GUIDA AI RIFIUTI PROFESSIONALI

GUIDA AI
RIFIUTI PROFESSIONALI
RIFIUTI PROFESSIONALI
DA PROBLEMA A SOLUZIONE
A cura di
Paolo Pipere
INDICE
A cura di
Paolo Pipere
RIFIUTI PROFESSIONALI
pag 04
CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI
pag 06
RIFIUTI ASSIMILATI AGLI URBANI
pag 07
RIDUZIONE DELLA TASSA COMUNALE SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI
pag 08
RIFIUTI PERICOLOSI E NON PERICOLOSI
pag 10
INDIVIDUARE UN RIFIUTO PERICOLOSO pag 12
IL PROCESSO DI ATTRIBUZIONE DEI CODICI
pag 13
PRODUZIONE DI RIFIUTI SPECIALI: GESTIONE E ADEMPIMENTI
pag 15
IL DEPOSITO TEMPORANEO
pag 15
FORMULARI DI TRASPORTO
pag 16
REGISTRI DI SCARICO E SCARICO
pag 19
REGISTRAZIONE DEI MOVIMENTI DI CARICO DEL RIFIUTO
pag 22
REGISTRAZIONE DEI MOVIMENTI DI SCARICO DEL RIFIUTO
pag 22
LA RETTIFICA DEGLI ERRORI
pag 22
L’AVVIO AL RECUPERO O ALLO SMALTIMENTO
pag 23
LA VALUTAZIONE DELLA POSSIBILITÀ DI TRASPORTO CON MEZZI AZIENDALI
pag 23
SELEZIONE DEI TRASPORTATORI
pag 24
SELEZIONE DEGLI IMPIANTI DI DESTINAZIONE
pag 25
IL MODELLO UNICO DI DICHIARAZIONE AMBIENTALE
pag 26
SISTRI – SISTEMA PER IL CONTROLLO DELLA TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI
pag 28
APPENDICE 1
DISMISSIONE DI BENI AZIENDALI
pag 34
RIFIUTI PROFESSIONALI
Le imprese producono rifiuti di diversi tipi: d’ufficio, derivanti da lavorazione
industriale o artigianale, da costruzione e demolizione, da attività
commerciali o di servizio, ma questi scarti solo in parte possono essere
affidati al servizio pubblico di raccolta.
«
“Rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si
disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi.
(D.Lgs. 152/2006, art. 183, comma 1)
Le tipologie di rifiuti che non sono raccolte e gestite dal servizio comunale
devono essere avviate al recupero o allo smaltimento dall’impresa che le
ha prodotte.
Le aziende sono obbligate a garantire la corretta gestione dei propri rifiuti
e perciò devono:
- conoscere la composizione e le eventuali caratteristiche di pericolo dei
propri rifiuti;
- scegliere fornitori di servizi di trasporto, di recupero e di smaltimento
dotati di specifiche autorizzazioni;
- preparare una serie di documenti per dimostrare di aver rispettato le
prescrizioni contenute nelle leggi applicabili.
«
Il produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provvedono
direttamente al loro trattamento, oppure li consegnano
ad unintermediario, ad un commerciante, ad un ente o
impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti,
o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta
dei rifiuti.
(D.Lgs. 152/2006, art. 183, comma 1)
Affidare i rifiuti che derivano dall’esercizio della propria attività a soggetti
privi delle autorizzazioni necessarie, anche nel caso in cui si tratti di scarti
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«
non pericolosi e in apparenza “banali”, espone l’impresa a pesanti sanzioni.
Colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il
recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che
gli stessi siano debitamente autorizzati allo svolgimento
di dette attività, con la conseguenza che l’inosservanza di
tale elementare regola di cautela imprenditoriale è idonea a
configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione
di rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in
assenza del prescritto titolo abilitativo.
Cass. Pen. Sez. III n. 29727 dell’11/07/2013
La classificazione costituisce il prerequisito irrinunciabile per impostare
correttamente la gestione dei rifiuti. Adempimenti amministrativi, modalità
di deposito temporaneo dei rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti,
scelta dei fornitori di servizi di trasporto, recupero e smaltimento, oltre
che sanzioni variano in relazione alla classificazione del rifiuto.
«
1. Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto,
recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di
rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione
o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211,
212, 214, 215 e 216 è punito:
a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con
l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se
si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con
l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se
si tratta di rifiuti pericolosi.
2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese
ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano
in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle
acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di
cui all’articolo 192, commi 1 e 2.
D.Lgs. 152/2006, art. 256 - attività di gestione di rifiuti non autorizzata
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CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI
RIFIUTI ASSIMILATI AGLI URBANI
La classificazione di base è articolata sia sul criterio dell’origine – che porta
a distinguere tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, sia su quello della pericolosità
– che differenzia i rifiuti non pericolosi da quelli pericolosi.
I rifiuti derivanti dall’esercizio di un’attività economica, quindi i rifiuti
prodotti da imprese, enti e liberi professionisti, sono da classificare come
“rifiuti speciali”.
È importante considerare che per molte tipologie di rifiuti sono previste
norme specifiche; tali disposizioni a volte si affiancano e a volte si
sostituiscono a quelle di carattere generale, rendendo assai complessa
l’individuazione dei concreti comportamenti prescritti al produttore del
rifiuto.
I rifiuti prodotti dalle imprese possono essere “assimilati ai rifiuti urbani per
qualità e quantità”: il Comune, sulla base di un elenco definito dallo Stato
con delibera del Comitato interministeriale sui rifiuti del 27/7/1984, può
definire quali tipologie di scarti, tra quelli non pericolosi con composizione
analoga a quella dei rifiuti domestici, accettare di ritirare dalle imprese
nell’ambito del normale servizio di raccolta.
I rifiuti, secondo quanto disposto dall’art. 184, comma 1,
del D.Lgs. 152/2006, sono classificati:
• secondo l’origine in:
– rifiuti urbani;
– rifiuti speciali;
• secondo le caratteristiche di pericolosità in:
– rifiuti non pericolosi;
– rifiuti pericolosi.
Per realizzare una corretta classificazione del rifiuto sono decisive non soltanto
le informazioni relative alla composizione e alle proprietà del rifiuto, ma anche
la conoscenza dettagliata dell’attività economica, e a volte dello specifico
processo produttivo, che lo ha generato. V’è differenza, infatti, fra rifiuti
derivati da lavorazioni artigianali e rifiuti che un’attività artigianale ha generato
depurando le acque di scarico o abbattendo le emissioni in atmosfera, solo
per citare alcune delle distinzioni da operare.
È indispensabile segnalare, infine, che rifiuti con le medesime caratteristiche
chimico-fisiche o merceologiche possono richiedere caratterizzazioni
analitiche, adempimenti e modalità di gestione diversi nei casi in cui, ad
esempio, siano conferiti o meno al servizio pubblico di raccolta, siano
destinati allo smaltimento in discarica o siano presi in carico da impianti
autorizzati ad effettuare operazioni preliminari rispetto a quelle di effettivo
smaltimento o recupero.
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In particolare, possono essere conferiti al servizio pubblico di raccolta:
• i rifiuti speciali assimilati agli urbani (che a seguito dell’assimilazione
operata dal Comune con Regolamento divengono, nonostante la
provenienza, rifiuti urbani);
• i rifiuti speciali assimilabili agli urbani (questi ultimi sono costituiti
da tipologie di rifiuti che hanno caratteristiche e composizione
merceologica tali da consentirne il recupero o lo smaltimento in
impianti originariamente progettati per il trattamento di rifiuti urbani),
nel caso in cui il Comune abbia attivato specifici servizi di raccolta, e
previa convenzione.
Gli adempimenti prescritti alle imprese e agli enti variano in relazione alla
concreta modalità di conferimento dei rifiuti al servizio pubblico.
Il conferimento al servizio pubblico di raccolta di rifiuti speciali assimilati
agli urbani in quantità inferiori ai limiti previsti dal regolamento comunale,
nel caso in cui il ritiro avvenga presso le imprese, non comporta alcun tipo
di adempimento.
Esclusivamente queste tipologie di rifiuti generati dalle imprese possono
essere lecitamente affidati al concessionario del servizio pubblico di
raccolta, tutti gli altri rifiuti dovranno, invece, essere avviati al recupero o
allo smaltimento a cura e onere del produttore.
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RIDUZIONE DELLA TASSA COMUNALE
SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI
In riferimento alle imposte connesse alla raccolta e al recupero o allo
smaltimento dei rifiuti la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità
2014), art. 1, comma 649 ha precisato che: “Nella determinazione della
superficie assoggettabile alla TARI, non si debba tenere conto di quella parte
di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui
smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori,
a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla
normativa vigente”.
Il Comune con proprio regolamento è tenuto a individuare le aree di
produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime
e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di
queste attività produttive “ai quali si estende il divieto di assimilazione”.
La norma stabilisce, quindi, che sia per le superfici aziendali dove si
producono rifiuti speciali non assimilabili agli urbani sia per i magazzini di
materie prime e di prodotti finiti funzionali all’esercizio di queste attività
economiche vige il “divieto di assimilazione”, per questo motivo le aree
aziendali che generano rifiuti speciali per i quali vige questo divieto non
dovranno essere considerate ai fini della determinazione dell’entità della
tassa.
Inoltre, nel regolamento comunale devono essere previste per i produttori
di rifiuti speciali assimilati agli urbani: “Riduzioni della quota variabile
del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che
il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite
soggetti autorizzati”.
La scelta del legislatore è stata quella di evitare un doppio onere per le
imprese: quello costituito dalla tassa e quello connesso ai costi di trasporto
e di avvio al recupero dei rifiuti che, essendo stati avviati autonomamente
al recupero, non hanno gravato sui costi di gestione del servizio pubblico
di raccolta dei rifiuti urbani e assimilati.
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Elenco esemplificativo dei rifiuti assimilabili agli urbani
punto 1.1.1. lettera a) della Deliberazione citata.
-imballaggi in genere (di carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili);
-contenitori vuoti (fusti, vuoti di vetro, plastica e metallo, latte o lattine
e simili);
-sacchi e sacchetti di carta o plastica; fogli di carta, plastica, cellophane;
-cassette, pallet;
-accoppiati quali carta plastificata, carta metallizzata, carta adesiva,
carta catramata, fogli di plastica metallizzati e simili;
-frammenti e manufatti di vimini e di sughero;
-paglia e prodotti di paglia;
-scarti di legno provenienti da falegnameria e carpenteria, trucioli
e segatura;
-fibra di legno e pasta di legno anche umida, purché palabile;
-ritagli e scarti di tessuto di fibra naturale e sintetica, stracci e juta;
-feltri e tessuti non tessuti;
-pelle e similpelle;
-
gomma e caucciù (polvere e ritagli) e manufatti composti
prevalentemente da tali materiali, come camere d’aria e copertoni;
-resine termoplastiche e termoindurenti in genere allo stato solido
e manufatti composti da tali materiali;
-rifiuti ingombranti analoghi a quelli di cui al punto 2) del terzo comma
dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del
1982;
-imbottiture, isolanti termici ed acustici costituiti da sostanze naturali
e sintetiche, quali lane di vetro e di roccia, espansi plastici e minerali,
e simili;
-moquette, linoleum, tappezzerie, pavimenti e rivestimenti in genere;
-materiali vari in pannelli (di legno, gesso, plastica e simili);
-frammenti e manufatti di stucco e di gesso essiccati;
-manufatti di ferro tipo paglietta metallica, filo di ferro, spugna di ferro
e simili;
-nastri abrasivi;
-cavi e materiale elettrico in genere;
-pellicole e lastre fotografiche e radiografiche sviluppate;
-scarti in genere della produzione di alimentari, purché non allo stato
liquido, quali ad esempio scarti di caffè, scarti dell’industria molitoria
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e della pastificazione, partite di alimenti deteriorati, anche inscatolati
o comunque imballati, scarti derivanti dalla lavorazione di frutta
e ortaggi, caseina, sanse esauste e simili;
-scarti vegetali in genere (erbe, fiori, piante, verdure, ecc.), anche
derivanti da lavorazioni basate su processi meccanici (bucce, baccelli,
pula, scarti di sgranatura e di trebbiatura, e simili);
-residui animali e vegetali provenienti dall’estrazione di princìpi attivi.
RIFIUTI PERICOLOSI E NON PERICOLOSI
I rifiuti pericolosi sono fondamentalmente di due tipi:
- quelli per i quali è stata introdotta una presunzione assoluta di pericolosità;
- quelli che presentano una o più caratteristiche di pericolo che devono
essere attribuite al rifiuto mediante la verifica della presenza di determinate
sostanze pericolose in concentrazioni superiori a determinati valori di soglia.
Allegato I - Caratteristiche di pericolo per i rifiuti
H1 “Esplosivo”: sostanze e preparati che possono esplodere per
effetto della fiamma o che sono sensibili agli urti e agli attriti più del
dinitrobenzene;
H2 “Comburente”: sostanze e preparati che, a contatto con altre
sostanze, soprattutto se infiammabili, presentano una forte reazione
esotermica;
H3-A “Facilmente infiammabile”: sostanze e preparati:
- liquidi il cui punto di infiammabilità è inferiore a 21° C (compresi i liquidi
estremamente infiammabili), o
- che a contatto con l’aria, a temperatura ambiente e senza apporto di
energia, possono riscaldarsi e infiammarsi, o
- solidi che possono facilmente infiammarsi per la rapida azione di una
sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi
anche dopo l’allontanamento della sorgente di accensione, o
- gassosi che si infiammano a contatto con l’aria a pressione normale, o
- che, a contatto con l’acqua o l’aria umida, sprigionano gas facilmente
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infiammabili in quantità pericolose;
H3-B “Infiammabile”: sostanze e preparati liquidi il cui punto di
infiammabilità è pari o superiore a 21° C e inferiore o pari a 55° C;
H4 “Irritante”: sostanze e preparati non corrosivi il cui contatto immediato,
prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una
reazione infiammatoria;
H5 “Nocivo”: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o
penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute di gravità
limitata;
H6 “Tossico”: sostanze e preparati (comprese le sostanze e i preparati
molto tossici) che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea,
possono comportare rischi per la salute gravi, acuti o cronici e anche la
morte;
H7 “Cancerogeno”: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione
o penetrazione cutanea, possono produrre il cancro o aumentarne
l’incidenza;
H8 “Corrosivo”: sostanze e preparati che, a contatto con tessuti vivi,
possono esercitare su di essi un’azione distruttiva;
H9 “Infettivo”: sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine,
conosciute o ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell’uomo
o in altri organismi viventi;
H10 “Tossico per la riproduzione”: sostanze e preparati che, per inalazione,
ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre malformazioni
congenite non ereditarie o aumentarne la frequenza;
H11 “Mutageno”: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione
o penetrazione cutanea, possono produrre difetti genetici ereditari o
aumentarne l’incidenza;
H12 Rifiuti che, a contatto con l’acqua, l’aria o un acido, sprigionano un
gas tossico o molto tossico;
H13 “Sensibilizzanti”: sostanze o preparati che per inalazione
o penetrazione cutanea, possono dar luogo a una reazione di
ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione alla sostanza o
al preparato produce effetti nefasti caratteristici;
H14 “Ecotossico”: rifiuti che presentano o possono presentare rischi
immediati o differiti per uno o più comparti ambientali.
H15 Rifiuti suscettibili, dopo l’eliminazione, di dare origine in qualche
modo ad un’altra sostanza, ad esempio a un prodotto di lisciviazione
avente una delle caratteristiche sopra elencate.
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In particolare:
“Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico
[per esempio: 160209* - trasformatori o condensatori contenenti PCB] o
generico [per esempio: 150110* - imballaggi contenenti residui di sostanze
pericolose o contaminati da tali sostanze] a sostanze pericolose, esso è
classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate
concentrazioni (ad esempio percentuale rispetto al peso), tali da conferire
al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato III della
Direttiva 91/689/CEE del Consiglio […]”1.
INDIVIDUARE UN RIFIUTO PERICOLOSO
Operativamente, quindi, per verificare se un rifiuto deve essere classificato
come pericoloso è necessario seguire questo percorso concettuale:
a) Identificare, ricorrendo al processo descritto nel paragrafo
successivo, il codice identificativo che nell’ambito del Catalogo
Europeo dei Rifiuti descrive in modo più appropriato sia la
provenienza sia le caratteristiche chimico-fisiche del rifiuto;
b) Verificare se a fianco al codice identificativo del rifiuto nel CER
(elenco dei rifiuti2) è stato apposto un asterisco;
c) Verificare se nella descrizione associata al codice del rifiuto prescelto
e contrassegnato da un asterisco compare un riferimento specifico
o generico a sostanze pericolose.
Il rifiuto è classificato come pericoloso solo se il codice che meglio lo
identifica è contrassegnato da un asterisco e, nel caso in cui nella descrizione
del rifiuto vi siano riferimenti specifici o generici a sostanze pericolose,
se e solo se queste ultime sono presenti in concentrazioni superiori ai
limiti specificati nella Direttiva 88/379/CEE del Consiglio del 7 giugno
1 Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (pubblicata in G.U.C.E. 6 settembre
2000, n. L 226), come modificata dalle Decisioni della Commissione 2001/118/CE, 2001/119/CE e
2001/573/CE, Allegato – Elenco dei rifiuti – Introduzione, punto 6).
2 Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (pubblicata in G.U.C.E. 6
settembre 2000, n. L 226), come modificata dalle Decisioni della Commissione 2001/118/CE,
2001/119/CE e 2001/573/CE, Allegato – Elenco dei rifiuti.
12
19883 per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative degli Stati membri relative alla classificazione, all’imballaggio
e all’etichettatura dei preparati pericolosi e successive modifiche.
IL PROCESSO DI ATTRIBUZIONE DEI CODICI
Il Catalogo Europeo dei Rifiuti – CER 2002 – è stato introdotto con la
Decisione della Commissione europea 2000/532/CE4 .
Il sistema comunitario di codifica, nato da esigenze di tipo statistico, è
in seguito divenuto uno dei cardini sui quali si reggono sia il complesso
insieme di adempimenti previsti dalla disciplina sulla gestione dei rifiuti, sia
i molteplici procedimenti di qualificazione e autorizzazione degli operatori
del settore.
La struttura del Catalogo prevede un’articolazione in 20 capitoli, di norma
riferiti alle macroaree di attività economica che hanno generato i rifiuti,
ognuno dei quali comprende un serie di paragrafi tesi a specificare più
puntualmente il processo produttivo dal quale i rifiuti sono decaduti per
giungere, infine, ai codici a sei cifre che individuano ciascuna tipologia di
rifiuto:
– 03 RIFIUTI DELLA LAVORAZIONE DEL LEGNO E DELLA PRODUZIONE
DI PANNELLI, MOBILI, POLPA, CARTA E CARTONE
– 03 01
Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di
pannelli e mobili
– 03 01 01 Scarti di corteccia e sughero.
Le decisioni comunitarie che hanno istituito il nuovo CER hanno condotto
a una formalizzazione dei criteri da seguire per l’attribuzione dei codici
identificativi ai rifiuti.
Il percorso concettuale da seguire è articolato in una serie di passaggi
logici che, considerando la necessità di scegliere il codice che meglio
descrive sia il processo produttivo dal quale il rifiuto è stato generato sia
3 in G.U.C.E. 16 luglio 1988, n. L 187, pag. 14.
4 Pubblicata in G.U.C.E. 6 settembre 2000, n. L 226.
13
le specifiche caratteristiche di quest’ultimo, consentono di approssimarsi
gradualmente alla corretta identificazione del codice CER.
Le decisioni comunitarie, infatti, precisano che in primo luogo è necessario:
1. “Identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i titoli dei
capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 [tali capitoli del codice europeo indicano
le macroattività economiche dalle quali i rifiuti decadono] per risalire al
codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei
suddetti capitoli che terminano con le cifre 99”.
Considerando che: “È possibile che un determinato impianto o
stabilimento debba classificare le proprie attività riferendosi a capitoli
diversi” e avendo presente che: “I rifiuti di imballaggio oggetto di raccolta
differenziata (comprese combinazioni di diversi materiali di imballaggio)
vanno classificati alla voce 15 01 e non alla voce 20 01”.
In secondo luogo:
2. “Se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per
la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13,
[oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli commestibili ed oli
di cui ai capitoli 05, 12 e 19)] 14 [solventi organici, refrigeranti e propellenti
di scarto (tranne 07 e 08)] e 15 [rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci,
materiali filtranti e indumenti protettivi (non specificati altrimenti)] per
identificare il codice corretto”.
In terzo luogo:
3. “Se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto
utilizzando i codici di cui al capitolo 16 [rifiuti non specificati altrimenti
nell’elenco]”.
E, infine:
4. “Se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i
codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non altrimenti
specificati) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività
identificata al precedente punto 1”.
È necessario procedere con molta cautela nell’attribuzione dei codici ai
rifiuti, verificando accuratamente le possibili alternative al codice che è
apparso appropriato alla prima lettura e ricordando che, qualora due o
più codici possano essere adottati, deve sempre essere preferito il codice
che fornisce informazioni più precise sia in merito all’attività o al processo
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produttivo che ha generato il rifiuto, sia in relazione alle caratteristiche
merceologiche o chimico-fisiche del rifiuto.
Il processo di attribuzione del codice in alcuni casi non conduce al risultato
sperato: non è possibile individuare un codice sufficientemente specifico
ed è perciò indispensabile ricorrere a un codice generico che fa riferimento
unicamente alla provenienza del rifiuto.
PRODUZIONE DI RIFIUTI SPECIALI:
GESTIONE E ADEMPIMENTI
IL DEPOSITO TEMPORANEO
Con il termine “deposito temporaneo” si indica l’accumulo di rifiuti nel luogo
in cui l’impresa o l’ente li ha prodotti o, in altri termini, “il raggruppamento
dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono
prodotti”.
La realizzazione del deposito temporaneo non richiede autorizzazione se
avviene nel rispetto delle seguenti condizioni:
1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento
(CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel
rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio
dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al
suddetto regolamento;
2) i rifiuti devono essere raccolti e avviati alle operazioni di recupero o di
smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta
del produttore dei rifiuti:
• con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in
deposito;
• quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente
i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In
questo caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad
un anno;
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3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie
omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché,
per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il
deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e
l’etichettatura delle sostanze pericolose.
FORMULARI DI TRASPORTO
Durante il trasporto effettuato da imprese o enti, specifica il D.Lgs. 152/206,
i rifiuti devono essere accompagnati dal formulario di identificazione
(definito con D.M. 1° aprile 1998, n. 145).
L’art. 193, comma 1, del medesimo decreto legislativo ha inoltre definito
l’insieme di dati essenziali da riportare sul formulario di identificazione del
rifiuto:
a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell’istradamento;
e) nome e indirizzo del destinatario.
Prima di essere utilizzato il formulario deve essere numerato e vidimato
(“gratuitamente e senza alcun diritto o imposizione tributaria”) presso
l’Agenzia delle entrate, presso la Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura o presso gli uffici regionali o provinciali competenti
in materia di rifiuti.
Premesso che l’emissione del formulario, intesa come atto con il quale ci
si assume la responsabilità in merito a quanto dichiarato nel documento
di trasporto, è una prerogativa esclusiva del produttore o del detentore del
rifiuto, è necessario precisare che il modulo che si utilizza può essere stato
acquistato, vidimato e registrato dal trasportatore. Quest’ultimo, infatti,
ha la facoltà - e non l’obbligo - di concedere l’uso dei propri formulari
ai clienti, allo scopo di agevolare i produttori di piccole quantità di rifiuti
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che altrimenti si vedrebbero costretti ad acquistare un numero di moduli
eccessivo rispetto alle loro effettive necessità.
Il formulario deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e
firmato dal detentore (“il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica
che li detiene”), controfirmato dal trasportatore e sottoscritto dal gestore
dell’impianto di recupero o smaltimento.
Più precisamente la prima copia del formulario deve rimanere al produttore
del rifiuto fin dal momento della partenza del carico, mentre al trasportatore
dovranno essere consegnate le rimanenti copie. Il trasportatore, dopo aver
ottenuto la sottoscrizione del formulario da parte del gestore dell’impianto
di destinazione allo scopo di dimostrare l’avvenuta accettazione del
carico, trattiene la seconda copia, mentre la terza è di competenza del
gestore dell’impianto e la quarta deve essere restituita, per il tramite del
trasportatore, al produttore o detentore del rifiuto.
Si ricorda, inoltre, che: “deve essere emesso un formulario per ciascun
rifiuto quale risulta individuato dal codice (CER) e dalla descrizione. A tale
ultimo fine, al punto 4 del formulario, voce “Descrizione” dovrà riportarsi
l’aspetto esteriore dei rifiuti che consente di identificare il rifiuto con il
massimo grado di accuratezza, tenuto conto che la descrizione del CER
non è sempre esaustiva, soprattutto in riferimento ai codici che recano
negli ultimi due campi numerici le cifre «99»”5.
Il modulo, oltre a prevedere un’intestazione nella quale deve essere
riportata la numerazione progressiva e la data di emissione, è articolato in
cinque sezioni.
La prima richiede l’indicazione dei soggetti coinvolti:
- produttore o detentore del rifiuto e luogo dal quale ha inizio il trasporto;
- destinatario, indirizzo dell’impianto di destinazione e estremi
dell’autorizzazione;
- trasportatore ed estremi dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori
Ambientali.
All’indicazione dell’eventuale commerciante o intermediario, pur prescritta,
non è dedicato alcuno spazio, ma la Circolare del Ministero dell’Ambiente
5 Circolare 4 agosto 1998, n° GAB/DEC/812/98, punto 1, lettera O., pubblicata in G.U. 11 settembre
1998, n. 212.
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4 agosto 1998, n. GAB/DEC/812/98 ha precisato che questa informazione
deve essere riportata nello spazio del modulo riservato alle annotazioni
(seconda sezione).
Nella terza sezione del modulo è necessario riportare le indicazioni
indispensabili a identificare con precisione il rifiuto trasportato:
- descrizione, codice CER e denominazione del rifiuto associata al codice;
- caratteristiche di pericolo (per i rifiuti pericolosi);
- il numero di colli o contenitori;
- la destinazione a recupero o smaltimento del rifiuto trasportato;
- le caratteristiche chimico/fisiche (per i rifiuti destinati allo smaltimento
in discarica);
- la quantità espressa in chilogrammi o litri o metri cubi, con la possibilità
di indicare un peso solo stimato «da verificarsi a destino»;
- l’indicazione se il trasporto dei rifiuti sia assoggettato alla normativa ADR
(trasporto su strada di merci pericolose) o RID (trasporto ferroviario di
merci pericolose);
- il percorso previsto, da indicare solo se “diverso dal più breve”.
Nella quarta sezione devono essere apposte le firme del produttore o
detentore e del trasportatore, deve essere indicato il nome e cognome del
conducente e la targa del veicolo utilizzato per il trasporto, oltre alla data
e all’ora di inizio del trasporto.
Nella quinta sezione, infine, il destinatario deve precisare la data di ricezione
del carico e apporre la propria firma, dichiarando se accetta o meno (in
tutto o in parte) il rifiuto conferitogli.
L’art. 193, comma 2, del D.Lgs. 152/2006 dispone che “le copie del formulario
devono essere conservate per cinque anni” dalla data di emissione.
La corretta compilazione del formulario richiede necessariamente
l’indicazione della quantità di rifiuto trasportata e “nel caso in cui per la
natura del rifiuto o per l’indisponibilità di un sistema di pesatura si possano,
rispettivamente, verificare variazioni di peso durante il trasporto o una
non precisa corrispondenza tra la quantità di rifiuti in partenza e quella
a destinazione” - precisa la Circolare ministeriale - si dovrà aver cura di
barrare la casella relativa alla voce “peso da verificarsi a destino”. In realtà
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è consigliabile avvalersi sempre di questa possibilità, in considerazione del
fatto che, salvo casi molto particolari, di norma fa fede la quantificazione
del rifiuto operata dal gestore dell’impianto di destinazione. Il formulario
deve essere emesso anche in caso di trasporto, effettuato con propri
mezzi, di un rifiuto speciale assimilato alla piattaforma di raccolta, perché
l’articolo 193 del D.Lgs 152/2006 non prevede esoneri per questo tipo di
trasporti.
La restituzione della quarta copia al mittente è di fondamentale importanza
perché questa copia dimostra che il rifiuto è stato accettato dal gestore
dell’impianto di destinazione e prova, quindi, che il produttore ha assolto i
propri obblighi di corretta gestione del rifiuto.
REGISTRI DI SCARICO E SCARICO
L’articolo 190, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 individua i produttori di rifiuti
tenuti ad istituire e annotare i registri di carico e scarico:
• le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi;
• le “imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi” di cui all’art.
184, comma 3, lettere c), d) e g) [c) rifiuti da lavorazioni industriali; d)
rifiuti da lavorazioni artigianali; g) rifiuti derivanti dalle attività di recupero
e smaltimento di rifiuti; fanghi derivanti dalla potabilizzazione e da altri
trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue; fanghi da
abbattimento di fumi].
I registri dei produttori di rifiuti devono essere tenuti (art. 190, comma 3, del
D.Lgs. n. 152/2006) presso ogni luogo in cui i rifiuti vengano effettivamente
generati: pertanto il registro non si riferisce all’impresa nel suo complesso,
bensì alla singola unità locale della stessa.
Le uniche eccezioni ai principi in precedenza esposti sono costituite:
- dai registri relativi ai rifiuti provenienti da attività di manutenzione o
assistenza sanitaria, in quanto questi rifiuti, ai sensi dell’art. 266, comma 4,
del D.Lgs. 152/2006, “si considerano prodotti presso la sede o il domicilio
del soggetto che svolge tali attività”, dove dovranno essere conservati,
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qualora sussista l’obbligo di registrazione, i libri di carico e scarico;
- dai registri relativi ai rifiuti prodotti da attività di manutenzione delle
infrastrutture (art. 230 del D.Lgs. 152/2006), che: “possono essere tenuti
nel luogo di produzione dei rifiuti così come definito nel comma 1”,
quindi:
a) sede del cantiere che gestisce l’attività manutentiva;
b) sede locale del gestore dell’infrastruttura nelle cui competenze
rientra il tratto di infrastruttura interessato dai lavori di manutenzione;
c) il luogo di concentramento dove il materiale tolto d’opera viene
trasportato «per la successiva valutazione tecnica, finalizzata
all’individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed
oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun
trattamento».
L’art. 190, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006 prescrive che i registri debbano
essere conservati per cinque anni dalla data dell’ultima registrazione
annotata sul registro stesso.
Ogni riga del registro “modello A” consente l’annotazione di un movimento:
- nella prima colonna deve essere precisato, barrando una delle due
caselle, se la successiva registrazione si riferisce ad un movimento di
“carico” (generazione del rifiuto da parte del produttore) o di “scarico”
(avvio al recupero o allo smaltimento di un rifiuto presso un impianto
autorizzato);
- sempre nella prima colonna, nel caso di movimento di scarico di un
produttore, è necessario precisare gli estremi identificativi del formulario
di trasporto;
- infine, se si tratta di movimento di scarico (verso impianti autorizzati al
recupero o allo smaltimento oppure verso un processo di trattamento
interno) è necessario indicare i numeri progressivi di registrazione dei
movimenti di carico che hanno dato luogo all’accumulo di rifiuti in
seguito destinati ad impianti di gestione.
Nella seconda colonna dovranno essere precisate le caratteristiche del
rifiuto: codice del Catalogo Europeo dei Rifiuti – CER, descrizione, stato
fisico (1. Solido polverulento; 2. Solido non polverulento; 3. Fangoso
palabile; 4. Liquido), eventuali classi di pericolosità e processo di gestione
(recupero o smaltimento e relativi codici identificativi della tipologia di
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trattamento) al quale i rifiuti sono destinati.
Nella terza colonna dovrà essere riportata la quantità di rifiuto caricata
o scaricata, esprimendo tale quantitativo in chilogrammi oppure in litri
oppure in metri cubi, quindi è possibile utilizzare indifferentemente una
delle tre unità di misura e non v’è l’obbligo di riportare nel registro sia la
massa sia il volume del rifiuto.
Nella quarta colonna, esclusivamente nel caso in cui si tratti di rifiuti
prodotti da “soggetti che effettuano attività di manutenzione a reti diffuse
sul territorio”, dovranno essere riportati il luogo materiale di produzione e
l’attività di provenienza del rifiuto
Sempre nella quarta colonna è necessario indicare, qualora siano intervenuti
nella gestione del rifiuto di cui si sta registrando il carico o lo scarico, gli
estremi identificativi dei commercianti di rifiuti o degli intermediari.
La quinta colonna, infine, è riservata a eventuali annotazioni.
Con il decreto del Ministero dell’Ambiente n. 148 del 1° aprile 1998 è
stato individuato, in attuazione dell’art. 18, comma 2, del D.Lgs. 22/1997,
un modello uniforme di registro di carico e scarico. Più precisamente, il
decreto ministeriale citato definisce i contenuti informativi di due distinti
registri:
• il primo (“Modello A”) deve essere utilizzato dai produttori di rifiuti
speciali, dai soggetti che esercitano attività di recupero o di smaltimento,
dai trasportatori professionali di rifiuti prodotti da terzi e da coloro che
svolgono attività di intermediazione e commercio di rifiuti che comporti
la detenzione di questi ultimi;
• il secondo registro (“Modello B”) è specificamente rivolto alla
documentazione dell’attività svolta dai commercianti di rifiuti che
non li detengono (non trasportano, stoccano o trattano rifiuti) e dagli
intermediari.
I registri prima di essere posti in uso devono essere numerati e vidimati
presso le Camere di Commercio territorialmente competenti, ma se si
è preferito impiegare un software per la gestione delle movimentazioni
dei rifiuti è possibile procedere alla vidimazione di singoli fogli di carta
formato A4 numerati progressivamente6, sui quali il programma stamperà
sia i contenuti informativi sia il format grafico previsto per il registro.
6 Si veda in proposito il comma 6 dell’art. 190 del D.Lgs. 152/2006.
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REGISTRAZIONE DEI MOVIMENTI DI CARICO DEL RIFIUTO
L’avvenuta produzione di un rifiuto per il quale sussista l’obbligo di
registrazione comporta per l’impresa o l’ente la necessità di procedere
all’annotazione del movimento di carico entro dieci giorni lavorativi7 dal
momento in cui la generazione del rifiuto è avvenuta. Qualora sia stato
prodotto un rifiuto sanitario pericoloso a rischio infettivo, la registrazione
deve invece avvenire entro cinque giorni8.
È importante rilevare che qualora la produzione del rifiuto e l’asportazione
dello stesso avvengano in due momenti distinti non è ammessa la
registrazione contestuale del movimento di carico e di quello di scarico.
La casella “annotazioni” di ogni singolo movimento di carico o scarico
deve essere utilizzata per motivare la necessità della rettifica che è stata
operata, ad esempio la discordanza tra peso stimato e peso verificato
presso l’impianto di destinazione.
A questo proposito è importante rilevare che, tranne nel caso in cui
ciò non appaia in alcun modo giustificato, per consuetudine, e non per
disposizione di legge, il peso da riportare nel registro è quello verificato
presso l’impianto di destinazione del singolo carico di rifiuti. Per questo
motivo, allo scopo di evitare frequenti rettifiche, il produttore del rifiuto può
accordarsi con il gestore dell’impianto di recupero o di smaltimento per
farsi trasmettere il peso verificato a destino entro il termine previsto per la
registrazione del movimento di scarico (dieci giorni lavorativi) e procedere
alla registrazione del movimento utilizzando i dati forniti dall’impianto.
REGISTRAZIONE DEI MOVIMENTI DI SCARICO DEL RIFIUTO
L’art. 190, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 precisa la periodicità con la
quale devono essere eseguite le annotazioni di “scarico” sui registri: per i
produttori, almeno entro dieci giorni lavorativi dal momento in cui il rifiuto
viene caricato sul mezzo che lo trasporterà all’impianto di recupero o di
smaltimento.
LA RETTIFICA DEGLI ERRORI
Gli errori materiali di compilazione del registro di carico e scarico devono
essere corretti secondo le regole normalmente in uso per i libri contabili e
gli altri registri ufficiali dell’azienda: la cancellazione di un dato deve essere
effettuata tracciando una riga che consenta comunque di leggere il dato
che si intende rettificare, non sono consentite abrasioni e la rettifica deve
essere datata e siglata.
7 Ex art. 190, comma 1, D.Lgs. 152/2006.
8 Secondo le prescrizioni di cui all’art. 8, comma 3, lettera a) del D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254
pubblicato nella G.U. 11 settembre 2003, n. 211.
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L’AVVIO AL RECUPERO O ALLO SMALTIMENTO
LA VALUTAZIONE DELLA POSSIBILITÀ DI TRASPORTO
CON MEZZI AZIENDALI
La condizione per poter effettuare il trasporto dei rifiuti non pericolosi
o di piccole quantità (inferiori a 30 chilogrammi o litri al giorno) di rifiuti
pericolosi derivanti dalla propria attività è ora costituita dall’iscrizione
all’Albo gestori ambientali ex art. 212, comma 8, del D.Lgs. 152/2006.
È dunque necessario iscriversi all’Albo con la procedura richiamata
per trasportare anche occasionalmente rifiuti non pericolosi o piccole
quantità di rifiuti pericolosi derivanti dalla propria attività, inoltre la
possibilità di beneficiare di queste modalità d’iscrizione semplificate
è condizionata al fatto che: «tali operazioni [di trasporto di rifiuti]
costituiscano parte integrante e accessoria dell’organizzazione
dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti»9.
9 D.Lgs. 152/2006, art. 212, comma 8.
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Perciò mentre può essere ammessa a usufruire della procedura di cui
all’art. 218, comma 8, un’impresa che effettua la manutenzione del
verde, in quanto l’attività economica esercitata deve necessariamente
comportare il trasporto dei rifiuti generati, un’azienda che intenda
trasportare rifiuti assimilati agli urbani al centro di raccolta comunale
non sembra essere in possesso dei requisiti indispensabili per utilizzare
questa opportunità.
Infine, è decisivo rilevare che anche il più scrupoloso controllo
delle iscrizioni dei trasportatori si rivela del tutto incompleto se non
adeguatamente accompagnato da un controllo altrettanto meticoloso
delle autorizzazioni degli impianti ai quali il rifiuto dovrà essere conferito.
Per quanto ciò possa apparire paradossale, uno dei più frequenti errori
nella gestione dei rifiuti è quello di limitare la verifica dei titoli abilitativi
alla sola fase di trasporto.
SELEZIONE DEI TRASPORTATORI
SELEZIONE DEGLI IMPIANTI DI DESTINAZIONE
La verifica dell’adeguatezza dell’iscrizione all’Albo di un’impresa di trasporto
di rifiuti richiede due passi fondamentali.
In primo luogo, dopo aver chiaramente e univocamente determinato la
classificazione del rifiuto è necessario controllare che se il rifiuto è:
La disciplina delle autorizzazioni per la gestione di rifiuti è particolarmente
complessa, ma in termini generali si può sinteticamente affermare che se
il rifiuto da avviare ad operazioni di gestione:
- è un rifiuto recuperabile non pericoloso l’impresa che gestisce l’impianto
deve essere iscritta mediante procedura semplificata (comunicazione di
inizio attività secondo l’art. 216, D.Lgs. 152/2006) al Registro provinciale
delle imprese che effettuano attività di recupero dei rifiuti;
- è un rifiuto speciale non pericoloso l’impresa che gestisce l’impianto
deve essere autorizzata mediante procedura ordinaria (secondo l’art.
208, D.Lgs. 152/2006);
- è un rifiuto recuperabile pericoloso l’impresa che gestisce l’impianto
deve essere iscritta mediante procedura semplificata (comunicazione di
inizio attività secondo l’art. 216, D.Lgs. 152/2006) al Registro provinciale
delle imprese che effettuano attività di recupero dei rifiuti;
- è un rifiuto speciale pericoloso l’impresa che gestisce l’impianto deve
essere autorizzata mediante procedura ordinaria (secondo l’art. 208,
D.Lgs. 152/2006).
Come nel caso dei trasportatori, dovrà essere verificata nel provvedimento
di autorizzazione la presenza del codice identificativo tratto dal Catalogo
Europeo dei Rifiuti (Codice CER) che si è assegnato al rifiuto prodotto o
detenuto.
Infine, è doveroso rilevare che le verifiche dei titoli abilitativi dei trasportatori
e degli impianti di gestione devono essere condotte anche se si è scelto di
servirsi di intermediari.
-un rifiuto speciale non pericoloso l’impresa sia iscritta alla quarta
categoria dell’Albo nazionale gestori ambientali;
- un rifiuto speciale pericoloso l’impresa sia iscritta alla quinta categoria
dell’Albo nazionale gestori ambientali10.
In secondo luogo, dovrà essere verificata la presenza del codice identificativo
tratto dal Catalogo Europeo dei Rifiuti (Codice CER) assegnato al rifiuto
prodotto o detenuto nel provvedimento di iscrizione all’Albo dell’impresa
di trasporto.
In fase di controllo della validità delle iscrizioni all’Albo è indispensabile
ricordare che le imprese possono operare per cinque anni prima di dover
richiedere il rinnovo dell’iscrizione. A tale proposito è opportuno sapere
che l’Albo nazionale gestori ambientali ha pubblicato sul proprio sito
internet (http://www.albogestoririfiuti.it) l’elenco degli iscritti.
10 Le imprese iscritte alla quinta categoria hanno la possibilità di trasportare anche rifiuti speciali
non pericolosi, in questo caso è necessario verificare che i codici identificativi dei rifiuti non
pericolosi che si intende affidare al trasportatore siano presenti nell’iscrizione all’Albo del mezzo che
trasporterà i rifiuti.
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25
IL MODELLO UNICO DI DICHIARAZIONE AMBIENTALE
Il “Modello Unico di Dichiarazione ambientale”, cosiddetto MUD, è stato
istituito con la legge 25 gennaio 1994, n. 70, recante «Norme per la
semplificazione degli adempimenti in materia ambientale, sanitaria e di
sicurezza, nonché per l’attuazione del sistema di ecogestione e di audit
ambientale».
La citata legge n. 70/1994 prevede che l’adempimento di tutti gli obblighi
di comunicazione periodica di dati – previsti dalle più varie leggi ambientali
e di sicurezza – venga, per quanto possibile, progressivamente accorpato
in un’unica dichiarazione ambientale da presentarsi annualmente, entro il
30 aprile, alla Camera di Commercio competente per territorio. A tal fine
la legge rinvia a specifici decreti attuativi la definizione della modulistica
o, comunque, delle regole di fornitura dei dati (per l’appunto, il “modello
unico”) richiesti da altre disposizioni di legge.
26
Il MUD, in altri termini, è un sistema unitario – in uso dal ’96 e negli anni
successivi ripetutamente modificato e integrato – per l’adempimento dei
principali obblighi di dichiarazione o comunicazione periodici previsti
dalla legislazione in materia ambientale e di sicurezza a carico di soggetti
pubblici e privati.
L’avvio della fase di piena operatività del sistema per il controllo della
tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) avrebbe dovuto portare al definitivo
superamento dell’obbligo di trasmettere al sistema delle Camere di
Commercio i dati riguardanti la produzione, al trasporto, all’intermediazione,
al recupero e allo smaltimento dei rifiuti. Infatti, con:
• la rilevazione telematica puntuale dei dati riferiti alla produzione di tutti i
rifiuti pericolosi e di alcune tipologie di rifiuti non pericolosi (derivanti da
lavorazioni industriali, lavorazioni artigianali, trattamenti effettuati sulle
acque, abbattimento delle emissioni gassose e trattamento di rifiuti),
attuata mediante i movimenti di carico annotati sul “registro cronologico”
SISTRI,
• l’acquisizione dei dati riguardanti ogni carico di rifiuti avviato al recupero
o allo smaltimento (movimenti di scarico del registro cronologico del
produttore e “schede area movimentazione” SISTRI) e
• il riscontro automatico delle informazioni trasmesse da produttori e
trasportatori con quelle acquisite automaticamente dai gestori degli
impianti (movimenti di carico del registro cronologico degli impianti vs
annotazioni di scarico dei produttori e/o dei trasportatori), si sarebbe
potuta evitare, almeno per la maggior parte dei soggetti obbligati,
la comunicazione annuale riepilogativa necessaria ad acquisire le
informazioni indispensabili per elaborare le statistiche nazionali previste
dal regolamento europeo sulle statistiche riguardanti i rifiuti (Regolamento
(CE) n. 2150/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25
novembre 2002).
La lunga serie di rinvii della fase di piena operatività del SISTRI non ha però
consentito il passaggio all’acquisizione automatica dei dati.
Con D.P.C.M. 12 dicembre 2013, pubblicato sul Supplemento ordinario n.
89 alla Gazzetta Ufficiale del 27/12/2013, è stato definito il nuovo Modello
Unico di Dichiarazione ambientale 2014, da impiegare per trasmettere,
entro il 30 aprile 2014, i dati riferiti al 2013.
27
Il MUD 2014 riguarda le:
- comunicazioni (ordinarie e semplificate) delle imprese e degli enti
produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi;
- comunicazioni (ordinarie e semplificate) delle imprese e degli enti
produttori iniziali di rifiuti speciali non pericolosi di cui all’art. 184,
comma 3, lettere:
c) rifiuti da lavorazioni industriali,
d) rifiuti da lavorazioni artigianali;
g) rifiuti derivanti da trattamenti effettuati sulle acque, dalla depurazione
delle acque reflue e dall’abbattimento delle emissioni gassose in
atmosfera.
dal decreto ministeriale 24 aprile 2014.
Tutte le imprese che svolgono attività autorizzate di gestione dei rifiuti speciali
pericolosi (trasporto, trattamento, commercio e intermediazione senza
detenzione) devono necessariamente operare utilizzando il sistema per il
controllo della tracciabilità dei rifiuti anche quando ricevono rifiuti da imprese o
enti esclusi dall’obbligo di iscrizione al SISTRI, per questo motivo i trasportatori
devono acquisire dai produttori una serie di informazioni indispensabili a
garantire la corretta compilazione della “scheda movimentazione”.
Fino al 31 dicembre 2014 gli errori e le omissioni nell’uso del SISTRI non
potranno dare luogo a sanzioni.
SISTRI - SISTEMA PER IL CONTROLLO DELLA
TRACCIABILITÀ DEI RIFIUTI
Dal 3 marzo le imprese e gli enti che producono rifiuti speciali pericolosi
sono tenuti a usare anche il SISTRI per documentare la produzione, il
deposito temporaneo e l’avvio al recupero o allo smaltimento dei propri
scarti.
Fino al 31 dicembre 2014 il nuovo sistema telematico, infatti, si affiancherà
alla tradizionale tenuta dei registri di carico e scarico e all’emissione dei
formulari, mentre dal 1° gennaio 2015 il SISTRI diventerà, per i soggetti
obbligati a utilizzarlo, l’unica modalità per documentare la corretta gestione
dei rifiuti speciali pericolosi.
L’impiego del sistema per il controllo della tracciabilità dei rifiuti è
obbligatorio per i “produttori iniziali” di rifiuti speciali pericolosi (quindi per
le imprese e gli enti che esercitano attività diverse dalla gestione dei rifiuti)
con un numero di dipendenti superiore a dieci.
Il limite dimensionale, riferito al numero complessivo dei dipendenti
dell’impresa o dell’ente e non alla singola unità locale, è stato introdotto
28
Se l’impresa aveva già provveduto a iscrivere al SISTRI tutte le unità locali
nel 2010 o nel 2011, oggi è necessario verificare innanzitutto che non siano
intervenute modificazioni che comportino la necessità di aggiungere unità
locali o di eliminare quelle non più esistenti o nelle quali non si producono
più rifiuti pericolosi e, in secondo luogo, controllare che i dati aziendali (legale
rappresentanti, delegati SISTRI, persone da contattare, ecc.) siano aggiornati.
29
Molto probabilmente dovranno essere aggiornati i software contenuti nei
dispositivi USB indispensabili per l’accesso al sistema e sarà necessario
di essere in possesso di tutte le credenziali necessarie (identificativi degli
utenti - User ID, password, PIN).
Movimento di carico per registrazione giacenza
Entro dieci giorni lavorativi dalla produzione del rifiuto è necessario inserire
e firmare digitalmente un movimento di carico nel registro cronologico
(l’area del software corrispondente al tradizionale registro di carico e
scarico dei rifiuti prodotti).
Le aree “registro cronologico” e “movimentazione” del SISTRI
All’atto del primo accesso al sistema, o comunque prima di avviare
al recupero o allo smaltimento ogni tipologia di rifiuto, è necessario
provvedere ad effettuare un movimento di carico dei ogni rifiuto in
giacenza utilizzando l’area “registro cronologico” e selezionando la causale
“registrazione giacenza per avvio dell’utilizzo del SISTRI”.
30
Prima di poter avviare al recupero o allo smaltimento ognuno dei
rifiuti prodotti e posti in deposito temporaneo nei magazzini aziendali
dovrà essere predisposta la “scheda movimentazione” (l’equivalente
del formulario di trasporto del rifiuto), immettendo i dati nell’area
“movimentazione” del sistema, dopo aver selezionato l’opzione “compila
nuova scheda”, i dati relativi alla quantità del rifiuto che si intende avviare al
recupero o allo smaltimento, al trasportatore, all’impianto di trattamento
e, eventualmente, all’intermediario o al consorzio istituito per garantire il
recupero di particolari tipologie di rifiuto.
31
sottoporrà al produttore o al detentore del rifiuto due copie della “scheda
movimentazione” stampate su carta, si provvederà a scrivere sulle schede
la data e l’ora di inizio del trasporto e il produttore tratterrà una copia del
documento.
Compilazione scheda movimentazione
La scheda dovrà essere completata e sottoscritta digitalmente dal
produttore del rifiuto almeno due ore prima del trasporto (a partire dal
secondo anno dalla piena operatività del SISTRI il termine sarà elevato a
quattro ore).
All’atto dell’accettazione del rifiuto nell’impianto di trattamento il produttore
o detentore del rifiuto riceverà un messaggio di posta elettronica certificato
nella webmail interna al SISTRI. Questo messaggio è della massima
importanza perché svolge la medesima funzione della quarta copia del
formulario del rifiuto: dimostra che il rifiuto è stato correttamente conferito
all’impianto di trattamento in precedenza individuato e attesta il peso del
rifiuto avviato al recupero o allo smaltimento.
Entro dieci giorni lavorativi dall’inizio del trasporto è necessario, infine,
collegare la “scheda movimentazione” al registro cronologico, scegliendo
l’opzione collega schede al registro nell’area movimentazione del sistema.
Il collegamento della scheda al registro imposta il movimento di scarico,
che deve essere completato indicando a quali movimenti di carico del
registro cronologico si riferisce lo scarico che è stato realizzato.
La “sezione produttore” della scheda movimentazione potrà non essere
compilata solo nel caso in cui il trasportatore scelga di utilizzare la
procedura per la “microraccolta” (il trasporto di rifiuti prelevati da più di un
produttore con il medesimo veicolo). In questo caso sarà il trasportatore
a immettere nel sistema i dati che il produttore gli avrà preventivamente
comunicato.
Il trasportatore può scegliere, in accordo con il produttore, di utilizzare
una delle due procedure di avvio della fase di trasporto:
• la procedura con utilizzo contestuale del dispositivo USB del veicolo;
• la procedura senza l’ utilizzo contestuale della dispositivo USB del veicolo.
Nel primo caso il produttore dovrà mettere a disposizione dell’autista un
computer collegato a internet in cui l’autista inserirà il dispositivo USB
del veicolo per dare certezza alla data e allora di inizio del trasporto e
subito dopo si provvederà a stampare su carta due copie della scheda
movimentazione, mentre nel secondo caso l’autista del mezzo di trasporto
32
33
Appendice 1
DISMISSIONE DI BENI AZIENDALI
Avviare correttamente al recupero o allo smaltimento i cespiti aziendali
o i prodotti obsoleti presenti in magazzino è estremamente importante
oltre che dal punto di vista ambientale anche da quello fiscale.
Infatti, per effetto della cosiddetta “presunzione di cessione”, disciplinata
dal D.P.R. 10 novembre 1997 n. 441 (Regolamento recante norme per il
riordino delle presunzioni di cessione e di acquisto - art. 1, comma 1),
si presumono ceduti in evasione di imposta i beni acquistati, importati
o prodotti dall’impresa che non si trovano più nei locali in cui l’azienda
esercita la sua attività, né in quelli dei suoi rappresentanti.
Con riferimento al luogo in cui l’impresa svolge le proprie operazioni,
il decreto citato (art. 1, comma 3), indica espressamente le “sedi
secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi,
mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa.”
Il medesimo articolo della disposizione richiamata (comma 2 lett. a),
stabilisce che: “la presunzione […] non opera se è dimostrato che i beni
stessi: sono stati impiegati per la produzione, distrutti o perduti.”
Per questo insieme di motivi è indispensabile sapere come agire per
“vincere” la presunzione di cessione e provare, quindi, che i beni sono
stati regolarmente avviati a distruzione e non sono stati, invece, venduti
evadendo le imposte dovute.
La dismissione dei beni aziendali mediante distruzione, che si tratti di beni
strumentali all’attività esercitata oppure di merci obsolete, può essere
realizzata con due differenti modalità:
•delegandola a operatori autorizzati, oppure
•procedendo autonomamente in presenza di funzionari dell’Agenzia
delle Entrate o della Guardia di finanza.
Le due diverse procedure sono illustrate dettagliatamente nella circolare
del Ministero delle Finanze 23.07.1998 n. 193/E.
34
In particolare, nel caso in cui l’impresa si rivolga a operatori specializzati
nello smaltimento o nel recupero di rifiuti, è necessario, allo scopo di
superare un’eventuale “presunzione di cessione” e conseguentemente
le contestazioni relative al mancato assolvimento dell’imposta, essere in
grado di esibire il formulario di identificazione dei rifiuti (FIR) previsto
dall’art. 193 del decreto legislativo n.152/2006.
Il FIR deve essere obbligatoriamente vidimato dall’Agenzia delle Entrate o
dalle Camere di Commercio prima di essere utilizzato, e deve recare, tra
l’altro:
−la ragione sociale del produttore del rifiuto;
−l’indirizzo del luogo a partire dal quale dal quale il rifiuto sarà avviato al
recupero o allo smaltimento;
−le caratteristiche del rifiuto, ossia la sua descrizione e lo stato fisico;
−la ragione sociale, i dati identificativi e il numero di iscrizione all’Albo
nazionale gestori ambientali del trasportatore;
−la ragione sociale, i dati identificativi del gestore dell’impianto, l’indirizzo
dell’impianto e il numero di autorizzazione del medesimo.
È opportuno utilizzare lo spazio riservato alle annotazioni del formulario
identificativo del rifiuto per:
−identificare con precisione, allo scopo di evitare qualsiasi possibile
contestazione, i beni aziendali che vengono avviati al recupero o allo
smaltimento;
−richiamare la norma di riferimento, specificando che con quel formulario
si realizza la “distruzione di beni aziendali ai sensi dell’art. 2, comma 4, del
DPR 10/11/1997 n. 441”.
Il rispetto della procedura indicata comporta il superamento della
presunzione di cessione sia ai fini I.V.A. sia delle imposte sui redditi.
Quanto fin qui riferito alle imprese è applicabile anche alla distruzione dei
beni di liberi professionisti.
In alternativa allo smaltimento tramite operatori specializzati, la dismissione
dei beni strumentali dell’impresa potrebbe essere effettuata mediante
assegnazione ai soci o cessione a titolo gratuito verso soggetti terzi privati
o operatori I.V.A.
In questo caso la cessione gratuita o l’assegnazione deve essere fatturata
e assoggettata ad IVA, in quanto all’atto dell’acquisto l’imposta è stata
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detratta. L’art. 13 del D.P.R. n. 633/1972, al comma 2, prevede che in questi
casi la base imponibile sia costituita dal costo di acquisto o, in mancanza
di questo costo, dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili determinati
nel momento in cui si effettuano tali operazioni.
Vi è quindi una notevole incertezza in merito al valore da attribuire a tali
beni oggetto della cessione gratuita o dell’assegnazione (tale valore, in
base al dettato letterale della norma, dovrebbe essere costituito dal prezzo
d’acquisto dei beni), con il rischio di incorrere in attività di accertamento
della base imponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria nel caso si
esponesse un valore minore. Pertanto, è consigliabile che la dismissione
dei beni aziendali avvenga utilizzando operatori autorizzati a effettuare il
recupero o lo smaltimento dei rifiuti.
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