Introduzione e Capitolo 1, "Leggi fondamentali

Lezioni di Fotochimica.
Pisa, a.a. 2007-08.
Maurizio Persico
Giovanni Granucci
Prefazione.
Questo corso di fotochimica `e diviso in due parti. I capitoli 1-5 presentano gli aspetti
fenomenologici della fotochimica e forniscono spiegazioni essenzialmente qualitative
delle osservazioni sperimentali. Per affrontare questa parte del corso non occorre
avere conoscenze approfondite di meccanica quantistica; `e utile aver gi`a assimilato i
concetti base riguardanti legami chimici ed orbitali molecolari, ma queste note non
presuppongono tali nozioni e d’altra parte non vanno molto oltre la caratterizzazione
degli stati elettronici eccitati e delle loro superfici di energia potenziale.
Nella seconda parte del corso si approfondiscono teoricamente argomenti che
riguardano la dinamica delle molecole negli stati eccitati. La trattazione si mantiene
ad un livello semplice, ma richiede una conoscenza non superficiale dei principi della
meccanica quantistica, per altro riassunti nel capitolo 6.
Lo stimolo a tentare questa partizione piuttosto inusuale del corso di fotochimica
mi `e venuto dalle necessit`a del programma di studi in Chimica, quale ha preso forma presso l’Universit`a di Pisa dopo la riforma degli ordinamenti didattici iniziata
nell’anno accademico 2001/02. Infatti, sono richiesti corsi opzionali per studenti di
qualsiasi orientamento che frequentano il secondo o terzo anno della laurea triennale;
inoltre, servono corsi per la laurea specialistica, rivolti anche a studenti di orientamento chimico-fisico; entrambi i tipi di corso devono equivalere a tre crediti, cio`e a
circa 24 ore di lezione. Le due sezioni in cui `e suddiviso questo corso mi sembrano
soddisfare queste esigenze, con una scelta dei contenuti limitata all’essenziale.
1
Capitolo 1
Leggi fondamentali della
fotochimica.
1.1
Che cosa `
e la fotochimica?
La fotochimica studia le reazioni chimiche indotte dall’assorbimento di radiazione
luminosa. Questa definizione si pu`o collegare alla legge di Grotthus e Draper, formulata intorno al 1800, secondo la quale “solo la luce assorbita da un campione induce
trasformazioni chimiche”. Infatti, la luce pu`o attraversare un campione trasparente
senza essere attenuata, ossia senza cedere energia al mezzo; in questo caso potr`a
avere alcuni effetti, come una temporanea polarizzazione elettrica del mezzo, ma
non dar`a luogo a reazioni chimiche. Se una quantit`a X di energia viene assorbita
(in genere inferiore al totale trasportato dalla radiazione) gli effetti chimici saranno
proporzionati a X.
Circa 100 anni pi`
u tardi, col nascere della teoria dei quanti, divenne chiaro che una
molecola (o atomo) pu`o assorbire solo una quantit`a ben determinata di energia, in
relazione alla frequenza della radiazione. Infatti, in alternativa alla definizione classica della radiazione come onda elettromagnetica, possiamo descriverla in termini di
particelle di massa nulla, dette fotoni. Ciascun fotone viaggia alla velocit`a della luce,
c, nella direzione di propagazione dell’onda. Il fotone `e dotato dell’energia E = hν,
dove h = 6.626 · 10−34 J·s `e la costante di Planck e ν `e la frequenza della radiazione;
il suo impulso `e hν/c. Stark e Einstein suggerirono che ogni molecola potesse assorbire uno ed un solo fotone e in seguito a questo reagisse fotochimicamente. Alla luce
delle conoscenze successivamente acquisite, possiamo dire che questa `e solo una delle
possibili catene di eventi. Oltre alla reazione fotochimica, altri processi possono accadere dopo l’assorbimento di un fotone; i processi che non implicano trasformazioni
chimiche sono detti “fotofisici”. La legge di Stark-Einstein `e quindi meglio espressa
limitandosi ad affermare che, di norma, ogni molecola viene eccitata da un solo fo2
tone. Fanno eccezione i processi multifotonici, in cui la molecola assorbe pi`
u di un
fotone; questi processi sono possibili solo con intensit`a di radiazione molto alte, non
disponibili negli ambienti naturali terrestri o nella comune pratica di laboratorio se
non si fa uso di laser.
L’eccitazione consiste, in primo luogo, nel fatto che la molecola acquista una quantit`a
di energia pari a quella del fotone, cio`e hν. Data la relazione tra frequenza e lunghezza d’onda λ (ν = c/λ), a λ pi`
u corte corrispondono energie maggiori. Se la lunghezza d’onda `e data in nanometri (nm) e l’energia in kiloJoule per mole (kJ/mol),
E = 119627/λ. Se preferiamo usare kilocalorie per mole (1 kcal = 4.184 kJ),
E = 28592/λ. La fotochimica si occupa principalmente di fenomeni indotti dall’assorbimento di luce visibile (con λ tra 800 e 400 nm, quindi 150 < E < 300 kJ/mol)
oppure ultravioletta (abbreviata UV, con λ tra 400 e 200 mn, quindi 300 < E < 600
kJ/mol). Radiazione UV con λ ancora pi`
u corte pu`o essere usata, pur di lavorare
sotto vuoto, perch´e l’ossigeno dell’aria assorbe intensamente in questa regione dello
spettro (“vacuum-UV”). Le energie viste sopra sono dell’ordine di grandezza giusto
per causare la dissociazione di molti legami chimici, e sono superiori alla maggior
parte delle energie di attivazione delle reazioni termiche che normalmente avvengono.
Secondo la meccanica quantistica, ogni molecola possiede molti diversi stati di moto
degli elettroni e dei nuclei, ciascuno caratterizzato da un diverso livello energetico.
In condizioni di equilibrio termodinamico, la probabilit`a che la molecola si trovi nello
stato di moto I con energia EI `e proporzionale a e−EI /KB T , dove KB = 0.0083145
kJ mol−1 K−1 =0.0019872 kcal mol−1 K−1 `e la costante di Boltzmann e T `e la
temperatura assoluta. Perci`o, la probabilit`a `e
e−EI /KB T
PI = P −E /K T
J
B
Je
(1.1)
dove il denominatore assicura che la somma di tutte le probabilit`a sia uguale a 1.
Questa distribuzione di probabilit`a `e detta distribuzione di Boltzmann. Se gli stati
sono separati da differenze di energia molto maggiori di K B T (' 0.6 kcal/mol a
temperatura ambiente), lo stato pi`
u basso in energia avr`a una probabilit`a quasi
uguale a 1 e tutti gli altri molto pi`
u piccola. La probabilit`a che una molecola si
trovi in uno stato con energia pari a 100 kcal/mol `e circa 10 −72 , cio`e in un campione
di dimensioni non astronomiche nessuna molecola ha questa energia. Consideriamo
invece un normale esperimento fotochimico, in cui la quasi totalit`a delle molecole di
un campione sottoposto all’azione della radiazione reagiscono in un tempo di qualche
ora. Come vedremo pi`
u avanti, dopo aver assorbito un fotone ogni molecola rimane
per un tempo molto breve nello stato eccitato di alta energia, prima di trasformarsi
nei prodotti di reazione; un ordine di grandezza ragionevole per il “tempo di vita”
dello stato eccitato `e 10−8 s. Affinch´e tutte le molecole assorbano un fotone e
quindi possano reagire in circa 104 secondi, occorre che nell’intervallo di tempo di
un secondo venga eccitata una molecola su 10 4 . Se la molecola rimane eccitata
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per 10−8 s in media, la frazione di molecole che si trova ad ogni istante nello stato
eccitato `e 10−12 . Per avere la stessa probabilit`a di trovarsi in uno stato eccitato in
condizioni di equilibrio, bisognerebbe portare la temperatura a circa 1500 ◦ C, il che
distruggerebbe praticamente qualsiasi campione molecolare.
Queste considerazioni mostrano che l’eccitazione mediante luce visibile o UV `e un
modo di conferire selettivamente ad alcune molecole una quantit`a di energia molto
superiore a quella che avrebbero normalmente, allontanando il sistema dalla condizione di equilibrio termodinamico. Ci`o consente di far avvenire reazioni chimiche
diverse da quelle possibili per via termica, e in particolare molte reazioni endotermiche, termodinamicamente sfavorite. Naturalmente le molecole tenderanno a disperdere l’iniziale eccesso di energia, condividendolo con altre molecole circostanti, o
emettendo energia sotto forma di radiazione; inoltre, possono immagazzinare l’energia sotto forma di prodotti di reazione. Di norma, l’energia pu`o essere convertita
in varie forme anche da una singola molecola (per esempio, pu`o essere in parte immagazzinata e in parte trasformata in calore); inoltre, ogni molecola pu`o fare un uso
diverso dell’energia inizialmente acquistata.
Oltre agli aspetti energetici, occorre sottolineare che l’assorbimento di luce cambia
lo stato di moto degli elettroni, e quindi le propriet`a di legame e la distribuzione
di carica della molecola: certi legami possono indebolirsi e altri rafforzarsi; atomi
o gruppi ricchi di elettroni (perci`o carichi negativamente) possono perdere carica,
o viceversa. Anche questi effetti, come vedremo pi`
u avanti, sono fondamentali nel
distinguere la fotochimica dalla chimica termica.
1.2
Processi primari e secondari.
Il processo di eccitazione viene comunemente indicato con il simbolo hν, che si
riferisce all’energia del fotone:
A + hν → A∗
(1.2)
oppure
hν
A −→ A∗
(1.3)
L’asterisco indica una specie eccitata, ossia con un contenuto energetico molto superiore al normale. Di solito questo simbolo `e riservato a specie che si trovano in
uno stato elettronico eccitato, e non a molecole in cui i nuclei si muovono con energia particolarmente alta (stato vibrazionalmente o rotazionalmente eccitato). Per
queste distinzioni vedi sezione 2.2
Tutti i processi a cui prende parte direttamente la specie eccitata A ∗ , prodotta dall’assorbimento di radiazione, sono detti processi primari. Si potranno distinguere in
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processi fotochimici (reazioni) e fotofisici (scambi di energia, emissione di luce, etc).
Quello che segue `e un elenco abbastanza completo di possibili processi primari.
• Luminescenza, cio`e emissione di radiazione:
A∗ → A + hν 0
(1.4)
Solitamente il fotone emesso ha una lunghezza d’onda maggiore di quello eccitante
(ν 0 < ν) perch´e parte dell’energia viene dispersa in altro modo.
• Ionizzazione:
A∗ → A + + e −
(1.5)
La ionizzazione richiede di solito alte energie (8-10 eV in molecole organiche, cio`e
λ < 120-150 nm). L’eventuale eccesso di energia si pu`o trasformare in energia
cinetica dell’elettrone emesso.
• Decadimento non radiativo:
A∗ → A
(1.6)
La molecola `e tornata allo stato fondamentale senza emettere radiazione e senza
aver reagito. Naturalmente conterr`a ancora una grande quantit`a di energia sotto
forma di vibrazioni, energia che pu`o essere dispersa tramite interazioni con le
molecole circostanti.
• Disattivazione o quenching:
A∗ + B → A + B
(1.7)
Le specie A e B condividono l’energia, ma nessuna delle due, dopo l’interazione
(urto in fase gassosa o incontro tra specie in soluzione), `e elettronicamente eccitata.
Occorreranno altri urti o interazioni con il solvente per disperdere ulteriormente
l’energia.
• Trasferimento di energia o sensitizzazione:
A∗ + B → A + B ∗
(1.8)
A differenza del caso precedente, qui la specie B assorbe da A tanta energia da
trovarsi in uno stato elettronico eccitato.
• Fotoisomerizzazione:
A∗ → B
(1.9)
La specie A si trasforma nell’isomero B e al contempo torna allo stato fondamentale. Come nel caso del quenching, occorrono interazioni con altre molecole per
disperdere l’eccesso di energia, altrimenti potrebbe avvenire la reazione inversa (B
→ A), anche nello stato fondamentale.
• Fotodissociazione:
A∗ → B + C
(1.10)
Parte dell’energia del fotone `e usata per rompere il legame tra i frammenti B e C, e
il resto verr`a ripartito come energia cinetica traslazionale e vibrazionale di B e C,
e nelle loro vibrazioni interne; se B e C si allontanano a sufficienza, il processo non
`e direttamente reversibile (al contrario della fotoisomerizzazione); naturalmente
pu`o avvenire, indipendentemente, la reazione di riassociazione a carico di due
qualsiasi frammenti B e C.
• Reazione bimolecolare:
A∗ + B → C + D
(1.11)
Anche qui i prodotti C e D saranno probabilmente “caldi”, dato l’eccesso di
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energia normalmente contenuto nei reagenti anche quando si tratta di reazione
endotermica.
• Reazione bimolecolare di associazione:
A∗ + B + M → C + M
(1.12)
oppure
A∗ + B + M → C ∗ + M
(1.13)
Senza l’intervento di un “terzo corpo” M, il prodotto C avrebbe un contenuto energetico incompatibile con la stabilit`a dei suoi legami: questa condizione `e
stringente per piccole molecole, meno per quelle pi`
u grandi in cui l’energia pu`o
essere dispersa in tante diverse coordinate interne di vibrazione. Ha poca importanza la precisa natura del terzo corpo M; in fase condensata, il suo ruolo `e svolto
dal solvente o altro mezzo capace di accettare energia.
Molti dei prodotti di processi primari sono specie ad alto contenuto energetico, che
potranno subire altri processi chimici o fotofisici: ad esempio, la specie B ∗ prodotta
da sensitizzazione potr`a andare incontro ad una serie di processi analoghi a quelli
elencati per A∗ ; due radicali (specie con numero dispari di elettroni), prodotti da
dissociazione omolitica di un legame, reagiranno tra loro o con altri composti, e via
dicendo. Tutti questi processi si chiamano “secondari”, in quanto non implicano
direttamente la specie A∗ .
1.3
Rese quantiche.
Per ogni processo fotochimico o fotofisico si pu`o definire una resa quantica Φ, che `e
il rapporto tra numero di molecole che subiscono il processo in questione e numero
di fotoni assorbiti:
ΦX ≡
numero di molecole che subiscono il processo X
numero di f otoni assorbiti
(1.14)
Se, come accade solitamente, ad ogni fotone assorbito corrisponde una singola
molecola eccitata, il denominatore equivale al numero di molecole che vengono eccitate. Misurando la velocit`a del processo X e quella dell’assorbimento nelle stesse
unit`a (p. es. moli nell’unit`a di tempo e di volume, mol s −1 l−1 ), si pu`o esprimere
la resa quantica istantanea come rapporto di queste due quantit`a; la resa quantica pu`o eventualmente variare nel tempo, in funzione delle condizioni del campione
(concentrazioni di reagenti, temperatura o altro).
Poich´e non esistono stati eccitati stabili per tempi lunghi, alla fine tutte le molecole
A∗ dovranno subire uno dei processi che trasformano o disattivano lo stato eccitato;
perci`o, la somma delle rese quantiche dei processi primari deve essere l’unit`a:
processi
primari
X
ΦK = 1
(1.15)
K
6
Ovviamente nessuna di queste rese pu`o superare 1. Ci`o pu`o aiutare a distinguere
processi primari e processi secondari.
Un esempio `e la fotolisi del chetene in fase gassosa. Praticamente l’unico processo
primario `e la fotodissociazione, che avviene con resa quantica pari a 1:
hν
CH2 = C = O −→ CH2 + CO
(1.16)
Segue una reazione termica che coinvolge il metilene (CH 2 ) prodotto dal processo
primario:
CH2 + CH2 = C = O → CH2 = CH2 + CO
(1.17)
Se si misura la produzione di CO, oppure la scomparsa del chetene, si trova una
resa quantica superiore a 1, che in condizioni favorevoli si avvicina a 2 (pu`o essere
minore se il metilene viene coinvolto in altre reazioni secondarie). Naturalmente qui
stiamo sommando le rese di due processi diversi, uno dei quali secondario.
Un altro esempio `e dato dalla fotolisi di miscele idrogeno/cloro. Il cloro `e un gas
di colore verde-giallo. Poich´e l’energia di dissociazione del legame Cl-Cl `e 242.6
kJ/mol, occorre luce con λ < 492 nm per dissociarlo. Irradiando con luce azzurra o
UV, si ha:
hν
Cl2 −→ 2Cl
(1.18)
con resa quantica unitaria. In presenza di H 2 , segue una reazione a catena:
Cl + H2 → HCl + H
(1.19)
H + Cl2 → HCl + Cl
(1.20)
Queste due reazioni, complessivamente, non consumano n´e producono atomi di H o
Cl. Per ogni atomo di cloro generato dalla fotodissociazione, il ciclo pu`o ripetersi n
volte, producendo 2n molecole di HCl. Il ciclo non si ripete indefinitamente perch´e
gli atomi di cloro vengono rimossi per ricombinazione:
2Cl + M → Cl2 + M
(1.21)
o per reazione con impurezze o catturati dalle pareti del recipiente. Poich´e due atomi
di cloro sono prodotti per ogni fotone assorbito, la resa quantica di HCl `e 4n, ossia
in condizioni favorevoli dell’ordine di 1000.
7
1.4
Assorbimento di radiazione: descrizione fenomenologica.
La resa quantica indica la probabilit`a di un processo a cui partecipa la specie eccitata; essa dipende essenzialmente dalle propriet`a del molecola in questione nel suo
stato eccitato, oltre che da condizioni quali temperatura, concentrazione di altri
composti etc, ma non dipende dalle caratteristiche della radiazione. L’altro fattore
che determina la velocit`a del processo `e il numero di molecole che vengono portate
allo stato eccitato nell’unit`a di tempo; questo dipende dall’energia luminosa disponibile alle lunghezze d’onda adatte per l’eccitazione e dallo spettro d’assorbimento del
composto in questione.
Il flusso di energia luminosa `e l’energia che attraversa una superficie nell’unit`a di
tempo, e si misura in watt (W). Se consideriamo una superficie unitaria abbiamo
la densit`a di flusso radiante, o irradianza, di solito indicata con i simboli F o E
e misurata in W/m2 . Tradizionalmente questa quantit`a `e anche detta intensit`a
della radiazione ed `e misurata in W/cm 2 , perci`o useremo il simbolo I. Quando la
luce incide perpendicolarmente sulla superficie, l’irradianza `e uguale alla densit`a di
energia del campo elettromagnetico U , moltiplicata per la velocit`a della luce: I =
cU . Oltre alla densit`a ed irradianza totali, possiamo definire delle quantit`a spettrali
I(λ) e U (λ), relative ad un intervallo unitario di lunghezze d’onda. Indichiamo con
I(0 − λ) l’irradianza corrispondente alle lunghezze d’onda comprese tra 0 e λ, e con
I(λ) l’irradianza spettrale. Allora:
I(λ) =
dI(0 − λ)
dλ
(1.22)
L’irradianza totale I coincide con I(0 − ∞), ossia:
I=
Z
∞
I(λ)dλ
(1.23)
0
Analoghe relazioni valgono per U (λ). La lunghezza d’onda si misura in nanometri
e quindi I(λ) in W cm−2 nm−1 . A volte l’irradianza spettrale si esprime in funzione della frequenza, e poich´e I(λ)dλ = I(ν)dν (considerando sia dλ che dν come
variazioni positive), avremo
I(λ) =
ν2
c
I(ν)
=
I(ν)
λ2
c
(1.24)
Oltre al flusso di energia possiamo definire un flusso di fotoni, che, riferito ad una
superficie unitaria, prende il nome di irradianza fotonica (I P ); se il conteggio riguarda
singoli fotoni, l’unit`a di misura `e m −2 s−1 ; se invece si conta in moli di fotoni (dette
“einstein”), l’unit`a `e mol m−2 s−1 . L’irradianza spettrale `e collegata a quella fotonica
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IP (λ) dall’energia del fotone (o mole di fotoni):
I(λ) = IP (λ) hν
(1.25)
Le rispettive quantit`a totali non sono invece direttamente collegate, a meno che
la luce non sia praticamente monocromatica, cio`e di intensit`a praticamente nulla
tranne che per un intervallo molto ristretto di lunghezze d’onda.
Quando la luce attraversa un campione assorbente, la sua intensit`a diminuisce gradualmente in funzione dello spessore l di campione attraversato, detto “cammino
ottico”. Consideriamo uno strato di spessore infinitesimo dl, con area S, attraversato perpendicolarmente dalla luce. Ogni fotone avr`a una certa probabilit`a P di
essere assorbito, che `e proporzionale al numero di molecole per unit`a di superficie.
Se abbiamo n molecole per cm3 (densit`a numerale), nel volume Sdl ce ne sono nSdl,
ed i fotoni che attraversano un cm2 di superficie possono incontrare ndl molecole (in
spettroscopia ed in ottica le unit`a comunemente usate per lunghezza ed area sono
cm e cm2 ). Avremo allora P = σndl, dove la costante di proporzionalit`a σ `e detta
“sezione d’urto” ed ha le dimensioni di un’area. Assimilando l’assorbimento di un
fotone ad un urto anelastico, σ sarebbe l’area del bersaglio (cio`e la molecola) esposta
al proiettile. La sezione d’urto σ `e una propriet`a della singola molecola e dipende
dalla lunghezza d’onda. Anche alle lunghezze d’onda maggiormente assorbite, σ di
norma `e ben pi`
u piccola delle dimensioni reali del cromoforo; ad esempio, per piccole
molecole al massimo pu`o essere dell’ordine di 10 −17 cm2 , come un quadrato di 0.3
˚
A di lato; questo significa che occorrono parecchi strati di molecole allo stato solido
o liquido per assorbire efficacemente la radiazione. Se I P fotoni incidono su una
superficie unitaria in un secondo, ne verranno assorbiti
IP σ n dl = IP σ 10−3 NA M dl
(1.26)
Qui abbiamo sostituito la densit`a numerale n con la molarit`a M . L’energia
trasportata dalla radiazione diminuisce proporzionalmente; perci`o, la diminuzione
di intensit`a dovuta ad un incremento dl del cammino ottico si pu`o scrivere:
dI = −α(λ) M I(λ, l) dl
(1.27)
La nuova costante di proporzionalit`a α `e anch’essa una propriet`a molecolare (eventualmente influenzata da condizioni quali temperatura, stato di aggregazione, solvente etc). α `e in relazione diretta con la sezione d’urto; se α `e data in mol −1 ·l·cm−1
e σ in cm2 :
α = NA σ/1000 = 6.022 · 1020 σ
(1.28)
Penetrando nel campione, l’intensit`a della luce diminuisce esponenzialmente, come
indica la soluzione dell’equazione (1.27):
I(λ, l) = I(λ, 0) e−α(λ)M l = I(λ, 0) 10−ε(λ)M l
9
(1.29)
Questa `e la legge di Lambert-Beer. La funzione ε(λ) = α(λ)/ln10 `e detta coefficiente
di estinzione molare (decadico) ed `e quella pi`
u comunemente usata per esprimere lo
spettro di assorbimento di una sostanza. Alti valori di ε(λ) (10 4 −105 mol−1 ·l·cm−1 )
indicano una forte propensione delle molecole in questione ad assorbire fotoni di
lunghezza d’onda λ.
Se sono presenti pi`
u composti assorbenti, caratterizzati da concentrazioni M K e
coefficienti di estinzione molare εK , la legge di Lambert-Beer diventa:
I(λ, l) = I(λ, 0) 10−ΣK εK (λ)MK l
(1.30)
La quantit`a
X
εK (λ) MK
K
!
l = log
I(λ, 0)
I(λ, l)
(1.31)
`e detta assorbanza, o anche densit`a ottica, del campione.
1.5
Cinetica di reazioni fotochimiche.
La velocit`a con cui le molecole vengono trasferite allo stato eccitato, `e espressa in moli per unit`a di tempo e di volume (mol l −1 s−1 ) come le velocit`a delle
reazioni chimiche. Se consideriamo una superficie S perpendicolare alla direzione di
propagazione della luce, essa sar`a attraversata da I P S moli di fotoni al secondo, e
nello spessore dl verranno eccitate un numero di molecole pari ai fotoni assorbiti.
Per un piccolo intervallo di lunghezze d’onda dλ, abbiamo:
numero di f otoni assorbiti = −S dIP dλ = ln10 ε(λ) M IP (λ, l) S dl dλ
(1.32)
Dividendo per il volume Sdl ed integrando sulle lunghezze d’onda si ottiene la velocit`a del processo di assorbimento dei fotoni, ossia di eccitazione delle molecole,
espressa in mol l−1 s−1 :
IA = ln10 M
Z
∞
0
ε(λ)IP (λ, l) dλ
(1.33)
Ovviamente, per avere assorbimento, lo spettro della luce incidente I P (λ) e quello
di assorbimento ε(λ) devono avere un intervallo di lunghezze d’onda in comune, nel
quale sono entrambi significativamente grandi. In generale, I A sar`a quindi determinata da entrambi gli spettri, e poich´e I P (λ, l) dipende anche dalla presenza di altre
sostanze assorbenti, pure i loro spettri saranno importanti. In questa situazione la
predizione dei risultati richiede la conoscenza di molti dati e l’applicazione di formule
abbastanza complicate. Inoltre, diventa pi`
u difficile garantire la riproducibilit`a degli
esperimenti, a fronte di possibili variazioni nello spettro di emissione della sorgente
di luce o di altre condizioni.
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Per semplificare la trattazione dei dati sperimentali e migliorarne la riproducibilit`a,
si preferisce, quando possibile, lavorare con luce monocromatica. Se λ `e, con
trascurabili deviazioni, l’unica lunghezza d’onda della luce eccitante, la velocit`a di
assorbimento `e data da una formula pi`
u semplice della (1.33):
IA = ln10 M ε(λ) IP (l) = M α(λ) IP (l)
(1.34)
dove IP `e l’irradianza totale, non pi`
u quella spettrale. Inoltre, si pu`o minimizzare
la dipendenza di IP dallo spessore l attraversato, lavorando con piccoli spessori e
campioni poco assorbenti (ad es., soluzioni diluite): in questo modo l’illuminazione
di tutto il campione `e pi`
u uniforme.
Il prodotto di IA per la resa quantica fornisce la velocit`a di una reazione fotochimica, che pu`o essere quindi controllata scegliendo la lunghezza d’onda e l’intensit`a
della radiazione eccitante. Vediamo ora due semplici esempi di cinetica di reazione
(fotoisomerizzazione).
• Fotoisomerizzazioni reversibili termicamente. Supponiamo che la fotoisomerizzazione
hν
A −→ B
(1.35)
avvenga con resa quantica Φ e la reazione inversa avvenga nello stato fondamentale
con costante di velocit`a K:
B −→ A
(1.36)
Se l’isomero B `e meno stabile di A, la velocit`a della reazione termica diretta A→B
pu`o essere trascurabile. Le derivate delle due concentrazioni sono quindi:
−
d [B]
d [A]
=
= αA IP Φ [A] − K [B] = (αA IP Φ + K) [A] − K C0
dt
dt
(1.37)
dove abbiamo chiamato C0 la somma (costante nel tempo) delle concentrazioni di
A e B. La soluzione generale dell’equazione `e:
[A] = P e−Qt + R
(1.38)
Sostituendo nella (1.37) si determinano Q = α A IP Φ + K e R = KC0 /Q; P invece
dipende dalle condizioni iniziali: se al tempo t = 0 era presente solo A, abbiamo
P = C0 − R. La soluzione pu`o quindi scriversi:
[A] = C0
KP e−(KP +K)t + K
KP + K
(1.39)
dove KP = αA IP Φ si pu`o interpretare come una costante di velocit`a per la reazione
fotochimica. L’inverso di Q `e il tempo caratteristico della reazione, τ = 1/Q =
1/(KP + K); quando `e trascorso un tempo pari ad alcune volte τ , le concentrazioni
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di A e B si stabilizzano: `e stato raggiunto lo stato fotostazionario, in cui le velocit`a
della reazione fotochimica e di quella termica si equivalgono; va notato che questa
condizione `e ben diversa da quella dell’equilibrio termodinamico (nel sistema A/B,
visto che A `e pi`
u stabile, avremmo in pratica [B]=0). Come `e illustrato in figura 1.37,
un aumento di K o di KP accelerano il raggiungimento dello stato fotostazionario.
K si pu`o incrementare alzando la temperatura, ed il risultato finale `e una minore
conversione di A in B. Viceversa, aumentando l’intensit`a della luce eccitante la
reazione fotochimica procede pi`
u rapidamente e la conversione di A in B `e pi`
u
completa.
Su questi principi si basano i materiali fotocromatici, che contengono una coppia
di isomeri A e B, con diversi spettri di assorbimento nel visibile. Se per esempio
A `e trasparente nel visibile (ma assorbe l’UV e quindi fotoisomerizza), mentre B
ha un colore intenso, la miscela diventa scura quando `e esposta alla luce e torna
chiara al buio. Un esempio sono le reazioni di trasferimento di idrogeno in immine
aromatiche:
"b
"
b
"b
"
"b
"b
b
"
b"
b"
b
bN"
b
"b
b OH
b"
"b
"
b
"
"
"b
"b
b "
b"
"b
b"
"
"
"
N
hν
−→
1.2
H
[A]
[B]
[A] con intensit`a maggiore
[A] con temperatura pi`
u alta
1
concentrazioni
b
bO
b
"b
b
b"
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0
0.5
1
1.5
2
tempo
2.5
3
3.5
4
Figura 1.1: Cinetica di una fotoisomerizzazione reversibile per via termica.
12
• Fotoisomerizzazioni reversibili solo fotochimicamente. Se la fotoisomerizzazione
non cambia sostanzialmente la struttura molecolare, come nel caso di isomeria
cis-trans, di solito entrambi gli isomeri assorbono e reagiscono fotochimicamente
in maniera del tutto analoga. Se si possono trascurare le velocit`a delle reazioni
termiche, le derivate delle concentrazioni sono
d [B]
d [A]
=
= αA IP ΦA→B [A] − αB IP ΦB→A [B] =
dt
dt
(KAB + KBA ) [A] − KBA C0
(1.40)
−
Questa equazione ha la stessa struttura della (1.1); solo il significato fisico della
“costante” KBA = αB IP ΦB→A `e diverso. La soluzione dell’equazione, nel caso si
parta da A puro, `e:
[A] = C0
KAB e−(KAB +KBA )t + KBA
KAB + KBA
1.2
[A]
[B]
[A] con intensit`a maggiore
[A] con diversa λ
1
concentrazioni
(1.41)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0
0.5
1
1.5
2
tempo
2.5
3
3.5
4
Figura 1.2: Cinetica di una fotoisomerizzazione reversibile per via fotochimica.
Il tempo caratteristico della reazione questa volta `e τ = 1/(K AB + KBA ); anche qui,
si pu`o raggiungere uno stato fotostazionario, in condizioni di illuminazione ad intensit`a costante, dopo un tempo pari a 4-5 volte τ . Le costanti K AB e KBA sono proporzionali a IP , quindi, ovviamente, il tempo τ si accorcia irradiando con maggiore
intensit`a. Per`o, dato che le concentrazioni finali (stazionarie) di A e B dipendono solo
dal rapporto KAB /KBA = αA ΦA→B /αB ΦB→A = εA ΦA→B /εB ΦB→A , esse sono in13
dipendenti dall’intensit`a. Per influenzare la composizione dello stato fotostazionario,
si pu`o intervenire sulla scelta della lunghezza d’onda della luce eccitante. Le rese
quantiche, per motivi che saranno chiari pi`
u avanti (vedi sezione 2.8), solitamente
sono quasi indipendenti da λ; invece, gli spettri dei due isomeri possono mostrare
qualche differenza, con picchi pi`
u o meno decisamente spostati. Per esempio, la
massima conversione di A in B si avr`a scegliendo λ tale da massimizzare il rapporto
εA /εB (vedi figura 1.2).
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