LA PREVIDENZA FORENSE AVVOCATURA Giustizia civile: si riuscirà ad invertire la tendenza? 46 di Andrea Pasqualin Premessa Sono sempre più frequenti, nei convegni, sulle riviste, nelle liste telematiche di discussione, gli interventi propositivi di linee operative di intervento volte a cominciare a porre rimedio alla sconfortante situazione della giustizia civile. Vale la pena di provare a riflettere sulle possibili vie d’uscita da questa difficile emergenza. Una premessa però deve essere chiara: la situazione è talmente deteriorata che occorre lavorare su un orizzonte temporale non immediato, essendo cioè consapevoli del fatto che ad un accettabile grado di normalizzazione del funzionamento del sistema si potrà arrivare solo con programmi di medio termine. E qui sta probabilmente la prima difficoltà, dal momento che l’esperienza insegna come, in particolare in questi ultimi tempi, la politica non sia particolarmente incline ad accogliere e fare proprie progettualità che non consentano di essere tradotte in lanci mediatici di richiamo, che per essere tali richiedono la spendita di promesse di risultato immediato. Ciò non toglie che innanzi tutto da chi opera nel mondo della giustizia debbano venire proposte di ricalibratura e di ricomposizione del sistema. Le ADR Come è noto il problema è fondamentalmente rappresentato dall’inadeguatezza della capacità di risposta del sistema alla domanda di giustizia. Per affrontarlo occorre dunque incidere sull’accesso alla giurisdizione, creando delle (serie ed appetibili) alternative ad essa, ovvero sulla produttività del sistema, migliorandola, oppure utilizzare entrambe le leve. Il Legislatore finora si è mosso prevalentemente nella prima direzione, ma non con il fine di aumentare il ventaglio delle scelte per l’utente che avanzi una domanda di giustizia (così creando le condizioni per un alleggerimento della pressione sulla giurisdizione), ma con l’obiettivo non condivisibile di comprimere l’accesso alla giurisdizione, penalizzandolo con ingiustificati aumenti di costi e con l’introduzione di filtri e di sanzioni di vario genere. Nel catalogo di queste “cattive” iniziative si iscrive a buon diritto anche l’obbligatorietà della mediazione, che pur rilevantemente mitigata dalla riforma del 2013, ne snatura la funzione, degradandola dal rango di alternativa alla (ma non esclusiva della) giurisdizione, a quello di mero strumento deflattivo. Posto che la scelta di contenere il ricorso alla giurisdizione con misure deflattive o punitive non è accettabile, essendo, quello dell’assicurare la giustizia, uno dei primi doveri di un Paese civile, occorre concentrare gli sforzi nella direzione indicata da più voci e fatta propria dal Congresso Nazionale Forense di Bari del 2012, quella della creazione di tavoli diversi dalla giurisdizione, sui quali si possano, con le irrinunciabili garanzie, dirimere o decidere i conflitti. Il Consiglio Nazionale Forense punta molto sulle camere arbitrali forensi – di cui all’art. 29, c. 1, lett. n), l. n. 247/2012 –, quali istituzioni con la funzione di amministrare arbitrati, anche relativi a vertenze pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria e trasferite in sede arbitrale in base a norma ad hoc, e di gestire organismi di mediazione. Così come crede molto alla negoziazione assistita, accordo mediante il quale le parti in conflitto, prima di adire il giudice o l’arbitro, convengono di trattare la definizione amichevole del conflitto con l’assistenza dei propri avvocati, con la possibilità che l’accordo che avesse ad essere raggiunto assuma, previa omologazione giudiziaria, la qualità di titolo esecutivo e per la trascrizione. Questi istituti sono oggetto della proposta di legge Venittelli e altri, presentata alla Camera l’1 agosto del 2013. Naturalmente il sistema delle camere arbitrali dell’Avvocatura andrà costruito con impegno e responsabilità, dal momento che dovrà garantire qualità professionale e deontologica e costi ragionevoli. Così come occorre che l’Avvocatura, specie in un tempo in cui i costi e l’inefficienza del processo rendono sempre meno appetibile il ricorso ad esso, volga lo sguardo con maggiore attenzione a tutto ciò che avviene fuori e prima della giurisdizione ed al valore aggiunto che istituti quale la negoziazione assistita, e più in generale la mediazione facoltativa (assicurata da GENNAIO–APRILE AVVOCATURA 1/2014 mediatori avvocati capaci), possono portare i termini di rapidità e di efficienza nella definizione dei conflitti, con benefici per tutti. Si può dunque fare molto nella direzione della creazione di meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie, idonei ad integrare, in modo credibile ed affidabile, l’offerta di giustizia rappresentata dalla giurisdizione. Occorre però crederci ed investire in divulgazione e formazione. La giurisdizione Quanto a quest’ultima, occorre innanzi tutto che si desista dalla riforma permanente delle norme processuali. Tale modo di procedere, infatti, non solo è improduttivo di benefici, come unanimemente riconosciuto e confermato da una ventennale esperienza, ma è foriero di gravi inconvenienti, rappresentati dalla disagevole gestibilità di un sistema stratificato, che spesso costringe alla ricerca della norma applicabile ratione temporis, e dalla continua modificazione della giurisprudenza, costretta ad inseguire le evoluzioni del legislatore, con la conseguenza di una maggiore difficoltà del suo consolidamento e della persistenza di incertezze interpretative ed applicative, destinate a favorire la conflittualità ed a sottrarre tempo ed energie alla soluzione dei problemi che interessano a chi domanda giustizia, per dedicarle a quello che dovrebbe essere lo strumento per assicurare questa giustizia. Né appare condivisibile la prospettazione di intervenire sul rito del giudizio ordinario (ad esempio adottando quello del lavoro), dal momento che esso si presenta già sufficientemente flessibile e concentrato (non sono certo le tre memorie del sesto comma dell’art. 183 c.p.c. a sconvolgerne i tempi, anche se va riconosciuto che occorrerebbe farne un uso più morigerato), con la variabile del sommario (che però appare riscuotere scarso successo, come del resto era prevedibile, attesa l’eccessiva latitudine dei poteri ufficiosi) e con l’utilissima potenziale “scorciatoia” dell’art. 696 bis. Al più si potrebbe, anche valorizzando il recente lavoro svolto dalla Commissione Vaccarella, mettere mano, in tempi ragionevolmente brevi, ad una condivisa opera di mera manutenzione del codice di procedura civile (senza cioè incidere ulteriormente sui delicati equilibri in tema di poteri del giudice e di spazi difensivi delle parti), volta e rendere più agevole ed efficiente il funzionamento del processo. Sempre in tema di norme processuali occorre invece intervenire sull’esecuzione, che oggettivamente non funziona o funziona male, ripensandola senza pregiudizi, ma in modo organico e sulla base di un consultazione di tutti i (molti) soggetti interessati e coinvolti. Ma al di là delle norme vi è un problema di risorse: di quelle che ci sono (e sono rilevanti) e delle quali è doverosa la razionalizzazione e la migliore utilizzazione, ma anche di quelle che non ci sono e che vanno reperite, altrimenti, in una situazione di grave deperimento del sistema, parlare di recupero di efficienza rischia di restare un discorso puramente virtuale. Le leve sulle quali occorre agire sono molteplici. Vi è la non più differibile necessità di interventi di assunzione e di riqualificazione del personale amministrativo. Lo stato delle cancellerie è noto ed è sotto gli occhi di tutti e non bastano gli interventi a supporto degli ordini e delle associazioni forensi. Ognuno comprende come la migliore produttività del personale di magistratura resta inutile se non è supportata da una corrispondente efficienza della macchina amministrativa (un esempio per tutti: a che serve che il giudice depositi la minuta della propria decisione nei termini se poi la pubblicazione viene differita di mesi a causa delle difficoltà della cancelleria?). L’organico dei giudici va completato ed adeguato; va finalmente realizzata una struttura di supporto alla loro attività, che nelle sperimentazioni fatte, in Italia ed all’estero, ha dato buoni frutti. Deve essere migliorato il governo degli uffici da parte dei dirigenti: sono noti esempi virtuosi che non si vede perché non possano essere replicati, dati gli ampi margini di sotto utilizzazione o di cattiva utilizzazione delle risorse. Va quanto prima portato a regime il processo telematico; già è apparsa incongrua la scelta di dare corso ad una 47 LA PREVIDENZA FORENSE AVVOCATURA Il diritto e il processo civile 48 discutibile riforma della geografia giudiziaria senza il contestuale supporto del processo telematico, in fase di difficoltoso e lento avanzamento. Altra leva importante è rappresentata dalla magistratura onoraria, le cui regole vanno però quanto prima riscritte. Non solo al fine di garantirne la necessaria qualità, ma anche per definirne ruolo e funzioni. Al riguardo non appare da condividere un utilizzo dei magistrati onorari nelle strutture di affiancamento dei togati, come da alcuni si sostiene, sembrando maggiormente appropriato, ad esempio, che, all’imprescindibile condizione della loro effettiva qualificazione, ad essi venga riservato un unico circuito giurisdizionale in materie (e per valori) determinati. Vi è ancora il governo dei numeri, che deve essere trasparente e condiviso. Come è possibile infatti concepire ed impostare un serio progetto di restauro del sistema se non muovendo da dati certi, conoscibili ed adeguatamente disaggregati? Dati che dovrebbero finalmente riguardare anche la misura del contributo unificato e le modalità del suo utilizzo. E qui si torna al problema delle risorse. Di questi tempi non ve ne sono, si dice, ma sarebbe davvero interessante verificare se ed in che misura il sistema – o quanto meno il necessario intervento di emergenza – sia in grado di autofinanziarsi. Tutto ciò va, lo si ripete, nella prospettiva di un recupero di efficienza da realizzarsi in tempi non certo immediati, ma che potrebbero essere ragionevolmente accettabili qualora vi si mettesse sollecitamente mano. Vi è poi il problema dell’arretrato, per affrontare il quale alle misure sopra ricordate occorre affiancare un sforzo eccezionale, che, se attuato, potrebbe ricreare in pochi anni le condizioni per un normale funzionamento del sistema. Rilevato come il piccolo palliativo dei giudici aggregati di cui al d.l. n. 69/2013 non risulti ancora attuato, per pensare ad un intervento emergenziale di portata davvero efficace non pare potersi prescindere dall’intervento dell’Avvocatura, da attuarsi però con criteri che non replichino la sfortunata esperienza delle sezioni stralcio. In conclusione Sarebbe bello che il Ministero si facesse promotore di una consultazione corale di tutti gli attori del sistema, come ha fatto recentemente il Ministro della Giustizia francese, che ha organizzato, nel mese di gennaio, un dibattito su La Justice du 21e siècle, nell’ambito del processo di discussione e di elaborazione della riforma giudiziaria. Questa consultazione potrebbe costituire la base per dare il via agli interventi sopra descritti e, altresì, per cominciare ad affrontare il problema più generale della verifica di compatibilità dell’assetto attuale del sistema con il contesto economico e sociale nazionale e quello sovranazionale, con un discorso più ampio, che potrebbe coinvolgere tematiche quali la modulazione ed il perimetro delle giurisdizioni e, perché no, la conformazione di un’unica giurisdizione. L’importante è mettersi in moto e subito. ■
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