Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 52 (47.187) Città del Vaticano venerdì 4 marzo 2016 . Alla Pontificia accademia per la vita Francesco sottolinea la centralità dell’uomo anche in ambito scientifico Dopo l’abbraccio tra Francesco e Cirillo Valore da proteggere Incontro nella storia E mette in guardia dalle colonizzazioni ideologiche mascherate da virtù e modernità di ILARIONE «La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo», indipendentemente dalle «sue condizioni di vita, è un valore da proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di incertezze morali, che non le consentono di difendere la vita in maniera efficace»: lo ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita, ricevuti giovedì mattina, 3 marzo. Il Pontefice ha approfondito il tema che è al centro dell’incontro annuale dell’istituzione pontificia fondata nel 1994 — «Le virtù nell’etica della vita» — e ha ricordato che «il bene che l’uomo compie non è il risultato di calcoli o strategie», ma «il frutto di un cuore ben disposto, della libera scelta che tende al vero bene». Non bastano quindi, ha aggiunto il Pontefice, la scienza e la tecnica: «per compiere il bene occorre la sapienza del cuore». Difatti, oggi, molte istituzioni sono impegnate nel servizio alla vita ma, ha sottolineato il Papa, tante strutture sono «preoccupate più dell’interesse economico che del bene comune». Infatti «parlare di virtù significa affermare che la scelta del bene coinvolge e impegna tutta la persona; non è una questione “cosmetica”, un abbellimento esteriore». E anche le norme, «pur necessarie», che sanciscono il rispetto delle persone, «da sole non bastano a realizzare pienamente il bene dell’uomo» perché «sono le virtù di chi opera nella promozione della vita l’ultima garanzia che il bene verrà realmente rispettato». Non deve quindi mai venire meno l’«interesse reale» per le persone, in particolar modo per quelle più fragili. Così, se è vero che «oggi non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno alla vita umana nelle situazioni in cui si mostra debole», occorre però — ha raccomandato Francesco — che «i medici e gli operatori sanitari non tralascino mai di coniugare scienza, tecnica e umanità»: chi si dedica alla difesa e alla promozione della vita deve essere capace di mostrarne la bellezza e di operare con «genuina compassione». È compito, quindi, delle università lavorare affinché gli studenti «possano maturare quelle disposizioni del cuore e della mente che sono indispensabili per accogliere e curare la vita umana». Il Pontefice ha quindi messo in guardia dalle «nuove colonizzazioni ideologiche» che, «sotto forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi», si affacciano «nel pensiero umano» e «anche cristiano», togliendo la libertà perché «hanno paura della realtà così come Dio l’ha creata». PAGINA 8 L’Europa al fianco della Grecia versi Paesi dei Balcani che nelle ultime settimane hanno rafforzato i controlli alle frontiere o chiuso il passaggio. Ieri Tsipras ha avuto un colloquio con il collega turco Ahmet Davutoğlu. «La discussione — si legge in una nota del Governo ellenico — si è concentrata sulla riduzione dei flussi migratori verso la Ue e la gestione dei rifugiati, in vista del vertice tra Ue e Turchia che si terrà il 7 marzo a Bruxelles e del Consiglio della cooperazione greco-turca che si terrà il giorno dopo a Smirne». La Commissione europea si è detta pronta a riformare il regolamento di Dublino sul diritto di asilo e sul riconoscimento dello status di rifugiato entro luglio. Nella bozza di risoluzione della Commissione, resa nota ieri, si parla anche di rafforzamenti dei controlli. Questo mentre il numero dei migranti e dei rifugiati che restano bloccati in Grecia, ai confini con gli altri Paesi dei Balcani, continua a salire a ritmi di duemila-tremila persone al giorno. Una situazione drammatica, che rischia di sfociare in violenze diffuse e di trasformarsi in una catastrofe umanitaria. E intanto, oggi un gruppo di migranti e profughi bloccati da giorni a Idomeni, la località greca alla frontiera con la ex Repubblica jugoslava di Macedonia, hanno occupato i binari di una linea ferroviaria che collega i due Paesi chiedendo alle autorità di Skopje di consentire loro l’ingresso in territorio macedone e proseguire il viaggio lungo la rotta balcanica fino in Europa centrale. Sono oltre diecimila i migranti bloccati alla frontiera greco-macedone. Le autorità macedoni aprono a intermittenza il confine, facendo passare poche centinaia di persone al giorno, tante — dicono a Skopje — quanti sono gli ingressi consentiti dalla vicina Serbia. Sull’emergenza immigrazione è intervenuto anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, il quale ieri ha dichiarato che «il dramma dei migranti rappresenta una tragedia e un calvario» ma l’Italia, in questi anni, «è stata e continua a essere all’avanguardia nella solidarietà». Scambio degli strumenti di ratifica dell’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica asiatica Udienza al primo ministro di Timor-Leste y(7HA3J1*QSSKKM( +.!"!@!"![! Migrante al confine greco-macedone (Reuters) Schengen non è né un fine né un mezzo. La Grecia resterà a far parte di Schengen, dell’eurozona e della Ue» ha aggiunto Tusk, sottolineando poi che «le azioni unilaterali minano la solidarietà». Sulla stessa linea il premier Tsipras, che chiede alla Ue «sanzioni contro gli Stati membri che con le loro azioni unilaterali nelle ultime due settimane hanno persino indebolito» la gestione dei flussi migratori. Un chiaro riferimento al gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria), all’Austria e a di- VOLOKOLAMSK L’ Nella gestione dell’emergenza immigrazione ROMA, 3. «La Grecia e il popolo greco stanno pagando un prezzo altissimo per un problema che non hanno creato. Voglio dire molto chiaramente che l’Unione europea non lascerà sola la Grecia». Con queste parole, oggi, il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, si è rivolto al premier greco, Alexis Tsipras, in un incontro ad Atene dedicato all’emergenza immigrazione. «Escludere la Grecia da DI incontro tra Papa Francesco e Cirillo, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, avvenuto il 12 febbraio a L’Avana, è stato definito, a ragione, storico. Storico non solo perché si è trattato del primo incontro tra i Primati della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa russa. Ma anche perché a Cuba ha avuto luogo un evento che è espressione visibile del livello di fiducia e di comprensione che è stato raggiunto nelle relazioni tra le due Chiese nel corso degli ultimi anni e che apre per loro nuove prospettive storiche. I risultati dell’incontro avvenuto «lontano dalle antiche contese del “Vecchio Mondo”» dovrebbero determinare molte decisioni e azioni da parte delle due Chiese, volte a influenzare il corso della storia. Dobbiamo riconoscere con rammarico, e questo si riflette nella Dichiarazione comune, che ortodossi e cattolici sono separati da quasi dieci secoli. Questa divisione ha ragioni teologiche e culturali. Tuttavia, il contesto storico nel quale si trovano oggi i cristiani e le sfide che tutta l’umanità deve affrontare ci spingono a vivere e ad agire in questo mondo non come rivali ma come fratelli, per difendere insieme i valori che abbiamo in comune. Affidiamo lo studio delle questioni teologiche alle commissioni competenti. L’incontro tra i Primati delle due più grandi Chiese cristiane ha testimoniato come, da entrambe le parti, vi sia la consapevolezza che la situazione mondiale ha bisogno di azioni urgenti e, come è stato indicato nella dichiarazione, coordinate. Un’attenzione centrale è stata riservata, durante l’incontro e nel testo che è stato firmato, alla tragedia del genocidio dei cristiani in Medio oriente e nei Paesi dell’Africa settentrionale e centrale. Dalla bocca del Papa e del Patriarca è risuonato un appello a un’azione congiunta rivolto alle forze che si oppongono all’estremismo, affinché i leader politici superino le loro divergenze e si uniscano nella lotta contro la minaccia comune. Grazie a Dio, questo appello è stato ascoltato e siamo venuti a conoscenza di una notizia foriera di speranza: la Russia e gli Stati Uniti si sono messi d’accordo su una tregua in Siria e questo accordo è stato sottoscritto anche dal governo siriano e dall’opposizione. Si tratta di un primo passo nella direzione suggerita dalla dichiarazione comune del Papa e del Patriarca. È auspicabile che l’appello dei due Primati a compiere ogni sforzo possibile per mettere fine allo spargimento di sangue in Ucraina venga accolto dalle parti coinvolte nel conflitto affinché nel Paese, dove ortodossi e cattolici vivono gli uni accanto agli altri, possa essere instaurata una pace durevole. Questo obiettivo non potrà essere raggiunto senza gli sforzi comuni degli ortodossi e dei greco-cattolici per superare un’ostilità storica. Una condizione preliminare importante per ristabilire la fiducia è stata la dichiarazione fatta di nuovo al livello più alto, secondo cui l’unia non è uno strumento per realizzare l’unità tra le Chiese, e il proselitismo, nelle relazioni tra ortodossi e cattolici, è inaccettabile in tutte le sue manifestazioni. Nella mattina di giovedì 3 marzo, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il primo ministro della Repubblica Democratica di Timor-Leste, Sua Eccellenza il signor Rui Maria Araújo, il quale ha successivamente incontrato il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Antoine Camilleri. Nei cordiali colloqui sono stati evocati i buoni rapporti tra la Santa Sede e Timor-Leste, come pure il contributo storico della Chiesa all’edificazione della Nazione e la collaborazione esistente con le Autorità civili in vari ambiti sociali, quali l’educazione, la sanità e la lotta alla povertà. Al termine dell’incontro con il segretario di Stato ha avuto luogo, nella Sala dei Trattati del Palazzo Apostolico Vaticano, lo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, firmato Cristianesimo sociale francese a Díli il 14 agosto 2015. L’Accordo, composto da un Preambolo e 26 articoli, sancisce il riconoscimento della personalità giuridica della Chiesa e delle sue Istituzioni e garantisce alla Chiesa la libertà di svolgere la propria missione in favore della popolazione timorese. PAGINA 2 Il Papa e i pesci rosa JEAN-PIERRE DENIS A PAGINA 5 La vecchia psicologia di rivalità deve far posto a una collaborazione fraterna davanti alle sfide che le nostre Chiese affrontano in Europa, dove, con il pretesto di promuovere le idee di tolleranza e di democrazia e di diffondere i valori liberali, viene perpetrata una vera e propria persecuzione del cristianesimo e dei valori morali evangelici. Ortodossi e cattolici hanno già unito le loro forze per combattere queste tendenze, ma, dopo l’incontro dell’Avana, questa collaborazione dovrà raggiungere un nuovo livello qualitativo. Durante l’incontro tra il Papa e il Patriarca sono stati menzionati vari progetti che contribuiranno al riavvicinamento tra i fedeli delle nostre Chiese. Ciò riguarda in particolare il pellegrinaggio ai luoghi santi che abbiamo in comune. Ad esempio, ogni anno un flusso enorme di pellegrini ortodossi si reca alle reliquie di san Nicola di Bari e pellegrini cattolici visitano santuari ortodossi. Possiamo intensificare questi due flussi, affinché le persone che accedono ai luoghi santi dell’altra Chiesa si incontrino e si conoscano meglio. L’incontro a L’Avana avrà indubbiamente profonde conseguenze. Le parole del Papa e del Patriarca, pervase da spirito pastorale e da amore, sono rivolte alle persone più disparate, compresi i leader politici e religiosi. Dal fatto che esse reagiscano oppure no a tali parole dipenderà in gran parte il futuro dell’umanità. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Rui Maria de Araújo, Primo Ministro di Timor-Leste, con la Consorte, e Seguito. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Monsignor Marek Solczyński, Arcivescovo titolare di Cesarea di Mauritania, Nunzio Apostolico in Georgia, in Armenia e in Azerbaigian. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagreb (Croazia), Vice Presidente della Conferenza Episcopale Croata, con le Loro Eccellenze i Monsignori Želimir Puljić, Arcivescovo di Zadar, Presidente, Ðuro Hranić, Arcivescovo di Ðakovo-Osijek, Membro, e Dražen Kutleša, Vescovo di Poreć-Pula, Membro. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Monsignor Carlos Humberto Malfa, Vescovo di Chascomús (Argentina). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Frère Alois, Priore di Taizé. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 4 marzo 2016 Intervento del leader nordcoreano Kim Jong Un (Ap) Scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo tra Santa Sede e Repubblica Democratica di Timor-Leste Lanciati sei missili a corto raggio Pyongyang sfida le sanzioni SEOUL, 3. La Corea del Nord ha sparato oggi sei proiettili di corto raggio nel mare di fronte alla sua costa orientale, secondo quanto riferiscono autorità sudcoreane. L’episodio è avvenuto solo poche ore dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato le più dure sanzioni contro Pyongyang da vent’anni a questa parte, in risposta ai recenti test nucleari e al lancio di un missile di lunga gittata. I lanci di Pyongyang sono avvenuti dopo l’approvazione da parte del Parlamento di Seoul della sua prima legislazione sui diritti umani in Corea del Nord. Il portavoce del ministero, Moon Sang Gyun, ha precisato che gli spari sono arrivati dalla città costiera di Wonsan, aggiungendo che le autorità stanno cercando di capire cosa esattamente il regime comunista di Pyongyang abbia sparato. I proiettili, secondo il ministero, potrebbero infatti essere missili, artiglieria o razzi. Un dirigente dello stato maggiore delle forze armate sudcoreane, parlando sotto anonimato, ha confermato che la Corea del Nord ha esploso sei proiettili che hanno percorso dai 100 ai 150 chilometri (tra 60 e 90 miglia) prima di arrivare in mare. Il regime di Pyongyang testa abitualmente missili e razzi ma spesso mette in atto più lanci successivi quando è adirata per la condanna internazionale. Nel frattempo, la Cina invita tutti i Paesi a implementare «in pieno e seriamente» le sanzioni più dure contro la Corea del Nord, a poche Due terroriste uccise a Istanbul dopo un attacco alla polizia ANKARA, 3. La polizia turca ha ucciso le due donne che questa mattina hanno sparato e lanciato bombe a mano contro una stazione della polizia di Istanbul, prima di fuggire e barricarsi in un palazzo vicino nel quartiere di Bayrampasa. Lo riferisce l’agenzia di stampa turca Anadolu citando fonti della polizia locale. Anche il governatore di Istanbul Vasip Sahin, ha confermato l’uccisione delle due militanti, la cui identità e affiliazione non sono state rese note. Le donne sono arrivate in taxi e hanno lanciato diverse bombe a mano contro la stazione di polizia e sparato contro le guardie, che hanno risposto al fuoco. La Nato invita i talebani a deporre le armi KABUL, 3. Il nuovo comandante delle forze americane e della Missione Resolute Support in Afghanistan, generale John Nicholson, ha sollecitato i talebani a mettere fine alla lotta armata e ad aderire alle proposte di dialogo del Governo. In un discorso a Kabul in occasione dell’assunzione del suo nuovo incarico trasmessogli dal generale John Campbell, Nicholson ha ringraziato i Paesi della Nato che hanno sostenuto gli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 «sul nostro suolo nazionale» di terroristi «ospiti dei talebani». Rivolgendosi ai talebani il generale Nicholson ha detto: «Voi avete portato soltanto difficoltà e sofferenze per il popolo afghano. È arrivato il momento di mettere fine a tutto questo, e il momento per voi per deporre le armi e scegliere il futuro». L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va ore dal via libera dato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. «Le sanzioni non dovrebbero colpire la vita quotidiana delle persone», ha affermato Hong Lei, portavoce del ministero degli Esteri, esprimendo l’auspicio di rapida ripresa del negoziato multilaterale sul nucleare di Pyongyang in stallo da fine 2008, e che coinvolge le due Coree, Stati Uniti, Giappone, Russia e Cina. Tra le nuove sanzioni, c’è anche il mandato per ispezioni su tutti i cargo in arrivo o partenza dalla Corea del Nord. Il regime comunista di Pyongyang «deve capire che questo messaggio non viene solo dai membri del Consiglio di Sicurezza, quanto dall’intera comunità internazionale» ha detto l’ambasciatore giapponese all’Onu, Motohide Yoshikawa. Per Washington un risultato migliore del previsto Regge la tregua in Siria DAMASCO, 3. Regge la tregua in Siria, nonostante diversi episodi di violenza siano stati segnalati nelle aree coinvolte. Ieri Mosca ha parlato di almeno 31 violazioni della tregua dal suo inizio, sei giorni fa. E intanto scontri si registrano al confine tra Turchia e Siria. Sul piano diplomatico, la Russia torna a insistere per la partecipazione dei curdi siriani ai negoziati. «La nostra posizione è che, certamente, i curdi dovrebbero essere coinvolti nel processo dei negoziati sotto l’egida dell’Onu» ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, aggiungendo che «questo dialogo e questo processo negoziale è incompleto senza i curdi», fondamentali alleati di Assad, soprattutto in contrasto al cosiddetto Stato islamico (Is). Washington, intanto, esprime ottimismo sul futuro dei negoziati a Ginevra (la terza tornata, tra governativi e ribelli), sottolineando che la tregua al momento risulta essere un successo. La tregua infatti «resta fragile ma procede meglio del previsto» perché ha consentito una «significativa riduzione della violenza» stando all’opinione di alti funzionari americani. In un incontro con i giornalisti, questi funzionari hanno riconosciuto che la tregua «è lontana dall’essere ottimale» e resta «fragile», ma hanno poi aggiunto che «sta procedendo al di là delle nostre aspettative». E nel frattempo, il Pentagono ha annunciato ieri lo stanziamento di nuovi aiuti economici e logistici, nonché l’invio di forze militari in Iraq, per sostenere l’esercito di Baghdad nell’offensiva contro gli uomini dell’Is a Mosul. Gli Stati Uniti hanno ormai quasi 3.900 soldati in Iraq, impegnati essenzialmente in compiti di consulenza e formazione. «Abbiamo in programma di fare di più, sia in termine di volume che di tipologia di attività militare» ha spiegato il segretario alla Difesa, Ashton Carter. Oggi, giovedì 3 marzo 2016, alle ore 10.30, nella Sala dei Trattati del Palazzo Apostolico Vaticano, Sua Eminenza il Signor Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, e Sua Eccellenza il Signor Rui Maria de Araújo, Primo Ministro della Repubblica Democratica di Timor-Leste, hanno proceduto allo scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, firmato a Díli il 14 agosto 2015, tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, che fissa in modo stabile il quadro giuridico delle relazioni sia tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, sia tra la Chiesa cattolica e lo Stato timorese. gli Stati; Mons. Francesco Cao Minh Dung, Mons. Robert Murphy e Mons. Massimiliano Boiardi, Officiali della Sezione per i Rapporti con gli Stati; Erano presenti alla solenne cerimonia: da parte della Santa Sede: Mons. Antoine Camilleri, Sotto-Segretario per i Rapporti della Santa Sede con Con lo scambio degli strumenti di ratifica, l’Accordo, costituito da un Preambolo e 26 articoli, entra in vigore, ai sensi dell’articolo 26. Il saluto del cardinale segretario di Stato Nel corso della cerimonia l’Em.mo Segretario di Stato ha rivolto ai presenti il seguente breve indirizzo di saluto. Signor Primo Ministro, Signore e Signori, Desidero ringraziarLa per le cortesi attestazioni di stima che ha voluto pocanzi manifestare. Inoltre, vorrei esprimere di nuovo la mia gratitudine per l’accoglienza che Ella, Signor primo ministro, insieme con le alte autorità governative ed ecclesiastiche del Paese, mi hanno riservato nel corso della mia visita a Díli, nello scorso mese di agosto, come Inviato Speciale del Santo Padre Francesco, per le celebrazioni dei 500 anni dell’evangelizzazione dell’Isola. Il solenne atto che compiamo quest’oggi, attraverso lo scambio degli strumenti di ratifica, suggella l’entrata in vigore dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, che è stato firmato nella cornice dei summenzionati festeggiamenti nazionali. L’Accordo, tenendo conto del ruolo storico e attuale svolto dalla Chiesa cattolica nella vita della Nazione e del radicamento profondo della Religione cattolica nella società timorese, fissa in modo stabile il quadro giuridico delle relazioni, sia tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste, sia tra la Chiesa cattolica e lo Stato timorese. Esso è frutto di anni di negoziato, sostenuto da un comune spirito di dialogo, di collaborazione e di costante ricerca degli strumenti giuridici più idonei a sancire il riconoscimento da parte dello Stato del servizio che la Chiesa cattolica svolge in favore del popolo timorese. Tale impegno riguarda l’ambito spirituale, così come quello dell’educazione, della solidarietà, dell’assistenza ai più deboli e di molte altre attività che contribuiscono positivamente alla crescita integrale del vostro amato popolo. Grazie allo strumento giuridico dell’Accordo, la comunità cattolica potrà prodigarsi con sempre mag- giore sollecitudine in favore del bene di tutti. In tale cornice, conviene notare, la Chiesa non ricerca privilegi particolari ma desidera offrire un contributo libero e creativo per l’edificazione di una società sempre più armoniosa, animata dalla giustizia e dalla pace. Naturalmente, la missione ecclesiale potrà essere ancora più fruttuosa e incisiva, se i principi contenuti in questo Accor- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va TEL AVIV, 3. Il vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sarà in visita in Israele l’8 marzo prossimo. A renderlo noto è stato ieri il Governo israeliano sottolineando come la visita del vicepresidente statunitense s’inquadra nel rinnovato sforzo dell’Amministrazione Obama di rilanciare i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi dopo oltre due anni di stallo. Questo soprattutto in un momento molto delicato, con l’instabilità crescente in Cisgiordania, la guerra in Siria e la minaccia jihadista sempre presente. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale do troveranno da ambo le parti piena accoglienza e applicazione. Signor primo ministro, con questi sentimenti, desidero ringraziare quanti si sono adoperati per il felice esito delle trattative e affidare il caro popolo della Repubblica Democratica di Timor-Leste alla materna protezione di Maria Immacolata, vostra celeste Patrona. Grazie. Il discorso del primo ministro Pubblichiamo la traduzione del discorso di Sua Eccellenza il Signor Rui Maria de Araújo, Primo Ministro della Repubblica Democratica di Timor-Leste. Eminenza Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano, Eccellenze, Distinti Ospiti, Signore e Signori, Per cominciare, permettetemi di esprimere a lei, Eminenza, a nome del popolo, dello Stato, del Parlamento e del Governo della Repubblica Democratica di Timor-Leste, la nostra profonda gratitudine per aver visitato Timor-Leste in veste di Legato di Papa Francesco per la celebrazione dei 500 anni di evangelizzazione a Díli. Nel corso dell’udienza avuta questa mattina, a nome di tutti i timoresi ho ringraziato di persona Sua Santità Papa Francesco per averci onorato della presenza del suo Legato nel momento culminante del 500° anniversario dell’evangelizzazione e della cristianizzazione del nostro popolo. Con profondo senso di soddisfazione e con animo fiducioso abbiamo celebrato la Santa Eucaristia presieduta da vostra Eminenza nel giorno in cui la Chiesa cattolica ricorda la solennità dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria. Biden visiterà Israele Macerie causate dai combattimenti nella città di Cizre al confine tra Turchia e Siria (Afp) da parte della Repubblica Democratica di Timor-Leste: S.E. il Sig. Aderito Hugo da Costa, Vice-Presidente del Parlamento Nazionale; S.E. il Sig. Roberto Sarmento de Oliviera Soares, Vice-Ministro degli Affari Esteri e Cooperazione; S.E. il Sig. Egas da Costa Freitas, Ambasciatore presso la Santa Sede; S.E. il Sig. Armindo Pedro Simões, Direttore per l’Europa, Africa e Medio Oriente presso il Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione. È stato inoltre un momento storico, per noi timoresi, vedere firmato l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Democratica di Timor-Leste. Per di più è stato un evento veramente storico, un momento clou per il Paese; un momento che molti timoresi attendevano da lungo tempo, e che si è realizzato con l’Accordo nel 2015. La firma di tale accordo ha definito il quadro legale per i rapporti tra la Repubblica Democratica di Timor-Leste e la Santa Sede. Il nostro Parlamento nazionale, svolgendo il suo dovere, ha quindi proceduto a rettificare l’Accordo, che è poi stato adottato all’unanimità e promulgato dal Presidente della Repubblica. Noi timoresi apprezziamo l’accordo, che è basato sul principio di mutuo rispetto, solidarietà e cooperazione. Oggi, a nome del popolo e dello Stato, e alla presenza di Sua Eccellenza il secondo vicepresidente del Parlamento nazionale e della delegazione, ho l’onore di depositare e di scambiare formalmente l’Accordo con Sua Eminenza per celebrare i secoli di evangelizzazione e suggellare le relazioni eterne tra la Santa Sede e Timor-Leste. Molte grazie. La Nuova Zelanda sceglie la bandiera WELLINGTON, 3. È iniziato oggi in Nuova Zelanda l’ultimo atto del lungo percorso che potrebbe portare il Paese ad avere una nuova bandiera nazionale. I neozelandesi sono infatti chiamati a scegliere tra l’attuale vessillo — con il richiamo alla Union Jack britannica, considerata da alcuni una scomoda eredità del passato coloniale — e la nuova bandiera Silver Fern, che mostra una foglia bianca di felce argentata (pianta simbolo del Paese) con sfondo nero a sinistra e sfondo blu a destra, con le quattro Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 stelle della Croce del Sud colorate di rosso. Il disegno della Silver Fern, opera di Kyle Lockwood, è infatti risultato il più votato, con il 50,58 per cento dei consensi, in un referendum dello scorso anno. La votazione odierna si svolgerà per posta. La consultazione si chiuderà giovedì 24 marzo. Il risultato ufficiale sarà, invece, proclamato il 30 marzo. Se i neozelandesi opteranno per la nuova bandiera, è previsto un periodo di transizione di dodici mesi. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 4 marzo 2016 pagina 3 Due ostaggi italiani uccisi durante una sparatoria nella regione di Sabrata Monito di Kobler agli oppositori libici TRIPOLI, 3. L’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, mette in guardia contro lo stallo che sta favorendo l'avanzata del cosiddetto Stato islamico (Is), e lancia l’ultimatum agli oppositori del nuovo Governo: «Lo approvino entro l’inizio della prossima settimana» o ne pagheranno le conseguenze. Kobler ha riferito ieri sulla situazione in Libia al Consiglio di sicurezza dell’Onu affermando che «la maggioranza del popolo libico appoggia il Governo di unità nazionale, ma non siamo riusciti ancora a convincere quelli che si oppongono all’accordo». La Libia non può «essere ostaggio di alcune minoranze del Parlamento di Tobruk e del Congresso di Tripoli». E se non ci sarà l’attesa fiducia all’Esecutivo «entro l’inizio della prossima settimana», il diplomatico riconvocherà le delegazioni del dialogo politico libico. Ciò significa che senza il sì al Governo del premier designato Fayez Al Sarraj, l’Onu si appresta a perseguire altre strade per arrivare alla stabilizzazione del Paese. Il primo passo, ha auspicato l’inviato di Ban Ki-moon, dovrebbe essere quello di sanzionare chi boicotta l’intesa. Nel corso dell'audizione Kobler ha avvertito che la situazione umanitaria nel Paese «è ulteriormente peggiorata»: quasi un terzo della popolazione è a rischio. L’Is «approfitta del vuoto politico, e si espande» in ogni direzione dalla roccaforte di Sirte, dove «proseguono le atrocità e le decapitazioni». Una tesi condivisa dall’intelligence italiana, convinta che sarà difficile contrastare i terroristi in Libia se il Paese resta instabile. Intanto, le violenze non conoscono tregua. Ed è di oggi la notizia per cui potrebbero essere rimasti uccisi in uno scontro a fuoco a sud di Sabrata tra miliziani dell’Is e forze libiche due dipendenti italiani della Bonatti rapiti nel luglio del 2015, Fausto Piano e Salvatore Failla. Lo ha reso noto la Farnesina. Ieri, intanto, almeno otto jihadisti, la maggior parte dei quali di nazionalità tunisina, sono morti in violenti combattimenti. Le milizie del Consiglio dei rivoluzionari di Bengasi, di cui fanno parte i salafiti di Ansar Al Sharia, legati all’Is, hanno annunciato ieri sera di essersi ritirate da alcuni quartieri di Bengasi. Per la prima volta le milizie islamiste hanno ammesso in una nota ufficiale di aver perso terreno rispetto all’avanzata dell’esercito libico fedele al generale Khalifa Haftar, capo di stato maggiore e ministro della Difesa del Governo transitorio libico con sede a Tobruk, nell’est del Paese. «Abbiamo deciso di ritirare i nostri uomini da alcuni quartieri per salvare le loro vite. Chiediamo che vengano salvati i nostri uomini musulmani e promettiamo di integrarci nelle forze armate se in cambio si porrà fine all’uccisione dei mujaheddin». Nei giorni scorsi Haftar ha offerto ai miliziani islamisti assediati a Bengasi «un giusto processo» se decideranno di arrendersi. Secondo il sito quotidiano libico «Libya Herald», l’offerta di resa rappresenta un chiaro tentativo di portare l’offensiva contro il cosiddetto Stato islamico (Is) e le milizie islamiste di Ansar Al Sharia a una rapida conclusione. In un altro comunicato, il generale Haftar ha avvertito che non saranno tollerati abusi nei confronti delle famiglie dei militati o dei sospetti militanti: si tratta di un monito rivolto soprattutto a coloro che hanno subito perdite nel conflitto e che intendono vendicarsi. L’obiettivo è quello di evitare una nuova spirale di violenza nella città una volta liberata. Nel frattempo, l’esercito del generale Haftar sta avanzando a Bengasi verso gli ultimi avamposti jihadisti. Escluse PARIGI, 3. Nel mondo sono quasi sedici milioni le bambine tra i 6 e gli 11 anni che non frequentano e non frequenteranno mai le scuole elementari, il doppio rispetto ai coetanei maschi. Lo ha calcolato l’istituto statistico dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), in uno studio pubblicato in preparazione alla giornata della donna, l’8 marzo. «Le bambine sono più suscettibili di essere private del loro diritto all’educazione, malgrado tutti i progressi degli ultimi 10 anni», sottolinea l’agenzia dell’Onu in un rapporto pubblicato ieri, precisando che le regioni con le disparità più marcate sono l’Asia meridionale e quella sudorientale, dove circa l’80 per cento delle bambine che oggi non vanno a scuola — se non ci saranno cambiamenti rilevanti del trend attuale — non ci andranno mai. Gravi disparità, aggiunge l’Unesco, si registrano anche in Africa subsahariana e in alcuni Paesi arabi. «Non raggiungeremo mai gli obiettivi di sviluppo sostenibile se non lottiamo contro la discriminazione e la povertà che colpiscono la vita delle bambine e delle donne da una generazione all’altra», ha commentato il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova. Nominato dalla Comunità dell’Africa orientale Secondo l’Onu sono oltre 50.000 le vittime della guerra civile Mediatore per la pace in Burundi Per il Sud Sudan un dramma senza fine BUJUMBURA, 3. I capi di Stato della Comunità dell’Africa orientale (East African Community, Eac) hanno nominato ieri l’ex presidente della Tanzania, Benjamin Mkapa, mediatore per la soluzione della grave crisi politica e sociale in cui è caduto il Burundi da oltre dieci mesi. Si moltiplicano, dunque, gli sforzi degli Stati africani e della comunità internazionale per venire a capo di una situazione che rischia di esplodere in una guerra civile aperta. L’obiettivo principale di Mkapa sarà quello di far partire al più presto un dialogo pacifico tra Operazione antiterrorismo in Tunisia TUNISI, 3. È stata un’azione antiterrorismo, e non un attacco jihadista sventato, quella in cui ieri a Ben Guerdane, località tunisina vicino al confine con la Libia, cinque miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is) sono morti in scontri a fuoco con militari, nei quali ha perso la vita anche un civile. Secondo la versione del ministero dell’Interno di Tunisi, le forze di sicurezza hanno lanciato un rastrellamento su larga scala sulla base di informazioni d’intelligence che segnalavano l’ingresso dalla Libia di jihadisti in fuga dalla città di Sabrata. Stando alla ricostruzione ufficiale, unità della Guardia nazionale hanno scoperto un deposito di munizioni in una zona della città di Ben Guerdane. In seguito a questa scoperta alcuni veicoli con a bordo un gruppo di jihadisti sono stati intercettati e inseguiti. Ne è nato un conflitto a fuoco che ha costretto parte del gruppo a cercare riparo all’interno di un’abitazione e altri a fuggire. La casa è stata circondata e sul posto sono arrivati subito rinforzi. Alla fine delle operazioni, come detto, si contano cinque terroristi uccisi, cinque Kalashnikov, un’altra arma da guerra, munizioni calibro 7,62 mm, una cintura esplosiva, granate, tre autoveicoli e telefoni cellulari sequestrati. Un civile è morto a causa delle ferite da colpi di arma da fuoco riportate. D’altra parte per prevenire l’afflusso di miliziani dell’Is — che in vista di un’eventuale azione militare internazionale potrebbero fuggire dalla Libia — la Tunisia ha deciso di dispiegare unità militari lungo il confine di terra e di mare con il Paese. Per spiegare l’ampiezza dell’operazione, il dispositivo delle forze armate tunisine è stato rafforzato da unità della Guardia nazionale e della Dogana. Unità militari sono state dislocate lungo la frontiera occidentale per impedire ogni tentativo di infiltrazione da parte di cellule terroristiche e per stroncare anche il traffico di armi. Milioni di bambine non riceveranno mai un’istruzione Recenti disordini nella capitale Bujumbura Nasce il primo gruppo italiano dell’informazione ROMA, 3. Il Gruppo editoriale L’Espresso e la Itedi, editrice di quotidiani come «La Stampa» e «Il Secolo XIX», uniscono le loro forze in un accordo che porterà alla costituzione del primo polo editoriale e di comunicazione in Italia. L’operazione, annunciata ieri, prevede che sia il Gruppo L’Espresso a incorporare Itedi in una fusione che, secondo i dati di bilancio del 2015, porterà il nuovo aggregato a registrare un fatturato di 750 milioni di euro con la più alta redditività del settore, senza alcun debito. L’unione tra i quotidiani e i periodici dei due gruppi già oggi può contare nel suo insieme su circa 5,8 milioni di lettori e oltre 2,5 milioni di utenti giornalieri sui loro siti d’informazione. «L’accordo segna una svolta importante per il Gruppo L’Espresso che avvia oggi un nuovo percorso di sviluppo, garanzia di un solido futuro in un mercato difficile» ha dichiarato il presidente Carlo De Benedetti. Il presidente di Fca (che controlla Itedi), John Elkann, ha invece parlato della nascita di una nuova realtà «solida e integrata». L’operazione avviene «guardando al futuro» perché si tratta di «un avvincente progetto imprenditoriale nel mondo dei media» ha detto Elkann. In questo quadro, Fca ha annunciato la propria uscita dal settore editoriale, vendendo anche le proprie azioni in Rcs (la società che pubblica il «Corriere della Sera»), per concentrarsi sulle attività automobilistiche. L’intero riassetto dovrà venir approvato entro la fine di giugno con la firma degli accordi definitivi, mentre il perfezionamento della fusione tra i gruppi è invece atteso nel primo trimestre 2017. Governo e opposizioni al fine di evitare nuove violenze e sofferenze per la popolazione, e fare luce sulle denunce di violazione dei diritti umani. La nomina del nuovo mediatore è stata confermata dal presidente tanzaniano, John Magufuli, al termine di un vertice dell’Eac ad Arusha, località nel nord-est della Tanzania. Al summit hanno partecipato i capi di Stato di Kenya, Uganda, Rwanda e Tanzania. Mkapa — informa l’agenzia di stampa Afp — affiancherà il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni. Nelle intenzioni dei presidenti della Comunità dell’Africa orientale, la nomina dovrebbe dare slancio alla mediazione nel conflitto burundese, anche se il dialogo è in una fase di stallo perché il potere non accetta di fare sedere al tavolo delle trattative i rappresentanti delle opposizioni. Il 25 febbraio scorso una delegazione dell’Unione africana guidata dai presidenti della Mauritania, del Senegal, del Sud Africa, del Gabon e dell’Etiopia hanno incontrato a Bujumbura i rappresentanti del Governo burundese per favorire una distensione del clima tra le forze in campo. Da circa dieci mesi i sanguinosi combattimenti tra Governo e opposizioni hanno provocato la morte di oltre 400 persone e più di 200.000 profughi costretti ad abbandonare le proprie case. L’omicidio stradale diventa reato ROMA, 3. Diventa reato in Italia l’omicidio stradale. L’Aula del Senato ha approvato ieri in via definitiva il disegno di legge sul quale il Governo aveva posto la fiducia. La proposta è passata con 149 voti favorevoli, tre contrari e 15 astenuti, al termine di un lungo iter. Il progetto è in discussione da quattro anni. Con le nuove misure dunque l’omicidio stradale diventa un reato a sé, la cui pena può variare: da due a sette anni se l’omicidio è causato da una violazione del codice della strada; fino a dodici anni invece se la causa è la guida in stato di ebbrezza. Sono poi previste nuove norme sui conducenti dei mezzi pesanti, sulla revoca della patente in caso di condanna o patteggiamento e sui termini di prescrizione del reato. NEW YORK, 3. Sono almeno 50.000 le persone che hanno perso la vita nella guerra civile in corso nel Sud Sudan dal dicembre del 2013, quando il presidente, Salva Kiir, accusò il suo ex vice presidente, Riek Machar, di aver tentato un colpo di Stato. Lo denuncia un alto funzionario delle Nazioni Unite parlando di «50.000 morti, forse anche di più, 2,2 milioni di rifugiati e sfollati, carestia». Il funzionario delle Nazioni Unite ha inoltre affermato di riporre poche speranze nell’applicazione dell’accordo di pace raggiunto ad agosto. Da conflitto politico la guerra in Sud Sudan ha da subito assunto i caratteri di uno scontro etnico tra le tribù Dinka, alla quale appartiene Kiir, e quella dei Nuer da cui proviene Machar. E la crisi umanitaria peggiora di giorno in giorno: almeno 40.000 persone stanno morendo di fame mentre un quarto della popolazione ha urgente bisogno di aiuti alimentari. E questo anche se il Sud Sudan è ricco di acqua e terreni coltivabili nonché di petrolio. La nascita di uno Stato indipendente nel luglio del 2011 — è la Nazione più giovane del mondo — non è riuscita a porre rimedio alla radicale frammentazione del panorama politico ed etnico. Ed è questa la principale sfida — dicono gli analisti — che ogni Esecutivo sudsudanese si trova a dover affrontare. C’è poi il problema della ripartizione dei proventi del petrolio tra le varie comunità. Un aspetto controverso anche nei rapporti col Sudan. Si arrendono decine di terroristi di Boko Haram ABUJA, 3. In preda alla fame e agli stenti, decine di affiliati al gruppo terroristico Boko Haram si sono arresi ieri ai militari a Maiduguri, nel nord-est della Nigeria. Sempre per lo stesso motivo, già a settembre e ottobre scorsi centinaia di terroristi si erano consegnati ai militari di Abuja, che li avevano poi inviati in centri di riabilitazione. Una tendenza che dimostrerebbe, secondo gli analisti, «l’efficacia della politica di assedio» praticata dal Governo. Quest’ultimo sta tagliando le vie di rifornimento ai terroristi, che fuggono spesso nei Paesi confinanti. L’Italia ancora nella morsa del maltempo ROMA, 3. Non accenna a diminuire in Italia l’ondata di maltempo. La Protezione civile ha lanciato un nuovo allarme per le prossime ore. Previsti su gran parte della penisola pioggia, neve e forti raffiche di vento. Intanto, all’alba di oggi, un’auto che procedeva a Roma in via dei Colli Marini, all’altezza del chilometro 36 della via Laurentina, è stata colpita da un grosso albero. Due uomini sono morti, mentre una donna è ricoverata in gravissime condizioni. Nel dettaglio, l’allarme della Protezione civile prevede nevicate su Veneto, Emilia Romagna, Marche e Toscana nord orientale. Previsti inoltre venti di burrasca su Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Sardegna, con mareggiate lungo le coste. In arrivo forti temporali su Campania, Calabria e Basilicata, soprattutto sui settori tirrenici; tali fenomeni saranno accompagnati da attività elettrica, raffiche di vento e locali grandinate. Sull’Abruzzo, specie nei settori occidentali, ci saranno intense nevicate al di sopra degli 800 metri. Si prevedono infine venti molto forti su tutto il meridione, sul Lazio e sulla Sicilia, in particolare sui settori costieri, con mareggiate lungo le coste esposte. E per colpa del vento, una scuola è stata fatta sgomberare stamane nel napoletano. Le avverse condizioni meteorologiche della scorsa notte hanno infatti sollevato parte della guaina che ricopre l’ultimo piano della scuola Don Bosco a Qualiano. Dopo un sopralluogo, i vigili del fuoco hanno sgomberato l’edificio. Una tormenta di neve ha invece costretto l’Anas a chiudere un lungo tratto della strada statale 21 del Colle della Maddalena, in provincia di Cuneo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 4 marzo 2016 I protagonisti Emory Cohen e Saoirse Ronan Due scrittrici, due romanzi In cerca di un significato di GIULIA GALEOTTI a mia fede mi dice che Dio ha condiviso con il genere umano la povertà, la sofferenza e la morte, e questo può solo voler dire che sono cose piene di dignità e di significato». È un incontro delicato e dirompente quello che Marilynne Robinson pone al centro del suo ultimo romanzo Lila (Torino, Einaudi, 2015, pagine 273, euro 20). L’incontro tra la giovane protagonista, che ha trascorso infanzia e adolescenza nel mondo dei vagabondi senza tetto, e l’anziano e gentile reverendo John Ames: due mondi dell’America profonda che, seppur così terribilmente lontani, in modo quasi misterioso si scoprono capaci di riconoscersi, comprendersi e sostenersi a vicenda. Quando, dopo anni di vita dura, brutale, precaria ma anche calda (grazie alla donna che l’ha sottratta a una casa del tutto disinteressata a lei), la ragazza si accampa nella cittadina di Gilead e, per la prima «L di perdono. Così nelle sue pagine, con delicatezza e forza insieme, troviamo una concezione esplicitamente religiosa della vita. E se ne esce ritratta un’America piena di paure, che generano rabbia, la vera fede però — sembra dirci la scrittrice — è incompatibile con questo sentimento. Un cristiano non può vivere nella paura. Le domande di Lila sono continue, come le risposte del reverendo, meditate e sincere («Sai, ci sono cose a cui credo, cose che non riuscirei mai a dimostrare, ma ci credo tutto il giorno, tutti i giorni»). È il primo passo per costruire qualcosa insieme. «Lui disse: “Famiglia è una preghiera. Moglie è una preghiera. Matrimonio è una preghiera”». Dopo le nozze, il cammino di Lila verso la maternità è reso in pagine bellissime. Perché scoprendosi incinta, la ragazza si scopre figlia di una donna che, con i suoi poveri La scrittrice americana Marilynne Robinson volta nella sua vita, varca la soglia di una chiesa, ciò a cui aspira è solo un riparo momentaneo dalla pioggia battente, un ristoro per gli abiti fradici e la grande stanchezza. Suo malgrado, resterà invece abbagliata dalla bellezza delle candele accese, e dalla voce calda e possente del vecchio predicatore che, dal pulpito, la guarda. E la vede. Sono molti i temi che Robinson — che si autodefinisce «una scrittrice che vive reclusa nell’Iowa» — pone al centro del suo racconto. Innanzitutto il valore, e il peso, dei ricordi. Sebbene sia una donna ancora giovane, le ferite di Lila sono molte, tutte sostanzialmente riconducibili a una profonda solitudine. Perché se Doll, per sottrarla all’abbandono, al freddo e alla fame, l’ha rapita dandole quel che la bimba non ha mai conosciuto — il calore di una coperta, il dondolio di un abbraccio — resterà sempre il tarlo che qualcuno, per opportunità, possa tornare a reclamarla. Con parentesi più o meno fortunate, le due vagheranno nel cuore dell’America, crescendo insieme, dovendo però affrontare — come emergerà dai continui flashback di Lila – molte difficoltà e tanto dolore. Ecco dunque che la brutalità vissuta dalla giovane si scontrerà con la pacatezza del reverendo Ames, che, dal canto suo, ha il doppio dei suoi anni, altrettanti lutti, la responsabilità di molte anime e una fede profonda. Eppure anche per lui l’incontro con Lila significherà fare i conti con tanti ricordi. Perché in realtà se nulla al mondo parrebbe accomunarli, a unirli è proprio la fedeltà a quanto vissuto e la grande fame di risposte. Così, ancora una volta come già in altri suoi romanzi, è la calma sicurezza dell’umiltà raccontata da Marilynne Robinson a rendere rivoluzionari la sua narrazione e il suo sguardo. La fede profonda di Ames, si è detto: perché la religione è un altro dei grandi temi del romanzo. Calvinista, Robinson ha al centro della sua esistenza i concetti di grazia e mezzi, l’ha comunque salvata. Sentire il suo corpo diventare madre, è sentire l’enorme cambiamento interiore che si sta producendo. «In ottobre il bambino cominciò a muoversi. (...) Disse: “Bene, piccolo! Ti aspettavo”. (...) Aveva dimenticato che effetto faceva non essere da sola». Nel cambiamento quotidiano, la paura può, lentamente, iniziare ad abbandonare la ragazza. «Quando sentiva il bambino muoversi si ricordava di quando dormiva in grembo a Doll, irrequieta tra le sue braccia per via del caldo e dell’umidità». Perché il cerchio, in qualche modo, tra quello che si è ricevuto e quello che si è in grado di dare, si chiude. Proprio per questo movimento circolare in cui l’attesa di un bimbo sana un’infanzia di grande sofferenza, Lila ci riporta all’ultimo romanzo del premio Nobel Toni Morrison, Prima i bambini (Frassinelli, 2015, pagine 218, euro 19,50), il primo ambientato nell’America di oggi. Protagonista anche qui una ragazza, Bride, che si è vista privata dell’amore di una madre in un’infanzia dura e fredda, e che, una volta cresciuta, si trova costretta dalla vita a fare i conti con la bimba che fu. Il passo successivo non è sempre facile, ma scoprire il proprio corpo in via di cambiamento può essere non tanto la molla quanto la spia di un mutamento finalmente assorbito. Perché a volte le colpe dei padri possono non ricadere sui figli. «Poi le offrì la mano che lei desiderava da tutta la vita», scrive Morrison nella sua inconfondibile prosa, «la mano che non aveva bisogno di una bugia per concedersi, la mano della fiducia e della cura – una combinazione che alcuni definiscono amore naturale». La nera Bride e la bianca Lila. Così figlie e così madri, così diverse e così vicine. «Abbi pietà di noi, certo, ma noi siamo coraggiosi, pensò, e folli», scrive Robinson in chiusura, «in noi c’è più vita di quanto ne possiamo sopportare». Vecchio e nuovo mondo in un film di John Crowley Elogio di New York di EMILIO RANZATO Il regista irlandese John Crowley porta sullo schermo Brooklyn, un bestseller di Colm Tóibín, adattato per l’occasione da Nick Hornby. All’inizio degli anni Cinquanta la giovane Eilis (Saoirse Ronan), nata e cresciuta in una piccola città irlandese, decide di trasferirsi a New York per costruirsi un avvenire. Qui non solo trova un impiego in un grande magazzino, ma anche l’amore di Antonio, un idraulico italiano (Emory Cohen) che la convince a sposarsi dopo un brevissimo fidanzamento. Tornata in Irlanda per un lutto familiare, però, Eilis, che ha tenuto nascosto il matrimonio ad amici e parenti, conosce Jim, un ragazzo di buona estrazione. Anche per il lavoro, inoltre, la situazione da quelle parti sembra nel frattempo essere migliorata. La ragazza dovrà dunque decidere se liquidare la sua trasferta oltre oceano come un errore di gioventù, e riconciliarsi di conseguenza con le proprie radici, o portare definitivamente avanti il nuovo progetto di vita. Candidato ai premi Oscar per la sceneggiatura e l’interpretazione di Saoirse Ronan, nonché come miglior film, questo racconto di maturazione, più che di formazione, per due terzi della sua durata sembra fare di tutto per essere semplicemente un film “carino”. Il plot nudo e crudo strizza più di un occhio al romanzo Tratto da un romanzo di Colm Tóibín «Brooklyn» racconta la storia di tutta una generazione di donne Il discorso femminista s’incrocia con il sogno americano d’appendice — come nell’episodio della tragedia familiare, abbastanza gratuito — mentre l’incontro-scontro con una nuova realtà che dovrebbe sconcertarla, per la protagonista si risolve serenamente in breve tempo, dato che tutti attorno a lei sembrano essere quanto mai prodighi di comprensione, mentre scetticismi e cattiverie iniziali si fermano a innocenti frecciatine. Infine, l’estetica della fotografia è domi- nata da tonalità pure che la rendono immediatamente accattivante, ma che stemperano anche inevitabilmente il tasso drammatico della storia e soprattutto la dicotomia fra vecchio e nuovo mondo. Anche perché lo sguardo con cui Crowley inquadra New York è più vicino a Leone che a Vidor, si tratta cioè di una metropoli più immaginata che reale. Finché il film si mantiene su un piano intimista, tutto ciò appare come un limite. Nella mezz’ora finale, però, lo sguardo si allarga, e soprattutto si innalza. Da contingente e piuttosto minuta, la storia di Eilis si allarga dunque fino a comprendere in sé l’esperienza di tutta una generazione di donne. Quella che ha rischiato di trovarsi in una disorientante terra di nessuno fra il giogo ancora ben serrato del mondo maschile — per certi versi paradossalmente rassicurante — e la vera, completa emancipazione. In tal senso le scelte che la giovane farà, la ergeranno a simbolo di donna nuova, capace di traghettare idealmente le proprie coetanee verso una maggiore consapevolezza di sé e soprattutto dei propri diritti. Il discorso femminista si incrocia dunque con un elogio dell’America fonte di opportunità, peccando forse in questo un po’ di ingenuità, data l’immagine in fin dei conti opprimente che la Storia con la s maiuscola ha restituito della donna americana degli anni Cinquanta, almeno vista con occhi contemporanei. Ma ciò che interessa al racconto è soprattutto la New York che abbraccia culture diverse e soprattutto azzera le classi sociali. Dove una donna può sentirsi libera di non cercare “un buon partito”, come a Eilis viene caldamente consigliato dalla madre, ma semplicemente un uomo da amare. Un elogio, dunque, per una volta davvero condivisibile e motivato. Così come più unica che rara è la descrizione senza stereotipi — fatta eccezione per gli obbligatori spaghetti — della famiglia di immigrati italiani cui appartiene Antonio, giovane senza ombre e dalla nobiltà d’animo. Può dispiacere che l’emancipazione della protagonista passi anche attraverso un matrimonio in municipio, ma si tratta semplicemente di un gesto di discontinuità nei confronti dell’Irlanda e del proprio passato, come conferma la figura non secondaria di un prete (Jim Broadbent), delineata con tratti molto positivi. Col senno di poi, dunque, lo stile controllatissimo di Crowley, anziché apparire inamidato, risulta carico di una tensione impercettibile, quasi alla Douglas Sirk. Una scena del film Semmai lascia perplessi la trasformazione camaleontica del suo cinema, che a inizio carriera era nevrotico e aggressivo, quasi sulla scia del Dogma scandinavo. Ronan, che ricordiamo bambina in Espiazione (2007), per il quale fra l’altro aveva già ricevuto una nomination all’Oscar, non deve fare in fondo niente di trascendentale, ma offre comunque una prova intensa capace di esplicitare sul piano squisitamente emotivo ciò che una sceneggiatura piuttosto snella tralascia volutamente di dire. Oltre il Sacro Ogni anno nel duomo di San Giacomo di Innsbruck durante la quaresima la rassegna Kunstraum Kirche promuove il dialogo tra tradizione e modernità negli spazi sacri, attraverso l’installazione di opere d’arte contemporanea. Fin dal diciannovesimo secolo la chiesa era tra i principali committenti di opere d’arte, oltre a essere il luogo dove le stesse venivano esposte. Continuando questa tradizione Kunstraum Kirche vuole rinnovare, in chiave moderna, la collaborazione tra chiesa e artisti che ai giorni nostri si stava perdendo. Il comitato scientifico, da venticinque anni, seleziona un artista per produrre un’opera da collocare all’interno del duomo durante il periodo che va dal mercoledì delle Ceneri fino a Pasqua; l’edizione 2016 vede come protagonista l’artista italiana Annamaria Gelmi con l’installazione Oltre il Sacro, dedicata al simbolo della croce, portatore di molti significati, non solo religiosi. Annamaria Gelmi cita spesso questo simbolo nelle sue opere, interpretandolo come una forma geometrica che richiama alla mente precise strutture architettoniche e un segno primordiale di ordine cosmico. A questo allude Oltre il Sacro. La grande croce alla base dell’altare, centrale rispetto al transetto, come uno specchio d’acqua, raddoppia la grandezza della cupola grazie a un effetto ottico, ma emana altresì un’intensa pulsione al trascendente. Così come la seconda croce, uguale e parallela alla prima, con il suo solo perimetro luminoso di colore rosso aggiunge, ai puri riferimenti architettonici, elementi emozionali che intrecciano un rapporto più personale con chi guarda, quasi a esprimere la tensione verso il mistero che è in ognuno di noi. venerdì 4 marzo 2016 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 5 Incontro con un gruppo del cristianesimo sociale francese Il Papa e i pesci rosa di JEAN-PIERRE DENIS ove va la Francia? Dove va l’Europa? Come rispondere alla crisi spirituale che il nostro Paese e il nostro continente attraversano? Come formulare una critica alla modernità che non sia reazionaria? Non ci si stupirà dunque se lo scambio verterà ampiamente sulla politica, nel senso lato del termine, includendo la sua dimensione spirituale. Ma al di là dei discorsi tenuti e dei temi affrontati, è lo stile a colpire. La semplicità evangelica, il contatto immediato, l’attenzione intensa. La disponibilità. L’uomo d’intuito non viene schiacciato dal peso D Conversazione sulla politica Nel pomeriggio del 1° marzo il Papa ha incontrato a Santa Marta una trentina di aderenti al movimento del cristianesimo sociale francese dei Poissons Roses e al connesso laboratorio di idee Esprit Civique. Sui contenuti dell’incontro pomeridiano, protrattosi per circa un’ora e mezza, il direttore del settimanale «La Vie» ha scritto sul sito internet della rivista un accurato resoconto dal titolo “Conversazione politica con Papa Francesco”, che pubblichiamo quasi per intero in traduzione italiana. dell’istituzione, cosa che sconvolge tanto i puristi attaccati a un papato gerarchico o dogmatico. All’inizio e alla fine del colloquio, non c’è una mano che non si sia stretta con attenzione, un volto che non si sia stato guardato. Davvero. Senza stancarsi. Il Papa stesso a un certo punto si alzerà per andare a cercare dell’acqua. Non per lui, ma per Carmen, la giovane traduttrice che ha fatto sedere al suo fianco, di fatto una militante di Esprit Civique. Ovvero come distinguere un maestro spirituale da una celebrità. «Emmanuel Lévinas fonda la sua filosofia sull’incontro con l’altro» riassume Francesco. «L’altro ha un volto. Occorre uscire da se stessi per contemplarlo». L’avventura delle caravelle avrebbe dunque qualcosa di metafisico? «Da Magellano in poi, si è imparato a guardare il mondo a partire dal sud. Ecco perché il mondo si vede meglio dalla periferia che dal centro e io capisco meglio la mia fede a partire dalla periferia: ma la periferia può essere umana, legata alla povertà, alla salute, o a un sentimento di periferia esistenziale». Si capisce così l’importanza che questa tematica ha assunto nella predicazione di Francesco. Da qui una riflessione su ciò che gli ispanici e gli anglofoni chiamano “globalizzazione” e noi “mondializzazione”. «C’è qualcosa che mi preoccupa», dice il Papa. «Certo, la globalizzazione ci unisce e ha dunque aspetti positivi. Ma credo che ci siano una globalizzazione buona e una meno buona. La meno buona può essere rappresentata da una sfera: ogni persona si trova a eguale distanza dal centro. Questo primo schema distacca l’uomo da se stesso, lo uniformizza e alla fine gli impedisce di esprimersi liberamente. La globalizzazione migliore sarebbe piuttosto un poliedro. Tutti sono uniti, ma ogni popo- lo, ogni nazione, conserva la sua identità, la sua cultura, la sua ricchezza. La posta in gioco per me è questa globalizzazione buona, che ci permette di conservare ciò che ci definisce. Questa seconda visione della globalizzazione permette di unire gli uomini pur conservando la loro singolarità, il che favorisce il dialogo, la comprensione reciproca. Affinché ci sia dialogo, c’è una condizione sine qua non: partire dalla propria identità. Se non sono chiaro con me stesso, se non conosco la mia identità religiosa, culturale, filosofica, non posso rivolgermi all’altro. Non c’è dialogo senza appartenenza». «L’unico continente che può apportare una certa unità al mondo è l’Europa», aggiunge il Papa. «La Cina ha forse una cultura più antica, più profonda. Ma solo l’Europa ha una vocazione di universalità e di servizio». Francesco ritorna allora sul tema del suo discorso di Strasburgo, del 25 novembre 2014, quando ha paragonato l’Europa a una nonna un po’ stanca. «Ma ecco la madre è diventata nonna» sorridecon un filo di ironia. Penso ai racconti biblici, alla vecchia Sara che ride quando viene a sapere che rimarrà incinta. La domanda può sembrare strana, ma non riesco a non farla. È troppo tardi? La nonna può ridiventare una giovane madre? «Un capo di Stato mi ha già posto questa domanda» mi risponde il Papa. «Sì, può. Ma ad alcune condizioni. La Spagna e l’Italia hanno un tasso di natalità vicino allo zero. La Francia se la cava meglio, perché ha costruito una politica familiare che favorisce la natalità. Essere madre significa avere dei figli». Ma il rinnovamento non può essere solo quantitativo. «Se l’Europa vuole ringiovanire, deve ritrovare le proprie radici culturali. Tra tutti i Paesi occidentali, l’Europa ha le radici più forti e più profonde. Attraverso la colonizzazione, queste radici hanno raggiunto persino il nuovo mondo. Ma dimenticando la propria storia, l’Europa s’indebolisce. È allora che rischia di divenire un luogo vuoto». L’Europa è diventato un luogo vuoto? La frase è forte. Centra l’obiettivo e fa male. Ed è anche angosciante. Perché nella storia delle civiltà il vuoto chiama sempre il pieno. E allora il Papa fa un’analisi clinica. «Possiamo parlare oggi di un’invasione araba. È un fatto sociale» afferma con distacco, come se osservasse che il tempo è freddo. Ma aggiunge subito — e i teorici della “grande sostituzione”, cara all’estrema destra, resterebbero allora delusi — «quante invasioni ha conosciuto l’Europa nel corso della sua storia! Ma ha sempre saputo superare se stessa, andare avanti per ritrovarsi poi come accresciuta dallo scambio tra le culture». Quale uomo di Stato porterà un simile rinnovamento? «A volte mi domando dove troverete uno Schumann o un Adenauer, questi grandi fondatori dell’Unione europea» sospira il Papa. E continua a parlare della crisi in Europa, minata dagli egoismi nazionali, dai piccoli mercanteggiamenti e dai giochi poco lungimiranti. «Si confonde la politica con soluzioni di circostanza. Certo, occorre sedersi al tavolo dei negoziati, ma solo se si è consapevoli che biso- gna perdere qualcosa perché tutti ci guadagnino». «La vostra laicità è incompleta... Occorre una laicità sana». Restaurare la grande Europa, reinventare la Francia. «Siamo venuti per parlarvi del nostro Paese» afferma Philippe de Roux [fondatore dei Poissons roses]. «La Francia ha bisogno di essere scossa... Quale messaggio desidera trasmetterle?». Il Papa sorride, con tono scherzoso: «Nel mondo ispanico si dice che la Francia è la primogenita della Chiesa, ma non per forza la figlia più fedele». Ma, pur affermando di doverle molto sul piano spirituale, il Papa ammette di conoscere male la realtà del nostro Paese. «Sono stato solo tre volte in Francia, a Parigi, per riunioni con i gesuiti, quando ero provinciale. Non conosco dunque il vostro Paese. Direi che esercita un certo fascino, ma non so esattamente in che senso... In ogni caso, la Francia ha una fortissima vocazione umanistica. È la Francia di Emmanuel Mounier, di Emmanuel Lévinas o di Paul Ricoeur». Un cattolico, un ebreo, un protestante! «Da un punto di vista cristiano, la Francia ha dato i natali a numerosi santi, uomini e donne di finissima spiritualità. Soprattutto tra i gesuiti, dove accanto alla scuola spagnola, si è sviluppata una scuola francese, che io ho sempre preferito. La corrente francese comincia molto presto, fin dalle origini, con Pierre Favre. Ho seguito questa corrente, quella di padre Louis Lallemant. La mia spiritualità è francese. Il mio sangue è piemontese, è forse questa la ragione di una certa vicinanza. Nella mia riflessione teologica mi sono sempre nutrito di Henri de Lubac e di Michel de Certeau. Per me, de Certeau resta a tutt’oggi il più grande teologo». E su un piano politico? «La Francia è riuscita a instaurare nella democrazia il concetto di laicità. È una cosa sana. Oggi uno Stato deve essere laico. La vostra laicità è incompleta. La Francia deve diventare un Paese più laico. Occorre una laicità sana [saine]». Una laicità santa [sainte], riprende garbatamente la nostra interprete, Carmen Bouley de Santiago. In poche parole, si capisce che la “sana laicità” di cui parla il Papa si oppone comunque un po’ a quella santa laicità che è divenuta la nostra religione civile. È una laicità inclusiva, che lascia spazio al senso, allo spirituale, all’espressione delle convinzioni. «Una laicità sana include un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche. D’altro canto anche un laico può avere un’interiorità» aggiunge il Papa, accompagnando la parola con un gesto della mano che parte dal cuore. «Perché la ricerca della Giotto, «Francesco che dona il mantello a un povero» (1295-1299, Assisi, basilica superiore) trascendenza non è solo un fatto [hecho], ma un diritto [derecho]». Gioco di parole molto spagnolo tra hecho e derecho che si applica perfettamente a una laicità troppo francese, che prende in considerazione il “fatto religioso”, pur volendo negare alla religione il diritto di cittadinanza rinchiudendola nella sfera privata. «Una critica che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo legata alla filosofia dell’illuminismo, per il quale le religioni erano una sottocultura. La Francia non è ancora riuscita a superare questo retaggio». Discorsi che non mancheranno di preoccupare coloro per i quali l’illuminismo deve restare un indispensabile punto di riferimento della Repubblica, posta al di sopra di ogni sospetto, persino della filosofia del sospetto. Ma che fanno anche reagire Jérôme Vignon [presidente delle Settimane sociali di Francia], il quale considera il quadro della laicità alla francese un po’ troppo nero e non vuole che a Roma si creda che la Chiesa è schiacciata o si schiaccia. «La sua analisi è un po’ dura, Santo Padre. In Francia si sta svolgendo un vero dibattito sulla laicità e il clero difende la visione della laicità da lei evocata». «Tanto meglio!», esclama Francesco, con aria sinceramente allegra. Il fondo della critica rimane ed è incisi- smarriti nell’ideologia del denaro. Ecco il nemico: la dipendenza dal vitello d’oro. Quando leggo che il venti per cento dei più ricchi possiede l’ottanta per cento delle ricchezze, non è normale. Il culto del denaro è sempre esistito, ma oggi questa idolatria è diventata il centro del sistema mondiale». Davanti a questo areopago di cristiani sociali, il Papa si lancia quindi in un inaspettato elogio di Christine Lagarde, a capo del Fondo monetario internazionale (Fmi). «Una donna intelligente. Sostiene che il denaro deve essere al servizio dell’umanità e non il contrario». Per il Papa, che dice di non avere la fobia del denaro, la posta in gioco consiste nel «collegare la finanza e il denaro a una spiritualità del bene comune». Per il Papa il rinnovamento del cristianesimo passa, come si sa, per la misericordia. «In latino è il cuore che si china da- vo. Una laicità troppo rigida crea un vuoto che altre forze colmano. «Quando un Paese si chiude a una concezione sana della politica finisce per essere prigioniero, ostaggio di colonizzazioni ideologiche. Le ideologie sono il veleno della politica. Si ha il diritto di essere di destra o di sinistra. Ma l’ideologia toglie la libertà. Già Platone solleva la questione in Gorgia quando parla dei sofisti, gli ideologi dell’epoca. Diceva che erano per la politica come i cosmetici per la salute. Gli ideologi mi fanno paura». In un contesto caratterizzato dall’aumento dei populismi, sul quale lo interroga in particolare il deputato Dominique Potier [presidente e cofondatore del laboratorio di idee Esprit Civique], il Papa fa riferimento a un’altra pratica della politica, fondata sulla ricerca del consenso, il senso delle responsabilità, il superamento dei divari. «Se si vuole evitare che tutti vadano verso gli estremi, occorre nutrire l’amicizia e la ricerca del bene comune, al di là delle appartenenze politiche». «Il mio avversario è la finanza» diceva Hollande. Ma che i Poissons roses mi perdonino, questa volta è per davvero. «L’ideologia e l’idolatria del denaro» sono i due grandi mali siamesi che il Papa denuncia, collegando in modo molto originale i due concetti, per non dire due strutture di peccato, in apparenza molto distanti. «Gli avversari di oggi sono il narcisismo consumistico e tutte le parole che finiscono in “ismo”» insiste. «Ci siamo rinchiusi in una dipendenza più forte di quella provocata dalle droghe, accantonando l’uomo e la donna per sostituirli con l’idolo del denaro. È la cultura del rifiuto». Si potrebbe tradurre anche con esclusione. El descarte dice in spagnolo questo Papa, che spesso parla di “cultura dello scarto”, a proposito del modo in cui vengono trattati i più deboli, le persone anziane. «Un ambasciatore venuto da un Paese non cristiano mi ha detto: ci siamo vanti alla miseria. Ma se si segue l’etimologia ebraica, non è più solo il cuore a essere toccato, ma anche le viscere, il ventre materno, quella capacità di sentire in modo materno, dall’utero. In entrambi i casi si tratta di uscire da se stessi». Decentrarsi, andare verso, rischiare il dialogo. Il tema ricorrente della conversazione è quello del pontificato. La misericordia, d’altronde, per il Papa venuto dal Sud, è l’altro nome dell’umanesimo. «Mettiamo da parte la dimensione religiosa» osa dire Francesco. «La misericordia è la capacità di commuoverci, di provare empatia. Consiste anche, dinanzi a tutte le catastrofi, nel sentirsene responsabili. Nel dirsi che bisogna agire. Non riguarda quindi soltanto i cristiani, ma tutti gli esseri umani. È un appello all’umanità». La delegazione comprende una intellettuale musulmana, Karima Berger. La nuova presidente dell’associazione degli scrittori credenti di lingua francese, che lei stessa ha ribattezzato Écriture et Spiritualités, è molto soddisfatta. L’impatto del tema della misericordia, di fatto, va al di là del mondo cristiano. Nell’islam Dio viene definito misericordioso, osserva. Il Papa coglie la palla al balzo. È rimasto visibilmente colpito dal suo recente viaggio nella Repubblica Centrafricana. «Lavoriamo molto al dialogo tra cristiani e musulmani. In Centrafrica c’era armonia. D’altronde è un gruppo che del resto non è musulmano ma che ha cominciato la guerra. La presidente di transizione, cattolica praticante, era amata e rispettata dai musulmani. Sono andato nella moschea. Ho chiesto all’imam se potevo pregare. Mi sono tolto le scarpe e sono andato a pregare. Ogni religione ha i suoi estremisti. Le degenerazioni ideologiche della religione sono all’origine della guerra». Francesco ci annuncia quindi che sta preparando un importante incontro con la più alta istituzione del mondo sunnita, l’università di Al Azhar, al Cairo, che ha avuto relazioni tese con il Vaticano in particolare ai tempi di Benedetto XVI. «Bisogna dialogare, dialogare ancora» conclude, riprendendo l’imperativo categorico che aveva formulato a proposito della globalizzazione e che è forse il segreto della sua pedagogia, della sua singolarità e della sua popolarità. Il tempo di consegnargli una copia di «La Vie» e purtroppo il nostro dialogo si conclude. Ma tutto è chiaro. Il Papa informale sa bene dove vuole portare la Chiesa: fuori dalle mura, al rischio dell’incontro. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 4 marzo 2016 Affresco dedicato a Maryam all’interno della chiesa ortodossa etiopica di Ura Kidane Mehret nella penisola di Zege Appello dei vescovi Corruzione e terrorismo soffocano la Nigeria di EGIDIO PICUCCI Tra le Chiese ortodosse in cui il silenzio della Scrittura sulla Vergine Maria non ha impedito il fiorire di un culto mariano particolarmente vivace, e per molti versi più intenso di quello cattolico, spicca la Chiesa etiopica, la cui tradizione afferma l’esistenza di uno speciale rapporto fra la nazione e la Madonna. Esso sarebbe nato dal fatto che la sacra famiglia, in fuga da Erode, lasciò l’Egitto e si fermò nel Paese africano, che le riservò un’eccezionale accoglienza. Per questo Gesù l’avrebbe donato a sua madre come “decima dell’Universo”, con una specie di investitura feudale. Alla Madonna “etiope” compete, quindi, non solo il titolo relativo al “feudo dell’Etiopia”, come riconosciuto da tutti, ma anche l’onore di ricordare quella lontana ospitalità con il Kidane Mehret (Patto di misericordia), la cui festa si celebra il 10 febbraio. La tradizione aggiunge che, dopo la donazione, Gesù avrebbe chiesto a sua Madre che cosa avrebbe potuto fare ancora per lei, ricevendone questa risposta: «Vorrei che quanti invocano il mio nome e saranno miei devoti, siano salvati dall’inferno». Gesù, a sua volta, avrebbe risposto: «Chiunque mi pregherà in tuo nome, d’ora in poi non perirà più, né in questo mondo né in quello futuro, perché io sarò per lui un benevolo intercessore presso il Padre mio celeste. Le genti etiopi ti appartengono». Il Patto di misericordia costituisce in qualche modo il fondamento di tutta la devozione mariana, così notevole e profonda in Etiopia e in Eritrea, dov’è chiamato “velo di misericordia”. È commemorato nelle feste, cantato negli inni, ricordato nelle preghiere. I copti, insomma, onorano Maria con una devozione veramente filiale e sono convinti che, grazie a lei, la loro salvezza sia “necessariamente” assicurata. Ovviamente non è facile sapere esattamente fino a che punto sia stato ratificato in cielo un patto così singolare, ma è certo che l’Etiopia può vantarsi di aver sempre goduto di una protezione sicuramente provvidenziale. Infatti, mentre le grandi Chiese del continente, così importanti, ricche e splendenti come fari sulle coste del Mediterraneo quando ancora l’Etiopia non contava che un pugno di cristiani, si sono lentamente disgregate, soccombendo sotto i colpi o delle eresie o dell’islam, quella etiopica è tuttora viva e operosa. Il patto ha una tale importanza che lo si potrebbe definire il coronamento del Vecchio e del Nuovo Testamento. Il primo è un patto limitato al popolo eletto, e ha come simbolo la circoncisione; il secondo è stipulato tra Dio e il genere umano redento, cioè “ricomprato” a prezzo di sangue, e ha per simbolo la croce. Il Patto di misericordia diventa quasi un “terzo testamento”, e ha come simbolo la compassione della Madonna per tutti i bisognosi. La gente lo sa bene, e per questo affolla le chiese e i monasteri, su altipiani vulcanici di duemila metri, con cime che superano i quattromila, e dove le pietre sono “vive” perché risuonano dei canti e di preghiere in onore di Mariam, la cui presenza tra il popolo unifica i tre gruppi cristiani presenti nel Paese: gli ortodossi (copti), i cattolici di rito etiopico e quelli di rito romano. In Etiopia, l’80 per cento delle chiese sono dedicate a Maria, sotto diversi titoli, per cui non vi è città o villaggio che non abbia almeno una chiesa che la ricordi. L’anno liturgico etiope comprende ben trentatré feste mariane, suddivise in feste mensili e annuali. Ogni mese ha tre giorni dedicati alla Madonna: il primo del mese (con la festa della natività), il 16 (con la festa di Maria sotto il titolo di Kidane Mehret) e il 21, quando si festeggia il “giorno di Maryam”, in cui cadono quasi tutte le altre feste annuali. La devozione alla Madonna si esprime anche nell’usanza di “marianizzare” i nomi propri (nessuno oserebbe essere chiamato col solo Alle origini del fondamento mariano della Chiesa etiopica Kidane Mehret il patto della misericordia nome di Maria) come: Haile Maryam, Habte Maryam, Ghebre Maryam e Fekre Maryam (che si traducono rispettivamente “forza”, “dono”, “servo” e “amore di Maria”). La Madonna è invocata e venerata soprattutto come mediatrice e madre di misericordiosa, tanto che, se la festa dell’Assunta è la più solenne, quella di Kidane Mehret è la più affollata. Questa fede sulla misericordia, oltre a essere basata sulla dottrina ufficiale della Chiesa (l’attuale Giubileo della misericordia ne è una conferma), è descritta anche in due racconti apocrifi del Medio oriente, conosciuti nel Paese fin dal 1400, e chiamati “la preghiera della Vergine al Golgota” e “la preghiera della Vergine a Parthos”. Inoltre, fra le numerosissime preghiere composte dalla pietà etiopica in onore di Mariam, primeggia il weddase Mariam (lodi di Maria), re- citato tutti i giorni, riportato in molti manoscritti e fatto risalire a sant’Efrem il siro o all’innografo Simone il vasaio, fervente cristiano e devotissimo della Madonna, la quale in ringraziamento gli garantì la gloria eterna. Le lodi assomigliano vagamente all’Akathistos — uno tra i più famosi inni che la Chiesa ortodossa dedica alla Theotokos, Madre di Dio — per i titoli, propri della poesia orientale, e il cui lirismo talora esagerato potrebbe sminuirne il valore. Le lodi sono divise in sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana. In uno di essi si legge: «Salve agli occhi tuoi, simili a due candele che il divino artefice pose sulla torre alta del tuo corpo. Tu, o Maria, sei la sorgente della compassione e della clemenza: salvami, per la tua alleanza, dalla perdizione, poiché non c’è nessuno, come te, che possa salvarmi». ABUJA, 3. Porre fine alle continue e sanguinose violenze di Boko Haram, lotta alla corruzione e sviluppo dell’economia per migliorare le condizioni di vita generali. Sono queste le principali raccomandazioni rivolte al Governo dai vescovi nigeriani al termine della loro prima assemblea plenaria del 2016 svoltasi nei giorni scorsi sul tema «La Chiesa cattolica: promuovere la misericordia, la giustizia sociale e la pace». Quanto alla piaga del terrorismo che continua ad affondare i colpi nel Nord del Paese, i presuli esprimono gratitudine alle forze armate nazionali per il loro servizio contro la minaccia costituita da Boko Haram, ma notano che questa setta fondamentalista, dopo aver perso il controllo di ampie porzioni di territorio, continua a condurre attacchi contro «obiettivi indifesi come i campi per sfollati, i mercati e i parchi». Del resto, proprio un recente rapporto diffuso dall’organizzazione internazionale Open Doors ha ben delineato le dimensioni di una persecuzione religiosa che ha fin qui fatto dalle 9.000 alle 11.500 vittime (secondo una stima prudente) e che, negli ultimi 15 anni, ha costretto 1,3 milioni di cristiani ad abbandonare le proprie terre. A ciò deve aggiungersi che 13.000 chiese sono state distrutte o costrette a chiudere i battenti; migliaia di attività economiche, proprietà e case di cristiani sono state ridotte in cenere. A causa delle violenze, afferma il rapporto, in alcune aree della Nigeria del Nord, «la presenza cristiana è stata virtualmente cancellata o consistentemente diminuita, mentre in altre aree il numero di fedeli nelle chiese è cresciuto a causa del flusso di cristiani in fuga dalle violenze». In conseguenza di ciò, «la coesione sociale tra musulmani e cristiani è stata messa in pericolo», mentre «la reciproca fiducia è sostanzialmente scomparsa». Nel comunicato diffuso al termine dei lavori, i presuli inco- Conclusa l’assemblea plenaria di Recowa-Cerao Fede e speranza contro i mali dell’Africa ACCRA, 3. La crescente insicurezza, legata in particolare agli attacchi terroristici che hanno colpito Nigeria, Mali, Burkina Faso, Camerun e Ciad; le persecuzioni contro i cristiani e «il non rispetto della libertà religiosa e l’imposizione da parte dello Stato di una fede a tutti i cittadini»; i fenomeni migratori che portano un numero importante di giovani africani verso orizzonti incerti, spesso a rischio della loro vita; «il malgoverno, la corruzione, le ingiustizie sociali e i loro corollari». È lungo l’elenco delle preoccupazioni espresse nel comunicato finale dell’assemblea plenaria delle Regional episcopal conferences of West Africa (Recowa) e della Conférence episcopale régionale de l’Afrique de l’O uest francophone (Cerao), organismi che riuniscono gli episcopati dell’Africa occidentale. L’incontro si è tenuto ad Accra, in Ghana, dal 22 al 29 febbraio. Tra le sfide da affrontare, sul piano pastorale, i vescovi — riferisce l’agenzia Fides — hanno indicato la famiglia «colpita da sconvolgimenti di ogni natura, in particolare l’unione omosessuale e la legalizzazione forzata dell’aborto», il dialogo interreligioso, la formazione dei cristiani, «il sincretismo religioso e la defezione dei fedeli verso nuovi gruppi e movimenti religiosi»; lo sfruttamento commerciale della religione, la disoccupazione giovanile e il depauperamento delle popolazioni. «Di fronte a tali sfide — affermano — esortiamo i cattolici a perseverare nella fede». I politici vengono invece esortati a «promuovere il buon governo e l’equità nella gestione del bene comune» e i giovani a «non perdere la speranza, ma a credere nella possibilità di realizzare la propria vita e il proprio benessere sul continente africano». Circa centocinquanta i vescovi intervenuti ad Accra. L’assemblea aveva per tema «La nuova evangelizzazione e le sfide alla Chiesa famiglia di Dio nell’Africa occidentale: riconciliazione, sviluppo, via della famiglia». Le Recowa riuniscono gli episcopati di Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea, Guinea-Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal e Togo. Della Cerao fanno parte Gambia, Ghana, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Presidente di Recowa-Cerao è il cardinale Théodore Adrien Sarr, arcivescovo emerito di Dakar. raggiano dunque «il governo e le agenzie di sicurezza a fare il possibile per sconfiggere l’insorgenza e prevenire la perdita di ulteriori vite umane». Di qui l’incessante preghiera «perché Dio accordi la sua misericordia a coloro che sono morti in questa guerra», scrivono i vescovi, che chiedono «strategie alternative per far cessare il terrorismo» Parlando a margine della plenaria il cardinale arcivescovo di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, ha esortato tutti i nigeriani a sostenere la nazione: «Dobbiamo mobilitarci tutti, senza sottovalutare l’importanza delle “armi spirituali” perché le sfide del Paese hanno profonde radici morali». Di qui, l’appello del porporato a ogni cittadino perché «l’incapacità di affronta- e indennizzi a favore delle vittime di Boko Haram. Per quanto riguarda la lotta alla corruzione si ricordano le parole di Papa Francesco, che ha più volte severamente condannato tale comportamento definendolo come «un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale». Infatti, «la corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri». Accanto alla lotta alla corruzione si chiede poi di affrontare la povertà e le ineguaglianze sociali, «diversificando l’economia», attualmente dipendente soprattutto dalle esportazioni del petrolio, e «investendo nelle infrastrutture di base per promuovere un sano tessuto imprenditoriale costituito da imprese medio-piccole». re in modo adeguato l’insurrezione terroristica è strettamente legata alla massiccia corruzione criminale» nel Paese. Tuttavia, ha ammonito, di fronte al ripetersi di episodi di corruzione non deve prevalere solo la protesta: «Dobbiamo cercare un modo positivo ed efficace di andare avanti, guardando ai nostri valori comuni spirituali e religiosi». Infatti, ha ribadito il porporato, «da molti anni la Chiesa sta conducendo una guerra contro la corruzione con le armi appropriate della preghiera e dell’esortazione», perché per rifondare adeguatamente il Paese «bisogna andare al di là dei processi legali e puntare a una seria rinascita morale, nazionale e spirituale». La strategia da mettere in atto, allora, ha suggerito il porporato, può essere quella «delle tre “r”, ovvero pentimento (in inglese repentance), riparazione e riconciliazione». L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 4 marzo 2016 pagina 7 di LUIGI CIOTTI Chi ha gioito per le parole di Papa Francesco sulla mafia e sulla corruzione — come prima per quelle di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI — non può che trovare interessante e utile questo libro di Rosario Giuè. Giuè prende spunto da testi e documenti ufficiali per mettere in risalto come negli ultimi trent’anni — cioè da quando il tema è stato oggetto di considerazione — la posizione della Chiesa nei riguardi delle mafie sia stata, salvo eccezioni, in prevalenza prudente o “distratta”, caratterizzata da sottovalutazioni o da letture troppo generiche. In queste pagine si entra nei dettagli, si citano date, nomi e circostanze, ma l’intento principale è un altro: si avverte il bisogno di capire, di cercare a fondo le ragioni di un atteggiamento nel complesso “tiepido”, dunque stridente non solo con le parole di tre Papi, ma con gli esempi di coraggio e coerenza che pure non sono mancati. Per Giuè l’origine di questo atteggiamento è da ricercare, al di là dei singoli casi, in un ritardo culturale. La Chiesa che non co- La Chiesa in Italia di fronte al potere mafioso Non si può restare in silenzio gunto ma Palermo. Povera Palermo!» — ma non il discorso pronunciato davanti ai palermitani il 22 novembre 1981, domenica di Cristo Re, quando senza mezzi termini denunciò la mafia come un «macchinoso intreccio fra delinquenza comune che agisce allo scoperto e occulti manovratori che operano sotto abili coperture e protezioni». Ebbene Pappalardo, invitato nell’aprile del 1985 al convegno della Conferenza episcopale itaNella capacità di denunciare l’assoluta inconciliabilità liana (Cei) a Loreto, del Vangelo con le mafie è in gioco la stessa credibilità parlerà di un «fenodella Chiesa in Italia. È questo il motivo ispiratore meno che coinvolge del libro Vescovi e potere mafioso (Assisi, Cittadella le Chiese ben oltre i editrice, 2015, pagine 184, euro 14,90) funerali di cui la stoscritto da Rosario Giuè, prete palermitano già parroco ria recente ci ha ora Brancaccio, uno dei quartieri più difficili del mai assuefatti» e invicapoluogo siciliano. Pubblichiamo la prefazione a firma terà a un esame di del sacerdote fondatore di Libera, associazione coscienza: «Si tratta impegnata nel contrasto della criminalità organizzata. dunque di confessare la colpa per quanto di complicità, almeno in negativo, o di amglie la rilevanza sociale della ma- biguità, in qualunque senso le cofia, parlandone al limite soltanto munità ecclesiali abbiano eventualcome un fatto criminale, è in parte mente commessa o omessa». “figlia” di quella concezione della È già ben presente, come è chiafede che si è opposta — o ha accol- ro, la consapevolezza che in certe to solo in parte — il grande rinno- sue espressioni la Chiesa non solo vamento del concilio Vaticano II, è stata tiepida sulla questione mala speranza di una Chiesa del fiosa, ma che tolleranza e sommamondo e nel mondo, attenta a rietà di giudizio sono sfociate a quelli che Papa Giovanni definì i volte in comportamenti ambigui se “segni dei tempi”, presente nella non apertamente complici. Ha giostoria non tanto per affermare o cato qui un ruolo determinante il difendere la dottrina, ma per farne terribile equivoco sulla “religiosità” strumento di Vangelo, cioè di libe- dei mafiosi, religiosità ostentata razione dell’uomo anche su questa quanto strumentale che ha permesterra. so loro di accreditarsi come cristiaSulla scorta di una puntuale ni devoti e di ottenere indulgenze analisi dei testi, Giuè mette in luce non dovute, quelle che indussero come il tema e la stessa parola ma- una figura autorevole come padre fia abbiano faticato a emergere e Bartolomeo Sorge a queste parole: acquistare la priorità dovuta, nono- «Non si potrà mai capire come mai stante gli omicidi e le stragi che i promulgatori del Vangelo delle hanno scosso il Paese negli anni beatitudini non si siano accorti che ottanta e novanta, e nonostante le la cultura mafiosa ne era la negadenunce di figure autorevoli della zione. Il silenzio, se ha spiegazioni, Chiesa stessa. Emblematico a ri- non ha giustificazioni». guardo il caso del cardinale di PaGiuè stesso non manca di sollelermo, Salvatore Pappalardo, del vare il problema con parole nette e quale siamo soliti ricordare l’omelia amare — «Il ragionamento prevaai funerali del prefetto Carlo Al- lente era questo: se la mafia non è berto Dalla Chiesa e della moglie contro la Chiesa perché contrastarEmanuela Setti Carraro — «Mentre la? Se anzi quelli che sono indicati a Roma si pensa sul da fare, la cit- come mafiosi sono uomini “religiotà di Sagunto viene espugnata dai si” e se sul piano politico sostengonemici! E questa volta non è Sa- no le posizioni dell’autorità eccle- Inconciliabile con il Vangelo siastica, perché prenderne le distanze o denunciarne le azioni?». Ma la sua attenzione, come detto, è rivolta soprattutto al modo in cui i documenti recepiscono, respingono o accolgono questa presa di coscienza. Ecco allora passaggi importanti come quello di «Chiesa italiana e mezzogiorno», documento Cei del 1989, dove si denuncia la «mafiosità di comportamento», si chiede la «trasparenza etica di chi governa e il comportamento onesto di ogni cittadino», ma anche s’invita a superare l’omertà, «che non è affatto attitudine cristiana». O quello di «Educare alla legalità» (1991) dove si denunciano sul tema mafie sia «risposte istituzionali talvolta deboli e meramente declamatorie» sia l’assenza di una più vasta e necessaria «mobilitazione delle coscienze». Segni indubbiamente positivi, ma che non sempre daranno seguito a fatti conseguenti o eviteranno inspiegabili trascuratezze — come quella di non citare, dopo Capaci e via d’Amelio, i nomi delle vittime — o analisi non all’altezza del tema e della posta in gioco — vedi il parlare, sempre nel 1992, di «impudenti imprese della criminalità organizzata» quando ormai si era fatta strada la consapevolezza, anche dentro la Chiesa, che “imprese” di tal fatta non potevano essere realizzate senza la copertura, il consenso o addirittura l’appoggio di poteri legali corrotti. È proprio sulla questione del potere che, senza anticipare altro di queste pagine appassionate e documentate, vorrei soffermarmi in conclusione. Nella seconda parte del saggio l’autore osserva che l’at- tenzione altalenante sulle mafie è stata inversamente proporzionale a quella dedicata alla dottrina. Evasiva o discontinua sul tema mafie, la Chiesa non ha mancato di fare sentire la sua voce, e di dettare precisi orientamenti, in vista di certe tornate elettorali o quando si è trattato di votare leggi su temi ritenuti eticamente “sensibili” (dal referendum sul divorzio ai recenti dibattiti sulla “fecondazione assistita” o sul “trattamento di fine vita”), arrivando a sostenere, pur di far prevalere le sue posizioni, forze politiche non propriamente specchiate, macchiate al loro interno da comportamenti contrari alla legge e all’etica pubblica. Non so se tra i due fenomeni ci sia quest’effettiva, stringente relazione. So solo che la questione della mafie chiede ormai di essere considerata — e questo libro non cessa di sottolinearlo — come una questione eticamente, socialmente e politicamente prioritaria, perché concerne la vita e la dignità delle persone e in senso lato il destino del bene comune, che non è meno importante di quello che, per rispetto alla dottrina o mai scontata scelta di coscienza, riteniamo essere “bene”. Come anche credo che la fede, se ce ne auguriamo la diffusione, non possa più essere confinata alla sola sfera spirituale e vissuta come un salvacondotto dalle responsabilità che ci competono come cittadini artefici del bene comune. Il che non significa trascurare il Vangelo, ma al contrario renderlo vivo e concreto nella vita di tutti, nello sforzo quotidiano di saldare Cielo e terra. Solo così può diventare fruttuosa l’eredità morale di un don Pu- Appello dell’arcivescovo di Reggio Calabria - Bova Bisogna reagire REGGIO CALABRIA, 3. «C’è bisogno di un sussulto delle coscienze per non abituarci al peggio», perché «è in gioco il futuro della nostra città e delle nostre famiglie». È l’accorato appello dell’arcivescovo di Reggio Calabria - Bova, Giuseppe Fiorini Morosini, contenuto in una lettera indirizzata ai fedeli dopo la serie di intimidazioni della criminalità organizzata verificatesi in città. L’ultimo episodio in ordine di tempo è stato l’incendio di un magazzino di proprietà di un imprenditore e testimone di giustizia, Tiberio Bentivoglio, da anni sotto scorta per il suo impegno contro il racket. Il presule ha rivolto, in particolare, un invito a tutti i parroci perché si discuta di quanto sta accadendo. «La voce del vescovo — afferma monsignor Fiorini Morosini — è eco dei sentimenti di tutti; è per questo che, con dolore, ma senza alcuna rassegnazione, mi chiedo: Non è possibile fermare questo regresso alla barbarie, che sembra inarre- glisi, di un don Diana, di un don Cesare Boschin, come di altri uomini e donne di Chiesa che hanno vissuto e pagato con la vita la fedeltà al Vangelo e la sua incompatibilità col codice mafioso. E solo così, mi arrischio ad aggiungere, la Chiesa potrà rinnovarsi nel segno profeticamente colto dal concilio Vaticano II: spogliandosi e purificandosi dal potere, diventando una Chiesa per cui è più importante ascoltare che rispondere, accogliere che selezionare. La Chiesa povera, aperta e ospitale che ci chiede di costruire Papa Francesco: «Non una dogana, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». La morte del nunzio Janusz Bolonek Monsignor Janusz Bolonek, arcivescovo titolare di Madauro, nunzio apostolico, è morto il 2 marzo nella sua residenza in Polonia. Il compianto presule era nato a Huta Dłutowska, arcidiocesi di Łódź, il 6 dicembre 1938, ed era stato ordinato sacerdote il 17 dicembre 1961. Incardinato a Łódź, era laureato in teologia e diritto canonico. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1971, aveva prestato successivamente la propria opera nelle rappresentanze pontificie in Nicaragua, negli Stati Uniti d’America, in Egitto e presso il Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa. Il 25 settembre 1989 era stato eletto alla sede titolare di Madauro, con dignità di arcivescovo, e nel contempo nominato nunzio apostolico in Costa d’Avorio. Aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 20 ottobre e il 18 novembre dello stesso anno era stato nominato anche pro nunzio apostolico in Burkina Faso e Niger. Trasferito alla rappresentanza pontificia in Romania il 23 gennaio 1995, era poi divenuto nunzio in Uruguay l’11 novembre 1999. Destinato alla rappresentanza pontificia in Bulgaria il 24 maggio 2008, era stato infine nominato nunzio apostolico in Macedonia il 4 maggio 2011. Aveva terminato il servizio il 6 dicembre 2013. † La Segreteria di Stato comunica con grande dolore la morte di stabile? Dove si pensa di arrivare? Quale speranza possiamo assicurare ai nostri figli, ai nostri giovani, così da consegnare loro la certezza di un futuro dignitoso e bello?». Di qui l’appello rivolto alla città: «Reggio, svegliati! Reg- gini reagiamo! È la dignità di ogni uomo a esser messa in discussione, è il futuro di fare libera impresa, e quindi il futuro di ogni giovane che è soggiogato. Non lasciamoci rubare la nostra libertà». Dalla Comece un richiamo all’Europa S. E. Mons. JANUSZ BOLONEK Arcivescovo titolare di Madauro Nunzio Apostolico Cristo, Buon Pastore, nel quale il compianto Presule ha creduto fermamente nel corso del suo generoso servizio alla Santa Sede e alla Chiesa, gli conceda il meritato premio e lo accolga accanto a sé nella gioia e nella pace. Strategie per l’accoglienza e la pace BRUXELLES, 3. «Dinanzi a quanto sta avvenendo alle porte d’Europa serve certamente un atteggiamento di accoglienza per salvare vite umane in fuga dalla guerra e dalla povertà, e anche azioni volte all’integrazione. Allo stesso tempo bisogna prevedere una strategia di vasto raggio che miri allo sviluppo e alla pace nei Paesi d’origine dei flussi». È quanto ha dichiarato il vescovo di Piacenza-Bobbio, Gianni Ambrosio, vicepresidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) a margine dei lavori della plenaria dell’organismo ecclesiale in corso da ieri sera a Bruxelles sul tema «La vocazione dell’Europa a promuovere la pace nel mondo». Un argomento che ha molte implicazioni anche con l’attualità delle ondate migratorie che dal Medio oriente si riversano in Europa. «Come Chiesa — ha sottolineato il presule all’agenzia Sir — siamo chiamati a portare il nostro contributo alla pace, sia dentro l’Europa che al di là dei suoi confini, nel mondo». La fitta agenda della plenaria della Comece si sta sviluppando attorno ad alcuni temi principali: anzitutto la pace, le relazioni tra gli Stati europei, le migrazioni. Ma si discute anche di diritti fondamentali e di bioetica. Monsignor Ambrosio sottolinea la «vocazione» dell’Europa comunitaria alla «costruzione della pace», come indicato dai padri fondatori. «In questa difficile fase della sua storia — aggiunge il vescovo — l’Europa richiede una stretta collaborazione fra i Paesi, un reciproco sostegno nel senso della solidarietà» per affrontare le sfide del presente e assumere il suo ruolo a livello mondiale. Lutto nella Chiesa ucraina greco-cattolica Nei giorni scorsi è morto a Lviv il sacerdote della Chiesa ucraina greco-cattolica Vasyl Sapelak, fratello di monsignor Andrés, vescovo emerito di Santa María del Patrocinio en Buenos Aires degli ucraini. Purtroppo, per un disguido di comunicazione, nell’edizione del nostro giornale datata mercoledì 2 marzo, nella rubrica “Lutti nell’episcopato”, abbiamo pubblicato erroneamente la notizia della morte del vescovo Andrés. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 4 marzo 2016 Alla Pontificia accademia per la vita Francesco sottolinea la centralità dell’uomo anche in ambito scientifico Valore da proteggere E mette in guardia dalle colonizzazioni ideologiche mascherate da virtù e modernità «La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo, quali che siano le sue condizioni di vita, è un valore da proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di incertezze morali, che non le consentono di difendere la vita in maniera efficace»: lo ha ricordato Papa Francesco durante l’udienza ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita, ricevuti giovedì mattina, 3 marzo, nella Sala Clementina. Cari fratelli e sorelle, porgo il mio benvenuto a tutti voi, convenuti per l’Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita. Mi fa piacere particolarmente incontrare il Cardinale Sgreccia, sempre in piedi, grazie! Questi giorni saranno dedicati allo studio delle virtù nell’etica della vita, un tema di interesse accademico, che rivolge un messaggio importante alla cultura contemporanea: il bene che l’uomo compie non è il risultato di calcoli o strategie, nemmeno è il prodotto dell’assetto genetico o dei condizionamenti sociali, ma è il frutto di un cuore ben disposto, della libera scelta che anche il cuore. Da qui nascono le opere buone, ma anche quelle sbagliate, quando la verità e i suggerimenti dello Spirito sono respinti. Il cuore, insomma, è la sintesi dell’umanità plasmata dalle mani stesse di Dio (cfr. Gen 2, 7) e guardata dal suo Creatore con un compiacimento unico (cfr. Gen 1, 31). Nel cuore dell’uomo Dio riversa la sua stessa sapienza. Nel nostro tempo, alcuni orientamenti culturali non riconoscono più l’impronta della sapienza divina nelle realtà create e neppure nell’uomo. La natura umana rimane così ridotta a sola materia, plasmabile secondo qualsiasi disegno. La nostra Karl Kunz, «Il buon samaritano» (1959) tende al vero bene. Non bastano la scienza e la tecnica: per compiere il bene occorre la sapienza del cuore. In diversi modi la Sacra Scrittura ci dice che le intenzioni buone o cattive non entrano nell’uomo dall’esterno, ma scaturiscono dal suo “cuore”. «Dal di dentro — afferma Gesù —, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male» (Mc 7, 21). Nella Bibbia il cuore è l’organo non solo degli affetti, ma anche delle facoltà spirituali, la ragione e la volontà, è sede delle decisioni, del modo di pensare e di agire. La saggezza delle scelte, aperta al movimento dello Spirito Santo, coinvolge umanità, invece, è unica e tanto preziosa agli occhi di Dio! Per questo, la prima natura da custodire, affinché porti frutto, è la nostra stessa umanità. Dobbiamo darle l’aria pulita della libertà e l’acqua vivificante della verità, proteggerla dai veleni dell’egoismo e della menzogna. Sul terreno della nostra umanità potrà allora sbocciare una grande varietà di virtù. La virtù è l’espressione più autentica del bene che l’uomo, con l’aiuto di Dio, è capace di realizzare. «Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1803). La virtù non è una semplice abitudine, ma è l’attitudine costantemente rinnovata a scegliere il bene. La virtù non è emozione, non è un’abilità che si acquisisce con un corso di aggiornamento, e men che meno un meccanismo biochimico, ma è l’espressione più elevata della libertà umana. La virtù è il meglio che il cuore dell’uomo offre. Quando il cuore si allontana dal bene e dalla verità contenuta nella Parola di Dio, corre tanti pericoli, rimane privo di orientamento e rischia di chiamare bene il male e male il bene; le virtù si perdono, subentra più facilmente il peccato, e poi il vizio. Chi imbocca questo pendio scivoloso cade nell’errore morale e viene oppresso da una crescente angoscia esistenziale. La Sacra Scrittura ci presenta la dinamica del cuore indurito: più il cuore è inclinato all’egoismo e al male, più è difficile cambiare. Dice Gesù: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34). Quando il cuore si corrompe, gravi sono le conseguenze per la vita sociale, come ricorda il profeta Geremia. Cito: «I tuoi occhi e il tuo cuore non badano che al tuo interesse, a spargere sangue innocente, a commettere violenze e angherie» (22, 17). Tale condizione non può cambiare né in forza di teorie, né per effetto di riforme sociali o politiche. Solo l’opera dello Spirito Santo può riformare il nostro cuore, se noi collaboriamo: Dio stesso, infatti, ha assicurato la sua grazia efficace a chi lo cerca e a chi si converte «con tutto il cuore» (cfr. Gl 2, 12 ss.). Oggi sono molte le istituzioni impegnate nel servizio alla vita, a titolo di ricerca o di assistenza; esse promuovono non solo azioni buone, ma anche la passione per il bene. Ma ci sono anche tante strutture preoccupate più dell’interesse economico che del bene comune. Parlare di virtù significa affermare che la scelta del bene coinvolge e impegna tutta la persona; non è una questione “cosmetica”, un abbellimento esteriore, che non porterebbe frutto: si tratta di sradicare dal cuore i desideri disonesti e di cercare il bene con sincerità. Anche nell’ambito dell’etica della vita le pur necessarie norme, che sanciscono il rispetto delle persone, da sole non bastano a realizzare pienamente il bene dell’uomo. Sono le virtù di chi opera nella promozione della vita l’ultima garanzia che il bene verrà realmente rispettato. Oggi non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno alla vita umana nelle situazioni in cui si mostra debole. Però manca tante volte l’umanità. L’agire buono non è la corretta applicazione del sapere etico, ma presuppone un interesse reale per la persona fragile. I medici e tutti gli operatori sanitari non tralascino mai di coniugare scienza, tecnica e umanità. Pertanto, incoraggio le Università a considerare tutto questo nei loro programmi di formazione, affinché gli studenti Assemblea giubilare La ventunesima assemblea generale della Pontificia accademia per la vita, dedicata alle virtù nell’etica, può essere vista anche come una «assemblea giubilare» perché, come ricordava san Tommaso, «la misericordia è la più grande di tutte le virtù». Così il vescovo presidente Ignacio Carrasco de Paula ha presentato a Papa Francesco l’incontro annuale — che si svolge in Vaticano venerdì 4 marzo — dei membri dell’istituzione fondata nel 1994. Richiamando l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il presule ha sottolineato che la «predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non una mera filosofia pratica, né un catalogo di peccati ed errori», il Vangelo infatti è «rispondere a Dio che ci ama e ci salva. E le virtù sono al servizio di questa risposta di amore». L’assemblea quindi, ha spiegato il vescovo, intende essere «un momento privilegiato di riflessione sul ruolo che le virtù hanno nella promozione e nella difesa della vita». possano maturare quelle disposizioni del cuore e della mente che sono indispensabili per accogliere e curare la vita umana, secondo la dignità che in qualsiasi circostanza le appartiene. Invito anche i direttori delle strutture sanitarie e di ricerca a far sì che i dipendenti considerino parte integrante del loro qualificato servizio anche il tratto umano. In ogni caso, quanti si dedicano alla difesa e alla promozione della vita possano mostrarne anzitutto la bellezza. Infatti, come «la Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 14), così la vita umana si difende e promuove efficacemente solo quando se ne conosce e se ne mostra la bellezza. Vivendo una genuina compassione e le altre virtù, sarete testimoni privilegiati della misericordia del Padre della vita. La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo, quali che siano le sue condizioni di vita, è un valore da proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di incertezze morali, che non le consentono di difendere la vita in maniera efficace. Non di rado, poi, può accadere che sotto il nome di virtù, si mascherino “splendidi vizi”. Per questo è necessario non solo che le virtù informino realmente il pensare e l’agire dell’uomo, ma che siano coltivate attraverso un continuo discernimento e siano radicate in Dio, fonte di ogni virtù. Io vorrei ripetere qui una cosa che ho detto parecchie volte: dobbiamo stare attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che subentrano nel pensiero umano, anche cristiano, sotto forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi, ma sono colonizzazioni, cioè tolgono la libertà, e sono ideologiche, cioè hanno paura della realtà così come Dio l’ha creata. Chiediamo l’aiuto dello Spirito Santo, affinché ci tragga fuori dall’egoismo e dall’ignoranza: rinnovati da Lui, possiamo pensare e agire secondo il cuore di Dio e mostrare a chi soffre nel corpo e nello spirito la sua misericordia. L’augurio che vi rivolgo è che i lavori di questi giorni possano essere fecondi e accompagnare voi e quanti incontrate nel vostro servizio in un cammino di crescita virtuosa. Vi ringrazio e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie. Messa a Santa Marta Riconoscersi peccatori ed essere capaci di chiedere perdono è il primo passo per rispondere con chiarezza, senza intavolare negoziati, alla domanda diretta che Gesù rivolge a ciascuno di noi: «sei con me o contro di me?». L’invito ad aprirsi incondizionatamente alla misericordia di Dio è stato rilanciato dal Papa durante la messa celebrata giovedì mattina, 3 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta. All’inizio della prima lettura, ha fatto notare subito Francesco, il profeta Geremia (7, 23-28) «ci ricorda il patto di Dio col suo popolo: “Ascoltate la mia voce e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”». È «un patto di fedeltà». E «ambedue le letture — ha proseguito — ci raccontano un’altra storia: questo patto è caduto e oggi la Chiesa ci fa riflettere sulla, possiamo chiamarla così, storia di una fedeltà fallita». In realtà «Dio rimane sempre fedele, perché non può rinnegare se stesso» invece il popolo inanella infedeltà «una dietro l’altra: è infedele, è rimasto infedele!». Nel libro di Geremia si legge che il popolo non tenne fede al patto: «Ma essi non ascoltarono, né prestarono orecchio alla mia Parola». La Scrittura, ha spiegato Francesco, «ci racconta anche tante cose che ha fatto Dio per attirare i cuori del popolo, dei suoi: “Da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto fino a oggi, io vi ho inviato con assidua premura tutti i miei servi e profeti. Ma non mi hanno ascoltato né prestato orecchio. Anzi hanno reso dura la loro cervice, divenendo peggiori dei Storia di una fedeltà fallita loro padri”». E questo passo di Geremia finisce con un’espressione forte: «La fedeltà è sparita! È stata bandita dalla loro bocca». L’«infedeltà del popolo di Dio», come la nostra infedeltà, «indurisce il cuore: chiude il cuore!»; e «non lascia entrare la voce del Signore che, come padre amorevole, ci chiede sempre di aprirci alla sua misericordia e al suo amore». Nel salmo 94 «abbiamo pregato tutti insieme: ascoltate oggi la voce del Signore; non indurite il vostro cuore!». Davvero, ha affermato il Pontefice, «il Signore sempre ci parla così» e «anche con tenerezza di padre ci dice: ritornate a me con tutto il cuore, perché sono misericordioso e pietoso». Però «quando il cuore è duro questo non si capisce» ha spiegato Francesco. Infatti «la misericordia di Dio si capisce soltanto se tu sei capace di aprire il tuo cuore, perché possa entrare». E «questo va avanti, va avanti: il cuore si indurisce e vediamo la stessa storia» nel passo del Vangelo di Luca (11, 14-23) proposto oggi dalla liturgia. «C’era quella gente che aveva studiato le Scritture, i dottori della legge che sapevano la teologia, ma erano tanto tanto chiusi. La folla era stupita: lo stupore! Perché la folla seguiva Gesù. Qualcuno dirà: “Ma lo seguiva per essere guarito, lo seguiva per questo”». La realtà, ha fatto presente Francesco, era che la gente «aveva fede in Gesù! Aveva il cuore aperto: imperfetto, pec- catore, ma il cuore aperto». Invece «questi teologi avevano un atteggiamento chiuso». E «cercavano sempre una spiegazione per non capire il messaggio di Gesù». Tanto che in questo caso specifico, come racconta Luca, dicono: «Ma no, questo caccia i demoni in nome del capo dei demoni». E così cercavano sempre altri pretesti, continua il brano evangelico, «per metterlo alla prova: gli domandavano un segno del cielo». Il problema di fondo, ha rimarcato il Papa, era il loro essere «sempre chiusi». E così «era Gesù che doveva giustificare quello che faceva». «Questa è la storia, la storia di questa fedeltà fallita — ha detto Francesco — la storia dei cuori chiusi, dei cuori che non «Gli israeliti adorano il vitello d’oro» (XIV secolo) lasciano entrare la misericordia di Dio, che hanno dimenticato la parola “perdono” — “Perdonami Signore!” — semplicemente perché non si sentono peccatori: si sentono giudici degli altri». Ed è «una lunga storia di secoli». Proprio «questa fedeltà fallita Gesù la spiega con due parole chiare per finire questo discorso di questi ipocriti: “Chi non è con me è contro di me”». Il linguaggio di Gesù, ha rilanciato il Papa, è «chiaro: o sei fedele, con il tuo cuore aperto, al Dio che è fedele con te o sei contro di Lui: “Chi non è con me è contro di me!”». Qualcuno potrebbe pensare che, forse, c’è «una via di mezzo per fare un negoziato», sfuggendo alla chiarezza della parola di Gesù «o sei fedele o sei contro». E in effetti, ha risposto Francesco, «un’uscita c’è: confessati, peccatore!». Perché «se tu dici “io sono peccatore” il cuore si apre ed entra la misericordia di Dio e incominci ad essere fedele». Prima di proseguire la celebrazione, il Pontefice ha invitato a chiedere «al Signore la grazia della fedeltà». Con la consapevolezza che «il primo passo per andare su questa strada della fedeltà è sentirsi peccatore». Difatti «se tu non ti senti peccatore, hai incominciato male». Dunque, ha concluso Francesco, «chiediamo la grazia che il nostro cuore non si indurisca, che sia aperto alla misericordia di Dio, e la grazia della fedeltà». E anche «quando ci troviamo noi» a essere «infedeli, la grazia di chiedere perdono».
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