Del 02 Marzo 2014 Estratto da pag. 23 Appia, Ben e ora Mole: quei tentativi di creare la Cola tricolore L’ultima declinazione dell’italian pride, pardon, dell’orgoglio italiano, è piemontese. Al diavolo 128 anni di storia: chi l’ha detto che la Coca Cola possono produrla soltanto gli americani? Peraltro, sul tema non era intervenuto pure il colonnello libico Muhammar Gheddafi, che ai tempi d’oro aveva rivendicato la paternità africana della bibita chiedendo addirittura il risarcimento dei diritti? A Torino sono andati oltre. A Francesco Bianco e Graziano Scaglia, già titolari della catena di fast food a chilometro zero M** Bun, interessava avere una bevanda del tutto simile al soft drink di Atlanta, ma realizzata in Italia. È nata così la collaborazione con l’aromatiere di Firenze Enrico Giotti, che dopo svariate prove ha avviato la produzione della bibita a Fidenza. Il nome? «Molecola». Un gioco di parole tra la Mole Antonelliana e l’aroma che caratterizza l’icona statunitense. Il risultato è stato testato nei primi tre mesi nelle paninoteche «di casa», a un prezzo variabile tra i due e i tre euro. Poi è partita la distribuzione in altre regioni. E proprio in questi giorni è stato siglato l’accordo con la Coop, per vendere le lattine rosse o nere (queste ultime senza zucchero: non le abbiamo già viste?) nei grandi supermercati di Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta, dove, curiosamente, esiste già un marchio clone dell’originale: Cola Coop. «Non abbiamo nulla contro la Coca Cola, ci sembra solo giusto impiegare risorse italiane in un momento di grande crisi. In questo progetto sono impegnate sette, otto persone. Mentre nei nostri tre locali torinesi lavorano 83 persone», spiega Francesco Bianco, 43 anni. Lui e il socio Graziano Scaglia hanno poi deciso di dare un’impronta solidale al prodotto: così il 30 per cento degli utili andrà a S.O.S. Villaggi dei bambini Italia, ma ogni anno si troverà un nuovo destinatario. Bianco e Scaglia non sono i primi a cimentarsi nella riproduzione del liquido frizzante concepito da John Pemberton nel 1886 per curare l’emicrania, la dipendenza da morfina, la nevrastenia e l’impotenza. Nel mondo furoreggiano svariati plagi, non tutti fortunati come quello della Mecca Cola, fotocopia islamica distribuita in 60 Paesi, ma di sicuro spassosi almeno nei nomi: Chtilà Cola (Francia), Zam Zam Cola (Iran), Ubuntu Cola (Regno Unito, dove si produce con zucchero del commercio equo e solidale di Malawi e Zambia). In Italia si ricordano la romana Appia Cola, venduta allo stadio sulle gradinate quando eravamo bambini, la Cola del Birrificio Baladin, la Ben Cola San Benedetto del gruppo Pregis. Se ne avrà a male la multinazionale americana? «Non deve», spiega il pubblicitario Lorenzo Marini. «Tutto ciò che fa parlare della Coca Cola ne afferma l’autenticità. Anche la migliore imitazione può avvicinarsi al fisico, ma non al carattere». Elvira Serra
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