In latino è il cuore che si china da-
vo. Una laicità troppo rigida crea un vuoto che altre forze colmano. «Quando un
Paese si chiude a una concezione sana della politica finisce per essere prigioniero,
ostaggio di colonizzazioni ideologiche. Le
ideologie sono il veleno della politica. Si
ha il diritto di essere di destra o di sinistra. Ma l’ideologia toglie la libertà. Già
Platone solleva la questione in Gorgia
quando parla dei sofisti, gli ideologi
dell’epoca. Diceva che erano per la politica come i cosmetici per la salute. Gli ideologi mi fanno paura». In un contesto caratterizzato dall’aumento dei populismi,
sul quale lo interroga in particolare il deputato Dominique Potier [presidente e cofondatore del laboratorio
di idee Esprit Civique], il
Papa fa riferimento a
un’altra pratica della politica, fondata sulla ricerca del consenso, il senso
delle responsabilità, il superamento dei divari.
«Se si vuole evitare che
tutti vadano verso gli
estremi, occorre nutrire
l’amicizia e la ricerca del
bene comune, al di là
delle appartenenze politiche».
«Il mio avversario è la
finanza» diceva Hollande. Ma che i Poissons roses mi perdonino, questa
volta è per davvero.
«L’ideologia e l’idolatria
del denaro» sono i due
grandi mali siamesi che il
Papa denuncia, collegando in modo molto originale i due concetti, per
non dire due strutture di
peccato, in apparenza
molto distanti. «Gli avversari di oggi sono il
narcisismo consumistico
e tutte le parole che finiscono in “ismo”» insiste.
«Ci siamo rinchiusi in
una dipendenza più forte
di quella provocata dalle droghe, accantonando l’uomo e la donna per sostituirli
con l’idolo del denaro. È la cultura del rifiuto». Si potrebbe tradurre anche con
esclusione. El descarte dice in spagnolo
questo Papa, che spesso parla di “cultura
dello scarto”, a proposito del modo in cui
vengono trattati i più deboli, le persone
anziane. «Un ambasciatore venuto da un
Paese non cristiano mi ha detto: ci siamo
vanti alla miseria. Ma se si segue l’etimologia ebraica, non è più solo il cuore a essere toccato, ma anche le viscere, il ventre
materno, quella capacità di sentire in modo materno, dall’utero. In entrambi i casi
si tratta di uscire da se stessi». Decentrarsi, andare verso, rischiare il dialogo. Il tema ricorrente della conversazione è quello
del pontificato. La misericordia, d’altronde, per il Papa venuto dal Sud, è l’altro
nome dell’umanesimo. «Mettiamo da parte la dimensione religiosa» osa dire Francesco. «La misericordia è la capacità di
commuoverci, di provare empatia. Consiste anche, dinanzi a tutte le catastrofi, nel
sentirsene responsabili. Nel dirsi che bisogna agire. Non riguarda quindi soltanto i
cristiani, ma tutti gli esseri umani. È un
appello all’umanità».
La delegazione comprende una intellettuale musulmana, Karima Berger. La nuova presidente dell’associazione degli scrittori credenti di lingua francese, che lei
stessa ha ribattezzato Écriture et Spiritualités, è molto soddisfatta. L’impatto del tema della misericordia, di fatto, va al di là
del mondo cristiano. Nell’islam Dio viene
definito misericordioso, osserva. Il Papa
coglie la palla al balzo. È rimasto visibilmente colpito dal suo recente viaggio nella Repubblica Centrafricana. «Lavoriamo
molto al dialogo tra cristiani e musulmani.
In Centrafrica c’era armonia. D’altronde è
un gruppo che del resto non è musulmano ma che ha cominciato la guerra. La
presidente di transizione, cattolica praticante, era amata e rispettata dai musulmani. Sono andato nella moschea. Ho chiesto all’imam se potevo pregare. Mi sono
tolto le scarpe e sono andato a pregare.
Ogni religione ha i suoi estremisti. Le degenerazioni ideologiche della religione sono all’origine della guerra». Francesco ci
annuncia quindi che sta preparando un
importante incontro con la più alta istituzione del mondo sunnita, l’università di
Al Azhar, al Cairo, che ha avuto relazioni
tese con il Vaticano in particolare ai tempi
di Benedetto XVI. «Bisogna dialogare, dialogare ancora» conclude, riprendendo
l’imperativo categorico che aveva formulato a proposito della globalizzazione e che
è forse il segreto della sua pedagogia, della sua singolarità e della sua popolarità. Il
tempo di consegnargli una copia di «La
Vie» e purtroppo il nostro dialogo si conclude. Ma tutto è chiaro. Il Papa informale sa bene dove vuole portare la Chiesa:
fuori dalle mura, al rischio dell’incontro.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 4 marzo 2016
Affresco dedicato a Maryam
all’interno della chiesa ortodossa etiopica
di Ura Kidane Mehret
nella penisola di Zege
Appello dei vescovi
Corruzione e terrorismo
soffocano la Nigeria
di EGIDIO PICUCCI
Tra le Chiese ortodosse in cui il silenzio della Scrittura sulla Vergine
Maria non ha impedito il fiorire di
un culto mariano particolarmente
vivace, e per molti versi più intenso
di quello cattolico, spicca la Chiesa
etiopica, la cui tradizione afferma
l’esistenza di uno speciale rapporto
fra la nazione e la Madonna. Esso
sarebbe nato dal fatto che la sacra
famiglia, in fuga da Erode, lasciò
l’Egitto e si fermò nel Paese africano, che le riservò un’eccezionale accoglienza. Per questo Gesù l’avrebbe donato a sua madre come “decima dell’Universo”, con una specie
di investitura feudale. Alla Madonna “etiope” compete, quindi, non
solo il titolo relativo al “feudo
dell’Etiopia”, come riconosciuto da
tutti, ma anche l’onore di ricordare
quella lontana ospitalità con il Kidane Mehret (Patto di misericordia),
la cui festa si celebra il 10 febbraio.
La tradizione aggiunge che, dopo
la donazione, Gesù avrebbe chiesto
a sua Madre che cosa avrebbe potuto fare ancora per lei, ricevendone
questa risposta: «Vorrei che quanti
invocano il mio nome e saranno
miei devoti, siano salvati dall’inferno». Gesù, a sua volta, avrebbe risposto: «Chiunque mi pregherà in
tuo nome, d’ora in poi non perirà
più, né in questo mondo né in quello futuro, perché io sarò per lui un
benevolo intercessore presso il Padre
mio celeste. Le genti etiopi ti appartengono».
Il Patto di misericordia costituisce
in qualche modo il fondamento di
tutta la devozione mariana, così notevole e profonda in Etiopia e in
Eritrea, dov’è chiamato “velo di misericordia”. È commemorato nelle
feste, cantato negli inni, ricordato
nelle preghiere. I copti, insomma,
onorano Maria con una devozione
veramente filiale e sono convinti
che, grazie a lei, la loro salvezza sia
“necessariamente” assicurata.
Ovviamente non è facile sapere
esattamente fino a che punto sia
stato ratificato in cielo un patto così
singolare, ma è certo che l’Etiopia
può vantarsi di aver sempre goduto
di una protezione sicuramente provvidenziale. Infatti, mentre le grandi
Chiese del continente, così importanti, ricche e splendenti come fari
sulle coste del Mediterraneo quando
ancora l’Etiopia non contava che un
pugno di cristiani, si sono lentamente disgregate, soccombendo sotto i
colpi o delle eresie o dell’islam,
quella etiopica è tuttora viva e operosa. Il patto ha una tale importanza che lo si potrebbe definire il coronamento del Vecchio e del Nuovo
Testamento. Il primo è un patto limitato al popolo eletto, e ha come
simbolo la circoncisione; il secondo
è stipulato tra Dio e il genere umano redento, cioè “ricomprato” a
prezzo di sangue, e ha per simbolo
la croce. Il Patto di misericordia diventa quasi un “terzo testamento”, e
ha come simbolo la compassione
della Madonna per tutti i bisognosi.
La gente lo sa bene, e per questo
affolla le chiese e i monasteri, su altipiani vulcanici di duemila metri,
con cime che superano i quattromila, e dove le pietre sono “vive” perché risuonano dei canti e di preghiere in onore di Mariam, la cui
presenza tra il popolo unifica i tre
gruppi cristiani presenti nel Paese:
gli ortodossi (copti), i cattolici di rito etiopico e quelli di rito romano.
In Etiopia, l’80 per cento delle
chiese sono dedicate a Maria, sotto
diversi titoli, per cui non vi è città o
villaggio che non abbia almeno una
chiesa che la ricordi. L’anno liturgico etiope comprende ben trentatré
feste mariane, suddivise in feste
mensili e annuali. Ogni mese ha tre
giorni dedicati alla Madonna: il primo del mese (con la festa della natività), il 16 (con la festa di Maria
sotto il titolo di Kidane Mehret) e il
21, quando si festeggia il “giorno di
Maryam”, in cui cadono quasi tutte
le altre feste annuali.
La devozione alla Madonna si
esprime anche nell’usanza di “marianizzare” i nomi propri (nessuno
oserebbe essere chiamato col solo
Alle origini del fondamento mariano della Chiesa etiopica
Kidane Mehret
il patto della misericordia
nome di Maria) come: Haile Maryam, Habte Maryam, Ghebre Maryam e Fekre Maryam (che si traducono rispettivamente “forza”, “dono”, “servo” e “amore di Maria”).
La Madonna è invocata e venerata soprattutto come mediatrice e
madre di misericordiosa, tanto che,
se la festa dell’Assunta è la più solenne, quella di Kidane Mehret è la
più affollata. Questa fede sulla misericordia, oltre a essere basata sulla
dottrina ufficiale della Chiesa (l’attuale Giubileo della misericordia ne
è una conferma), è descritta anche
in due racconti apocrifi del Medio
oriente, conosciuti nel Paese fin dal
1400, e chiamati “la preghiera della
Vergine al Golgota” e “la preghiera
della Vergine a Parthos”.
Inoltre, fra le numerosissime preghiere composte dalla pietà etiopica
in onore di Mariam, primeggia il
weddase Mariam (lodi di Maria), re-
citato tutti i giorni, riportato in
molti manoscritti e fatto risalire a
sant’Efrem il siro o all’innografo Simone il vasaio, fervente cristiano e
devotissimo della Madonna, la quale in ringraziamento gli garantì la
gloria eterna. Le lodi assomigliano
vagamente all’Akathistos — uno tra i
più famosi inni che la Chiesa ortodossa dedica alla Theotokos, Madre
di Dio — per i titoli, propri della
poesia orientale, e il cui lirismo talora esagerato potrebbe sminuirne il
valore. Le lodi sono divise in sette
capitoli, uno per ogni giorno della
settimana. In uno di essi si legge:
«Salve agli occhi tuoi, simili a due
candele che il divino artefice pose
sulla torre alta del tuo corpo. Tu, o
Maria, sei la sorgente della compassione e della clemenza: salvami, per
la tua alleanza, dalla perdizione,
poiché non c’è nessuno, come te,
che possa salvarmi».
ABUJA, 3. Porre fine alle continue e sanguinose violenze di
Boko Haram, lotta alla corruzione e sviluppo dell’economia per
migliorare le condizioni di vita
generali. Sono queste le principali raccomandazioni rivolte al
Governo dai vescovi nigeriani al
termine della loro prima assemblea plenaria del 2016 svoltasi
nei giorni scorsi sul tema «La
Chiesa cattolica: promuovere la
misericordia, la giustizia sociale
e la pace».
Quanto alla piaga del terrorismo che continua ad affondare i
colpi nel Nord del Paese, i presuli esprimono gratitudine alle
forze armate nazionali per il loro servizio contro la minaccia
costituita da Boko Haram, ma
notano che questa setta fondamentalista, dopo aver perso il
controllo di ampie porzioni di
territorio, continua a condurre
attacchi contro «obiettivi indifesi come i campi per sfollati, i
mercati e i parchi».
Del resto, proprio un recente
rapporto diffuso dall’organizzazione
internazionale
Open
Doors ha ben delineato le dimensioni di una persecuzione
religiosa che ha fin qui fatto
dalle 9.000 alle 11.500 vittime
(secondo una stima prudente) e
che, negli ultimi 15 anni, ha costretto 1,3 milioni di cristiani ad
abbandonare le proprie terre. A
ciò deve aggiungersi che 13.000
chiese sono state distrutte o costrette a chiudere i battenti; migliaia di attività economiche,
proprietà e case di cristiani sono
state ridotte in cenere. A causa
delle violenze, afferma il rapporto, in alcune aree della Nigeria
del Nord, «la presenza cristiana
è stata virtualmente cancellata o
consistentemente
diminuita,
mentre in altre aree il numero di
fedeli nelle chiese è cresciuto a
causa del flusso di cristiani in
fuga dalle violenze». In conseguenza di ciò, «la coesione sociale tra musulmani e cristiani è
stata messa in pericolo», mentre
«la reciproca fiducia è sostanzialmente scomparsa».
Nel comunicato diffuso al termine dei lavori, i presuli inco-
Conclusa l’assemblea plenaria di Recowa-Cerao
Fede e speranza contro i mali dell’Africa
ACCRA, 3. La crescente insicurezza, legata in particolare agli attacchi terroristici che hanno colpito
Nigeria, Mali, Burkina Faso, Camerun e Ciad; le persecuzioni contro i cristiani e «il non rispetto
della libertà religiosa e l’imposizione da parte dello Stato di una fede
a tutti i cittadini»; i fenomeni migratori che portano un numero importante di giovani africani verso
orizzonti incerti, spesso a rischio
della loro vita; «il malgoverno, la
corruzione, le ingiustizie sociali e i
loro corollari». È lungo l’elenco
delle preoccupazioni espresse nel
comunicato finale dell’assemblea
plenaria delle Regional episcopal
conferences of West Africa (Recowa) e della Conférence episcopale
régionale de l’Afrique de l’O uest
francophone (Cerao), organismi
che riuniscono gli episcopati
dell’Africa occidentale. L’incontro
si è tenuto ad Accra, in Ghana,
dal 22 al 29 febbraio.
Tra le sfide da affrontare, sul
piano pastorale, i vescovi — riferisce l’agenzia Fides — hanno indicato la famiglia «colpita da sconvolgimenti di ogni natura, in particolare l’unione omosessuale e la
legalizzazione forzata dell’aborto», il dialogo interreligioso, la
formazione dei cristiani, «il sincretismo religioso e la defezione
dei fedeli verso nuovi gruppi e
movimenti religiosi»; lo sfruttamento commerciale della religione, la disoccupazione giovanile e
il depauperamento delle popolazioni. «Di fronte a tali sfide — affermano — esortiamo i cattolici a
perseverare nella fede». I politici
vengono invece esortati a «promuovere il buon governo e l’equità nella gestione del bene comune» e i giovani a «non perdere la
speranza, ma a credere nella possibilità di realizzare la propria vita
e il proprio benessere sul continente africano».
Circa centocinquanta i vescovi
intervenuti ad Accra. L’assemblea
aveva per tema «La nuova evangelizzazione e le sfide alla Chiesa
famiglia di Dio nell’Africa occidentale: riconciliazione, sviluppo,
via della famiglia». Le Recowa
riuniscono gli episcopati di Benin,
Burkina Faso, Costa d’Avorio,
Guinea, Guinea-Bissau, Mali,
Mauritania, Niger, Senegal e Togo. Della Cerao fanno parte
Gambia, Ghana, Liberia, Nigeria
e Sierra Leone. Presidente di Recowa-Cerao è il cardinale Théodore Adrien Sarr, arcivescovo
emerito di Dakar.
raggiano dunque «il governo e
le agenzie di sicurezza a fare il
possibile per sconfiggere l’insorgenza e prevenire la perdita di
ulteriori vite umane». Di qui
l’incessante preghiera «perché
Dio accordi la sua misericordia
a coloro che sono morti in questa guerra», scrivono i vescovi,
che chiedono «strategie alternative per far cessare il terrorismo»
Parlando a margine della plenaria il cardinale arcivescovo di
Abuja,
John
Olorunfemi
Onaiyekan, ha esortato tutti i
nigeriani a sostenere la nazione:
«Dobbiamo mobilitarci tutti,
senza sottovalutare l’importanza
delle “armi spirituali” perché le
sfide del Paese hanno profonde
radici morali». Di qui, l’appello
del porporato a ogni cittadino
perché «l’incapacità di affronta-
e indennizzi a favore delle vittime di Boko Haram.
Per quanto riguarda la lotta
alla corruzione si ricordano le
parole di Papa Francesco, che
ha più volte severamente condannato tale comportamento definendolo come «un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta
la vita personale e sociale». Infatti, «la corruzione impedisce
di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più
poveri». Accanto alla lotta alla
corruzione si chiede poi di affrontare la povertà e le ineguaglianze sociali, «diversificando
l’economia», attualmente dipendente soprattutto dalle esportazioni del petrolio, e «investendo
nelle infrastrutture di base per
promuovere un sano tessuto imprenditoriale costituito da imprese medio-piccole».
re in modo adeguato l’insurrezione terroristica è strettamente
legata alla massiccia corruzione
criminale» nel Paese. Tuttavia,
ha ammonito, di fronte al ripetersi di episodi di corruzione
non deve prevalere solo la protesta: «Dobbiamo cercare un modo positivo ed efficace di andare
avanti, guardando ai nostri valori comuni spirituali e religiosi».
Infatti, ha ribadito il porporato,
«da molti anni la Chiesa sta
conducendo una guerra contro
la corruzione con le armi appropriate
della
preghiera
e
dell’esortazione», perché per rifondare adeguatamente il Paese
«bisogna andare al di là dei processi legali e puntare a una seria
rinascita morale, nazionale e spirituale». La strategia da mettere
in atto, allora, ha suggerito il
porporato, può essere quella
«delle tre “r”, ovvero pentimento (in inglese repentance), riparazione e riconciliazione».
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 4 marzo 2016
pagina 7
di LUIGI CIOTTI
Chi ha gioito per le parole di Papa
Francesco sulla mafia e sulla corruzione — come prima per quelle
di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI — non può che trovare interessante e utile questo libro di Rosario Giuè. Giuè prende spunto da
testi e documenti ufficiali per mettere in risalto come negli ultimi
trent’anni — cioè da quando il tema è stato oggetto di considerazione — la posizione della Chiesa nei
riguardi delle mafie sia stata, salvo
eccezioni, in prevalenza prudente
o “distratta”, caratterizzata da sottovalutazioni o da letture troppo
generiche.
In queste pagine si entra nei
dettagli, si citano date, nomi e circostanze, ma l’intento principale è
un altro: si avverte il bisogno di
capire, di cercare a fondo le ragioni di un atteggiamento nel complesso “tiepido”, dunque stridente
non solo con le parole di tre Papi,
ma con gli esempi di coraggio e
coerenza che pure non sono mancati. Per Giuè l’origine di questo
atteggiamento è da ricercare, al di
là dei singoli casi, in un ritardo
culturale. La Chiesa che non co-
La Chiesa in Italia di fronte al potere mafioso
Non si può
restare in silenzio
gunto ma Palermo. Povera Palermo!» — ma non il discorso pronunciato davanti ai palermitani il 22
novembre 1981, domenica di Cristo
Re, quando senza mezzi termini
denunciò la mafia come un «macchinoso intreccio fra delinquenza
comune che agisce allo scoperto e
occulti
manovratori
che operano sotto
abili coperture e protezioni».
Ebbene
Pappalardo, invitato
nell’aprile del 1985 al
convegno della Conferenza episcopale itaNella capacità di denunciare l’assoluta inconciliabilità
liana (Cei) a Loreto,
del Vangelo con le mafie è in gioco la stessa credibilità
parlerà di un «fenodella Chiesa in Italia. È questo il motivo ispiratore
meno che coinvolge
del libro Vescovi e potere mafioso (Assisi, Cittadella
le Chiese ben oltre i
editrice, 2015, pagine 184, euro 14,90)
funerali di cui la stoscritto da Rosario Giuè, prete palermitano già parroco
ria recente ci ha ora Brancaccio, uno dei quartieri più difficili del
mai assuefatti» e invicapoluogo siciliano. Pubblichiamo la prefazione a firma
terà a un esame di
del sacerdote fondatore di Libera, associazione
coscienza: «Si tratta
impegnata nel contrasto della criminalità organizzata.
dunque di confessare
la colpa per quanto
di complicità, almeno
in negativo, o di amglie la rilevanza sociale della ma- biguità, in qualunque senso le cofia, parlandone al limite soltanto munità ecclesiali abbiano eventualcome un fatto criminale, è in parte mente commessa o omessa».
“figlia” di quella concezione della
È già ben presente, come è chiafede che si è opposta — o ha accol- ro, la consapevolezza che in certe
to solo in parte — il grande rinno- sue espressioni la Chiesa non solo
vamento del concilio Vaticano II, è stata tiepida sulla questione mala speranza di una Chiesa del fiosa, ma che tolleranza e sommamondo e nel mondo, attenta a rietà di giudizio sono sfociate a
quelli che Papa Giovanni definì i volte in comportamenti ambigui se
“segni dei tempi”, presente nella non apertamente complici. Ha giostoria non tanto per affermare o cato qui un ruolo determinante il
difendere la dottrina, ma per farne terribile equivoco sulla “religiosità”
strumento di Vangelo, cioè di libe- dei mafiosi, religiosità ostentata
razione dell’uomo anche su questa quanto strumentale che ha permesterra.
so loro di accreditarsi come cristiaSulla scorta di una puntuale ni devoti e di ottenere indulgenze
analisi dei testi, Giuè mette in luce non dovute, quelle che indussero
come il tema e la stessa parola ma- una figura autorevole come padre
fia abbiano faticato a emergere e Bartolomeo Sorge a queste parole:
acquistare la priorità dovuta, nono- «Non si potrà mai capire come mai
stante gli omicidi e le stragi che i promulgatori del Vangelo delle
hanno scosso il Paese negli anni beatitudini non si siano accorti che
ottanta e novanta, e nonostante le la cultura mafiosa ne era la negadenunce di figure autorevoli della zione. Il silenzio, se ha spiegazioni,
Chiesa stessa. Emblematico a ri- non ha giustificazioni».
guardo il caso del cardinale di PaGiuè stesso non manca di sollelermo, Salvatore Pappalardo, del vare il problema con parole nette e
quale siamo soliti ricordare l’omelia amare — «Il ragionamento prevaai funerali del prefetto Carlo Al- lente era questo: se la mafia non è
berto Dalla Chiesa e della moglie contro la Chiesa perché contrastarEmanuela Setti Carraro — «Mentre la? Se anzi quelli che sono indicati
a Roma si pensa sul da fare, la cit- come mafiosi sono uomini “religiotà di Sagunto viene espugnata dai si” e se sul piano politico sostengonemici! E questa volta non è Sa- no le posizioni dell’autorità eccle-
Inconciliabile con il Vangelo
siastica, perché prenderne le distanze o denunciarne le azioni?».
Ma la sua attenzione, come detto,
è rivolta soprattutto al modo in cui
i documenti recepiscono, respingono o accolgono questa presa di coscienza. Ecco allora passaggi importanti come quello di «Chiesa
italiana e mezzogiorno», documento Cei del 1989, dove si denuncia
la «mafiosità di comportamento»,
si chiede la «trasparenza etica di
chi governa e il comportamento
onesto di ogni cittadino», ma anche s’invita a superare l’omertà,
«che non è affatto attitudine cristiana». O quello di «Educare alla
legalità» (1991) dove si denunciano
sul tema mafie sia «risposte istituzionali talvolta deboli e meramente
declamatorie» sia l’assenza di una
più vasta e necessaria «mobilitazione delle coscienze».
Segni indubbiamente positivi,
ma che non sempre daranno seguito a fatti conseguenti o eviteranno
inspiegabili trascuratezze — come
quella di non citare, dopo Capaci
e via d’Amelio, i nomi delle vittime — o analisi non all’altezza del
tema e della posta in gioco — vedi
il parlare, sempre nel 1992, di «impudenti imprese della criminalità
organizzata» quando ormai si era
fatta strada la consapevolezza, anche dentro la Chiesa, che “imprese” di tal fatta non potevano essere
realizzate senza la copertura, il
consenso o addirittura l’appoggio
di poteri legali corrotti.
È proprio sulla questione del
potere che, senza anticipare altro
di queste pagine appassionate e
documentate, vorrei soffermarmi in
conclusione. Nella seconda parte
del saggio l’autore osserva che l’at-
tenzione altalenante sulle mafie è
stata inversamente proporzionale a
quella dedicata alla dottrina. Evasiva o discontinua sul tema mafie,
la Chiesa non ha mancato di fare
sentire la sua voce, e di dettare
precisi orientamenti, in vista di
certe tornate elettorali o quando si
è trattato di votare leggi su temi
ritenuti eticamente “sensibili” (dal
referendum sul divorzio ai recenti
dibattiti sulla “fecondazione assistita” o sul “trattamento di fine vita”), arrivando a sostenere, pur di
far prevalere le sue posizioni, forze
politiche non propriamente specchiate, macchiate al loro interno
da comportamenti contrari alla
legge e all’etica pubblica.
Non so se tra i due fenomeni ci
sia quest’effettiva, stringente relazione. So solo che la questione
della mafie chiede ormai di essere
considerata — e questo libro non
cessa di sottolinearlo — come una
questione eticamente, socialmente
e politicamente prioritaria, perché
concerne la vita e la dignità delle
persone e in senso lato il destino
del bene comune, che non è meno
importante di quello che, per rispetto alla dottrina o mai scontata
scelta di coscienza, riteniamo essere “bene”.
Come anche credo che la fede,
se ce ne auguriamo la diffusione,
non possa più essere confinata alla
sola sfera spirituale e vissuta come
un salvacondotto dalle responsabilità che ci competono come cittadini artefici del bene comune. Il
che non significa trascurare il Vangelo, ma al contrario renderlo vivo
e concreto nella vita di tutti, nello
sforzo quotidiano di saldare Cielo
e terra.
Solo così può diventare fruttuosa l’eredità morale di un don Pu-
Appello dell’arcivescovo di Reggio Calabria - Bova
Bisogna reagire
REGGIO CALABRIA, 3. «C’è bisogno di un sussulto delle coscienze
per non abituarci al peggio», perché «è in gioco il futuro della nostra città e delle nostre famiglie».
È l’accorato appello dell’arcivescovo di Reggio Calabria - Bova,
Giuseppe Fiorini Morosini, contenuto in una lettera indirizzata ai
fedeli dopo la serie di intimidazioni della criminalità organizzata
verificatesi in città.
L’ultimo episodio in ordine di
tempo è stato l’incendio di un
magazzino di proprietà di un imprenditore e testimone di giustizia, Tiberio Bentivoglio, da anni
sotto scorta per il suo impegno
contro il racket. Il presule ha rivolto, in particolare, un invito a
tutti i parroci perché si discuta di
quanto sta accadendo. «La voce
del vescovo — afferma monsignor
Fiorini Morosini — è eco dei sentimenti di tutti; è per questo che,
con dolore, ma senza alcuna rassegnazione, mi chiedo: Non è
possibile fermare questo regresso
alla barbarie, che sembra inarre-
glisi, di un don Diana, di un don
Cesare Boschin, come di altri uomini e donne di Chiesa che hanno
vissuto e pagato con la vita la fedeltà al Vangelo e la sua incompatibilità col codice mafioso. E solo
così, mi arrischio ad aggiungere, la
Chiesa potrà rinnovarsi nel segno
profeticamente colto dal concilio
Vaticano II: spogliandosi e purificandosi dal potere, diventando
una Chiesa per cui è più importante ascoltare che rispondere, accogliere che selezionare. La Chiesa
povera, aperta e ospitale che ci
chiede di costruire Papa Francesco: «Non una dogana, ma la casa
paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».
La morte del nunzio
Janusz Bolonek
Monsignor Janusz Bolonek, arcivescovo titolare di Madauro,
nunzio apostolico, è morto il 2
marzo nella sua residenza in
Polonia.
Il compianto presule era nato
a Huta Dłutowska, arcidiocesi
di Łódź, il 6 dicembre 1938, ed
era stato ordinato sacerdote il 17
dicembre 1961. Incardinato a
Łódź, era laureato in teologia e
diritto canonico. Entrato nel
servizio diplomatico della Santa
Sede nel 1971, aveva prestato
successivamente la propria opera nelle rappresentanze pontificie in Nicaragua, negli Stati
Uniti d’America, in Egitto e
presso il Consiglio per gli Affari
pubblici della Chiesa. Il 25 settembre 1989 era stato eletto alla
sede titolare di Madauro, con
dignità di arcivescovo, e nel
contempo nominato nunzio
apostolico in Costa d’Avorio.
Aveva ricevuto l’ordinazione
episcopale il successivo 20 ottobre e il 18 novembre dello stesso anno era stato nominato anche pro nunzio apostolico in
Burkina Faso e Niger. Trasferito
alla rappresentanza pontificia in
Romania il 23 gennaio 1995, era
poi divenuto nunzio in Uruguay l’11 novembre 1999. Destinato alla rappresentanza pontificia in Bulgaria il 24 maggio
2008, era stato infine nominato
nunzio apostolico in Macedonia
il 4 maggio 2011. Aveva terminato il servizio il 6 dicembre
2013.
†
La Segreteria di Stato comunica con
grande dolore la morte di
stabile? Dove si pensa di arrivare?
Quale speranza possiamo assicurare ai nostri figli, ai nostri giovani, così da consegnare loro la certezza di un futuro dignitoso e
bello?». Di qui l’appello rivolto
alla città: «Reggio, svegliati! Reg-
gini reagiamo! È la dignità di
ogni uomo a esser messa in
discussione, è il futuro di fare libera impresa, e quindi il futuro di
ogni giovane che è soggiogato.
Non lasciamoci rubare la nostra
libertà».
Dalla Comece un richiamo all’Europa
S. E. Mons.
JANUSZ BOLONEK
Arcivescovo titolare di Madauro
Nunzio Apostolico
Cristo, Buon Pastore, nel quale il
compianto Presule ha creduto fermamente nel corso del suo generoso servizio alla Santa Sede e alla Chiesa,
gli conceda il meritato premio e lo
accolga accanto a sé nella gioia e nella pace.
Strategie per l’accoglienza e la pace
BRUXELLES, 3. «Dinanzi a quanto sta avvenendo alle porte d’Europa serve certamente un atteggiamento di accoglienza per salvare vite
umane in fuga dalla guerra e dalla povertà, e
anche azioni volte all’integrazione. Allo stesso
tempo bisogna prevedere una strategia di vasto raggio che miri allo sviluppo e alla pace
nei Paesi d’origine dei flussi». È quanto ha dichiarato il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, vicepresidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea
(Comece) a margine dei lavori della plenaria
dell’organismo ecclesiale in corso da ieri sera a
Bruxelles sul tema «La vocazione dell’Europa
a promuovere la pace nel mondo».
Un argomento che ha molte implicazioni
anche con l’attualità delle ondate migratorie
che dal Medio oriente si riversano in Europa.
«Come Chiesa — ha sottolineato il presule
all’agenzia Sir — siamo chiamati a portare il
nostro contributo alla pace, sia dentro l’Europa che al di là dei suoi confini, nel mondo».
La fitta agenda della plenaria della Comece
si sta sviluppando attorno ad alcuni temi principali: anzitutto la pace, le relazioni tra gli
Stati europei, le migrazioni. Ma si discute anche di diritti fondamentali e di bioetica.
Monsignor Ambrosio sottolinea la «vocazione» dell’Europa comunitaria alla «costruzione della pace», come indicato dai padri
fondatori. «In questa difficile fase della sua
storia — aggiunge il vescovo — l’Europa richiede una stretta collaborazione fra i Paesi, un reciproco sostegno nel senso della solidarietà»
per affrontare le sfide del presente e assumere
il suo ruolo a livello mondiale.
Lutto nella Chiesa
ucraina
greco-cattolica
Nei giorni scorsi è morto a Lviv
il sacerdote della Chiesa ucraina
greco-cattolica Vasyl Sapelak,
fratello di monsignor Andrés,
vescovo emerito di Santa María
del Patrocinio en Buenos Aires
degli ucraini. Purtroppo, per un
disguido di comunicazione,
nell’edizione del nostro giornale
datata mercoledì 2 marzo, nella
rubrica “Lutti nell’episcopato”,
abbiamo pubblicato erroneamente la notizia della morte del
vescovo Andrés.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 4 marzo 2016
Alla Pontificia accademia per la vita Francesco sottolinea la centralità dell’uomo anche in ambito scientifico
Valore da proteggere
E mette in guardia dalle colonizzazioni ideologiche mascherate da virtù e modernità
«La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo, quali che
siano le sue condizioni di vita, è un valore da proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di
incertezze morali, che non le consentono di difendere la vita in maniera efficace»: lo ha
ricordato Papa Francesco durante l’udienza ai partecipanti all’assemblea generale della
Pontificia accademia per la vita, ricevuti giovedì mattina, 3 marzo, nella Sala Clementina.
Cari fratelli e sorelle,
porgo il mio benvenuto a tutti voi, convenuti per l’Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita. Mi fa piacere
particolarmente incontrare il Cardinale
Sgreccia, sempre in piedi, grazie! Questi
giorni saranno dedicati allo studio delle
virtù nell’etica della vita, un tema di interesse accademico, che rivolge un messaggio importante alla cultura contemporanea: il bene che l’uomo compie non è il
risultato di calcoli o strategie, nemmeno è
il prodotto dell’assetto genetico o dei condizionamenti sociali, ma è il frutto di un
cuore ben disposto, della libera scelta che
anche il cuore. Da qui nascono le opere
buone, ma anche quelle sbagliate, quando
la verità e i suggerimenti dello Spirito sono respinti. Il cuore, insomma, è la sintesi
dell’umanità plasmata dalle mani stesse di
Dio (cfr. Gen 2, 7) e guardata dal suo
Creatore con un compiacimento unico
(cfr. Gen 1, 31). Nel cuore dell’uomo Dio
riversa la sua stessa sapienza.
Nel nostro tempo, alcuni orientamenti
culturali non riconoscono più l’impronta
della sapienza divina nelle realtà create e
neppure nell’uomo. La natura umana rimane così ridotta a sola materia, plasmabile secondo qualsiasi disegno. La nostra
Karl Kunz, «Il buon samaritano» (1959)
tende al vero bene. Non bastano la scienza e la tecnica: per compiere il bene occorre la sapienza del cuore.
In diversi modi la Sacra Scrittura ci dice che le intenzioni buone o cattive non
entrano nell’uomo dall’esterno, ma scaturiscono dal suo “cuore”. «Dal di dentro —
afferma Gesù —, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male» (Mc 7,
21). Nella Bibbia il cuore è l’organo non
solo degli affetti, ma anche delle facoltà
spirituali, la ragione e la volontà, è sede
delle decisioni, del modo di pensare e di
agire. La saggezza delle scelte, aperta al
movimento dello Spirito Santo, coinvolge
umanità, invece, è unica e tanto preziosa
agli occhi di Dio! Per questo, la prima natura da custodire, affinché porti frutto, è
la nostra stessa umanità. Dobbiamo darle
l’aria pulita della libertà e l’acqua vivificante della verità, proteggerla dai veleni
dell’egoismo e della menzogna. Sul terreno della nostra umanità potrà allora sbocciare una grande varietà di virtù.
La virtù è l’espressione più autentica del
bene che l’uomo, con l’aiuto di Dio, è capace di realizzare. «Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni,
ma di dare il meglio di sé» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, 1803). La virtù non
è una semplice abitudine, ma è l’attitudine
costantemente rinnovata a scegliere il bene. La virtù non è emozione, non è
un’abilità che si acquisisce con un corso di
aggiornamento, e men che meno un meccanismo biochimico, ma è l’espressione
più elevata della libertà umana. La virtù è
il meglio che il cuore dell’uomo offre.
Quando il cuore si allontana dal bene e
dalla verità contenuta nella Parola di Dio,
corre tanti pericoli, rimane privo di orientamento e rischia di chiamare bene il male
e male il bene; le virtù si perdono, subentra più facilmente il peccato, e poi il vizio.
Chi imbocca questo pendio scivoloso cade
nell’errore morale e viene oppresso da una
crescente angoscia esistenziale.
La Sacra Scrittura ci presenta la dinamica del cuore indurito: più il cuore è inclinato all’egoismo e al male, più è difficile
cambiare. Dice Gesù: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8,
34). Quando il cuore si
corrompe, gravi sono le
conseguenze per la vita
sociale, come ricorda il
profeta Geremia. Cito:
«I tuoi occhi e il tuo
cuore non badano che
al tuo interesse, a spargere sangue innocente,
a commettere violenze e
angherie» (22, 17). Tale
condizione non può
cambiare né in forza di
teorie, né per effetto di
riforme sociali o politiche. Solo l’opera dello
Spirito Santo può riformare il nostro cuore, se
noi collaboriamo: Dio
stesso, infatti, ha assicurato la sua grazia
efficace a chi lo cerca e
a chi si converte «con
tutto il cuore» (cfr. Gl
2, 12 ss.).
Oggi sono molte le
istituzioni
impegnate
nel servizio alla vita, a
titolo di ricerca o di assistenza; esse promuovono non solo azioni buone, ma anche la
passione per il bene. Ma ci sono anche
tante strutture preoccupate più dell’interesse economico che del bene comune.
Parlare di virtù significa affermare che la
scelta del bene coinvolge e impegna tutta
la persona; non è una questione “cosmetica”, un abbellimento esteriore, che non
porterebbe frutto: si tratta di sradicare dal
cuore i desideri disonesti e di cercare il
bene con sincerità.
Anche nell’ambito dell’etica della vita le
pur necessarie norme, che sanciscono il rispetto delle persone, da sole non bastano
a realizzare pienamente il bene dell’uomo.
Sono le virtù di chi opera nella promozione della vita l’ultima garanzia che il bene
verrà realmente rispettato. Oggi non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno
alla vita umana nelle situazioni in cui si
mostra debole. Però manca tante volte
l’umanità. L’agire buono non è la corretta
applicazione del sapere etico, ma presuppone un interesse reale per la persona fragile. I medici e tutti gli operatori sanitari
non tralascino mai di coniugare scienza,
tecnica e umanità.
Pertanto, incoraggio le Università a
considerare tutto questo nei loro programmi di formazione, affinché gli studenti
Assemblea
giubilare
La ventunesima assemblea generale
della Pontificia accademia per la vita, dedicata alle virtù nell’etica, può
essere vista anche come una «assemblea giubilare» perché, come ricordava san Tommaso, «la misericordia
è la più grande di tutte le virtù».
Così il vescovo presidente Ignacio
Carrasco de Paula ha presentato a
Papa Francesco l’incontro annuale —
che si svolge in Vaticano venerdì 4
marzo — dei membri dell’istituzione
fondata nel 1994.
Richiamando l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il presule ha
sottolineato che la «predicazione
morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non una mera filosofia pratica, né un catalogo di
peccati ed errori», il Vangelo infatti
è «rispondere a Dio che ci ama e ci
salva. E le virtù sono al servizio di
questa risposta di amore». L’assemblea quindi, ha spiegato il vescovo,
intende essere «un momento privilegiato di riflessione sul ruolo che le
virtù hanno nella promozione e nella
difesa della vita».
possano maturare quelle disposizioni del
cuore e della mente che sono indispensabili per accogliere e curare la vita umana,
secondo la dignità che in qualsiasi circostanza le appartiene. Invito anche i direttori delle strutture sanitarie e di ricerca a
far sì che i dipendenti considerino parte
integrante del loro qualificato servizio anche il tratto umano. In ogni caso, quanti
si dedicano alla difesa e alla promozione
della vita possano mostrarne anzitutto la
bellezza. Infatti, come «la Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 14), così la
vita umana si difende e promuove efficacemente solo quando se ne conosce e se
ne mostra la bellezza. Vivendo una genuina compassione e le altre virtù, sarete testimoni privilegiati della misericordia del
Padre della vita.
La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo, quali che siano le sue condizioni di
vita, è un valore da proteggere; tuttavia,
essa è spesso vittima di incertezze morali,
che non le consentono di difendere la vita
in maniera efficace. Non di rado, poi, può
accadere che sotto il nome di virtù, si mascherino “splendidi vizi”. Per questo è necessario non solo che le virtù informino
realmente il pensare e l’agire dell’uomo,
ma che siano coltivate attraverso un continuo discernimento e siano radicate in Dio,
fonte di ogni virtù. Io vorrei ripetere qui
una cosa che ho detto parecchie volte:
dobbiamo stare attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che subentrano nel
pensiero umano, anche cristiano, sotto forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi, ma sono colonizzazioni, cioè tolgono la libertà, e sono ideologiche, cioè
hanno paura della realtà così come Dio
l’ha creata. Chiediamo l’aiuto dello Spirito
Santo, affinché ci tragga fuori dall’egoismo e dall’ignoranza: rinnovati da Lui,
possiamo pensare e agire secondo il cuore
di Dio e mostrare a chi soffre nel corpo e
nello spirito la sua misericordia.
L’augurio che vi rivolgo è che i lavori
di questi giorni possano essere fecondi e
accompagnare voi e quanti incontrate nel
vostro servizio in un cammino di crescita
virtuosa. Vi ringrazio e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per
me. Grazie.
Messa a Santa Marta
Riconoscersi peccatori ed essere capaci
di chiedere perdono è il primo passo
per rispondere con chiarezza, senza intavolare negoziati, alla domanda diretta
che Gesù rivolge a ciascuno di noi: «sei
con me o contro di me?». L’invito ad
aprirsi incondizionatamente alla misericordia di Dio è stato rilanciato dal Papa
durante la messa celebrata giovedì mattina, 3 marzo, nella cappella della Casa
Santa Marta.
All’inizio della prima lettura, ha fatto
notare subito Francesco, il profeta Geremia (7, 23-28) «ci ricorda il patto di Dio
col suo popolo: “Ascoltate la mia voce e
io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio
popolo; camminate sempre sulla strada
che vi prescriverò, perché siate felici”».
È «un patto di fedeltà». E «ambedue le
letture — ha proseguito — ci raccontano
un’altra storia: questo patto è caduto e
oggi la Chiesa ci fa riflettere sulla, possiamo chiamarla così, storia di una fedeltà fallita». In realtà «Dio rimane
sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso» invece il popolo inanella
infedeltà «una dietro l’altra: è infedele,
è rimasto infedele!».
Nel libro di Geremia si legge che il
popolo non tenne fede al patto: «Ma
essi non ascoltarono, né prestarono
orecchio alla mia Parola». La Scrittura,
ha spiegato Francesco, «ci racconta anche tante cose che ha fatto Dio per attirare i cuori del popolo, dei suoi: “Da
quando i vostri padri sono usciti
dall’Egitto fino a oggi, io vi ho inviato
con assidua premura tutti i miei servi e
profeti. Ma non mi hanno ascoltato né
prestato orecchio. Anzi hanno reso dura
la loro cervice, divenendo peggiori dei
Storia di una fedeltà fallita
loro padri”». E questo passo di Geremia
finisce con un’espressione forte: «La fedeltà è sparita! È stata bandita dalla loro bocca».
L’«infedeltà del popolo di Dio», come la nostra infedeltà, «indurisce il cuore: chiude il cuore!»; e «non lascia entrare la voce del Signore che, come padre amorevole, ci chiede sempre di
aprirci alla sua misericordia e al suo
amore». Nel salmo 94 «abbiamo pregato tutti insieme: ascoltate oggi la voce
del Signore; non indurite il vostro cuore!». Davvero, ha affermato il Pontefice,
«il Signore sempre ci parla così» e «anche con tenerezza di padre ci dice: ritornate a me con tutto il cuore, perché sono misericordioso e pietoso».
Però «quando il cuore è duro questo
non si capisce» ha spiegato Francesco.
Infatti «la misericordia di Dio si capisce
soltanto se tu sei capace di aprire il tuo
cuore, perché possa entrare». E «questo
va avanti, va avanti: il cuore si indurisce
e vediamo la stessa storia» nel passo del
Vangelo di Luca (11, 14-23) proposto oggi dalla liturgia. «C’era quella gente che
aveva studiato le Scritture, i dottori della legge che sapevano la teologia, ma
erano tanto tanto chiusi. La folla era
stupita: lo stupore! Perché la folla seguiva Gesù. Qualcuno dirà: “Ma lo seguiva per essere guarito, lo seguiva per
questo”».
La realtà, ha fatto presente Francesco,
era che la gente «aveva fede in Gesù!
Aveva il cuore aperto: imperfetto, pec-
catore, ma il cuore aperto». Invece
«questi teologi avevano un atteggiamento chiuso». E «cercavano sempre una
spiegazione per non capire il messaggio
di Gesù». Tanto che in questo caso specifico, come racconta Luca, dicono:
«Ma no, questo caccia i demoni in nome del capo dei demoni». E così cercavano sempre altri pretesti, continua il
brano evangelico, «per metterlo alla
prova: gli domandavano un segno del
cielo». Il problema di fondo, ha rimarcato il Papa, era il loro essere «sempre
chiusi». E così «era Gesù che doveva
giustificare quello che faceva».
«Questa è la storia, la storia di questa
fedeltà fallita — ha detto Francesco — la
storia dei cuori chiusi, dei cuori che non
«Gli israeliti adorano il vitello d’oro» (XIV secolo)
lasciano entrare la misericordia di Dio,
che hanno dimenticato la parola “perdono” — “Perdonami Signore!” — semplicemente perché non si sentono peccatori: si sentono giudici degli altri».
Ed è «una lunga storia di secoli».
Proprio «questa fedeltà fallita Gesù la
spiega con due parole chiare per finire
questo discorso di questi ipocriti: “Chi
non è con me è contro di me”». Il linguaggio di Gesù, ha rilanciato il Papa, è
«chiaro: o sei fedele, con il tuo cuore
aperto, al Dio che è fedele con te o sei
contro di Lui: “Chi non è con me
è contro di me!”». Qualcuno potrebbe pensare che, forse, c’è «una
via di mezzo per fare un negoziato», sfuggendo alla chiarezza della
parola di Gesù «o sei fedele o sei
contro». E in effetti, ha risposto
Francesco, «un’uscita c’è: confessati, peccatore!». Perché «se tu dici “io sono peccatore” il cuore si
apre ed entra la misericordia di
Dio e incominci ad essere fedele».
Prima di proseguire la celebrazione, il Pontefice ha invitato a
chiedere «al Signore la grazia della fedeltà». Con la consapevolezza
che «il primo passo per andare su
questa strada della fedeltà è sentirsi peccatore». Difatti «se tu non
ti senti peccatore, hai incominciato male». Dunque, ha concluso
Francesco, «chiediamo la grazia
che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà». E anche «quando ci troviamo
noi» a essere «infedeli, la grazia
di chiedere perdono».