Come anticipato in altri interventi, la vicinanza e il sostegno alla

Come anticipato in altri interventi, la vicinanza e il sostegno alla resistenza del popolo palestinese
sono parte integrante della nostra identità politica. A riguardo vi proponiamo, in questa sezione,
questa intervista a Fawzi Ismail, dell’Associazione Sardegna-Palestina.
1 Parlaci della tua storia di palestinese, della tua militanza e del tuo impegno politico?
Come molti altri palestinesi della mia generazione sono stato costretto a lasciare “casa mia”,
cacciato via con la forza delle armi, verso la Giordania, insieme alla mia famiglia, in seguito
all’occupazione da parte dell’esercito israeliano del resto della Palestina, nella cosiddetta guerra
dei sei giorni nel giugno del 1967, e dopo la totale distruzione del villaggio dove sono nato,
cancellato completamente dalla faccia della terra, (ora c’è un parco “Parco Canada” perché fu
finanziato dal governo canadese) ennesimo capitolo della pulizia etnica in Palestina iniziata nel
periodo 1947-1949 con l’aggressione delle bande terroristiche sioniste contro la popolazione
palestinese a mezzo di massacri e distruzione, che provocò la seconda ondata di profughi dopo Al
“Nakba” del 1948.
Attraversato il ponte sul Giordano, dopo un breve viaggio a bordo di un camion, in Giordania
siamo diventati subito profughi che hanno perso tutti i loro averi e con la terra e la Patria anche la
nostra dignità, siamo diventati solo dei numeri nei registri dell’UNRWA1 sistemati in una delle
tante tende in uno dei tanti campi di fortuna allestiti dalle Nazioni unite e affollati di profughi
palestinesi.
La vita del campo era molto umiliante, disumana, e questo si leggeva benissimo sulle facce degli
adulti, uomini e donne, che non riuscivano a spiegarsi, e soprattutto non avevano risposte alle
domande dei loro bambini, quando torniamo a casa?, dove è mio fratello, e mia sorella?, che fine
ha fatto mio nonno?, e dopo, “ho fame”, e bisognava aspettare i volontari che distribuivano i pasti,
1
L’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) è stata fondata per iniziativa dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 302 (IV) dell’8 dicembre 1949.– ndr
sempre pane e scatole di sardine, per avere un goccio d’acqua poi bisognava percorrere più di 300
metri per arrivare al centro del campo, dove c’erano i camion cisterna, e mettersi in fila sotto il
sole cocente del deserto, aspettando il tuo turno per avere un bicchiere d’acqua calda, e lo stesso si
faceva per i servizi igienici che erano comuni.
Alcuni anni trascorrono con tanta sofferenza nel campo profughi, qualche spiraglio di speranza si
alimentava quando, insieme ai miei amici ascoltavamo con molta attenzione ed ammirazione i
racconti sui Fedaein le loro imprese eroiche contro le forze sioniste occupanti la nostra terra. Un
giorno a scuola, esattamente nel luglio del 1972, sentii i ragazzi più grandi ed i nostri professori
che parlavano, con la tristezza sui volti, della morte di una persona che si chiamava Ghassan
Kanafani, era la prima volta che sentivo quel nome, e non sapevo chi era o cosa facesse, ma ho
percepito che era molto importante (fu fatto saltare in aria con la sua macchina, insieme alla
nipote di 8 anni, dal Mossad l’8 luglio del 1972 a Beirut), alcuni anni dopo, a casa di una amico
trovai sul tavolo del soggiorno un libro di Ghassan Kanafani, subito mi tornò in mente il giorno
della sua morte assieme alle facce tristi dei professori, si trattava del suo racconto “Uomini sotto
il sole”, con molta curiosità e voglia di conoscere ho iniziato a leggere, un libro molto bello, non
ero ancora in grado di comprendere il vero messaggio, ma sicuramente quello fu l’inizio della
maturazione della mia coscienza politica, poiché mi ha dato modo di capire cosa realmente era
successo nella “Nakba”, la tragedia del popolo palestinese che dal 1948 dura tutt'ora. Per questo
credo che sia un obbligo morale e politico impegnarsi e lottare contro tutte le ingiustizie.
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Da quanto tempo sei fuori dal territorio di Palestina?
Ho lasciato la Palestina a sei anni, nel 1967, da allora sono diventato uno di quei sei milioni di
persone profughi che in seguito alla Nakba del 1948 e alla guerra dei sei giorni del 1967 non
possono ritornare nelle loro case.
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La solidarietà col popolo palestinese qui in Sardegna esiste e come puoi descriverla?
Certamente il popolo sardo è orgoglioso, ospitale e generoso, e sicuramente solidale. La Sardegna
da subito ha accolto me, e molti altri arrivati tanti anni fa per studiare, benissimo dimostrando
anche la sua solidarietà con la resistenza del popolo palestinese non solo a parole ma anche nei
fatti, con aiuti concreti ai bambini e alle donne tramite progetti realizzati nei territori palestinesi
occupati, “Cis-Giordania e striscia di Gaza”, e la campagna di sostegno a distanza dei bambini
palestinesi, ”Handala Va a Scuola”, portata avanti dall’Associazione di Amicizia SardegnaPalestina. Colgo l’occasione per ringraziare tutti i compagni e gli amici che hanno manifestato e
denunciato il genocidio criminale contro la popolazione di Gaza verificatosi nel luglio-agosto
scorsi, anche con sottoscrizioni pecuniarie a favore della popolazione gazaui, e per la netta
posizione presa contro le esercitazioni militari nei poligoni sardi, che prevedono anche la presenza
delle forze israeliane, con una massiccia mobilitazione solidale in moltissimi centri della Sardegna.
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Credi ci siano similitudini tra la situazione coloniale della Palestina e quella della
Sardegna contemporanea intesa come “colonia” dagli indipendentisti?
Il diritto all’auto-determinazione è un diritto inalienabile di tutti i popoli, compreso il popolo
sardo, e non si può non essere d’accordo sul fatto che tale diritto sia condizione per la piena
sovranità dei cittadini, ma paragonare la situazione della Sardegna alla colonizzazione della
Palestina mi sembra azzardato in quanto quello che hanno subito e subiscono i palestinesi da circa
cento anni forse non ha eguale nella Storia.
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Quanti siete i palestinesi qui in Sardegna?
Attualmente forse siamo una cinquantina, arrivati in Sardegna negli anni 0ttanta per studiare come
ho già detto la buona accoglienza che i sardi ci hanno riservato hanno determinato la decisione,
una volta finiti gli studi di stabilizzarci qui, perciò per noi è diventata la nostra seconda patria
nella speranza di poter un giorno tornare in quella che siamo stati costretti a lasciare, se non noi
almeno i nostri figli.
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Parlaci della resistenza in Palestina, delle diverse formazioni e del tuo punto di vista.
È un dovere e diritto dei popoli resistere all’aggressione coloniale e il popolo palestinese non fa
eccezione, con la sua resistenza lotta contro un progetto sionista che mira a sradicare tutti i
palestinesi dalle loro terre e cancellare la loro storia e cultura, realizzando una pulizia etnica allo
scopo di insediare altre persone, che confluiscono da diverse parti del mondo, accomunate solo
dall’appartenenza religiosa, per dare man forte al colonialismo imperialista che controlla e
reprime i popoli arabi e saccheggia le loro risorse. Quindi siamo davanti ad un nemico molto
potente rappresentato non solo dallo “stato d’Israele” ma anche dal sionismo mondiale,
dall’imperialismo internazionale americano ed europeo, e anche dalle forze reazionarie arabe,
rappresentate dalle petro-monarchie del golfo. In questo scenario la resistenza del popolo
palestinese è un movimento di liberazione nazionale che, insieme ai movimenti di resistenza dei
popoli arabi e alle forze progressiste e rivoluzionarie di tutti i popoli del mondo che lottano per la
giustizia e la pace, ha l’obiettivo di contrastare l’offensiva imperialista, liberare dall’occupazione
il popolo palestinese e costruire una società libera e democratica basata sulla giustizia sociale per
tutti suoi cittadini, contro ogni tipo di discriminazione e sfruttamento.
La resistenza palestinese è costituita da diverse formazioni politiche, per semplificazione posso
dire che oggi ci sono tre correnti di pensiero, il primo nazionale-patriottico, borghese, che ha
firmato l’accordo di Oslo con l’occupante israeliano, rappresentato da al Fatah che guida l’ANP.
Da più di 20 anni percorre quasi esclusivamente la via diplomatica con infinite trattative che non
approdano a nessun risultato concreto mentre Israele continua nella sua politica di aggressione e
nella costruzione di nuovi insediamenti col conseguente aumento del numero dei coloni nei territori
occupati. La seconda corrente è quella islamica, venuta alla ribalta agli inizi degli anni novanta,
rappresentata da Hamas che porta avanti un progetto politico e socio-economico intrecciato con la
politica della fratellanza musulmana, che non soddisfa le rivendicazioni del popolo palestinese e
che ora si trova in seria difficoltà politica specialmente dopo il ridimensionamento del ruolo dei
fratelli musulmani in Egitto. Negli ultimi anni la divisione tra Fatah e Hamas ha segnato
negativamente la lotta del popolo palestinese, entrambe hanno dimostrato noncuranza degli
interessi comuni dei palestinesi e la mancanza del rispetto delle istituzione palestinesi di contro
alla loro faziosità nel difendere gli interessi di parte incuranti dei molteplici appelli all’unità da
parte delle forze politiche di sinistra e della popolazione palestinese. Ora dopo il chiaro fallimento
delle politiche di entrambi ci sono timidi tentativi di avvicinamento, non perché abbiano cambiato
politica ma per necessità e convenienza anche per la crescente insofferenza dei palestinesi verso le
loro politiche. La terza corrente è la sinistra palestinese, rappresentata dal Fronte popolare per la
Liberazione della Palestina, FPLP, che crede nella dialettica della lotta di liberazione e considera
la lotta del popolo palestinese parte integrante della lotta delle forze progressiste delle masse
arabe e internazionaliste contro lo sfruttamento. Crede nei valori universali della libertà
individuale e collettiva, nella emancipazione delle masse popolari e della donna, nella eguaglianza
e giustizia sociale. Le forze della sinistra palestinese portano avanti un programma politico
condiviso dalla grande maggioranza dei palestinesi, è il programma dell’Organizzazione per la
liberazione della Palestina, OLP,che prevede la realizzazione del diritto al ritorno dei profughi
palestinesi alle terre e case da dove sono stati cacciati nella NAKBA, il diritto all’auto
determinazione e alla creazione di uno stato palestinese laico, democratico e sovrano. Attualmente
le proposte politiche e socio-economiche della sinistra trovano consenso nonostante le enormi
difficoltà che incontrano le idee progressiste, se la sinistra saprà proporsi nel modo giusto ai
palestinesi, considerate le difficoltà politiche di al Fatah e Hamas, credo che avrà un sicuro
successo di popolarità.
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Credi che il “conflitto” in Palestina sia “solo” a causa del sionismo oppure pensi che
vada oltre i confini della terra di Palestina?
Il progetto sionista è un progetto coloniale che nasce in Europa e sposa l’interesse comune tra
colonialismo Europeo e movimento sionista. Il primo cerca di conservare e difendere i suoi
interessi nel mondo arabo, e ha quindi bisogno di modificare e ridisegnare l’asse geopolitico dopo
la prima guerra mondiale creando nuove petro-monarchie controllate in previsione della scoperta
di enormi quantità di giacimenti di petrolio, materia vitale per l’economia dei paesi capitalisti. La
posizione geografica della Palestina, che garantisce il controllo delle vie di comunicazione
marittime, e la necessità di esercitare un controllo sulla regione, favorisce l’alleanza con il
movimento sionista, a sfondo razzista fondato dalla borghesia ebraica in Europa sulla scia del
nazionalismo europeo, che aspirava a rappresentare le masse ebraiche in tutto il mondo.
Tale obiettivo necessitava di una stato “nazionale indipendente”, le due parti si incontrano nell’
interesse comune della realizzazione dello stato sionista a discapito della popolazione arabo palestinese con l’obiettivo della destabilizzazione permanente della regione nell’ottica del divide et
impera. Evidente dimostrazione di ciò sono gli avvenimenti di questi giorni, continuazione di un
secolo di politica coloniale nel vicino oriente che ancora sottolineano l’alleanza tra “stato
sionista”, colonialismo occidentale e petro-monarchie arabe.
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Cosa ne pensi del cosiddetto IS e della sua strategia mediatica, credi che in qualche
modo possa, come dire, “contagiare” i territori occupati e Gaza in particolare? Esiste un
problema di “estremismo islamico” in Palestina e se esiste di che portata credi che sia?
Il cosiddetto ISIS è una formazione di mercenari terroristi che non ha niente che vedere con
l’Islam. Incoraggiato, armato e finanziato dagli USA e dai suoi alleati israeliani, arabi ed europei
per continuare a destabilizzare e frammentare l’Iraq e la Siria, in un’ottica imperialista
colonialista che segue una logica ben precisa, creare piccoli stati omogenei dal punto di vista
etnico e religioso alfine di favorire il controllo politico-economico da parte dell’unica futura
superpotenza religiosa regionale lo “ Stato ebraico”. Riguardo poi alla seconda parte della
domanda, il conflitto Arabo israeliano è un conflitto politico tra israeliani che occupano la
Palestina ed altre terre arabe, siriane e libanesi, e palestinesi che rivendicano il diritto a liberare
la loro patria-Palestina. In Palestina non ci sono estremisti islamici, ci sono resistenti palestinesi
che rivendicano dei diritti politici e civili, ma le politiche aggressive dell’esercito d’occupazione e
gli attacchi sempre più frequenti dei coloni sionisti contro i luoghi di culto dell’ Islam, ma anche
cristiani, in particolar modo a Gerusalemme, sono un tentativo vecchio e nuovo per trasformare il
conflitto da politico a religioso.
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Come mai la Palestina è rimasta “sola” nel contesto arabo e non c’è stata una reazione
netta dopo l’ultima escalation di violenza sionista?
Il progetto coloniale-sionista è alleato anche con le forze reazionarie del mondo arabo, in cambio
della protezione dovrebbero garantire gli interessi coloniali nel vicino oriente, in particolare la
sicurezza di Israele, reprimendo le masse arabe e ostacolando la loro emancipazione,
neutralizzando così il naturale alleato del movimento di liberazione palestinese.
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Credi che l’ideologia sionista possa espandersi oltre i territori occupati e credi che
appartenga in qualche modo alla logica imperialista del nuovo Ordine Mondiale del Capitale?
L’ideologia sionista sin dalla sua nascita si è diffusa in diverse parti del mondo, il sionismo è un
movimento mondiale infiltrato in molti settori strategici, militari, finanziari,politici, culturali e nei
mass-media, in vari paesi. Sionisti non sono solo gli ebrei israeliani, il sionismo israeliano
politicamente ha già invaso diversi paesi arabi ma è soprattutto economicamente che agisce
tramite le multinazionali. In questa prospettiva si può dire che Israele è una parte integrante del
nuovo ordine mondiale capitalista.
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L’Fplp e gli altri gruppi della sinistra che hanno attuato l’eroica resistenza durante
l’operazione “margine protettivo” pensi che abbiano incrementato il loro consenso e la loro
popolarità in seno ai palestinesi?
Certamente dopo una fase storica che ha visto la crisi della sinistra mondiale anche la sinistra
palestinese ha sentito la crisi, in particolar modo dopo gli accordi di Oslo che hanno rappresentato
un duro colpo all’unità politica palestinese. Ora che è più evidente il fallimento degli accordi di
Oslo, e di conseguenza del progetto politico dell’ANP, e le divisioni tra Fatah e Hamas
aumentano, molti palestinesi si riconoscono nel progetto di resistenza politico-culturale della
sinistra, un progetto di libertà e giustizia sociale, assistiamo alla crescita del ruolo
dell’organizzazione maggioritaria della sinistra palestinese il Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina, FPLP.
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In che condizioni è ora l’ANP, dopo decenni di scandali su corruzione e malaffare e con
le posizioni ambigue di Abu Mazen e come ha gestito a Gaza la situazione durante l’ultimo
attacco sionista.
L’ANP è stata costituita in seguito agli accordi di Oslo del 1993. Per molti palestinesi gli accordi
di Oslo hanno rappresentato un duro colpo alla lotta di liberazione perché siglati in condizione di
rapporti di forza sbilanciati a favore dell’occupante e è mancata la valorizzazione degli elementi di
forza a favore dei palestinesi.
Dopo gli accordi, con il tempo, si è creata nei territori palestinesi occupati una classe
imprenditoriale e politica palestinese che ha intrecciato interessi economici con l’economia
dell’occupazione ciò spiega le infinite trattative inconcludenti con l’illusione, che piace molto ai
governi occidentali, che il “processo di pace va avanti”, mentre in realtà gli accordi di Oslo non
sono altro che una manovra molto abile per la riorganizzazione dell’ occupazione militare, in base
ai quali viene concessa l’amministrazione dei cittadini palestinesi all’ANP, mentre l’occupazione
mantiene il controllo capillare sul territorio che continua ad essere colonizzato. Ciò condiziona
negativamente tutti gli aspetti della vita dei palestinesi, resa ancora più difficile e precaria dal fatto
che in base agli accordi, per la prima volta nella storia, si stabilisce che l’occupato garantisca la
sicurezza dell’occupante in base al protocollo “collaborazione di sicurezza”.
Oggi l’ANP e suoi apparati godono di pochissimo consenso, è imprigionata dagli accordi di Oslo,
che le lascia poco spazio di manovra, questo spiega l’ambiguità delle sue scelte politiche come
dimostra l’atteggiamento di Abu Mazen.
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I prigionieri palestinesi, gli arabi cittadini d’Israele e i palestinesi dei campi in Libano
in qualche modo hanno potuto dar sostegno alla resistenza?
Il movimento dei prigionieri politici palestinesi è sempre in prima linea nella lotta contro
l’occupazione militare sionista della Palestina. I prigionieri sono quadri politici militanti nelle
diverse forze politiche palestinesi e cittadini comuni che continuano la loro lotta nella detenzione in
diverse forme, dalla disubbidienza allo sciopero della fame in sostegno della lotta del loro popolo e
per migliorare la loro condizione di detenuti. Anche i palestinesi chiamati “cittadini israeliani”
sono una parte integrante del popolo palestinese e della sua lotta, hanno resistito alla pulizia
etnica della Palestina nel 1948, conservano la tradizione e la cultura arabo-palestinese, che
difendono partecipando alla resistenza con diverse forme di lotta che spesso sono state represse nel
sangue, come capitato nel 1976 durante la giornata della terra e nella prima e seconda intifada.
Ultimamente, durante l’ultima aggressione a Gaza, non hanno fatto mancare il loro sostegno alla
popolazione martoriata.
I palestinesi dei campi profughi in generale, non solo quelli del Libano, hanno dato e continuano a
dare il maggiore contributo alla lotta di liberazione, basti pensare che la resistenza armata è nata
negli anni sessanta nei campi profughi di Libano, Giordania e Gaza. Il campo profughi, nell’
immaginario collettivo palestinese è la rappresentazione materiale della Nakba, la tragedia della
Palestina, ma anche il luogo della dignità e della rinascita, come “l’araba fenice”. La questione
dei profughi è la “questione” della Palestina poiché senza la realizzazione del diritto al ritorno
verranno a mancare le condizioni per una pace duratura.
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Chi pensi pagherà la ricostruzione di Gaza e chi credi ne troverà beneficio?
Chi trae beneficio dalle “macerie” è senza dubbio Israele, perché tutto il denaro della
ricostruzione transiterà nelle banche israeliane e sarà Israele a gestire il movimento del materiale
che servirà per rimettere in piedi le macerie! Purtroppo, l’esperienza del passato recente ci
insegna che i palestinesi dovrebbero ricostruire con i loro sacrifici, con mezzi propri ed il sostegno
che viene dagli aiuti della solidarietà popolare internazionale, questo perché dopo i tanti annunci,
propaganda e promesse di somme di danaro da parte di diversi paesi arabi ed europei, destinate
alla ricostruzione di Gaza dopo il massacro e la distruzione causati dall’aggressione chiamata
“Piombo Fuso”, nell’inverno 2008-2009, in buona parte non sono state mantenute. Proprio nei
giorni scorsi, al Cairo si è tenuta una conferenza internazionale per i donatori per la ricostruzione
di Gaza, indetta dall’Egitto e dalla Norvegia, che ha visto la partecipazione di 50 paesi, (Israele
con arroganza ha fatto richiesta all’Egitto di partecipare, ma non è stata accolta), nell’occasione,
a parole, è stata annunciata la disponibilità di più di 4 miliardi di dollari, peccato che molti paesi
donatori, o meglio intenzionati a donare, abbiano preteso dei vincoli politici che condizionerebbero
le scelte politiche dei palestinesi nell’immediato futuro.
La gente di Gaza attende con molta rabbia e poca fiducia, per loro la vera ricostruzione è la fine
dell’occupazione una volta per sempre.
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Credi nell’”ipotesi” due popoli due stati?
Personalmente non credo in questa formula. Questa ipotesi forse poteva essere praticata 30 o 40
anni fa e bastava che la comunità internazionale, l’ONU, avesse fatto rispettare le risoluzioni del
Consiglio di sicurezza che obbligano Israele a ritirarsi dai territori occupati nella guerra del
giugno del 1967. Oggi è una proposta che viene fatta per pura demagogia, per diversi motivi, il
primo è insito nella natura stessa del sionismo, una ideologia coloniale espansionistica che non
riconosce i diritti politici e nazionali dei palestinesi. Secondo punto, Israele, nonostante più di venti
anni di trattative nel cosiddetto “processo di pace” continua a ribadire con forza i suoi famosi 5
no: no al ritiro da Gerusalemme, no al ritiro dalla valle del Giordano, no allo smantellamento delle
colonie, non al ritorno dei profughi e no ad un Stato palestinese sovrano. Terzo, non esiste nessuna
seria volontà né delle Nazioni Unite, né della cosiddetta comunità internazionale ad esercitare il
minimo sforzo per obbligare Israele primo a non colonizzare, poi a ritirarsi dai territori occupati,
dove dovrebbe nascere lo Stato palestinese e infine a rispettare le risoluzioni ma, al contrario,
viene sostenuta nella sua politica coloniale ecco, in queste condizioni vedo irrealizzabile tale
ipotesi. Invece credo fermamente nella soluzione dello stato unico, proposto dall’OLP nel 1964, un
stato democratico dove possono vivere tutti suoi cittadini a prescindere dal colore o dalla religione,
dove possono vivere musulmani, cristiani, ebrei, atei, buddisti e quanto altro, in libertà e
eguaglianza, tutto questo sarà possibile dopo la sconfitta dell’ideologia razzista del sionismo e la
liberazione, non solo degli arabi palestinesi, ma soprattutto la liberazione degli ebrei dal sionismo.
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Come la vedi la Palestina di “domani”?
Come sopra, vedo la liberazione della Palestina dal sionismo come un passo necessario e
imprescindibile per la convivenza e cooperazione tra tutti i popoli della regione, in pace, libertà e,
soprattutto, eguaglianza e giustizia sociale.