La nave della speranza Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che forse esistono soltanto quando si è giovani, quando si è ancora pieni di speranze e sembra ancora che tutto sia possibile, che tutto andrà per il verso giusto. Infatti quella notte niente poteva spegnere il mio entusiasmo, niente poteva mettere in dubbio la mia certezza di poter vivere una vita migliore. Anche su quel barcone pieno di gente che di speranze ne aveva poche io non riuscivo a staccare gli occhi da quello spettacolo meraviglioso. Ero partita dal mio Paese quella mattina presto, lasciando tutto ciò che avevo. Non che, in realtà avessi molto da lasciare. La guerra mi aveva da poco portato via tutto ciò a cui tenevo di più al mondo: la mia famiglia. Mi ero presto ritrovata a dover fare i conti con la fame e la solitudine. Decisi perciò di chiedere ospitalità, al mio parente più vicino, il fratello di mia madre. Lui mi voleva molto bene e mi accolse nonostante dopo la guerra si fosse ritrovato in una situazione tale di povertà da non poter garantire ogni giorno un pasto ai suoi figli. Cercavo di contribuire, per quanto potessi, al mantenimento della famiglia. Smisi presto di studiare e cominciai a passare le mie giornate a vendere al mercato della città più vicina quei pochi frutti che i campi di mio zio potevano ancora dare. Il mercato era sempre molto affollato e spesso mi capitava di ascoltare racconti di Paesi lontani, dove la fame non esisteva e la gente era sempre felice. Spesso mio padre mi aveva parlato di queste terre dicendo che prima o poi ci sarebbe andato e avrebbe costruito una grande casa per me e la mamma e ascoltando queste persone maturava in me il desiderio di realizzare il suo sogno di regalarmi una vita migliore. L'occasione mi si presentò quando sentii che l'indomani sarebbe partito un altro "viaggio della speranza", come li chiamavano certi signori. Ne parlai con mio zio, il quale dopo un primo momento di preoccupazione, capì che sarebbe stata la mia unica speranza di un futuro senza povertà. Il giorno dopo, prima dell’alba, ci incamminammo verso il molo, mio zio portò tutto ciò che poteva permettersi e io tutti i miei risparmi. Fui affidata ad un’amica dello zio, che sapeva sarebbe partita e che per portarmi con sé mi spacciò per sua figlia. Lo abbracciai forte. Fu il momento più doloroso. È vero che non avevo molto da lasciare, ma lui era tutto ciò che mi rimaneva. Non lo avrei mai più rivisto. Il barcone era sovraffollato di gente di ogni tipo, uomini, donne e bambini, che piangevano spaventati da quell’enorme massa accalcata in così poco spazio. Partimmo al calar del sole e l’oscurità ci avvolse quando fummo in mezzo al mare. Ero spaventata e affamata mentre guardavo quei volti sconosciuti pieni di dolore. Fu allora che per distogliere lo sguardo alzai gli occhi ai cielo e vidi quelle meravigliose stelle, allora tutto cambiò, tutta la mia paura si trasformò in coraggio. Il viaggio fu interminabile. Durante il giorno non c’era riparo ad un sole cocente e la poca acqua che ci dividevamo sembrava non dissetare mai. Eravamo costretti a mangiare di nascosto per paura che gli uomini potessero usare la forza per rubarci il cibo. L’odore nauseante si faceva ogni giorno più intenso e i bambini non smettevano mai un pianto che sembrava inconsolabile. La notte invece il freddo si faceva pungente ed il mare nero come la pece sembrava più minaccioso che mai. Il giorno peggiore fu senza dubbio quando un forte vento ci portò in mezzo ad una tremenda tempesta. Onde gigantesche scuotevano violentemente la nostra ormai precaria imbarcazione, l’acqua salmastra entrava da ogni parte. Le urla strazianti delle madri si confondevano a quelle di terrore dei loro figli. Gli uomini si agitavano, ne vidi anche qualcuno cadere in mare. Ero terrorizzata e per la prima volta nella mia vita capii che cosa significasse davvero avere paura di morire. Mi rannicchiai in un angolo, chiusi gli occhi e pregai. Pregai come non avevo mai pregato prima. Non so esattamente quanto durò, ma ad un tratto il vento si placò, non si udiva più nessun rumore, solo l’abbattersi lieve delle onde sul nostro scafo. Eravamo ormai tutti sfiniti, avevamo finito acqua e cibo, i bambini avevano pianto tutte le loro lacrime, quando qualcuno urlò indicando una debole luce in lontananza. Guardammo tutti e fu un esplodere di urla e risate di chi aveva ormai perso la speranza di farcela, io mi alzai, ero debolissima, guardai verso quelle luci e fui colta da un inspiegabile terrore; perché ero lì? perché avevo abbandonato un Paese che amavo per una terra sconosciuta? quale futuro realmente mi aspettava? Ero sola. Fu allora che alzai nuovamente lo sguardo verso il cielo, le mie stelle erano lì, stavo guardando lo stesso cielo che illuminava il mio amato Paese, era una notte meravigliosa. Pensai a mio papà, ai suoi sogni. Ora niente avrebbe potuto fermarmi.
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