Convegno Annuale AIS – ELO Università di Milano Bicocca, 11-12 settembre 2014 Sezione Istituzioni e Sviluppo Autore: Marco Di Giulio Dipartimento di scienze politiche e sociali Università degli Studi di Bologna [email protected] La governance del settore ferroviario in Europa. Istituzioni, performance, processi. 1. Introduzione Da oltre vent'anni il settore ferroviario Europeo è in continua trasformazione, a seguito di riforme istituzionali che ne hanno ridefinito la governance. L'introduzione della separazione fra infrastruttura e servizi di trasporto costituisce la pietra angolare su cui i policy makers comunitari hanno basato le prospettive di crescita del settore. Maggiore efficienza gestionale ed efficacia, intesa in relazione alla sostenibilità ambientale e al decongestionamento delle arterie stradali, sono i principali obiettivi definiti in sede comunitaria e accettati nel dibattito pubblico in pressoché tutti i paesi. Le istituzioni comunitarie, tuttavia, hanno lasciato ampi poteri discrezionali agli stati membri su temi cruciali riguardanti l'implementazione di queste politiche. Nei due decenni dall’avvio dei processi di riforma, gli stati hanno potuto ridisegnare le istituzioni del settore ferroviario con grande autonomia. Per questa ragione, il presente contributo prende in esame il cambiamento istituzionale avvenuto in quattro grandi paesi dell'Europa occidentale quali Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia1. Diversamente dai paesi dell’area orientale dell’Unione, quelli presi in considerazione hanno già sperimentato largamente gli effetti dell'espansione del trasporto privato e le esternalità negative che esso ha prodotto in termini di sostenibilità ambientale e urbana. Per questo, i rispettivi dibattiti pubblici in tema di trasporti risultano essere in linea con quelle le aspettative di Bruxelles. Più persone e merci su rotaia è lo slogan che da anni viene ripetuto da esperti, associazioni ambientaliste e di pendolari, nonché dalla classe politica. Come si vedrà, però, i risultati non sono sempre positivi. Se i servizi ad alta velocità – là dove introdotti – sono riusciti in molti casi a rilanciare la competitività dei sistemi ferroviari rispetto ad altre modalità di trasporto, per quanto riguarda i servizi di prossimità e quelli merci i risultati sono meno evidenti e in alcuni casi in netta controtendenza, come appare evidente se si guarda alle politiche per il trasporto merci in Francia e Spagna, mentre il caso italiano mostra segni, seppur limitati, di rilancio. Il La scelta di escludere i paesi facenti parte dell'area di influenza sovietica è dovuta ad una policy legacy profondamente diversa, che ha storicamente favorito la modalità ferroviaria, senza però investire sulla sua componente tecnologica (qualità della rete, dei rotabili, scarsa elettrificazione). Con l'indipendenza, i paesi orientali hanno optato per politiche dei trasporti fortemente orientate ad investire sulla modalità stradale, venendo incontro alla crescente motorizzazione privata ed incentivati dalla possibilità di estrarre risorse fiscali da questo comparto. 1 1 trasporto pubblico locale ha invece fatto segnare dei notevoli successi nel Regno Unito ed in Germania, con un considerevole aumento di utenti; il contrario sembra avvenire in Italia e Spagna. La presenza di performance di efficacia divergenti fra paesi sottoposti a sfide simili porta dunque ad indagare più in profondità le scelte istituzionali operate nei singoli contesti nazionali e la loro evoluzione nel tempo. In particolare verranno analizzate le principali scelte di policy circa il mantenimento di un campione nazionale, la separazione o l'integrazione dell'infrastruttura nell'incumbent, la scelta di concedere o meno il libero accesso nel mercato interno ad aziende terze, il grado di decentramento territoriale e funzionale. La ricognizione dei vincoli formali fornisce una prima immagine di quelle che sono le ipotesi causali (Pressman e Wildavsky 1977; Majone 1980) dei policy makers alle prese con il passaggio dalla gerarchia dei monopoli pubblici ad assetti di governance che contemplano strumenti contrattuali e la costituzione di un settore con livelli di integrazione verticale inferiori. In termini organizzativi, la governance del settore ferroviario può essere interpretata come il passaggio da un sistema relativamente chiuso (Perrow 1986) a livelli crescenti di apertura. In altri termini, aumentano i punti di contingenza (Thompson 1967) con un ambiente istituzionale che da stabile si viene articolando sempre più su molteplici livelli territoriali e funzionali. Di seguito verranno introdotte le scelte operate in sede nazionale (§2) e le principali performance in termini di efficienza e di efficacia delle politiche del trasporto ferroviario (§3). Il paragrafo successivo discuterà i processi di policy che hanno preso piede nei diversi contesti nazionali, con riferimento all’evoluzione dell’ambiente regolativo, ed il rapporto fra l’apertura del mercato e le strategie dei grandi gruppi. La natura di questa dialettica fornisce la base per interpretare sia il sentiero di evoluzione istituzionale all'interno di ciascuno stato membro, sia il fallimento o il successo di specifici programmi di policy. 2. Il cambiamento nel settore ferroviario: tecnologia, organizzazione, istituzioni. Nel corso della seconda parte del XX secolo, i monopoli ferroviari europei hanno progressivamente accumulato un ritardo competitivo nei confronti del comparto stradale che ne ha segnato gravemente le performance economiche e la capacità di intercettare la domanda di servizi di trasporto merci e passeggeri. Il rilancio di questo settore è passato attraverso innumerevoli sforzi di riforma e cambiamento che sono perfettamente riassumibili dalla tripartizione dei livelli di azione organizzativa elaborata da Thompson (1967). I tentativi di riforma sono infatti partiti a livello del nucleo tecnologico ed operativo negli anni 60-70, per poi passare a quello organizzativo ed infine, con la formulazione di un disegno di policy europeo, sono sfociati pienamente sul piano istituzionale. La governance del settore è oggi l’intersezione di questi tre aspetti sia a livello comunitario che nei singoli stati (Finger et al. 2014). In questa sezione verrà descritto il processo di elaborazione di strategie di riforma che è sfociato nella costruzione del mercato unico (§2.1). Successivamente verranno discusse le principali scelte istituzionali operate nei cinque paesi oggetto di studio (§2.2). 2.1 Dalle strategie nazionali ad una strategia europea. La perdita di competitività dei monopoli ferroviari ha da subito stimolato la ricerca di possibili strategie di riforma. A partire dalla fine degli anni ’60, queste hanno riguardato in primo luogo il piano operativo, con la progettazione di servizi alta velocità, come nel caso francese (Meunier 2002) e italiano (Maggi 2007). Germania e Regno Unito hanno invece privilegiato programmi di integrazione operativa e tariffaria nelle loro principali aree metropolitane, con l’istituzione dei Verkehrsverband e dei Transport Executives, ovvero delle soluzioni organizzative volte a governare la mobilità nelle aree nevralgiche ed ovviare al nascente problema del congestionamento delle arterie stradali. Gli anni ’80 si sono caratterizzati per riforme organizzative dei monopoli ferroviari, principalmente alla ricerca di strutture decisionali più flessibili ed autonome nella gestione delle forniture, delle risorse umane 2 e delle diverse aree di business. In questo senso, sono da interpretarsi la riorganizzazione di British Railways (BR) e di Ferrovie dello Stato (FSI), mentre la Bahnreform avviata dal primo ministero Kohl nel 1982 non fu mai implementata. Per quanto spesso incisivi, i tentativi di riforma sin qui accennati erano pensati come soluzioni nazionali ai problemi di sistemi ferroviari nazionali. Tale impostazione cambiò radicalmente nei primi anni ’90, con l’introduzione della direttiva CE 440/1991. Tale norma metteva le basi per un mercato comune dei trasporti ferroviari ed introduceva una teoria causale del cambiamento di policy ben precisa, che legava il rilancio delle ferrovie, sia sul piano dell’efficacia che su quello dell’efficienza, all’introduzione di principi di libera circolazione e competizione fra diversi providers all’interno del mercato comune (CEE 1996). I punti salienti della regolazione europea hanno inciso sui seguenti aspetti: i. ii. iii. iv. v. la separazione, almeno contabile, fra gestore dell'infrastruttura e operatore del servizio nazionale; la creazione di una licenza valida su tutto il territorio dell'Unione; la progressiva liberalizzazione dei servizi di trasporto; la regolazione degli aiuti pubblici per il finanziamento di servizi pubblici a carattere universale; la fissazione di standard comuni di interoperabilità. Il requisito della separazione contabile è stato il più evidente e rilevante compromesso su cui i paesi favorevoli e contrari alla liberalizzazione sono riusciti a convergere. I primi sono così in grado di andare ben oltre tale standard, mentre per i secondi questo non presenta alcun vincolo al mantenimento di un campione nazionale integrato (Knill e Lehmkuhl 2000). La ratio della separazione contabile è implicita nel disegno, più generale, di costruzione del mercato europeo, in cui operatori pubblici e privati potranno operare senza discriminazione sulle diverse reti nazionali. All'inizio, e per tutti gli anni '90, le possibilità effettive che questo disegno si avverasse incontravano ancora forti barriere istituzionali (oltre a quelle tecnologiche, che non affronto in questa sede). La libera circolazione fu resa possibile nel 2001, ma solo per il traffico internazionale e solo per associazioni di imprese (Dir. 12/2001). Un più deciso passo in questa direzione è venuto con la Direttiva n. 58/2007, che ha liberalizzato tutto il settore merci ed estenso la disciplina della Direttiva n. 12/2001 alle singole imprese di trasporto passeggeri a partire dal 2010. Per i servizi a carattere universale, nel 2007 un regolamento (n. 1370/2007) ha riordinato la disciplina esistente dal 1969, ribadendo la necessità di una relazione contrattuale fra un ente pubblico di qualsiasi livello ed un esercente sia esso pubblico o privato. È stata confermata anche in questa occasione la possibilità di procedere all'affidamento di tali servizi senza procedure concorsuali, sebbene a certe condizioni di controllo che gli enti affidatari debbono avere nei confronti delle società di gestione. 2.2 …dal disegno europeo alle scelte nazionali. Ampi margini di discrezionalità sono rimasti, quindi, nelle mani degli stati nazionali. Tre sono gli ambiti di scelta fondamentali: i) il grado di separazione fra rete e servizio effettuare; ii) il mantenimento o meno dell’incumbent; iii) il tipo di strumenti regolativi. Si tratta di ambiti di scelta che sono solo in parte indipendenti fra di loro: la questione dell’incumbent è quella che i policy makers hanno affrontato per prima e che pre-struttura le altre. Scegliere di mantenere un attore nazionale dominante è l’opzione che lascia maggiori margini di discrezionalità sulla regolazione degli altri aspetti. Questa soluzione è infatti compatibile con la sola separazione contabile (Italia e Germania), ma lascia aperte le porte a forme di separazione istituzionale (Francia, Spagna). Lo stesso vale per gli strumenti di regolazione: il mantenimento dell’incumbent si è dimostrato compatibile sia con il mantenimento di barriere legali, ove possibili (Francia, Spagna), che con l’introduzione di meccanismi competitivi. Quest’ultimo è il caso di Italia e Germania, che hanno scelto di contrattualizzare il trasporto regionale, affidando alle regioni il compito di esternalizzare i servizi. Ne primo caso si è tentato, con 3 risultati negativi, di imporre l‘obbligo di affidamenti competitivi, nel secondo è stata lasciata discrezionalità agli attori locali. La scelta fatta per il trasporto passeggeri a livello nazionale e per il comparto merci ha invece premiato la forma di competizione nel mercato, garantendo il libero accesso all’infrastruttura ad aziende diverse dall’incumbent ed in possesso dei requisiti necessari. La decisione di smantellare l’azienda di stato, invece, restringe maggiormente le scelte sulle altre due dimensioni. In questo caso infatti sarà quasi obbligata la scelta di separare la gestione della rete ed affidarla ad un soggetto terzo; incompatibile con questa soluzione anche il mantenimento di barriere legali. È questo il caso della Gran Bretagna, dove British Rail (BR) è stata smembrata fra il 1994 e il 1996. Gli asset sono stati rilevati da circa un centinaio di organizzazioni private, fra cui venticinque operatori dei servizi, tre società di gestione del materiale rotabile, un gestore dell'infrastruttura. Tabella 1 – Disegni di policy in cinque paesi europei. Azienda di Stato Gestore dell'infrastruttura Lunghe percorrenze Servizi locali Merci Francia SNCF Separazione istituzionaleibrida Accesso non consentito ai privati. Contratti di servizio stipulati fra le regioni e SNCF. Protetto fino al 2007 Germania DB Separazione contabile Open access. Contratti di servizio fra i Länder e gli operatori. Possibili gare e affidamenti diretti. Deregolato dal 1996 Public Company Franchises. Open access possibile ma residuale. Contratti di servizio fra OPRAF e aziende. Gare obbligatorie. Deregolato dal 1996 Regno Unito Assente (1996-2002) Public Body (2002 onwards) Italia FSI Separazione contabile Open access. Contratti di servizio fra Regioni e operatori. Gare obbligatorie. Deregolato dal 2001 Spagna RENFE Separazione istituzionale Accesso non consentito ai privati. Contratti di servizio fra lo stato e RENFE. Protetto fino al 2007 Fonte: Everis 2010; IBM 2011; CER 2011. Vale la pena anticipare alcuni tratti evolutivi di questo sistema. La rete fu affidata a Railtrack, un soggetto interamente privato, quotato in borsa nel 1996. Tale assetto cambierà radicalmente a partire dal 2001, dopo che una serie di gravi incidenti ha permesso al governo labourista di intervenire sulla governance e riportare la gestione dell’infrastruttura nell’ambito del servizio pubblico, attenuandone significativamente l’orientamento al profitto, che aveva innescato numerosi conflitti con le aziende di trasporto. A differenza di Germania e Italia, la contrattualizzazione dei servizi non riguarda solamente il settore regionale, o comunque le tratte ascrivibili a servizio universale, ma, è stata estesa anche alle tratte premium, come le principali dorsali che collegano la capitale a Edimburgo e Glasgow e i collegamenti con gli aeroporti. Il principio che ha guidato i policy makers è stato quello della moderation of competition (ORR 1994), al fine di dare equilibrio finanziario al sistema e renderlo competitivo con le altre modalità di trasporto. Si è trattata di una scelta difficile, portata avanti negli anni della riforma dal Ministero dei trasporti e dal regolatore in pectore, in controtendenza rispetto alle iniziali intenzioni del governo Major (Swift 2000). In sostanza, nelle tratte profittevoli, l’azienda che si aggiudica il contratto di servizio è tenuta a versare un 4 premio annuo al Ministero dei trasporti, che in questo modo dispone di una quota di risorse da poter utilizzare per sostenere il servizio universale. Pensata come provvisoria, la franchising policy si è dimostrata il tratto stabile della politica ferroviaria britannica. 3. Vent’anni dopo: le performance di quattro sistemi ferroviari nazionali Valutare politiche pubbliche di elevata complessità, come quelle in oggetto, presenta notevoli problemi di carattere interpretativo. La strada più battuta e che anche qui verrà seguita è quella di confrontare i principali risultati visibili in termini di efficacia ed efficienza con gli obiettivi di policy. Si tratta di un passaggio obbligato, ma che presenta delle insidie. Gli obiettivi, presi ad un certo livello di analisi, sono infatti delle astrazioni rilevabili dal dibattito pubblico, spesso dei fini ufficiali (Perrow 1986) serviti a legittimare l’introduzione di determinate riforme, ma che raramente sono condivisi dagli attori. La dimensione temporale delle riforme ferroviarie in questioni, inoltre, rende le preferenze dei principali player, siano essi regolatori o regolati, soggette a mutamento e contingenze (Bovens and t’Hart 1998). Classicamente, i principali criteri di valutazione sono riconducibili ai criteri di efficienza ed efficacia, intesi massimizzazione dei risultati in relazioni alle risorse impiegate e agli obiettivi prefissati. 3.1 Efficienza Se si tiene conto che una delle principali motivazioni delle numerose riforme intraprese nel settore era la sicura mala-gestione dei diversi monopoli ferroviari, la valutazione dell’efficienza di queste politiche è un aspetto decisamente centrale. Gli studi che si sono occupati del tema, tuttavia, si sono principalmente concentrati sulle performance delle diverse aziende all’indomani delle privatizzazioni e liberalizzazioni (Gómez-Ibáñez et al. 2006; Tebaldi 2011), rilevando generalmente un aumento della produttività delle stesse, intesa in termini di incidenza dei costi del lavoro e della quantità di lavoro per addetto. Si tratta tuttavia di analisi che non forniscono un’indicazione, se non parziale, indiretta e potenzialmente distorsiva, dell’efficienza dell’intera politica. Il recente studio di Arrigo e Di Foggia (2013) ha tentato recentemente di ovviare a questo problema, andando a pesare gli aiuti di stato impiegati, a vario titolo, nei diversi sistemi ferroviari nazionali rispetto alle principali dimensioni di produzione di servizi ed all’ampiezza dell’infrastruttura. Il quadro che emerge da questa ricognizione vede fra i paesi più inefficienti l’Olanda, il Belgio e l’Italia, mentre il minor impiego di risorse pubbliche si registra in Portogallo, Finlandia e Spagna. Lo studio di Arrigo e Di Foggia, se da un lato ha il merito di fornire degli indicatori che permettono una facile comparazione fra i sistemi e dell’efficienza con cui impiegano le risorse, dall’altro non tiene conto del fatto che l’aggregazione degli aiuti di stato in un’unica voce è un’operazione che contiene numerose insidie. I contributi pubblici all’infrastruttura, i sussidi per i servizi a carattere universale e gli investimenti in materiale rotabile sono infatti voci molto eterogenee, che andrebbero parametrizzate rispetto ai singoli programmi di impiego. Quest’operazione però è difficilissima da operare, data la disomogeneità e molto spesso l’assenza di dati affidabili e disaggregati. Un riferimento al caso Britannico, può comunque essere utile a mettere in luce i problemi circa la valutazione dell’efficienza di queste politiche Come accennato nella sezione precedente, le riforme del governo Major intrapresero la scelta – solitaria – di non sussidiare il gestore dell’infrastruttura. Dal 2002, dopo il fallimento di Railtrack e l’avvento del soggetto pubblico Network Rail, la spesa pubblica britannica per questo specifico sotto-sistema è schizzata tanto nella parte corrente che con riferimento agli investimenti e ad oggi la gestione ha costi strutturalmente più alti rispetto ai benchmark europei di circa il 30%, per ammissione dello stesso regolatore (ORR, 2011). Al contrario la spesa per sussidi ai servizi a carattere universale hanno subito un radicale ridimensionamento a partire dal 2007, passando da livelli che superavano il miliardo di sterline annue ad un esborso compreso fra i 350 e i 500 milioni. 5 Il caso appena citato non smentisce i risultati dell’analisi comparata, ma permette di riflettere criticamente ed integrare le prospettive più sintetiche e, necessariamente, meno precise sull’efficienza di politiche complesse come quelle ferroviarie2. 3.2 Efficacia L’efficacia delle politiche ferroviarie possono essere valutate su due grandi obiettivi: quello della sicurezza, intesa come riduzione dei diversi tipi di incidentalità, e quello del miglioramento della mobilità, che assume il trasporto ferroviario come meno impattante sul congestionamento delle arterie stradali e dei centri urbani. Questo paragrafo si occuperà esclusivamente di questo secondo aspetto in quanto più direttamente legato all’introduzione delle riforme istituzionali in oggetto3. Il quesito a cui merita rispondere può infatti essere formulato come segue: è avvenuto il passaggio di persone e merci dalla strada alla rotaia? Se si, in che misura e quali paesi hanno ottenuto migliori risultati? Tale domanda è tanto più opportuna se considerata in riferimento all’area dell’Europa a 15, di cui i paesi esaminati in questo studio costituiscono i bacini di traffico più consistenti. Infatti, è in quest’area che dal 1995 si è assistito ad una significativa redistribuzione degli investimenti nazionali dalle infrastrutture stradali a quelle ferroviarie, mentre nell’area orientale è avvenuto il trend opposto (ITF – OECD, 2013: 10). È quindi appropriato chiedersi se questo sforzo abbia sortito degli effetti, anche perché l’arco temporale osservato di oltre due decenni, consente di trarre un primo bilancio. Le tabelle 2a e 2b riportano i dati Eurostat sulla ripartizione modale del traffico passeggeri e merci e permette di analizzare il rapporto fra strada e rotaia. L’indicatore utilizzato è la percentuale di passeggerikm e di tonnellate-km effettuate per modalità di trasporto. Non fanno parte di questa analisi i vettori marittimi ed aerei, per i quali viene adottata una metrica differente. Nonostante i limiti derivanti dal basso livello di disaggregazione, i dati riportati permettono di fare delle osservazioni preliminari sull’impatto dei cambiamenti descritti nella sezione precedente sulla ripartizione della mobilità nei diversi sistemi nazionali. Nel 1991, anno di entrata in vigore della direttiva 440, i paesi oggetto di analisi potevano essere divisi in due pattern piuttosto chiari. Francia e Germania presentavano una più pronunciata presenza della modalità ferroviaria, soprattutto nel settore merci con rispettivamente il 22 ed il 24% delle tonnellate-km trasportate. Anche i valori relativi al trasporto passeggeri risultavano superiori a quelli espressi dagli altri paesi, seppur complessivamente contenuti, a fronte di una notevole incidenza della motorizzazione privata. Decisamente diverso il pattern presentato da Regno Unito, Italia e Spagna, che privilegia decisamente il traffico su strada. Nel Regno Unito, il 90% delle merci venivano trasportate su gomma ed una eguale quota di traffico passeggeri adottava il mezzo privato. La situazione di Spagna e Italia è simile, ma merita una ulteriore distinzione. In questi due contesti gioca un ruolo rilevante il trasporto pubblico su gomma, per quanto attiene il settore passeggeri con circa il 13% del mercato. È opportuno aggiungere in via incidentale, che il caso britannico è stato utilizzato anche in virtù della quantità e delle qualità dei dati e degli studi che sono pubblicamente accessibili ad un elevato grado di disaggregazione. La presenza di incumbent pubblici che esercitano servizi di rete e trasporto rende negli altri casi questa ricerca molto più faticosa e infruttuosa con ovvi limiti in termini di accuratezza nella valutazione delle performance. 3 L’analisi dell’incidentalità ferroviaria rientra poi in un ambito di riflessione accademica che si è ormai consolidato all’interno dell’analisi organizzativa (Catino 2009). Un secondo motivo che giustifica l’esclusione di questo aspetto è dato dal campione di paesi esaminati, che non contempla stati appartenenti all’ex Unione Sovietica. La questione della sicurezza, considerata in termini macroscopici, emerge con chiarezza solo con riferimento a quest’area del mercato comune, mentre i paesi occidentali presentano da alcuni anni delle performance più che soddisfacenti. 2 6 Tab. 2a. Ripartizione modale nei trasporti terrestri passeggeri (% passeggeri-km) 1991 2000 2005 2012 Treno Auto Bus Treno Auto Bus Treno Auto Bus Treno Auto Bus Germania Spagna Francia Italia 6,9 84,6 8,5 7,7 85,2 7,1 7,5 85,8 6,7 9 85,4 5,7 5,8 80,4 13,7 5,4 81 13,5 5,1 82 12,9 5,6 80,7 13,7 8,8 85,1 6,1 8,6 86,1 5,3 9,1 85,8 5,2 9,5 85,1 5,4 6,7 80,6 12,7 5,7 83,5 10,8 6,0 82,0 12,0 6,1 78,9 15,0 Regno Unito 5,0 88,2 6,8 5,3 88,2 6,5 5,8 87,9 6,3 8,2 86 5,8 Fonte: Eurostat. Tab. 2b. Ripartizione modale nei trasporti terrestri merci (% tonn-km) 1991 Ferro Germania Spagna Francia Italia Regno Unito Gom ma 2000 Vie fluvial i Ferro Gom ma 2005 Vie fluvial i Ferro Gom ma 2012 Vie fluvial i Ferro Gom ma Vie fluvial i 24,6 58,6 16,7 19,2 65,3 15,5 20,3 66,0 13,6 23,1 64,6 12,3 10,7 89,3 - 7,2 92,8 - 4,7 95,3 - 4,8 95,2 - 22,9 73,3 3,9 20,6 76,0 3,4 16,0 80,5 3,5 15,2 80,6 4,2 12,9 87,1 0,1 11,0 89,0 0,1 9,7 90,3 0 14,0 85,9 0,1 9,9 90,0 0,1 9,8 90,0 0,1 11,7 88,2 0,1 12,1 87,8 0,1 Fonte: Eurostat. L’evoluzione di questi due indicatori fornisce un’indicazione poco confortante circa le possibilità di cambiamento del riparto modale che, nei suoi tratti generali sembra sostanzialmente stabile. Si registrano tuttavia dei fenomeni di cambiamento che, dato il basso livello di disaggregazione dei dati, possono celare dei mutamenti di un certo rilievo. L’istantanea scattata nel 2012 vede, per il settore passeggeri, tre paesi che hanno aumentato le performance dei loro settori ferroviari: Germania, Francia e Gran Bretagna. In particolare quest’ultima sembra aver ottenuto il cambiamento più rilevante, con la quota di passeggeri trasportati su rotaia che passa dal 5 al 8,2%. L’interpretazione di questi trend va tuttavia presa con attenzione. Come detto, l’indicatore considera i passeggeri-km, un’unità di traffico composta dal singolo passeggero moltiplicato per la distanza percorsa. Tale indicatore potrebbe quindi sovrastimare l’effettivo aumento di passeggeri in quei sistemi ferroviari dove la componente lunghe percorrenze è particolarmente sviluppata e competitiva, come nel caso francese4. Un’analisi più dettagliata delle variazioni del numero assoluto degli utenti dei servizi ferroviari restituisce infatti un’immagine che premia maggiormente Germania e Gran Bretagna. Secondo le elaborazioni Eurostat (2010), nel 2008 i passeggeri-km effettuati in Francia sulle linee ad alta velocità rappresentavano il 61% del totale, contro il 23% della Germania ed il 18% dell’Italia. Se si considerano i passeggeri in termini assoluti, quelli trasportati dai TGV nello stesso anno ammontano a solo il 10,5% del totale. 4 7 Fig 1. Numero di viaggiatori 1995 -2012 (milioni) 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 0 1995 2000 Germany Spain 2005 France Italy 2012 United Kingdom Fonte: Eurostat; Conto Nazionale dei Trasporti (Italia 2012); Office of Rail Regulation (UK 1995 e 2000); Statistisches Bundesamt (Germania 1995 e 2000); Comptes del Transports (Francia 1995 e 2000) Nel primo caso la variazione è interamente da imputare all’aumento del traffico dei servizi regionali e sub-urbani, con particolare riferimento ai sistemi S-Bahn, concepiti negli anni ’30 e diffusi dagli anni ‘70 nelle più vaste aree urbane come risposta al problema del congestionamento del traffico. Le lunghe percorrenze, nonostante la loro de-regolazione, vedono ancora solo DB come operatore ed un livello di domanda soddisfatta leggermente in calo. Nel caso britannico, invece, l’aumento della domanda soddisfatta riguarda entrambi i comparti. Si è mantenuto stabile il quadro in Italia, mentre il dato spagnolo, non disponibile per anni precedenti al 2003, sembra in controtendenza. I dati di Italia e Spagna vanno letti con riferimento alla forte presenza del trasporto pubblico su gomma, che si è ritagliato negli anni un’elevata quota di mercato anche nelle medie e lunghe distanze. Per quanto riguarda il caso italiano, questa modalità di trasporto risulta essere particolarmente rilevante con riferimento al meridione del paese, dove sono concentrate il 56% delle imprese che effettuano servizi a carattere nazionale o internazionale (MIT 2012: 161-2). Per quanto riguarda il settore merci, la tendenza generale è quella di un progressivo indebolimento del settore. Il risultato più brillante appare, paradossalmente, la stabilità del contesto tedesco, che mantiene una quota di traffico merci su ferro in linea con quella del 1991 (23%), anche se nei vent’anni trascorsi vi è stata una flessione. Drammatica appare la situazione di Francia e Spagna. In entrambi i paese il trasporto merci su ferro ha perso rilevanti quote di mercato nei confronti della strada. Come vedremo nella sezione successiva, se per la Spagna questo cambiamento è coerente con la precedente struttura del mercato, nel caso francese il mutamento deve essere interpretato alla luce del rio-orientamento strategico dell’incumbent. Tendenzialmente stabile il dato relativo a Regno Unito e Italia, con quest’ultima che mostra segni di inversione di tendenza. La figura due riassume l’andamento del trasporto merci dal 2003 al 2012. Fino all’inizio della crisi, i paesi in cui la quantità di merci trasportate è aumentata maggiormente sembrano essere Italia e Germania. In Spagna e nel Regno Unito questa modalità di trasporto ha aumentato i volumi nei primi due anni, per poi ritornare su livelli precedenti o crollare nettamente, come nel caso spagnolo. Tutti e quattro i casi dimostrano una ripresa dei traffici a partire dal 2009, toccando livelli del 20-30% superiori al 2003 per quanto riguarda Italia, Germania e Italia, mentre la Spagna è ritornata sul livello del 2003. Particolarmente positiva la performance britannica nel post-crisi. 8 Fig. 2 Evoluzione trasporto merci su ferro - 2003:100 (tonnellate trasportate) 150 140 130 120 110 100 90 80 70 60 2003 2004 2005 Germany 2006 Spain 2007 2008 France 2009 Italy 2010 2011 2012 United Kingdom Fonte: Eurostat Decisamente negativo il trend della Francia, in cui il declino del trasporto merci è indipendente dal ciclo economico ed è riconducibile ad una scelta strategica dell’operatore dominante. In questo caso è interessante il confronto con l’Italia, dove il gruppo Fsi ha parimenti fatto registrare volumi di traffico in progressivo calo, tuttavia l’affermarsi di operatori privati sin dal 2001 ha consentito di incrementare le performance del comparto (Censis 2010). Nella sezione successiva verranno analizzati i principali processi che hanno interessato il campo ferroviario negli ultimi vent’anni. Si cercherà di mettere in connessione le performance ora emerse con i disegni istituzionali presentati nella sezione precedente. 4. Strutturazione degli interessi e processi In questa sezione di darà conto della dimensione processuale delle politiche ferroviarie nazionali. La narrazione terrà conto di tre aspetti: i) gli strumenti della regolazione, ii) gli attori della regolazione e iii) le principali strategie dei gruppi nazionali alla luce del nuovo contesto strategico. Si tratta di aspetti che in larga misura interagiscono fra loro e che si terranno distinti principalmente a fini analitici. L’obiettivo è quello di interpretare il nesso esistente fra l’efficacia delle politiche e le diverse scelte istituzionali. 4.1 L’evoluzione degli strumenti della regolazione Come emerso nella seconda sezione, il mercato ferroviario è composto da diversi segmenti, ognuno dei quali ha un regime di regolazione differenziato. Per il trasporto merci, dal 2007 è previsto il libero accesso all’infrastruttura in tutti i paesi UE; lo stesso vincolo è attivo dal 2010 per il trasporto internazionale passeggeri. Restano dunque in mano agli stati membri le decisioni relative al trasporto passeggeri di lunga e breve percorrenza. Fra i paesi presi in considerazione sono emersi due orientamenti stabili. Da una parte Francia e Spagna hanno mantenuto un profilo di chiusura, con barriere legali all’acceso a protezione dei campioni nazionali SNCF e RENFE. Questi possono infatti sfruttare a pieno i propri servizi premium, generalmente relativi 9 alle infrastrutture AV ed esercitano il trasporto regionale che è stato devoluto alle regioni nel caso francese, mentre è rimasto in capo allo stato in quello spagnolo5. Germania, Italia e Regno Unito hanno invece intrapreso percorsi di liberalizzazione del mercato, con scelte che però sono state differenziate a proposito degli strumenti e della loro calibrazione. I primi due hanno deregolato il trasporto merci e passeggeri (nazionale) molto in anticipo rispetto ai vincoli comunitari (rispettivamente 1994 e 2001). Analoghe sono state anche le scelte rispetto ai servizi locali, affidati alle regioni e finanziati attraverso trasferimenti del governo centrale. Se il disegno di policy è simile nei suoi tratti generali, gli strumenti utilizzati hanno avuto una calibrazione differente. Se nel caso tedesco la de-regolazione delle tratte nazionali non prevede sussidi per servizi eventualmente non economicamente sostenibili come gli Intercity, in Italia è stato introdotto nel 2002 un apposito contratto di servizio affidato a Trenitalia, per coprire parte dei costi sostenuti dalla società. Anche con riferimento al trasporto regionale il contesto tedesco si è dimostrato sostanzialmente stabile: i Länder hanno avuto dal 1996 la possibilità di organizzare nella più ampia autonomia i servizi, poggiando su strutture di implementazione in larga parte preesistenti e progettate per integrare modalità diverse di trasporto. Queste possono quindi impiegare con flessibilità i trasferimenti ingenti6 di cui dispongono, fissati per legge e indicizzati. Il caso italiano ha avuto un’evoluzione assai più turbolenta. Il disegno di policy iniziale prevedeva infatti l’obbligo per le regioni di affidare i servizi tramite gara. L’entrata in vigore di tale norma è stata però prorogata di anno in anno fino al 2007. In questo periodo, poche sono state le esperienze di messa a gara del servizio e gli esiti hanno premiato l’incumbent o si sono conclusi in un nulla di fatto. Il quadro non è cambiato all’indomani dell’entrata in vigore dell’obbligo di gara, che è rimasto largamente inattuato (Di Giulio 2011). Tale strumento è stato successivamente oggetto di scambio politico: il governo Berlusconi ha infatti concesso la possibilità di affidamento diretto e previsto contratti d servizio di maggior durata, ottenendo da FSI un piano di investimenti su materiale rotabile. Due anni più tardi, l’esecutivo Monti ha invece operato una netta inversione, reintroducendo le gare. Il caso britannico presenta caratteri peculiari. Contrariamente alla vulgata comune, le politiche di market building nel settore ferroviario non sono state all’insegna della de-regolazione selvaggia. Al contrario, sono riscontrabili tratti di iper-regolazione (Power 2002; Moran 2003) che hanno caratterizzato in particolar modo l’avvio di questa politica incentrata su numerosi rapporti contrattuali fra operatori, gestore della rete e proprietari dei rotabili. L’avvento del Labour ha avviato un lungo processo di razionalizzazione delle governance che permettesse maggiore flessibilità al comportamento degli attori. I buoni risultati in termini di efficacia complessiva nel settore passeggeri e di efficienza nell’allocazione dei sussidi sono stati realizzati grazie alla costituzione di un gestore della rete non profit-oriented ed una franchising policy che ha mirato al consolidamento industriale dei gruppi, attraverso aree di traffico più grandi e contratti di servizio più lunghi e flessibili (Dft 2007; 2010). 4.2 I soggetti della regolazione In principio era il monopolio. Sino al 1991, la regolazione del settore ferroviario rientrava nella più classica concezione della burocrazia di massa e si giocava in un rapporto osmotico fra azienda ferroviaria e ministero competente. Tale rapporto diviene tuttavia incompatibile con i disegno comunitario per la creazione di un mercato comune del trasporto ferroviario. Per permettere ad operatori diversi dall’incumbent di operare dei servizi di trasporto sulle infrastrutture nazionali occorreva infatti operare sul piano tecnologico-organizzativo con un processo di disintegrazione verticale e, su quello istituzionale con la creazione di un ambiente regolativo il più possibile neutrale. Con riferimento alla gestione dell’infrastruttura è il contesto britannico a registrare il maggior cambiamento. Railtrack, dal 1996 gestore privato e non finanziato da contributi pubblici, è stato costretto Esistono tuttavia eccezioni per le comunità autonome, alcune delle quali gestiscono direttamente i rapporti contrattuali con RENFE. 6 Il tema degli extra-sussidi concessi in Germania è stato oggetto di riflessione accademica (Beck 2011) e di battaglia politica europea e nazionale, portata avanti dai soggetti privati che da tempo lamentano un trattamento privilegiato a DB attraverso la pratica degli affidamenti diretti. 5 10 al fallimento dal Tesoro e sostituito da un ente autonomo finanziato con ingenti trasferimenti di risorse pubbliche. Negli altri paesi le scelte iniziali sono state rispettate, anche se spesso messe in discussione nell’agenda politico-istituzionale. Il modello di separazione istituzionale promosso in Spagna nel 2000 è in linea con le indicazioni comunitarie in tema, mentre maggiori perplessità riguardano la soluzione francese. In questo caso la rete è stata scorporata dal patrimonio di SNCF nel 1996 ed affidata ad un ente pubblico quale RFF. Questo però esternalizza tutte le operazioni di manutenzione alla stessa SNCF, che ottiene in cambio un corrispettivo per le prestazioni fornite. Se considerata insieme alla sostanziale chiusura del mercato interno, questa soluzione organizzativa appare più orientata al potenziamento del campione nazionale, piuttosto che all’introduzione di maggiore trasparenza7. In Italia e Germania ha resistito il modello integrato, in cui l’infrastruttura è gestita da una società facente parte della holding di stato. In entrambi i casi si sono aperte delle finestre di opportunità che hanno reso possibile un’alterazione di questo equilibrio. In Italia la separazione istituzionale è stata promossa dal ministro per le attività produttive Lunardi, nel 2001, e riproposta dal governo Monti dieci anni dopo, caldeggiata dal sottosegretario alla presidenza Catricalà, in precedenza presidente dell’AGCM e avversario di FSI sui temi della regolazione. In Germania lo scorporo della rete da DB è un tema che ha incontrato stabilmente il consenso di Liberali e Verdi. Questa trasversalità non ha permesso un’alterazione dello status quo ed il principale tentativo di privatizzazione dalla Reform del 1993, che prevedeva la quotazione del 25% di una ramo d’azienda, è naufragato nell’ottobre del 2008 per l’avvento della crisi sui mercati finanziari. In entrambi i paesi, il modello va incontro alle aspettative dei sindacati, che possono disporre di maggiore discrezionalità nelle relazioni industriali e contare su un mercato del lavoro interno ad una grande organizzazione (Bahninterne Arbeitsmarkt); dal punto di vista operativo, permette un maggior coordinamento delle operazioni di investimento e gestione. I sostenitori di questo modello, sia all’interno delle arene nazionali che sullo scenario europeo, possono contare sul fallimento dell’esperienza britannica: sotto accusa per l’elevata conflittualità che Railtrack aveva con le compagnie di trasporto, edil livello dei costi, gonfiati dopo il suo fallimento e superiori a quelli delle sistemi integrati. Anche sul fronte istituzionale il caso britannico ha mostrato maggiore attitudine al cambiamento ed anche in questo caso, l’evento scatenante è stato il fallimento di Railtrack. Questo infatti ha permesso al governo labourista di rivedere la governance pensata nel 1993, che prevedeva un regolatore monocratico e plenipotenziario sulla determinazione dei canoni di accesso all’infrastruttura e la determinazione delle penali da applicare ai diversi soggetti per inadempienze contrattuali. La determinazione dei contratti di servizio era invece devoluta all’Office for Passenger Rail Franchising (OPRAF), un’agenzia legata al ministero dei trasporti. A partire dal 2005 il regolatore è stato fuso con la Strategic Railways Authority, un’agenzia creata nel 1999 per definire e incentivare schemi di investimento su rete e rotabili, e ha acquisito competenze in materia di sicurezza ferroviaria, mentre il ministero dei trasporti ha sostituito l’OPRAF nella franchising policy inglese e gallese, mentre i servizi scozzesi sono stati devoluti a Edimburgo (Gourvish 2008). Le esperienze continentali hanno intrapreso percorsi più omogenei e meno invasivi. I ministeri dei trasporti (o equivalenti) hanno mantenuto la maggior parte delle competenze all’indomani delle riforme degli anni ’90. Un’eccezione in questo senso è costituita dalla Germania, che nella Bahnreform del 1993 ha previsto la costituzione di un ente ferroviario (Eisenbahn-Bundesamt - EBA) dedito al rilascio dei certificati di sicurezza ed alle licenze e costituito da personale degli enti pubblici dell’est e dell’ovest. Sempre in Germania, la Bundesnetzagentur (Autorità delle reti) ha acquisito dal 2006 competenze regolative in materia ferroviaria, con poteri para-giurisdizionali sulla gestione dell’infrastruttura, mentre l’EBA rimane competente per la sicurezza ferroviaria. Vere e proprie autorità di regolazione hanno fatto fatica ad affermarsi in Italia, Francia e Spagna. Nel primo caso è stata costituita l’Autorità Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria nel 2006. Nel 2012-13, il governo Monti ha istituito l’Autorità dei Trasporti, con competenze che riguardano teoricamente tutte le modalità, ma sono certamente più stringenti in È stato infatti notato come RFF sia servita a sgravare SNCF da una notevole parte dei debiti pregressi, permettendo così il suo riposizionamento strategico nel mercato internazionale (Lang 2008; Barone 2011). Tale assetto è in fase di riforma proprio mentre questo paper viene scritto (luglio 2014), verso una più compiuta separazione istituzionale che punta a fondere RFF alla società di SNCF che si occupa dell’infrastruttura. Tale progetto riscontra tuttavia forti resistenze sindacali. 7 11 riferimento alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria ed al trasporto pubblico locale. La Spagna ha recepito al minimo le indicazioni europee sulle autorità, costituendo un comitato interno al ministero, una soluzione già percorsa in Italia e che ha dimostrato di non fornire garanzie di indipendenza (Boitani e Ramella 2012). La Francia si è dotata di un regolatore ferroviario nel 2010, ma la sua efficacia è ancora difficile da determinare data la chiusura del mercato interno. 4.3 L’evoluzione del mercato e le strategie dei gruppi Abbiamo osservato l’evoluzione del contesto regolativo le scelte organizzative rispetto agli incumbent nazionali. I due aspetti sono in realtà interagenti e si proverà ora a dare conto di questa dimensione strategica. L’apertura de mercati nei servizi pubblici su scala europea e mondiale costituisce una ghiotta occasione per le aziende nazionali, che possono pensare di espandersi internazionalmente ed aumentare il proprio giro d’affari. Il settore del trasporto pubblico costituisce un punto d’osservazione privilegiato per osservare queste dinamiche. Le politiche di liberalizzazione del trasporto pubblico, se da un lato hanno avuto effetti divergenti e tutto sommato contenuti su principali obiettivi dichiarati dei policy makers comunitari, è certo che hanno alterato la composizione dei mercati nazionali. Nel Regno Unito, lo smembramento di BR ha permesso i consolidamento di gruppi privati nazionali come National Express e First, che hanno avuto la possibilità di allargare il proprio domain dal trasporto su gomma a quello su ferro. Questo consolidamento ha successivamente permesso l’espansione internazionale di queste aziende, il cui giro d’affari è oggi fortemente dipendente dalla gestione di servizi pubblici negli USA, Australia, Nuova Zelanda e Spagna. Al tempo stesso, il mercato è stato ricettivo rispetto a soggetti esteri che si sono progressivamente inseriti aggiudicandosi contratti di servizio o direttamente acquistando operatori locali. Rilevanti anche i segnali di apertura nei mercati continentali, dove queste politiche hanno dovuto fare i conti con la presenza di incumbent e delle loro esigenze industriali. In Germania è particolarmente sviluppata la concorrenza nel trasporto locale, i cui elevati sussidi garantiscono una buona redditività. Qui i new comers sono potuti entrare gradualmente, acquistando asset da aziende locali o dalla stessa DB. Le operazioni di vendita dell’operatore nazionale hanno così contribuito a sostenere la sua espansione nei mercati esteri, iniziata nel 2002 con l’acquisto di Shenker e culminata nel 2010 con quello di Arriva, uno dei principali attori del mercato inglese, con servizi gestiti in Italia, Polonia, Repubblica Ceca etc. Il pattern seguito da SNCF è analogo. Nel 1996 ha acquistato Geodis, leader nella logistica nazionale e con una buona propensione ai mercati esteri, mentre nel 2001 ha dato vita a Keolis, una joint venture con la Cassa Depositi e Prestiti del Quebec, attiva a livello internazionale nella mobilità locale. Fra il 2000 e il 2013, SNCF e DB hanno entrambi raddoppiato la propria scala, tuttavia mantengono dei profili differenziati. Il gruppo francese appare più concentrato sul domain nazional, dove ottiene il 75% del fatturato (2013) ed in particolare sui settori protetti del trasporto passeggeri, fra cui spicca il segmento AV. Con l’acquisto di Geodis, le strategie di SNCF nei confronti del settore merci sono virate decisamente sul trasporto su gomma, come emerso in precedenza. L’espansione di DB ha invece accresciuto notevolmente il grado di penetrazione internazionale, con un fatturato estero pari al 45% dei ricavi annui nel 2013. Contrariamente a SNCF, l’acquisto di un player logistico globale come Shenker non ha significato l’abbandono del comparto merci su ferro, che aumenta annualmente in termini di volumi e capacità di penetrazione in nuovi mercati, come quello britannico. Le performance aziendali di FSI hanno dimensioni minori, data la minore scala di partenza e le peggiori condizioni economico-finanziarie al momento massimo dell’apertura dei mercati. Tuttavia, a fronte di un mercato interno che vede un crescente dinamismo dei soggetti privati nel settore merci e nell’alta velocità e la difficoltà di creare un mercato regolato con dei ragionevoli margini di profitto nei servizi locali, le strategie del gruppo hanno fatto registrare un interesse verso opportunità estere. In particolare la Germania costituisce lo sbocco privilegiato di TX Logistics, uno dei principali operatori merci alternativi a DB che con Netinera nel trasporto locale. 12 5. Osservazioni conclusive Tirare le somme dell’evoluzione ventennale di una politica tanto complessa è operazione delicata, specie se l’obiettivo di fondo è capire se un determinato insieme di cambiamenti istituzionali abbia avuto effetto oppure non. Un primo punto da fissare è la complessiva limitatezza dei risultati raggiunti se confrontati con le aspettative della vigilia. Il radicale modal shift dalla strada alla rotaia non è avvenuto, nonostante investimenti e regole – a livello macro – abbiano spinto in quel senso. Troppo forte appare oggi il vantaggio competitivo del trasporto su gomma, la cui capillarità incontra oggi perfettamente le esigenze just in time del commercio on-line, i cui volumi crescono di anno in anno. Pesa anche la delocalizzazione della produzione dell’industria pesante, che da sempre costituisce il principale committente del trasporto su ferro. Al di là di questi trend globali, differenze nazionali esistono, producono degli effetti significativi, anche se non macroscopici. Se facciamo riferimento al trasporto passeggeri, Germania e Regno Unito sono emersi come i due paesi in cui maggiore è stato l’incremento di utenti dei servizi ferroviari in termini assoluti. Con l’aggiunta dell’Italia, lo stesso discorso è valido per il trasporto merci. Questo dato, con tutti i suoi limiti, sembra suggerire che la creazione di un contesto competitivo possa avere in fondo effetti positivi ed in linea con le aspettative. Occorre intendersi però su cosa significhi ‘competizione’ nei due specifici contesti, quello del trasporto merci e quello della mobilità passeggeri. Nel primo caso, infatti, i buoni risultati sono ascrivibili alla concezione standard di ‘competizione’ fra attori economici. Fare impresa ferroviaria in questo comparto è infatti più semplice e maggiore è il grado di de-regolazione. Il confronto Francia-Italia fornisce un’efficacie rappresentazione dei meccanismi all’opera: in entrambi i casi gli incumbent hanno abbandonato il settore merci nazionale, ma se nel caso francese questa scelta impatta direttamente sulla performace del paese, l’esperienza italiana dimostra invece come la precoce de-regolazione del mercato abbia permesso ad operatori privati di sostenere e, in parte, rilanciare il settore. Diverso il discorso per quanto riguarda il comparto passeggeri. In questo caso l’efficacia delle performance non sono riconducibili a fenomeni di competizione nel mercato. Nel caso tedesco infatti, la componente de-regolata – le lunghe percorrenze – ha infatti perso e non guadagnato passeggeri. Questi sono invece aumentati in maniera rilevantissima nel trasporto locale, regolato da affidamenti spesso ventennali a DB o altri operatori. Lo stesso discorso vale per il Regno Unito sia nella mobilità locale che nelle lunghe percorrenze, anche queste oggetto di contratto fra operatore e Ministero dei trasporti. Il successo di queste politiche della mobilità non va quindi ricercato in meccanismi competitivi semplici. Sembra piuttosto il frutto di rapporti contrattuali molto complessi, regolati in maniera più informale nel caso tedesco, dove prevalgono gli affidamenti diretti di lungo termine, e più regolato in quello britannico. In entrambi i casi, però, le esigenze regolative sono riuscite a coesistere con quelle d’impresa. In questo caso l’esempio italiano fornisce, in negativo, una possibile conferma di questo argomento. La regolazione del trasporto ferroviario regionale ha infatti ricercato in maniera assidua il modello contrattuale perfetto da applicare rigidamente a tutte le regioni: entità media dei sussidi, durata dei contratti, obbligatorietà delle gare. Si è tentato di fare troppo ed in maniera contraddittoria: il servizio è stato regionalizzato, come in Germania, ma si è preteso che le regioni implementassero questo disegno allo stesso modo. Si è ripetutamente cercato di imporre gare obbligatorie, come nel Regno Unito, ma questo è risultato incompatibile con le capacità amministrative di gran parte delle Regioni. In conclusione, si può affermare che cambiamenti epocali sono forse fuori dalla portata degli strumenti di policy di cui si è spesso a disposizione. Nonostante ciò, risultati importanti possono essere raggiunti, ma difficilmente provengono da una ricetta unica. Sembrano piuttosto riconducibili da una capacità di adattare singoli strumenti a livello locale e di calibrarli secondo le esigenze. 13 6. Riferimenti Arrigo U. - Di Foggia G. (2013): Gli aiuti di stato al settore ferroviario, Working Paper, Dipartimento Scienze economico-aziendali e diritto per l'economia: Università Bicocca, Milano Barone, S. 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