Job Act: il nuovo contratto a tempo determinato Il Job Act o decreto Poletti n.34 del 20/03/2014 (convertito nella legge n.78 del 16/05/2014) ha modificato in modo sostanziale la disciplina del contratto a termine. Semplificazione e certezza delle regole hanno guidato la logica dell’intervento normativo. Tra le novità, quella senza dubbio più rilevante è l’applicazione dell’acausalità a tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato. Già nel 2012 la riforma Fornero (legge n.92 del 28/06/2012) aveva apportato alcune modifiche al d.lgs.n.368/01 introducendo il comma 1 bis che ha previsto la possibilità di derogare alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, giustificatrici dell’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, introducendo la possibilità di stipulare un contratto a termine (o di somministrazione a tempo determinato) senza causale nell’ipotesi di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi. Il decreto Giovannini (d.lgs. n.76 del 28/06/2013) ha attribuito alla contrattazione collettiva, anche aziendale, il compito di individuare ogni altra ipotesi di acausalità senza che tali fattispecie debbano rientrare nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’articolo 5, comma 3, del d.lgs.368/01 nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati dall’unità produttiva. La circolare n.35 del 29 agosto 2013 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha evidenziato che la disciplina introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto a tempo determinato acausale integra quanto disposto dal Legislatore e pertanto i contratti collettivi – anche aziendali – potranno prevedere che il contratto acausale abbia una durata maggiore di dodici mesi e che possa essere sottoscritto da soggetti che abbiano avuto precedentemente un rapporto di lavoro subordinato. Con il decreto Poletti l'acausalità è ora applicabile a tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato. Al fine di evitare l’abuso del ricorso a questo istituto vengono introdotti 2 limiti numerici quantitativi. Il primo limite prevede che ciascun datore di lavoro possa stipulare contratti a termine entro il 20% dell'organico complessivo (indipendentemente dal regime orario o dalla durata) presente al 1° gennaio di ciascun anno. In questa percentuale ora sono inclusi sia i dirigenti che gli apprendisti. Sono esclusi invece dal computo i regimi speciali che già in precedenza esentavano dall'indicare una motivazione dell'apposizione del termine come, ad esempio, i contratti stagionali, le start - up innovative, i contratti siglati con lavoratori over 55 anni, i contratti di somministrazione di manodopera, i contratti dei dirigenti (per i quali la legge fissa una durata di 5 anni). La soglia è derogabile dai contratti collettivi nazionali che potranno stabilire un limite più alto o più basso (ad esempio per l’edilizia la soglia è del 25%, per l’autotrasporto del 35%) ma anche definire un regime di calcolo particolare. Il secondo limite (introdotto già nel 2007 con il protocollo Welfare) riguarda la durata di tutti i rapporti a termine intrattenuti con lo stesso lavoratore per lo svolgimento di mansioni equivalenti: massimo 36 mesi. Nel computo dei 36 mesi rientrano tutti i periodi di attività lavorativa (comprese proroghe e rinnovi); non si calcolano i periodi di inattività intercorsi tra la fine di un contratto e l’inizio di un nuovo rapporto. La legge specifica che nel computo rientrano “solo i periodi svolti per mansioni equivalenti”. Viene consentito inoltre al contratto collettivo di allungare il termine dei 36 mesi e sarà possibile stipulare un altro contratto, di durata definita dagli accordi interconfederali, previa convalida presso la Direzione Territoriale del Lavoro. Non viene infine modificato il regime sanzionatorio per il mancato rispetto del limite della durata massima: in caso di sforamento dei 36 mesi, il contratto viene convertito a tempo indeterminato ed è previsto il risarcimento del danno al lavoratore (quantificato in misura forfetaria). Rinnovi Resta in vigore la regola dello stop and go (la legge Fornero ed il decreto Giovannini hanno ritoccato il regime prima allungandolo e poi riportandolo alla versione originaria). Se le parti, scaduto il contratto, ne vogliono stipulare uno nuovo nel rispetto dei 36 mesi, allo scadere del termine sarà necessario far trascorrere un intervallo temporale di 10 giorni (contratto di durata inferiore ai sei mesi) o 20 giorni (contratto di durata superiore a sei mesi). Proroghe Cambia invece il numero massimo di proroghe ammesse per il contratto a termine, passando da 1 assistita da “ragioni oggettive” (vecchio testo del d.lgs 368/2001) a 5 “esenti da giustificazione” (sempre nel rispetto dei 36 mesi): questo costituisce un tetto complessivo che si applica a tutti i contratti stipulati nell’arco dei 3 anni, con equivalenza di mansioni. Il limite di proroghe è indipendente dal numero dei rinnovi. Alla cessazione del rapporto e dopo il periodo di stop and go datore di lavoro e lavoratore possono stipulare un nuovo contratto, sempre prorogabile per un massimo 5 volte. Non cambia neanche la disciplina della cd proroga di fatto. Il contratto a scadenza può continuare ad avere esecuzione tra le parti per un periodo massimo di 30 gg (contratto di durata inferiore ai sei mesi) o di 50 gg (contratto di durata superiore a sei mesi), senza che questa circostanza lo renda illecito. L’unica conseguenza sarà una maggiorazione retributiva a favore del lavoratore. Diritto di precedenza Il decreto interviene sul diritto di precedenza. Un lavoratore dipendente a termine che abbia lavorato per un periodo pari ad almeno 6 mesi matura un diritto di precedenza per le assunzioni a tempo indeterminato presso la stessa azienda. In particolare, per le lavoratrici il congedo obbligatorio di maternità intervenuto nel corso di un precedente contratto a termine concorre a determinare il periodo complessivo di prestazione lavorativa utile a maturare il diritto di precedenza. Alle lavoratrici è riconosciuto altresì il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a termine effettuate entro i successivi 12 mesi (si ricorda che il diritto deve essere espressamente manifestato dal lavoratore entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro a termine, 3 mesi nel caso di lavoratori stagionali). Pubblico impiego La riforma ha un impatto limitato per i contratti siglati nell’ambito pubblico impiego: anche se nei contratti a termine stipulati dalla Pubblica Amministrazione viene meno l'obbligo di indicarne la cause, la riforma non cancella le norme speciali previste dal T.U. sul pubblico impiego (d.lgs n.165 del 30/03/01) che prevede l'eccezionalità del ricorso a questa fattispecie contrattuale che depotenzia di fatto la non obbligatorietà della causale stessa. Il datore di lavoro pubblico dovrà comunque motivare la temporaneità delle ragioni che hanno reso necessario stipulare quel contratto ed altresì dimostrarne l'eccezionalità (art. 36, 2 comma T.U.). Inoltre, il datore di lavoro pubblico non potrà ricorrere all'uso dello stesso lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio. In caso di violazione, resta ferma la previsione dell’art.36 del T.U. sul pubblico impiego: il lavoratore ha diritto al solo risarcimento del danno. Ricerca Scientifica Un’ulteriore novità è rappresentata dal comma dedicato alla ricerca scientifica (comma 4 b octies della legge che si inserisce nell’art.10 del d.lgs. n.368/2001 quale comma 5 bis ). La norma si compone di due periodi che hanno un diverso campo di applicazione e operano, in favore del settore della ricerca, una deroga ai due limiti quantitativi introdotti dal decreto. Del primo periodo sono destinatari Istituti e Enti di ricerca pubblici o privati che stipulano contratti a tempo determinato con personale che svolge in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica (inclusi i ruoli di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa ricerca). Queste particolari categorie di lavoratori non sono soggette al limite del 20% dell’organico complessivo. Resta escluso dalla deroga al limite il personale le cui mansioni supportano in maniera indiretta e spesso non esclusiva l’attività di ricerca (es. ruoli amministrativi e di segreteria). Del secondo periodo è destinataria la prestazione svolta dal lavoratore che deve essere esclusivamente attività di ricerca scientifica anche se l’attività prevalente dell’impresa non è la ricerca. In questo caso, la durata del contratto è vincolata a quella del progetto di ricerca cui si riferisce l’attività. La norma non si esprime riguardo ad un’eventuale rinnovo o proroga del progetto cui afferiscono i succitati contratti. Parrebbe logico quindi che il contratto debba seguire le sorti del progetto che ne costituisce la sua ragion d’essere. Regime sanzionatorio ed applicabilità Cosa succede in caso di superamento dei limiti quantitativi per l’uso del contratto a termine? Il datore è soggetto ad una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione per ogni mese (o almeno 15 giorni) di durata del rapporto di lavoro , per il primo lavoratore assunto in eccesso dei limiti indicati (durata di 36 mesi e tetto massimo del 20% dell’organico complessivo). La sanzione aumenta al 50% per i lavoratori assunti successivamente. Il decreto non stabilisce in maniera diretta che la multa escluda altre possibili conseguenze per il datore di lavoro quali il rischio di conversione del contratto a tempo indeterminato. I datori di lavoro devono adeguarsi ai nuovi limiti entro il 31 dicembre 2014, altrimenti non potranno stipulare nuovi contratti fino a quando non si rientra nel limite e si applicheranno le sanzioni economiche i cui introiti andranno a finanziare il fondo per l’occupazione. Rimane salva la facoltà per la contrattazione collettiva di applicare un regime più favorevole per quanto riguarda tetto massimo e termini di adeguamento.
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