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Convegno Annuale AIS – ELO
Università di Milano Bicocca, 11-12 settembre 2014
Sezione Istituzioni e Sviluppo
Autore:
Marco Di Giulio
Dipartimento di scienze politiche e sociali
Università degli Studi di Bologna
[email protected]
La governance del settore ferroviario in Europa.
Istituzioni, performance, processi.
1. Introduzione
Da oltre vent'anni il settore ferroviario Europeo è in continua trasformazione, a seguito di riforme
istituzionali che ne hanno ridefinito la governance. L'introduzione della separazione fra infrastruttura e
servizi di trasporto costituisce la pietra angolare su cui i policy makers comunitari hanno basato le
prospettive di crescita del settore. Maggiore efficienza gestionale ed efficacia, intesa in relazione alla
sostenibilità ambientale e al decongestionamento delle arterie stradali, sono i principali obiettivi definiti
in sede comunitaria e accettati nel dibattito pubblico in pressoché tutti i paesi.
Le istituzioni comunitarie, tuttavia, hanno lasciato ampi poteri discrezionali agli stati membri su temi
cruciali riguardanti l'implementazione di queste politiche. Nei due decenni dall’avvio dei processi di
riforma, gli stati hanno potuto ridisegnare le istituzioni del settore ferroviario con grande autonomia. Per
questa ragione, il presente contributo prende in esame il cambiamento istituzionale avvenuto in quattro
grandi paesi dell'Europa occidentale quali Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia1.
Diversamente dai paesi dell’area orientale dell’Unione, quelli presi in considerazione hanno già
sperimentato largamente gli effetti dell'espansione del trasporto privato e le esternalità negative che esso
ha prodotto in termini di sostenibilità ambientale e urbana. Per questo, i rispettivi dibattiti pubblici in
tema di trasporti risultano essere in linea con quelle le aspettative di Bruxelles. Più persone e merci su rotaia
è lo slogan che da anni viene ripetuto da esperti, associazioni ambientaliste e di pendolari, nonché dalla
classe politica. Come si vedrà, però, i risultati non sono sempre positivi. Se i servizi ad alta velocità – là
dove introdotti – sono riusciti in molti casi a rilanciare la competitività dei sistemi ferroviari rispetto ad
altre modalità di trasporto, per quanto riguarda i servizi di prossimità e quelli merci i risultati sono meno
evidenti e in alcuni casi in netta controtendenza, come appare evidente se si guarda alle politiche per il
trasporto merci in Francia e Spagna, mentre il caso italiano mostra segni, seppur limitati, di rilancio. Il
La scelta di escludere i paesi facenti parte dell'area di influenza sovietica è dovuta ad una policy legacy profondamente diversa,
che ha storicamente favorito la modalità ferroviaria, senza però investire sulla sua componente tecnologica (qualità della rete,
dei rotabili, scarsa elettrificazione). Con l'indipendenza, i paesi orientali hanno optato per politiche dei trasporti fortemente
orientate ad investire sulla modalità stradale, venendo incontro alla crescente motorizzazione privata ed incentivati dalla
possibilità di estrarre risorse fiscali da questo comparto.
1
1
trasporto pubblico locale ha invece fatto segnare dei notevoli successi nel Regno Unito ed in Germania,
con un considerevole aumento di utenti; il contrario sembra avvenire in Italia e Spagna.
La presenza di performance di efficacia divergenti fra paesi sottoposti a sfide simili porta dunque ad indagare
più in profondità le scelte istituzionali operate nei singoli contesti nazionali e la loro evoluzione nel tempo.
In particolare verranno analizzate le principali scelte di policy circa il mantenimento di un campione
nazionale, la separazione o l'integrazione dell'infrastruttura nell'incumbent, la scelta di concedere o meno il
libero accesso nel mercato interno ad aziende terze, il grado di decentramento territoriale e funzionale.
La ricognizione dei vincoli formali fornisce una prima immagine di quelle che sono le ipotesi causali
(Pressman e Wildavsky 1977; Majone 1980) dei policy makers alle prese con il passaggio dalla gerarchia dei
monopoli pubblici ad assetti di governance che contemplano strumenti contrattuali e la costituzione di un
settore con livelli di integrazione verticale inferiori. In termini organizzativi, la governance del settore
ferroviario può essere interpretata come il passaggio da un sistema relativamente chiuso (Perrow 1986) a
livelli crescenti di apertura. In altri termini, aumentano i punti di contingenza (Thompson 1967) con un
ambiente istituzionale che da stabile si viene articolando sempre più su molteplici livelli territoriali e
funzionali.
Di seguito verranno introdotte le scelte operate in sede nazionale (§2) e le principali performance in termini
di efficienza e di efficacia delle politiche del trasporto ferroviario (§3). Il paragrafo successivo discuterà i
processi di policy che hanno preso piede nei diversi contesti nazionali, con riferimento all’evoluzione
dell’ambiente regolativo, ed il rapporto fra l’apertura del mercato e le strategie dei grandi gruppi. La natura
di questa dialettica fornisce la base per interpretare sia il sentiero di evoluzione istituzionale all'interno di
ciascuno stato membro, sia il fallimento o il successo di specifici programmi di policy.
2. Il cambiamento nel settore ferroviario: tecnologia, organizzazione, istituzioni.
Nel corso della seconda parte del XX secolo, i monopoli ferroviari europei hanno progressivamente
accumulato un ritardo competitivo nei confronti del comparto stradale che ne ha segnato gravemente le
performance economiche e la capacità di intercettare la domanda di servizi di trasporto merci e passeggeri.
Il rilancio di questo settore è passato attraverso innumerevoli sforzi di riforma e cambiamento che sono
perfettamente riassumibili dalla tripartizione dei livelli di azione organizzativa elaborata da Thompson
(1967). I tentativi di riforma sono infatti partiti a livello del nucleo tecnologico ed operativo negli anni
60-70, per poi passare a quello organizzativo ed infine, con la formulazione di un disegno di policy europeo,
sono sfociati pienamente sul piano istituzionale. La governance del settore è oggi l’intersezione di questi tre
aspetti sia a livello comunitario che nei singoli stati (Finger et al. 2014). In questa sezione verrà descritto
il processo di elaborazione di strategie di riforma che è sfociato nella costruzione del mercato unico (§2.1).
Successivamente verranno discusse le principali scelte istituzionali operate nei cinque paesi oggetto di
studio (§2.2).
2.1 Dalle strategie nazionali ad una strategia europea.
La perdita di competitività dei monopoli ferroviari ha da subito stimolato la ricerca di possibili strategie
di riforma. A partire dalla fine degli anni ’60, queste hanno riguardato in primo luogo il piano operativo,
con la progettazione di servizi alta velocità, come nel caso francese (Meunier 2002) e italiano (Maggi
2007). Germania e Regno Unito hanno invece privilegiato programmi di integrazione operativa e tariffaria
nelle loro principali aree metropolitane, con l’istituzione dei Verkehrsverband e dei Transport Executives,
ovvero delle soluzioni organizzative volte a governare la mobilità nelle aree nevralgiche ed ovviare al
nascente problema del congestionamento delle arterie stradali.
Gli anni ’80 si sono caratterizzati per riforme organizzative dei monopoli ferroviari, principalmente alla
ricerca di strutture decisionali più flessibili ed autonome nella gestione delle forniture, delle risorse umane
2
e delle diverse aree di business. In questo senso, sono da interpretarsi la riorganizzazione di British Railways
(BR) e di Ferrovie dello Stato (FSI), mentre la Bahnreform avviata dal primo ministero Kohl nel 1982 non
fu mai implementata.
Per quanto spesso incisivi, i tentativi di riforma sin qui accennati erano pensati come soluzioni nazionali
ai problemi di sistemi ferroviari nazionali. Tale impostazione cambiò radicalmente nei primi anni ’90, con
l’introduzione della direttiva CE 440/1991. Tale norma metteva le basi per un mercato comune dei
trasporti ferroviari ed introduceva una teoria causale del cambiamento di policy ben precisa, che legava il
rilancio delle ferrovie, sia sul piano dell’efficacia che su quello dell’efficienza, all’introduzione di principi
di libera circolazione e competizione fra diversi providers all’interno del mercato comune (CEE 1996).
I punti salienti della regolazione europea hanno inciso sui seguenti aspetti:
i.
ii.
iii.
iv.
v.
la separazione, almeno contabile, fra gestore dell'infrastruttura e operatore del servizio nazionale;
la creazione di una licenza valida su tutto il territorio dell'Unione;
la progressiva liberalizzazione dei servizi di trasporto;
la regolazione degli aiuti pubblici per il finanziamento di servizi pubblici a carattere universale;
la fissazione di standard comuni di interoperabilità.
Il requisito della separazione contabile è stato il più evidente e rilevante compromesso su cui i paesi
favorevoli e contrari alla liberalizzazione sono riusciti a convergere. I primi sono così in grado di andare
ben oltre tale standard, mentre per i secondi questo non presenta alcun vincolo al mantenimento di un
campione nazionale integrato (Knill e Lehmkuhl 2000). La ratio della separazione contabile è implicita
nel disegno, più generale, di costruzione del mercato europeo, in cui operatori pubblici e privati potranno
operare senza discriminazione sulle diverse reti nazionali.
All'inizio, e per tutti gli anni '90, le possibilità effettive che questo disegno si avverasse incontravano
ancora forti barriere istituzionali (oltre a quelle tecnologiche, che non affronto in questa sede). La libera
circolazione fu resa possibile nel 2001, ma solo per il traffico internazionale e solo per associazioni di
imprese (Dir. 12/2001). Un più deciso passo in questa direzione è venuto con la Direttiva n. 58/2007,
che ha liberalizzato tutto il settore merci ed estenso la disciplina della Direttiva n. 12/2001 alle singole
imprese di trasporto passeggeri a partire dal 2010. Per i servizi a carattere universale, nel 2007 un
regolamento (n. 1370/2007) ha riordinato la disciplina esistente dal 1969, ribadendo la necessità di una
relazione contrattuale fra un ente pubblico di qualsiasi livello ed un esercente sia esso pubblico o privato.
È stata confermata anche in questa occasione la possibilità di procedere all'affidamento di tali servizi
senza procedure concorsuali, sebbene a certe condizioni di controllo che gli enti affidatari debbono avere
nei confronti delle società di gestione.
2.2 …dal disegno europeo alle scelte nazionali.
Ampi margini di discrezionalità sono rimasti, quindi, nelle mani degli stati nazionali. Tre sono gli ambiti
di scelta fondamentali: i) il grado di separazione fra rete e servizio effettuare; ii) il mantenimento o meno
dell’incumbent; iii) il tipo di strumenti regolativi.
Si tratta di ambiti di scelta che sono solo in parte indipendenti fra di loro: la questione dell’incumbent è
quella che i policy makers hanno affrontato per prima e che pre-struttura le altre. Scegliere di mantenere un
attore nazionale dominante è l’opzione che lascia maggiori margini di discrezionalità sulla regolazione
degli altri aspetti. Questa soluzione è infatti compatibile con la sola separazione contabile (Italia e
Germania), ma lascia aperte le porte a forme di separazione istituzionale (Francia, Spagna). Lo stesso vale
per gli strumenti di regolazione: il mantenimento dell’incumbent si è dimostrato compatibile sia con il
mantenimento di barriere legali, ove possibili (Francia, Spagna), che con l’introduzione di meccanismi
competitivi. Quest’ultimo è il caso di Italia e Germania, che hanno scelto di contrattualizzare il trasporto
regionale, affidando alle regioni il compito di esternalizzare i servizi. Ne primo caso si è tentato, con
3
risultati negativi, di imporre l‘obbligo di affidamenti competitivi, nel secondo è stata lasciata
discrezionalità agli attori locali. La scelta fatta per il trasporto passeggeri a livello nazionale e per il
comparto merci ha invece premiato la forma di competizione nel mercato, garantendo il libero accesso
all’infrastruttura ad aziende diverse dall’incumbent ed in possesso dei requisiti necessari.
La decisione di smantellare l’azienda di stato, invece, restringe maggiormente le scelte sulle altre due
dimensioni. In questo caso infatti sarà quasi obbligata la scelta di separare la gestione della rete ed affidarla
ad un soggetto terzo; incompatibile con questa soluzione anche il mantenimento di barriere legali. È
questo il caso della Gran Bretagna, dove British Rail (BR) è stata smembrata fra il 1994 e il 1996. Gli asset
sono stati rilevati da circa un centinaio di organizzazioni private, fra cui venticinque operatori dei servizi,
tre società di gestione del materiale rotabile, un gestore dell'infrastruttura.
Tabella 1 – Disegni di policy in cinque paesi europei.
Azienda di
Stato
Gestore
dell'infrastruttura
Lunghe
percorrenze
Servizi locali
Merci
Francia
SNCF
Separazione
istituzionaleibrida
Accesso non
consentito ai
privati.
Contratti di servizio
stipulati fra le regioni e
SNCF.
Protetto fino
al 2007
Germania
DB
Separazione
contabile
Open access.
Contratti di servizio fra i
Länder e gli operatori.
Possibili gare e affidamenti
diretti.
Deregolato
dal 1996
Public Company
Franchises.
Open access
possibile ma
residuale.
Contratti di servizio fra
OPRAF e aziende. Gare
obbligatorie.
Deregolato
dal 1996
Regno Unito Assente
(1996-2002)
Public Body
(2002 onwards)
Italia
FSI
Separazione
contabile
Open access.
Contratti di servizio fra
Regioni e operatori. Gare
obbligatorie.
Deregolato
dal 2001
Spagna
RENFE
Separazione
istituzionale
Accesso non
consentito ai
privati.
Contratti di servizio fra lo
stato e RENFE.
Protetto fino
al 2007
Fonte: Everis 2010; IBM 2011; CER 2011.
Vale la pena anticipare alcuni tratti evolutivi di questo sistema. La rete fu affidata a Railtrack, un soggetto
interamente privato, quotato in borsa nel 1996. Tale assetto cambierà radicalmente a partire dal 2001,
dopo che una serie di gravi incidenti ha permesso al governo labourista di intervenire sulla governance e
riportare la gestione dell’infrastruttura nell’ambito del servizio pubblico, attenuandone significativamente
l’orientamento al profitto, che aveva innescato numerosi conflitti con le aziende di trasporto.
A differenza di Germania e Italia, la contrattualizzazione dei servizi non riguarda solamente il settore
regionale, o comunque le tratte ascrivibili a servizio universale, ma, è stata estesa anche alle tratte premium,
come le principali dorsali che collegano la capitale a Edimburgo e Glasgow e i collegamenti con gli
aeroporti. Il principio che ha guidato i policy makers è stato quello della moderation of competition (ORR 1994),
al fine di dare equilibrio finanziario al sistema e renderlo competitivo con le altre modalità di trasporto.
Si è trattata di una scelta difficile, portata avanti negli anni della riforma dal Ministero dei trasporti e dal
regolatore in pectore, in controtendenza rispetto alle iniziali intenzioni del governo Major (Swift 2000).
In sostanza, nelle tratte profittevoli, l’azienda che si aggiudica il contratto di servizio è tenuta a versare un
4
premio annuo al Ministero dei trasporti, che in questo modo dispone di una quota di risorse da poter
utilizzare per sostenere il servizio universale. Pensata come provvisoria, la franchising policy si è dimostrata
il tratto stabile della politica ferroviaria britannica.
3. Vent’anni dopo: le performance di quattro sistemi ferroviari nazionali
Valutare politiche pubbliche di elevata complessità, come quelle in oggetto, presenta notevoli problemi
di carattere interpretativo. La strada più battuta e che anche qui verrà seguita è quella di confrontare i
principali risultati visibili in termini di efficacia ed efficienza con gli obiettivi di policy. Si tratta di un
passaggio obbligato, ma che presenta delle insidie. Gli obiettivi, presi ad un certo livello di analisi, sono
infatti delle astrazioni rilevabili dal dibattito pubblico, spesso dei fini ufficiali (Perrow 1986) serviti a
legittimare l’introduzione di determinate riforme, ma che raramente sono condivisi dagli attori. La
dimensione temporale delle riforme ferroviarie in questioni, inoltre, rende le preferenze dei principali
player, siano essi regolatori o regolati, soggette a mutamento e contingenze (Bovens and t’Hart 1998).
Classicamente, i principali criteri di valutazione sono riconducibili ai criteri di efficienza ed efficacia, intesi
massimizzazione dei risultati in relazioni alle risorse impiegate e agli obiettivi prefissati.
3.1 Efficienza
Se si tiene conto che una delle principali motivazioni delle numerose riforme intraprese nel settore era la
sicura mala-gestione dei diversi monopoli ferroviari, la valutazione dell’efficienza di queste politiche è un
aspetto decisamente centrale. Gli studi che si sono occupati del tema, tuttavia, si sono principalmente
concentrati sulle performance delle diverse aziende all’indomani delle privatizzazioni e liberalizzazioni
(Gómez-Ibáñez et al. 2006; Tebaldi 2011), rilevando generalmente un aumento della produttività delle
stesse, intesa in termini di incidenza dei costi del lavoro e della quantità di lavoro per addetto. Si tratta
tuttavia di analisi che non forniscono un’indicazione, se non parziale, indiretta e potenzialmente
distorsiva, dell’efficienza dell’intera politica.
Il recente studio di Arrigo e Di Foggia (2013) ha tentato recentemente di ovviare a questo problema,
andando a pesare gli aiuti di stato impiegati, a vario titolo, nei diversi sistemi ferroviari nazionali rispetto
alle principali dimensioni di produzione di servizi ed all’ampiezza dell’infrastruttura. Il quadro che emerge
da questa ricognizione vede fra i paesi più inefficienti l’Olanda, il Belgio e l’Italia, mentre il minor impiego
di risorse pubbliche si registra in Portogallo, Finlandia e Spagna.
Lo studio di Arrigo e Di Foggia, se da un lato ha il merito di fornire degli indicatori che permettono una
facile comparazione fra i sistemi e dell’efficienza con cui impiegano le risorse, dall’altro non tiene conto
del fatto che l’aggregazione degli aiuti di stato in un’unica voce è un’operazione che contiene numerose
insidie. I contributi pubblici all’infrastruttura, i sussidi per i servizi a carattere universale e gli investimenti
in materiale rotabile sono infatti voci molto eterogenee, che andrebbero parametrizzate rispetto ai singoli
programmi di impiego. Quest’operazione però è difficilissima da operare, data la disomogeneità e molto
spesso l’assenza di dati affidabili e disaggregati. Un riferimento al caso Britannico, può comunque essere
utile a mettere in luce i problemi circa la valutazione dell’efficienza di queste politiche
Come accennato nella sezione precedente, le riforme del governo Major intrapresero la scelta – solitaria
– di non sussidiare il gestore dell’infrastruttura. Dal 2002, dopo il fallimento di Railtrack e l’avvento del
soggetto pubblico Network Rail, la spesa pubblica britannica per questo specifico sotto-sistema è schizzata
tanto nella parte corrente che con riferimento agli investimenti e ad oggi la gestione ha costi
strutturalmente più alti rispetto ai benchmark europei di circa il 30%, per ammissione dello stesso
regolatore (ORR, 2011). Al contrario la spesa per sussidi ai servizi a carattere universale hanno subito un
radicale ridimensionamento a partire dal 2007, passando da livelli che superavano il miliardo di sterline
annue ad un esborso compreso fra i 350 e i 500 milioni.
5
Il caso appena citato non smentisce i risultati dell’analisi comparata, ma permette di riflettere criticamente
ed integrare le prospettive più sintetiche e, necessariamente, meno precise sull’efficienza di politiche
complesse come quelle ferroviarie2.
3.2 Efficacia
L’efficacia delle politiche ferroviarie possono essere valutate su due grandi obiettivi: quello della sicurezza,
intesa come riduzione dei diversi tipi di incidentalità, e quello del miglioramento della mobilità, che
assume il trasporto ferroviario come meno impattante sul congestionamento delle arterie stradali e dei
centri urbani. Questo paragrafo si occuperà esclusivamente di questo secondo aspetto in quanto più
direttamente legato all’introduzione delle riforme istituzionali in oggetto3.
Il quesito a cui merita rispondere può infatti essere formulato come segue: è avvenuto il passaggio di
persone e merci dalla strada alla rotaia? Se si, in che misura e quali paesi hanno ottenuto migliori risultati?
Tale domanda è tanto più opportuna se considerata in riferimento all’area dell’Europa a 15, di cui i paesi
esaminati in questo studio costituiscono i bacini di traffico più consistenti. Infatti, è in quest’area che dal
1995 si è assistito ad una significativa redistribuzione degli investimenti nazionali dalle infrastrutture
stradali a quelle ferroviarie, mentre nell’area orientale è avvenuto il trend opposto (ITF – OECD, 2013:
10). È quindi appropriato chiedersi se questo sforzo abbia sortito degli effetti, anche perché l’arco
temporale osservato di oltre due decenni, consente di trarre un primo bilancio.
Le tabelle 2a e 2b riportano i dati Eurostat sulla ripartizione modale del traffico passeggeri e merci e
permette di analizzare il rapporto fra strada e rotaia. L’indicatore utilizzato è la percentuale di passeggerikm e di tonnellate-km effettuate per modalità di trasporto. Non fanno parte di questa analisi i vettori
marittimi ed aerei, per i quali viene adottata una metrica differente. Nonostante i limiti derivanti dal basso
livello di disaggregazione, i dati riportati permettono di fare delle osservazioni preliminari sull’impatto dei
cambiamenti descritti nella sezione precedente sulla ripartizione della mobilità nei diversi sistemi
nazionali.
Nel 1991, anno di entrata in vigore della direttiva 440, i paesi oggetto di analisi potevano essere divisi in
due pattern piuttosto chiari. Francia e Germania presentavano una più pronunciata presenza della
modalità ferroviaria, soprattutto nel settore merci con rispettivamente il 22 ed il 24% delle tonnellate-km
trasportate. Anche i valori relativi al trasporto passeggeri risultavano superiori a quelli espressi dagli altri
paesi, seppur complessivamente contenuti, a fronte di una notevole incidenza della motorizzazione
privata.
Decisamente diverso il pattern presentato da Regno Unito, Italia e Spagna, che privilegia decisamente il
traffico su strada. Nel Regno Unito, il 90% delle merci venivano trasportate su gomma ed una eguale
quota di traffico passeggeri adottava il mezzo privato. La situazione di Spagna e Italia è simile, ma merita
una ulteriore distinzione. In questi due contesti gioca un ruolo rilevante il trasporto pubblico su gomma,
per quanto attiene il settore passeggeri con circa il 13% del mercato.
È opportuno aggiungere in via incidentale, che il caso britannico è stato utilizzato anche in virtù della quantità e delle qualità
dei dati e degli studi che sono pubblicamente accessibili ad un elevato grado di disaggregazione. La presenza di incumbent
pubblici che esercitano servizi di rete e trasporto rende negli altri casi questa ricerca molto più faticosa e infruttuosa con ovvi
limiti in termini di accuratezza nella valutazione delle performance.
3 L’analisi dell’incidentalità ferroviaria rientra poi in un ambito di riflessione accademica che si è ormai consolidato all’interno
dell’analisi organizzativa (Catino 2009). Un secondo motivo che giustifica l’esclusione di questo aspetto è dato dal campione
di paesi esaminati, che non contempla stati appartenenti all’ex Unione Sovietica. La questione della sicurezza, considerata in
termini macroscopici, emerge con chiarezza solo con riferimento a quest’area del mercato comune, mentre i paesi occidentali
presentano da alcuni anni delle performance più che soddisfacenti.
2
6
Tab. 2a. Ripartizione modale nei trasporti terrestri passeggeri (% passeggeri-km)
1991
2000
2005
2012
Treno
Auto
Bus
Treno
Auto
Bus
Treno
Auto
Bus
Treno
Auto
Bus
Germania
Spagna
Francia
Italia
6,9
84,6
8,5
7,7
85,2
7,1
7,5
85,8
6,7
9
85,4
5,7
5,8
80,4
13,7
5,4
81
13,5
5,1
82
12,9
5,6
80,7
13,7
8,8
85,1
6,1
8,6
86,1
5,3
9,1
85,8
5,2
9,5
85,1
5,4
6,7
80,6
12,7
5,7
83,5
10,8
6,0
82,0
12,0
6,1
78,9
15,0
Regno
Unito
5,0
88,2
6,8
5,3
88,2
6,5
5,8
87,9
6,3
8,2
86
5,8
Fonte: Eurostat.
Tab. 2b. Ripartizione modale nei trasporti terrestri merci (% tonn-km)
1991
Ferro
Germania
Spagna
Francia
Italia
Regno
Unito
Gom
ma
2000
Vie
fluvial
i
Ferro
Gom
ma
2005
Vie
fluvial
i
Ferro
Gom
ma
2012
Vie
fluvial
i
Ferro
Gom
ma
Vie
fluvial
i
24,6
58,6
16,7
19,2
65,3
15,5
20,3
66,0
13,6
23,1
64,6
12,3
10,7
89,3
-
7,2
92,8
-
4,7
95,3
-
4,8
95,2
-
22,9
73,3
3,9
20,6
76,0
3,4
16,0
80,5
3,5
15,2
80,6
4,2
12,9
87,1
0,1
11,0
89,0
0,1
9,7
90,3
0
14,0
85,9
0,1
9,9
90,0
0,1
9,8
90,0
0,1
11,7
88,2
0,1
12,1
87,8
0,1
Fonte: Eurostat.
L’evoluzione di questi due indicatori fornisce un’indicazione poco confortante circa le possibilità di
cambiamento del riparto modale che, nei suoi tratti generali sembra sostanzialmente stabile. Si registrano
tuttavia dei fenomeni di cambiamento che, dato il basso livello di disaggregazione dei dati, possono celare
dei mutamenti di un certo rilievo. L’istantanea scattata nel 2012 vede, per il settore passeggeri, tre paesi
che hanno aumentato le performance dei loro settori ferroviari: Germania, Francia e Gran Bretagna. In
particolare quest’ultima sembra aver ottenuto il cambiamento più rilevante, con la quota di passeggeri
trasportati su rotaia che passa dal 5 al 8,2%. L’interpretazione di questi trend va tuttavia presa con
attenzione. Come detto, l’indicatore considera i passeggeri-km, un’unità di traffico composta dal singolo
passeggero moltiplicato per la distanza percorsa. Tale indicatore potrebbe quindi sovrastimare l’effettivo
aumento di passeggeri in quei sistemi ferroviari dove la componente lunghe percorrenze è
particolarmente sviluppata e competitiva, come nel caso francese4. Un’analisi più dettagliata delle
variazioni del numero assoluto degli utenti dei servizi ferroviari restituisce infatti un’immagine che premia
maggiormente Germania e Gran Bretagna.
Secondo le elaborazioni Eurostat (2010), nel 2008 i passeggeri-km effettuati in Francia sulle linee ad alta velocità
rappresentavano il 61% del totale, contro il 23% della Germania ed il 18% dell’Italia. Se si considerano i passeggeri in termini
assoluti, quelli trasportati dai TGV nello stesso anno ammontano a solo il 10,5% del totale.
4
7
Fig 1. Numero di viaggiatori 1995 -2012 (milioni)
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
1995
2000
Germany
Spain
2005
France
Italy
2012
United Kingdom
Fonte: Eurostat; Conto Nazionale dei Trasporti (Italia 2012); Office of Rail Regulation (UK 1995 e 2000); Statistisches Bundesamt (Germania
1995 e 2000); Comptes del Transports (Francia 1995 e 2000)
Nel primo caso la variazione è interamente da imputare all’aumento del traffico dei servizi regionali e
sub-urbani, con particolare riferimento ai sistemi S-Bahn, concepiti negli anni ’30 e diffusi dagli anni ‘70
nelle più vaste aree urbane come risposta al problema del congestionamento del traffico. Le lunghe
percorrenze, nonostante la loro de-regolazione, vedono ancora solo DB come operatore ed un livello di
domanda soddisfatta leggermente in calo. Nel caso britannico, invece, l’aumento della domanda
soddisfatta riguarda entrambi i comparti. Si è mantenuto stabile il quadro in Italia, mentre il dato
spagnolo, non disponibile per anni precedenti al 2003, sembra in controtendenza. I dati di Italia e Spagna
vanno letti con riferimento alla forte presenza del trasporto pubblico su gomma, che si è ritagliato negli
anni un’elevata quota di mercato anche nelle medie e lunghe distanze. Per quanto riguarda il caso italiano,
questa modalità di trasporto risulta essere particolarmente rilevante con riferimento al meridione del
paese, dove sono concentrate il 56% delle imprese che effettuano servizi a carattere nazionale o
internazionale (MIT 2012: 161-2).
Per quanto riguarda il settore merci, la tendenza generale è quella di un progressivo indebolimento del
settore. Il risultato più brillante appare, paradossalmente, la stabilità del contesto tedesco, che mantiene
una quota di traffico merci su ferro in linea con quella del 1991 (23%), anche se nei vent’anni trascorsi vi
è stata una flessione. Drammatica appare la situazione di Francia e Spagna. In entrambi i paese il trasporto
merci su ferro ha perso rilevanti quote di mercato nei confronti della strada. Come vedremo nella sezione
successiva, se per la Spagna questo cambiamento è coerente con la precedente struttura del mercato, nel
caso francese il mutamento deve essere interpretato alla luce del rio-orientamento strategico dell’incumbent.
Tendenzialmente stabile il dato relativo a Regno Unito e Italia, con quest’ultima che mostra segni di
inversione di tendenza.
La figura due riassume l’andamento del trasporto merci dal 2003 al 2012. Fino all’inizio della crisi, i paesi
in cui la quantità di merci trasportate è aumentata maggiormente sembrano essere Italia e Germania. In
Spagna e nel Regno Unito questa modalità di trasporto ha aumentato i volumi nei primi due anni, per poi
ritornare su livelli precedenti o crollare nettamente, come nel caso spagnolo. Tutti e quattro i casi
dimostrano una ripresa dei traffici a partire dal 2009, toccando livelli del 20-30% superiori al 2003 per
quanto riguarda Italia, Germania e Italia, mentre la Spagna è ritornata sul livello del 2003. Particolarmente
positiva la performance britannica nel post-crisi.
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Fig. 2 Evoluzione trasporto merci su ferro - 2003:100 (tonnellate trasportate)
150
140
130
120
110
100
90
80
70
60
2003
2004
2005
Germany
2006
Spain
2007
2008
France
2009
Italy
2010
2011
2012
United Kingdom
Fonte: Eurostat
Decisamente negativo il trend della Francia, in cui il declino del trasporto merci è indipendente dal ciclo
economico ed è riconducibile ad una scelta strategica dell’operatore dominante. In questo caso è
interessante il confronto con l’Italia, dove il gruppo Fsi ha parimenti fatto registrare volumi di traffico in
progressivo calo, tuttavia l’affermarsi di operatori privati sin dal 2001 ha consentito di incrementare le
performance del comparto (Censis 2010).
Nella sezione successiva verranno analizzati i principali processi che hanno interessato il campo
ferroviario negli ultimi vent’anni. Si cercherà di mettere in connessione le performance ora emerse con i
disegni istituzionali presentati nella sezione precedente.
4. Strutturazione degli interessi e processi
In questa sezione di darà conto della dimensione processuale delle politiche ferroviarie nazionali. La
narrazione terrà conto di tre aspetti: i) gli strumenti della regolazione, ii) gli attori della regolazione e iii)
le principali strategie dei gruppi nazionali alla luce del nuovo contesto strategico. Si tratta di aspetti che
in larga misura interagiscono fra loro e che si terranno distinti principalmente a fini analitici. L’obiettivo
è quello di interpretare il nesso esistente fra l’efficacia delle politiche e le diverse scelte istituzionali.
4.1 L’evoluzione degli strumenti della regolazione
Come emerso nella seconda sezione, il mercato ferroviario è composto da diversi segmenti, ognuno dei
quali ha un regime di regolazione differenziato. Per il trasporto merci, dal 2007 è previsto il libero accesso
all’infrastruttura in tutti i paesi UE; lo stesso vincolo è attivo dal 2010 per il trasporto internazionale
passeggeri. Restano dunque in mano agli stati membri le decisioni relative al trasporto passeggeri di lunga
e breve percorrenza.
Fra i paesi presi in considerazione sono emersi due orientamenti stabili. Da una parte Francia e Spagna
hanno mantenuto un profilo di chiusura, con barriere legali all’acceso a protezione dei campioni nazionali
SNCF e RENFE. Questi possono infatti sfruttare a pieno i propri servizi premium, generalmente relativi
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alle infrastrutture AV ed esercitano il trasporto regionale che è stato devoluto alle regioni nel caso
francese, mentre è rimasto in capo allo stato in quello spagnolo5.
Germania, Italia e Regno Unito hanno invece intrapreso percorsi di liberalizzazione del mercato, con
scelte che però sono state differenziate a proposito degli strumenti e della loro calibrazione. I primi due
hanno deregolato il trasporto merci e passeggeri (nazionale) molto in anticipo rispetto ai vincoli
comunitari (rispettivamente 1994 e 2001). Analoghe sono state anche le scelte rispetto ai servizi locali,
affidati alle regioni e finanziati attraverso trasferimenti del governo centrale. Se il disegno di policy è simile
nei suoi tratti generali, gli strumenti utilizzati hanno avuto una calibrazione differente. Se nel caso tedesco
la de-regolazione delle tratte nazionali non prevede sussidi per servizi eventualmente non
economicamente sostenibili come gli Intercity, in Italia è stato introdotto nel 2002 un apposito contratto
di servizio affidato a Trenitalia, per coprire parte dei costi sostenuti dalla società. Anche con riferimento
al trasporto regionale il contesto tedesco si è dimostrato sostanzialmente stabile: i Länder hanno avuto dal
1996 la possibilità di organizzare nella più ampia autonomia i servizi, poggiando su strutture di
implementazione in larga parte preesistenti e progettate per integrare modalità diverse di trasporto.
Queste possono quindi impiegare con flessibilità i trasferimenti ingenti6 di cui dispongono, fissati per
legge e indicizzati. Il caso italiano ha avuto un’evoluzione assai più turbolenta. Il disegno di policy iniziale
prevedeva infatti l’obbligo per le regioni di affidare i servizi tramite gara. L’entrata in vigore di tale norma
è stata però prorogata di anno in anno fino al 2007. In questo periodo, poche sono state le esperienze di
messa a gara del servizio e gli esiti hanno premiato l’incumbent o si sono conclusi in un nulla di fatto. Il
quadro non è cambiato all’indomani dell’entrata in vigore dell’obbligo di gara, che è rimasto largamente
inattuato (Di Giulio 2011). Tale strumento è stato successivamente oggetto di scambio politico: il governo
Berlusconi ha infatti concesso la possibilità di affidamento diretto e previsto contratti d servizio di
maggior durata, ottenendo da FSI un piano di investimenti su materiale rotabile. Due anni più tardi,
l’esecutivo Monti ha invece operato una netta inversione, reintroducendo le gare.
Il caso britannico presenta caratteri peculiari. Contrariamente alla vulgata comune, le politiche di market
building nel settore ferroviario non sono state all’insegna della de-regolazione selvaggia. Al contrario, sono
riscontrabili tratti di iper-regolazione (Power 2002; Moran 2003) che hanno caratterizzato in particolar
modo l’avvio di questa politica incentrata su numerosi rapporti contrattuali fra operatori, gestore della
rete e proprietari dei rotabili. L’avvento del Labour ha avviato un lungo processo di razionalizzazione delle
governance che permettesse maggiore flessibilità al comportamento degli attori. I buoni risultati in termini
di efficacia complessiva nel settore passeggeri e di efficienza nell’allocazione dei sussidi sono stati
realizzati grazie alla costituzione di un gestore della rete non profit-oriented ed una franchising policy che
ha mirato al consolidamento industriale dei gruppi, attraverso aree di traffico più grandi e contratti di
servizio più lunghi e flessibili (Dft 2007; 2010).
4.2 I soggetti della regolazione
In principio era il monopolio. Sino al 1991, la regolazione del settore ferroviario rientrava nella più classica
concezione della burocrazia di massa e si giocava in un rapporto osmotico fra azienda ferroviaria e
ministero competente. Tale rapporto diviene tuttavia incompatibile con i disegno comunitario per la
creazione di un mercato comune del trasporto ferroviario. Per permettere ad operatori diversi
dall’incumbent di operare dei servizi di trasporto sulle infrastrutture nazionali occorreva infatti operare sul
piano tecnologico-organizzativo con un processo di disintegrazione verticale e, su quello istituzionale con
la creazione di un ambiente regolativo il più possibile neutrale.
Con riferimento alla gestione dell’infrastruttura è il contesto britannico a registrare il maggior
cambiamento. Railtrack, dal 1996 gestore privato e non finanziato da contributi pubblici, è stato costretto
Esistono tuttavia eccezioni per le comunità autonome, alcune delle quali gestiscono direttamente i rapporti contrattuali con
RENFE.
6 Il tema degli extra-sussidi concessi in Germania è stato oggetto di riflessione accademica (Beck 2011) e di battaglia politica
europea e nazionale, portata avanti dai soggetti privati che da tempo lamentano un trattamento privilegiato a DB attraverso la
pratica degli affidamenti diretti.
5
10
al fallimento dal Tesoro e sostituito da un ente autonomo finanziato con ingenti trasferimenti di risorse
pubbliche. Negli altri paesi le scelte iniziali sono state rispettate, anche se spesso messe in discussione
nell’agenda politico-istituzionale. Il modello di separazione istituzionale promosso in Spagna nel 2000 è
in linea con le indicazioni comunitarie in tema, mentre maggiori perplessità riguardano la soluzione
francese. In questo caso la rete è stata scorporata dal patrimonio di SNCF nel 1996 ed affidata ad un ente
pubblico quale RFF. Questo però esternalizza tutte le operazioni di manutenzione alla stessa SNCF, che
ottiene in cambio un corrispettivo per le prestazioni fornite. Se considerata insieme alla sostanziale
chiusura del mercato interno, questa soluzione organizzativa appare più orientata al potenziamento del
campione nazionale, piuttosto che all’introduzione di maggiore trasparenza7.
In Italia e Germania ha resistito il modello integrato, in cui l’infrastruttura è gestita da una società facente
parte della holding di stato. In entrambi i casi si sono aperte delle finestre di opportunità che hanno reso
possibile un’alterazione di questo equilibrio. In Italia la separazione istituzionale è stata promossa dal
ministro per le attività produttive Lunardi, nel 2001, e riproposta dal governo Monti dieci anni dopo,
caldeggiata dal sottosegretario alla presidenza Catricalà, in precedenza presidente dell’AGCM e avversario
di FSI sui temi della regolazione. In Germania lo scorporo della rete da DB è un tema che ha incontrato
stabilmente il consenso di Liberali e Verdi. Questa trasversalità non ha permesso un’alterazione dello
status quo ed il principale tentativo di privatizzazione dalla Reform del 1993, che prevedeva la quotazione
del 25% di una ramo d’azienda, è naufragato nell’ottobre del 2008 per l’avvento della crisi sui mercati
finanziari. In entrambi i paesi, il modello va incontro alle aspettative dei sindacati, che possono disporre
di maggiore discrezionalità nelle relazioni industriali e contare su un mercato del lavoro interno ad una
grande organizzazione (Bahninterne Arbeitsmarkt); dal punto di vista operativo, permette un maggior
coordinamento delle operazioni di investimento e gestione. I sostenitori di questo modello, sia all’interno
delle arene nazionali che sullo scenario europeo, possono contare sul fallimento dell’esperienza
britannica: sotto accusa per l’elevata conflittualità che Railtrack aveva con le compagnie di trasporto, edil
livello dei costi, gonfiati dopo il suo fallimento e superiori a quelli delle sistemi integrati.
Anche sul fronte istituzionale il caso britannico ha mostrato maggiore attitudine al cambiamento ed anche
in questo caso, l’evento scatenante è stato il fallimento di Railtrack. Questo infatti ha permesso al governo
labourista di rivedere la governance pensata nel 1993, che prevedeva un regolatore monocratico e
plenipotenziario sulla determinazione dei canoni di accesso all’infrastruttura e la determinazione delle
penali da applicare ai diversi soggetti per inadempienze contrattuali. La determinazione dei contratti di
servizio era invece devoluta all’Office for Passenger Rail Franchising (OPRAF), un’agenzia legata al ministero
dei trasporti. A partire dal 2005 il regolatore è stato fuso con la Strategic Railways Authority, un’agenzia
creata nel 1999 per definire e incentivare schemi di investimento su rete e rotabili, e ha acquisito
competenze in materia di sicurezza ferroviaria, mentre il ministero dei trasporti ha sostituito l’OPRAF
nella franchising policy inglese e gallese, mentre i servizi scozzesi sono stati devoluti a Edimburgo (Gourvish
2008).
Le esperienze continentali hanno intrapreso percorsi più omogenei e meno invasivi. I ministeri dei
trasporti (o equivalenti) hanno mantenuto la maggior parte delle competenze all’indomani delle riforme
degli anni ’90. Un’eccezione in questo senso è costituita dalla Germania, che nella Bahnreform del 1993 ha
previsto la costituzione di un ente ferroviario (Eisenbahn-Bundesamt - EBA) dedito al rilascio dei certificati
di sicurezza ed alle licenze e costituito da personale degli enti pubblici dell’est e dell’ovest. Sempre in
Germania, la Bundesnetzagentur (Autorità delle reti) ha acquisito dal 2006 competenze regolative in materia
ferroviaria, con poteri para-giurisdizionali sulla gestione dell’infrastruttura, mentre l’EBA rimane
competente per la sicurezza ferroviaria. Vere e proprie autorità di regolazione hanno fatto fatica ad
affermarsi in Italia, Francia e Spagna. Nel primo caso è stata costituita l’Autorità Nazionale per la
Sicurezza Ferroviaria nel 2006. Nel 2012-13, il governo Monti ha istituito l’Autorità dei Trasporti, con
competenze che riguardano teoricamente tutte le modalità, ma sono certamente più stringenti in
È stato infatti notato come RFF sia servita a sgravare SNCF da una notevole parte dei debiti pregressi, permettendo così il
suo riposizionamento strategico nel mercato internazionale (Lang 2008; Barone 2011). Tale assetto è in fase di riforma proprio
mentre questo paper viene scritto (luglio 2014), verso una più compiuta separazione istituzionale che punta a fondere RFF alla
società di SNCF che si occupa dell’infrastruttura. Tale progetto riscontra tuttavia forti resistenze sindacali.
7
11
riferimento alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria ed al trasporto pubblico locale. La Spagna ha
recepito al minimo le indicazioni europee sulle autorità, costituendo un comitato interno al ministero,
una soluzione già percorsa in Italia e che ha dimostrato di non fornire garanzie di indipendenza (Boitani
e Ramella 2012). La Francia si è dotata di un regolatore ferroviario nel 2010, ma la sua efficacia è ancora
difficile da determinare data la chiusura del mercato interno.
4.3 L’evoluzione del mercato e le strategie dei gruppi
Abbiamo osservato l’evoluzione del contesto regolativo le scelte organizzative rispetto agli incumbent
nazionali. I due aspetti sono in realtà interagenti e si proverà ora a dare conto di questa dimensione
strategica. L’apertura de mercati nei servizi pubblici su scala europea e mondiale costituisce una ghiotta
occasione per le aziende nazionali, che possono pensare di espandersi internazionalmente ed aumentare
il proprio giro d’affari. Il settore del trasporto pubblico costituisce un punto d’osservazione privilegiato
per osservare queste dinamiche.
Le politiche di liberalizzazione del trasporto pubblico, se da un lato hanno avuto effetti divergenti e tutto
sommato contenuti su principali obiettivi dichiarati dei policy makers comunitari, è certo che hanno alterato
la composizione dei mercati nazionali. Nel Regno Unito, lo smembramento di BR ha permesso i
consolidamento di gruppi privati nazionali come National Express e First, che hanno avuto la possibilità
di allargare il proprio domain dal trasporto su gomma a quello su ferro. Questo consolidamento ha
successivamente permesso l’espansione internazionale di queste aziende, il cui giro d’affari è oggi
fortemente dipendente dalla gestione di servizi pubblici negli USA, Australia, Nuova Zelanda e Spagna.
Al tempo stesso, il mercato è stato ricettivo rispetto a soggetti esteri che si sono progressivamente inseriti
aggiudicandosi contratti di servizio o direttamente acquistando operatori locali. Rilevanti anche i segnali
di apertura nei mercati continentali, dove queste politiche hanno dovuto fare i conti con la presenza di
incumbent e delle loro esigenze industriali.
In Germania è particolarmente sviluppata la concorrenza nel trasporto locale, i cui elevati sussidi
garantiscono una buona redditività. Qui i new comers sono potuti entrare gradualmente, acquistando asset
da aziende locali o dalla stessa DB. Le operazioni di vendita dell’operatore nazionale hanno così
contribuito a sostenere la sua espansione nei mercati esteri, iniziata nel 2002 con l’acquisto di Shenker e
culminata nel 2010 con quello di Arriva, uno dei principali attori del mercato inglese, con servizi gestiti in
Italia, Polonia, Repubblica Ceca etc. Il pattern seguito da SNCF è analogo. Nel 1996 ha acquistato Geodis,
leader nella logistica nazionale e con una buona propensione ai mercati esteri, mentre nel 2001 ha dato
vita a Keolis, una joint venture con la Cassa Depositi e Prestiti del Quebec, attiva a livello internazionale
nella mobilità locale. Fra il 2000 e il 2013, SNCF e DB hanno entrambi raddoppiato la propria scala,
tuttavia mantengono dei profili differenziati. Il gruppo francese appare più concentrato sul domain
nazional, dove ottiene il 75% del fatturato (2013) ed in particolare sui settori protetti del trasporto
passeggeri, fra cui spicca il segmento AV. Con l’acquisto di Geodis, le strategie di SNCF nei confronti del
settore merci sono virate decisamente sul trasporto su gomma, come emerso in precedenza. L’espansione
di DB ha invece accresciuto notevolmente il grado di penetrazione internazionale, con un fatturato estero
pari al 45% dei ricavi annui nel 2013. Contrariamente a SNCF, l’acquisto di un player logistico globale
come Shenker non ha significato l’abbandono del comparto merci su ferro, che aumenta annualmente in
termini di volumi e capacità di penetrazione in nuovi mercati, come quello britannico.
Le performance aziendali di FSI hanno dimensioni minori, data la minore scala di partenza e le peggiori
condizioni economico-finanziarie al momento massimo dell’apertura dei mercati. Tuttavia, a fronte di un
mercato interno che vede un crescente dinamismo dei soggetti privati nel settore merci e nell’alta velocità
e la difficoltà di creare un mercato regolato con dei ragionevoli margini di profitto nei servizi locali, le
strategie del gruppo hanno fatto registrare un interesse verso opportunità estere. In particolare la
Germania costituisce lo sbocco privilegiato di TX Logistics, uno dei principali operatori merci alternativi
a DB che con Netinera nel trasporto locale.
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5. Osservazioni conclusive
Tirare le somme dell’evoluzione ventennale di una politica tanto complessa è operazione delicata, specie
se l’obiettivo di fondo è capire se un determinato insieme di cambiamenti istituzionali abbia avuto effetto
oppure non.
Un primo punto da fissare è la complessiva limitatezza dei risultati raggiunti se confrontati con le
aspettative della vigilia. Il radicale modal shift dalla strada alla rotaia non è avvenuto, nonostante
investimenti e regole – a livello macro – abbiano spinto in quel senso. Troppo forte appare oggi il
vantaggio competitivo del trasporto su gomma, la cui capillarità incontra oggi perfettamente le esigenze
just in time del commercio on-line, i cui volumi crescono di anno in anno. Pesa anche la delocalizzazione
della produzione dell’industria pesante, che da sempre costituisce il principale committente del trasporto
su ferro.
Al di là di questi trend globali, differenze nazionali esistono, producono degli effetti significativi, anche
se non macroscopici. Se facciamo riferimento al trasporto passeggeri, Germania e Regno Unito sono
emersi come i due paesi in cui maggiore è stato l’incremento di utenti dei servizi ferroviari in termini
assoluti. Con l’aggiunta dell’Italia, lo stesso discorso è valido per il trasporto merci. Questo dato, con tutti
i suoi limiti, sembra suggerire che la creazione di un contesto competitivo possa avere in fondo effetti
positivi ed in linea con le aspettative. Occorre intendersi però su cosa significhi ‘competizione’ nei due
specifici contesti, quello del trasporto merci e quello della mobilità passeggeri.
Nel primo caso, infatti, i buoni risultati sono ascrivibili alla concezione standard di ‘competizione’ fra
attori economici. Fare impresa ferroviaria in questo comparto è infatti più semplice e maggiore è il grado
di de-regolazione. Il confronto Francia-Italia fornisce un’efficacie rappresentazione dei meccanismi
all’opera: in entrambi i casi gli incumbent hanno abbandonato il settore merci nazionale, ma se nel caso
francese questa scelta impatta direttamente sulla performace del paese, l’esperienza italiana dimostra invece
come la precoce de-regolazione del mercato abbia permesso ad operatori privati di sostenere e, in parte,
rilanciare il settore.
Diverso il discorso per quanto riguarda il comparto passeggeri. In questo caso l’efficacia delle
performance non sono riconducibili a fenomeni di competizione nel mercato. Nel caso tedesco infatti, la
componente de-regolata – le lunghe percorrenze – ha infatti perso e non guadagnato passeggeri. Questi
sono invece aumentati in maniera rilevantissima nel trasporto locale, regolato da affidamenti spesso
ventennali a DB o altri operatori. Lo stesso discorso vale per il Regno Unito sia nella mobilità locale che
nelle lunghe percorrenze, anche queste oggetto di contratto fra operatore e Ministero dei trasporti. Il
successo di queste politiche della mobilità non va quindi ricercato in meccanismi competitivi semplici.
Sembra piuttosto il frutto di rapporti contrattuali molto complessi, regolati in maniera più informale nel
caso tedesco, dove prevalgono gli affidamenti diretti di lungo termine, e più regolato in quello britannico.
In entrambi i casi, però, le esigenze regolative sono riuscite a coesistere con quelle d’impresa. In questo
caso l’esempio italiano fornisce, in negativo, una possibile conferma di questo argomento. La regolazione
del trasporto ferroviario regionale ha infatti ricercato in maniera assidua il modello contrattuale perfetto
da applicare rigidamente a tutte le regioni: entità media dei sussidi, durata dei contratti, obbligatorietà
delle gare. Si è tentato di fare troppo ed in maniera contraddittoria: il servizio è stato regionalizzato, come
in Germania, ma si è preteso che le regioni implementassero questo disegno allo stesso modo. Si è
ripetutamente cercato di imporre gare obbligatorie, come nel Regno Unito, ma questo è risultato
incompatibile con le capacità amministrative di gran parte delle Regioni.
In conclusione, si può affermare che cambiamenti epocali sono forse fuori dalla portata degli strumenti
di policy di cui si è spesso a disposizione. Nonostante ciò, risultati importanti possono essere raggiunti, ma
difficilmente provengono da una ricetta unica. Sembrano piuttosto riconducibili da una capacità di
adattare singoli strumenti a livello locale e di calibrarli secondo le esigenze.
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