14 escursionismo per avvicinare tutti alla montagna Uomini e Sport - numero 14 | Marzo 2014| Pubblicazione gratuita Accoglienti strutture agevolano il cammino in ogni stagione SOMMARIO MARZO 2014 - Anno V - N°14 EVENTI SPORT A TUTTO CAMPO Il punto di vista OGNI VOLTA “UN NOME”: DA NON DIMENTICARE I CONSIGLI DELL’ ESPERTO ITINERARI I CONSIGLI DELL’ ESPERTO ACCADEVA NELL’ANNO… Editoriale | pag. 01 Brevi DF | pag. 02 DF SPORT SPECIALIST Sky Test 2014 | pag. 04 Confronto tra generazioni | pag. 05 Azzoni e Brioschi: rifugi di vetta | pag. 06 LORENZO DELLADIO | pag. 08 Addio a Marco Anghileri | pag. 11 GIORGIO ANGHILERI | pag. 12 Negozi DF SPORT SPECIALIST: Ecommerce | pag. 15 Running: correre fa tendenza | pag. 16 The Abbots Way: la storia e la corsa | pag. 18 Regno di Fanes: trekking nel cuore delle Dolomiti | pag. 20 Sentiero del Sempione: un trekking che è anche cultura | pag. 22 Trekking: leggeri ma con tutto il necessario | pag. 23 1953 - La ricognizione verso il K2 | pag. 24 Amici in corrispondenza | pag. 28 Dove viaggia il logo df Sport Specialist | pag.29 A proposito delle serate Uno sguardo in tema di cultura “A Tu per Tu” In copertina: il confortevole bivacco Riva-Girani in località Comolli sull’itinerario dal Pialeral verso il rifugio Brioschi, in vetta al Grignone (Foto: Gian Mario Besana) | pag. 30 FONDATORE: SERGIO LONGONI COMITATO DI REDAZIONE: RENATO FRIGERIO - MARCO MILANI PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE: PAOLO MICHELI POSTA E RISPOSTA: Angolo dei lettori “Uomini e Sport” [email protected] DF SPORT SPECIALIST Redazione “Uomini e Sport” Via Figliodoni, 14 - 23891 Barzanò - LC L asciamo immaginare ai lettori di “Uomini e Sport” quale grosso rischio abbia corso questo editoriale, se Sergio Longoni ne avesse potuto prendere visione in anteprima, per cui lo avrebbe certamente cestinato senza misericordia. Bisogna allora riconoscere che in redazione siamo stati davvero bravi, ed anche un po’ fortunati, a tenergli tutto nascosto e a sostituirci per una volta a lui, perché da tempo ci stava in animo che la sua persona prendesse una certa visibilità anche qui, che è la “sua” rivista. È vero che già lo scorso anno Daniela e Francesca non avevano potuto trattenere i sentimenti e i ricordi che lo riguardavano, e noi tutti non abbiamo ancora dimenticato quelle lusinghiere parole. In quel caso però si trattava di uno sfogo filiale in cui era stato giustamente coinvolto il loro affetto e la loro stima. Adesso è la redazione che si è presa invece l’iniziativa, e l’abbiamo fatto anche nella certezza che questo azzardo ci procurerà come minimo una tiratina d’orecchi, che comunque accetteremo senza recriminare. E già che siamo stati tanto bravi nell’evitare il preventivo sequestro di questo scritto, abbiamo pure escogitato delle valide giustificazioni che ci permetteranno di scaricare su altri le colpe che lui ci vorrà addossare. Ci sarà infatti ben poco di nostro in quello che stiamo proponendo alla considerazione di chi ci legge, e in questo siamo stati favoriti dal fatto che Sergio Longoni è un personaggio troppo alla ribalta per poter sfuggire agli assalti della stampa, che specialmente in questo ultimo periodo sembra aver ingaggiato una gara per accaparrarsi la sua accattivante presenza. Di lui ha scritto ampiamente “Sciare”, il magazine del grande sci e del turismo invernale, nel suo numero 654 del novembre 2012. Lo rincorreva nel settembre 2013 un capitoletto del volume di Giulio Beggio e Ruggero Meles, “S’al custa?...” Ci limiteremo a stralciare pochi spunti da ognuna di queste pubblicazioni, ma anche con così poco avremo un quadro significativo del nostro Sergio e del pubblico apprezzamento che lo circonda, più che sufficiente per molestare la sua modestia. Su “Sciare” è l’articolo di Franco Gionco, “Il Sergio, 70 volte grande”, che approfitta dell’occasione del suo settantesimo genetliaco per tesserne gli elogi che farebbero gola a tutti quanti. Lui sarà già arrossito nel leggere anche solo le parole di introduzione, che sono queste: “Tra tutti i più importanti imprenditori dello sport e del tempo libero, la figura di Longoni, neo settantenne, splende per passione, competenza e popolarità: e lui, come capita a pochi intimi, è noto col semplice nome di “il Sergio”. Tutto meritato, s’intende, ma poi prosegue: “Come dal nome della sua catena di super store dello sport, “Sport Specialist”, anche il Sergio è un vero specialista, ed è sempre in prima persona che segue con la massima attenzione l’evoluzione di tecniche e materiali, soprattutto quando riguardano la sua passione più grande: la montagna!” Nel suo articolo Franco Gionco descrive a puntino la formazione e la crescita di Longoni nella sua veste di imprenditore straordinario: una storia comunque che è sotto gli occhi di tutti, anche se varrebbe la pena di conoscerla per intero. Ci piace infine rilevare il commento che ne fa nel presentare una fotografia che ritrae Longoni impegnato su un’atletica via ferrata, scrivendo di lui “che sorprende per agilità ed energia da vendere, fisico perfetto ed attrezzatura al top!” Ci sembra che possiamo fermarci qui. “S’al custa?...” è il libro che si sofferma invece su un più ampio squarcio biografico, che risulterebbe interessante e bello da proporre qui, se non si opponessero motivi di spazio. La storia che ne esce mette nettamente in risalto il suo carattere volitivo, la sua intraprendenza, il suo coraggio e la sua bontà d’animo: ed è questo che conta. L’incontro dell’autore con Sergio ha avuto luogo al Grignone presso la baita dei Comolli, ed è qui che gli viene rivolta quest’ultima domanda: “cosa vorresti per essere pienamente felice?” Sorride, e subito risponde di essere già felice, e poi aggiunge: “certo, sarei contento di fare utili con la mia azienda, mi piacerebbe dividere una quota importante di questi con i miei dipendenti, garantendo loro il futuro di un lavoro stabile e remunerativo”. Poi Sergio ci pensa un po’, guarda fuori dalla finestra della baita e aggiunge: “non mi dispiacerebbe nemmeno avere più tempo per i miei nipotini e portarli quassù, condividere con loro queste meraviglie, specialmente in inverno quando c’è tanta neve, uscire dalla baita, guardare il cielo stellato, la grande luna sopra alla vetta e veleggiare insieme a loro nel futuro”. Potremmo concludere così, dopo che, chi non lo conosce fino in fondo, avrà scoperto un Sergio Longoni un po’ diverso, con tratti più umani di quanto pensasse, altruista, generoso, affettuoso ed anche un po’ romantico: perché no? Vorremmo però aggiungere ancora una cosa, di nostro, che conferma e va oltre l’impressione che ci è finora derivata. È stata la recente occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont che ci ha rivelato ancora di più quanto sia profondo in lui il senso umanitario e la sensibilità nel recepire il dolore del prossimo. Che questa straordinaria passione possa essere collegata a quella tragedia glielo abbiamo letto nel luccichio dei suoi occhi, quando ci ha parlato del suo intervento a soccorso della povera gente travolta dalle acque impetuose di quella diga franata. In quel periodo, 1963, Sergio svolgeva a Bressanone il servizio militare di leva nel corpo autisti. Fu tra i primi pertanto ad accorrere e ad essere colpito da indicibili scene strazianti. La vista di tanti cadaveri e quella lacerante di otto corpicini distrutti non l’ha più lasciato. Risale a quel tempo e si ripete ogni volta con i numerosi drammi dei nostri giorni il dolore e la rabbia impotente che esprimono una sensibilità e una partecipazione che ci colpiscono, ma non ci sorprendono, perché ormai abbiamo ben conosciuto anche la sua grande bontà. BREVI DF... 82^ CINQUE MULINI AL KENIANO PAUL TANUI ACCOMPAGNANDO LA SPEDIZIONE DIRETTA AL TALUNG NORD Grande spettacolo, come ormai da tradizione, a San Vittore Olona per l’ 82^ edizione della Cinque Mulini. Sui dieci chilometri di una corsa campestre difficile e impegnativa, fatta di continui cambi di ritmo e di passaggi angusti e tortuosi. Tra i prati fangosi della regina del cross, si è laureato campione il keniano Paul Tanui, che ha saputo sconfiggere i connazionali Alex Kibet e Thomas Lokomwa. Il titolo di campione dei Mulini ritorna così in Kenya che, nella speciale classifica delle nazioni plurivittoriose, raggiunge l’Etiopia con 13 successi. Michele Fontana, grazie al suo ottavo posto, è il primo degli italiani al traguardo. Daniele Bernasconi di Dervio (LC), Gianpaolo Corona di Mezzano (TN), Mario Panzeri di Mandello del Lario (LC): df Sport Specialist porge il suo augurio sentito e il suo sostegno contributivo agli alpinisti, tutti e tre Guide Alpine, che più volte hanno già sperimentato la durezza delle montagne himalayane, per la nuova avventura che stanno per affrontare in direzione della cima del Talung (7.349 m), lungo il suo Pilastro Nordovest. La vetta, situata nel gruppo del Kangchenjunga, e conquistata nel 1964 è stata raggiunta da allora tre volte soltanto, mentre il Pilastro Nordovest non è mai stato salito. Daniele Bernasconi Via G.Matteotti 28/a 23824 Dervio (LC) Laurea in Geologia Guida Alpina cell. 346 3041560 [email protected] Gianpaolo Corona Via Roma 90/a 38050 Mezzano (TN) Guida Alpina SPECIAL OLYMPICS LOMBARDIA 2014 Istruttore S.A.G.F. Special Olympics è un6783166 programma internazionale di allenamento Cell. 366 sportivo e competizioni atletiche che coinvolge quattro milioni [email protected] di persone, ragazzi e adulti, con disabilità intellettiva. Nel mondo sono oltre centosettanta i Paesi che adottano il programma. Il giuramento dell'Atleta Special Olympics è: “Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze”. La MarioperPanzeri manifestazione, quanto riguarda la regione Lombardia, è stata ospitata Contrada all’Aprica dal 26 al 1°4/a marzo. deifebbraio Ronchi 83826 Mandello del Lario(LC) Guida Alpina cell. 335 5930887 [email protected] SCIALPINISMO AL PIZZO TRE SIGNORI 184 erano i partecipanti che il 9 febbraio hanno preso il via sulle nevi lecchesi dell’Alpe Paglio per la 35ª edizione della “Pizzo dei Tre Signori”, gara valida come 4^ tappa di Coppa Italia “Trofeo Scarpa”. La fitta nevicata dell’alba ha lasciato il posto ad un cielo terso sul percorso che prevedeva 1700 m di dislivello perPILASTRO gli atleti del settore assoluto maschile e 1400 m NORD-OVEST circa per la gara in rosa. Il podio è stato conquistato da Michele Boscacci e Laura Besseghini nelle rispettive categorie. Talung Nord 02 | Uomini&Sport | Marzo 2014 Nepal - 2014 TROFEO LANFRITTO - MAGGIONI TESTIMONIAL Nella giornata di domenica 2 marzo la città di Erba ha ospitato la terza prova del trofeo “Lanfritto Maggioni”, trofeo biennale consecutivo, dedicato alla memoria di Lanfritto Attilio e Maggioni Giorgio. Ricordiamo che i due giovani atleti della Soc. Pol. Lib. Cernuschese erano stati investiti mortalmente da un’automobile mentre si allenavano sulle strade di casa. La prima edizione si è svolta nell’anno agonistico 1974/75 grazie all’impegno ed alla volontà della Società e del C.O.N.I. di Como. Le gare che comprendono le categorie da esordienti fino ad allievi sono state appassionanti e spesso combattute fino all’ultimo metro. Un insieme della squadra nazionale di Sci di Fondo. Al centro Paolo Riva, allenatore e testimonial DF Sport Specialist. AGGIORNAMENTI DAL RUNNING TEAM DF SPORT SPECIALIST Sempre impegnatissimi i componenti del Running Team DF Sport Specialist. Elena Fustella (a destra) si è posizionata al primo posto nella classifica generale per la categoria SF50 del “Cross per Tutti“ conclusosi a marzo ed ha inoltre conquistato il titolo italiano master nei 1500 indoor ad Ancona. Ottime prestazioni anche per Daniela Gilardi (a lato) con le due belle vittorie nella categoria master delle importanti campestri di Paderno Dugnano e della Cinque Mulini. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 03 EVENTI DF SPORT SPECIALIST SKI TEST 2014 Il doppio appuntamento sulla neve per testare gli sci delle migliori marche si conferma anche quest’anno un evento di grande richiamo L ’inverno ormai è alle spalle e insieme a lui anche la stagione sportiva sulle nevi delle nostre montagne sta finendo. Gli appuntamenti per impegnarsi in esaltanti discese non sono certo mancati e, per quanto riguarda lo sci, df Sport Specialist ha organizzato due eventi che hanno come sempre riscosso un notevole apprezzamento ed un consistente riscontro di partecipazioni. Stiamo parlando dei due ski test organizzati rispettivamente a Bormio il 15 e 16 febbraio e all’Aprica l’1 ed il 2 marzo. Questo doppio evento segna ormai un momento cardine della stagione per un numero di appassionati che di anno in anno continua ad aumentare. I numeri della manifestazione parlano da soli e basta un semplice dato per evidenziarne la grandiosità: nel totale delle quattro giornate sono state effettuate più di 2270 prove di prodotti con cui i partecipanti, ovviamente supportati dai preziosi consigli dei componenti del Team df Sport Specialist, hanno potuto testare le attrezzature più innovative sul mercato, messe a disposizione dalle principali aziende del settore sempre presenti durante la manifestazione. Entrambi gli eventi malgrado le condizioni metereologiche non sempre ideali, si sono svolti senza nessun intoppo, grazie al puntuale lavoro di programmazione che parte sempre già nei mesi precedenti all’interno di tutti i punti vendita df Sport Specialist. Per tutti gli amanti dello sci allora l’appuntamento con gli Ski Test si rinnova al 2015, mentre per essere sempre aggiornati sui numerosi eventi sportivi organizzati dalla df Sport Specialist basta consultare il sito www.df-sportspecialist.it. 04 | Uomini&Sport | Marzo 2014 SPORT A TUTTO CAMPO DIAMO VOCE AI PROTAGONISTI DELLO SPORT A 360 GRADI: ALLA LUCE DI UN CONFRONTO TRA GENERAZIONI S di Renato Frigerio upponiamo che non sia sfuggito ai lettori di “Uomini e Sport” un pur velato cenno toccato da Sergio Longoni nel suo ultimo editoriale, quando annunciava l’ingresso di una nuova rubrica che prenderà piede fisso già a partire dal prossimo numero. Ne conosciamo pertanto ormai la sua funzione, almeno per quello che si poteva intuire da quelle poche parole, che ovviamente non potevano sostituire e quindi esimerci da questa indispensabile presentazione. Prendere in considerazione lo sport nelle sue molteplici sfaccettature è quanto di più consono si possa pretendere da una rivista che si fregia proprio della denominazione “Uomini e Sport”. D’ora in poi questa nuova rubrica si inserirà quindi tra gli altri temi come elemento immancabile, come nostra caratteristica imprescindibile, dove però lo Sport non potrà mai essere disgiunto dall’altro termine del binomio, cioè l’Uomo: perché lo sport è fatto dall’uomo e per l’uomo. Non ci passa nemmeno lontanamente dalla testa che l’impostazione con cui iniziamo ora, cioè il confronto tra differenti generazioni, possa proseguire senza limiti di tempo: non è questo che conta, perché non sarà difficile individuare altri accostamenti alle tematiche dello sport, sempre ricchi di interesse e di originalità, che ne prendano il posto, perché l’immagine sportiva continui a costituire l’asse centrale del nostro tabloid. Ma, senza preoccuparci tanto del tempo che ci troverà impegnati sull’argomento che stiamo presentando, analizziamo brevemente lo svolgimento che ne abbiamo previsto. La rubrica si articolerà soprattutto nella modalità dell’intervista, con delle specifiche domande che saranno rivolte rispettivamente a due atleti che hanno ormai chiuso la loro carriera, risalendo il più lontano possibile, e a due protagonisti che sono ancora in attività. È nostra intenzione non trascurare nessun genere di sport, sempre che motivi di concomitanza ne consentano il previsto confronto generazionale. Saranno preferibilmente interpellati atleti che per nascita o residenza abbiano attinenza al nostro territorio, e questo non per un marcato spirito campanilistico, ma per un doveroso riconoscimento a chi ci è più vicino e per il maggior interesse che deriva dalla loro conoscenza. Quando poi sarà indispensabile rivolgerci oltre i nostri confini territoriali, cercheremo di offrire ai lettori di “Uomini e Sport” l’incontro con atleti e campioni che sono stati o sono attualmente i protagonisti che li incantano e li fanno sognare: sarà bello sentirli parlare proprio rivolgendosi a noi! Ma non è tutto qui: questa rubrica ci offrirà pure l’opportunità di tracciare un breve profilo personale e il curriculum dei personaggi che vengono ogni volta interpellati: ma anche questo svolto con un tocco di originalità, in quanto ripreso dalla viva voce degli atleti che si prestano gentilmente all’intervista. Approfitteremo inoltre di questa nuova angolatura della nostra rivista per esporre le nozioni essenziali sulle quali si reggono le singole discipline sportive, sia dal punto di vista tecnico che storico. Questo si presenterà evidentemente come una dovuta premessa per introdurre ad ogni puntata l’intervista con i quattro atleti di turno nella loro specifica attività sportiva, e verrà impostato tenendolo presente come scopo di offrire degli elementi obiettivi che consentano di valutare l’evoluzione dei risultati, il loro valore particolare e i loro limiti invalicabili. Rimanendo in attesa di scoprire quale effetto potrà produrre sui lettori di “Uomini e Sport” questa nuova iniziativa redazionale, non abbiamo nessuna riserva, ed anzi il nostro è come sempre un invitante sollecito, se chi ci legge intenderà indirizzarci suggerimenti migliorativi, commenti benevoli, ma anche critiche… costruttive. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 05 I Rifugi Azzoni e Brioschi: due sentinelle che guardano dal Resegone e dal Grignone Maurizio Valsecchi e Alex Torricini sono i due “capanatt” che le personificano Da una parte il Resegone, dall'altra la Grigna Settentrionale o, per tutti, Grignone. A 1860 m di altezza il rifugio Azzoni, un po' più in alto, a 2410 m, il rifugio Brioschi. Sono i due rifugi di vetta della provincia di Lecco e, nelle belle giornate, l'uno guarda all'altro come due sentinelle che vegliano su lago e valli. Sono molti gli itinerari che permettono di raggiungere i due rifugi, di diverse difficoltà; ma entrambi danno il meglio di sé in inverno quando la neve attutisce i suoni e il tempo sembra trascorrere più lento. Maurizio Valsecchi, con la sua famiglia è il gestore del rifugio Azzoni da 15 anni; Alex Torricini, invece, da quattro anni gestisce il rifugio Brioschi. Due uomini che condividono lo stesso mestiere, ma soprattutto la stessa passione. Con loro abbiamo cercato di capire cosa vuol dire fare il "capanatt". Rifugio Azzoni a colloquio con Resegone | h 1860m Maurizio Valsecchi Da quanto tempo fai il rifugista all'Azzoni? "E' da 45 anni che frequento la montagna, abito a Lecco (Castello), sono Guida Alpina e membro del Soccorso Alpino – spiega Maurizio Valsecchi. Sono di una generazione che in montagna cerca di coltivare più le relazioni e magari pensa meno alla prestazione - lo dico senza polemica - e gestire un rifugio mi consente di entrare in contatto con molte persone. Quando vado in montagna io stesso sono solito andare nei rifugi". Come hai deciso di intraprendere questa professione? "Con l'andar degli anni la mia famiglia è cresciuta (Maurizio ha quattro figli, ndr) e fare il rifugista è stato il modo più semplice per rimanere in montagna, vicino a casa, con la mia famiglia, ma senza schiacciare il piede sull'acceleratore". Cos'ha di speciale il rifugio Azzoni? "E' un luogo a cui sono particolarmente legato poichè il rifugio 20 anni prima era gestito dallo zio di mia moglie. Personalmente preferisco il Resegone alla Grigna poichè è una montagna di confine: una volta faceva da spartiacque tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano, mentre oggi rappresenta l'incontro tra la cultura lecchese, la Brianza e le Valli Bergamasche. Inoltre del Resegone apprezzo molto la biodiversità, coesistono infatti molte specie di animali e piante. E poi apprezzo la varietà di sentieri, ferrate e vie di arrampicata di tutte le difficoltà che custodisce". 06 | Uomini&Sport | Marzo 2014 E' una montagna adatta a tutti? "Il Resegone è una montagna molto particolare, presenta itinerari di salita adatti a tutte le difficoltà. Inoltre è una montagna molto appetibile anche in inverno, con vie di salita facili, come da Morterone, o itinerari di tutto rispetto come possono essere i canaloni Comera e Bobbio. Sempre in inverno, inoltre, si possono trovare itinerari adatti sia allo scialpinismo, come alle ciaspole: insomma è una montagna che offre per tutti interessanti possibilità". Nella pagina precedente: il rifugio Azzoni, di proprietà della SEL, nella splendida conca da cui si domina il territorio di Lecco. In questa pagina: il rifugio Brioschi, di proprietà del CAI di Milano, accogliente riferimento per chi si muove sulla Grigna settentrionale in ogni stagione. Al Brioschi, in fondo, grazie alla sua fama arriva gente di tutti i tipi... Rifugio Brioschi a colloquio con Grigna Settentrionale | h 2410m Alex Torricini Come ti sei avvicinato a questa particolare professione? "Quando frequentavo l'università mi piaceva lavorare nei rifugi, ma in generale ho sempre coltivato la passione per la montagna. Ho sempre pensato che il rifugio debba essere un posto tranquillo dove si arriva per prepararsi alla salita di una vetta, ma in questo caso è molto diverso perchè il Brioschi rappresenta la meta finale". Cosa vuol dire fare il rifugista? "Devo ammettere che il rifugio Giovanni Riva al Piatté è stata una bella scuola. Il primo compito del rifugista è rendere agibile il rifugio e tenerlo aperto. Un compito che non è per nulla scontato visto che, come è accaduto questo inverno, a causa delle abbondanti nevicate è stato difficile anche raggiungere il Brioschi. Prima pensavo che il rifugista dovesse fare di tutto per accontentare il Cliente, pensavo dovesse essere sempre paziente e accondiscendente. Quando gestisci un posto tanto frequentato come il Brioschi mi sono accorto che lo sforzo deve essere bilaterale, poichè con una maggior affluenza diventa più difficile relazionarsi". "E' proprio questo il punto: fare ospitalità non vuol dire solamente tenere aperto il rifugio, ma a volte è necessario anche far rispettare delle regole. Un altro aspetto importante di questa professione è rendersi conto che si è responsabili nei confronti di tutti gli altri. E' fondamentale saper valutare le condizioni della salità e per questo mi avvalgo del supporto delle Guide Alpine. Quest'inverno abbiamo deciso di tener chiuso il rifugio per tre week-end visto che non c'erano le condizioni per salire in sicurezza anche se la mia necessità era quella di lavorare". La figura del rifugista è fatta di tanti piccoli risvolti... "Il rifugista è cuoco, idraulico, elettricista; ma è anche una guida, una persona che deve essere in grado di consigliare e in qualche modo deve contribuire a sviluppare la cultura della montagna". Cosa c'è di speciale al Brioschi? "Il Brioschi è un rifugio di vetta ma su una montagna circondata dalle Alpi e dal lago. Per questo si creano delle condizioni meteo del tutto particolari. Credo che in inverno questa montagna sia al suo massimo splendore con cornici “himalayane” che si stagliano sul lago. E poi è bellissimo vedere la civiltà dall'alto". interviste di Marco Milani Uomini&Sport | Marzo 2014 | 07 Il punto di vista intervista di Marco Milani LA SPORTIVA: l’azienda che ha cambiato la storia dell’arrampicata Faccia a faccia con LORENZO DELLADIO: “Siamo condannati ad innovare... ma è fondamentale proporre sempre qualcosa di nuovo” Il nostro viaggio nel mondo dell'imprenditoria per articoli di montagna questa volta ci ha portato fino in Trentino, più precisamente in Val di Fiemme, a Ziano. Abbiamo visto come nascono, scarpette d'arrampicata, scarponi da montagna e da scialpinismo, grazie a una guida d'eccezione: Lorenzo Delladio, amministratore delegato e anima dell'azienda La Sportiva. Nato nel 1955, ha dato l'impulso per portare ai vertici del settore questa azienda che resta ancora a conduzione familiare. “Pratico tutti gli sport, amo utilizzare e collaudare tutti i nostri prodotti. Il mio hobby è il rally: la passione per le automobili me la porto dentro sin da giovane e correre è un ottimo modo per scaricarmi”. Vicepresidente di Confindustria Trento, padre di due figli (Francesco, 22 anni e Giulia, 28 anni), Lorenzo Delladio è senza dubbio un personaggio pieno di sorprese, capace di leggere il presente per affrontare al meglio il futuro. Come nasce La Sportiva? Parliamo di una tipica azienda familiare nata nel 1928 con mio nonno Narciso, a quel tempo si riparavano i tacchi delle signore e le mezze suole degli uomini. La nascita dell'azienda è attestata da una pergamena che riporta la data della prima partecipazione di mio nonno alla Fiera Campionaria di Milano, è il documento più vecchio che abbiamo. Già allora, mio nonno dimostrò una grande imprenditorialità nel portare avanti questo mestiere in una valle alpina. Negli anni 50 toccò a mio padre, Francesco, prendere in mano le redini dell'azienda che si stava pian piano espandendo, dal centro di Tesero si spostò in periferia dove c'era più spazio. Mio padre dovette combattere contro l'Amministrazione Comunale dell'epoca perchè non era in grado di garantire i servizi necessari e dovette fare tutto da solo autofinanziandosi. Mio padre ebbe un grande coraggio, fu uno dei primissimi del settore a partecipare al MIAS di Milano. Allora si facevano scarpe in cuoio per l'estate e per l'inverno. Negli anni 70 entrammo noi figli, ora siamo rimasti io, mio fratello Marco e mio papà, ha 87 anni, è presidente del Consiglio di Amministrazione ed è una figura molto importante in azienda. 08 | Uomini&Sport | Marzo 2014 Quale è la forza di La Sportiva? Guardando in prospettiva, fu fondamentale cominciare ad esportare. Ogni fiera era la nostra fiera: si partiva col FIAT 238 per mettere il nostro stand a Monaco, a Colonia oppure a Grenoble. Erano anni eroici, siamo stati capaci di seminare bene anche all'estero e oggi stiamo raccogliendo i frutti. Quale fu la svolta fondamentale? Bisogna tornare alla fine degli anni 70 quando ero nella Scuola Alpina della Polizia a Moena. Fu Gino Comelli, un istruttore, che mi forzò a creare la prima scarpetta da free climb per come la conosciamo oggi. Prima si usavano gli scarponi e lui intuì che serviva qualcosa di meno rigido, tanto che arrampicava con le Superga. Il nostro merito fu quello di credere nei consigli che arrivavano dall'esterno, successe tutto quasi per scherzo poi fu una vera e propria rivoluzione nel mondo alpinistico. Grazie alle nostre scarpette si poteva arrampicare in modo molto più divertente e dinamico e questo permise a molta più gente di avvicinarsi alla disciplina. Nei primi anni 80 creammo la collezione di scarpette per cui siamo diventati famosi in tutto il mondo. Anche oggi siamo leader nel settore per la produzione di scarpette: sia come brand, sia come quantità poiché siamo presenti in 74 paesi. Oggi l'82% della nostra produzione va sull'export ed è quello che ci permette di essere vivi e vegeti. Da allora è stata una crescita continua? Con l'evolversi dello sport abbiamo creato tanti altri prodotti. Un altro passo importante fu la decisione di investire nel mountain running, un marchio che è stato inventato e depositato da “La Sportiva”. Per correre in montagna non esisteva praticamente niente e abbiamo deciso di investire in quella che si sarebbe rivelata una fetta di mercato molto importante. Abbiamo preso una scarpa da montagna e l'abbiamo alleggerita per muoversi velocemente e in modo sicuro. Per la produzione ci siamo agganciati a una azienda cinese che ha portato avanti la nostra idea. Non abbiamo “esportato” la tecnologia - questo è fondamentale per come la vedo io – tutto quello che viene prodotto fuori è pensato e prototipato in Italia. Prendiamo tutto ciò che è il know how loro e finchè è possibile non portiamo fuori le nostre conoscenze. Questa operazione mi ha consentito di far crescere e far star meglio anche l'azienda di Ziano di Fiemme: sono sinergie e scale di spesa che si possono condividere e fanno star bene anche l'azienda italiana. Uno vede le scarpe e storce il naso quando legge “Made in China”, ma è ciò che mi permette di tenere in piedi una struttura con 234 persone a Ziano e 92 a Montebelluna. Come nasce l'idea vincente? Spesso gli input arrivano dall'esterno. Gli utilizzatori, i professionisti della montagna mi dicono quale è il problema e io devo risolverlo. Per questo è fondamentale il reparto di ricerca e sviluppo, io lo chiamo il “pensatoio”: sette ragazzi tutti giovani che arrivano da diverse esperienze, tutti utilizzatori del prodotto; un aspetto essenziale perché devono essere consci di quello che stanno facendo. Pensando il prodotto, lo studiano, lo prototipano e alla sera loro stessi devono andare a provarlo perchè per primi devono essere convinti di quello che fanno. Ciò che sorprende è che loro riescono sempre a stupirmi, sono capaci di mettere sul tavolo qualcosa che non abbiamo richiesto commercialmente e nemmeno l'atleta ha pensato. Sono capaci di anticipare le esigenze del mercato e ogni volta riusciamo a stupire il Cliente. Mi è capitato di dire al responsabile della ricerca di tenere alcune idee nel cassetto perchè ne arrivano talmente tante che anche il negoziante non sa più cosa scegliere. Non ho paura a dire che siamo talmente avanti su certe cose che la concorrenza arriva sempre dopo. É fondamentale essere propositivi, lungimiranti... il Cliente deve guardare uno scaffale con cento paia di scarpe e la prima che deve vedere è La Sportiva. Se questo succede ho già fatto il 50% della vendita. In alto: laboratorio e, nella pagina seguente, la facciata esterna dell’azienda: due immagini che rivelano il continuo adeguamento tecnologico e promozionale di chi vuol reggere sul mercato. (foto Archivio: La Sportiva) Sopra: Sergio Longoni si riconosce a fianco di Lorenzo Delladio. È qui per collaudare come sempre quello che propone nei suoi punti vendita. (foto Archivio: La Sportiva) Uomini&Sport | Marzo 2014 | 09 L'ambiente conta nella nascita delle idee giuste? Sicuramene i ragazzi sono influenzati da quello che c'è intorno. Son persone nate qui, molto vicine allo sport. Io non pongo paletti lascio molta libertà, è chiaro che devono fare quello che chiede il commerciale oppure se c'è una esigenza dell'atleta devono soddisfarla. Arrivare a risolvere il problema è un obbligo, ma loro sono anche capaci di anticipare le esigenze del mercato. E' ciò che è successo con la scarpetta no-edge: l'atleta non mi dice che c'è bisogno di quello, l'idea è nata dai miei ragazzi. Sono persone che escono ad arrampicare, correre o sciare per testare ciò che hanno creato durante il lavoro. La mattina dopo sistemano il prototipo e così arrivano al risultato finale. La Sportiva è anche sinonimo di scialpinismo. A un certo punto abbiamo deciso di entrare nel mondo invernale e abbiamo pensato allo scialpinismo. Siamo entrati per ultimi ma abbiamo voluto farlo dalla porta principale creando un prodotto in carbonio e titanio: uno scarpone talmente innovativo che ha trascinato tutto il campionario. I concorrenti ci stanno arrivando solo adesso. Quanto conta la comunicazione nella strategia aziendale? Abbiamo un ufficio con sette persone che fanno comunicazione e qui entra in ballo la quarta generazione perché ci lavora mia figlia. Dopo aver fatto il suo percorso di studi, le sue esperienze all'estero, è tornata in azienda perché c'era bisogno di lei. Giulia ha 28 anni e coordina il gruppo del marketing. Io ho il merito di credere molto in questo gruppo che sta portando avanti i nuovi sistemi di comunicazione. Il lavoro che fanno è anche quello di rendere il nostro marchio un po' più giovane. Qualsiasi manifestazione la seguiamo in diretta sul sito e sui social. Lo stesso vale per il prodotto, rispondiamo al Cliente in linea diretta perché questo è già il futuro. Diamo grandissima importanza alla comunicazione e spendiamo grandi risorse. In base ad alcuni studi fatti da riviste di settore sull'utilizzo dei social noi siamo tra i primi posti. Poi cerchiamo di essere presenti alle manifestazioni sportive: è il modo migliore per essere più vicini al Cliente finale, così riusciamo a fare conoscere ancora di più il nostro prodotto. Da tre anni, infine, abbiamo deciso di entrare anche nel campo dell'abbigliamento, ci stiamo accorgendo che è un settore dove il nostro marchio ha molta visibilità. E' un settore che stiamo guardando in maniera rilevante, abbiamo deciso di investire in maniera consistente perché la visibilità in questo campo è molto importante. Come cercate di affrontare la crisi che sta investendo l'Italia? Io sono vicepresidente di Confindustria a Trento e ho una visione abbastanza ampia in tutti i settori. Da questo osservatorio privilegiato vedo tutto ciò che succede in Trentino e questa penso sia l'ultima regione d'Italia ad essere stata attaccata dalla crisi. Penso che più che una crisi questa sia una fase di cambiamento perchè non torneremo mai a quella che era la vita o l'economia di 4 o 5 anni fa, quindi dovremo adattarci. Penso anche che questa crisi non sia assolutamente finita e rimarranno a galla solo quelli che investono e ci credono e soprattutto quelli che esportano. Se ci dedicassimo solo all'Italia non avremmo futuro. Per uscire da questa 10 | Uomini&Sport | Marzo 2014 situazione dobbiamo reagire con investimenti e sacrifici anche se, guardando i bilanci, non lo faccio con tranquillità. Bisogna investire a livello produttivo, di personale e di ricerca. Credo che spariranno alcune aziende e rimarranno solo quelle capaci di reagire a questo momento, ma significa che ci sarà anche più spazio per qualcuno. Forzare in questo momento di crisi vuol dire prepararsi il mercato del futuro. Chiaramente non è facile. C'è ancora tanto da scoprire? Me lo chiedo anch'io, ma è proprio quello che mi fa ancora stupire di fronte ai ragazzi. A volte mi chiedo come fanno ancora a inventare nuove soluzioni da una scarpa di trenta centimetri. Però spesso, proprio davanti alla macchinetta del caffè, escono idee anche assurde o irrealizzabili, ma questo è proprio lo spirito che ci fa andare avanti. Non bisogna porsi limiti. Siamo condannati a innovare... in tutti i settori: è fondamentale proporre sempre qualcosa di nuovo. Il sogno nel cassetto di Lorenzo Delladio? Io ho sempre messo l’azienda davanti alla famiglia e se sono arrivato fino a qui è perché questa l’ho in parte sacrificata. Non mi chiedo se è stato giusto o sbagliato, anche se il mio sogno nel cassetto è che i miei figli riescano a farsi una famiglia e nello stesso tempo possano portare avanti l’azienda. Ai miei tempi diversamente era tutto in subbuglio, io ero da solo, e allora non era proprio possibile conciliare famiglia e lavoro da condurre. Adesso che l’azienda ha raggiunto una certa stabilità penso che ciò possa essere fatto tranquillamente. IL NOSTRO TRISTE ADDIO A MARCO ANGHILERI La tragica scomparsa di Marco Anghileri, che, oltre ai suoi familiari, ha colpito nel cuore tanti amici e tutte le persone che lo hanno semplicemente conosciuto, ha incluso in questo dolore immenso anche df Sport Specialist, di cui Marco rappresentava uno dei suoi testimonial più responsabili e affidabili, e tutti coloro che ne hanno apprezzato le sue qualità attraverso le relazioni su questa rivista e i suoi numerosi interventi alle serate “A tu per tu”. La notizia della sua morte ha destato sgomento in tutto il mondo dell’alpinismo, come viene specificato anche dai significativi messaggi di cordoglio pervenuti dagli alpinisti inglesi Mick Fowler e Leo Houlding. Per un periodico come il nostro, che non può disporre dell’immediatezza dei quotidiani o delle televisioni, è giocoforza affidare soltanto ad un primo semplice pensiero il suo senso di smarrimento, che si riallaccia all’illimitata ammirazione riservata all’uomo e all’alpinista Marco Anghileri. La redazione di “Uomini e Sport” si ripromette comunque di riprendere con la dovuta ampiezza la sua immagine e la sua storia, che si è conclusa con il conseguimento del sogno che lui stesso aveva da tanti anni cullato. E ra una di quelle notizie che nessuno mai avrebbe voluto dare, nessuno mai ascoltare, quella che è circolata nella tarda serata di domenica 16 marzo. Una data che difficilmente scorderemo per l’intensità con cui ha scosso tutti: e se è scontato che questo sia un fatto che riguarda principalmente coloro che sono racchiusi nello scrigno riservato agli affetti familiari, non stupisce che l’onda di straziante sgomento si sia propagata ovunque. Lo rimpiange così chi gli è stato più vicino con un’amicizia privilegiata dalla medesima passione per l’alpinismo, ma anche le numerose persone che lo hanno appena conosciuto, apprezzato e stimato negli incontri occasionali o per averlo seguito nel racconto delle sue avvincenti esperienze. Tutti siamo rimasti costernati da una disgrazia che ci sarebbe sembrata impossibile, e così forse ci siamo trovati lontani dal modo con cui Marco considerava l’esistenza. Lui, la possibilità di un passaggio tragico verso la morte, l’aveva certamente messa nel conto dell’eventualità, già da molto tempo. Questo perché l’evento terribile della morte improvvisa era entrato nella sua casa già diciassette anni or sono, quando un incidente inverosimile aveva stroncato la vita del fratello Giorgio. Possiamo immaginare che questo ricordo doloroso lo abbia accompagnato in tante delle sue imprese nelle quali il rischio non può venire escluso solo perché sono state prese tutte le precauzioni. Ora lo dobbiamo ammirare anche perché questo rischio Marco lo ha accettato con serenità, come condizione dovuta per realizzare sia la sua passione, sia la sua personalità. Abbiamo conosciuto Marco perché le sue doti eccezionali lo avevano fatto emergere fino alla notorietà ed alla ammirazione in ogni parte del mondo dove ci si appassiona di alpinismo. Gli abbiamo voluto bene e lo abbiamo stimato in seguito perché abbiamo intravisto le sue non comuni qualità umane, straordinarie per un ragazzo che stava crescendo con una maturità precoce. Tutte cose che non scorderemo, ma che adesso ci vengono a mancare e ci fanno rimpiangere un alpinista che arrampicava e amava la montagna con la passione e la bravura dei grandi alpinisti lecchesi di un tempo ormai lontano. Renato Frigerio Uomini&Sport | Marzo 2014 | 11 OGNI VOLTA “UN NOME”: DA NON DIMENTICARE GIORGIO ANGHILERI È senza dubbio strano il modo con cui viene proposto questa volta un nome che oggi potrebbe venire facilmente dimenticato per essere mancato a noi prima di pervenire al suo apice potenziale: non un articolo, come si fa solitamente, redatto a suo tempo da testimoni contemporanei, e nemmeno quello che potrebbe venire approntato appositamente per questa rubrica, con il concorso di richiami storici. È invece lo stesso personaggio che ci viene incontro per farsi conoscere, quasi sospinto da un impulso premonitore, anticipandosi sei anni prima dell’assurdo incidente che ci avrebbe privato della sua incomparabile compagnia ed amicizia, negando nello stesso tempo all’alpinismo lecchese un ulteriore rappresentante della sua più gloriosa tradizione. L’articolo scritto da Giorgio Anghileri rischiara autobiograficamente la sua figura non solo in quello che prorompeva come alpinista di classe rara, ma anche e primariamente nelle sue esemplari qualità umane, dove si inseriva in modo totalmente condivisibile la sua concezione di un alpinismo autentico, dal quale non possono prescindere i più alti valori esistenziali. La presentazione con cui Renato Frigerio aveva passato il testo di Giorgio alla Rivista Nazionale del C.A.I., che lo pubblicava nel numero di settembre-ottobre 1997, costituiva una parte integrante dello stesso articolo e conferiva l’evidenza della particolare considerazione che circondava questo promettente alpinista dotato di una eccezionale personalità. In apertura: Giorgio Anghileri sulla via “Nubifragio degli argonauti” al Picco Darwin in alta Val di Mello. Sensazionale prestazione nei primi anni 90, anche perché la salita fu effettuata con partenza e ritorno a Lecco nella stessa giornata. Nella pagina a lato: in alto - Qui è sulla via “Holzer-Messner” al Castello della Busazza in Civetta. sotto - Un suo exploit per la prima ripetizione solitaria invernale dello spigolo Nord del Pizzo Badile. 12 | Uomini&Sport | Marzo 2014 LA MONTAGNA ED IO di Giorgio Anghileri N on so perché ho fatto tutte queste grosse cose in montagna, tutte insieme nell’estate di questo 1991. E neppure so perché adesso mi metto a scrivere di me, nei miei rapporti con la montagna e l’alpinismo: forse una e l’altra cosa sono da mettere in relazione al fatto che tra poche settimane, in dicembre, partirò per il servizio militare. Fare il militare di leva oggi come ieri, anche se oggi non è impegnativo e tremendo come dicono che fosse ieri, significa rompere un po’ con il passato, cambiare certe abitudini e modi di pensare. Tutto questo deve avermi indotto a fare il punto sulla mia situazione di ragazzo tutto preso da una passione incontenibile per la montagna, risalendo alle sue origini per proiettarla in un futuro che è sempre difficile prevedere. A casa mia la montagna è presente da sempre, divenuta intimamente una componente di vita: alpinista il nonno Adolfo e papà Aldo, corre sulle nostre orme anche Marco, il fratello minore. Già a 13/14 anni arrampicavo da primo di cordata in Grigna e al Resegone, a 16 anni cercavo traguardi più impegnativi in Dolomiti. Fino a 18 anni mi alterno al comando della cordata, ed i miei compagni a volte sono mio padre o qualcuno dei suoi amici, a volte dei miei coetanei. La passione diventa sempre più forte, la voglia irrefrenabile. Non si limita più al fine settimana: ogni momento libero è un pretesto per arrampicare. Col passare del tempo le vie che affronto sono sempre più impegnative, i programmi più ambiziosi: ma tutto questo lo vivo e condivido con i miei compagni, con i quali mi lego con un’amicizia che dura tuttora. La montagna per me non è solo luogo di arrampicata, ma è l’ambiente che mi suggestiona e mi si pone come elemento di riflessione. Dalle Grigne alle Dolomiti, misurarsi con la montagna diventa più difficile, perché bisogna prepararsi a problemi di diversa natura che richiedono prestazioni non comuni: però è sempre montagna, e tutto mi piace e mi affascina. Assaporo la tranquillità che si prova nel sentirsi fuori dal traffico, dai rumori assordanti, dalle convenzioni, dal tempo che stringe e che ti stressa e preoccupa: mi trovo bene a contatto con la natura, con il movimento fisico, con l’azione, con sensazioni ed emozioni intense e profonde. Anche la montagna può far soffrire, ma, dopo aver superato le difficoltà, ti senti fiero di quello che hai fatto e che puoi raccontare agli amici, mentre ti prepara ad affrontare prove maggiori. Anche in montagna, come quando inghiottito dal traffico cittadino, sei in coda, ti soffermi a pensare: ma con quale diversa predisposizione d’animo e condizione di spirito! Uno dei limiti di noi uomini è quello di volersi impadronire del tempo: ma solo quando si è immersi nel silenzio delle vette solitarie, dove il tempo è scandito dalla luce del giorno, si capisce il senso della vita e della sua durata. I pensieri ti assalgono sia al bivacco all’addiaccio sia per strada alla guida di una autovettura confortevole: ma cambiano gli obiettivi e le sensazioni, ed alla rabbia fa posto l’allegria. Mi piace in montagna esprimermi su ogni terreno di azione, perché ritengo riduttivo arrampicare sempre su vie simili ed in ambienti conosciuti. La voglia di misurarsi su difficoltà sempre più elevate è giustificata dal desiderio di conoscere il limite personale. Non svolgo preparazioni ginniche specifiche e non uso sistemi scientifici. Solo l’arrampicata mi diverte, mentre ogni schema da assimilare mi appare come una riduzione alla mia voglia di divertirmi. Non sento attrazione particolare per l’arrampicata sportiva di preparazione, perché questa per me rappresenta solo un mezzo per prepararsi ad affrontare le vie sulle grandi pareti della montagna, e quindi non deve essere fine a se stessa. Trovo anche che per me il limite non deve essere rischio senza senso, perché bisogna saper valutare le proprie capacità e percepire fin dove si può arrivare, senza osare oltre. Trovo bello parlare di come ho superato certe difficoltà nell’ambito del mio ambiente, al Gruppo Gamma, e confrontare con i miei amici le valutazioni, le sensazioni, le emozioni. Anche questo è un aspetto che mi piace dell’alpinismo, anche se rimane un fatto marginale e non indispensabile. Una bella via rimane tale se la affronti preparato, altrimenti diventa una sofferenza. La preparazione psicologica è importante come quella fisica. La ricerca di una via, la preparazione della scalata, la conoscenza delle difficoltà da superare, mi prendono, mi avvincono fino a togliermi il sonno e a darmi la giusta carica. Tutto questo è un repertorio personale che fa parte integrante e non è disgiunto dalla salita. È solo dopo aver fatto una salita rincorsa, a lungo sognata, quando dopo qualche giorno il ricordo si stempera, che quasi ti sembra di non averla effettuata, perché non vivi più lo stato propositivo e ti scarichi. Per me l’alpinismo comunque, pur rappresentando una grande passione, resta solo un aspetto della vita. Non arrivo a concepire l’alpinismo come unica avventura: l’uomo deve realizzarsi in tutti i sensi, non solo con le sue passioni, ma anche nell’impegno del lavoro e della famiglia. Non vedo un futuro senza certezze, e allora voglio avere un lavoro, per potere poi divertirmi in montagna senza altre preoccupazioni. Solo per una spedizione extraeuropea, impresa che mi manca, prenderei in esame l’eventualità di trascurare per poche settimane il lavoro. Quando in montagna mi vedevo respinto dalle difficoltà, ci ho sempre riprovato per convincermi che la parola definitiva non era ancora stata sentenziata. E proprio per avere una risposta di questo tipo, quest’anno ho voluto tentare esperienze ai massimi livelli, su Uomini&Sport | Marzo 2014 | 13 montagne con caratteristiche diverse, come la salita in solitaria dello spigolo Nordovest della Cima Su Alto in Civetta, la via nuova sulla Quinta Pala di San Lucano, la ripetizione della via del Pesce in Marmolada e della Nord dell’Eiger. Desideravo mettermi alla prova in situazioni diverse, sperimentare impressioni profondamente nuove, ma soprattutto capivo che la montagna avrebbe potuto contribuire alla formazione del mio carattere, a migliorarmi in modo completo, ad infondermi una sicurezza di uomo prima ancora che come alpinista. Prepararmi ad affrontare la solitaria alla Su Alto è stata una cosa molto impegnativa, anche sotto il profilo psicologico. Affrontare passaggi di libera estrema, rimanere per 10 ore a tu per tu con la parete richiede un notevole dispendio di risorse, e solo la convinzione di aver superato in solitaria test probanti mi davano assoluta persuasione. Sono comunque sensazioni provvisorie, transitorie, che mutano più volte e che non hanno riscontro in altre attività. Sulla Su Alto ho provato sensazioni profonde, che comunque non possono essere paragonate, perché del tutto diverse, a quelle vissute nel superamento della via nuova, sempre di quest’estate, alle Pale di San Lucano. Qui le difficoltà della via erano tutte da scoprire e poi non ero più solo, potendo contare sulla compagnia di Manuele Panzeri. Insieme abbiamo affrontato 16 ore di arrampicata per superare grandi fessure, 500 metri di dislivello, difficoltà di 7°/A2/A3. Con Manuele mi trovo bene da sempre: ci conosciamo dagli anni dell’adolescenza, siamo stati ammessi insieme nel Gruppo Gamma, e con altri ragazzi della nostra età, alcuni figli d’arte, trascorriamo gran parte del nostro tempo libero. Arrampicare con Manuele mi diverte e, anche di fronte alle difficoltà, il nostro umore rimane inalterato, sempre rivolto verso l’allegria. Manuele è in cordata con me anche in Marmolada sulla via del Pesce, che superiamo in 15 ore, e dove affronto i massimi livelli di difficoltà come esperienza personale. La prova è ardua, anche per le condizioni atmosferiche esasperatamente sfavorevoli e perché, su alcune delle difficoltà, il limite si presenta invalicabile, con l’incertezza di poter sia “scoppiare” che vincere. Ecco, su questi livelli diventa determinante avere un compagno, tanto è intensa la prova che sostieni, mentre ogni situazione deve essere superata tenendo sempre sotto controllo numerosi fattori. La certezza di poter contare su un amico che segue i tuoi movimenti, che può aiutarti, che può sostituirti, che può intervenire è un conforto incalcolabile che ti sprona a tirare fuori tutto quello che hai in corpo. Questi frammenti di ricordi e considerazioni non sono semplici nostalgie o sentimentalismi, ma sono forze reali dello spirito, frutto di conquista, che formano l’uomo e lo aiutano a combattere gli ostacoli, a credere in se stesso, a credere nel valore dell’amicizia, a non arrendersi mai. Mi introduco così all’ultima, in ordine di tempo, scalata di rilievo della stagione, quella che ho affrontato in compagnia del “ragno” Lorenzo Mazzoleni. Con lui il 15 settembre ho superato in 15 ore la Nord 14 | Uomini&Sport | Marzo 2014 dell’Eiger, una delle grandi pareti che con il Cervino, e la Walker alle Jorasses in particolare, mi hanno sempre affascinato. La mia rincorsa alla ricerca di sensazioni nuove, impressioni suggestive, valutazioni oggettive di diverso tipo non poteva che completarsi nell’arco della stagione con la Nord dell’Eiger, una grande parete per i… miei giorni grandi. Su Alto, Nord dell’Eiger, Quinta Pala di San Lucano, via del Pesce alla Marmolada: ci ripenso, e già questa magica stagione mi sembra un sogno. Forse è giusto che ogni grande passione, quando viene ripensata, prenda l’aspetto di un sogno, perché la realtà è fatta di cose più grandi ed importanti. Sento che ogni esperienza, anche questa immensa esperienza dell’alpinismo, deve servire a rendere più valida la vita. È per questo che montagna ed alpinismo, così importanti per me, non arriveranno mai a possedermi in modo ossessivo: saranno l’espressione concreta e personale del mio modo di affrontare la vita, per viverne con gioia gli aspetti più positivi. Sopra: tutti lo ricordano così. In alto a sinistra: alle prese della via “AnghileriGogna” sulla parete Sud della Terza Pala di San Lucano, dove si aggiudica la prima ripetizione invernale. Immagini fotografiche gentilmente offerte dal fratello Marco. PUNTI VENDITA DF SPORT SPECIALIST NEGOZIO ONLINE Globalmente, il mercato dell’ecommerce sta avendo una crescita che in questi periodi di crisi fa emergere ancora di più le proprie potenzialità. Basti pensare che a livello europeo, l’anno 2012 ha raggiunto un fatturato di più di 300 miliardi di euro, il 19% in più rispetto al 2011. Questo, mentre le statistiche per l’anno 2013 davano una possibile crescita del 17% rispetto all’anno passato, con un fatturato, limitato alla sola Italia, di 11.2 miliardi di euro (fonte ilsole24ore.com). Ogni commento quindi pare quasi superfluo: l’ecommerce è l’affare del momento e lo sarà sempre di più in futuro. Df-Sport Specialist, che da sempre ha puntato su questa opportunità, oggi vanta un servizio ecommerce efficiente e sicuro, con una vastissima scelta di prodotti sportivi e casual, che può soddisfare le esigenze di tutti, ma veramente tutti, gli utenti. Che non vendiamo slogan pubblicitari, si può verificare direttamente sul nostro sito: più di 350 calzature solo nel reparto trekking ed alpinismo, 600 ed oltre articoli di attrezzatura montagna e arrampicata, più di 800 capi di abbigliamento tecnico tra uomo, donna e bambino, ma anche oltre 300 modelli di scarpe da running, un vastissimo assortimento di abbigliamento e scarpe da ciclismo, tennis, calcio, volley, fitness, con annesse tante palestre, cyclette, sport da combattimento. Il tutto senza dimenticare il mondo neve, dove trionfano sci, tavole, attacchi, completi e tutto quello che cercano nei mesi invernali gli appassionati di sci alpino, sci di fondo, sci alpinismo e snowboard. Il sito Df-Sport Specialist non è e non vuole essere però solo vendita: sul nostro portale è possibile trovare anche tutte le nostre iniziative, le date degli eventi che organizziamo e gli appuntamenti che sosteniamo. Potrete seguire le imprese dei nostri testimonial e sfogliare online tutti i nostri cataloghi e, perché no?, anche questa nostra rivista “Uomini e Sport”. Il progetto, che è partito nel 2008, nel tempo è cresciuti con il catalogo prodotti e le possibilità di presentare l’Azienda anche agli utenti lontani dai punti vendita che hanno così acquisito sempre più importanza e spessore. Oggi il sito Df-Sport Specialist è un negozio a tutti gli effetti per quanto riguarda la sezione ecommerce ed un valido mezzo di informazione per ciò che concerne la parte di comunicazione: un mezzo informatico che, insieme al Blog di arrampicata, va incontro alle diverse le esigenze degli appassionati. facebook.com/sportspecialist youtube.com/user/SportSpecialist twitter.com/dfsport CONTATTI indirizzo e-mail: [email protected] info-line: tel. 039.92155414 tel. 039.92155419 tel. 039.92155422 da lunedì a venerdì 9.30 - 13.00 / 14.00 - 18.00 Uomini&Sport | Marzo 2014 |15 I CONSIGLI DELL’ ESPERTO Correre fa tendenza ...m a so p ratt utto fa b en e alla salute “C a cura di orrere aiuta a conoscersi meglio. Il running è un processo di riflessione meditativa e attiva. E’ un modo meraviglioso e semplice per mantenersi in forma e in salute. Può essere praticato dove, quando e con chi si vuole. E’ un’attività che migliora l’autostima e aumenta la comprensione delle proprie capacità e dei propri limiti. Il running di gruppo accentua i legami e rafforza le amicizie. Mentre si corre ci si sente bene perché lo sforzo scatena l’adrenalina: la strana espressione che aleggia sempre sul volto del runner non è dovuta alla fatica fisica ma al benessere interiore di chi ama quello che sta facendo. Tutti coloro che hanno già iniziato a correre ritengono che per loro questa è un’esperienza fantastica! All’inizio bisogna fare i conti con la fatica ed alcuni dolorini nelle varie parti del corpo, ma con il passare del tempo, man mano che l’allenamento procede, il piacere prende il sopravvento, piacere derivante dal rilascio di sostanze chimiche nel nostro corpo (le celebri endorfine con il loro potere analgesico ed eccitante). Con un allenamento costante le gambe diventano sempre più forti, il corpo più leggero e la fatica ci assale sempre più tardi permettendoci così di allungare sempre più la sessione di allenamento. 16| Uomini&Sport | Marzo 2014 ” Giacomo Leone Vincitore della Maratona di New York nel 1996 Con l’arrivo della bella stagione, poi, la voglia di fare una bella corsetta, magari in uno dei parchi non lontani da dove abitiamo, sopraggiunge sia per gli sportivi più convinti, sia per i sedentari più incalliti. A questo punto le questioni di maggiore importanza sono due: sottoporsi a un visita di idoneità sportiva e acquistare un buon paio di scarpe da running (le scarpe da ginnastica o da tennis non sono adatte alla corsa). Per scegliere una buona scarpa, fondamentale per non soffrire in seguito di problemi articolari, muscolari e di fastidiose vesciche, bisogna tener conto di diversi parametri come il proprio peso, il tipo di appoggio del piede, il tipo di terreno su cui andremo a correre ed altri aspetti che possono essere valutati con il personale esperto in running dei negozi specializzati. La scelta dell’abbigliamento per correre è invece più semplice e lascia maggiore libertà rispetto alla scelta delle calzature. Correndo il corpo produce calore che viene disperso con la sudorazione. Se siamo coperti troppo si ostacola il processo di traspirazione, il corpo rimane costantemente bagnato dal sudore e ci affatichiamo più velocemente. Indossare capi leggeri e traspiranti, invece, compatibilmente con le stagioni e le temperature esterne, ci aiuta a disperdere velocemente la sudorazione e ad evitare inutili affaticamenti. Una regola fondamentale per chi inizia a correre è quella di usare molta prudenza: è importante partire lentamente, con un impegno blando, dosando le sedute di allenamento in modo da poter svolgere l’attività sempre con una respirazione facile ed un carico di lavoro di bassa intensità. All’inizio, per facilitare l’adattamento degli arti inferiori e migliorare l’apparato respiratorio, è bene partire camminando per almeno qualche settimana o addirittura per un paio di mesi per i più sedentari. Questo permetterà di ridurre le probabilità di infortuni nel momento in cui si passerà alla corsa che dovrà essere comunque praticata in base alle proprie possibilità e senza avere il fiatone. Ora, capaci di camminare per un’ora di fila senza sentirsi stravolti, si è pronti per inserire alcuni tratti di corsa leggera che lascerà di nuovo spazio alla camminata solo al sopraggiungere del fiatone. Alternando la fase del cammino con la corsa si riesce a raggiungere il primo importante obiettivo: arrivare a correre circa un’ora consecutiva con una certa facilità. Questo è il momento in cui, se si è tenuto duro, la sofferenza e il dolore, il fiatone e gli acciacchi, lasciano posto alla soddisfazione e al piacere. Si potrà continuare a correre semplicemente per tenersi in forma, partecipando alla più scanzonata delle “tapasciate” o alla più impegnativa delle maratone, purché l’importanza dell’attività sportiva sia il raggiungimento del benessere psico-fisico. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 17 The Abbots Way la storia e la corsa La corsa attraverso l’Appennino Tosco Emiliano è prima di ogni altra cosa una corsa in natura, al di là delle definizioni di moda come trail-running, ultratrail, skyrace e così via. Nasce da un’idea di Elio Piccoli, runner e biker piacentino che, nel 2007, durante un’escursione in Appennino decide di seguire le indicazioni dello studioso dott. Giovanni Magistretti, ricercatore e scopritore della documentazione che porta alla scoperta dell’antico passaggio alto medievale, da Bobbio(PC) fino a Pontremoli (MS). Il tracciato incontra la Via Francigena proveniente in questa tratta emiliana, da Fidenza in provincia di Parma, per proseguire sul Passo della Cisa e poi verso Roma, diventata famosa in quanto percorsa dall’arcivescovo di Canterbury, Sigerico, di ritorno da Roma nel 990 d.c. in 79 tappe. San Colombano e La Via Degli Abati E ra il 613 d.c. quando l’abate e santo irlandese Colombano fondò la celebre abbazia di Bobbio, divenuto successivamente un centro europeo culturale e religioso, nonché grande studio 'scriptorium' del medioevo. Colombano partì da Bangor in Irlanda, con dodici compagni di viaggio e dopo aver fondato diverse abbazie come Annegray, Luxeuil, Fontaine, essendo perseguitato dall'episcopato e dalla dinastia burgunda, decise di recarsi a Roma per avere l’approvazione di Papa Bonifacio IV. Durante il suo stazionamento a Milano, sotto la protezione del re longobardo Agilulfo e della di lui moglie Teodolinda, riceve l’incarico dell’avvicinamento della corte longobarda alla Sede Apostolica in cambio della possibilità di creare sul suolo demaniale un nuovo centro di vita monastica. Viene segnalato il nome di Bobbio, e la stessa regina Teodolinda, fervente cristiana, sale sulla vetta del Monte Penice nel 612, allo scopo di ricognizione del luogo già sacro e lì gli promette il territorio in cambio di dedicare alla Madonna la piccola chiesetta in cima alla vetta. San Colombano giunge a Bobbio nell'autunno del 614 con Sant'Attala, constata lo stato di abbandono dell'antica chiesa di S. Pietro e la ripara disponendo attorno ad essa alcune costruzioni in legno, come primo centro di vita monastica. Dopo un solo anno di permanenza a Bobbio, e all'età 75 anni, muore nel monastero la domenica 23 novembre del 615. Fu a quei tempi che la “Via degli Abati” venne utilizzata dai monaci per il raggiungimento di Roma, oltre che dagli ecclesiastici irlandesi in pellegrinaggio alla tomba di San Colombano, per il trasporto e la distribuzione dei prodotti dai possedimenti monastici di San Colombano verso i territori piacentini, le Valli del Ceno e del Taro e la Toscana. L'antica “Via degli Abati” 18 | Uomini&Sport | Marzo 2014 collega le medievali Pavia, Bobbio e Pontremoli, proseguendo per Roma, facendosi largo tra i millenari boschi, le gole e i torrenti degli Appennini tra le province di Pavia, Piacenza, Parma e Massa. Innumerevoli i borghi, le chiese, le rocche ed i luoghi rimasti immutati nel tempo, dove solo gli elementi naturali e l'abbandono dell'uomo hanno contribuito all'attuale fascino. Di notevole interesse storico e artistico, oltre al complesso abbaziale di Bobbio, sono il romanico ponte sul fiume Trebbia, importante corso d'acqua e silente testimone dell'epica battaglia che vide il condottiero Annibale vittorioso sulle truppe dell'Impero romano; la longobarda rocca di Bardi, edificata su di un suggestivo sperone di diaspro rosso, e gli eleganti rinascimentali e barocchi palazzi di Borgo Val di Taro, ed infine Pontremoli, antico centro medievale di traffici commerciali le cui alte torri ed antichi ponti, dominano le vallate della Lunigiana, culla di antiche civiltà. La Gara Dopo una ricognizione in 4 tappe con alcuni runners piacentini, che sarebbero poi diventati i Lupi d’Appennino, Elio Piccoli e Armando Rigolli decidono di organizzare la gara nel 2008. Le valli che si attraversano diventano nomi epici, come le battaglie del passato, per la fatica ed il sudore versato. La Valle del Verde a Pontremoli, la Val Taro che comincia dal Passo del Borgallo fino al valico che porta a Osacca nel comune di Bardi in Val Ceno, provincia di Parma. Si sale sul Monte Lama punto più alto del percorso a circa 1350 slm per arrivare a Farini in Val Nure, tratto piacentino e da lì si proseguire per la Val Trebbia con l’arrivo a Bobbio passando dalla oramai mitica Sella dei Generali, che permette di affrontare la discesa finale verso Coli e Bobbio. La prima edizione, non pubblicizzata per poter gestire pochi atleti in sicurezza, vede la partecipazione di una quarantina di runners che percorrono la Via in due tappe distinte da Pontremoli(MS) a Bardi(PR) in 65 chilometri e da Bardi(PR) a Bobbio (PC) su altri 60 chilometri. Il dislivello totale nelle prime due edizioni rimase minore in quanto il percorso non passò sul Monte Lama, inserito successivamente per incattivire un po’ la corsa portandola a circa 5.500 m d+. Nelle edizioni successive il numero dei partecipanti cresce subito e nella seconda edizione, partono da Pontremoli 168 atleti provenienti da tutt’Italia, sempre nella formula in due tappe. Una nuova svolta si ha nel 2010 quando viene inserita la tappa unica in “single stage” e il numero dei partecipanti vola a 300 circa. Vince un ragazzo svizzero, Christian Schneider in circa 15 ore, destando scalpore per il tempo di percorrenza impensabile fino a quel momento. Tra le donne plurivincitrice sarà Katia Fori che anche per le ottime prestazioni su questo percorso, verrà chiamata a far parte della nazionale italiana di trail running. Altri personaggi sportivi famosi si faranno largo nel panorama nazionale come Francesca Canepa che, dopo la vittoria all’Abbots nel 2012, in 15 ore e 12 minuti, andrà a trionfare per 2 volte nella corsa trail più lunga del mondo, il TOR DES GEANTS in Valle d’Aosta. A porre una sorta di sigillo di supremazia con il record della corsa arriva Stefano Ruzza, campione italiano ultratrail, in 14 ore e 14 minuti. Nel 2012 l’Abbots si guadagna l’onore di diventare qualificativa per la Western States negli Stati Uniti, corsa trail storica e famosa in tutto il mondo. Come da sempre DF Sport Specialist si presenta importante sponsor anche alla 7^ edizione della Abbots Way. una varietà di immagini nelle diverse fasi della 6^ edizione. Uomini&Sport Uomini&Sport | Settembre | Marzo2013 2014||## 19 ITINERARI A cura di WWW.PIEDILIBERI.IT -Il sito di itinerari nella natura Nel regno di Fanes Un trekking di tre giorni nel Parco Naturale Fanes-Senes-Braies, il cuore delle Dolomiti B astano tre giorni per questo breve trekking circolare, alla portata di tutti, per esplorare la zona del parco che appartiene all’Alta Val Badia, una valle di cui ci si innamora facilmente. Il modo migliore per entrare nel mondo incantato delle Dolomiti, è quello di immergersi completamente tra le montagne i boschi e le praterie di queste valli percorrendone i sentieri e pernottando nei rifugi, lontani dalla confusione e dall’asfalto. Il Parco Naturale Fanes-SenesBraies, in provincia di Bolzano, custodisce uno straordinario patrimonio naturalistico e permette di scoprire grandi spazi e angoli suggestivi dove sono ambientate antiche leggende. Il trekking è adatto a tutte le persone abituate a camminare in montagna ed è percorribile, di norma, da luglio a settembre (informarsi sempre sull’apertura dei rifugi e la transitabilità dei passi). Anche se il percorso non presenta particolari difficoltà, occorre seguire alcune semplici regole, fondamentali per la sicurezza in montagna, come procurarsi una cartina aggiornata e non allontanarsi dai sentieri, portare scarponcini da trekking, indumenti leggeri ma anche capi caldi e impermeabili tenendo presente che anche nel mese di agosto a 2000 metri può nevicare e fare molto freddo, partire presto al mattino e informarsi presso i rifugi sul percorso e il meteo. Leggenda del Fanes: si può trovare la storia dell’antico Regno dei Fanes, oltre ad interessanti informazioni sul parco, sul sito www.dolomititour.com/fanes/pag11-i.htm 20 | Uomini&Sport | Marzo 2014 2° giorno Partenza: Rifugi Fanes m 2060 o Lavarella m 2050 Arrivo: Rifugio Santa Croce m 2045 Dislivello: metri 650 | Tempo: ore 6 Il secondo giorno si imbocca il sentiero n° 13, che parte dal Rifugio Lavarella, e si sale dolcemente tra grandi pascoli fino a raggiungere i ghiaioni che portano al Passo di San Antonio m 2466; valicato il passo, il sentiero scende su grandi pendii detritici finché si incontra di nuovo una verdissima vegetazione. Percorsa per un tratto una stradina, bisogna fare attenzione e imboccare il sentiero n° 16 che si stacca verso sinistra e si addentra nei grandi e suggestivi boschi dell’Armentara. Seguendo fedelmente il sentiero per un lungo tratto, si arriva finalmente al Rifugio Santa Croce sotto le spettacolari pareti del Sass da la Crusc. 3° giorno Partenza: Rifugio Santa Croce m 2045 Arrivo: San Cassiano in Val Badia m 1538 Dislivello: metri 500 in discesa | Tempo: ore 3 1° giorno Partenza: San Cassiano in Val Badia m 1538 Arrivo: Rifugi Fanes m 2060 o Lavarella m 2050 Dislivello: metri 600 | Tempo: ore 4 Dal Rifugio Santa Croce si segue il riposante sentiero n° 15 tra boschi e belle radure, con grandiose vedute sul Gruppo del Sella e i lontani ghiacciai della Marmolada; in leggera discesa si arriva a delle piccole frazioni finché si trovano le indicazioni per San Cassiano, dove si conclude l’itinerario. Punto di partenza, e di arrivo, è il paese di San Cassiano, da dove si prosegue per la località Armentarola e il rifugio Capanna Alpina (fin qui si può arrivare anche in macchina). Dalla Capanna Alpina si imbocca il sentiero numero 11 che attraversa un bel bosco e sale al Col de Locia m 2069; da qui il sentiero percorre lungamente un grande altipiano finché raggiunge il posto di ristoro Malga Grande di Fanes. Rimanendo sul sentiero n°11 che a tratti segue una vecchia stradina militare, si arriva al Passo del Limo, e al suo lago, e in breve si scende alla incantevole conca, ricca di torrenti e laghetti, dove si trovano il Rifugio Fanes e il Rifugio Lavarella, al termine della prima tappa. INFORMAZIONI Come arrivare: In auto – autostrada del Brennero A22 fino al casello di Chiusa, quindi strada SS242 della Val Gardena, Passo Gardena, Alta Badia. Da Milano km 372. Mezzi pubblici – collegamenti autobus con le stazioni ferroviarie di Bolzano, Bressanone e Brunico. Consorzio Turistico Alta Badia per informazioni su trasporti, attività, iniziative e ogni tipo di alloggio in hotel, appartamenti, B&B, campeggi ecc. tel. 0471836176 - www.altabadia.org Rifugio Fanes tel. 0474 501097 - www.rifugiofanes.com; Rifugio Lavarella tel. 0474 501079 - www.lavarella.it; (Foto: L. Kostner, F. Planinschek, A. Filz) Rifugio Santa Croce tel. 0471839632 - www.enrosadira.it/rifugi/santacroceinbadia.htm Uomini&Sport | Marzo 2014 | 21 A cura di WWW.PIEDILIBERI.IT -Il sito di itinerari nella natura ITINERARI UN TREKKING CHE É ANCHE CULTURA L’antico Sentiero del Sempione, percorso ideale per addentrarsi nella natura, consente insieme di scoprire la storia di un grande personaggio del passato T ra l’italiana Domodossola e la svizzera Briga, il Passo del Sempione è la principale porta d’accesso al Vallese come ben sapeva Kaspar Jodok von Stockalper, il grande uomo d’affari che fece fortuna nel XVII secolo. Nato nel 1609, uno dei più importanti commercianti d’Europa, parlava cinque lingue ed era proprietario di vasti pascoli, alpeggi e miniere. Dal suo palazzo a Briga, che aveva trasformato in un magnifico castello, controllava i commerci con Anversa, Parigi ed i porti della Manica a Nord e Milano a Sud. Fu lui a far sistemare il sentiero, ad attrezzarlo con ponti e rifugi per permettere alle carovane di passare anche d’inverno e consentire il commercio del sale, della seta e di tutte le merci che dovevano valicare il Sempione. Nel 1995 la Fondazione Svizzera “ Ecomuseo del Sempione”, ha realizzato un interessante museo ed ha ripristinato l’antico percorso, che costituisce oggi una straordinaria testimonianza a cielo aperto della grande opera seicentesca e dei successivi ampliamenti voluti da Napoleone. Da molto tempo ormai queste antiche vie di comunicazione hanno lasciato il loro ruolo economico e militare a strade più nuove e moderne, tuttavia da diversi anni la mulattiera ha ripreso vita come itinerario culturale, un trekking nella storia insomma, per vedere le valli che portano al Sempione da una prospettiva diversa. Il trekking che segue la strada seicentesca del Sempione richiede 2 giorni di cammino, con un pernottamento al Passo del Sempione. Tra le diverse possibilità, è consigliato il pernottamento presso il celebre e confortevole Ospizio del Sempione – telefono 0041 (0) 279791322; e-mail simplon@ gsbernard.net – ben noto tra gli alpinisti e gli scialpinisti, che qui fanno tappa per le salite al Monte Leone, al Breithorn e a molte altre cime della zona. 1° giorno da Gondo (855 m) al Passo del Sempione (2006 m) dislivello salita: 1151 m | tempo: 5/6 ore La prima tappa è la più impegnativa dato che prevede la salita al Passo. Si parte da Gondo, dove si trova già una testimonianza, la Torre Stockalper, fatta costruire nel XVII secolo. Da qui ci si inoltra nelle famose gole percorrendo un sentiero attrezzato con ponticelli metallici che corre parallelo alla strada carrozzabile, fino a giungere ad una caserma napoleonica (Alte Caserme, 1157 m) dove è stato allestito un museo sulla storia del passo. Si passa quindi da Gabi (1240 m) per giungere a Simplon Dorf ( 1472 m) dove si può visitare la bella sede dell’ecomuseo (Alter Gasthof ). Attraverso prati e boschi aperti di larici si sale ancora verso l’antico alpeggio di Egga (1588 m) ed il vecchio ospizio (1870 m) fatto costruire da Stockalper nel 1670, superato il quale si giunge finalmente al Passo dove sorge l’Ospizio Napoleonico terminato nel 1831. 2° giorno dal Passo del Sempione (2006 m) a Briga (678 m) dislivello discesa: 1328 m | tempo: 4 ore La discesa a Briga si svolge in ambienti molto vari e corre sempre distante dalla strada carrozzabile. La mulattiera, lasciato il passo, guadagna rapidamente il fondovalle a Taferna (1597 m) dove vi sono i resti dell’antica Osteria costruita nel 1684. Il sentiero si articola quindi tra abeti rossi ed ontani verdi fino al borgo di Grund (1071 m) alla confluenza del Taferna con il Ganterbach dove si trova un fienile del 1459. Da qui, attraverso una pietraia, bisogna risalire fino all’Alpe Rosswald (1316 m) dove si incontra l’antica canalizzazione che dal XIII° secolo consente l’irrigazione dei campi di Termen e Ried.Costeggiata la gola della Saltina, la mulattiera comincia quindi a scendere verso Briga toccandone i sobborghi. L’arrivo è posto in corrispondenza del castello Stockalper di Briga, costruito a partire dal 1650 e restaurato nel 1961, che merita certamente una visita. Tutte le informazioni sulla regione si trovano sul sito: www.vallese.ch - Foto: Peter Salzmann – Vallese Turismo ##||Uomini&Sport 22 Uomini&Sport||Marzo Settembre 2014 2013 I CONSIGLI DELL’ ESPERTO Leggeri ma con tutto il necessario. Arriva la bella stagione e gli amanti della vita outdoor iniziano a scalpitare. Sono tante le cose da portare durante le nostre escursioni ma allo stesso tempo si vorrebbe tenersi il più possibile leggeri. Tutto parte sicuramente da un corretto abbigliamento, ma quello che mettiamo nello zaino ha sicuramente il suo “peso”. Oggi grazie ai materiali più innovativi anche le attrezzature più semplici posso diventare ultraleggere e facilitare così le nostre escursioni. Cosa mettere nello zaino... ESPERTO CONSIGLIA Giacca Tecnica Df Mountain SCI Zaino Trekking 30 litri Df Mountain Gilet Thermore Df Mountain Scarpone Df Lavaredo L’importanza di vestirsi a strati L’obbiettivo di un corretto abbigliamento per attività sportiva dovrebbe essere quello di mantenere inalterata la temperatura corporea ideale che è di circa 37°C. In montagna, le repentine mutazioni delle condizioni metereologiche e la necessità di essere autonomi costringono gli escursionisti ad essere dotati di un abbigliamento il più versatile possibile, poco ingombrante e con tempi di asciugatura assolutamente brevi. Per chi pratica attività in montagna, e più in generale per chi pratica attività outdoor, è consigliabile applicare il principio “dell’abbigliamento a strati” in cui ogni capo ha la sua specifica funzione: 1° strato, detto strato “a pelle” 2° strato, detto strato “calore” 3° strato, detto strato “protezione” La gamma di prodotti DF-Mountain copre tutti questi requisiti, offrendo ottime risposte anche per gli sportivi più esigenti. Borraccia Df Sport Specialist Bastoncini telescopici Df Sport Specialist Tazza Df Sport Specialist Saccoletto Df Mountain Uomini&Sport | Marzo 2014 | 23 ACCADEVA NELL’ANNO… = 1 9 5 3= L’ALPINISMO ITALIANO IN KARAKORUM di Riccardo Cassin prima parte È La rievocazione prevista da questa rubrica assume nel presente numero la straordinaria particolarità di prendere in considerazione due diverse annate per due episodi che concorrono in un unico senso. Si tratta di due incursioni di Riccardo Cassin nel fantastico mondo del Karakorum: una prima volta, nel 1953, in qualità di ricognitore incaricato dal C.A.I. Nazionale per riferire gli estremi determinanti in funzione della spedizione italiana che l’anno successivo avrebbe avuto come trofeo la cima del K2. A distanza di cinque anni dalla sua prima visita, Cassin ritornava in Karakorum per guidare una seconda spedizione Nazionale che avrebbe trionfato nella conquista del Gasherbrum IV. Nell’insieme possiamo leggere una relazione di particolare interesse, dove trascurando in parte l’aspetto propriamente alpinistico a lui più congeniale, Riccardo Cassin si fa apprezzare nella sua veste di personaggio interessato all’esplorazione, cui nulla sfugge nell’ammirazione e nella descrizione degli ambienti che attraversa con occhio vigile ed appassionato. Possiamo pertanto chiamarle due differenti spedizioni tenute insieme da un unico paesaggio e da una relazione tanto riuscita che, a distanza di un decennio, ne fu richiesta la pubblicazione su una rivista straniera in lingua inglese. In apertura: la vertiginosa parete della stupenda e tremenda Torre Muztagh: i suoi 7.000 m di quota hanno resistito ai numerosi assalti fino al 1956, con la conquista degli inglesi J. Hartog e T. Patey. Nella pagina a lato: Askole: gli ultimi spazi estremi per una misera esistenza prima di incontrare soltanto roccia e ghiaccio. 24 | Uomini&Sport | Marzo 2014 noto che i sistemi dell’Himalaya e del Karakorum, tra l’India a Sud e il Tibet a Nord, costituiscono la zona di massima elevazione della superficie terrestre e superano di gran lunga ogni altra catena di montagne del globo. Si riscontra una notevole simmetrica regolarità in queste montagne. Politicamente la catena interessata abbraccia gli stati di India, Pakistan, Tibet (Cina), Kashmir e Bhutan. La profonda vallata dell’Indo separa le catene del Karakorum da quelle dell’Himalaya occidentale. A partire da Ovest del colossale massiccio del Karakorum, troviamo il Nanga Parbat (8.125 m), sopra l’ansa dell’Indo, che si eleva quasi isolato come un poderoso pilastro a sostegno della lunga catena. Dal Nanga Parbat le più alte vette si trovano tutte raggruppate nel settore centrale della catena: non mancano tuttavia alcuni 7.000 anche in altri settori. La massima vetta del Karakorum è il K2, 8.611 m di altitudine, al secondo posto, dopo l’Everest, nella graduatoria delle cime più elevate della terra. Da notare che alla catena principale si affianca una seconda catena, discontinua ma altrettanto elevata e grandiosa: tra le due s’interpone un profondo solco vallivo, quasi interamente occupato da lunghi ghiacciai. Caratteristica del Karakorum, oltre all’estensione dei ghiacciai, è l’incomparabile arditezza dei suoi monti. Lo stesso K2 si erge quasi isolato con creste e fianchi molto ripidi in ogni versante. E i massicci grandiosi e complessi, come il gruppo dei Gasherbrum, il Broad Peak, il Masherbrum, ecc., che in nulla cedono ai colossi himalayani, si accompagnano qui a poderose formazioni torreggianti (Torre Muztagh, Torri di Trango, Cattedrali del Baltoro, Torre di Uli Biaho, Guglie dei Kiaveri). È facile comprendere da tutto ciò come il Karakorum possa esercitare sull’alpinista un fascino forse ancora maggiore di quello dell’Himalaya. Vediamo un poco la toponomastica di queste montagne. Karakorum significa ghiaia nera. È un nome turchestano. Quello che noi chiamiamo Karakorum, fu detto anche muztagh. Anche questo è un turchestano e significa montagna di ghiaccio o di neve. Tale toponimo è oggi relegato alla catena posta lungo la destra orografica del ghiacciaio Baltoro, con i passi Muztagh vecchio e nuovo, la cima e la famosa Torre Muztagh (7.273 m). Dopo questi brevi cenni introduttivi rifaremo assieme i miei due viaggi: il primo svolto a carattere di ricognizione per la spedizione alpinistica italiana al K2 e il secondo in occasione della spedizione al Gasherbrum IV. Giunsi a Karachi il 18 agosto 1953, proveniente da Roma, dopo un viaggio di 13 ore con un aereo della Compagnia Scandinavian Airways. Troviamo un clima secco ed asciutto con 40 gradi all’ombra: non si è mai bagnati dal sudore. Il giorno seguente c’è una grande festa a Karachi e noto una grande animazione. Assisto interessato ad alcune danze locali: sono spontanee, ma dal significato misterioso per me. Finalmente si parte per Rawalpindi: percorrerò la distanza di 1.300 Km in 36 ore di treno. È un viaggio interminabile. Salendo verso Nord, si attraversa una zona tropicale quasi deserta. La sabbia che il treno solleva entra nei vagoni e si appiccica al corpo, imperlato di sudore. Questo viaggio mi prostra parecchio. Proseguendo, il paesaggio muta aspetto e il clima si fa più sopportabile. Si vedono fiumi, alcune marcite, che penso siano risaie, branchi di buoi, di capre, di bufali. La quantità di uccelli che ho visto in questo viaggio in treno è qualcosa di indescrivibile e dei colori più svariati. Riconosco i trampolieri e gli avvoltoi. I corvi riempiono l’aria come da noi i passerotti. E proseguendo nel mio viaggio noto come siano belle le terre bagnate dal fiume Indo. Verdi praterie, boschi, laghetti. L’Indo è un fiume meraviglioso, che in alcuni punti sembra un lago, tanto è largo: scorre come un nastro grigio di immense proporzioni. Il 6 settembre siamo in volo su un bimotore Dakota verso Skardu. È un mattino limpidissimo e il sole, nascendo, illumina le montagne: solo montagne a perdita d’occhio. Nella valle dell’Indo il paesaggio è mutato repentinamente: rocce brune, pietraie, un deserto montagnoso giallo e sassoso, uniforme. Sono le montagne dell’Asia queste, assolate, aride (anche qui, infatti, il monsone non giunge con le sue intense piogge, arrestato sul versante opposto dalla cresta del Babusar e dal baluardo del Nanga Parbat). Vedo poi grandi ghiacciai, coperti da un immenso cumulo di nuvole e là in alto, sopra le nubi più alte, due punte nevose, le due bianche punte del superbo Nanga Parbat separate dalla “sella d’argento”. È il primo ottomila che vediamo, forse il più bello nel suo splendido stato di isolamento. Ammiro questa altissima muraglia ghiacciata, con paurose seraccate, crestine affilate e canaloni vertiginosi: e la vetta è lassù, altissima… Il Nanga Parbat venne vinto all’inizio di luglio nel 1953 dal grande alpinista austriaco mio amico Hermann Buhl, che cadde su queste montagne del alberi di frutta numerosissimi danno un abbondante raccolto. Le piante d’alto fusto prosperano fino a 3.700 m, gli arbusti raggiungono i 4.000 m, l’erba cresce fino ai 4.500, ma sempre e solo quando c’è acqua. Le piogge sono rare e scarse: i corsi d’acqua costituiscono le arterie vitali. Dopo aver lasciato la larga valle dello Shigar, ci immettiamo nella valle del Braldo che ha inizio a Dassu (2.400 m). La valle del Braldo chiusa, incassata, severa, penetra fra montagne sempre Karakorum, e precisamente nel 1957 sul Chogolisa, montagna del Baltoro. Dalla cabina di pilotaggio possiamo vedere altre montagne, dinanzi a noi. Là in fondo ecco una grande piramide isolata, superba, più a destra una duplice gobba; poi un’altra piramide slanciata: il K2, il Broad Peak, il Gasherbrum IV… Sollevando una densa nuvola di polvere giallastra, l’aereo poggia le ruote sulla pista naturale di fango secco: siamo a Skardu, il capoluogo principale del Baltistan. Lasciato Skardu risaliamo la valle dell’Indo, dello Shigar e del Braldo. A quota 2.000/2.500 m nella vallata sulle rive degli affluenti sorgono villaggi, che in mezzo allo sterile terreno si presentano come verdi oasi. L’acqua distribuita da un sistema di canali porta la vita. Le superfici irrigate hanno campi e frutteti. L’orzo matura fino a 3.500 m, gli più alte, sulle quali spicca il Koser Gang Peak, nella catena del Mango Gusar. Lasciato Dassu passiamo per il villaggio di Cutrun, dove c’è una fonte di acqua calda. Raggiungiamo poi il passo Stak, nella valle confluente di destra del medio Indo, e discendiamo un piccolo ghiacciaio: stiamo dirigendoci verso il famoso ghiacciaio Kutiah nel gruppo dell’Haramosch, catena gigantesca le cui cime più alte raggiungono la quota di 7.400 m. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 25 Questo mutamento dall’itinerario tradizionale per il K2, ci è stato condizionato dal governo del Pakistan, poiché si devono svolgere per suo conto degli studi sul ghiacciaio Kutiah. Questo ghiacciaio infatti si era messo ad avanzare a velocità impressionante, allungandosi in tre mesi di ben 12 Km, con una progressione quindi di circa 130 metri al giorno. Questa massa enorme di ghiaccio che con paurosi boati scendeva dall’alto, travolgendo tutto e sommergendo magnifiche foreste, creava il terrore dei villaggi. La sua marcia si era comunque arrestata a circa due miglia dal primo abitato. Dove prima c’era vegetazione ora si presentava un immenso ghiacciaio, largo quasi un chilometro, con uno spessore sulla fronte di circa 200 metri, con crepacci profondi e con guglie di ghiaccio alte 10/12 metri. Il Professor Desio fece i suoi rilievi e al termine dei quali ritornammo a Cutrun. Il mattino seguente lasciamo Cutrun per il paese di Defanza e quando raggiungiamo il villaggio Pakora siamo investiti da un temporale. Sostiamo qui e riprendiamo la marcia per il passo di Gatola alto 4.480 m. La nostra è una marcia dura ed estenuante: unico sollievo è la candida visione di quei seimila/settemila che dal Gatola compaiono ai miei occhi: sono tutte vette vergini sopra gli alti bacini nevosi. Siamo in ritardo di un giorno sul nostro programma, e siccome dobbiamo attraversare il fiume Bashar, temiamo che lo “zak”, a causa del nostro ritardo non ci attenda più per il traghetto. Lo zak, è uno zatterone tenuto a galla da pelli di capra rigonfie d’aria. Così è infatti, e al punto convenuto dobbiamo quindi percorrere altre 15 miglia circa per arrivare ad attraversare il fiume su di una passerella, detta “jhula”. Così vengono chiamati i ponti indiani sospesi, costruiti con intreccio di liane, di cui tre grossi fasci, due per le mani e il terzo per camminarvi, congiunti verticalmente da fasci minori, con la grande curva scendente quasi a lambire le acque. Questo ponte sul Bashar si presenta piuttosto malandato e si deve percorrerlo uno alla volta. La traversata di uno jhula d’altra parte non è sempre scevra di emozioni, particolarmente verso il mezzo del ponte, ove le acque vicine e vorticose danno la strana e nettissima impressione di un vertiginoso movimento laterale, che l’oscillare inquietante del ponte accresce e completa. Comunque anche qui tutto va per il meglio. Imbocchiamo quindi la valle del Braldo. Nella marcia verso Askole ci imbattiamo in una fauna ricca e varia, nella quale signoreggiano gli hibex, gli stambecchi himalayani, che a gruppi di decine pascolano nel loro regno. Vediamo anche i camosci. Giungiamo a Askole, che sorge sulle pendici della grande costiera del Karakorum, a breve distanza dalla fronte del ghiacciaio Biafo: Askole si trova a 3.052 m ed è l’ultimo villaggio. Benché molto addentrato nelle montagne, a così alta quota, Askole ha campi d’orzo e rigogliosi albicocchi. Poco dopo il paese c’è Tisti, ultima oasi perennemente abitata, dopo che i nomi di località si riferiscono a posti deserti. Incontriamo poi il ghiacciaio del Biafo che proviene da una valle di destra e con la lingua terminale, coperta di morene, invade il letto del fiume Braldo. Questo ghiacciaio è in regresso: lo trovo in gran parte coperto da morene e sfasciumi. Costeggiando il Braldo, arriviamo alla fronte del ghiacciaio del Baltoro, 58 Km, il terzo ghiacciaio del Karakorum. Nell’idioma baltì, che è un dialetto tibetano, Baltoro significa donatore di vita. Il primo tratto del 26 | Uomini&Sport | Marzo 2014 Raggiunto Liligo, inizia il ghiacciaio del Baltoro. L’irresistibile attrattiva del versante Sud del K2, una delle più difficili montagne del Karakorum. Baltoro è coperto da grosso materiale morenico: però man mano che avanziamo lo scenario diventa più imponente e affascinante. È tutto un mondo di strapiombanti pareti, di arditissime guglie di ghiaccio, di vertiginose torri di granito tra i 6.000 e 6.500 m di altitudine che si apre ai nostri occhi. Il 23 settembre siamo a Urdukas. Abbiamo notato che il ghiacciaio di Liligo, uno dei tanti tributari del Baltoro, è in lento regresso. Ad Urdukas, 4.057 m, che sta su un terrazzo a cento metri sopra il Baltoro, si fa ammirare una fioritura miracolosa. Da Urdukas raggiungiamo a quota 4.627 il vastissimo pianoro di ghiaccio chiamato Concordia, anche questo coperto quasi totalmente di pietre. Dall’anfiteatro Concordia gli oltre ottomila del Baltoro appaiono nella loro formidabile imponenza: al Concordia confluiscono i ghiacciai del Falcian Kangri, del Gasherbrum, del Vigne. Una cerchia di vette altissime limitano l’orizzonte: il Bride Peak (7.654 m), la cima resa famosa dagli ardimenti del Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia; il cupolone ghiacciato del Golden Throne Peak (7.312 m) scalato dalla spedizione guidata da Piero Ghiglione, e finalmente, in fondo alla valle Godwin-Austen, che confluisce nel Baltoro, il K2, l’eccelsa piramide, che con i suoi 8.611 m domina tutti gli altri colossi. C’è da rimanere disorientati di fronte a questo scenario. Io solo, con tre coolies, faccio una ricognizione fino allo spigolo che s’innalza per oltre tremila metri verso la vetta del K2. Il 28 settembre, con tempo instabile, intraprendiamo la marcia del ritorno. L’anno successivo gli italiani vinsero il K2: ma il mio contributo alla vittoria si limitò alla ricognizione menzionata. Per motivi ancor oggi a me sconosciuti, non venni incluso nel lotto degli alpinisti della spedizione. Augurai e mi complimentai poi con tutti gli italiani per la fulgida e prestigiosa vittoria del nostro alpinismo: ma rimpiango ancora oggi di non esserci stato. la seconda parte proseguirà sul prossimo numero L’articolo viene pubblicato con la gentile concessione della Fondazione Riccardo Cassin. La selettiva scelta fotografica ci è stata consentita dalla generosa disponibilità di Tino Albani. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 27 Amici in corrispondenza... Gentile redazione, ho letto con grande interesse l’inchiesta sulla professione della Guida Alpina, un “mestiere” sempre più necessario soprattutto da quando la montagna è diventata il “campo di gioco” di un numero sempre maggiore di appassionati. Ma, come sappiamo, la passione non basta per frequentarla in modo consapevole e sicuro e la conferma arriva, purtroppo, dalle cronache quasi quotidiane di incidenti, alcuni dei quali mortali. Grazie quindi per aver messo sotto i riflettori questi professionisti, che si sono formati proprio per garantire la sicurezza di noi appassionati. Leggo sempre con piacere anche le pagine “storiche”, con i racconti delle imprese che, nei decenni scorsi, hanno reso grande nel mondo l’alpinismo lecchese. Sono solide basi su cui costruire i successi futuri. Avanti così! Buon lavoro. Paolo Ferrario Giornalista -Lecco- Cari amici di Uomini e Sport… Ha qualcosa di insolito, anzi di miracoloso una rivista come Uomini e Sport che coniuga montagna, sport e divertimento e al tempo stesso parla di bilanci da far quadrare senza nascondere i propri interessi commerciali. Come si sa il divertimento, che i guru dell’alpinismo preferiscono definire snobisticamente loisir, è una voce quasi ininfluente in quella ricerca della libertà e di valori assoluti con cui si è soliti glorificare l’andar per monti. Ciò che più apprezzo in Uomini e Sport è lo sguardo rivolto verso i nuovi praticanti delle discipline legate alla montagna (tra i quali, a quanto pare, ben 100.000 amanti del fuoripista, a loro volta segmentati in sotto categorie: ski touring classico, race, freeride ognuna con attrezzatura e interessi specifici). Assecondare questa migrazione, oltre che con l’uso massivo di internet, con un’accattivante rivista patinata sarebbe però poca cosa se nelle pagine non si potessero ritrovare, come di fatto avviene, saggi, inchieste, orientamenti e anche una fondamentale finestra aperta sul passato con inedite e appassionanti rievocazioni di personaggi che hanno fatto grande l’alpinismo. Un mix che fa onore a questa rivista e a chi, in veste di imprenditore, le offre un fondamentale sostegno con una passione che va ben oltre le partite doppie e raramente trova riscontro con altrettanta generosa disponibilità nelle istituzioni legate alla montagna. Complimenti vivissimi! Roberto Serafin Giornalista -Milano- Carissima redazione, la rivista Uomini e Sport, che ho conosciuto grazie al Concorso Letterario dedicato a Carlo Mauri, mi ha colpito fin da subito per il suo taglio spigliato, vario e deciso. A differenza di altre riviste dedicate solo all’alpinismo e all’arrampicata, Uomini e Sport, pur restando piacevolmente legata al mondo della montagna e della natura, concede spazio a molte attività, inframmezzando utili consigli in merito alle attrezzature necessarie per affrontarle al meglio e con il massimo della sicurezza possibile. In particolare apprezzo quegli articoli che presentano sportivi e alpinisti da un punto di vista un po’ da “dietro le quinte”, cogliendo aspetti altrimenti sconosciuti. Molto interessante anche l’inchiesta dedicata alle Guide Alpine, che è riuscita a mettere a nudo questi professionisti della montagna, rovistando tra le loro motivazioni ed i loro punti di vista. Una cosa ha attirato la mia attenzione: il fatto di associare, nella stessa pagina e con lo stesso spazio, personaggi che hanno compiuto imprese alpinistiche rischiose ed eccezionali con atleti di altri sport, evidentemente di livello tecnico e qualitativo minore. Questo a mio avviso non sminuisce i primi e non ingigantisce i secondi, perché ogni vero sportivo deve saper valutare e accettare il valore delle proprie prestazioni anche in riferimento a quelle degli altri. Personalmente tengo molto all’etica, ai valori ed alla correttezza dello sport. A questo proposito su Uomini e Sport mi piacerebbe vedere, anche saltuariamente, una rubrica dedicata ai giovani, per cercare di stimolarli, affinché entrino in questo magico mondo. Poi andrebbe loro spiegato, anche attraverso esempi negativi e positivi, che lo sport autentico prevede il rispetto per se stessi, per le regole e per gli avversari. Una volta applicati questi parametri, la vittoria è già raggiunta anche se non si vince. Non sta scritto da nessuna parte che tutti dobbiamo essere campioni. Tanti campioni fasulli sono stati smascherati mostrando tutta la loro vigliaccheria e disonestà. Le loro tante vittorie erano solo fumo, perché raggiunte col doping o col trucco. Bene! Lo sport non ha bisogno di queste tristi persone. Un’altra inchiesta, tipo quella dedicata alle Guide Alpine, potrebbe scandagliare le motivazioni ed il modo di andare in montagna. Perché andiamo in montagna? Per noi stessi o per gli altri? Ha più valore il salire l’Everest in fila indiana come allo sportello delle Poste, grazie a portatori d’alta quota, corde fisse già predisposte e all’utilizzo di ossigeno, oppure salire in tutta autonomia il Monte Bianco? Mi piacerebbe che Uomini e Sport diventasse, sempre di più, un punto di riferimento a favore dello sport spensierato, onesto e pulito, che è una cosa meravigliosa. Roberto Merli Podenzano [email protected] df SPORT SPECIALIST Redazione “Uomini e Sport” Via Figliodoni, 14 - 23891 Barzanò - LC 28 | Uomini&Sport | Marzo 2014 DOVE VIAGGIA IL LOGO DF SPORT SPECIALIST Inviaci una tua fotografia dove compare il logo df Sport Specialist: sarà qui pubblicata, mentre a te faremo dono di un simpatico gadget. Le immagini più curiose e più belle saranno premiate durante una delle serate “A tu per tu con i Grandi dello Sport”. “Piccoli ciclisti crescono”: tanta allegria al Randolario con la ciclogimkana organizzata da Giretto.it, a Maggianico di Lecco. Giorgio Berta in Patagonia: a sinistra al Paso Marconi, sullo Hielo Patagónico Sur. A destra osservando il panorama durante la traversata del lago Viedma. Giancarlo Bonardi ha trovato interessante la foto scattata dal Base Camp Green Lake (m 5000), di fronte al Kangchenjunga, nell’Himalaya del Sikkim. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 29 A proposito delle serate “A Tu per Tu ” SI PARLA DI ENDURANCE... Doppio appuntamento con la fatica nelle serate organizzate a Piacenza e Olgiate Olona Quello dell’ endurance è un tema sempre molto sentito e che riesce ad appassionare diverse fasce di pubblico. Per questo, i due incontri tenutisi rispettivamente il 21 febbraio ad Olgiate Olona ed il 7 marzo a Piacenza presso i rispettivi punti vendita DF Sport Specialist, hanno riscosso un grande successo di pubblico. Le due serate, grazie all’intervento di apprezzatissimi esperti del campo, il Dott. Huber Rossi allenatore dei migliori maratoneti mondiali, il Dott. Luca Speciani allenatore e nutrizionista internazionale ed il Dott. Stefano Codognola laureato in scienze motorie ed esperto di allenamento funzionale, hanno potuto affrontare il fenomeno della corsa a 360°. Le performance dell’atleta evoluto fino a quelle della persona che appena si affaccia all’attività fisica in modo amatoriale, hanno dipanato dubbi e soddisfatto puntualmente la curiosità dei presenti, con consigli preziosi sulla preparazione atletica. In alto: evidente l’interesse del pubblico che segue la serata a Piacenza. In basso: soltanto posti in piedi per chi ha tardato a gremire il punto vendita df-Sport Specialist di Olgiate Olona. DF SPORT SPECIALIST E BERGAUTO VIAGGIANO INSIEME BMW Lario Bergauto 30 | Uomini&Sport | Marzo 2014 Una grande serata di DF SPORT SPECIALIST con Michele Boscacci, Marco Camandona e il mitico Tour de Rutor U na serata dedicata agli amanti dello scialpinismo. Immagini mozzafiato, due grandi campioni e una gara estrema: tutto questo è andato in scena giovedì 30 gennaio da df-Sport Specialist. L'appuntamento con "A tu per tu con i grandi dello Sport" ha portato nel negozio a Bevera di Sirtori, Marco Camandona e Michele Boscacci. I due protagonisti, grazie alla conduzione del giornalista Maurizio Torri (www. sportdimontagna.com), ci hanno portato nel vivo del Tour du Rutor Extreme. Una gara leggendaria divisa in tre tappe che vede al via 300 squadre, 600 atleti, impegnati sui 7000 metri di dislivello positivo spalmato su 75 chilometri di vero fuoripista. "Lo scialpinismo è uno sport che sta prendendo sempre più piede – ha detto Maurizio Torri. E' una disciplina che sta crescendo e sta effettuando una vera rincorsa verso le Olimpiadi e speriamo che ci arrivi al più presto". Michele Boscacci, atleta 24enne di Albosaggia in Valtellina, ci ha portato all'interno di una gara mitica dello scialpinismo mondiale: "Ho partecipato a diverse edizioni del Tour du Rutor e devo dire che, oltre a correre in mezzo a panorami eccezionali e montagne stupende, è sorprendente il calore della gente. Un aspetto fondamentale di questo tipo di gare è trovare il compagno giusto. Bisogna cercare un compagno che è anche un amico. Io corro con Robert Antonioli: un compagno perfetto, basta uno sguardo per capire cosa ci passa nella testa". Salite faticose, discese su neve fresca, creste e canali che presentano passaggi di alpinismo vero, tutto questo si chiama Tour du Rutor. Alla regia di questo spettacolo c'è Marco Camandona, Guida Alpina di Aosta: "Uno degli obiettivi di quest'anno è riuscire a portare tanti appassionati al Tour du Rutor, vogliamo avere sul percorso più gente possibile, dai bambini delle scuole agli amatori, perchè il tifo fa bene prima di tutto agli atleti". L'appuntamento, quindi, è il 28, 29 e 30 marzo in Valgrisenche (AO). Un Sergio Longoni visibilmante soddisfatto saluta il pubblico che ha seguito Michele Boscacci e Marco Camandona. Alla loro destra, il conduttore della serata, Maurizio Torri. Uomini&Sport | Marzo 2014 | 31 A proposito delle serate “A Tu per Tu ” LA MAGIA DELLO SCIALPINISMO A proposito delle serate “A Tu per Tu ” NINA CAPREZ: L'ALPINISTA CHE AMA DANZARE SULLE PARETI Tutto esaurito da df-Sport Specialist per l'appuntamento con la giovane alpinista elvetica N ina la macchina. Così è soprannominata Nina Caprez, 27 anni, forte alpinista elvetica che giovedì 27 febbraio ha incantato gli spettatori di df-Sport Specialist. Dietro la scorza dura di climber di grande livello però c'è molto di più: una ragazza che è stata capace di prendere il meglio da tutte le esperienze che le ha offerto la vita andando a costruire, piolo dopo piolo, quella scala che le ha permesso di arrivare ai vertici come sportiva e come persona. "Mi sono innamorata dell'arrampicata quando avevo 13 anni – ha spiegato – poi ho cominciato a fare le gare e contemporaneamente è entrato a far parte della mia vita un uomo veramente folle, Cedric Lachat. Sono stati tempi felici, ma dopo 2/3 anni mi stancai di fare le gare, non sopportavo più la pressione, perciò ho deciso di mollare le gare e Cedric e andare in Francia, verso Sud, verso il sole". Da qui Nina ha fatto una serie di esperienze importanti in giro per il mondo, alla scoperta di luoghi e persone speciali: "Questo periodo mi ha insegnato tanto e mi ha letteralmente aperto lo spirito. Sono cresciuta sia come sportiva che come persona. Ho capito che la mia strada sarebbe stata l'arrampicata e a quel punto è cominciata la mia vita". Nina è tornata da Cedric Lachat e da quel momento non si sono più lasciati: "La nostra prima casa è stata un furgone con il quale abbiamo cominciato ad andare in giro. Mi sono accorta che non ero io a cercare le pareti, ma erano loro a trovare me". Tra i progetti più belli di Nina Caprez c'è la prima salita femminile della via Silbergeier, la mitica linea aperta da Beat Kammerlander nel Ratikon: "Mi piace molto essere donna e mi piace esprimere la mia femminilità anche nell'arrampicata, mi piace muovermi con estrema leggerezza. E spesso vado a cercare salite che solitamente affrontano i maschi per dimostrare che noi donne non siamo da meno". A Bevera di Sirtori il folto pubblico della platea di df-Sport Specialist ha potuto gustare un fantastico film dell'impresa dell'arrampicatrice elvetica che è stata capace, letteralmente, di giocare con la parete. Insomma abbiamo potuto ammirare la bravura e la simpatia di una ragazza genuina: "Tutto questo tempo mi è servito perché adesso so chi sono". Nina Caprez: questa è vera danza verticale. L’emozione visibile di Sergio Longoni dice tutto di Nina Caprez. Al suo fianco, e più che interprete, Christine Kopp. 32| Uomini&Sport | Marzo 2014 I PROSSIMI APPUNTAMENTI “A Tu per Tu con i grandi dello Sport” “Luci in Nord-Ovest” ALESSANDRO BAÙ 10/04/2014 dalle ore 20.00 “Fino alla magica via” HANS JÖRG AUER 8/05/2014 dalle ore 20.00 “L’uomo del giardino di cristallo” GIAN CARLO GRASSI nel ricordo di Angelo Siri 5/06/2014 dalle ore 20.00 30 APRILE - evento a sorpresa di “ADIDAS DAY” www.blufrida.it SIRTORI - LOC. BEVERA I NEGOZI DF SPORT SPECIALIST LI TROVI A: NEWS MATTIA GALBIATI Gennaio ricco di successi per il judoka df Sport Specialist: medaglia di bronzo al III° Torneo Nazionale “Città di Modena”; medaglia d’oro e premio come miglior atleta senior al XIII° Torneo Nazionale “Città di Castiraga Vidardo con Marudo” (LO). STEFANO CARNATI Arriva il primo 8c+ per il fenomenale climber del Team df Sport Specialist. Un grado che fa tremare i polsi di tutti quelli che scalano, che fa sudare le mani ai pochissimi che se lo possono permettere, che fa entrare Stefano, a soli 15 anni, nella cerchia dei pochissimi scalatori lombardi capaci di poterlo fare. CESARE PISONI Dopo un anno di stop per seguire al meglio le squadre nazionali, il grande snowboarder del Team df-sport specialist ha ripreso a gareggiare. Nella prima tappa della Coppa Italia 2014 di Snowboard Alpinismo, ha conquistato subito una grande vittoria. w w w. d f - s p o r t s p e c i a l i s t . i t [email protected] | sede tel. 039.921551 Milano Via Palmanova 65-fermate MM Udine/Cimiano Tel. 02-28970877 Olgiate Olona (VA) Via Santa Chiara - al fianco di Esselunga e Brico Tel. 0331-679966 Piacenza Centro Commerciale “Galleria Porta San Lazzaro” Via Emilia Parmense Tel. 0523-594471 Grancia / Lugano (Svizzera) Parco Commerciale Grancia Via Cantonale s.n. Tel. 0041-919944030 Desenzano del Garda (BS) Centro Commerciale Le Vele Via Marconi, angolo Via Bezzecca s.n. Tel. 030-9911845 Mapello (BG) Centro Commerciale Il Continente Via Strada Regia 4 Tel. 035-908393 Cremona Centro Commerciale Cremona Po, Via Castelleone 108 Tel. 0372-458252 Orio Al Serio (BG) Via Portico 14 - 16 (vicino Oriocenter) Tel. 035-530729 Sirtori (LC) Via delle Industrie, Provinciale Villasanta-Oggiono, Località Bevera Tel. 039-9217591 Bellinzago Lombardo (MI) Centro Commerciale La Corte Lombarda Tel. 02-95384192 Lissone (MB) Centro UCI Multisala, Via Nuova Valassina Tel. 039-2454390 San Giuliano Milanese (MI) Centro commerciale “C.C. San Giuliano” Via Emilia - km 315, angolo via Tolstoj Tel. 02-98289110 Vieni nei negozi a prendere i cataloghi delle nuove collezioni, o sfogliali online sul nostro sito. Shop On Line shop.df-sportspecialist.it
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