Kajika Akira Toriyama

Sent./Ord.339/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER IL LAZIO
In persona del Cons.Chiara Bersani
I
ha pronunciato la seguente
SENTENZA/ORDINANZA
Nel giudizio instaurato con ricorso n. 73218, presentato da Papi Sandro, rappresentato e difeso dagli
Avv.ti Umberto e Cesare Verdacchi, e presso di loro domiciliato in Roma, alla Via Catalani, n. 21;
contro l’INPS, costituito tramite proprio difensore;
nonché contro il Ministero della Difesa, n.c.;
avente ad oggetto recupero credito su pensione;
Uditi nella pubblica udienza del 12.03.2014 l’Avv. Cesare Verdacchi e per l’INPS l’Avv. Andrea
Botta;
Visti gli atti di causa;
Ritenuto in
FATTO
Il ricorrente gode di pensione diretta n.16186403, erogata dall’Aeronautica Militare con decorrenza
dal 01.06.1998, la cui misura è stata determinata in via provvisoria dapprima con la nota TAG S/485
del 18.03.1999, e, successivamente, in misura maggiore a quella già erogata e pari ad euro 47.862,29,
con la nota TAG/16192 del 06.05.1999.
La pensione definitiva è stata determinata solo con il decreto dirigenziale del Ministero della Difesa n.
358/A/PPO del 20.10.2011, con il quale è stata liquidata nella minor misura di euro 41.456,42, e,
contestualmente, è stata concessa la pensione di privilegio di 6° ctg a vita a decorrere dal 01.06.1998,
pari ad euro 45.602,06, quindi in importo minore di quello goduto sino a quella data dall’interessato a
titolo di pensione ordinaria già maggiorata del 1/10 (autorizzazione alla corresponsione dell’aumento
di legge di cui alla nota del Ministero della Difesa del 27.10.1998).
Il ricorrente premette che già dal rateo della pensione del mese di aprile 2013 egli si è avveduto di una
trattenuta sulla pensione, ma che solo su sua espressa domanda gli è stata concessa una dilazione, che
egli ha accettato con riserva, e gli è stata notificata la nota INPS n.764/2012 con la quale l’Istituto, in
esecuzione del decreto di pensione definitiva, ha accertato a suo carico un debito di euro 30.570,07
per somme indebitamente percette a titolo di pensione provvisoria dal 01.06.1998 al 31.03.2013, che
l’istituto ha proceduto a recuperare con trattenute di euro 926,37 (un quinto della pensione) su ratei di
pensione, successivamente concedendo all’interessato la rateizzazione, nei limiti di 42 rate mensili,
del residuo debito di euro 27.790,96 (euro 661,69 per rata).
Avverso tali atti l’interessato ha notificato all’INPS ed al Ministero della Difesa il presente ricorso,
chiedendo l’accertamento dell’irrecuperabilità del preteso debito in applicazione dei principi di tutela
del pensionato, percettore di indebito maturato per differenze tra pensione provvisoria e definitiva,
che versi in stato di legittimo affidamento sulla spettanza delle somme stesse, invocando la
giurisprudenza ed in particolare le sentenze delle SS.RR. di questa Corte n. 7/QM/2007, n. 11/2011 e
n. 12/QM 2012, e censurando l’abnorme tempo trascorso tra la liquidazione delle somme in via
provvisoria e la determinazione della pensione definitiva, con sfondamento dei tempi procedurali (330
gg., a termini del D.M. n 603/1993, art.12, comma 1). Ha concluso per l’accertamento
dell’irrecuperabilità delle somme e per la restituzione di quanto già trattenuto dall’amministrazione,
con accessori e spese di giudizio, con contestuale istanza di sospensione del provvedimento
dell’INPS.
L’INPS si è costituito il 24.09.201, invocando a favore della recuperabilità del preteso credito la
sentenza delle SS.RR. n.1/99 ed il principio, ivi stabilito, per il quale al recupero dell’indebito
scaturente da determinazioni provvisorie di pensione non sono applicabili le preclusioni di cui agli
art.203 e ss. del tu n. 1092/73 (che escludono la ripetibilità in caso di errore di diritto), e la n. 2/2012
QM, per la quale lo spirare dei termini procedimentali non priva l’amministrazione del potere di
recuperare l’indebito, e l’affidamento del pensionato non è ancorato ipso iure alla scadenza di detto
termine. Ha rilevato che, per quanto riguarda tale affidamento, esso non potrebbe dirsi maturato nei
confronti dell’INPS, che ha tempestivamente esercitato le proprie competenze dopo l’emanazione del
decreto definitivo. Ha concluso per il rigetto della pretesa ed, in subordine, per la limitazione della
condanna di restituzione alle sole somme recuperate, senza liquidazione di accessori e rivalutazione;
ha, infine, chiesto che, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice accerti il diritto dell’Istituto di
rivalersi nei confronti del Ministero della Difesa, in quanto unico responsabile del ritardo
nell’emissione del provvedimento definitivo, con spese del giudizio. Alla Camera di Consiglio del
09.10.2013, con ordinanza n.270/2013 l’istanza cautelare è stata respinta per indimostrata sussistenza
del pericolo grave nel ritardo.
Il ricorrente ha provveduto a depositare copia degli atti al fascicolo amministrativo, e con memoria del
27.02.2014 ha ribadito le conclusioni per l’accoglimento, in ragione della presenza di tutti i
presupposti ai quali la giurisprudenza collega la tutela dell’affidamento del pensionato percettore di
indebito, e, comunque l’inesistenza di ragioni, né dedotte dall’amministrazione, né rinvenibili nel
fascicolo amministrativo del ricorrente, che potessero legittimare il più ampio termine procedimentale
impiegato dall’amministrazione. Ha concluso come in ricorso, chiedendo altresì la liquidazione degli
interessi sulle somme restituende, richiamando giurisprudenza.
Nulla ha depositato l’INPS.
All’udienza del 12.03.2014 le parti hanno concluso come in atti.
DIRITTO
Risulta agli atti che, plausibilmente, il preteso indebito scaturisce dalla differenza tra quanto liquidato
a titolo di pensione privilegiata - corrisposta in virtù della autorizzazione alla liquidazione provvisoria
- per tutte le infermità per le quali l’interessato aveva avanzato domanda nel 1998 (1.gastroduodenite
ulcerosa, alla 6° ctg tab.A a vita, 2.meniscopatia, 3.gonartrosi, alla tab. B 3 annualità: parere n.136
del 01.10.1998) e quanto spettante, sempre a titolo di pensione di privilegio, in base al decreto
definitivo di pensione n. 358/2011 (che non ha ritenuto indennizzabili la meniscopatia e la gonartrosi
in base all’art. 69, comma2, t.u. 1092/73, in quanto l’importo complessivo della pensione eccedeva il
limite ivi previsto, entro il quale la legge considera possibile il cumulo tra pensione e indennità).
Tuttavia, anche atteso che il Ministero della Difesa, pur regolarmente convenuto, non si è costituito,
non ha fatto pervenire il fascicolo amministrativo, né alcuna relazione illustrativa su fatti che hanno
dato origine all’indebito, può prescindersi dall’accertamento della ragione specifica dalla quale è
scaturito l’indebito, poiché, trattandosi di somme pretese a conguaglio tra pensione provvisoria e
definitiva, indipendentemente dalla ragione per la quale tale debito è maturato, in assenza di alcuna
documentata ragione che colleghi l’indebita erogazione ad una qualche partecipazione di
responsabilità o anche solo consapevolezza da parte del pensionato, trova applicazione il principio di
tutela dell’affidamento incolpevole del percettore sulla spettanza della pensione nell’importo già
corrisposto.
Rileva il giudice, infatti, che il ricorrente percepiva la pensione provvisoria sin dal 1998, e che
percepiva la maggiorazione di 1/10 a titolo di anticipo della pensione privilegiata, concesso con nota
del Ministero della Difesa del 27.10.1998 dopo l’emissione dei pareri favorevoli della CMO e del
CPPO. Nel 2002 la sua pensione è stata addirittura aumentata, in base alla nota dell’AM del
06.05.1999 che aveva trasmesso all’INPDAP, al quale era stata trasferita la relativa partita
pensionistica, la rideterminazione stipendiale del Comando A.M. Roma del 26.03.1999, ed aveva
rideterminato il trattamento pensionistico provvisorio aumentandolo da lire 79.651.512 a lire
92.674.320. Elementi tutti, questi, in grado di fare ritenere, all’uomo di comune esperienza, che la
pensione nella misura percepita fosse destinata ad essere confermata (in quanto determinata ad esito di
più procedimenti, quello di pensione ordinaria e quello di pensione privilegiata, ed in quanto già
rideterminata in misura addirittura maggiore).
Il lasso di tempo nel quale la pensione è stata corrisposta in tale misura, poi, concorre a rafforzare quel
legittimo convincimento, in quanto, almeno a quanto risulta agli atti, esso è ingiustificato, cioè non è
collegato all’esistenza di plausibili ragioni per le quali il pensionato debba ritenere che sia in corso un
procedimento incidentale che possa comportare conseguenze sulla determinazione dell’ammontare
definitivo della pensione. Alla luce del fatto che il decreto definitivo di pensione è sopravvenuto solo
nel 2011, cioè a distanza di circa 12 anni dal collocamento in riserva (avvenuto il 01.07.1999) e dalla
corresponsione della pensione privilegiata in via provvisoria, ed in assenza di altri subprocedimenti
che possano aver interessato la pensione erogata, tale lasso di tempo risulta senz’altro abnorme, sia
rispetto agli ordinari tempi procedimentali (che si assestano intorno all’anno e mezzo), che rispetto
alle risultanze già agli atti, cioè alle aspettative che il pensionato poteva ragionevolmente maturare
sulla spettanza della misura della pensione in base a quanto risultava relativamente alla sua posizione
pensionistica (già nel 1999 erano al fascicolo amministrativo i pareri positivi degli organi medico
legali sull’ascrivibilità a categoria di pensione delle tre infermità per le quali il ricorrente godeva di
pensione di privilegio, per cui egli legittimamente poteva ritenere che l’anticipo corrisposto dall’AM
fosse stato calcolato tenendo debito conto di tali atti).
Infine, l’ammontare del preteso debito è notevole, tale da giustificare l’esigenza di una tutela del
percettore, poiché, a causa della sua entità, improvvisamente, dopo aver per tanto tempo fatto
affidamento su una data misura di pensione, egli è posto di fronte non solo ad una decurtazione della
pensione, ma soprattutto all’esistenza di un debito da restituzione di forte ammontare, tale da spostare
l’equilibrio del rapporto tra il reddito che egli da quella pensione ricava ed i suoi impegni economici;
pur a fronte dell’oggettivo ammontare del debito, ai fini della legittimità dell’affidamento del
percettore rileva, nella fattispecie, il fatto che tale ammontare è notevole solo perché maturato
nell’arco di circa 13 anni, per cui non sussiste alcuna plausibile ragione per la quale possa ritenersi
che il pensionato possa essersi avveduto mese per mese, ricevendo per esempio una rata di pensione
macroscopicamente alta, dell’esistenza di un qualche errore o illegittimità della determinazione
dell’ammontare della sua pensione.
Tutto ciò considerato, il giudice ritiene perfettamente applicabile nella fattispecie il principio di
irrecuperabilità del preteso indebito, come elaborato dalla ormai costante giurisprudenza di questa
Corte (cfr., da ultimo, SSRR n.7/2007, n.11/2011 e n. 2/QM 2012), per il quale, in presenza di
elementi oggettivi e soggettivi valutati dal giudice come legittimamente affidanti sulla misura della
pensione (inerenti l’ammontare delle somme pretese in restituzione, il lasso di tempo trascorso tra la
maturazione dell’indebito ed il suo recupero, l’assenza di alcun errore o riserva sul procedimento di
determinazione della pensione dei quali il pensionato sia o debba essere edotto, l’assenza di alcuna
plausibile ragione del ritardo), il debito che è scaturito dal conguaglio tra pensione provvisoria e
definitiva è irrecuperabile dall’amministrazione, in deroga a quanto previsto dall’art. 2033 c.c. sul
diritto di recupero dell’indebito.
Pertanto il ricorso è fondato, ed al ricorrente spetta di trattenere le somme a lui chieste in ripetizione a
titolo di conguaglio tra pensione provvisoria e pensione ordinaria definitiva determinata con il decreto
del Ministero della Difesa n. 358/A/PPO del 20.10.2011, e di avere in restituzione quanto già
recuperato dall’INPS in base allo stesso titolo.
2. In reiezione della domanda del ricorrente, sulle somme che gli devono essere restituite non spettano
interessi né rivalutazione, in quanto l’irripetibilità delle somme è comunque riferita ad un indebito
pagamento e non ad un credito pensionistico fondato su una norma di legge: il principio, consolidato
in giurisprudenza, ed al quale questo giudice ritiene di aderire perfettamente, è che “la mancanza di
un credito del pensionato e di una corrispondente originaria obbligazione dell’Amministrazione
rendono inconfigurabile un inadempimento di quest’ultima e, quindi, un diritto del pensionato agli
interessi sulle somme che gli fossero restituite” (Seconda Sezione Appello, n. 404 del 2007; Terza
Sezione Appello, n. 404 del 2007 e nn. 176, 180, 236 del 2013; Sezione Appello Sicilia, n. 252 del
2009; Prima Sezione Appello, n. 68 del 2011, e, da ultimo, Terza Sezione Appello, n. 76/2014 ).
3. In merito alla domanda “di rivalsa” che l’INPS avanza contro il Ministero della Difesa,
subordinatamente al caso dell’accertamento dell’irripetibilità delle somme che l’istituto ha erogato
solo ed esclusivamente in qualità di ordinatore secondario, rileva il giudice che essa, presentandone
sia il petitum che la causa petendi, si inquadra nell’accertamento del diritto dell’ente erogatore della
pensione alla refusione delle somme erogate indebitamente previsto nei confronti dell’ente datore di
lavoro, di cui all’art.8, comma 2, del d.p.r. n.538/1986, il quale prevede che “ Qualora, per errore
contenuto nella comunicazione dell'ente di appartenenza del dipendente, venga indebitamente
liquidato un trattamento pensionistico definitivo o provvisorio, diretto, indiretto o di riversibilità,
ovvero un trattamento in misura superiore a quella dovuta e l'errore non sia da attribuire a fatto doloso
dell'interessato, l'ente responsabile della comunicazione è tenuto a rifondere le somme indebitamente
corrisposte, salvo rivalsa verso l'interessato medesimo.”.
3.1 Il giudice accerta pregiudizialmente la propria giurisdizione su tale domanda.
La previsione, dettata originariamente per l’ipotesi in cui l’ente datore di lavoro sia un ente locale, è
stata interpretata dalla più recente giurisprudenza (unanime di appello) come norma espressiva di un
principio generale, che trova applicazione anche nei confronti delle amministrazioni dello Stato (per la
specifica ipotesi in cui l’ente datore di lavoro sia il Ministero della Difesa, cfr. Terza Appello n.
357/2013), sull’argomentazione che non è ipotizzabile che, a fronte dell’espressa e reiterata
affermazione della giurisdizione della Corte dei Conti sulle azioni aventi ad oggetto la refusione
all’Istituto previdenziale degli oneri
derivanti da errori nella liquidazione del trattamento
pensionistico da parte dell’amministrazione o ente ex datore di lavoro (giurisprudenza costante della
Cassazione: ex multis, Cassazione, SS.UU., 16.11.2007, n. 23731, 21.12.1999, n. 920 e 27.12.2011, n.
28818), una tale tutela sia offerta all’INPS nei confronti degli enti locali, e non anche nei confronti
delle amministrazioni dello Stato, sì che “la norma in esame .…deve ritenersi espressione di un
principio di carattere generale” (Sez. Prima Appello, n.78/2014). Inoltre, non può più addursi ad oggi,
a sufficiente ragione di una tale differenza di trattamento tra le due fattispecie, la pretesa unicità del
bilancio statale - che in passato si riteneva che riportasse gli oneri da restituzione all’interno di una
unica contabilità, per cui la mancata espressa previsione di legge era giustificata con l’osservazione
che non avrebbe avuto senso prevedere l’obbligo di restituzione all'ente previdenziale di somme
comunque a carico del bilancio statale; ad oggi, infatti, come osserva Sez. Terza Appello 357/2013,
“l’attuale conformazione dell’ordinamento consente l’affermazione della piena autonomia finanziaria
dei vari enti, i quali non devono pesare sul bilancio dello Stato e, quindi, devono raggiungere
l’equilibrio di bilancio; equilibrio che viene rotto se l’ente, nel caso di specie l’INPS, ex INPDAP,
deve sopportare il peso (finanziario) degli errori dell’amministrazione, quando questa opera come
ordinatore primario di spesa.”
Ciò, naturalmente, vale quando l’azione, come nel caso di specie, sia interamente sussumibile nella
succitata azione di rivalsa, cioè quando l’ente previdenziale agisca per ottenere la refusione delle
somme indebitamente pagate per ordinazione erronea dell’ente ex datore di lavoro, e non vi è alcuna
pretesa risarcitoria, la quale postula l’accertamento di responsabilità dell’ente datore di lavoro in
relazione ad altri elementi.
3.2 Ciò posto in tema di giurisdizione, sul successivo punto della verifica del contraddittorio il giudice
premette che, nella fattispecie, il giudizio consta di due accertamenti: l’uno, quello introdotto dal
ricorrente, avente ad oggetto l’accertamento dell’irrecuperabilità delle somme pretese in restituzione
dall’INPS, l’altro, quello introdotto successivamente ed autonomamente dall’INPS nei soli confronti
del Ministero della Difesa, vertente sul diritto dell’Istituto alla refusione da parte del Ministero delle
somme eventualmente dichiarate irripetibili.
Quanto alla domanda del ricorrente, come emerge chiaramente dal tenore del ricorso, l’interesse al
quale il ricorrente tende non è circoscritto all’accertamento dell’irrecuperabilità dell’indebito da parte
dell’INPS, ma è volto all’accertamento dell’irripetibilità delle somme pretese in restituzione a seguito
del conguaglio tra pensione provvisoria e definitiva, e per ragioni di illegittimità sostanziale, legate
alla tutela dell’affidamento del pensionato. L’ente datore di lavoro (il Ministero) è stato convenuto in
giudizio, poiché il ricorrente ha proceduto alla notifica del ricorso sia all’INPS, che procede al
recupero, sia al Ministero della Difesa, che ha emesso i titoli di spesa sulla base dei quali la pensione è
stata liquidata (gli atti rideterminativi della retribuzione e determinativi delle pensioni provvisoria e
definitiva), e quindi anche nei suoi confronti, coerentemente con tale petitum, ponendo così in essere
il presupposto processuale, indefettibile, che l’amministrazione che è destinata a sopportare il carico
derivante dagli effetti del giudicato sia stata convocata in giudizio.
L’irrecuperabilità delle somme pretese a conguaglio, in applicazione del principio di tutela del
legittimo affidamento del pensionato percettore di indebito, è accertata nel presente giudizio con
valenza nei confronti di entrambe le parti convenute dal ricorrente, e cioè anche nei rapporti
intercorrenti con il Ministero, in applicazione dalle regole generali del processo, per le quali la
pronunzia che sia emessa in ordine ad un diritto espleta i suoi effetti nei confronti di tutte le parti del
rapporto in cui quel diritto si inserisce, le quali siano state regolarmente convenute (art. 2909 c.c.),
cioè siano state messe in grado di svolgere le proprie difese in merito all’oggetto della domanda,
anche se hanno scelto di non costituirsi, con ciò rinunziando a qualunque difesa.
La domanda che l’INPS ha intentato avverso il Ministero della Difesa, ex art.8 del d.p.r. n.538/1986,
invece, introduce un accertamento diverso ed autonomo da quello di cui all’originario ricorso.
La citata disposizione prevede che, nel caso in cui l’indebito sia frutto di un errore dell’ente di
appartenenza dell’ex lavoratore, l’ente previdenziale ha il diritto di ripetere le somme indebite
direttamente nei confronti dell’ente responsabile dell’errore stesso, e, parallelamente, legittima l’ente
datore di lavoro ad agire in rivalsa nei confronti del pensionato; essa incide sulla legittimazione
passiva nel recupero, stabilendo che, in tali casi, l’indebito è imputabile direttamente all’ente (ed al
pensionato nell’ambito dell’eventuale azione di rivalsa dell’ente stesso), il quale, in diretta
conseguenza dell’accertamento del fatto che il predetto indebito è stato causato da un suo errore nella
comunicazione dei dati, è tenuto per legge a “rifondere le somme indebitamente corrisposte”
all’Istituto previdenziale.
Tuttavia, nella realtà dei fatti accade, per lo più, che l’istituto previdenziale chieda la restituzione delle
somme direttamente al percettore, e che si trovi, pertanto, nella posizione, una volta accertata
l’irrecuperabilità dell’indebito, di “rivalersi” sull’ente datore di lavoro (da ciò la comune definizione
di “azione di rivalsa” per la richiesta di applicazione dell’art. 8 del citato D.P.R.).
La giurisprudenza è unanime nel ritenere che la norma non esclude l'azione di recupero dell'indebito
nei confronti del pensionato, la quale spetta sia all'ente erogatore della pensione, sia all'ente datore di
lavoro in sede di rivalsa, per cui è del tutto pacifico che l’azione ex art.8 cit. è proponibile dall’INPS
anche a fronte del recupero già disposto direttamente contro il pensionato; inoltre, osserva il giudice,
essa, dal punto di vista strettamente tecnico, conserva la sua natura – quella, appunto di domanda di
accertamento ex art.8 cit. – indipendentemente dalla dinamica del recupero, cioè dal fatto che, in
concreto, il recupero sia stato promosso dall’INPS direttamente nei confronti dell’amministrazione
ovvero nei confronti del pensionato, perché ne presenta identico petitum e causa petendi, concretando
una richiesta al giudice di espressa pronunzia su di un punto –la distribuzione degli oneri conseguenti
all’erogazione di un indebito –regolato dalla legge con l’attribuzione, a carico dell’ente datore di
lavoro, di uno specifico obbligo di refusione verso l’Istituto.
Tale obbligo, ed il correlato diritto alla refusione, costituiscono, però, i termini di un rapporto diverso
da quello introdotto in giudizio dal ricorrente, e persino indipendente da quello, nel senso che la
norma assicura all’istituto previdenziale il diritto, nei confronti dell’ente responsabile, ad essere rifuso
delle somme pagate indebitamente per causa di tale errore, lasciando impregiudicato l’accertamento
della possibilità di recuperare concretamente tali somme dal pensionato, e onerando l’ente
responsabile delle relative procedure amministrative e degli esiti giudiziari delle medesime
(l’accertamento del diritto dell’istituto alla refusione ex art.8 cit., in teoria, ben potrebbe essere
precedere quello dell’irrecuperabilità delle somme, come sarebbe stato se l’Istituto avesse proceduto
alla richiesta di refusione direttamente al Ministero della Difesa, e quello avesse proposto ricorso
avanti a questa Corte per rilevare la mancanza dei presupposti per l’applicazione dell’art.8 cit.. La
giurisprudenza ha individuato, infatti, la funzione di tale azione in quella di determinare un
ampliamento della garanzia, per l'ente previdenziale, di recupero di quanto indebitamente erogato,
tramite l’introduzione di un elemento di responsabilizzazione degli enti ex datori di lavoro nella
gestione delle liquidazioni pensionistiche: cfr. Sez. Sardegna, n. 1304 del 23.1 2. 2003; Sez.
Lombardia, n. 1166 del 15.10. 2003 e n. 1286 del 20.11. 2003; Sez. Piemonte, n. 1348 del 13.06.
2003; Sez. Friuli, n. 699 del 06.11. 2006e n . 591/2007).
La circostanza che, nel caso di specie, l’accertamento dell’irrecuperabilità del credito vi sia già stato,
perché oggetto del giudizio introdotto con l’odierno ricorso dell’interessato avverso l’atto di recupero
emesso dall’istituto previdenziale direttamente nei suoi confronti, assume una portata sostanziale nei
rapporti tra le parti del ricorso originario, nel senso che accerta nei confronti di tutte le parti del
giudizio originariamente introdotto l’irrecuperabilità delle somme, con effetto sia nei rapporti tra il
ricorrente ed il Ministero della Difesa (come detto), sia tra quest’ultimo e l’INPS, ma rimane un
elemento esterno sia al petitum dell’azione di refusione (volta esclusivamente ad accertare il diritto
dell’INPS al recupero delle somme nei confronti del Ministero), sia alla sua causa petendi (che risiede
nel fatto che l’INPS ha erogato al pensionato somme indebite, e non nel fatto che tale indebito sia
irrecuperabile), e pertanto, in definitiva, all’azione intentata dall’INPS.
In conclusione, osserva il giudice, occorre verificare autonomamente la regolarità del diverso rapporto
processuale introdotto dalla domanda di refusione dell’INPS contro il Ministero (nel quale le due
amministrazioni sono contraddittori necessari) ed, in primis, la regolarità del contraddittorio, che può
aversi solo quando la domanda è conosciuta dal soggetto nei cui confronti essa è presentata.
Nel caso di specie, l’INPS ha chiesto l’accertamento del diritto alla refusione nella memoria di
costituzione, non notificata al Ministero della Difesa, per cui questo giudice ritiene necessario
regolarizzare il contraddittorio con l’amministrazione, onerando l’INPS della notifica della domanda
al Ministero della Difesa.
A tal fine fissa all’INPS il termine di 60 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, e
dispone che la nuova udienza per il prosieguo nel merito sia fissata a seguito del deposito della
apposita istanza della parte interessata.
4. Le spese del giudizio relativo alla domanda del ricorrente possono essere compensate, per la
pregressa non costante giurisprudenza in materia. Le spese del giudizio promosso dall’INPS contro il
Ministero della Difesa sono decise alla sua definizione.
P.Q.M.
la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunziando sul ricorso di Papi
Sandro, in epigrafe specificato,
ACCOGLIE
il ricorso ed accerta il diritto di Papi Sandro nei confronti dell’INPS e del Ministero della Difesa alla
irrecuperabilità delle somme da lui indebitamente percette a titolo di pensione provvisoria dal
01.06.1998 al 31.03.2013, nonché il diritto del medesimo ricorrente alla restituzione, da parte
dell’INPS, delle somme già trattenute sulla pensione a tale titolo, con esclusione del diritto alla
restituzione delle somme accessorie su di esse maturate. Spese compensate.
In merito alla domanda prodotta dall’INPS nei confronti del Ministero della Difesa, ex art. 8 del
D.P.R. n.538/1986, questa Sezione, interlocutoriamente pronunziando,
ORDINA
all’INPS di notificare al Ministero della Difesa, nei modi di cui in motivazione, la domanda di
refusione ex art.8 del D.P.R. n. 538/86, prodotta contestualmente alle note difensive in atti.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12.03.2014.
Il Giudice
f.to Chiara Bersani
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 11/04/2014
Per il Direttore
Il Dirigente
F.to Domenica Lagana’