Giustizia civile: si riuscirà ad invertire la tendenza?

LA PREVIDENZA FORENSE
AVVOCATURA
Giustizia civile: si riuscirà
ad invertire la tendenza?
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di Andrea Pasqualin
Premessa
Sono sempre più frequenti, nei convegni, sulle riviste,
nelle liste telematiche di discussione, gli interventi
propositivi di linee operative di intervento volte a
cominciare a porre rimedio alla sconfortante situazione
della giustizia civile.
Vale la pena di provare a riflettere sulle possibili vie
d’uscita da questa difficile emergenza.
Una premessa però deve essere chiara: la situazione
è talmente deteriorata che occorre lavorare su un
orizzonte temporale non immediato, essendo cioè
consapevoli del fatto che ad un accettabile grado di
normalizzazione del funzionamento del sistema si
potrà arrivare solo con programmi di medio termine.
E qui sta probabilmente la prima difficoltà, dal momento
che l’esperienza insegna come, in particolare in questi
ultimi tempi, la politica non sia particolarmente
incline ad accogliere e fare proprie progettualità che
non consentano di essere tradotte in lanci mediatici di
richiamo, che per essere tali richiedono la spendita di
promesse di risultato immediato.
Ciò non toglie che innanzi tutto da chi opera nel mondo
della giustizia debbano venire proposte di ricalibratura
e di ricomposizione del sistema.
Le ADR
Come è noto il problema è fondamentalmente
rappresentato dall’inadeguatezza della capacità di
risposta del sistema alla domanda di giustizia.
Per affrontarlo occorre dunque incidere sull’accesso
alla giurisdizione, creando delle (serie ed appetibili)
alternative ad essa, ovvero sulla produttività del sistema,
migliorandola, oppure utilizzare entrambe le leve.
Il Legislatore finora si è mosso prevalentemente nella
prima direzione, ma non con il fine di aumentare il
ventaglio delle scelte per l’utente che avanzi una
domanda di giustizia (così creando le condizioni per
un alleggerimento della pressione sulla giurisdizione),
ma con l’obiettivo non condivisibile di comprimere
l’accesso alla giurisdizione, penalizzandolo con
ingiustificati aumenti di costi e con l’introduzione di
filtri e di sanzioni di vario genere.
Nel catalogo di queste “cattive” iniziative si iscrive a
buon diritto anche l’obbligatorietà della mediazione,
che pur rilevantemente mitigata dalla riforma del 2013,
ne snatura la funzione, degradandola dal rango di
alternativa alla (ma non esclusiva della) giurisdizione, a
quello di mero strumento deflattivo.
Posto che la scelta di contenere il ricorso alla
giurisdizione con misure deflattive o punitive non è
accettabile, essendo, quello dell’assicurare la giustizia,
uno dei primi doveri di un Paese civile, occorre
concentrare gli sforzi nella direzione indicata da più
voci e fatta propria dal Congresso Nazionale Forense
di Bari del 2012, quella della creazione di tavoli
diversi dalla giurisdizione, sui quali si possano, con le
irrinunciabili garanzie, dirimere o decidere i conflitti.
Il Consiglio Nazionale Forense punta molto sulle
camere arbitrali forensi – di cui all’art. 29, c. 1, lett.
n), l. n. 247/2012 –, quali istituzioni con la funzione
di amministrare arbitrati, anche relativi a vertenze
pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria e trasferite
in sede arbitrale in base a norma ad hoc, e di gestire
organismi di mediazione.
Così come crede molto alla negoziazione assistita,
accordo mediante il quale le parti in conflitto, prima
di adire il giudice o l’arbitro, convengono di trattare
la definizione amichevole del conflitto con l’assistenza
dei propri avvocati, con la possibilità che l’accordo
che avesse ad essere raggiunto assuma, previa
omologazione giudiziaria, la qualità di titolo esecutivo
e per la trascrizione.
Questi istituti sono oggetto della proposta di legge
Venittelli e altri, presentata alla Camera l’1 agosto del
2013.
Naturalmente il sistema delle camere arbitrali
dell’Avvocatura andrà costruito con impegno e
responsabilità, dal momento che dovrà garantire
qualità professionale e deontologica e costi ragionevoli.
Così come occorre che l’Avvocatura, specie in un tempo
in cui i costi e l’inefficienza del processo rendono
sempre meno appetibile il ricorso ad esso, volga
lo sguardo con maggiore attenzione a tutto ciò che
avviene fuori e prima della giurisdizione ed al valore
aggiunto che istituti quale la negoziazione assistita, e
più in generale la mediazione facoltativa (assicurata da
GENNAIO–APRILE
AVVOCATURA
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mediatori avvocati capaci), possono portare i termini
di rapidità e di efficienza nella definizione dei conflitti,
con benefici per tutti.
Si può dunque fare molto nella direzione della
creazione di meccanismi alternativi di risoluzione delle
controversie, idonei ad integrare, in modo credibile
ed affidabile, l’offerta di giustizia rappresentata dalla
giurisdizione.
Occorre però crederci ed investire in divulgazione e
formazione.
La giurisdizione
Quanto a quest’ultima, occorre innanzi tutto che
si desista dalla riforma permanente delle norme
processuali.
Tale modo di procedere, infatti, non solo è improduttivo
di benefici, come unanimemente riconosciuto e
confermato da una ventennale esperienza, ma è
foriero di gravi inconvenienti, rappresentati dalla
disagevole gestibilità di un sistema stratificato, che
spesso costringe alla ricerca della norma applicabile
ratione temporis, e dalla continua modificazione della
giurisprudenza, costretta ad inseguire le evoluzioni
del legislatore, con la conseguenza di una maggiore
difficoltà del suo consolidamento e della persistenza
di incertezze interpretative ed applicative, destinate a
favorire la conflittualità ed a sottrarre tempo ed energie
alla soluzione dei problemi che interessano a chi
domanda giustizia, per dedicarle a quello che dovrebbe
essere lo strumento per assicurare questa giustizia.
Né appare condivisibile la prospettazione di intervenire
sul rito del giudizio ordinario (ad esempio adottando
quello del lavoro), dal momento che esso si presenta
già sufficientemente flessibile e concentrato (non sono
certo le tre memorie del sesto comma dell’art. 183
c.p.c. a sconvolgerne i tempi, anche se va riconosciuto
che occorrerebbe farne un uso più morigerato), con
la variabile del sommario (che però appare riscuotere
scarso successo, come del resto era prevedibile,
attesa l’eccessiva latitudine dei poteri ufficiosi) e con
l’utilissima potenziale “scorciatoia” dell’art. 696 bis.
Al più si potrebbe, anche valorizzando il recente lavoro
svolto dalla Commissione Vaccarella, mettere mano, in
tempi ragionevolmente brevi, ad una condivisa opera
di mera manutenzione del codice di procedura civile
(senza cioè incidere ulteriormente sui delicati equilibri
in tema di poteri del giudice e di spazi difensivi delle
parti), volta e rendere più agevole ed efficiente il
funzionamento del processo.
Sempre in tema di norme processuali occorre invece
intervenire sull’esecuzione, che oggettivamente
non funziona o funziona male, ripensandola senza
pregiudizi, ma in modo organico e sulla base di un
consultazione di tutti i (molti) soggetti interessati e
coinvolti.
Ma al di là delle norme vi è un problema di risorse:
di quelle che ci sono (e sono rilevanti) e delle quali è
doverosa la razionalizzazione e la migliore utilizzazione,
ma anche di quelle che non ci sono e che vanno reperite,
altrimenti, in una situazione di grave deperimento del
sistema, parlare di recupero di efficienza rischia di
restare un discorso puramente virtuale.
Le leve sulle quali occorre agire sono molteplici.
Vi è la non più differibile necessità di interventi
di assunzione e di riqualificazione del personale
amministrativo. Lo stato delle cancellerie è noto ed è
sotto gli occhi di tutti e non bastano gli interventi a
supporto degli ordini e delle associazioni forensi.
Ognuno comprende come la migliore produttività
del personale di magistratura resta inutile se non è
supportata da una corrispondente efficienza della
macchina amministrativa (un esempio per tutti:
a che serve che il giudice depositi la minuta della
propria decisione nei termini se poi la pubblicazione
viene differita di mesi a causa delle difficoltà della
cancelleria?).
L’organico dei giudici va completato ed adeguato; va
finalmente realizzata una struttura di supporto alla
loro attività, che nelle sperimentazioni fatte, in Italia ed
all’estero, ha dato buoni frutti.
Deve essere migliorato il governo degli uffici da parte
dei dirigenti: sono noti esempi virtuosi che non si
vede perché non possano essere replicati, dati gli ampi
margini di sotto utilizzazione o di cattiva utilizzazione
delle risorse.
Va quanto prima portato a regime il processo telematico;
già è apparsa incongrua la scelta di dare corso ad una
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Il diritto e il processo civile
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discutibile riforma della geografia giudiziaria senza il
contestuale supporto del processo telematico, in fase di
difficoltoso e lento avanzamento.
Altra leva importante è rappresentata dalla magistratura
onoraria, le cui regole vanno però quanto prima
riscritte. Non solo al fine di garantirne la necessaria
qualità, ma anche per definirne ruolo e funzioni.
Al riguardo non appare da condividere un utilizzo
dei magistrati onorari nelle strutture di affiancamento
dei togati, come da alcuni si sostiene, sembrando
maggiormente appropriato, ad esempio, che,
all’imprescindibile condizione della loro effettiva
qualificazione, ad essi venga riservato un unico circuito
giurisdizionale in materie (e per valori) determinati.
Vi è ancora il governo dei numeri, che deve essere
trasparente e condiviso.
Come è possibile infatti concepire ed impostare un serio
progetto di restauro del sistema se non muovendo da
dati certi, conoscibili ed adeguatamente disaggregati?
Dati che dovrebbero finalmente riguardare anche la
misura del contributo unificato e le modalità del suo
utilizzo.
E qui si torna al problema delle risorse.
Di questi tempi non ve ne sono, si dice, ma sarebbe
davvero interessante verificare se ed in che misura il
sistema – o quanto meno il necessario intervento di
emergenza – sia in grado di autofinanziarsi.
Tutto ciò va, lo si ripete, nella prospettiva di un
recupero di efficienza da realizzarsi in tempi non certo
immediati, ma che potrebbero essere ragionevolmente
accettabili qualora vi si mettesse sollecitamente mano.
Vi è poi il problema dell’arretrato, per affrontare il quale
alle misure sopra ricordate occorre affiancare un sforzo
eccezionale, che, se attuato, potrebbe ricreare in pochi
anni le condizioni per un normale funzionamento del
sistema.
Rilevato come il piccolo palliativo dei giudici
aggregati di cui al d.l. n. 69/2013 non risulti ancora
attuato, per pensare ad un intervento emergenziale di
portata davvero efficace non pare potersi prescindere
dall’intervento dell’Avvocatura, da attuarsi però con
criteri che non replichino la sfortunata esperienza delle
sezioni stralcio.
In conclusione
Sarebbe bello che il Ministero si facesse promotore di
una consultazione corale di tutti gli attori del sistema,
come ha fatto recentemente il Ministro della Giustizia
francese, che ha organizzato, nel mese di gennaio,
un dibattito su La Justice du 21e siècle, nell’ambito del
processo di discussione e di elaborazione della riforma
giudiziaria.
Questa consultazione potrebbe costituire la base per
dare il via agli interventi sopra descritti e, altresì, per
cominciare ad affrontare il problema più generale
della verifica di compatibilità dell’assetto attuale del
sistema con il contesto economico e sociale nazionale e
quello sovranazionale, con un discorso più ampio, che
potrebbe coinvolgere tematiche quali la modulazione
ed il perimetro delle giurisdizioni e, perché no, la
conformazione di un’unica giurisdizione.
L’importante è mettersi in moto e subito. ■