Malattie delle ossa a cura di Ranuccio Nuti Capitolo 37 Malattie delle ossa R. Nuti 809 5 C0185.indd 807 6/9/10 11:48:11 AM 812 Parte 5 - MALATTIE DELLE OSSA ligandi hanno recettori specifici a elevata affinità e possono anche legarsi e attivare i recettori per la calcitonina. I recettori della calcitonina sono strutturalmente omologhi al recettore PTH/PTHrP. Vitamina D La vitamina D esercita la sua fisiologica funzione su osso, intestino, rene e paratiroidi al fine di modulare il metabolismo del calcio e del fosforo. La più importante fonte di vitamina D è la pelle, dove viene prodotta dal 7-deidrocolesterolo grazie all’azione della luce ultravioletta. La vitamina D è anche presente in un numero limitato di alimenti, vegetali (vitamina D2 o ergocalciferolo) e animali (vitamina D3 o colecalciferolo), e le fonti dietetiche possono essere importanti nelle circostanze di ridotta esposizione solare. Le principali risorse dietetiche di vitamina D sono il pesce grasso (salmone, sardine, tonno) e gli oli derivati da questi, alcune carni (fegato), uova e funghi selvatici. La vitamina D viene veicolata al fegato prevalentemente per mezzo di una specifica ␣-globulina (Vitamin D Binding Protein); nel fegato viene metabolizzata a 25(OH)D, che rappresenta la più importante forma di deposito in quanto ha una lunga emivita. Nel rene, la 25(OH)D viene ulteriormente metabolizzata dall’enzima 1-␣-idrossilasi in 1,25(OH)2D, noto anche come calcitriolo, ormone responsabile degli effetti biologici. L’attività dell’1-␣-idrossilasi renale è modulata dai livelli stessi di 1,25(OH) 2D3 e dal PTH. Lo stato vitaminico D può essere valutato attraverso la misurazione della concentrazione sierica di 25(OH)D: nei soggetti adulti sani il limite inferiore di normalità di 25(OH)D è approssimativamente 30 ng/mL. Quando i valori circolanti di 25(OH)D cadono al di sotto di questo valore soglia si parla di insufficienza (tra 20 e 30 ng/mL), e si realizza un aumento della secrezione di PTH che può favorire il riassorbimento osseo. Una grave e duratura deficienza di vitamina D, definita da livelli sierici di 25(OH)D minori di 12 ng/mL, è associata a una difettosa mineralizzazione, che determina rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti. Il calcitriolo è il più importante metabolita biologicamente attivo della vitamina D, e i principali regolatori della sua produzione sono il PTH, l’1,25(OH)2D stesso e l’apporto dietetico di calcio e fosfato. Il legame del calcitriolo al recettore della vitamina D (VDR), un recettore nucleare per gli ormoni steroidei, attiva il VDR stesso che interagisce con il recettore retinoideo X (RXR) e forma il complesso VDR-RXR-cofattore, che si lega al “vitamin D response element” nella regione promoter dei geni bersaglio al fine di regolare la trascrizione dei geni. Due sono le proteine che regolano il trasporto della vitamina D: la “Vitamin D Binding Protein” (DBP) e la megalina. La DBP è una glicoproteina presente nel sangue a una concentrazione in eccesso rispetto all’ormone: infatti solo il 5% dei siti di potenziale legame accolgono normalmente la vitamina D e i suoi metaboliti. La megalina, invece, localizzata a livello del tubulo renale prossimale, riassorbe il complesso 25(OH)D-DBP filtrato dal rene e, oltre a conservare i livelli circolanti di 25(OH)D, favorisce l’attivazione di questo metabolita da parte della 1-␣-idrossilasi renale. Le azioni dell’1,25D avvengono tramite interazione con il VDR, con induzione dell’espressione dei geni bersaglio: il VDR può tuttavia anche reprimere l’espressione genica interferendo con l’attività di fattori di trascrizione attivati o reclutando specifiche proteine che determinano repressione trascrizionale. Il VDR è stato localizzato su organi classicamente coinvolti nel metabolismo minerale, quali paratiroidi, intestino, rene e osso. L’1,25(OH)2D è un potente induttore della calbindina-D9k, una proteina legante il calcio espressa nell’intestino, che riveste un ruolo importante per il trasporto attivo del calcio attraverso l’enterocita. La vitamina D inoltre regola ECaC e IcaC, due importanti trasportatori di calcio intestinale. A livello paratiroideo, l’1,25(OH)2D3 è in grado di regolare la secrezione dell’ormone paratiroideo attraverso un duplice meccanismo: un effetto indiretto dovuto all’aumento del calcio ione plasmatico, che rappresenta un segnale inibente sulla secrezione di paratormone, e un effetto diretto sul recettore paratiroideo con inibizione della sintesi e della secrezione di paratormone per inibizione della trascrizione a livello del gene. Nell’osso la vitamina D stimola a livello dell’osteoblasto la produzione di una proteina, il RANK-L (o ligando del RANK) che, legandosi al suo recettore il RANK espresso sulla membrana dei preosteoclasti, stimola l’aggregazione e la trasformazione di questi in osteoclasta maturo. In tal modo la vitamina D attiva il riassorbimento osseo ma, contemporaneamente, con un fine meccanismo, attua un’autoregolazione del fenomeno. Infatti, sempre a livello osteoblastico, la vitamina D stimola anche la sintesi di osteoprotegerina, una proteina capace di legarsi al RANK-L e prevenirne il legame con il RANK. Si ipotizza pertanto l’esistenza di un recettore transmembrana cui attribuire la stimolazione rapida da parte della vitamina di una serie di attivatori citoplasmatici (fosfochinasi, catena MAPK ecc.) responsabili dell’aumento molto rapido della concentrazione intracellulare del calcio, del GMPc e della fosfochinasi C. Osteoporosi Definizione L’osteoporosi è l’osteopatia metabolica più diffusa nel mondo occidentale, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una malattia sistemica a eziopatogenesi multifattoriale, causata da una patologica riduzione della resistenza ossea, da cui aumento della fragilità dello scheletro e quindi della suscettibilità alle fratture. In particolare è stato definito che la malattia deriva non soltanto da una riduzione della densità ossea, ma anche C0185.indd 812 da un’alterazione della qualità del tessuto osseo. Questo termine, introdotto recentemente nella fisiopatologia delle malattie dello scheletro, tiene conto di tutta una serie di specifiche che comprendono le proprietà strutturali dell’osso, quali la geometria, le dimensioni e la microarchitettura; le caratteristiche del materiale, come il tipo di collagene, lo stato di mineralizzazione e la presenza di microdanni; e infine il rimodellamento scheletrico. Quindi l’alterazione della qualità dell’osso, derivante per esempio da un assottigliamento delle trabecole dell’osso 6/9/10 11:48:11 AM Capitolo 37 - MALATTIE DELLE OSSA Tabella 37.1 Classificazione delle osteoporosi primitive Osteoporosi giovanile Osteoporosi idiopatica del giovane adulto Osteoporosi postmenopausale Osteoporosi senile Osteogenesi imperfetta spugnoso, da un aumento dei processi di riassorbimento osteoclastico e da una diminuzione della mineralizzazione tissutale, è in grado di provocare una riduzione della resistenza scheletrica facilitando così un aumento del rischio di fratture patologiche. Le fratture, come si vedrà, possono interessare vari segmenti scheletrici, dalla colonna vertebrale al femore, dal bacino all’estremità distale di radio e ulna. Esistono numerose varietà di osteoporosi che possono essere sinteticamente raggruppate in due classi: le forme primitive e quelle secondarie. Della prima fanno parte l’osteoporosi postmenopausale e senile, l’osteoporosi giovanile, l’osteoporosi maschile, l’osteogenesi imperfetta; delle osteoporosi secondarie si ricordano quella da farmaci (corticosteroidi, eparina), da malattie endocrine e gastrointestinali, da immobilizzazione, da trapianto, secondaria ad artrite reumatoide (Tabb. 37.1-37.2). OSTEOPOROSI PRIMITIVE Osteoporosi postmenopausale 813 decenni e quindi una terza fase costituita da un lento ma inesorabile depauperamento età-correlato del patrimonio osseo, che nella donna subisce una brusca accelerazione nei primi anni dopo la menopausa, in conseguenza dell’ipoestrogenismo postmenopausale. Nell’osteoporosi postmenopausale il meccanismo patogenetico responsabile della malattia è complesso e multifattoriale (Fig. 37.1). La caduta degli estrogeni rappresenta senza dubbio l’evento patogenetico fondamentale, causa di quell’aumento dei processi di riassorbimento osseo da cui deriva la riduzione della massa ossea tipica dell’osteoporosi. La cessazione della funzione ovarica determina in circa un terzo delle donne un esagerato incremento della frequenza di attivazione delle BMU e un aumento Tabella 37.2 Classificazione delle osteoporosi secondarie Malattie gastrointestinali Gastrectomia Celiachia Malattie infiammatorie dell’intestino Sindromi da malassorbimento Malattie ematologiche Leucemia Linfoma Mastocitosi sistemica Discrasia delle plasmacellule Anemia Malattie endocrine Ipertiroidismo Ipercorticismo Diabete mellito Ipogonadismo Epidemiologia È la forma di osteoporosi piu diffusa al mondo. Si calcola che ne siano affette circa 200 milioni di donne, e di queste più di un terzo nella fascia di età dai 60 ai 70 anni; approssimativamente circa il 20-25% delle donne oltre i 50 anni, quindi una donna su quattro, presenta una o più fratture vertebrali. Le fratture del femore erano, nel 1990, oltre 1.500.000 in tutto il mondo occidentale, con una stima prevista per il 2050 di circa 6 milioni. In Italia uno studio epidemiologico condotto con densitometria a ultrasuoni ha consentito di rilevare che oltre il 75% della popolazione di sesso femminile presenta una condizione di fragilità scheletrica e che, in particolare nella decade 70-79 anni, circa il 42% delle donne è affetto da osteoporosi; dall’estrapolazione di questi dati è possibile affermare che ogni anno si realizzano in Italia circa un milione e mezzo di fratture nel sesso femminile, di cui 138.000 dell’anca, 243.000 delle vertebre e 588.000 dell’avambraccio. Farmaci Glucocorticoidi Eparina Anticoagulanti orali Ormone tiroideo Metotrexate Litio Fattori di rilascio delle gonadotropine Antiepilettici (?) 5 Malattie del tessuto connettivo Ehlers-Danlos Sindrome di Marfan Artrite reumatoide Miscellanea Immobilizzazione Abuso di alcol Anoressia nervosa Gravidanza-allattamento Malattie neurologiche croniche Iperfosfatasia Neoplasie maligne Intossicazione da cadmio Trapianto Eziopatogenesi Nel corso della vita umana si possono distinguere, dal punto di vista del metabolismo osseo, tre principali fasi. La prima fase corrisponde a un progressivo accrescimento osseo e varia, per durata, nei due sessi. Essa, comunque, non supera la terza decade di vita, epoca in cui si raggiunge il picco di massa ossea, cioè la massima quantità di osso che ciascun individuo è capace di formare. Alla suddetta fase accrescitiva segue una seconda fase di plateau che dura alcuni C0185.indd 813 6/9/10 11:48:11 AM 814 Figura 37.1 Schema patogenetico della frattura osteoporotica. Parte 5 - MALATTIE DELLE OSSA Fattori genetici e nutrizionali Inadeguato picco di massa ossea Bassa densità ossea Età Aumentata perdita di massa ossea Frattura Menopausa Fattori sporadici e malattie Trauma dell’attività degli osteoclasti, che si traduce in una maggiore profondità della cavità di riassorbimento. Il quadro di osteoporosi che ne deriva viene comunemente definito osteoporosi a elevato turnover. In tale condizione, l’iperattività osteoclastica è dovuta sia ad aumentata attività delle singole cellule sia a un aumentato reclutamento degli osteoclasti nella sede di riassorbimento. Negli ultimi anni è stata attribuita notevole importanza all’effetto diretto degli ormoni sessuali sulle cellule ossee, dovuto soprattutto alla dimostrazione della presenza di recettori per gli estrogeni sugli osteoclasti e, più recentemente, anche sugli osteoblasti. È stato dimostrato che gli estrogeni, agendo su tali cellule e soprattutto sulle cellule stromali del midollo osseo, sono capaci di controllare la produzione e le concentrazioni di fattori locali, quali per esempio le interleuchine IL-1 e IL-6, la prostaglandina E2, il TNF-␣, l’osteoprotegerina e alcuni fattori di crescita come l’IGF-1, l’IGF-2, il GM-MCSF e l’M-CSF. In particolare, il deficit estrogenico conseguente all’insorgere della menopausa sarebbe direttamente responsabile di una maggiore produzione e liberazione di interleuchine IL-6 e IL-1 e TNF-␣ da parte delle cellule osteoblastiche, delle cellule stromali del midollo osseo e delle cellule della linea monocito-macrofagica; e soprattutto indurrebbe un aumento di attività del sistema RANK/RANK-L e quindi del reclutamento e dell’attività osteoclastica. L’associazione tra aumento di frequenza di attivazione delle BMU e aumento del riassorbimento, non adeguatamente compensato dai processi di neoformazione, comporta l’assottigliamento e la diminuzione delle trabecole dell’osso spongioso, con perdita irreversibile di tessuto, compromissione della microarchitettura e aumento del rischio di frattura. Per altro la riduzione estrogenica postmenopausale è in grado di indurre anche una condizione di carente assorbimento intestinale del calcio, in parte legato a deficit di idrossilazione renale della vitamina D, che per motivi omeostatici contribuisce ad aumentare la fase di riassorbimento osseo. L’osteoporosi è comunque una malattia multifattoriale, in quanto la patologica riduzione della massa ossea e la conseguente frattura rappresentano gli eventi finali di una cascata patogenetica condizionata anche da altri fattori patogenetici, che sono sintetizzati nella figura 37.1. Infatti sono noti per l’osteoporosi, come per altre malattie, C0185.indd 814 numerosi fattori di rischio, di cui alcuni modificabili, che sono in grado di indurre, attraverso meccanismi d’azione spesso diversi tra di loro, un’accelerazione dei processi di demineralizzazione e quindi favorire la comparsa di fratture (Tab. 37.3). Un primo gruppo comprende i cosiddetti fattori di rischio maggiori, e di questo fanno parte, accanto a una struttura corporea esile, fattori genetici e razziali (razza bianca), fattori nutrizionali (basso apporto di calcio e di vitamina D), fattori legati al cosiddetto stile di vita (uso di sigarette e ridotta attività fisica), fattori endocrini (menopausa precoce, o amenorrea primitiva o secondaria). Per quanto riguarda l’apporto alimentare di calcio, è stato inequivocabilmente dimostrato che è in grado di influenzare positivamente nelle prime decadi di vita il picco di massa ossea e successivamente di contribuire a mantenere il fisiologico stato di mineralizzazione dello scheletro. L’apporto giornaliero di calcio dovrebbe essere di 400 mg dalla nascita sino ai primi 6 mesi di vita, 600 mg dai 6 ai 12 mesi, 800-1200 mg da 1 a 10 anni, 1200-1500 mg da 11 a 24 anni. Successivamente, nell’epoca della maturità, che va da 25 a 50 anni, è stato calcolato che l’introduzione alimentare di calcio non dovrebbe essere inferiore a 1000 mg/die, per aumentare a 1500 mg negli uomini dopo i 55-60 anni e nelle donne dopo la menopausa. Per la vitamina D supplementazioni orali di 800 UI/die si sono dimostrate in grado di ridurre le concentrazioni ematiche di paratormone in soggetti anziani, e soprattutto di ridurre in misura statisticamente significativa il numero di fratture del femore nell’arco di 3 anni. Per altro alcuni fattori di rischio, come per esempio il trattamento con cortisone oppure una condizione di malassorbimento intestinale, come la celiachia, o anche una precoce menopausa chirurgica, possono di per sé rappresentare vere e proprie cause di osteoporosi e in questo casi si parla di osteoporosi secondaria (Tab. 37.2). Tabella 37.3 Classificazione dei fattori di rischio per l’osteoporosi Genetici o costituzionali (non modificabili) Sesso (femminile) Età Familiarità Razza (bianca o asiatica) Menarca tardivo e/o menopausa precoce Stile di vita e aspetti nutrizionali (modificabili) Nulliparità Basso apporto alimentare di calcio Fumo Carenza di vitamina D Abuso di sostanze alcoliche e caffeina Ridotto peso corporeo Ridotta attività fisica (sedentarietà) Immobilizzazzione prolungata Farmaci (corticosteoridi, anticonvulsivanti ecc.) 6/9/10 11:48:11 AM Capitolo 37 - MALATTIE DELLE OSSA Manifestazioni cliniche Il quadro clinico dell’osteoporosi è caratterizzato da dolore osseo, fratture patologiche e deformità scheletriche. Per molti anni tuttavia la malattia può essere asintomatica: la lenta e progressiva perdita di massa ossea non si accompagna di per sé ad alcun sintomo e soltanto quando, per un trauma spesso di lieve entità, si realizza un frattura, ecco che compare il dolore. Il dolore si presenta solitamente al rachide dorso-lombare, almeno nella forma postmenopausale, in quella giovanile e maschile, e nelle forme iatrogene: quando è intenso e localizzato a una vertebra, con irradiazione alla faccia anteriore della gabbia toracica oppure all’addome, può essere espressione di un cedimento della limitante superiore o inferiore di una vertebra, se non addirittura di uno schiacciamento vertebrale. Le fratture vertebrali possono essere di tre tipi: a cuneo, con riduzione dell’altezza anteriore della vertebra; a lente biconcava, con riduzione dell’altezza centrale della vertebra; completa quando il corpo vertebrale è praticamente schiacciato, con riduzione delle altezze anteriore, posteriore e centrale. Esiste a questo proposito comunque uno score radiologico in grado di quantificare la deformità del corpo vertebrale a seconda della riduzione dell’altezza anteriore, centrale o posteriore della vertebra (Fig. 37.2). Le vertebre che più comunemente vengono interessate sono le ultime dorsali e le prime lombari, raramente vengono coinvolte le dorsali al di sopra di D8. In questi casi deve essere sospettata una patologia diversa dall’osteoporosi, per esempio una lesione osteolitica di mieloma multiplo oppure da metastasi di carcinoma della mammella. Il dolore della frattura vertebrale è esacerbato dai movimenti rapidi e dalla flessione della colonna: solitamente non viene modificato dalla posizione supina a letto, persiste per circa 1 mese per attenuarsi poi progressivamente lungo l’arco di 3 mesi. Di solito l’episodio di collasso vertebrale, che solo di rado determina quadri da compressione delle radici nervose o del midollo allungato, lascia come reliquato una dolorosità lombare in relazione all’alterata meccanica vertebrale che coinvolge i legamenti, i muscoli, i dischi intervertebrali e l’articolazione apofisaria. È opportuno, comunque, tenere presente che anche microfratture vertebrali, radiologicamente di non facile riscontro, possono essere causa di dolore. La presenza di deformità vertebrali è in ogni caso responsabile di un importante deterioramento della qualità di vita della paziente, che è costretta a ridurre gradualmente le proprie attività. Nelle fasi avanzate della malattia, con la comparsa di una cifosi a grande arco, il dolore si fa sordo e continuo, tende ad accentuarsi nelle ore serali e si risolve, almeno in parte, con il riposo a letto. Le fratture sintomatiche del rachide sono frequentemente causa oltre che di dolore, anche di riduzione di statura e deformazioni scheletriche, quali per esempio la cifosi a grande arco dovuta alla deformazione a “cuneo” dei corpi vertebrali per cedimento del margine anteriore delle vertebre interessate dal processo osteoporotico. In questi casi l’aspetto della paziente va incontro ad un progressivo cambiamento, con accorciamento del tronco e relativo allungamento degli arti superiori che possono arrivare sino alle ginocchia: a ciò va ad aggiungersi, sempre per motivi adattativi, un graduale aumento di volume dell’addome. In condizioni particolarmente C0185.indd 815 815 Figura 37.2 Tipica frattura vertebrale a “cuneo” di natura osteoporotica. gravi, con la presenza di multiple fratture vertebrali, si può avere compromissione della funzionalità respiratoria e conseguentemente di quella cardiaca (cor polmonare cronico). Le fratture osteoporotiche interessano oltre che la colonna vertebrale, il polso, il collo del femore e in minore misura altri distretti ossei (coste, omero, bacino). La frattura femorale è la più grave da un punto di vista clinico, visto che il 15-20% delle pazienti che va incontro a tale complicanza muore entro il primo anno. A questo proposito è comunque opportuno ricordare che anche le fratture di vertebra sono gravate da un elevato rischio di mortalità. Diagnosi Come è noto nelle fasi iniziali della malattia l’esame radiologico non è in grado di mostrare alcuna alterazione: soltanto quando la massa ossea si è ridotta di oltre il 30% può evidenziare una condizione di demineralizzazione. Per altro nella fase conclamata della malattia, l’esame radiologico dello scheletro dimostra una diffusa maggiore radiotrasparenza del tessuto osseo, particolarmente evidente alle vertebre; la spongiosa dei corpi vertebrali diviene più radiotrasparente e contrasta con le limitanti, sottili ma ben disegnate. Emergono poi le alterazioni tipiche da deformazione e da frattura: i corpi vertebrali si presentano conformati a lente biconcava per cedimento della zona centrale, appiattiti per il cedimento globale del corpo vertebrale oppure schiacciati a cuneo per cedimento della loro parte anteriore. In presenza di più di una deformità a cuneo, l’esame radiologico evidenzia a carico del rachide la tipica cifosi a grande arco. Per quanto riguarda l’osso corticale, è possibile osservare un progressivo assottigliamento delle compatte, che nelle ossa lunghe, per esempio nel femore, possono assumere l’aspetto “a velo di cipolla”. Nella diagnostica e nel follow-up dell’osteoporosi un ruolo fondamentale spetta alla densitometria ossea (Fig. 37.3). L’esame è in grado di fornire una precisa quantificazione del contenuto minerale dello scheletro, attraverso la misura della densità ossea. La densitometria ossea viene eseguita a livello del radio distale e ultradistale, delle 5 6/9/10 11:48:12 AM 816 Figura 37.3 DEXA a livello del femore (a, a sinistra) e del rachide lombare (b, a destra): in entrambe le scansioni il valore di BMD (contenuto minerale osseo) è francamente osteoportico (T-score per femore e spina ⫺3,4 e ⫺4,9, rispettivamente). Parte 5 - MALATTIE DELLE OSSA a b Femore sinistro Densità ossea BMD (g/cm2) 1,24 Normale 1,12 Riferimento: Intero Collo Ward Troc. Diafisi Intero BMD (g/cm2) 0,568 0,443 0,485 0,681 0,587 0 –1 0,76 Osteopenia –2 0,64 –3 0,52 –4 50 60 70 Età (anni) Giovane adulto (%) T-Score –3,4 –3,6 –2,8 – –3,4 80 90 Pari età (%) T-Score Regione 76 73 74 – 73 L1 L2 L3 L4 L1-L4 L2-L4 –1,5 –1,3 –1,5 – –1,7 Riferimento: L1-L4 1,24 Normale 1,12 1,00 0,88 0,76 Osteopenia 0,64 0,52 Osteoporosi 0,40 20 30 40 50 60 70 Età (anni) –5 100 vertebre lombari e del femore, e infine su tutto lo scheletro: è così possibile ottenere misure precise sul contenuto minerale delle componenti trabecolare e corticale del tessuto osseo. La densità ossea (BMD) può essere misurata come valore assoluto (g/cm2 o g/cm3) e come T- o Z-score, dove per T-score si intende il numero di deviazioni standard rispetto al valore medio del picco di massa ossea di soggetti giovani e sani (età media circa 30 anni), mentre lo Z-score fa riferimento al numero delle deviazioni standard rispetto al valore medio del soggetto di pari sesso ed età. Da alcuni anni per il monitoraggio della densità ossea alla DEXA (Dual Energy X-ray Absorptiometry, densitometria ossea a raggi X) si è affiancata la tecnica a ultrasuoni (QUS, Quantitative Ultra Sound). Tale metodica offre informazioni anche sulle caratteristiche strutturali dell’osso che sono in larga parte indipendenti dalla BMD, come la connettività trabecolare, l’elasticità, la qualità della matrice, e offre quindi anche informazioni qualitative sulla struttura ossea. Di particolare aiuto nell’approccio diagnostico è anche lo studio del metabolismo fosfo-calcico: attraverso il dosaggio di parametri quali calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina totale, che nell’osteoporosi risultano nella norma, è possibile escludere altre patologie, quali l’iperparatiroidismo oppure il plasmocitoma, che spesso si presentano soltanto con fratture patologiche e una marcata radiotrasparenza. In una fase successiva è utile il dosaggio dell’ormone paratiroideo, dello stato vitaminico D e dei marker di rimodellamento. Questi ultimi tradizionalmente si suddividono in marker di neoformazione e di riassorbimento: i marker di formazione ossea sono la fosfatasi alcalina totale e ossea, l’osteocalcina, i peptidi del procollagene di tipo I (PICP e PINP); i marker di riassorbimento sono l’idrossiprolina urinaria e i telopeptidi C- e N-terminali del collagene di tipo I (sCTx e sNTx). Nell’osteoporosi i marker di riassorbimento e formazione, contrariamente a quanto avviene nell’osteomalacia, nell’iperparatiroidismo oppure nell’osteodistrofia di Paget, risultano sostanzialmente nella norma. C0185.indd 816 BMD (g/cm2) 1 1,00 58 49 61 – 59 Colonna AP Densità ossea 2 0,88 Osteoporosi 0,40 20 30 40 Regione T-Score GA BMD (g/cm2) 0,654 0,588 0,613 0,537 0,593 0,576 Giovane adulto (%) T-Score 58 49 51 45 50 48 –4,0 –5,1 –4,9 –5,5 –4,9 –5,2 80 T-Score GA 2 1 0 –1 –2 –3 –4 –5 100 90 Pari età (%) T-Score 77 64 66 58 66 62 –1,7 –2,8 –2,6 –3,2 –2,6 –2,9 La scintigrafia ossea viene eseguita con un bifosfonato marcato con 99mTc, che si somministra per via venosa alla dose di 740 MBq e si fissa rapidamente sulla superficie dei cristalli di idrossiapatite. Nell’osteoporosi le lesioni fratturative si presentano come lesioni focali ipercaptanti spesso distribuite lungo linee di forza o nella sede di un trauma misconosciuto (collo del femore, coste, vertebre). La biopsia ossea si esegue a livello della cresta iliaca e permette l’esame istologico del tessuto osseo. Il quadro istologico dell’osteoporosi è caratterizzato, in sintesi, da una riduzione della massa ossea, con diradamento e assottigliamento delle trabecole della spongiosa, ampie lacune di riassorbimento a livello corticale, assenza di bordi osteoidi non calcificati, tipici per altro dell’osteomalacia. Osteoporosi senile Superata la sesta decade di vita entrambi i sessi possono giungere a una condizione di perdita di osso critica per eventi fratturativi. Si parla in questo caso di osteoporosi senile o involutiva, nella quale il patrimonio minerale è ridotto non solo a livello trabecolare, ma anche corticale. L’evento clinico fratturativo tipico della forma senile è la frattura dell’anca e in particolare la frattura del collo del femore, anche se possono realizzarsi fratture vertebrali. Eziopatogenesi L’eziopatogenesi dell’osteoporosi senile è prevalentemente riconducibile a una ridotta funzione osteoblastica cui si associa, per motivi omeostatici legati al malassorbimento calcico intestinale, un iperparatiroidismo secondario. È opportuno tuttavia considerare che assai raramente, in particolare nella donna, l’osteoporosi senile esordisce come tale: spesso rappresenta altresì l’evento clinico finale di un processo di demineralizzazione iniziato in fase postmenopausale e aggravatosi progressivamente nel tempo. Sono comunque conosciuti, per la frattura di femore, specifici fattori di rischio (Tab. 37.4). 6/9/10 11:48:12 AM Capitolo 37 - MALATTIE DELLE OSSA Tabella 37.4 Classificazione dei fattori di rischio per frattura del femore Familiarità per fratture Perdita di peso Condizione di salute scadente Alta statura in età giovanile Uso di benzodiazepine e anticonvulsivanti Inabilità ad alzarsi da una sedia Scarsa capacità visiva Tachicardia Cadute laterali Manifestazioni cliniche Il quadro clinico dell’osteoporosi senile è dominato dalle fratture, in particolare di femore ma anche di vertebra, con le conseguenti deformita scheletriche. Il dolore è secondario agli eventi fratturativi, ma può essere in seguito legato anche alle deformità ossee. Le complicanze respiratorie e cardiache sono frequenti. Purtroppo nell’osteoporosi senile le fratture sono assai spesso causa di morte. Osteoporosi giovanile È una forma di osteoporosi primitiva relativamente rara che coinvolge bambini e adolescenti: si sviluppa con sintomatologia acuta di tipo doloroso in epoca prepuberale, con familiarità negativa per patologie del metabolismo osseo; è caratterizzata clinicamente da fratture metafisarie e compressioni vertebrali, e contraddistinta radiologicamente, oltre che dalle fratture, da alterazioni abbastanza tipiche costituite da aree radiolucenti a livello delle metafisi delle ossa lunghe, meglio conosciute con il termine di “osteoporosi neo-ossea”. Eziologia L’eziologia dell’osteoporosi giovanile resta ancora misconosciuta. Ricerche recenti ipotizzano una possibile correlazione con alcune mutazioni di tipo eterozigote del gene che codifica per la LRP-5 (proteina 5 associata alle lipoproteine a bassa densità), proteina coinvolta nel sistema di trasmissione del segnale Wnt in grado di influenzare la massa ossea attraverso un effetto diretto sulla neoformazione di tessuto osseo da parte degli osteoblasti. Studi di istomorfometria dinamica evidenziano come siano patologicamente alterati i processi neoformativi a livello dello scheletro trabecolare e corticale, con deposizione di tessuto osseo anormale in termini sia quantitativi sia qualitativi (presenza di osteoide). A conferma della genesi multifattoriale, sono state anche formulate ipotesi patogenetiche diverse, di tipo probabilmente meccanico-recettoriale, tali da alterare la normale interazione tra tessuto osseo e massa muscolare scheletrica. Manifestazioni cliniche L’esordio clinico della malattia è caratterizzato dall’insorgenza di dolore a livello lombo-sacrale, femorale, plantare con comparsa di difficoltà alla deambulazione progressivamente ingravescente: successivamente C0185.indd 817 817 il dolore compare anche a livello delle articolazioni di ginocchia e anche, e si accompagna a intensa astenia, fino all’insorgenza di fratture delle estremità inferiori che comportano ulteriore peggioramento della capacità motoria. Le fratture più caratteristiche sono quelle vertebrali da compressione e quelle delle metafisi delle ossa lunghe. Le fratture condizionano la comparsa di alterazioni morfologiche facilmente riscontrabili all’esame obiettivo: si possono riscontrare una cifosi o una cifo-scoliosi con deformità “a piccione” della gabbia toracica, perdita di peso e deformità delle ossa lunghe. La malattia ha una remissione spontanea nel giro di 3-5 anni; può tuttavia determinare alterazioni morfostrutturali scheletriche permanenti che possono condizionare lo sviluppo postpuberale. Osteoporosi del giovane adulto Interessa soggetti giovani adulti di entrambi i sessi. Non è nota una causa scatenante: si ritiene che la riduzione della densità minerale ossea sia da riferire a un deficit del processo di neoformazione, piuttosto che a un aumento del processo di riassorbimento, come avviene nelle altre forme di osteoporosi, per una ridotta attività degli osteoblasti o più probabilmente per una diminuzione del numero di precursori degli osteoblasti. Un’analisi dell’attività delle cellule osteoblastiche di maschi osteoporotici ha evidenziato una riduzione della proliferazione e della sintesi proteica rispetto a osteoblasti provenienti da soggetti di pari età con normali valori di massa ossea. Questi dati sperimentali sono confermati dalla valutazione biochimica del turnover osseo di tali soggetti: infatti, la misurazione dei marker di rimodellamento osseo evidenzia un quadro di ridotta neoformazione, mentre i parametri di riassorbimento osseo risultano nella norma. La densità minerale ossea risulta ovviamente ridotta e la biopsia ossea conferma generalmente un profilo istomorfometrico compatibile con un quadro di osteoporosi a basso turnover. Il quadro clinico è caratterizzato dalla comparsa di fratture, prevalentemente vertebrali, da causa minima. Non esiste a oggi un trattamento scientificamente definito: è consigliabile l’impiego di calcio e vitamina D; interessanti risultati preliminari sono stati ottenuti con i bisfosfonati. 5 Osteoporosi maschile L’osteoporosi è una malattia che interessa anche il sesso maschile: è stato calcolato che circa il 30% di tutte le fratture del femore e il 20% di tutte le fratture vertebrali sono dovute a osteoporosi maschile, per altro con tasso di mortalità nettamente superiore rispetto al sesso femminile. Il rischio di andare incontro a un evento fratturativo nell’arco della vita nel maschio è stato stimato pari a circa il 13-25%, ovvero la metà di quello stimato per le donne di razza caucasica. Eziopatogenesi La minore fragilità scheletrica del maschio, rispetto alla femmina, è essenzialmente legata ai seguenti fattori: • al raggiungimento di un picco di massa ossea più elevato con un maggiore diametro osseo; 6/9/10 11:48:13 AM 818 Parte 5 - MALATTIE DELLE OSSA • a una minore percentuale di perdita di massa ossea con l’età, rispetto al picco di massa ossea; • al fatto che la perdita di massa ossea nel maschio comporta una riduzione dello spessore trabecolare piuttosto che una perforazione, con perdita di connettività e quindi del numero di trabecole ossee, come accade invece nella donna; • a un minore riassorbimento endocorticale; • a una maggiore espansione periostale con l’età, con un incremento delle dimensioni e della resistenza dell’osso, fattori che potrebbero controbilanciare l’effetto dell’assottigliamento trabecolare prodotto dal processo di riassorbimento endocorticale; • a una minore porosità intracorticale. diverse casistiche). Un quadro di ipogonadismo è stato dimostrato nel 20% circa dei maschi con fratture vertebrali sintomatiche e nel 50% degli uomini anziani con frattura del femore. Le cause più frequenti sono rappresentate dalla sindrome di Klinefelter, dall’ipogonadismo idiopatico ipogonadotropo, dall’iperprolattinemia, dall’emocromatosi e dall’insufficienza testicolare primaria. Diagnosi Unitamente alla densitometria ossea e all’esame radiologico, sono utili a fini diagnostici esami biochimici relativi al metabolismo osseo ed esami ormonali specifici (TSH, FSH, LH, testosterone totale e libero, SHBG, estradiolo). Osteogenesi imperfetta La progressiva riduzione della funzione endocrina testicolare che si verifica in genere a partire dai 60 anni sembra giocare un importante ruolo anche nell’uomo nel processo di demineralizzazione ossea: così come nella donna, gli estrogeni sembrano esercitare un ruolo determinante a livello osseo, pari o addirittura maggiore rispetto a quello svolto dagli stessi androgeni, i cui effetti sul tessuto osseo nel maschio potrebbe quindi essere secondari alla loro aromatizzazione in estrogeni. Altri fattori ormonali probabilmente coinvolti nell’eziopatogenesi dell’osteoporosi maschile potrebbero essere legati ad alterazioni dell’asse GH/IGF1 (per lo meno nelle forme idiopatiche del giovane adulto) e a una carenza di 1,25-diidrossivitamina D, nelle forme senili. È infine importante sottolineare il fatto che nell’uomo le forme secondarie, legate principalmente al fumo, all’utilizzo di corticosteroidi o all’ipogonadismo, sono più frequenti rispetto alla donna (dal 30 al 60% nelle Tabella 37.5 Classificazione dell’osteogenesi imperfetta Tipo Manifestazioni cliniche Ereditarietà I Statura normale, sclere blu, ipoacusia; raramente concomita dentinogenesi imperfetta Letale nel periodo perinatale; scarsa mineralizzazione della volta cranica, alterazioni a corona di rosario a livello della gabbia toracica, severe deformità a livello delle ossa lunghe, platispondilia Ridotta statura, sclere variamente blu, spesso più evidenti con l’età; ipoacusia e dentinogenesi imperfetta frequenti Deformità moderate alla nascita, con aggravamento progressivo Deformità scheletriche di vario grado con bassa statura, ipoacusia comune ai componenti delle singole famiglie, dentinogenesi imperfetta; sclere blu non sempre presenti Forma moderata-severa; caratterizzata dalla formazione di un callo ipertrofico postfratturativo, dalla calcificazione della membrana interossea dell’avambraccio e da una matrice ossea a rete alle sezioni istologiche Osteopenia e fragilità ossea dovuta a un difetto di mineralizzazione, in assenza di anormalità nel metabolismo osseo Forma moderata-severa; caratterizzata da fratture alla nascita, sclere blu, deformità precoci alle estremità, anca vara, osteopenia e, come segno caratteristico, rizomelia Forma severa, talvolta letale; fenotipo caratterizzato da manifestazioni comuni alle forme II e III, ma con alcune caratteristiche distintive quali sclere bianche, difetto di mineralizzazione e deficit severo di crescita Autosomica dominante II III IV V VI VII VIII C0185.indd 818 L’osteogenesi imperfetta (OI), detta anche “sindrome delle ossa fragili” o anche “sindrome delle ossa di vetro”, è una malattia genetica rara del tessuto connettivale, in particolare della sintesi e della struttura del collagene di tipo 1, caratterizzata da ossa fragili e maggiore rischio di sviluppo di fratture per traumi minimi. La malattia è nella gran parte dei casi dovuta alla mutazione di due geni che codificano per il collagene di tipo 1: essi sono il gene COL1A1 che codifica per la catena pro-␣-1 e che è situato sul braccio lungo del cromosoma 17, e il COL1A2 che è collocato sul braccio lungo del cromosoma 7 e che codifica per la catena pro-␣-2. Tenendo conto della trasmissione genetica, è stata proposta una classificazione che prevede sette varietà cliniche (Tab. 37.5). L’incidenza della malattia alla nascita risulta variabile a seconda delle casistiche esaminate, oscillando tra 1 caso su 5000 nati, Autosomica dominante Autosomica dominante Autosomica dominante o, più raramente, recessiva Autosomica dominante Sconosciuta Autosomica recessiva Autosomica recessiva 6/9/10 11:48:13 AM Capitolo 37 - MALATTIE DELLE OSSA sino a 1 caso su 20.000; la severità di malattia non sembra influenzata dal sesso e dalla razza. Dal punti di vista clinico, l’OI di tipo I è sicuramente la forma più frequente (60% circa dei pazienti) e la meno grave. È caratterizzata da: bassa statura; lieve o moderata fragilità ossea senza deformità sia in età postnatale sia in età adulta quando viene diagnosticata come una forma precoce di osteoporosi; sclere blu (dovute al diminuito spessore delle sclere, per un minore contenuto in fibre collagene e comparsa per trasparenza del colorito blu della coroide sottostante), arco giovanile (colorazione opaca bianco-grigiastra ad arco della cornea dovuta a deposizione di lipidi) in assenza di ipercolesterolemia; precoce perdita dell’udito per formazione difettosa o frattura degli ossicini dell’orecchio; facilità alle ecchimosi e tendenza alle emorragie per trombocitopatia e/o per alterazioni delle pareti vasali; più raramente ritardo mentale, legato ad anomalie delle ossa craniche. Le fratture possono verificarsi nel periodo perinatale, mentre l’osteoporosi è tardiva e può comparire anche in età adulta. L’OI di tipo I viene suddivisa in due sottotipi: IA, con assenza di dentinogenesi imperfetta, e IB, con dentinogenesi imperfetta. Con la locuzione “dentinogenesi imperfetta”, specifica solo dell’OI, si intende una dentizione difettosa, caratterizzata da denti grigi e opalescenti, secondaria a un difetto primitivo a livello del canale pulpare. L’OI di tipo II è una grave forma caratterizzata da: letalità nel periodo perinatale; fragilità estrema del tessuto connettivo; deformità ad “arco” delle ossa lunghe; coste “a rosario”; fratture multiple e ritardo di crescita intrauterino; macrocefalia; micromelia (brevità degli arti che contrasta con il normale sviluppo del tronco); ipertelorismo (malformazione cranio-facciale caratterizzata da allargamento dello sfenoide, della radice del naso e da una distanza eccessiva tra i due occhi); appiattimento dei lineamenti; protuberanze temporali. La morte perinatale è causata dalla brevità dello scheletro che conduce a insufficienza cardiorespiratoria o a emorragia intracranica. L’OI di tipo III si manifesta con nanismo, numerosi eventi fratturativi, deformità scheletriche, macrocefalia, facies triangolare, scoliosi e sclere bianche. La tabella 37.5 riporta sinteticamente le caratteristiche cliniche delle altre forme di OI. Non esiste attualmente un trattamento specifico per l’OI. Risultano utili provvedimenti ortopedici (tutori, corsetti, deambulatori) ed eventualmente trattamenti chirurgici. Il difetto di crescita può essere corretto con la somministrazione di GH; risultati incoraggianti sono stati ottenuti con i bisfosfonati, in particolare con il neridronato. OSTEOPOROSI SECONDARIE Le osteoporosi secondarie sono particolari forme di osteoporosi che si realizzano nel contesto di patologie di varia natura, come malattie endocrine o ematologiche oppure gastrointestinali, o anche in seguito a specifiche condizioni come l’immobilizzazione prolungata oppure trapianti di organi (si veda Tab. 37.2). La prolungata immobilizzazione, per esempio, è in grado di condizionare una ridotta esposizione al carico gravitazionale determinato dal peso stesso dell’individuo e ciò provoca, anche attraverso una consensuale situazione di ipotrofia C0185.indd 819 819 muscolare, un inadeguato processo di neoformazione ossea: questa condizione spesso si associa per altro anche a un’alimentazione inadeguata e a un’insufficiente esposizione alla luce solare. Alcune forme di osteoporosi secondaria sono la conseguenza di malattie gastrointestinali caratterizzate da malassorbimento: tra queste la più conosciuta è senza dubbio l’osteopatia metabolica secondaria all’intolleranza al glutine (malattia celiaca), che determina spesso quadri misti di osteoporomalacia. Altra forma legata al malassorbimento è l’osteoporosi secondaria a gastrectomia oppure a interventi di chirurgia bariatrica per obesità. Il trapianto di organo rappresenta un’altra condizione a rischio per osteoporosi. Il processo di demineralizazione può essere la conseguenza sia della patologia di base che ha determinato il trapianto (insufficienza renale, insufficienza epatica, fibrosi cistica, insufficienza cardiaca), sia anche di farmaci utilizzati per impedire il rigetto, quali i glucocorticoidi oppure gli immunosoppressori, tra cui i cosidetti inibitori delle calcineurine (ciclosporina A e tacrolimus). Nella pratica clinica, tuttavia, la forma di osteoporosi secondaria di gran lunga più frequente è l’osteoporosi indotta da glucocorticoidi. Osteoporosi indotta da corticosteroidi I corticosteroidi rappresentano senza dubbio la causa più comune di osteoporosi secondaria iatrogena. Uno studio epidemiologico britannico, successivamente confermato, ha evidenziato che già dosaggi giornalieri di 2,5 mg sono responsabili di un rischio relativo di 1,7 per le fratture di femore e di 2,6 per le fratture vertebrali. Ciò comporta che non esiste quindi una dose soglia per gli effetti ossei degli steroidi (e che comunque tale soglia è inferiore a quella comunemente identificata in 7,5 mg/die di prednisone equivalente) e che la riduzione della BMD e l’incremento del rischio di fratture, preferenzialmente vertebrali, si verificano molto precocemente e persistono per tutta la durata della terapia. Gli effetti negativi dei glucocorticoidi sullo scheletro si possono sintetizzare in effetti diretti sulle cellule ossee (osteoblasti, osteoclasti e osteociti) tali da modificare il rimodellamento cellulare, e in effetti indiretti mediati dall’azione che gli steroidi stessi svolgono sul altri organi. La perdita di massa ossea è caratterizzata da due fasi: la prima, precoce, inizia già dopo pochi giorni ed è legata per lo più a un’attivazione dei meccanismi di riassorbimento osseo determinata dall’azione diretta dei glucocorticoidi sugli osteoclasti e sui loro precursori, attraverso un effetto diretto sui meccanismi che controllano la maturazione e l’attività osteoclastica; in particolare, i glucocorticoidi sono in grado di promuovere, attraverso un’azione favorente l’espressione di RANK-L e M-CSF e la contemporanea inibizione della sintesi di OPG, la differenziazione e l’attività delle cellule osteoclastiche. Sono inoltre in grado di deprimere la neoformazione riducendo il numero e la maturazione dei precursori osteoblastici, attraverso il coinvolgimento di alcuni fattori di trascrizione nucleare e del sistema recettoriale PPAR␥. Recentemente, la definizione del sistema Wnt-LRP-5 ha permesso di ipotizzare un coinvolgimento di questo sistema nella patogenesi dell’osteoporosi da cortisone: 5 6/9/10 11:48:13 AM 820 Parte 5 - MALATTIE DELLE OSSA sembra infatti che, attraverso l’induzione dell’espressione della proteina Dikkopf, i glucocorticoidi siano in grado di inattivare la -catenina, essenziale per la differenziazione degli osteoblasti. Infine, i glucocorticoidi appaiono in grado di accelerare la morte programmata (apoptosi) delle cellule osteoblastiche, oltre che degli osteociti, i quali, come è emerso negli ultimi anni, costituiscono una rete di meccanocettori essenziali per il mantenimento delle capacità meccaniche del tessuto osseo: è stato anche ipotizzato il coinvolgimento di alcuni fattori di crescita, tra cui IGF1 e un’isoforma della sua proteina legante (IGFBP-5). Altri organi bersaglio degli steroidi sono l’intestino e il rene, nei quali riducono l’assorbimento digestivo del calcio e aumentano l’escrezione sempre dello stesso ione, con conseguente negativizzazione del bilancio calcico e incremento dei livelli circolanti di PTH. Terapia A oggi sono disponibili numerosi farmaci per il trattamento dell’osteoporosi: è tuttavia necessario, laddove possibile, attuare una corretta opera di prevenzione attraverso una precisa identificazione e correzione dei fattori di rischio. La prevenzione primaria si attua nel periodo adolescenziale, favorendo il raggiungimento di un ottimale picco di massa ossea e successivamente, nel periodo della maturità, con il mantenimento di una sostanziale integrità scheletrica. Una regolare attività fisica e una corretta ed equilibrata alimentazione, in particolare contenente adeguate quantità di calcio e vitamina D, rappresentano gli strumenti essenziali per garantire la salute dello scheletro. Obiettivo primario nel trattamento farmacologico dell’osteoporosi è bloccare la perdita di tessuto osseo e, se possibile, stimolare la neoformazione osteoblastica: tutto questo, sotto il profilo clinico, si traduce nella riduzione dell’incidenza di fratture patologiche. Possono essere utilizzati sostanzialmente due gruppi di farmaci: farmaci inibitori del riassorbimento osseo e farmaci in grado di stimolare la neoformazione osteoblastica. Tra i primi si ricordano i bisfosfonati, gli estrogeni, i modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERM), la calcitonina; tra i secondi l’ormone paratiroideo, il fluoruro di sodio. Un’azione di stimolo sulla neoformazione è posseduta anche dal ranelato di stronzio, il quale è per altro caratterizzato anche da un’azione inibente il riassorbimento osseo. Per quanto riguarda l’efficacia del calcio e della vitamina D, numerosi studi hanno evidenziato come queste due sostanze, che svolgono un ruolo essenziale nella maturazione dello scheletro, nel mantenimento dello stato di mineralizzazione nel periodo della maturità e nella prevenzione dell’osteoporosi nella fase involutiva, non svolgono da sole alcun effetto clinico significativo in presenza di malattia conclamata (Tab. 37.6). Bisfosfonati I bisfosfonati sono sostanze chimicamente simili al pirofosfato inorganico, da cui differiscono per la presenza del ponte P-C-P al posto del Osteoporosi da ipertiroidismo Varie patologie comprendenti sia ipo- sia iperfunzione della ghiandola tiroidea sono in grado di determinare conseguenze anche molto importanti a livello osseo. L’ipotiroidisimo nell’infanzia e, all’opposto, la tireotossicosi nei bambini sono caratterizzati da un coinvolgimento del tessuto osseo (aumento del turnover osseo, osteoporosi e fratture). Nell’adulto una tireotossicosi determina una riduzione della densità minerale ossea, soprattutto nell’osso corticale, con un aumento di 2 o 3 volte del rischio di frattura del femore, specialmente nelle donne in postmenopausa. Sotto il profilo fisiopatologico si realizza un bilancio calcico negativo, in quanto a livello renale l’ipertiroidismo determina un aumento dell’escrezione di calcio e un aumento del riassorbimento di fosfato, mentre l’assorbimento intestinale sia di calcio sia di fosforo si riduce. Inoltre l’incremento degli ormoni tiroidei determina un aumento del turnover metabolico. È stato dimostrato come la triiodotironina agisca a livello delle cellule osteoblastiche inducendo la sintesi di varie citochine come IL-6, IL-8, IL-1 e PgE2, aumenti la differenziazione e l’apoptosi degli osteoblasti e induca la sintesi del RANK, con conseguente aumento dell’attività osteoclastica. Nel meccanismo patogenetico sembra svolgere un ruolo centrale il recettore TR-␣, che media un’azione diretta della T3 a livello osseo. Studi recenti hanno posto l’attenzione sul fatto che la perdita di massa ossea nel paziente con tireotossicosi può essere causata anche dalla soppressione del TSH. Il TSH infatti, attraverso il legame con il suo recettore e la via dei secondi messaggeri (cAMP, inositol-trifosfato, diacilglicerolo e JAK/ STAT3) inibisce la formazione degli osteoclasti indotta dal RANK-L determinando l’attenuazione di due diverse componenti della via del RANK/RANK-L, chiamate IκB␣ e Janus chinasi N-terminale. Il TSH, direttamente, determina un’inibizione della produzione del TNF-␣, riducendo così il numero dei precursori degli osteoclasti indotti dal TNF-␣ e attenuando l’induzione dell’IL-1 e del RANK-L TNF-␣ mediata. Il TSH inoltre determina una riduzione della sopravvivenza sia degli osteoblasti maturi sia dei precursori, inibendo anche l’espressione dei recettori LRP-5 (recettore a cui si lega la proteina Wnt che induce la differenziazione e la maturazione degli osteoblasti). C0185.indd 820 Tabella 37.6 Farmaci in uso nell’osteoporosi Farmaci inibitori del riassorbimento osseo Bisfosfonati Estrogeni Calcitonina SERM (raloxifene) Farmaci stimolanti la neoformazione PTH (teriparatide, peptide 1-84) Fluoruro di sodio Farmaci ad azione mista Ranelato di stronzio 6/9/10 11:48:13 AM Capitolo 37 - MALATTIE DELLE OSSA legame P-O-P, resistente all’idrolisi enzimatica della pirofosfatasi da cui una riduzione dei processi di riassorbimento. Accanto a quest’azione di inibizione fisicochimica, i bisfosfonati bloccano l’attività riassorbitiva degli osteoclasti maturi, interponendosi tra questi e la superficie ossea; inoltre attraverso diversi meccanismi riducono il reclutamento osteoclastico, la maturazione degli osteoclasti e facilitano la loro apoptosi. In particolare sono note due classi di bisfosfonati, gli aminobisfosfonati e i bisfosfonati non azotati: il primo gruppo comprende alendronato, risedronato, zoledronato, ibandronato, neridronato; del secondo si ricordano etidronato e clodronato. Gli aminobisfosfonati hanno la capacità di modificare la via metabolica del mevalonato con l’inibizione della prenilazione proteica, alterando così la formazione, la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti; inoltre sono in grado di inibire l’attività osteoclastica anche attraverso il blocco del sistema RANK-L. I bisfosfonati non azotati provocano l’apoptosi degli osteoclasti attraverso la produzione di analoghi tossici dell’ATP intracellulare. I risultati più rilevanti in termini metabolici e clinici sono stati ottenuti con gli aminobisfosfonati, che si sono dimostrati in grado di ridurre il riassorbimento osteoclastico, documentabile con la riduzione della fosfatasemia alcalina e dei valori di CTX e NTX, di aumentare la densità ossea e di ridurre l’incidenza di fratture delle vertebre e del femore. L’alendronato viene utilizzato alla dose per os di 70 mg settimanali e il risedronato alla dose per os di 35 mg settimanali oppure 150 mg mensili; l’ibandronato può essere utilizzato alla dose per os mensile di 150 mg oppure anche per via e.v. alla dose di 3 mg ogni 3 mesi; l’acido zoledronico (o zoledronato) viene utilizzato soltanto per via e.v. alla dose di 5 mg ogni 12 mesi. Per quanto riguarda le indicazioni, l’alendronato e il residronato possono venire utilizzati nell’osteoporosi postmenopausale e senile, nell’osteoporosi maschile e in quella cortisonica, l’ibandronato e lo zoledronato soltanto nella postmenopausale e senile. Il neridronato viene utilizzato nell’osteogenesi imperfetta alla dose e.v. di 2 mg/kg ogni 3 mesi. Con tutti i bisfosfonati è opportuno associare calcio (circa 1 g/die) e vitamina D (circa 800 UI/die). Gli effetti collaterali più frequenti sono i disturbi gastrointestinali, in particolare esofagite, per la somministrazione orale, e una sindrome simil-influenzale per la somministrazione e.v. Di recente è stata posta l’attenzione sull’eventuale comparsa di necrosi asettica del mascellare dopo somministrazione e.v.: a oggi questa complicanza sembra presentarsi prevalentemente se non esclusivamente quando i bisfosfonati e.v. vengono utilizzati in oncologia. Estrogeni-SERM Gli estrogeni agiscono bloccando l’attività riassorbitiva degli osteoclasti, ed è stato dimostrato che la loro somministrazione a lungo termine è in grado di arrestare la perdita di osso postmeno- C0185.indd 821 821 pausale, sia in donne sane sia in donne affette da osteoporosi. Recenti indagini epidemiologiche hanno tuttavia evidenziato che il rischio di cancro della mammella aumenta dell’1,35% dopo 5 anni o più di terapia estrogenica. Attualmente questa terapia viene utilizzata nella sindrome menopausale e l’osteoporosi da sola non rappresenta più un’indicazione. I modulatori selettivi dei recettori estrogenici (SERM) sono sostanze che si distinguono dagli estrogeni per la loro capacità di interagire con il recettore estrogenico sia come agonisti sia come antagonisti a seconda dell’organo bersaglio: esplicano un effetto agonista a livello scheletrico, sul quadro lipidico e sui meccanismi emostatici, mentre agiscono in modo antagonista sul sistema riproduttivo, sul cervello e sul sistema vasomotorio. Ne fa parte il raloxifene (60 mg/die) il cui meccanismo di azione a livello osseo è riconducibile a un effetto inibente sul riassorbimento osteoclastico. Paratormone Il frammento 1-34 del paratormone rappresenta la parte biologicamente attiva dell’ormone: è contenuto nel teriparatide, che, grazie alla particolare modalità pulsatile di somministrazione, è in grado di stimolare a livello scheletrico l’attività osteoblastica, favorendo cosi la neoformazione di tessuto osseo. Dati densitometrici documentano un importante incremento della densità scheletrica, con significativo incremento della massa ossea. La somministrazione avviene per via sottocutanea alla dose di 20 g/die per via sottocutanea per un periodo da 18 mesi a 24 mesi; l’efficacia antifratturativa è specificamente documentata a livello vertebrale. Un’azione simile è svolta anche dalla molecola intatta del paratormone (PTH 1-84), il quale viene utilizzato sempre per via sottocutanea alla dose di 100 g/die. Gli efetti collerali sono di lieve entità e l’ipercalcemia è rara. L’indicazione per il teriparatide e il paratormone 1-84 è l’osteoporosi severa (postmenopausale senile e steroidea), caratterizzata da un T-score al di sotto di −2,5 insieme a una o più fratture da fragilità. Ranelato di stronzio Il ranelato di stronzio possiede da un lato la capacità di stimolare l’attivita neoappositiva degli osteoblasti e dall’altra di ridurre il riassorbimento osteoclastico, come indica a tal proposito il comportamento dei marker bioumorali di rimodellamento osseo. Il farmaco viene utilizzato alla dose di 2 g die per os nell’osteoporosi sia postmenopausale sia senile e steroidea, e si è dimostrato efficace nel ridurre l’incidenza di fratture delle vertebre e del femore anche in una popolazione a particolare rischio come quella dei pazienti anziani ultraottantenni. 5 Calcitonina La calcitonina è un ormone polipeptidico secreto dalle cellule parafollicolari C della tiroide, caratterizzato da una spiccata attività inibitoria sui processi di riassorbimento osteoclastico. Questo farmaco, che nel recente passato ha avuto largo 6/9/10 11:48:13 AM 822 Parte 5 - MALATTIE DELLE OSSA impiego, è attualmente poco utilizzato sia nella versione i.m. (100 UI/die) sia spray nasale (200 UI/die). Dei metaboliti attivi della vitamina D si ricordano il calcitriolo e l’alfacalcidolo, che hanno come principale organo bersaglio l’intestino, dove migliorano l’assorbimento intestinale del calcio. Per quanto riguarda il fluoruro di sodio, per un effetto mitogenico diretto sui precursori degli osteoblasti, promuove una stimolazione della neoformazione osteoblastica del collagene. Osteomalacie Definizione L’osteomalacia è un’osteopatia metabolica che insorge nell’adulto ed è caratterizzata dalla presenza di una massa ossea di volume normale, ma con ridotto contenuto minerale per un difetto di mineralizzazione della matrice organica. Quando la malattia compare nell’infanzia e nel periodo evolutivo, si parla di rachitismo. Questa osteopatia, che può essere presente in varie condizioni patologiche, è in larga misura legata a una ridotta disponibilità o a un alterato metabolismo della vitamina D. La vitamina D esiste in natura in due forme, l’ergocalciferolo o vitamina D2, presente in molti vegetali, e il colecalciferolo o vitamina D3, che viene sintetizzato nella pelle per azione dei raggi solari. Lo steroide vitaminico, per essere efficace, deve sottostare a due tappe metaboliche: la prima nel fegato, dove è idrossilato in posizione 25 con formazione di 25 idrossicolecalciferolo [25(OH)D3]; la seconda tappa avviene a livello renale con idrossilazione dello steroide in posizione l e formazione di 1,25 diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3] che rappresenta il metabolita attivo. Fisiopatologia Le cause in grado di provocare la comparsa di una osteomalacia possono essere numerose: in sintesi la malattia si realizza per un’indisponibilità della vitamina D o dei suoi metaboliti, oppure per un’alterazione del riassorbimento tubulo-renale del fosfato (Tab. 37.7). Osteomalacia da indisponibilità di vitamina D Queste osteomalacie, dette anche nutrizionali, sono dovute a un carente apporto alimentare (deficienza estrinseca) oppure a un deficit di sintesi della vitamina D, sostenuto da una ridotta esposizione alla luce solare oppure da un difettoso assorbimento intestinale della vitamina D stessa (deficienza intrinseca). La ridotta esposizione alla luce solare può essere legata ad abbigliamento non idoneo correlato a motivi razziali, religiosi o personali (per esempio, monache di clausura), oppure all’abitudine delle persone anziane di trascorrere gran parte del tempo in stanze scarsamente soleggiate. Inoltre gli anziani sono soggetti a un declino età-correlato dell’efficienza dell’assorbimento digestivo della vitamina D e dell’abilità del rene di produrre 1,25(OH)2D3. Il carente apporto alimentare può derivare anche da motivi personali o religiosi, da restrizioni legate a cause contingenti (carestie e guerre) oppure si può trattare di un apporto inferiore alle aumentate necessità, come si verifica nella gravidanza e nell’allattamento. L’assorbimento intestinale della vitamina D può essere ostacolato dall’elevato contenuto di fitati e fibre nella dieta, come si verifica nei C0185.indd 822 soggetti che usano cereali e pane integrale come fonte calorica principale, oppure può essere deficitario come nei malassorbimenti intestinali: ittero ostruttivo, terapie con colestiramina e malattia celiaca. Osteomalacia da indisponibilità di 25(OH)D3 La forma tipica di osteomalacia da indisponibiltà di 25(OH)D è rappresentata da quella secondaria a trattamenti cronici con farmaci anticonvulsivanti: il fenobarbital e l’idantoina. Queste sostanze diminuiscono gli effetti della vitamina D sull’assorbimento intestinale del calcio e sul riassorbimento osseo. Spesso le terapie prolungate si accompagnano a ridotti valori di 25(OH)D ed è stato ipotizzato che l’idantoina e, soprattutto, il fenobarbital accelerino il catabolismo della vitamina D con la formazione di prodotti inattivi. Nell’ambito delle epatopatie croniche, solo la cirrosi biliare primitiva e l’atresia delle vie biliari nei bambini possono sviluppare osteomalacia, oltre che per il difetto di idrossilazione della vitamina D anche per il ridotto apporto alimentare della vitamina secondario all’anoressia e per il ridotto assorbimento legato all’utilizzo di farmaci bilesequestranti come la colestiramina. Osteomalacia da indisponibilità di 1,25(OH)D3 Si realizza in corso di insufficienza renale cronica, quando la massa renale si riduce a meno del 20%: il 25 idrossicolecalciferolo non viene più convertito in 1,25(OH)D3, da cui il difetto nell’assorbimento intestinale del calcio con ipocalcemia che, associata all’iperfosforemia secondaria alla ridotta escrezione, condiziona l’instaurarsi di un iperparatiroidismo secondario. In questo gruppo di osteomalacie rientra anche il rachitismo vitamina D-dipendente di tipo I, dovuto a un difetto genetico autosomico recessivo che determina una riduzione nell’attività dell’1-␣-idrossilasi renale. Ne consegue il riscontro di elevati livelli circolanti di 25(OH)D, mentre le concentrazioni di 1,25(OH)D saranno particolarmente ridotte. La malattia si manifesta prima dei 2 anni di età, spesso nei primi 6 mesi di vita. Il rachitismo vitamina D-dipendente di tipo II, detto anche resistenza ereditaria all’1,25(OH)D, è caratterizzato dall’insensibilità dei recettori cellulari all’azione del metabolita attivo della vitamina D. Il rachitismo e/o l’osteomalacia insorgono entro i primi 2 anni di vita, ma sono stati descritti anche casi a esordio più tardivo. Alle alterazioni ossee si possono associare alopecia, milio, cisti epidermiche e oligodonzia. I pazienti con l’osteopatia presentano dei livelli altissimi di 1,25(OH)D con ipocalcemia, ipofosforemia e iperparatiroidismo secondario. 6/9/10 11:48:13 AM
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