DIFENDERE TOLKIEN DA WU MING 4

POLITICAMENTE ANNO IX, N. 93 – maggio 2014
DIFENDERE TOLKIEN DA WU MING 4
di Federico Malinverni
In un bel libro dedicato alle interpretazioni dei dialoghi politici platonici,
Mario Vegetti denunciava con forza l’eccesso ermeneutico che si era andando
accumulando nel tempo sull’opera filosofico-politica di Platone. Mentre ribadiva
la necessità di porre un freno al proliferare dei commenti e delle decodificazioni,
Vegetti non mancava di segnalare come questa pluralità di letture fosse
comunque il destino e la ricchezza di ogni classico. Perché è propria dei classici
la capacità di suscitare di continuo nuovi approcci e valutazioni.
Vegetti ricordava pure che un autore classico, in quanto tale, possiede sempre
un potentissimo fattore legittimante, e pertanto non ci si dovrebbe stupire dei
tentativi (da parte dei critici) di ricondurlo al loro orizzonte culturale. Per la
precisione, Vegetti alludeva a “strategie di assimilazione, intese a fare del
Platone politico una auctoritas da investire nella conferma delle diverse opzioni
teoriche ed etiche, talvolta anche da spendere direttamente nel discorso
dottrinale e propagandistico”1.
Ovviamente il proliferare incontrollato delle interpretazioni, le più varie ed
improbabili (specie se asservite a scopi ideologici), non può essere accettato in
maniera passiva, mentre d’altro canto, quando ci si trova di fronte a un grande
1
M. Vegetti, Un paradigma in cielo. Platone politico da Aristotele al Novecento, Carocci, Roma
2009, p. 171.
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autore, non ha senso nemmeno la pretesa, nei suoi confronti, di vantare, in
qualsiasi forma lo s’intenda, un monopolio ermeneutico.
Lo stesso discorso, in linea generale, può valere anche per uno scrittore tra i
più importanti del ‘900 quale Tolkien, e per un romanzo riconosciuto come un
testo fondamentale della letteratura di tutti i tempi: Il Signore degli Anelli.
Eppure Wu Ming 4, l’autore di Difendere la Terra di Mezzo. Scritti su J.R.R.
Tolkien (Odoya, Bologna 2013), non sembra esserne granché consapevole e, sin
dalla “Premessa” del suo testo, inizia ad attaccare alcune delle interpretazioni
italiane di Tolkien a lui non gradite col risibile (e in fondo provinciale)
argomento che queste persisterebbero “solo in Italia” (p. 11). Come se la validità
di un’interpretazione si basasse principalmente su una sorta di universalistico
consensus omnium, un concetto messo in crisi già nel XVI secolo da Montaigne
nei suoi Saggi.
Poiché queste note sono rivolte esclusivamente all’analisi che Wu Ming 4 ha
riservato proprio a tali letture, dopo questo lungo ma necessario preambolo, è il
caso di entrare finalmente in merito. In sintesi, la strategia retorica messa in
campo da Wu Ming 4 è semplice: passare sistematicamente sotto silenzio gli
aspetti condivisibili delle letture tolkieniane oggetto di attacco polemico per
evidenziarne solo i lati secondo lui criticabili. In tal modo, invece di riconoscere
l’eventualità di nuovi e originali punti di vista sull’opera di Tolkien, si preferisce
rigettarli in toto, derubricandoli a mere letture ideologicamente orientate e
quindi del tutto errate. E questo, dunque, prescindendo anche da una più
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approfondita verifica circa i loro contenuti, quelli più interessanti e fecondi
come quelli per lui meno ammissibili. Tutto ciò – lo si è già detto prima – allo
scopo di rivendicare il proprio diritto esclusivo su Tolkien.
Alcuni esempi: il fatto che il successo del Signore degli Anelli fosse tutt’altro
che scontato (p. 38) è stato affermato anche da Stefano Giuliano2; le questioni
sollevate a p. 44 sulle ragioni del successo popolare del Signore degli Anelli erano
già state prese in considerazione da Gianfranco de Turris3; l’argomento cruciale
della diffusione dell’opera di Tolkien dopo la sua morte (secondo capitolo del
testo di Wu Ming 4) era stato affrontato in precedenza sempre da de Turris.
Ancora, a p. 61 Wu Ming 4 segnala l’importanza del testo di Shippey, cosa
messa in evidenza da Giuliano sin dalla prima edizione4 del suo volume su
Tolkien (datato 2001); il rimando al “controllo panottico” di Sauron (p. 174) è
già estesamente sottolineato sempre in Giuliano5, così come il ruolo degli Hobbit
come servitori di “nobili signori” (p. 178), ossia re Théoden e il sovrintendente
Denethor. E così via. Il punto, però, è che sarebbe fatica sprecata cercare tali
riferimenti nelle note del libro di Wu Ming 4 per la semplice ragione che non ci
sono. Così, ed è l’ovvia conclusione, il lettore non può che rimanere all’oscuro
2
S. Giuliano, Le radici non gelano. Il conflitto fra tradizione e modernità in Tolkien, Ripostes,
Salerno 2001, pp. 25-27; nuova edizione, J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore
degli Anelli, Bietti, Milano 2013, pp. 32-34.
3
G. de Turris, Il caso Tolkien, in AA.VV., La Compagnia, l’Anello, il Potere. J.R.R.Tolkien
creatore di mondi, il Cerchio, Rimini 2008, pp. 19-22.
4
S. Giuliano, Le radici non gelano, cit., p. 16 nota 11.
5
S. Giuliano, Le radici non gelano, cit., p. 184 n. 42; J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel
Signore degli Anelli, cit., p. 279 n. 57.
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sia dell’ampiezza dei contributi critici provenienti dagli studiosi sopra ricordati
sia della loro effettiva attendibilità.
Costoro, invece, sono citati esclusivamente nel quarto capitolo del libro di Wu
Ming 4 (quello appunto dedicato per lo più ai commenti italiani su Tolkien) per
lui da respingere e screditare. Qui si fa chiara la pretesa al monopolio sullo
scrittore inglese e si procede ad destruendum, rimarcando solo i “demeriti” (per
Wu Ming 4, s’intende) dei vari de Turris, Giuliano, ecc.
Ad esempio, viene collegata, in maniera arbitraria, la lettura del Signore degli
Anelli come “metafora di un cammino iniziatico” (p. 104) con la presunta mira
“di fare di Tolkien una sorta di cultore del ‘simbolismo tradizionale’, ovvero
della forza metastorica della Tradizione” (ibid.). Ora, con tutto il rispetto per il
Tradizionalismo che costituisce comunque un sistema concettuale dotato di una
sua valenza (e che, naturalmente, si può condividere o meno), si trascura di
proposito che Giuliano non fa alcun riferimento neanche in bibliografia ad
autori tradizionalisti laddove lo slittamento nella letteratura di elementi collegati
ai riti iniziatici è stato posto in risalto da Mircea Eliade (La nascita mistica,
Morcelliana 1974)6. Si trascura altresì che tali elementi si ritrovano non solo nei
romanzi epici medievali ma anche in opere moderne come i romanzi di
formazione sul genere del Wilhelm Meister di Goethe, Il Rosso e il Nero di
6
Anche di recente un autore non certo sospettabile di frequentazioni che potrebbero
indispettire Wu Ming come Emanuele Trevi, critico letterario e collaboratore del
“Manifesto”, ha ricordato il “sapore iniziatico di alcune pietre miliari della modernità, come
l’Ulisse di Joyce e la Terra desolata di Eliot” (E. Trevi, Il viaggio iniziatico, Laterza, RomaBari 2013, p. 94).
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Stendhal, L’educazione sentimentale di Flaubert, ecc. Per di più, Wu Ming 4
evidentemente dimentica che critici importanti come Curtius e Frye si sono
anch’essi avvalsi dei miti e dei simboli per leggere un’opera d’arte.
Stesso discorso la pagina dopo, quando Wu Ming 4 arriva a sostenere che
Giuliano vorrebbe spacciare Tolkien “per un allievo – a sua insaputa – di
Georges Dumézil” (p. 105). Ora, basta dare anche soltanto uno sguardo
superficiale al libro di Giuliano per capire che la verità è decisamente differente:
quella di Giuliano è infatti una ipotesi di lavoro avanzata con molte cautele. Non
a caso, egli scrive: “Non vi sono riscontri in grado di confermare che, all’epoca
in cui ideò e scrisse il Signore degli Anelli, Tolkien conoscesse gli scritti di
Dumézil, né tantomeno che ne avesse specificamente tenuto conto nei suoi
romanzi. Tuttavia, non si può nemmeno escludere aprioristicamente che egli
fosse a conoscenza dell’opera duméziliana, considerata la comunanza d’interessi
per la filologia”7 e così via. Pertanto, aggiunge Giuliano, “l’interpretazione qui
proposta si pone dunque come un tentativo d’analisi […], l’eventuale convalida
definitiva del quale andrà necessariamente rimandata ad ulteriori e più
approfonditi studi e riflessioni”8. Come si può agevolmente constatare, quella di
Wu Ming 4 è dunque una voluta forzatura polemica, finalizzata a trasformare
una idea presentata con grande circospezione in un plateale sforzo di
trasformare Tolkien in un seguace dell’indoeuropeista transalpino.
7
8
S. Giuliano, J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli, cit., p. 57.
Ibid., p. 58.
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Per il resto, e per chiudere, tra l’immancabile rimando a Furio Jesi, qualche
attacco alle letture “confessionali” (ossia cattoliche, vale a dire: Pearce,
Caldecott, Spirito, Monda) di Tolkien e l’incapacità pressoché totale di
comprendere appieno il retroterra culturale di un’opera complessa e sfaccettata
come quella tolkieniana, si consuma, non troppo gloriosamente, l’ennesimo
tentativo (travestito da “difesa”, anzi spacciato per tale ad un pubblico di
ingenui e ignoranti) di egemonizzare un autore, in realtà, come tutti i classici,
semplicemente non egemonizzabile.