Ricerca-Lozzo di Cadore

OPIFICI NEL COMUNE DI LOZZO DI CADORE: ANALISI STORICA
Un altro corso d’acqua, affluente del Piave è il Rio Rin, nel Comune di Lozzo di
Cadore.
Lungo il corso del Rio Rin si svilupparono nei secoli numerose attività artigianali
che utilizzavano l’acqua come fonte d’energia, per mezzo di una roggia che
partiva dalla zona detta dei “Crepe Ros”.
Nel 1766, come riportato dalle “Anagrafi Venete”, a Lozzo di Cadore vi erano
“dieci ruote da mulino da grani, una sega da legname, un follo da panni di lana,
sedici telari da tela e cinque mole”.
Nel 1790, come indica il manoscritto di Giuseppe Monti, vi erano 8 molini e 1 sega
e 1 follo.
Opifici lungo il Rio Rin, nel Comune di Lozzo di Cadore.
Catasto Austro-Italiano, I Impianto (1849-1956), 187_Lozzo_IMP_025, Archivio di Stato di
Belluno.
Derivazioni lungo la sponda destra del Rio Rin, nel Comune di Lozzo di Cadore.
Catasto Austro-Italiano, I Impianto (1849-1956), 188_Sovergna_IMP_018, Archivio di
Stato di Belluno.
Un manoscritto datato 21 marzo 1810 riferisce della volontà di dividere il molino
Zanella a metà e attesta le condizioni cui erano soggetti i vari comproprietari. Lo
stesso documento, nella parte datata 28 agosto 1846, riporta la richiesta per la
“costruzione di un nuovo canaletto conducente l’acqua al sudetto nuovo corrente
da fabbricarsi a parallelo degli altri tre canaletti”.
Come appuntato nel “Prospetto dei Molini da sega esistenti nel Cadore nel 1850”
all’interno del manoscritto “Statuta communitatis Cadubrii cum additionibus noviter
impressa” viene riportato un “molino da sega” comunale lungo il torrente Rin. Lo
stesso manoscritto riferisce un episodio del 1589 e precisamente una supplica di
un certo signor Bianchini “conduttore del bosco di faggio di Longiarin”, con la
quale domandava “…che in luogo delle risene, gli si conceda la facoltà di erigere
una Stua per condur le borre (sul Rio di Lozzo) senza danno di chì che sia, in
compenso di £ 400, a cui si annuisce”.
Parte degli opifici, soprattutto quelli nella parte bassa dell’abitato, furono distrutti
dall’incendio del 1867, altri danneggiati dall’alluvione del 1882.
Nel 1886, come riferisce Ottone Brentari nella sua Guida, lungo il corso del rio vi
erano cinque mulini e una sega.
Qualche anno dopo, come riportato da Antonio Ronzon, nel volume IV “Dal Pelmo
al Peralba” del 1896 erano presenti “Mulini - 6 lungo il Rin. Seghe – Una
comunale.”
Dal “Registro dei contribuenti dell’imposta sui fabbricati” dell’I° gennaio 1903,
risultano esserci cinque mulini, una fucina, una sega, una bottega da fabbro e due
folli da panni.
Disegno del 1907 della Segheria Comunale
Fitografia d’inizio Novecento di Lozzo di Cadore. In basso si vede la segheria comunale.
Tratta da: Roberto Tabacchi, Danilo De Martin, “Uomini e macchine idrauliche ‘Omin e
machine a aga’ nel Cadore d’inizio Novecento”, 2010.
Nei primi ‘900 la Ditta Baldovin Giovanni e F.lli di Gaspare presentò un progetto
per la costruzione di una centralina a valle dell’abitato. Qualche anno più tardi, e
precisamente nel 1914, presentò domanda per produrre forza motrice a scopo
industriale e precisamente per la lavorazione del legname. I progetti allegati
prevedevano che la derivazione fosse realizzata poco sotto la segheria Pellegrini,
e tramite una roggia, che oltrepassava il corso del Rio Rin, l’acqua era convogliata
sulla ruota idraulica posta sulla sponda destra del Rio.
Disegno del 1914 della derivazione lungo il Rio Rin a valle dell’abitato di Lozzo di Cadore
per forza motrice a scopo industriale (Copia originale di Leo Baldovin Carulli).
Nel 1923 la Ditta Baldovin Monego Giovanni fu Lorenzo fece richiesta per l’utilizzo
acque Rio Rin per forza motrice, in tale istanza (Pratica n.67 – Piccola
derivazione) vi è allegata una domanda di riconoscimento dell’antico diritto d’uso
delle acque del Rio Rin per uso industriale, che riporta la data del 22 dicembre
1923, e che riferisce della “…derivazione d’acqua dal rio Rin o Longiarin per
produrre forza motrice in servizio di sette mulini, di una gualchiera e di una
segheria…per incarico ricevuto dall’Ill. Sig. Sindaco di Lozzo a norma del R.D. 9
ottobre 1919 n.2161 e del Regolamento Relativo approvato con R.D. 14 agosto
1920 n.1285”.
Lo stesso Sindaco in data 27 dicembre 1923 scrisse una Lettera al Ministro dei
Lavori Pubblici nella quale poneva l’accento sul fatto che “…il diritto che si richiede
venga riconosciuto poiché si basa sull’uso ultratrentennale (anzi ultrasecolare)
anteriore al 1884….i loro antecessori utilizzavano nel trentennio 1854-1884 e
prima ancora da secoli…” .
Gli opifici elencati sono: “1- Molino di Baldovin Lucio fu Giovanni; 2- Molino di
Baldovin Gaspare fu Mariano; 3- Molino di Baldovin Giovanni fu Gio-Batta; 4Molino degli Eredi Zanella in Loda Luigi; 5- Molino di Calligaro Bianco Argentina fu
Lorenzo; 6- Gualchiera di Da Prà Costantino fu Giovanni; 7- Molino di Calligaro
Cian Giuseppe; 8- Molino Baldovin Giovanni fu Lorenzo; 9- Sega Comunale”. La
relazione riporta inoltre che la seconda derivazione, quella posta più a valle, dava
forza anche a una ruota da fabbro, ma è precisato che “…questa officina non fa
parte della presente relazione…”.
Agli inizi del Novecento lungo il Rio Rin, infatti, vi era anche l’officina Baldovin
Marin Lorenzo fu Mariano. L’opificio sfruttava una sua roggia, che aveva la presa
poco sotto lo scarico dei mulini in località Prou.
L’acqua, dopo aver fatto funzionare i macchinari presenti nella fucina, dove si
producevano per lo più oggetti d’uso quotidiano, confluiva poco sotto il mulino
Calligaro Cian e Baldovin, nel ramo principale della roggia che andava ad
azionare la sottostante segheria comunale.
Poco sotto l’officina Baldovin Marin vi era un’altra roggia, derivata direttamente dal
Rio Rin, che attivava il maglio della bottega da fabbro di Da Pra Fauro Giuseppe,
specializzata nella fabbricazione dei carri e nel ferrare cavalli. Dal 1923 circa i
macchinari all’interno della bottega da fabbro furono azionati dalla corrente
elettrica prodotta dalla Ditta F.lli Baldovin.
Come si presentava l’interno della fucina Baldovin Marin Lorenzo nel 1997. Alcuni anni
dopo è stata convertita in abitazione privata.
Il mulino di Calligaro Cian Giuseppe fu Giovanni e quello di Baldovin Giovanni fu
Lorenzo facevano parte di un unico opificio diviso in due proprietà.
Giuseppe Calligaro Cian nel 1948 fece domanda di rinuncia al diritto di
derivazione d’acqua dal Rio Rin per azionare il proprio mulino da cereali, che
aveva al suo interno una macina. Nella rinuncia specifica che “…a causa di
aggravio canone, spese d’istruttoria, si rende costretto con la presente a
rinunciare a detta concessione. Fa presente che l’edificio e il macchinario da oltre
vent’anni non viene utilizzato per deficienza e che dunque l’acqua non viene
usufruita pagando lo stesso il canone. Il sottoscritto sottostava al canone
solamente per amore alla conservazione dei diritti millenari dei suoi avi.”.
L’anno seguente anche la Ditta Baldovin Monego Giovanni presentò domanda di
rinuncia per azionare il proprio mulino da grano, che aveva al suo interno tre
macine.
Disegno del 1947 del mulino Calligaro Cian e Baldovin Monego.
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.128 – Piccola Derivazione.
Planimetria datata 1923 con l’elenco degli opifici lungo il Rio Rin.
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.67 – Piccola Derivazione.
Profilo longitudinale datato 1923 con indicati gli opifici lungo il Rio Rin.
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.67 – Piccola Derivazione.
Agli inizi del Novecento fu costruita la segheria Pellegrini, in località Broilo, poco
più a valle di quella comunale. Dalla domanda di rinnovo presentata nel 1931 da
Antonio Pellegrini ed eredi, si viene a sapere che nel 1901 era stata concessa a
Pellegrini Giovan Battista fu Simone la derivazione d’acqua per azionare una
segheria da legnami. Nei vari documenti risulta inoltre che “…questa è stata
costruita, secondo il sistema Cadorino, a valle dell’abitato di Lozzo, provvista di
una ruota idraulica a cassetta, del diametro di m.6 e funziona regolarmente dal
1901.”.
Disegno del 1931 della segheria della Ditta Pellegrini.
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.335 – Piccola Derivazione.
Fitografia d’inizio Novecento di Lozzo di Cadore. In basso si vede parte della segheria
Pellegrini con la sua roggia che parte poco sotto la segheria comunale.
Tratta da: Roberto Tabacchi, Danilo De Martin, “Uomini e macchine idrauliche ‘Omin e
machine a aga’ nel Cadore d’inizio Novecento”, 2010.
Nel 1923 la Ditta Baldovin Giovanni, Marco, Mariano, Floro e Arcangelo fu
Gaspare fece domanda di derivazione d’acqua in località Ronzie per ampliare
l’impianto esistente e azionare una segheria da legnami sfruttando un salto di 18
metri, per produrre una potenza pari a Kw 23,75 (Pratica n.27 – Piccola
derivazione). La concessione fu accordata “per anni trenta successivi e continui
decorrenti dal 10 settembre 1915, data della concessione prefettizia”.
Alla pratica è allegato un disegno dove sono indicati undici opifici lungo il Rio Rin,
in particolare sette mulini, tre segherie ed una “gualtiera”, ed esattamente,
seguendo il corso del Rio Rin: “1- Molino di Baldovin Lucio fu Giovanni; 2- Molino
di Baldovin Gaspare fu Mariano; 3- Molino di Baldovin Giovanni fu Gio-Batta; 4Molino Eredi Zanella in Loda Luigia; 5- Molino di Calligaro Bianco Argentina fu
Lorenzo; 6- Gualtiera di Da Prà Costantino fu Giovanni; 7- Molino Calligaro Cian
Giuseppe; 8- Molino Baldovin Giovanni fu Lorenzo; 9- Sega Comunale; 10- Sega
Pellegrini Giovanni Battista; 11- Sega di Baldovin Giovanni F.lli di Gaspare”;
rispetto all’elenco prima riportato, in quest’ultimo si sono aggiunti due segherie,
quella dei Pellegrini e quella dei F.lli Baldovin.
Disegno ed elenco del 1923 degli opifici lungo il Rio Rin
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.27 – Piccola Derivazione
Nel corso degli anni i fratelli Baldovin costruirono due segherie, la prima sulla
sponda destra del Rio Rin, l’altra, attorno agli anni ’20 del Novecento, di fronte alla
prima, oltre il Rio, in adiacenza alla loro abitazione. I macchinari presenti in
entrambe le segherie, assieme a quelli utilizzati nelle falegnamerie, poste ai piani
superiori della segheria in sponda sinistra, erano azionati dall’energia elettrica
prodotta dalla centralina idroelettrica degli stessi Baldovin Carulli, inizialmente
situata a valle dell’abitato.
Baldovin Giovanni in data 19.04.1926, fece richiesta di utilizzare le acque del Rio
Rin per produrre energia elettrica in una nuova centralina. La centralina elettrica è
indicata nell’elenco degli anni 1930 delle “Concessioni di acqua pubblica ad uso
industriale della provincia di Belluno”, e fu costruita a monte di tutti gli opifici
esistenti.
Disegno del 1926, tra i vari opifici idraulici elencati vi è sia la centralina a valle, sia quella
a monte dell’abitato di Lozzo di Cadore, entrambe intestate ai F.lli Baldovin.
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.28 – Piccola Derivazione
Dopo la Prima Guerra Mondiale lungo il Rio Rin furono realizzati gli edifici ad uso
centralina e la segheria-falegnameria Baldovin Carulli, sopra riportati, e il lanificio
dei fratelli Zanella, che avevano iniziato l’attività durante la Seconda Guerra
Mondiale al secondo piano della segheria Baldovin Carulli, e che in seguito
avevano costruito un apposito opificio che sfruttava l’energia elettrica fornita
dall’officina per la produzione di energia elettrica dei fratelli Baldovin Carulli.
Nel 1950 la Ditta Pellegrini Valerio e F.lli fu Giovanni Battista inoltra all’Ufficio del
Genio Civile di Belluno una richiesta di diminuzione canone annuo, poiché la sega
non funziona nel periodo invernale, e per non lasciarla inattiva “…ha dovuto
provvedere a farla agire mediante l’energia elettrica.”. Nel 1954, la Ditta Pellegrini
inoltra richiesta di rinuncia alla derivazione, in quanto “…la segheria, già azionata
dall’acqua del Rio Rin, è ora azionata da energia elettrica e di aver demolito le
opere di presa dell’acqua e ripristinato l’alveo del rio…”.
Gli opifici dei fratelli Baldovin Carulli sfruttavano l’energia prodotta dalla loro stessa
centralina, nel secondo dopoguerra la Ditta fu sciolta e gli opifici divisi. Le segherie
funzionarono sino al 1955 circa, mentre le falegnamerie chiusero qualche anno più
tardi.
Lozzo di Cadore nel 1930. Si vedono in basso, in primo piano, la segheria Baldovin Carulli
e la segheria comunale. Collezione Benito Pagnussat
Nel 1958 da parte di Marco Baldovin fu presentata l’istanza per rinuncia alla
concessione di derivazione d’acqua per azionare una segheria da legnami.
Nella seconda metà del Novecento e in particolare a seguito dell’alluvione del
1966, che arrecò vari danni a fabbricati e opere di presa, le attività artigianali lungo
le sponde del Rio Rin andarono scomparendo.
Il Rio Rin dopo l’alluvione del 4 novembre 1966. Archivio Fotostudio G.B. Zanella
Dei vari opifici sopra elencati, seguendo il corso del Rio Rin, rimangono nella parte
alta dell’abitato, a testimonianza delle attività di un tempo, la diga di sbarramento e
le opere di presa realizzate a seguito
della costruzione della centralina
idroelettrica Baldovin Carulli, la suddetta centralina, il mulino oggi di proprietà Del
Favero, avente in origine tre ruote idrauliche a cassetta, l’opificio oggi “Da Pra –
Calligaro”, nel 1903 adibito a follo da panni e fucina, in seguito convertito in
mulino, e l’edificio detto “mulin dei Pinza”, diviso in più proprietà, che ospitava al
suo interno due mulini, una gualchiera (di cui rimangono solo alcune tracce dei
muri perimetrali) e una piccola fucina da fabbro aggiunta dopo la Seconda Guerra
Mondiale.
Nella parte più a valle dell’abitato, inoltre, rimangono altri edifici, in parte però
riconvertiti nel corso degli anni.
Per quanto riguarda la centralina idroelettrica Baldovin Carulli, il mulino Del
Favero, il mulino “Da Pra – Calligaro” e il mulino “dei Pinza” viene di seguito
riportato qualche ulteriore dato.
OFFICINA
PER LA PRODUZIONE
D’ENERGIA
ELETTRICA
BALDOVIN
CARULLI
Fotografie degli anni ’30 del Novecento dell’officina per la produzione d’energia elettrica
dei fratelli Baldovin Carulli
L’officina per la produzione dell’energia elettrica (com’era chiamata agli inizi del
XX secolo una centrale idroelettrica) dei fratelli Baldovin Carulli sfrutta le acque del
Rio Rin, captate da una diga di sbarramento situata in località “Le Spesse”.
La prima diga, costruita nel 1926, era in tronchi di legno, mentre la condotta, che
portava l’acqua sino alla centralina, era in gran parte in cemento, tranne che per
l’ultimo pezzo di ferro. Nel 1946-47 la diga di legno fu sostituita da uno
sbarramento in calcestruzzo. Dalla diga parte una condotta forzata lunga 662,35
metri, che porta l’acqua in pressione all’officina per la produzione dell’energia
elettrica. Gli ultimi interventi effettuati sullo sbarramento risalgono al periodo
successivo all’alluvione del 1966, che provocò numerosi danni, soprattutto alla
condotta e alle opere di captazione e regolazione delle acque.
Immagine del bacino a monte della diga e dei danni causati dall’alluvione del 1966.
La posizione della nuova centralina, costruita a monte degli opifici esistenti, fece sì
che la diga, con le sue opere di derivazione, andasse a sostituire le antiche opere
di presa, e la stessa acqua in uscita dalle turbine, per mezzo del canale di scarico,
venisse restituita alla roggia e utilizzata dai sottostanti mulini.
Fotografia d’inizio Novecento della roggia lignea a monte degli opifici idraulici
La ditta dei fratelli Baldovin Carulli aveva inizialmente costruito una centralina in
fondo al paese in località “Ronzie”. Nel 1916 erano già state costruite le opere
“…per derivazione d’acqua dal Rio Rin presso l’abitato di Lozzo di Cadore per
produzione di forza motrice a scopo industriale e precisamente per lavorazione del
legname…”.
In seguito, visto l’aumentare del fabbisogno di energia, fece domanda per la
costruzione di una nuova officina per la produzione d’energia elettrica poco sopra
il mulino Badovin Lucio.
In data 24 agosto 1926 il podestà comunicava ai fratelli Baldovin Carulli
l’approvazione della “domanda per la concessione del permesso di passaggio con
tubazione di cemento per la conduttura lungo la strada vicinale Spesse-Manadoira
dell’acqua necessaria all’impianto di un’officina per la produzione dell’energia
elettrica”.
Particolare della centralina e del vicino lavatoio
Nella centralina furono installati una turbina Pelton tipo svizzero, n°53 con un getto
ad ago, un regolatore di velocità e un alternatore trifase acquistati nel novembre
1926 dalla ditta “Officine - fonderie A. Pellizzari e figli”, di Arzignano (Vicenza)
avente una potenza di 37 HP. Nel maggio 1929 fu acquistata un’altra turbina
Pelton della ditta “De Pretto”, con reostati e alternatore trifase, presso la ditta
“Ercole Marelli e C.S.A.”- filiale di Padova, con potenza pari a 70 HP. L’alternatore
della Pellizzari fu requisito durante la Seconda Guerra Mondiale e in seguito
rimpiazzato con un altro della “Societe d’eletricite Alioth”.
Immagine dell’interno della centralina con il proprietario Leo Baldovin Carulli
La centralina, oltre a servire i vari opifici dei fratelli Baldovin Carulli, forniva energia
elettrica all’intero paese. Scaduta la concessione trentennale, nel 1958 fu
rinnovata a nome della ditta Giovanni Baldovin fu Gaspare.
L’alluvione del 1966 distrusse parte delle opere di presa e della condotta, e la
centralina rimase inattiva per qualche mese; i fratelli Arnaldo e Benvenuta
Baldovin, eredi di Giovanni, ripararono i danni subiti. In seguito subentrò Leo
Baldovin, figlio di Benvenuta, che nel 1989 rinnovò nuovamente la concessione
dell’acqua, e tuttora gestisce la centralina soprattutto a scopo didattico.
MULINO DEL FAVERO
Il mulino, oggi di proprietà Del Favero, che si trova appena sotto la centralina
idroelettrica, con molta probabilità è quello raffigurato su una tavoletta votiva
donata per “Grazia ricevuta da Baldassare de fu Gerolamo de Mejo li 8 agosto
1764”, dove vi è rappresentato un opificio idraulico con tre ruote lignee.
Tavoletta votiva donata per “Grazia Ricevuta da Baldassare de fu Gerolamo de Mejo, li 8
Agosto 1764”
Risulta tra quelli indicati nell’elenco di riconoscimento antico diritto d’uso delle
acque del Rio Rin, sotto il nominativo “Molino di Baldovin Lucio fu Giovanni”.
Il “Registro dei Contribuenti delle Imposte sui Fabbricati” del 1903, riporta un
mulino al mappale n°2002 di proprietà di Baldovin Stefin Paolo fratelli e sorelle fu
Gio Batta, che corrisponde in mappa alla posizione dell’attuale mulino Del Favero.
Dalla “Pratica n°443, Piccola Derivazione, Ufficio Genio Civile di Belluno”, si può
apprendere che nel 1923, Baldovin Gio-Battista Rosario, Dorotea-Maria, AngelaMaria e Da Prà Piazza Apollonia, presentarono la domanda di concessione
dell’acqua per utilizzo mulino da cereali, già Baldovin Stefinuto-Lucio fu Giovanni.
La derivazione fu concessa, per un periodo di trent’anni, dal 1917 al 1947, per una
potenza di 3,35 HP, ottenuta da un salto di 5,3 metri.
Sullo sfondo il mulino oggi Del Favero
Anticamente il mulino aveva tre ruote idrauliche lignee, due del diametro di 3 metri
e una del diametro di 2,05 metri, che producevano una potenza pari a 3,35 HP,
per mezzo di un salto di 5,3 metri, e che azionavano due macine ed un pila orzo.
Le ruote idrauliche a cassette di legno furono sostituite durante la Seconda Guerra
Mondiale da Baldovin Angela, Dorotea e Giovanni, con una turbina di tipo Pelton,
come risulta dal progetto del geometra Valentino Masi di Domegge, del 31 maggio
1943.
Disegno della turbina installata nel 1943, che andava a sostituire le tre ruote idrauliche
esistenti. Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.443 – Piccola Derivazione.
La turbina di tipo Pelton, ancor oggi visibile, assieme alla macina e al pila orzo, è
ad asse verticale, del diametro di 2,6 metri, installata in un pozzetto circolare
profondo 1,6 metri dal pavimento del locale seminterrato del mulino.
La turbina sfruttava un salto di 7,6 metri, producendo una potenza nominale di
2,61 Kw, che serviva per azionare “…un palmento ed una molazza montati su
un’incastellatura di legno a metri 1,10 dal pavimento…”. In seguito all’installazione
della turbina fu costruita a monte dell’edificio una vasca di carico in cemento e al
posto della roggia e dei canali di legno fu introdotto un tubo di cemento del
diametro di 30 cm, direttamente collegato alla condotta di scarico della centrale
elettrica dei fratelli Baldovin Carulli.
Interno del mulino con la macina da grano e il pila orzo azionati da una turbina Pelton
installata nel 1943
Al piano primo dell’opificio, nel periodo compreso tra gli anni 1920-50 circa, fu
collocata una piccola tessitura a conduzione familiare. Il laboratorio era di
proprietà di Giovanni Lucio Baldovin e di Ezio Baldovin. Per seguire la lavorazione
fu incaricato Del Puppo di Cappella Maggiore, esperto dei processi lavorativi legati
alla tessitura.
Per quanto riguarda il mulino, nel 1947 fu richiesto un successivo rinnovo al
Magistrato alle Acque su progetto del geometra A. Larese, per una potenza
nominale di 2,61 Kw, data da un salto di 7,6 metri.
Nel 1977 fu ulteriormente rinnovata la concessione a nome di Luigi Del Favero,
erede di Dorotea Baldovin, con scadenza nel 2007. Del Favero proseguì l’attività
saltuariamente sino al 1985 circa, e a seguito della sua morte, i figli Giuseppe e
Lucio rinunciarono alla concessione che fu dichiarata decaduta nel 1993.
MULINO “DA PRA E CALLIGARO”
Il mulino “Da Pra – Calligaro”
L’edificio, oggi detto mulino “Da Pra e Calligaro”, è indicato tra quelli riportati
nell’elenco di riconoscimento antico diritto d’uso delle acque del Rio Rin, ed
esattamente sotto il nominativo “Molino di Baldovin Gaspare fu Mariano” per la
parte più a monte e “Molino di Baldovin Stefin Giovanni fu Gio Batta” per la metà
posta più a valle.
Dal “Registro dei Contribuenti dell’Imposta sui Fabbricati” del 1903, risulta essere
adibito per una metà (quella più a monte) a follo da panni di proprietà di Maria Da
Pra Fauro fu Gio Batta e per l’altra a fucina di Giovanni Baldovin Stefin fu Gio
Batta. Quest’ultimo, in seguito convertì la sua fucina in mulino. Anche la metà più
a monte, dopo essere stata venduta a Romano Baldovin, fu successivamente
trasformata ad uso mulino.
Infatti, come risulta dal disegno del 1923 e dall’elenco sopra riportato, l’acqua
dopo aver azionato il mulino di Baldovin Stefinuto Lucio, per mezzo di una roggia
lignea azionava le due ruote in legno dei mulini di proprietà Baldovin Gaspare e
Baldovin Giovanni.
Il piano terra d’entrambe le proprietà ospitava una macine da grano e il pila orzo,
mentre il piano superiore era di servizio ai mugnai.
Nella parte più a valle del fabbricato fu poi aggiunto un ulteriore volume che ospitò
per un periodo una fucina da fabbro.
I due mulini presenti all’interno dell’edificio furono fra i primi, di quelli lungo la
roggia, a cessare l’attività produttiva. Per quanto riguarda la parte più a valle, già
nel Secondo Dopoguerra la vedova di Giovanni Baldovin fu Gio Batta rinunciò al
diritto di derivazione delle acque, anche a nome degli altri eredi.
Nel 1960 circa, al piano terra della porzione più a monte, Giovanni Baldovin
installò il gruppo elettrogeno di supporto all’officina per la produzione d’energia
elettrica.
In seguito l’intero edificio fu acquistato da Tranquillo Calligaro, che acquisì anche
la parte più a monte usufruita da Leo Baldovin Carulli.
Alla fine del XX secolo, esternamente è stata ricostruita una ruota idraulica e parte
della roggia.
La ruota idraulica e parte della roggia ricostruite a fine del XX secolo.
MULINO “DEI PINZA”
Immagine d’inizio Novecento del mulino “dei Pinza”
Il mulino oggi detto “dei Pinza” è citato in un manoscritto datato 21 marzo 1810 in
cui si riferisce circa la volontà di dividere il molino Zanella a metà, e dove in oltre si
attestano le condizioni cui erano soggetti i vari comproprietari.
L’edificio, indicato con i nominativo “Molino degli eredi Zanella in Loda Luigi”
(porzione a monte), “Molino di Calligaro Bianco Argentina fu Lorenzo” (parte
centrale), “Gualchiera di Da Pra Costantino fu Giovanni” (parte più a valle), risulta
tra quelli dell’elenco di riconoscimento antico diritto d’uso delle acque del Rio Rin.
Nel 1903, come risulta dal “Registro dei Contribuenti delle imposte sui fabbricati”,
l’edificio ospitava nella parte più a monte il mulino di proprietà Zanella in Loda
Gaspare e fratelli e sorelle fu Gio Batta e fratelli e sorelle fu Gaspare, in quella più
a valle il mulino di Calligaro Bianco Lorenzo. Quest’ultimo, come si evince dalla
domanda di rinnovo concessione d’acqua ad uso industriale del 27 dicembre
1923, sfruttava un salto di 5,96 metri per produrre una potenza di 3,77 HP per
azionare le due macine da grano che aveva all’interno del mulino.
Nel 1947, allo scadere della concessione la ditta Zanella Giuseppe, Agostino,
Evaristo, Placido ed Elisabetta, non inoltrò domanda di rinnovo, mentre Calligaro
Bianco Argentina fu Lorenzo, sposata con Giuseppe Da Pra detto “Bepo Pinza”
(da cui il nome attuale del mulino), presentò la domanda, ma l’anno seguente vi
rinunciò.
L’acqua derivata dal Rio Rin, dopo aver azionato gli opifici più a monte, andava a
muovere le tre ruote in legno esterne all’edificio. Pur essendoci due macine da
grano all’interno di ogni proprietà, solitamente era utilizzata una per mulino.
Disegno del 1947 del mulino “dei Pinza”.
Archivio Genio Civile di Belluno – Pratica n.441 – Piccola Derivazione
Dopo il Secondo Conflitto Mondiale all’interno del mulino Calligaro fu realizzato un
piccolo vano e collocata una fucina da fabbro, dove si realizzavano oggetti di ferro
a livello artigianale.
Al piano superiore fu realizzato un piccolo laboratorio a servizio della fucina.
Il trapano e il soffietto per la forgia sfruttavano il movimento di una delle due ruote
che attivava la macina da grano.
Come sopra indicato, entrambi i mulini cessarono l’attività poco dopo.
Attualmente, la parte più a monte risulta sostanzialmente modificata, mentre la
parte più a valle, proprietà di Teodolindo Da Pra, figlio di Giovanni Da Pra “Pinza”,
preserva ancora al suo interno le due macine e gli oggetti della piccola fucina.
Macine ancora presenti all’interno della parte più a valle del mulino “dei Pinza”
Interno della piccola fucina
Addossato al lato sud-est dell’edifico vi era un altro volume, di cui restano solo le
tracce dei muri perimetrali, che, come indicato nell’elenco di riconoscimento antico
diritto d’uso delle acque del Rio Rin per uso industriale, del 27 dicembre1923, era
di proprietà di “Da Pra Costantino fu Giovanni”, ed era utilizzato come
“Gualchiera”.
L’opificio, come risulta da un disegno del 1885, aveva una sua ruota idraulica che
sfruttava un salto di circa 3 metri, per azionare i macchinari all’interno.
Al piano terra vi era l’apparato per la battitura e “digrassatura” dei tessuti, mentre
al piano superiore vi era il follo da panni.
Già nel 1923 la ruota idraulica non era più funzionante.
Disegni del 1885 raffiguranti l’opificio con la “gualchiera”. Tratta da: Roberto Tabacchi,
Danilo De Martin, “Uomini e macchine idrauliche ‘Omin e machine a aga’ nel Cadore
d’inizio Novecento”, 2010.