ettive - Mondo Zero 3

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L’intelligenza del cuore
genitori e gli operatori che lavorano con i bamImolto
bini si trovano di fronte un panorama valoriale
diverso rispetto a qualche tempo fa: nuovi
Con le parole di Gardner (1993) tutto questo può
essere definito come intelligenza
interpersonale, intesa come capacità di comprendere gli altri, i loro stati d’animo e le loro motivazioni, attraverso l’interazione e la
cooperazione. E questa capacità si basa sulla consapevolezza delle proprie emozioni: se riesco a intuire gli altri, se ho una buona empatia con chi mi
relaziono, se ho fiducia in me e nelle mie abilità
sentendomi a mio agio, saprò affrontare le difficoltà e i compiti che troverò sul mio cammino con
positività e successo.
“ostacoli” e nuovi modelli di comportamento,
così come nuove tecnologie e nuovi ritmi (sempre
più incalzanti e poco “pensati”) fanno sentire
l’educazione e tutto quello che ne segue un lavoro ancora più complesso e, per certi versi, difficoltoso. All’interno di questo contesto, si rende
necessaria una riflessione su quella che è l’intelligenza emotiva dei bambini, per offrire loro uno
sviluppo sereno, che possa poi essere la base per
far fronte positivamente agli eventi piccoli o
grandi, facili o difficili, che ognuno di noi incontrerà nella vita.
Se fin dalla nascita il bambino è ricco di emozioni
vissute prima di tutto nel corpo, allora compito
dell’adulto è di aiutare il bambino a gestire e cogliere in maniera competente (senza farsene sopraffare) la sua parte emozionale, costituendo
così quella solida piattaforma a cui ancorarsi nelle
situazioni di vita.
Sappiamo che il nostro cervello è diviso in due
emisferi: quello destro è incline al ragionamento
logico-razionale e quello sinistro si occupa degli
aspetti emotivi. Gli emisferi hanno bisogno di comunicare tra loro per rendere il nostro esserci e
agire nel mondo integrato (Siegel, Bryson, 2011)
e darci la sensazione di equilibrio, trovando un canale di comunicazione tra la razionalità e l’emozionalità. Il bambino, anche e soprattutto piccolo,
ha il diritto di trovare un buon “allenatore emotivo”, necessita quindi di una guida sul come fare
e perché sia importante integrare queste due
competenze che il nostro cervello racchiude in sé:
far “fiorire” un bambino in questo senso significa
permettergli di avere fiducia in se stesso, nelle
proprie capacità, contare sulla propria autostima e
sentirsi a suo agio nel mondo.
Integrare gli emisferi
Innanzitutto dobbiamo ricordarci che gli emisferi
dei bambini sono in formazione: la parte che utilizzano in modo privilegiato è quella emozionale,
relativa anche alla comunicazione non verbale. Il
bambino piccolo, infatti, ha ancora moltissimo da
imparare, dai significati al linguaggio: proprio per
questo percepisce fino in fondo i nostri movimenti, i gesti, tutto il nostro corpo e la nostra
voce per crescere.
Quando il piccolo vive un’emozione “surriscaldata”, eccessiva, l’emisfero destro non è ancora in grado di intervenire per gestirla, per esempio spiegandosi il
perché della situazione, accettando l’emozione e
calmando così l’attivazione della parte sinistra. In
sostegno di un emisfero destro ancora poco capace di integrarsi con il sinistro, ecco che arriva
l’adulto, che per prima cosa può far sentire al
bambino che la sua emozione può aver diritto di
esistere ed essere accettata (non è qualcosa di
brutto!). Nel momento in cui la parte emozionale
ha ritrovato il suo equilibrio, allora è possibile aiutare il bambino a cogliere cosa gli sta succedendo,
adattando il proprio linguaggio verbale e non verbale alla sua età (per esempio, anche con un
bambino in età preverbale si possono corrucciare
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le sopracciglia, rispecchiando l’emozione, mentre
si dice “eh... non riuscire a prendere quel gioco fa
proprio arrabbiare”).
Il bambino ha bisogno di sentirsi accolto e rispettato anche nell’emozione e avere fiducia nella
persona a cui mostrare il comportamento: sminuire o censurare la sua rabbia o la sua tristezza,
considerandola banale, è una porta in faccia per
la sua crescita. Ciò che prova è comunque positivo, perché è un segnale importante del proprio
stato, deve solo imparare a farne buon uso per sé
e per gli altri.
prospettiva dell’adulto. Un esempio pratico può
essere d’aiuto per capire meglio: se io bambino
quando sono arrabbiato lo mostro alla persona di
riferimento e mi viene censurato tale comportamento, nelle situazioni successive nelle quali mi
sentirò così, la mia amigdala allerterà tutto il mio
corpo facendomi ricordare la sensazione di censura e di disagio che ho provato mostrando
quell’emozione. Quindi reagirò non esprimendo
più quello che provo perché considerato banale
oppure mostrerò in maniera esagerata le mie manifestazioni emotive o, ancora, mi sentirò a disagio, fuori posto e, peggio, profondamente solo.
Quindi, ciò che fa la differenza nella crescita sono le risposte emotive che il bambino vive e apprende nelle sue
relazioni quotidiane.
L’amigdala
Nel cervello c’è una parte che chiamiamo amigdala, che ha un ruolo fondamentale per la gestione delle emozioni: è una sorta di archivio
emozionale, un deposito del significato stesso
degli eventi. Tutto quello che percepiamo viene
associato a quello che abbiamo provato in precedenza: se la situazione presente e quella passata
hanno un elemento in comune, l’amigdala le riconosce e agisce ancora prima di avere conferma.
LeDoux (1992) fa ricorso al ruolo dell’amigdala
nel corso dell’infanzia per spiegare quanto le
prime risposte emotive siano fondamentali e nello
stesso tempo così difficili da comprendere nella
Il ruolo dell’educatore nello sviluppo
dell’intelligenza emotiva
Una capacità fondamentale nell’adulto che si occupa di bambini è la ormai nota empatia, che è
la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di cogliere emotivamente e cognitivamente ciò che
l’altro sente; ciò può permetterci di comprendere i
vari comportamenti e non spaventarci o rattristarci di fronte ad atteggiamenti diversi dai nostri.
Possiamo così provare a entrare nella mente di un
bimbo, per cogliere il suo perché, per comprendere senza giudizio cosa lo porta ad agire così, nel
tentativo di immedesimarsi in lui e sostenerlo
nell’autoregolazione. Questo vuol dire ascoltarlo,
nel senso di “sentirlo” (col cuore), di percepirlo
nel suo vissuto interno. Il bambino coglierà la nostra disponibilità e interesse e il nostro amore e
questo lo farà sentire sicuro, anche nei momenti
di “bufera emotiva”.
Sappiamo però anche che i bambini hanno bisogno di limiti: la regola è necessaria come linea
guida per sapere dove andare1. Quando il bambino si sente confuso o ribollono dentro lui svariate emozioni (cioè l’emisfero sinistro non si
integra con il destro, creando “surriscaldamento”), il limite lo aiuta a sapere cosa può fare e
cosa no, per calmarsi e piano piano arrivare alla
realtà. La regola, quindi, è parte integrante dell’intelligenza emotiva, non solo per definire al
bambino cosa può essere concesso o cosa no, ma
come mattone sulla base del quale affrontare le
prime frustrazioni o delusioni.
L’allenatore emotivo diventa consapevole dell’emozione del bambino e lo aiuta a esprimerla e a ge-
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Come diventare un buon allenatore emotivo?
L’intelligenza emotiva dei
bambini se da un lato è determinata dal temperamento di
ognuno di loro, dall’altra è la
conseguenza delle continue
interazioni con i genitori e con
le figure di riferimento. Ciò
che fa la differenza nell’esperienza emotiva del piccolo,
non è tanto in quello che
prova, ma nelle risposte emotive, messe in atto dal contesto, che ne seguono.
Per aiutare i bambini nella gestione delle emozioni, per permettere un’autoregolazione e
sentirsi a proprio agio nelle situazioni, l’adulto dovrebbe
essere innanzitutto cosciente
dello stile che utilizza nel per-
corso educativo: essere consapevole del proprio stile, delle
proprie emozioni e dell’uso
che se ne fa, favorisce l’accettazione delle emozioni forti
del bambino e l’adozione di
comportamenti adatti alla situazione.
Secondo Gottman e Declaire
(1997) possiamo classificare
gli stili adulti in: noncurante,
censore, lassista e allenatore
emotivo.
• L’adulto noncurante considera banali e poco importanti
i sentimenti del bambino, soprattutto nei riguardi delle
emozioni negative. Utilizza
frequentemente la distrazione
come risposta alle forti sensa-
stirla, sapendo che questo momento è un’ottima
occasione di insegnamento, un’opportunità intima.
zioni provate minimizzandone
la causa, sentendosi a disagio
o sopraffatto dalle emozioni
del piccolo.
• Il censore giudica le emozioni del bambino, è convinto
che le emozioni negative vadano controllate nel rigore e
nel rispetto dell’autorità e disciplina e legge queste emozioni come il risultato di una
continua manipolazione da
parte del bambino.
• Il lassista, invece, accetta liberamente le manifestazioni
emotive dal bambino senza
però offrire indicazioni sul
comportamento da seguire,
non offre un aiuto concreto
sul come risolvere i problemi
e gestire l’emozione.
I bambini figli di queste caratteristiche dell’adulto imparano a considerare i
propri sentimenti come sbagliati, a non avere fiducia
nel proprio giudizio o peggio a non fidarsi delle proprie emozioni perché
banalizzate e sminuite o rigidamente controllate da
chi insegna loro come stare
al mondo.
• L’allenatore emotivo, invece, è colui che riesce ad
accogliere un bambino
anche quando vive un’emozione negativa, che utilizza
questo momento per aiutare
il proprio bambino nell’autoregolazione e gestione dei
e difficoltà e imparerà a fidarsi di voi, come un
vero punto di riferimento.
Durante gli inserimenti, nuove emozioni e sensazioni spalancano le porte e a volte capita di leggere perplessità o paura sui visi dei bambini
soprattutto in relazione al pianto dei nuovi arrivati.
Spiegare ai bambini perché uno di loro piange li
aiuta a comprende la situazione, ad essere consapevoli del momento e li allena all’empatia.
Oppure pensiamo a quando i bambini piccoli a
volte si spaventano e sembra abbiano paura a giocare. Accogliere questo tipo di paura offre al bambino un momento di apprendimento molto
importante: non si sente banalizzato nella sua
emozione, ma tramite il vostro appoggio e sostegno, si avvicinerà ai palloncini per godere appieno
del divertimento, rispettando i suoi tempi. Bambini
della stessa età non hanno per forza lo stesso
tempo di avvicinamento alle cose o alle situazioni:
quello però che hanno in comune è il desiderio di
trovare accanto una persona, un genitore o un
punto di riferimento che intuisca il loro tempo,
che lo rispetti e che lo aiuti ad avvicinarsi al nuovo.
La stessa riflessione andrebbe fatta per gli adulti:
tutto quello che è nuovo e diverso spaventa un
po’; se per noi è normale avere sentimenti di
Nella pratica
Il mondo degli adulti è spesso di corsa: è facile cadere nell’errore di sminuire e banalizzare le emozioni di un bambino piccolo e la sua esperienza
(immaginate se dopo o, peggio, mentre esponete
i vostri sentimenti il vostro interlocutore minimizza
o sorride banalizzando ciò che voi state provando
in quel momento... non ricevendo il giusto accoglimento vi sentite frustrati o imbarazzati o soli).
Capita, per esempio, che i bambini ripetano alcune domande: a casa o al nido si sente dire
spesso e volentieri “dov’è la mamma?”. Continuare
a ripetere le stesse cose serve per interiorizzare
meglio l’esperienza e gestire la propria emozione:
probabilmente il distacco dal genitore turba ancora il piccolo, che continuerà a chiedere nell’arco
della mattinata quando qualcuno arriva a riprenderlo. Ma se l’adulto è cosciente del perché il
bambino continua a chiederlo, allora si dovrebbe
cercare di rispondere con un tono amorevole,
senza spazientirsi e aiutare davvero il bambino a
interiorizzare e a gestire la sua grande emozione.
Il bambino si sentirà rispettato nella sua tristezza
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sentimenti, per avere fiducia in se stesso e nei
propri giudizi. Rispettando le sue emozioni,
avendo un atteggiamento empatico, riesce
a stare e ascoltare il
bambino per aiutarlo a
incanalare l’emozione.
Essi vanno oltre la semplice accettazione
dell’emozione, ponendo dei limiti ai comportamenti
inaccettabili del bambino. Sono vicino ai
bambini nella disciplina, ma anche negli
“incidenti”: sono adulti
che non hanno problemi a chiedere scusa
ansia sulla novità, perché non dovrebbe esserlo
per i piccoli? La domanda che ogni genitore o
educatrice si dovrebbe porre è “che cosa vorrei se
fossi nei loro panni?”. Se sono tanto arrabbiato,
che cosa mi potrebbe aiutare? Se sento la mancanza della mia mamma, che cosa mi potrebbe
dare sollievo? Questa domanda aiuta l’adulto a
sintonizzarsi nel mondo dei bambini per avvicinarsi di più ai loro pensieri e cercare di essere una
guida forte e sicura, un’ancora alla quale ogni
bambino può aggrapparsi per sentirsi rincuorato.
Ogni momento nel corso della giornata può diventare un’ottima occasione per usare l’intelligenza
del cuore e farla apprendere ai bambini. Per esempio, ormai è noto quanto sia importante denominare l’emozione dei bambini, ma si è soliti farlo
quando la situazione è già surriscaldata e il bambino è in preda a una crisi di nostalgia oppure un
eccesso di rabbia. Perché non farlo anche semplicemente come attività, dove le emozioni di base
vengono riprese tramite le espressioni facciali e
raccontare ai bambini da dove nasce l’emozione?
Capita che ci si dimentichi di raccontare della felicità perché la diamo per scontata, ma possiamo
dire loro che la felicità è nella loro pancia, nel loro
corpo, nella loro faccia e nei loro sorrisi, come
quando sbagliano, anzi, utilizzano proprio questi momenti
per aiutare a essere da guida
di comportamento per il proprio figlio. Bambini che crescono in questo modo
imparano a fidarsi delle proprie emozioni, riescono a sentirsi a proprio agio con se
stessi e con gli altri, ad affrontare i problemi della vita e a
autoregolarsi.
Per il nostro passato, condito
dalla nostra esperienza presente, non tutti siamo allenatori emotivi, ma possiamo
prendere consapevolezza di
questo e imparare ad esserlo,
per aiutare il bambino verso
una crescita serena e ricca di
riferimenti solidi.
tutte le altre emozioni. I bambini imparano a denominarla quando vedono i sorrisi sulla gente, la
riconoscono. Così come riconoscono la rabbia attraverso le sopracciglia corrugate e l’espressione
tesa. Questo è importante perché i bambini non
riescono a capire tutti i discorsi degli adulti, mentre percepiscono subito l’emozione sul volto: se
denominata e allenati a riconoscerla la interiorizzano senza spaventarsi, accettandola, perché è
un’emozione normale che proviamo tutti.
Sara Manzoni
1
Si veda anche “Mondo zero3”, 2014, n. 3, pp. 2-3.
Riferimenti bibliografici
D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1996.
J. Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio, una guida per i
genitori, Rizzoli, Milano 1997.
N. Laniado, Come stimolare giorno per giorno l’intelligenza dei
vostri bambini, Red edizioni, Milano 2003.
G. Nicolodi, Maestra guardami, Csifra, Bologna 2008.
G. Nicolodi, Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia, FrancoAngeli, Milano 2012.
D.J. Siegel, T.P. Bryson, 12 strategie rivoluzionarie per favorire
lo sviluppo mentale del bambino, Raffaello Cortina, Milano
2012.
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