Anno XII, N. 9, luglio 2014 CONFERENCE INSIGHT European Society for Blood and Marrow Transplantation – Annual Meeting 2014 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Simposio Satellite Milano, 30 marzo 2014 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica CONFERENCE INSIGHT Anno XII, N. 9, luglio 2014 European Society for Blood and Marrow Transplantation – Annual Meeting 2014 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Simposio Satellite Milano, 30 marzo 2014 ISBN 978 88 6756 105 6 ISSN 2038 8667 Redazione Elena Bernacchi Sara di Nunzio Claudio Oliveri Produzione Loredana Biscardi Via Decembrio, 28 20137 Milano www.springerhealthcare.it © 2014 Springer Healthcare Italia S.r.l. Conference Insight. Registrazione del Tribunale di Milano n. 712 del 18 dicembre 2002 Direttore responsabile: Giuliana Gerardo Finito di stampare nel mese di luglio 2014 da Lazzati Industria Grafica S.r.l. - Casorate Sempione (VA) Pubblicazione fuori commercio riservata alla Classe Medica Tutti i diritti sono riservati, compresi quelli di traduzione in altre lingue. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o per mezzo di apparecchiature elettroniche o meccaniche, compresi fotocopiatura, registrazione o sistemi di archiviazione di informazioni, senza il permesso scritto da parte di Springer Healthcare Italia. Springer Healthcare Italia è disponibile al riconoscimento dei diritti di copyright per qualsiasi immagine utilizzata della quale non si sia riusciti a ottenere l’autorizzazione alla riproduzione. 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SASCON6728 CONFERENCE INSIGHT European Society for Blood and Marrow Transplantation Annual Meeting 2014 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Simposio Satellite Milano, 30 marzo 2014 Indice Introduzione Kai Hübel 3 Cellule staminali, questione di qualità Stefan Fruehauf 5 Sottoinsiemi di cellule T e cellule dendritiche negli innesti autologhi Mohamad Mohty 9 Megadosi di cellule staminali e aplotrapianto Fabio Ciceri 13 Approccio pre-emptive (preventivo) alla mobilizzazione e descrizione di un caso clinico Kai Hübel 17 Discussione conclusiva con gli esperti Fabio Ciceri, Stefan Fruehauf, Mohamad Mohty Moderatore: Kai Hübel 25 Bibliografia 27 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica CONFERENCE INSIGHT Introduzione Kai Hübel Il Professor Hübel (Università di Colonia, Germania) ha illustrato i principali obiettivi del Simposio Satellite sponsorizzato da Sanofi Oncology: dedicato ai più recenti progressi e risultati ottenuti nella mobilizzazione delle cellule staminali, l’evento si è incentrato, in particolare, sulla necessità di una qualità ottimale degli innesti, sulle tendenze emergenti nel trapianto di cellule staminali, sul miglior approccio disponibile per gli scarsi mobilizzatori e sulla pratica clinica nella mobilizzazione. Tali rilevanti argomenti sono stati affrontati dai più eminenti scienziati e ricercatori europei in questa area d’indagine nel corso delle relazioni di seguito riportate. 3 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica 4 CONFERENCE INSIGHT Stem cells, quality matters Cellule staminali, questione di qualità Stefan Fruehauf Negli ultimi vent’anni, il numero di trapianti di cellule staminali emopoietiche in diverse forme tumorali ha subito un progressivo incremento in tutta Europa.[1] L’applicazione di tale procedura è più frequente nei pazienti affetti da neoplasie ematolinfoidi o da tumori solidi, che possono ricorrere a differenti regimi di mobilizzazione. Le strategie convenzionali prevedono la somministrazione del fattore stimolante le colonie granulocitarie (G-CSF) in monoterapia o in combinazione con altre citochine o con la chemioterapia mielosoppressiva. Più recentemente, in pazienti affetti da mieloma multiplo e linfoma è stata impiegata una combinazione di plerixafor e G-CSF. G-CSF e plerixafor agiscono in modo differente ma sinergico per raggiungere la mobilizzazione delle cellule staminali. Come mostrato nella Figura 1, il G-CSF induce la mobilizzazione delle cellule staminali attraverso una sottoregolazione dei fattori di derivazione stromale cellulare e la scissione delle cellule staminali stromali, a loro volta digerite da cellule mononucleate periferiche attivate. Plerixafor antagonizza il recettore di chemochine CXCR4, con conseguente rilascio di diversi tipi di cellule staminali dallo stroma.[2] Il Professor Fruehauf (Università di Heidelberg, Germania) e la sua équipe hanno condotto il primo studio sperimentale europeo su plerixafor in pazienti affetti da mieloma multiplo e linfoma non-Hodgkin. Noto come EU21, questo studio prospettico, in aperto, a braccio singolo ha coinvolto 35 pazienti sottoposti a somministrazione mat- Cellula stromale Sottoregolazione G-CSF Induzione Antagonismo Attivazione CD26/DPPIV SDF-1± Ritenzione di cellula staminale CD34+ Plerixafor Clivaggio dell’estremità N-terminale CXCR4 VLA-4 c-Kit Cellula stromale NE+CG VCAM-1 MMP9 PMN Figura 1. Fisiologia della mobilizzazione di cellule staminali. CD26/DPPIV: ectoenzima di superficie dipeptidilpeptidasi IV; CD34: marcatore di immaturità delle cellule staminali normali; c-Kit: oncogene; CXCR4: recettore chemochinico CXC 4; G-CSF: fattore stimolante le colonie granulocitarie; MMP9: metalloproteinasi di matrice-9; NE + CG: elastasi neutrofila + catepsina G; PMN: cellule polimorfonucleate; SDF-1: fattore di derivazione stromale cellulare-1; VCAM-1: molecola di adesione cellulare vascolare-1; VLA-4: alfa-4 integrina (modificata graficamente da[2]). tutina di G-CSF 10 μg/kg per 4 giorni. A partire dalla sera del giorno 4, i pazienti ricevevano plerixafor 0,24 mg/kg. L’aferesi era eseguita 10-11 ore dopo, al mattino del giorno 5 (Figura 2). Questo regime è stato ripetuto fino a 5 giorni consecutivi.[2] I risultati di questo studio hanno dimostrato un aumento di 2,7 volte (valore mediano complessivo) nel conteggio delle cellule CD34+ nel sangue periferico dopo l’aggiunta di plerixafor, con un incremento massimo osservato negli scarsi mobilizzatori. Il numero mediano di cellule CD34+ 5 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica EU21: primo studio clinico su plerixafor in Europa Studio prospettico, in aperto, a braccio singolo Pazienti: n=35 mieloma multiplo, linfoma non-Hodgkin Centri di studio: Heidelberg (PI), Dresda, Colonia Protocollo di mobilizzazione delle cellule staminali Screening Mobilizzazione Tag 1 Tag 2 Ingresso nello studio Somministrazione giornaliera di G-CSF Sessione di aferesi Plerixafor Tag 3 Aferesi Tag 4 Tag 5 Tag 6 Tag 7 Tag 8 L’efficacia è stata valutata sulla base di conta cellulare di CD34+ nel sangue periferico (cellule/ml), prodotto aferetico (cellule CD34+/kg), numero di giorni per l’attecchimento di leucociti polimorfonucleati e piastrine, durata dell’innesto a 3, 6 e 12 mesi post-trapianto. La mobilizzazione di cellule tumorali è stata valutata esaminando i campioni ottenuti da una sottopopolazione di 7 pazienti. Figura 2. Studio EU21: protocollo di mobilizzazione delle cellule staminali (modificata graficamente da[2]). raccolte era di 7,1 x 106 cellule/kg in 1 giorno (intervallo temporale mediano). La maggioranza dei pazienti ha ottenuto un numero ottimale di cellule CD34+ (≥ 5,5 x 106 cellule/kg) in 1 giorno (intervallo temporale mediano).[2] Al fine di determinare l’eventuale impatto di plerixafor sull’utilità delle misurazioni in uso per prevedere la resa di cellule CD34+, è stato condotto uno studio retrospettivo su 128 pazienti affetti da mieloma multiplo e linfoma sottoposti a trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (TCSE). Per 84 pazienti il regime di mobilizzazione includeva plerixafor. Lo studio ha stabilito che un valore limite di 20 relativo ai progenitori emopoietici (HPC, hematopoietic precursor cell) sia predittivo di un’adeguata resa iniziale di cellule CD34+ (> 2,5 x 106 cellule/kg) in > 80% dei donatori autologhi con o senza plerixafor, confermando l’utilità della stima di HPC nella previsione dei risultati di mobilizzazione indipendentemente dall’inclusione di plerixafor nel regime di mobilizzazione.[3] Una volta determinata la capacità di plerixafor di mobilizzare un numero sufficiente di cellule staminali emopoietiche, è necessario definire la qualità di tali cellule o, in altre parole, gli specifici sottoinsiemi di cellule mobilizzate dal farmaco; si tratta di un aspetto rilevante, in quanto permette di stabilire il potenziale di ricostituzione del midollo osseo da parte delle cellule progenitrici del sangue periferico (PBPC, peripheral blood progenitor cell) mobilizzate da plerixafor. Uno studio europeo del 2009 di fase 2, condotto dal Professor Fruehauf e colleghi, ha esaminato le PBPC ottenute con G-CSF + plerixafor verso G-CSF da solo in 15 pazienti con mieloma multiplo e linfoma non-Hodgkin.[4] La caratterizzazione cellulare è stata effettuata indagando la co-espressione di marcatori associati alla linea cellulare primitiva, la relativa attività proliferativa in vitro e il potenziale di ripopolamento dopo trapianto clinico. L’aggiunta di plerixafor a un regime di mobilizzazione convenzionale basato su G-CSF ha determinato un incremento significativo (2,4-39 volte, con un aumento mediano di 8 volte) nelle cellule CD34+/CD38- primitive/µl rispetto al solo G-CSF (Tabella 1).[4] Ulteriori analisi hanno indagato l’impatto di plerixafor + G-CSF sulla mobilizzazione di differenti sottopopolazioni di 6 CONFERENCE INSIGHT Tabella 1. Conte assolute di leucociti, cellule CD34+ e CD34+/CD38- dopo mobilizzazione con G-CSF da solo (tp1, PB) o con G-CSF + plerixafor (tp2, PB) (modificata graficamente da[4]). ID Conta leucocitaria (tp1, PB) CD34+/µl CD34+ CD38-/µl Conta leucocitaria (tp2, PB) CD34+/µl CD34+ CD38-/µl 114 24,89 13,00 0,08 40,94 30,52 0,73 115 24,43 2,54 0,26 20,88 17,44 10,25 116 31,77 50,53 2,22 59,24 241,4 13,28 117 3,50 112,2 1,01 33,43 175,1 2,45 118 26,53 17,23 0,09 40,20 55,68 0,56 119 55,19 26,50 1,19 73,63 158,00 25,60 120 39,78 44,83 0,31 45,70 90,82 2,45 Mediana 26,53 26,5 0,31 40,94 90,82 2,45 dell’aldeide deidrogenasi (ALDH) e l’espressione di diversi marcatori di superficie, come CD34, CD38 e CD133. Dopo il trattamento con plerixafor, il numero di cellule ALDH(bright) e CD34+ era significativamente maggiore rispetto al conteggio delle stesse cellule prima del trattamento. Era, inoltre, rilevabile un arricchimento dei sottoinsiemi di cellule staminali emopoietiche CD34+/CD38- molto primitive e ALDH(bright) CD34+/CD38- (Figura 3).[5] cellule staminali emopoietiche. Uno degli studi più recenti condotti sulla caratterizzazione dei sottoinsiemi di cellule staminali emopoietiche raccolte da pazienti con mieloma multiplo dopo mobilizzazione con plerixafor è stato pubblicato nel 2011.[5] Gli Autori hanno effettuato la caratterizzazione dell’immunofenotipo dei sottoinsiemi di cellule staminali emopoietiche isolati dal sangue periferico di 8 pazienti prima e dopo mobilizzazione con plerixafor, analizzando l’attività ALDH 1 Prima di plerixafor Dopo plerixafor % di cellule 0,8 0,6 0,4 0,2 0 mPB1 mPB2 mPB3 mPB4 mPB5 mPB6 mPB7 mPB8 mPB5 mPB6 mPB7 mPB8 Paziente CD34 1 % di cellule 0,8 0,6 0,4 0,2 0 mPB1 mPB2 mPB3 mPB4 Paziente Figura 3. Caratterizzazione dei sottoinsiemi di cellule staminali emopoietiche da pazienti con mieloma multiplo prima e dopo mobilizzazione con plerixafor (modificata graficamente da[5]). 7 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Una recente conferma di questi risultati proviene dallo studio di Roug e colleghi, che hanno operato una comparazione del contenuto di cellule staminali e progenitrici nei prodotti di pazienti trattati con G-CSF + plerixafor e con solo G-CSF.[6] In questo studio sono state riportate anche percentuali più elevate di CD38- nei pazienti trattati con G-CSF + plerixafor rispetto alla monoterapia con G-CSF (p = 0,032). Inoltre, il sottoinsieme di cellule CD34+ negli innesti ottenuti con G-CSF era caratterizzato da una maggiore percentuale di cellule ALDH(bright) (p < 0,0001). Al fine di chiarire la diversa funzionalità delle PBPC mobilizzate dal solo G-CSF rispetto al trattamento con G-CSF + plerixafor, il Professor Fruehauf ha effettuato una comparazione intraindividuale del profilo di espressione genica delle cellule CD34+ in questi due differenti contesti terapeutici esaminando 6 pazienti affetti da mieloma multiplo e linfoma non-Hodgkin.[7] I campioni raccolti in questo studio hanno rivelato che le PBPC CD34+ mobilizzate con G-CSF + plerixafor esprimono un numero significativamente più elevato di geni in grado di promuovere un mag- giore attecchimento dopo la terapia mieloablativa rispetto alle PBPC CD34+ mobilizzate con G-CSF. È importante ricordare che, oltre ai precursori emopoietici primitivi precedentemente descritti, plerixafor mobilizza anche altri tipi cellulari nei pazienti sottoposti a trapianto autologo, tra cui le cellule dendritiche e i linfociti T regolatori, come illustrato dal Professor Mohty nella sua successiva presentazione. La capacità di mobilizzazione di plerixafor è stata valutata anche rispetto alle cellule tumorali. Lo studio sperimentale EU21 precedentemente menzionato è stato il primo ad aver adottato il metodo PCR per stimare la concentrazione di cellule tumorali nel sangue periferico di pazienti con mieloma multiplo dopo mobilizzazione con solo G-CSF e con G-CSF + plerixafor. Plerixafor non sembra favorire la contaminazione del prodotto aferetico con cellule tumorali: infatti, dopo trattamento con tale agente, si sono osservati una riduzione o solo un lieve incremento nel numero di cellule tumorali (non clinicamente né statisticamente significativo) rispetto ai valori riportati per G-CSF da solo. In conclusione, plerixafor influenza la qualità delle cellule staminali mobilizzate in termini di: • incremento di cellule CD34+; • aumento dei sottoinsiemi primitivi; • assenza di incremento nella mobilizzazione di cellule tumorali. La maggior parte dei dati qui illustrati è reperibile all’interno del volume “Novel Developments in Stem Cell Mobilization - Focus on CXCR4”. Fruehauf S, Zeller WJ, Calandra G (Eds). New York: Springer, 2012, dove è disponibile una discussione più approfondita sugli argomenti affrontati. 8 CONFERENCE INSIGHT T-cell and dendritic cell subsets in autologous grafts Sottoinsiemi di cellule T e cellule dendritiche negli innesti autologhi Mohamad Mohty l’esito del trapianto, in entrambi i contesti autologo e allogenico. Come evidenziato dal Professor Fruehauf nella sua presentazione, devono essere presi in considerazione non solo la quantità, ma anche la qualità e il potenziale staminale delle cellule CD34+. Il primo studio ad aver indagato l’influenza della composizione dell’innesto di cellule staminali in un contesto allogenico è stato condotto più di 20 anni fa dal Professor Maraninchi, che ha esaminato l’impatto della deplezione di cellule T sull’esito del trapianto di midollo osseo allogenico.[9] In questo studio, 71 pazienti leucemici sono stati randomizzati a ricevere midollo osseo intero o T-depleto. In vitro la deplezione delle cellule T determinava una ridotta incidenza di malattia da trapianto contro l’ospite (GVHD, graft-versus-host disease), ma era associata a un aumento significativo di fallimento dell’innesto e di recidiva. La sopravvivenza a lungo termine si era rivelata maggiore nel L’immunologia della mobilizzazione di cellule staminali e l’influenza della composizione dell’innesto sull’esito del trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) sono stati i temi dominanti della presentazione curata dal Professor Mohty (Université Pierre & Marie Curie, Parigi). I trapianti autologo e allogenico di cellule staminali emopoietiche sono procedure complesse, il cui esito sembra correlato a diversi fattori determinanti, quali l’età dei pazienti, le comorbilità pre-trapianto, la tecnica trapiantologica adottata, il regime di condizionamento nel contesto allogenico o la chemioterapia ad alte dosi nel trapianto autologo, l’origine e la composizione dell’innesto, la prevenzione delle recidive e la terapia di supporto (Figura 4).[8] Molti dei miglioramenti ottenuti negli ultimi anni nel TCSE sono stati favoriti principalmente dall’avvento di nuove terapie di supporto, volte, in particolare, alla riduzione delle infezioni fungine. L’origine dell’innesto rappresenta un fattore rilevante per 3 1 Fattori correlati al paziente (età, comorbilità…) Regime di condizionamento/ Chemioterapia ad alte dosi 4 Origine/Composizione dell’innesto 6 Terapia di supporto e prevenzione delle recidive 2 Fattori correlati alla malattia -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 +14 +21 Figura 4. Fattori determinanti l’esito del trapianto di cellule staminali emopoietiche (modificata graficamente da[8]). 9 +100 >180 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Tabella 2. Impatto sulla sopravvivenza di una dose maggiore di cellule CD34+ nel contesto autologo. Studio Gordan, 20031 2 N Stato patologico Dose cellulare (×106/kg) Follow-up mediano Beneficio sulla sopravvivenza 90 NHL, HD ≥ 10 ND Sì Toor, 2004 104 MM ≥5 26 mesi Sì Blystad, 20043 43 DLBCL/FL ≥ 6,1 24 mesi Sì O’Shea, 20064 211 MM > 3,5 32 mesi Sì 5 Pavone, 2006 262 NHL, HD ≥2 3 anni Sì Bolwell, 20076 350 NHL, HD ≥8 ND Sì 1 Gordan LN et al. Leuk Lymphoma 2003;44(5):815-20. 2 Toor AA et al. Br J Haematol 2004;124(6):769-76. 3 Blystad AK et al. Br J Haematol 2004;125(5):605-12. 4 O’Shea D et al. Bone Marrow Transplant 2006;37(8):731-7. 5 Pavone V et al. Bone Marrow Transplant 2006;37(8):719-24. 6 Bolwell BJ et al. Bone Marrow Transplant 2007;40(5):437-41. DLBCL: linfoma diffuso a grandi cellule B; FL: linfoma follicolare; HD: linfoma di Hodgkin; MM: mieloma multiplo; ND: non disponibile; NHL: linfoma non-Hodgkin. le cellule dendritiche. La carenza di dati specifici sulla caratterizzazione degli innesti di PBSC mobilizzati da G-CSF + plerixafor ha indotto il Professor Mohty e colleghi ad avviare uno studio pilota monocentrico, con l’obiettivo di caratterizzare gli effettori immunitari contenuti nei campioni aferetici prelevati da pazienti con innesti mobilizzati con plerixafor + G-CSF rispetto al solo G-CSF. I risultati preliminari sono stati recentemente pubblicati.[11] I campioni aferetici sono stati ottenuti da 36 pazienti affetti da neoplasie, con una prevalenza di mieloma multiplo e linfoma non-Hodgkin, dopo mobilizzazione con G-CSF (n = 18) o G-CSF + plerixafor (n = 18). Quest’ultimo regime di mobilizzazione è stato somministrato a pazienti pesantemente pre-trattati, identificati come scarsi mobilizzatori. La percentuale di cellule T CD3+ negli innesti raccolti dopo mobilizzazione con G-CSF + plerixafor è risultata significativamente più elevata di quella in campioni raccolti dopo mobilizzazione con G-CSF da solo, mentre non sono state osservate differenze nelle cellule CD4+, CD8+, CD19+ e NK (Tabella 3). Le conte di cellule T CD8+ sono risultate simili in entrambi i gruppi, ma le analisi in vitro eseguite per valutarne le proprietà citotossiche hanno rivelato un aumento di cellule T CD8+ secernenti interferone-γ e fattore di necrosi tumorale-α nel gruppo trattato con G-CSF + plerixafor rispetto al gruppo G-CSF, mostrando differenze statisticamente significative a livello funzionale. Analogamente, le conte delle cellule T regolatorie CD4+ gruppo non T-depleto. Questi risultati sono stati confermati da ulteriori studi e hanno fornito una chiara evidenza di una modificazione delle reazioni immunitarie indotte dalla manipolazione del trapianto. Il trapianto di cellule staminali da sangue periferico (PBSC) può essere associato a una maggiore incidenza di GVHD cronica (cGVHD), probabilmente correlata alla composizione degli innesti di PBSC (cellule CD34+ e CD3+). In una ricerca pubblicata nel 2003, il Professor Mohty e colleghi hanno suggerito che in un contesto allogenico e in un regime di condizionamento mieloablativo convenzionale, la dose di cellule CD34+ negli innesti di PBSC possa influenzare lo sviluppo di cGVHD e che una dose di CD34+ compresa tra 4 x 106/kg e 8 x 106/kg potrebbe rappresentare un valore limite accettabile perché non associato a un aumentato rischio di cGVHD estesa e deleteria.[10] I dati relativi al contesto autologo sono controversi, benché diversi studi riportino che una dose più elevata di cellule CD34+ possa essere associata a un miglior esito dopo trapianto autologo di PBSC (Tabella 2). La strategia di mobilizzazione delle cellule staminali nel contesto autologo ha ricevuto un forte impulso negli ultimi cinque anni grazie all’avvento del nuovo agente di mobilizzazione plerixafor. È noto che G-CSF + plerixafor mobilizzino più cellule CD34+/CD38- rispetto alla mobilizzazione ottenuta con il solo G-CSF e che anche altre caratteristiche dell’innesto possano essere rilevanti, comprese le diverse sottopopolazioni di linfociti, le cellule Natural Killer (NK) e 10 CONFERENCE INSIGHT Tabella 3. Sottopopolazione linfocitaria nei campioni aferetici ottenuti da pazienti mobilizzati con G-CSF o G-CSF + plerixafor (modificata graficamente da[11]). Linfocitia % G-CSF G-CSF + plerixafor Valore p CD3+ 73 (34-93) 81 (53-94) 0,01 CD4+ 52 (17-63,5) 48 (17-75) 0,68 CD8+ 41 (25-79,5) 43 (18-80) 0,77 Rapporto CD4/CD8 1,3 (0,2-2,5) 1 (0,2-4) 0,56 Naïve CD4 (CD27+CD45RA+) 43 (1,5-80) 36 (2-71) 0,8 Naïve CD8 (CD27+CD45RA+) 38 (6-90) 43 (5-85) 0,8 CD19+ 7 (0-53,5) 1 (0-18) 0,2 Cellule NK 9 (4-28,5) 9 (1-27) 0,35 mediana (intervallo) maggiore di PDC ILT7(+) e una ridotta espressione di CD86. Degno di nota è che le PDC sono coinvolte in quasi tutte le patologie autoimmuni e nella GVHD. Il ruolo nelle reazioni immunitarie delle differenti caratteristiche funzionali degli innesti ottenuti con G-CSF + plerixafor rispetto agli innesti mobilizzati con il solo G-CSF e la loro rilevanza clinica sono attualmente in fase di studio da parte del Professor Mohty e del suo gruppo di ricerca mediante modelli murini di trapianto. Sulla base della riproducibilità di questo fenomeno nell’uomo e nel topo, l’obiettivo dello studio è quello di valutare l’impatto degli innesti da G-CSF + plerixafor sugli esiti dei pazienti dopo trapianto autologo di cellule staminali: i risultati preliminari saranno pubblicati a breve. sono risultate simili per entrambi i gruppi ma, quando era utilizzato Foxp3 come marcatore, le cellule T esibivano una minore espressione di molecola costimolatoria inducibile (ICOS) e un’espressione significativamente maggiore di IL-7R (CD127) nel gruppo trattato con G-CSF + plerixafor rispetto al gruppo G-CSF (Figura 5). Le cellule dendritiche mieloidi (MDC) e le cellule dendritiche BDCA3(+) erano simili in entrambi i gruppi, ma i sottoinsiemi di cellule dendritiche plasmacitoidi (PDC) marcati con il BDCA-2 e combinati con CD123 erano significativamente più abbondanti negli innesti ottenuti con G-CSF + plerixafor, determinando un maggior rapporto PDC/MDC. Le PDC mobilizzate da G-CSF + plerixafor, inoltre, esibivano differenti marcatori funzionali, per esempio una percentuale Cellule T CD4 Foxp3+ ICOS+ Foxp3+ Espressione di CD127 p=0,21 p=0,09 p=0,002 100 % di cellule T ICOS+ Foxp3+ % di cellule T CD4+ Foxp3+ 30 20 10 0 80 60 40 20 0 G G+P G G+P CD127 MFI (intensità media di fluorescenza) su cellule T Foxp3+ a 1000 800 600 400 200 0 G G+P Figura 5. Le cellule T regolatorie negli innesti ottenuti con G-CSF + plerixafor esibiscono un differente fenotipo rispetto a quelle degli innesti ottenuti con G-CSF (modificata graficamente da[11]). 11 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica In conclusione: • la caratterizzazione dei campioni aferetici da pazienti mobilizzati con G-CSF da solo o con G-CSF + plerixafor ha rivelato differenze quantitative e funzionali per le cellule T e le cellule dendritiche; • la proporzione di cellule T CD8+ secernenti interferone-γ e fattore di necrosi tumorale-α è risultata maggiore nel gruppo di pazienti trattati con G-CSF + plerixafor; • le cellule dendritiche plasmacitoidi (PDC) negli innesti ottenuti con G-CSF + plerixafor determinano un rapporto PDC/MDC (cellule dendritiche mieloidi) più elevato e manifestano differenti marcatori funzionali; • gli innesti mobilizzati con G-CSF + plerixafor possono esercitare un impatto significativo dopo trapianto di cellule staminali. 12 CONFERENCE INSIGHT Mega stem cell dose and haplo-transplant Megadosi di cellule staminali e aplotrapianto Fabio Ciceri dose di cellule staminali T-deplete dopo somministrazione di un regime di condizionamento mieloablativo e mielosoppressivo basato sulla pan-irradiazione corporea (TBI)/tiotepa/fludarabina/globulina anti-timocitica (ATG) (Figura 6).[12] In uno studio sugli esiti riportati da 266 pazienti adulti con leucemia linfoblastica acuta e leucemia mieloide acuta che avevano ricevuto un trapianto aploidentico di cellule staminali emopoietiche, le procedure di selezione cellulare adottate portavano a dosi mediane di 10-11,9 x 106/kg di cellule CD34+, 1 x 104/kg di cellule CD3+ e 4,1 x 104/kg di cellule CD20+ (Figura 6).[13] Uno studio del 2001 condotto su 39 pazienti pediatrici affetti da patologie neoplastiche e benigne ha dimostrato Per la maggior parte dei pazienti che necessitano di un trapianto non è disponibile un donatore consanguineo istocompatibile. Per questi pazienti una fonte alternativa è rappresentata da un donatore compatibile per l’antigene leucocitario umano (HLA, human leukocyte antigen). Purtroppo, la percentuale di pazienti in grado di trovare un donatore compatibile non consanguineo è molto bassa. Il trapianto aploidentico offre un’opzione terapeutica alternativa per i pazienti privi di donatori HLA-compatibili, che possono così ricevere cellule staminali da donatori non compatibili/aploidentici. I donatori aploidentici sono caratterizzati da un aplotipo in comune con il ricevente, con una corrispondenza in almeno cinque dei dieci loci HLA. L’Italia è il primo Paese in Europa per numero di trapianti aploidentici, seguita dalla Germania; proprio in Italia è stata validata la miglior metodologia a oggi disponibile per questa pratica ancora emergente grazie alla ricerca compiuta dal gruppo di Perugia negli anni Novanta. Nella sua presentazione il Professor Ciceri (Istituto Scientifico San Raffaele, Italia) ha ripercorso la storia di tale pratica e i benefici di plerixafor in questo contesto. I trapianti aploidentici erano originariamente associati a malattia da trapianto contro l’ospite (GVHD) e a fallimento dell’innesto. La ricerca condotta dal gruppo di Perugia ha superato la complicanza rappresentata dalla GVHD praticando la deplezione di cellule T attraverso un metodo di selezione delle cellule CD34+; ha, inoltre, risolto il problema del fallimento dell’innesto trapiantando una mega- Innesto Cellula T Staminale Condizionamento Dose mediana di cellule CD34+ 10-11,9 x 106/kg di peso corporeo sTBI Tiotepa Fludara ATG Dose mediana di cellule CD3+ 1 x 104/kg di peso corporeo t5#*(Z JOVOBTJOHPMB GSB[JPOFBD(ZN t5JPUFQBNHLHEJF t'MVEBSBCJOBNHN2EJF t"5( Dose mediana di cellule CD20+ 4,1 x 104/kg di peso corporeo Nessuna immunosoppressione post-trapianto Figura 6. Fattori implicati nell’attecchimento di cellule staminali emopoietiche T-deplete da donatore aploidentico (modificata graficamente da[12,13]). 13 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Sopravvivenza libera da malattia di pazienti con patologie neoplastiche e non dopo trapianto aploidentico Percentuale totale di insorgenza di GVHD acuta 1,0 100 0,8 80 Patologie non neoplastiche 0,75 (s.e. 0,15) 0,6 60 % Probabilità di sopravvivenza libera da malattia 90 n=8 0,4 40 n=31 0,2 20 Patologie neoplastiche 0,28 (s.e. 0,08) 8 0 2 0 0 1 2 3 4 Tempo (anni) 0-I II III-IV Grado di GVHD Trapianto di cellule staminali HLA-non compatibili eseguito con megadosi di cellule progenitrici CD34+ da donatori adulti consanguinei in 39 pazienti di età pediatrica affetti da diverse patologie. 7 pazienti hanno ricevuto una profilassi della GVHD a breve termine a base di ciclosporina A, 32 pazienti non hanno ricevuto alcuna profilassi. La durata del follow-up mediano è stata di 2 anni per stimare il successo dell’innesto. Figura 7. Megadose di cellule CD34+ purificate da sangue periferico proveniente da donatori consanguinei HLA-non compatibili in pazienti di età pediatrica (modificata graficamente da[14]). torio del G-CSF sulle placche aterosclerotiche instabili) e l’attivazione del sistema di coagulazione.[1] Da tali esiti si può dedurre che l’impiego di G-CSF possa generare molteplici rischi nel donatore. L’impiego di plerixafor come agente singolo per la mobilizzazione in donatori sani è stato sperimentato per la prima volta nel 2008, sulla base dell’ipotesi secondo cui la sostituzione di G-CSF con plerixafor offrirebbe un metodo potenzialmente più sicuro per ottenere cellule staminali emopoietiche e cellule progenitrici. È stato condotto uno studio non randomizzato, in aperto, di fase 1-2 su 25 donatori trattati con plerixafor alla dose di 240 μg/kg per via sottocutanea. Nei due terzi dei donatori dopo una sola dose è stato ottenuto un alloinnesto contenente una dose di cellule CD34+ sufficiente per il trapianto. È importante sottolineare che nessun donatore ha riportato eventi avversi di grado superiore a 1 né dolore osseo, tipicamente associato al trattamento con G-CSF.[15] L’aggiunta “Just in Time” di plerixafor al G-CSF come agente di mobilizzazione delle cellule staminali emopoietiche in donatori sani con mobilizzazione insufficiente ottenuta con il solo G-CSF è stata descritta in un resoconto che il trapianto di megadosi di cellule staminali purificate provenienti da consanguinei non compatibili determinava un attecchimento completo e prolungato e una bassissima incidenza di GVHD (Figura 7).[14] Come è noto, la donazione di cellule staminali emopoietiche è associata a gravi eventi avversi. Nel 2009, l’EBMT ha pubblicato i risultati di un’analisi retrospettiva di dati raccolti attraverso un’indagine condotta nel 1993-2002 e nel 2003-2005 in 35 Paesi prevalentemente europei. Da tale indagine è emerso un totale di 51.024 primi trapianti allogenici di cellule staminali emopoietiche (27.770 di midollo osseo e 23.254 di sangue periferico) eseguiti. Sono stati riportati cinque decessi di donatori, eventi avversi gravi in 37 donatori e insorgenza di neoplasie ematologiche in 20. Tutti i donatori avevano ricevuto G-CSF come regime di mobilizzazione delle cellule staminali.[1] Una delle complicanze più rilevanti documentate con la somministrazione di G-CSF è stata l’insorgenza di eventi vascolari; l’indagine condotta dall’EBMT ha registrato sette eventi tromboembolici (con l’esclusione della trombosi venosa associata a catetere), due casi di infarto miocardico (probabilmente in conseguenza dell’effetto pro-infiamma- 14 CONFERENCE INSIGHT 18 volontari sani 23 volontari sani Somministrazione al gior no 5 dopo 4 gior ni di ter apia con G-CSF Somministrazione giorno giorni terapia 40 µg/kg (n=3) 160 µg/kg (n=5) 80 µg/kg (n=10) 240 µg/kg (n=5) G-CSF Plerixafor n=6 in ciascun gruppo G-CSF + plerixafor 200 Numero assoluto di cellule CD34+ nel sangue periferico (cellule x 106/l) Numero assoluto di cellule CD34+ nel sangue periferico (cellule x 106/l) 45 40 35 30 25 20 15 10 150 100 50 0 5 0 0 3 6 9 12 15 18 21 24 e) TTempo empo (or (ore) 0 3 6 9 12 15 18 21 24 Tempo calcolato dopo 4 giorni di terapia con G-CSF Tempo e randomizzazione a uno dei tre gruppi il giorno 5 Tempo (ore) Figura 8. Mobilizzazione di cellule CD34+ indotta da plerixafor come agente singolo, secondo l’analisi dose-risposta (modificata graficamente da[17]). Figura 9. Incremento nella mobilizzazione di cellule CD34+ indotta da G-CSF mediante addizione di plerixafor (modificata graficamente da[18]). di sei casi clinici, in cui è stato dimostrato il raggiungimento di un numero sufficiente di cellule CD34+ in tutti i donatori e l’insorgenza di effetti avversi solo di entità lieve associati a questo regime.[16] Un ulteriore studio ha esaminato la capacità di plerixafor di mobilizzare cellule emopoietiche progenitrici dal midollo osseo al sangue periferico in 23 volontari sani. Questi avevano ricevuto una singola iniezione sottocutanea di plerixafor in diverse dosi: 40 μg/kg (n = 3), 80 μg/kg (n = 10), 160 μg/kg (n = 5) e 240 μg/kg (n = 5), che inducevano una rapida leucocitosi generalizzata associata a un incremento di cellule CD34+ nel sangue periferico. L’analisi dose-risposta ha dimostrato un chiaro effetto dose-dipendente, con un picco di incremento di 10 volte nel numero di cellule CD34+ nel sangue periferico a 9 ore dalla somministrazione della dose massima di plerixafor (Figura 8).[17] Analogamente, uno studio di fase 1 ha valutato il beneficio clinico di plerixafor nella mobilizzazione di cellule per il trapianto di cellule progenitrici emopoietiche in 18 volontari sani, somministrando G-CSF da solo, plerixafor da solo o una combinazione di plerixafor con G-CSF in regime stan- dard di 5 giorni. Plerixafor determinava un incremento significativo nella mobilizzazione indotta da G-CSF delle cellule CD34+ nel sangue periferico a 6 e a 9 ore (p < 0,05). Quando plerixafor è stato associato a G-CSF, l’incremento di cellule CD34+ è stato maggiore e si è osservato più tardivamente (Figura 9).[18] Infine, il Professor Ciceri ha illustrato due brevi casi clinici, da cui si evincono i benefici associati all’impiego di plerixafor in donatori sani. Il primo caso clinico riguardava l’uso di plerixafor “al bisogno” (“On Demand”) in un donatore sano scarso mobilizzatore. Un primo tentativo di mobilizzazione prevedeva l’assunzione di una dose di G-CSF di 12 μg/kg. Al giorno 5, i livelli di CD34+ erano di 12 CD34+/μl; il giorno 6, 9 ore dopo la somministrazione di plerixafor, i livelli di CD34+ erano aumentati a 48 CD34+/μl. È stata raggiunta anche una resa sufficiente di cellule CD34+ (8 x 106 cellule CD34+/kg). Il secondo caso clinico riguardava un donatore non candidabile al trattamento con G-CSF o al prelievo di midollo osseo, che aveva ricevuto plerixafor come singolo agente 15 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica per la mobilizzazione di cellule CD34+; una singola dose si è dimostrata sufficiente per raggiungere 60 cellule CD34+/μl e una resa di 7 x 106 cellule CD34+/kg. In entrambi i casi clinici descritti, il protocollo adottato rifletteva lo schema previsto per l’uso compassionevole e i risultati sono stati replicati in altri donatori. In conclusione: • la dose di cellule staminali costituisce un fattore chiave favorevole per il trapianto aploidentico T-depleto; • una megadose di cellule staminali non è sempre fornita da donatori consanguinei aploidentici; • come mostrato nei singoli casi clinici illustrati, plerixafor da solo e in combinazione con G-CSF può rappresentare una potenziale terapia di salvataggio per donatori normali scarsi mobilizzatori; • urgono studi prospettici di approfondimento. 16 CONFERENCE INSIGHT Pre-emptive mobilization approach and a case report Approccio pre-emptive (preventivo) alla mobilizzazione e descrizione di un caso clinico Kai Hübel somministrazione giornaliera di G-CSF. La chemioterapia ad alte dosi e il trapianto autologo possono essere eseguiti dopo la raccolta di un numero sufficiente di cellule staminali (Figura 10).[19] Benché sicura e ben tollerata, questa procedura risulta frequentemente associata a una resa subottimale di cellule staminali. Un metodo più efficace per incrementare le concentrazioni circolanti di cellule staminali emopoietiche prevede la combinazione di G-CSF o citochine con la chemioterapia, procedura nota come chemiomobilizzazione. Sulla base di tale approccio, la chemioterapia malattia-specifica è seguita da una mobilizzazione mediante chemioterapia, solitamente praticata somministrando ciclofosfamide o un regime contenente ciclofosfamide. La somministrazione giornaliera di G-CSF avviene al nadir dei valori di leucociti, coincidente con l’inizio del recupero emopoietico. L’aferesi può essere eseguita non appena sia raggiunto un valore soglia specifico per la conta delle cellule CD34+ nel sangue periferico e può essere seguita da chemioterapia ad Il Professor Hübel (Università di Colonia, Germania) ha introdotto la sua presentazione dedicata all’approccio preemptive alla mobilizzazione illustrando la metodologia attualmente disponibile per la raccolta di cellule staminali. La procedura di prelievo del midollo osseo prevede ripetute aspirazioni midollari ed è fonte di grave stress e disagio per il paziente. I progressi occorsi nell’ambito della tecnologia medica hanno condotto allo sviluppo di un approccio più vantaggioso, basato sul processo di aferesi. L’aferesi deve essere preceduta dalla mobilizzazione di cellule staminali dal comparto midollare osseo verso il sangue periferico, procedimento generalmente eseguito ricorrendo a due strategie alternative. La prima fase del regime di mobilizzazione in condizioni di stazionarietà (“steady-state”) prevede la somministrazione di un trattamento chemioterapico specifico per la patologia in corso; successivamente a un completo recupero emopoietico ottenuto dopo l’intervento chemioterapico, generalmente raggiunto in 2-3 settimane, viene intrapresa la procedura di aferesi dopo 4-5 giorni di Aferesi G-CSF (Chemio-)terapia malattia-specifica Figura 10. Mobilizzazione in condizioni di stazionarietà (“steady-state”). HSCT: trapianto di cellule staminali emopoietiche (modificata graficamente da[19]). 17 Auto-HSCT Chemioterapia ad alte dosi Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Aferesi (Chemio-)terapia malattia-specifica G-CSF Mobilizzazione mediante chemioterapia Auto-HSCT Chemioterapia ad alte dosi Aferesi Chemioterapia malattia-specifica Auto-HSCT G-CSF Chemioterapia ad alte dosi Figura 11. Mobilizzazione mediante chemioterapia o chemiomobilizzazione. HSCT: trapianto di cellule staminali emopoietiche (modificata graficamente da[19]). mioterapia malattia-specifica o a una mobilizzazione in “steady-state”. Il primo approccio è generalmente da preferirsi per evitare il carico determinato da ulteriori cicli chemioterapici e per condurre il paziente al trapianto nel più breve tempo possibile. Tuttavia, per i pazienti in condizioni di stabilità, in remissione completa e non eligibili alla chemiomobilizzazione, può essere praticato il regime in “steady-state” (Figura 12).[19] Gli esiti della procedura di mobilizzazione potrebbero essere compromessi dall’influenza esercitata da uno dei seguenti fattori di rischio: • età avanzata • diagnosi (linfoma più grave del mieloma) • cicli multipli di terapie pregresse (chemioterapia/radioterapia) • precedente autotrapianto • terapie precedenti con agenti alchilanti, platino o lenalidomide • basse conte piastriniche (inferiori a 100.000 cellule) • neutropenia febbrile • fallimento di precedenti mobilizzazioni • coinvolgimento midollare nella neoplasia. Come osservato dal comitato di esperti dell’EBMT, il più robusto fattore predittivo di scarsa mobilizzazione è costituito dalla conta di cellule CD34+ nel sangue periferico prima dell’aferesi. alte dosi dopo la raccolta di un numero sufficiente di cellule staminali (Figura 11).[19] In alternativa, la chemioterapia malattia-specifica può essere praticata come regime di mobilizzazione, seguita immediatamente dall’aggiunta di G-CSF al nadir dei valori di leucociti e dall’aferesi (Figura 11).[19] Questa seconda opzione può ridurre i tempi per la chemioterapia ad alte dosi ed è privilegiata in caso di trattamenti urgenti. La chemiomobilizzazione può incrementare la resa di cellule staminali e ridurre il carico tumorale. È, comunque, associata a elevata tossicità e a una minore predittività della finestra temporale per la mobilizzazione. L’EBMT ha appena pubblicato un position statement formulato da ricercatori europei sulle strategie di ottimizzazione del protocollo di aferesi e il miglioramento degli esiti di mobilizzazione nel mieloma multiplo e nel linfoma. Per i pazienti affetti da mieloma multiplo sono raccomandati sia la mobilizzazione in “steady-state” sia la mobilizzazione con chemioterapia, anche se il primo approccio non è in grado di fornire conte elevate di cellule CD34+. Se la chemiomobilizzazione rappresenta l’opzione da preferirsi, la ciclofosfamide deve essere somministrata a un dosaggio compreso tra 1,5 e 4,0 g/m2. La scelta della strategia di mobilizzazione è generalmente basata sulle raccomandazioni riportate nelle linee guida locali (Figura 12).[19] Per i pazienti affetti da linfoma si può ricorrere a una che- 18 CONFERENCE INSIGHT Mobilizzazione in “steady-state” MM Mobilizzazione con chemioterapia (ciclofosfamide o etoposide) t-BEFDJTJPOFTVMMJNQJFHPEFMMBNPCJMJ[[B[JPOFJOiTUFBEZTUBUFwPEFMMBDIFNJPNPCJMJ[[B[JPOFEFWFCBTBSTJ TVMMFSBDDPNBOEB[JPOJJODMVTFOFMMFMJOFFHVJEBMPDBMJ tµDPNVORVFNFOPQSPCBCJMFJMSBHHJVOHJNFOUPEJVOOVNFSPTVGýDJFOUFEJDFMMVMF$%DPOMBNPCJMJ[[B[JPOFJOiTUFBEZTUBUFw t$JDMPGPTGBNJEFJONPOPUFSBQJBJOUFSWBMMPEJEPTFBDDFUUBUPEJHN2 Approcci basati sulla chemioterapia malattia-specifica Linfoma Mobilizzazione in “steady-state” t(MJBQQSPDDJCBTBUJTVMMBDIFNJPUFSBQJBNBMBUUJBTQFDJýDBTPOPTVHHFSJUJQFSFWJUBSFJMDBSJDPEJVMUFSJPSJDJDMJDIFNJPUFSBQJDJ t-BNPCJMJ[[B[JPOFJOiTUFBEZTUBUFwQVÛSBQQSFTFOUBSFVOPQ[JPOFVUJMFQFSDBUFHPSJFTFMF[JPOBUFEJQB[JFOUJ QB[JFOUJJOSFNJTTJPOFDPNQMFUB QB[JFOUJOPOFMJHJCJMJBMMBDIFNJPNPCJMJ[[B[JPOF Figura 12. Position statement dell’EBMT sulla mobilizzazione di cellule staminali. MM: mieloma multiplo (modificata graficamente da[19]). pazienti con basse conte di cellule CD34+ il giorno 1 dell’aferesi, che potrebbero beneficiare di un uso pre-emptive di plerixafor (Tabella 4).[20,21] È disponibile una vasta letteratura scientifica a sostegno dell’efficacia dell’uso pre-emptive di plerixafor negli scarsi mobilizzatori “dimostrati”. In particolare, in una pubblicazione del 2011 è stato presentato un modello matematico quale guida all’uso di plerixafor in un regime di mobilizzazione in “steady-state”.[22] L’algoritmo decisionale, formulato secondo i dati disponibili e volto al contenimento dei costi, così come proposto dagli Autori, si basa sulla conta di cellule CD34+ nel sangue periferico il quarto giorno di somministrazione di G-CSF e su un livello di raccolta specifico per decidere se proseguire con il solo G-CSF o aggiungere plerixafor al regime di mobilizzazione, al fine di pervenire a costi più ridotti. Questo algoritmo è stato validato in una coorte di 34 pazienti sottoposti a mobilizzazione di cellule staminali emopoietiche.[22] Secondo quanto previsto da tale algoritmo, una conta di cellule CD34+ nel sangue periferico viene eseguita dopo 4 giorni di somministrazione di G-CSF. Se i livelli cellulari di CD34+ superano il valore soglia indicato da una “x” Una delle migliori opzioni disponibili per contrastare il fallimento del processo di mobilizzazione è rappresentata dall’uso di plerixafor. Come riportato nel riassunto delle caratteristiche del prodotto diffuso in Europa, plerixafor è indicato in combinazione con G-CSF per incrementare la mobilizzazione delle cellule staminali emopoietiche nel sangue periferico per la raccolta e il conseguente trapianto autologo in pazienti con linfoma e mieloma multiplo con una scarsa mobilizzazione cellulare.[20] Gli esiti sfavorevoli della mobilizzazione hanno condotto all’individuazione di tre gruppi di pazienti che potrebbero trarre beneficio dall’uso di plerixafor: i cosiddetti scarsi mobilizzatori “previsti”, gli scarsi mobilizzatori “dimostrati” e i mobilizzatori con precedente fallimento. Quest’ultima categoria comprende i pazienti che hanno fallito la prima mobilizzazione e che necessitano di una seconda mobilizzazione ricorrendo a plerixafor. Gli scarsi mobilizzatori “previsti” sono pazienti che presentano almeno uno dei fattori di rischio elencati in precedenza e associati a scarsa mobilizzazione: per questi pazienti, plerixafor può essere utilizzato in modo proattivo per evitare il fallimento della mobilizzazione. Gli scarsi mobilizzatori “dimostrati” sono 19 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica Tabella 4. Categorie di pazienti che potrebbero beneficiare dell’uso di plerixafor (modificata da[20,21]). Categorie di pazienti Scarsi mobilizzatori Dimostrati Previsti con caratteristiche basali o di malattia associate a scarsa mobilizzazione: - Età avanzata - Pretrattamento intenso - Pregresso trattamento con lenalidomide, fludarabina o XRT Definizione • Pazienti Come impiegare plerixafor • Proattivamente in prima linea Mobilizzatori con precedente fallimento conte di CD34+ nel sangue periferico (<20 cellule CD34+ circolanti/µl) • Non raggiungono una conta cellulare adeguata il giorno 1 dell’aferesi • Pazienti che hanno fallito il primo tentativo di mobilizzazione e che necessitano di una seconda mobilizzazione • Aggiunto • Per • Basse “pre-emptive” in prima linea la rimobilizzazione XRT (External Beam Radiation Therapy): radioterapia esterna. periferico ottenuti dopo 4 giorni di G-CSF superino il numero mostrato lungo la linea continua.[22] Da un altro studio è emersa la proposta di un algoritmo pratico basato sul rischio, volto a identificare anticipatamente i potenziali mobilizzatori scarsi e lenti, ottimizzare in questi pazienti la raccolta di cellule staminali emopoietiche autologhe con l’impiego di plerixafor e ridurre al minimo il numero di giorni necessari per un’adeguata raccolta di cellule staminali emopoietiche.[23] In questo studio, 159 pazienti affetti da linfoma e mieloma multiplo sono stati sottoposti a un primo tentativo di mobilizzazione. Trentanove dei 159 pazienti hanno ottenuto un numero di cellule CD34+ inferiore nella Figura 13, viene praticata l’aferesi, altrimenti, se il livello target di raccolta delle cellule CD34+ non è raggiunto, questo schema viene ripetuto. Qualora la conta di cellule CD34+ sia inferiore al valore “x”, viene aggiunto plerixafor lo stesso giorno della quantificazione delle cellule CD34+. Il giorno successivo viene somministrato G-CSF e si esegue l’aferesi e questo ciclo viene ripetuto fino alla raccolta di un numero sufficiente di cellule staminali (Figura 13).[22] Il valore soglia identificato come “x” nella Figura 13 è calcolato secondo quanto riportato nella Figura 14: per un determinato obiettivo di mobilizzazione, plerixafor deve essere impiegato a meno che i valori di CD34+ nel sangue Approccio basato su G-CSF Sì – termine della raccolta Obiettivo raggiunto? Stesso giorno aferesi No Giorno successivo G-CSF+aferesi CD34+ > X Conta di cellule CD34+ nel sangue periferico CD34+ ≤ X G-CSF giornaliero x 3 Stesso giorno (alla sera) dose di plerixafor Dose di G-CSF al giorno 4 Stesso giorno (alla sera) dose di plerixafor Giorno successivo G-CSF+aferesi No Obiettivo raggiunto? Approccio basato su G-CSF + plerixafor Sì – termine della raccolta Figura 13. Algoritmo decisionale quale guida all’uso di plerixafor (modificata graficamente da[22]). 20 CONFERENCE INSIGHT 50 n=34 CD34+ nel sangue periferico il giorno 4 della mobilizzazione (cellule/mm3) 45 40 35 37 A favore di G-CSF da solo 30 33 29 25 25 20 Aggiungere plerixafor 21 18 15 14 10 10 5 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 6 Obiettivo di raccolta (x10 cellule CD34+/kg) Figura 14. Metodo di valutazione per indirizzare all’uso di G-CSF da solo o di G-CSF + plerixafor al fine di completare la raccolta delle cellule staminali (modificata graficamente da[22]). basato sulle conte di cellule CD34+. Se i livelli di cellule CD34+ superano il valore di 20 cellule/μl, la somministrazione di plerixafor non risulta necessaria e può essere eseguita l’aferesi. Qualora i livelli misurati di cellule CD34+ risultassero compresi tra 10 e 20 cellule/μl – in una sorta di “area grigia” – la decisione sull’impiego pre-emptive di plerixafor è presa sulla base delle caratteristiche patologiche del paziente, sui precedenti trattamenti ricevuti e sulle raccomandazioni previste dalle linee guida vigenti localmente. Nel caso in cui la conta di cellule CD34+ prima dell’aferesi fosse inferiore a 10 cellule/μl, plerixafor deve essere utilizzato in modalità pre-emptive (Figura 15).[19] a 10 cellule/μl il primo giorno di raccolta e 16 hanno ottenuto una scarsa resa dopo la prima raccolta. La somministrazione di una, due o tre dosi di plerixafor in questi 55 pazienti è risultata in una mobilizzazione efficace nell’85,5% dei casi, dimostrando che plerixafor ha agito come terapia di salvataggio in 47 pazienti. Il numero mediano di raccolta è stato di 3,4 x 106 cellule CD34+/kg e il numero mediano di aferesi eseguite è stato di 2. Questo studio ha dimostrato, inoltre, che l’uso pre-emptive di plerixafor possa risultare efficace anche nella chemiomobilizzazione.[23] La commissione di esperti dell’EBMT ha formulato una specifica raccomandazione sull’uso pre-emptive di plerixafor Conta di cellule CD34+ prima dell’aferesi >20 cellule/μl 10-20 cellule/μl <10 cellule/μl Approccio dinamico basato sulle caratteristiche patologiche del paziente e sui trattamenti precedenti Uso preventivo di plerixafor Aferesi (conta cellulare target = 2,0 x 106 cellule CD34+/kg di peso corporeo) Figura 15. Approccio volto a evitare il fallimento della procedura di mobilizzazione proposto dall’EBMT (modificata graficamente da[19]). 21 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica staminali e viene, quindi, somministrato plerixafor. Plerixafor è un farmaco sicuro e ben tollerato: le più comuni reazioni avverse sono rappresentate da disturbi gastrointestinali lievi, come diarrea o nausea, e da reazioni al sito d’iniezione di lieve entità. In alcuni pazienti potrebbero insorgere fatigue o cefalea, ma tutti gli effetti indesiderati sono di facile gestione.[24,25] Il Professor Hübel ha, infine, accennato alla prassi attualmente seguita presso il suo dipartimento medico. Quando i livelli di CD34+ sono compresi tra 10 e 15 cellule/μl, si ricorre all’uso pre-emptive di plerixafor. Nel caso di conte cellulari di CD34+ comprese tra 15 e 20 cellule/μl, viene tentata la prima aferesi, ma spesso questa procedura non garantisce un numero sufficiente di cellule In conclusione: • è essenziale provvedere affinché il primo tentativo di mobilizzazione abbia buon esito; • il più importante fattore predittivo di scarsa mobilizzazione è rappresentato dalla conta di cellule CD34+ nel sangue periferico; • in pazienti con conte di CD34+ inferiori a 10 cellule/μl prima dell’aferesi plerixafor è altamente raccomandato; l’uso pre-emptive di plerixafor in pazienti con 10-20 cellule CD34+/μl si basa sulle caratteristiche patologiche del paziente e sui trattamenti precedenti; • in futuro, la mobilizzazione delle cellule staminali non aderirà semplicemente a un regime prestabilito, ma sarà definita per singolo paziente in relazione agli specifici e opportunamente descritti fattori a esso correlati. La profilazione precisa di tali fattori sarà l’obiettivo e lo sforzo primario cui mireranno i futuri studi clinici. sottoposto a sei cicli di chemioterapia convenzionale con R-CHOP-21, che hanno determinato uno stato di remissione completa e stabile. Ciononostante, due anni dopo il paziente è recidivato, con un ECOG 1, stadio di malattia IV, coinvolgimento midollare del 30% e LDH di 950 U/l, manifestando un profilo ad alto rischio. I benefici associati all’uso pre-emptive di plerixafor sono illustrati nel caso clinico descritto dal Professor Hübel al termine della sua presentazione e riportato in breve a seguire. Nel gennaio 2011 un paziente di 59 anni ha ricevuto una diagnosi di linfoma diffuso a grandi cellule B ed è stato 20 3000 Leucociti/μl CD34+/µl 2500 15 10 1500 1000 Inizio di G-CSF 5 500 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 Giorno Figura 16. Esito della chemiomobilizzazione. 22 9 10 11 12 13 14 Leucociti/μl CD34+/µl 2000 CONFERENCE INSIGHT si è osservato un incremento del numero di cellule CD34+, che ha, però, raggiunto un livello stazionario a 7-8 cellule CD34+/μl tra i giorni 12 e 14 (Figura 16). Nella fase successiva è stata considerata l’aggiunta preemptive di plerixafor. Somministrato due volte, il giorno 14 e 15, ha determinato un ulteriore incremento dei livelli leucocitari e le conte di cellule CD34+ si sono ulteriormente innalzate a 12/14 cellule/μl, valori adeguati per intraprendere due cicli di aferesi. Questi hanno prodotto un totale di 3,1 x 106 cellule CD34+/kg raccolte, un numero sufficiente per una chemioterapia ad alte dosi (Figura 17). CD34+/µl CD34+/µl 20 Leucociti/μl 4000 15 3000 10 2000 Inizio di G-CSF 5 1000 0 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Giorno Plerixafor Figura 17. Esito della mobilizzazione a seguito dell’aggiunta di plerixafor. 23 16 17 Leucociti/μl La terapia raccomandata in tale condizione è rappresentata da due o tre cicli di R-DHAP, seguiti da alte dosi di BEAM o da trapianto autologo di cellule staminali: entrambe le strategie prevedono una procedura di mobilizzazione delle cellule staminali. Per eseguire la chemiomobilizzazione è stato applicato lo schema R-DHAP. È stata riportata una riduzione della conta leucocitaria, con un nadir osservato intorno al giorno 6-7. A partire dal giorno 6, G-CSF è stato somministrato quotidianamente e ha determinato un aumento dei livelli leucocitari (fino a 2.000 il giorno 14). Nel sangue periferico Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica 24 CONFERENCE INSIGHT Panel Discussion Discussione conclusiva con gli esperti Fabio Ciceri, Stefan Fruehauf, Mohamad Mohty Moderatore: Kai Hübel mentre un numero di cellule più elevato potrebbe essere necessario per un doppio trapianto autologo (“tandem”) di cellule staminali poiché, in questo caso, il valore di 1020 CD34+/μl non sarebbe sufficiente. Benché l’autotrapianto doppio non sia eseguito di prassi per il mieloma multiplo, il ricorso a tale procedura di salvataggio si sta progressivamente diffondendo in virtù della sua fattibilità e del favorevole rapporto costo-efficacia. Anziché porre l’attenzione sul valore minimo, sarebbe preferibile considerare il numero ottimale di cellule CD34+ mobilizzate, poiché la conta cellulare è correlata alla cinetica del recupero, soprattutto in termini di trasfusione piastrinica. Il Professor Ciceri ha suggerito di definire a priori la conta cellulare target da raggiungere per ciascun paziente e di ricorrere all’uso pre-emptive di plerixafor nella cosiddetta “area grigia” di 10-20 CD34+/μl, sulla base del target predefinito. La somministrazione pre-emptive di plerixafor, inoltre, potrebbe non giovare nel caso di conte cellulari di CD34+ inferiori a 5 CD34+/μl. Il Professor Mohty ha tuttavia riportato il caso di due pazienti con conte cellulari di CD34+ prossime allo zero in cui l’uso pre-emptive di plerixafor ha permesso di raggiungere una buona resa di CD34+. Una spiegazione clinica di questo fenomeno non è stata fornita, ma questa evidenza suggerisce chiaramente che le risposte dei pazienti non sono standardizzate né omogenee. Il Professor Fruehauf ha richiamato l’attenzione sulla qualità Il dibattito pubblico con gli esperti è stato animato dai numerosi quesiti sollevati dai partecipanti, cui i relatori hanno prontamente risposto sulla base delle proprie personali esperienze e opinioni. Gli elementi più rilevanti di discussione sono riportati brevemente a seguire. Quale potrebbe essere il valore soglia consigliabile di cellule CD34+ mobilizzate nel sangue periferico affinché si possa ottenere una resa sufficiente di CD34+? Come illustrato nel position statement sottoscritto dall’EBMT[19] e riportato dal Professor Hübel nella sua presentazione, il valore limite dovrebbe corrispondere a 20 CD34+/μl di sangue, sufficiente a ottenere una raccolta minima di 2-2,5 x 106 CD34+/kg in una singola sessione di aferesi. Negli scarsi mobilizzatori, in cui le conte di cellule CD34+ nel sangue periferico sono inferiori a 10 CD34+/μl, si deve ricorrere all’uso pre-emptive di plerixafor. Se i livelli di cellule CD34+ rientrano nell’intervallo compreso tra 10 e 20 CD34+/μl, la decisione deve essere presa tenendo conto del minor disagio per il paziente e dell’ottimizzazione delle risorse. Tuttavia, come evidenziato dal Professor Mohty, devono essere presi in considerazione anche altri fattori determinanti, fra cui il contesto patologico. Nel mieloma multiplo, la resa minima di 2-2,5 x 106 cellule CD34+/kg è considerata sufficiente per eseguire un singolo autotrapianto, 25 Mobilizzazione delle cellule staminali: dalla scienza alla pratica clinica ottenuti dai due studi clinici registrativi randomizzati di fase 3 condotti su plerixafor. Il Professor Mohty ha invece osservato che, secondo la sua esperienza, plerixafor si è dimostrato un farmaco particolarmente flessibile, che può essere somministrato alle 9:00 del mattino per procedere alla raccolta alle 2:00 pomeridiane. L’intervallo temporale tra la somministrazione di plerixafor e l’aferesi può anche essere dilatato: dopo 16 ore dalla somministrazione, plerixafor ha dimostrato di essere ancora attivo, benché tale procedura non sia autorizzata da scheda tecnica. Secondo alcuni studi, una risposta più rapida può essere ottenuta con un intervallo temporale più breve, della durata di 6-8 ore, tra la somministrazione endovenosa di plerixafor e l’aferesi. delle cellule staminali che, insieme a un numero sufficiente di cellule, può costituire un valido fattore predittivo di adeguate raccolte di cellule progenitrici nel sangue periferico. Potrebbe essere utile valutare il potenziale staminale e lo stadio di sviluppo delle cellule progenitrici ma, purtroppo, la caratterizzazione cellulare non è pratica clinica consolidata. I tempi per la somministrazione di plerixafor devono essere rigidamente rispettati, come previsto nelle raccomandazioni riportate nelle indicazioni di prodotto? È stato ufficialmente stabilito che la dose di plerixafor debba essere somministrata 6-11 ore prima della sessione di aferesi; questa raccomandazione discende dai risultati 26 CONFERENCE INSIGHT BIBLIOGRAFIA 14. Handgretinger R et al. Bone Marrow Transplant 2001;27(8):777-83. 15. Devine SM et al. Blood 2008;112(4):990-8. 16. Hauge AW et al. Transfusion 2014;54(4):1055-8. 17. Liles WC et al. Blood 2003;102(8):2728-30. 18. Liles WC et al. Transfusion 2005;45(3):295-300. 19. Mohty M et al. Bone Marrow Transplant 2014; 0. doi: 10.1038/bmt.2014.39. 20. Mozobil® RCP. 21. Olivieri A et al. Bone Marrow Transplant 2012;47(3):342-51. 22. Costa LJ et al. Bone Marrow Transplant 2011;46(1):64-9. 23. Abhyankar S et al. Bone Marrow Transplant 2012;47(4):483-7. 24. DiPersio JF et al. Blood 2009;113(23):5720-6. 25. DiPersio JF et al. J Clin Oncol 2009; 27(28):4767-73. 1. Halter J et al. Haematologica 2009; 94(1):94-101. 2. Fruehauf S et al. Bone Marrow Transplant 2010;45(2):269-75. 3. Villa CH et al. 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