laboratorio di parole - Circolo La Fattoria

PAROLE
BIMESTRALE DI POESIA PROSA E DIALETTO
MARZO - APRILE 2014
ANNO XVIII N°2
Maurizio Caruso"Maddalena"acrilico su cartone, cm 50x35, Bologna, 2013
LABORATORIO DI PAROLE
Circolo La Fattoria
BOLOGNA
O “Floriano Fabbi” di Oscar De Pauli
O “Il Poeta del mese” Alberto Masala, a cura di Rosalba Casetti.
o Incipit: “il mio destino è” da una poesia di Alberto Masala, a cura di
Rosalba Casetti
o Un contributo di Paola Tosi
O Un tema, una discussione a cura di Oscar De Pauli
o Visti da Francesco Montori
o Scheda di lettura, a cura di Anna Maselli
o La poetica narrativa di Marina Sangiorgi
o Le pâgine dal dialàtt, a cura di Viviana Santandrea
o Incontri, a cura di Angela Falcucci
o L’opinione di Cinzia Demi
o Il racconto di Nunzio Sipione, a cura di Valeria Bragaglia
o Giochi, indovinelli ed altro ancora di Sandro Sermenghi
Anno 2014: ventiduesimo anniversario del Laboratorio di Parole
Appuntamenti:

Giovedì 8 maggio incontro - lezione con il Prof. Jonathan Sisco.


Mercoledì 4 giugno alle ore 16:00 presso la “Sala Camino” del Circolo La
Fattoria, in via Pirandello 6 a Bologna, festa congiunta per il compleanno di
Maria Iattoni (La Regina) e Anna Maria Boriani (la Tesoriera) del
Laboratorio di Parole. Rinfresco condiviso.
Dal 5 al 8 giugno a Tortoreto degli Abruzzi X^ edizione del
“Premio Tortoreto alla Cultura”
Abbonamento annuale 5 numeri € 13,00. Una copia € 3,00.
Tessera ARCI 2014 € 11,50
Iscrizione 2014 al Movimento Difesa del Cittadino € 1,00
Registrazione Tribunale di Bologna N° 8044 del 18/02/2010 Direttore responsabile Primo Mingozzi
Redazione: Anna Maria Boriani, Cinzia Demi, Oscar De Pauli, Nadia Minarelli, Francesco Montori,
Gabriella Penzo, Viviana Santandrea, Giovanni Vannini.
Stampa: Copisteria Asterisco snc. Pubblicazione a diffusione interna del “Laboratorio di Parole”
Proprietà
Via Pirandello, 6 - 40127 BOLOGNA - Tel: 051 505117, Fax: 051 6333781, Bar - ristorante. 051 511807
E mail [email protected] Sito internet: www.circolofattoria.it
P. IVA 02552140374 C. FISCALE 80066910375
“Floriano Fabbi” di Oscar De Pauli
Floriano Fabbi dal 13 marzo 2014 non c’è più. E’ morto nella sua casa dopo una lunga malattia. Da circa un anno non frequentava il nostro Laboratorio e la
sua assenza si è sentita: le battute pungenti e divertenti, le puntualizzazioni storiche
sui luoghi significativi del passato (anche i più nascosti e marginali), dell’amata
Bologna, la giocosità e la sua generosità sono un ricordo velato e impreziosito dalla
nostalgia e dall’orgoglio di essere stati suoi amici e complici nella passione per la
poesia, professata dal 1992 assieme a lui nel Laboratorio di Parole.
Voglio ricordare che Floriano Fabbi era anche un appassionato e valente
scrittore di romanzi gialli e di testi teatrali, anche in dialetto, che si divertiva (e divertiva) a mettere in scena con noi poeti del Laboratorio.
Lo ricordiamo grati della sua giocosa umanità e disponibilità. Qui sotto due
poesie di Maria Iattoni e di Paola Tosi a lui dedicate.
Oscar De Pauli
Nel Segno dì Floriano
Nel rigore di metrica e di rima
caro Floriano tu sempre presente.
In Fattoria la tua stesura fina
verso il dovuto effetto sorprendente.
Nel mio librino molta tua farina
col massimo di forza che consente
un passo dietro l'altro e qui in cucina
la verde copertina del mittente.
Tutta Bologna nella tua dottrina
cui nessuno restava indifferente
mentr'io di radice contadina
chissà se dal teatro dell’Eden la tua parola
con note d’improvvisazione ancora
[regalerà poesia
sul tuo aiuto posai sofferente.
E la "Natività" scienza divina
consegna l'anima all'onnipotente?!
a darci il coraggio di sfidare tempeste
giocare con le nostre miserie
ascoltare l’eco lontana che improvvisa
[ritorna
ciao floriano
Floriano a te un inchino!
Il segno della Croce e l'Ave Gloria
dentro il tuo segno nella nostra storia.
Maria Iattoni (13 Marzo 2014)
Paola Tosi
1
Il poeta del mese: Alberto Masala a cura di Rosalba Casetti
Alberto Masala è nato nel 1950 in
Sardegna e vive a Bologna. È poeta
plurilingue, che fa dell’oralità una
componente fondamentale del suo
linguaggio poetico. Attivo a livello
internazionale con performance anche in collaborazione con musicisti,
è stato tradotto in diverse lingue.
Masala dice della poesia: “La scrittura [...] quella italiana in prima misura, così ombelicale e ombelicata, così ben arrotolata al proprio piccolo ego, mi
provocano il silenzio e la lontananza [...] per me la poesia è altro: è la voce di chi
ha visto le voci. Il poeta ne raccoglie quelle impedite[. ..] le protegge, in un
cammino di sintesi essenziale, vicino allo spirito, le testimonia [...] Dice
l’inespresso e l’inesprimibile […]”
I testi che seguono sono tratti dal libro Taliban I trentadue precetti per le donne,
ETL edizioni 2007
OBBLIGO DI INDOSSARE IL BURKA
FUSTIGAZIONE PERCOSSE E
INSULTI A QUELLE NON
ACCOMPAGNATE DAL
MEHRAM
pensare sogna deformità
poi le nasconde contro il cuore
tu mi sei ombra
mi circondi con buio
mio figlio è il custode del giardino
con te posso scendere in un cammino nero
entrare
dove continuamente cerco
dove instancabilmente cerco
vedere i sogni neri del silenzio
sono fiera di lui
è il fedele guardiano
delle pietre
del ramo
che rompe la mia schiena
DIVIETO PER UOMINI E DONNE DI
nelle viscere ho allevato la condanna
VIAGGIARE SULLO STESSO AUTOBUS
sputare il sangue della verità
la mia gamba non è separabile
dall’altra
e se una cade
l’altra non rimane
si spegneranno insieme
si può solo tagliare
INCIPIT: il mio destino è
e quando tutto è separato
aspettare la caduta
2
Il poeta del mese: Alberto Masala a cura di Rosalba Casetti
DIVIETO
DI RICEVERE CURE DA MEDICI MASCHI
LAPIDAZIONE PUBBLICA
PER QUELLE CHE HANNO
RAPPORTI SESSUALI FUORI
DAL MATRIMONIO
accanto ho sempre un dio
la verità è la sua grandezza
spesso dorme al mio fianco e mi protegge
i miei occhi stanotte si sono amati
incestuosi
tra immagini di polvere
con l’orgoglio
di una coppia di fatto
prosciuga il desiderio
piantando dei coltelli nei miei sogni
perché non vedano la luce
bevete
alla loro salute
non ho più sonno
non ho più sonno
non ho più sonno
ho il ventre pieno di coltelli
DIVIETO DI ISTRUZIONE IN SCUOLE
UNIVERSITÀ O ALTRE ISTITUZIONI
non sappiamo contare
ma ogni giorno e ogni notte annodiamo
DIVIETO DI ANDARE IN BICICLETTA E MOTO ANCHE
IN PRESENZA DEL
MEHRAM
il mio destino è nella fissità
se vado è per tornare all’ossessione
resto
della rinuncia si mangia anche la
[scorza
tre volte
tre volte
tre volte
ma non passa il respiro
se i miei denti si toccano
e si stringono
e si consumano
tre volte la paura
della vita sepolta
dell’odore di tomba
FUSTIGAZIONE PERCOSSE E INSULTI A QUELLE I CUI ABITI NON
CORRISPONDONO ALLE
PRESCRIZIONI DEI TALIBAN
mia figlia
sarà madre
ed io le insegnerò
come uccidere i figli
3
Incipit
Il mio destino è
il mio fare
il fare degli altri,
quelli prossimi
e quelli remoti.
Le leggi della materia.
Il mio destino è duro ferro
duro acciaio di gabbia e catene
loro credono nelle prigioni paura
ma non sanno la forza del coraggio
che abbatte porte e muraglie.
Io ci credo, ci credo, ci credo.
Oscar De Pauli
Gabriella Penzo
Il mio destino è stato un concerto
di giovani e compiute emozioni,
anche aforismi essenziali imposti.
Il mio destino è ciò che non conosco
ma non sorprende quanto i giorni
consumati, che non riescono a tacere.
Elio Manini
Piero Saguatti
Il mio destino è linea
sottile tracciata a mano
Passando
cancello e ricalco
Il mio destino è camminare
nutrire, nelle ombre trovate nel cammino,
la luce della mia lanterna
e portarla a vista, accesa.
Valeria Bragaglia
Malena Verdoya
Per fretta e distrazione
o per paura
il mio destino è
da scontro con la vettura.
Il mio destino è […]
camminare a piccoli passi
dentro il ventre dell’universo.
Aurelia Tieghi
Maria Iattoni
Vittima,
fattrice colpevole
io,
del mio destino di sassi e d’aria
di eremo
e di demone.
Il mio destino è
la notte dell’Orsa, quando sfiora
l’orizzonte del Nord.
Ma riprende il cammino.
Angela Falcucci
Anna Zucchini
Al mî destén l é
una vétta insàmm a té:
con la piôva e col bèl tänp,
sänpr insàmm, sänper par man.
Il mio destino è
strisciare accanto al bruco
lui per la seta, io per la vita.
Anna Bastelli
Silvano Notari
4
Incipit
Il mio destino è
vagare senza sosta
cercare una risposta, fra
gente senza meta che corre
dietro al niente.
Il mio destino
è
camuffarmi
nascondermi
tra le foglie
come un camaleonte
cambiare colore
per
sopravvivere
Maria Sara Villani Maggi
Il mio destino è
L’attesa. Aspetterò
Ancora e ancora, fino alla mia ultima
[pazienza.
Graziella Pisani
Rosalba Casetti
Una giornata il mio destino
Il mio destino è nelle mie mani
quando mi alzo, ad occhi persi e vado in bagno,
pesto “l’osso” del cane e mi stravolgo un piede.
Il mio destino è nelle mie mani
quando saluto la signora delle scale e non traduco al volo
il grugnito di risposta, cosicché il giorno risulterà infausto.
Il mio destino è nelle mie mani
quando alle nove non prendo mezza di Lexotan, alle dieci
non prendo l’Ignatia, alle undici non prendo i fiori di Bach.
Il mio destino è nelle mie mani
quando alle quattordici vado al bar ad ascoltare l’aroma
di caffè altrui, mentre disinvolto sorseggio il mio orzino.
Il mio destino è nelle mie mani
quando attraverso la strada sulle strisce pensando ai fatti miei,
sicuro del diritto, di ritrovarmi ancora sul marciapiede opposto.
Il mio destino è nelle mie mani
quanto dopo cena, spalmato sul divano mi addormento,
mi svegliano e ascolto: Sei andato a votare?
“Doman sens’altro”. Ma domani è martedì […]
Il mio destino è nelle mie mani
quando a fatica, ad occhi in forse vado a letto,
pesto il can che morde l’osso e quindi cado; mi desto e son deciso:
- Il mio destin nelle tue mani o Dio.(Così potrò dar colpe a qualcun altro e, a dormir mi infilo.)
Ma, il coglion pensiero torna e toglie il sonno, anche se
son molto stanco.
Giampietro Calotti
5
Un contributo di Paola Tosi commento
Da “Carte sensibili” leggo e trasmetto
Ecco i miei landays
I landays sono una forma di poesia breve, popolare e antica ed orale che le
donne pasthun utilizzano in segreto per
denunciare le violenze e i soprusi a cui
sono sottoposte.
Landays – o landai – è un distico in cui
il primo verso è di nove sillabe, il secondo di tredici. Ma non vi è rigidità
nel comporre. La poesia semplice,
comprensibile a tutti e che tutti possono
scrivere, è certo uno dei mezzi più potenti e liberi per dare messaggi immediati, forti, che si fissino nelle menti
in modo indelebile. Con la poesia si sono fatte conoscere nel mondo le lotte
dei popoli oppressi, si sono tramandate
per secoli le storie delle genti dimenticate.
La violenza sulle donne è un fatto di
inciviltà insopportabile. E’ il frutto della volontà cieca dell’uomo che vuole
sopprimere la voce delle donne e la loro
partecipazione alla vita attiva e alle decisioni comuni. Il patriarcato sta mostrando il peggio di sé sia a livello privato che pubblico.
Ora se questo mezzo così semplice può
essere la trama che unisce le voci delle
donne sulla terra e dà loro potenza formando un’unica tela, partiamo da là,
dalle donne afgane – così terribilmente
provate – e facciamo girare questo messaggio senza stancarci, coinvolgendo
amici, associazioni, istituzioni, giornali,
blog, rete. E gli uomini, perché sono
loro prima di tutto che debbono cambiare. Partiamo da quelli che io chiamo
“i giusti” perché dicano, si espongano
pubblicamente, si muovano attivamente, si colleghino tra di loro, con noi, le
donne.
Il viso terreo ansimava.
Braccata. Le pareti spesse. Prigioniera.
Un fazzoletto sulla bocca
freno i singhiozzi. Il corpo trema nel
buio.
Se avessi gridato, la paura
sarebbe fuggita col grido, ma ero muta.
Paola Tosi
6
Un tema, una discussione a cura di Oscar De Pauli
Crescenzo Guadagno continua la discussione iniziata nel n.5/’13 di questa
rivista, sul tema:
ranza o contrarietà, tutt'altro!) giacché il
tema in discussione tratta altri argomenti. Ritengo opportuno evidenziare ciò
che segue.
La Parola è l’unità lessicale composta
di lettere alfabetiche. Più parole formano una frase con un senso compiuto,
che può essere: ironico, satirico, aulico,
volgare ecc. Dipende da come si usa e
dalla propria conoscenza.
Il dibattito, secondo me, deve convergere sulla capacità culturale e intellettiva
di ogni mente pensante del nostro Paese. La povertà di cognizione fa debole
l'individuo e rende perdente finanche la
collettività. Coloro che salgono sui palchi nelle piazze, come se salissero sul
banco del pescivendolo di remota memoria, oppure sui predellini delle automobili per circuire le folle con parole a
effetto, e a volte volgari, anche se sfumate o abbreviate (Vedi i vaffa) hanno
bisogno di masse poco pensanti per
riempire i vuoti cerebrali con parole intorbidanti. Questi tribuni trascinatori
difendono i loro conflitti d’interessi
spudoratamente, con indegni attacchi
alla giustizia.
Sì, hai ragione Valeria, siamo in una
situazione economica, sociale e morale
piuttosto critica, è giusta la rabbia che
monta, ma tutto ciò è iniziato molti decenni fa, allora mi si permetta di chiedere: in questo caotico viaggio nella
democrazia è da cambiare il conducente, il controllore, il treno o i viaggiatori
che scelgono, senza discernimento o
con estemporaneità, come viaggiare e
con quale mezzo?
Condivido le preoccupazioni di Oscar,
poiché tutto ciò riporta alla memoria i
tempi nefasti nella nostra Italia.
Il senso delle parole
Come di consueto leggo il nostro periodico “PAROLE”, ogni qualvolta mi è
consegnato, partendo dalla prima pagina e arrivando all'ultima, poi ritorno alla poesia, o all’articolo, sul quale ritengo di fare una lettura più attenta.
Sugli ultimi bimensili, da prima sul n° 5
del 2013, la mia attenzione si è posata
sul tema: “Un Paese che perde il senso
delle parole”, a pag. 7 di Oscar De Paoli, (segretario instancabile del “Laboratorio di Parole” del “Circolo della Fattoria”), poi ancora a pag. 8 la rubrica
“Visti da Francesco Montori” e infine a
pag. 37 un articolo di Valeria Bragaglia, che tratta lo stesso argomento
scritto da Oscar.
I temi menzionati sopra sono poi proseguiti nel nostro periodico n° 1 del 2014
a pag. 7, scritti da Oscar e Gabriella
Penzo e, a pag. 8, da Francesco (ometto
il cognome per sentirci più vicini, giacché ci conosciamo). Colgo l'occasione
per entrare nel dibattito ed esprimere il
mio punto di vista.
Quando Oscar nel nostro incontro settimanale di giovedì 19 dicembre 2013
lesse dal quotidiano “La Repubblica”
l'articolo a firma di Eugenio Scalfari,
(fondatore ed ex direttore dello stesso
giornale), che iniziava citando il vangelo secondo Giovanni: “All'inizio c'è la
Parola e la Parola è presso Dio” ecc. io
intervenni dicendo: “Prima della parola
c'è la ragione perché dal pensiero ragionato si forma la parola, che esterna i
sentimenti e le elaborazioni dell’ intelletto.”
Lasciando la religione ad altre occasioni e luoghi appropriati (non per intolle-
continua a pag. 39>>
7
Un tema , una discussione – IL SENSO DELLE PAROLE
IL SENSO DELLE PAROLE – il seguitodi un tale-
propri figli se vecchio e il TUTTO
nell'interesse della Patria. Ecco allora che
il Vecchio con un semplice «Che cosa hai
detto!» diventa il difensore di chi ha come
patrimonio personale “solo dei figli”.
Terminata “tutta questa bella
premessa”, come ci si collega alla
discussione: IL SENSO DELLE PAROLE.
Citando i colleghi della Fattoria che già
hanno scritto di questo: Crescenzo, De
Pauli e Montori. Crescenzo scrive di “ogni
mente pensante del nostro paese”; De
Pauli riporta lo scritto di un altro, Montori
ci chiede di “inventare” parole nuove.
Punti di vista TUTTI plausibili, ma non
hanno trattato di SENSO.
Ora sarà troppo facile, per chi
leggerà
queste
note,
criticare
dell'incompletezza e dell'imprecisione e
dell'incapacità e della superficialità che
risultano da questo scritto. Si chiede solo,
come primo passo, di leggere dal
vocabolario Zingarelli (Zanichelli 1970) le
13 definizioni riportate dopo la parola
SENSO e metterle in relazione con gli
scritti dei colleghi. Il secondo passo sarà
scriverle e inviarle alla redazione. Così si
attiverà un Modo (cfr. definizione 9 del
vocabolario) di animare ulteriormente le
attività del Gruppo “Laboratorio di
Parole”.
Con
le
informazioni
che
arriveranno in redazione continueremo
quello che già appare un interessante
proseguimento
sul
cammino
del
linguaggio che già è stato intrapreso. Un
linguaggio da frequentatori del villaggio, e
frequentatori degli alti livelli, ma che sia
comprensibile
dai
bambini
e
contemporaneamente dagli addetti ai
lavori, un linguaggio senza artifizi e
miserie.
Successe che, nella foga del
SENSO, disse una parola, ma era un'altra
quella GIUSTA.
Ebbene, siccome era stato
“mandato” da suo padre, stratego di quella
grande città, gli aristocratici, i democratici,
i saggi, gli innocenti, i creduli e gli
increduli tacquero (perché non si potrà
mai sapere se il proprio cadavere sarà
all'angolo di una strada il giorno dopo; la
tua morte c'è quando tu non ci sei).
Solo, da solo, dal fondo
dell'assemblea un Vecchio, uno di quelli
che possono perché vicini alla morte, alzò
il braccio.
«Che cosa hai detto! Tale, figlio
di Tal Altro. Perché chi non ha nulla deve
dare più di chi ha».
[…] I tre puntini di sospensione
sono per dare il SENSO del tempo
impiegato prima della ripresa della
discussione.
Il giovane dovette URLARE per
superare in tono il rumore del brusio degli
astanti.
Non era mai successo che un
giovane urlasse ad un Vecchio che le
necessità della patria superano il SENSO
delle parole quando si tratta di difendere
l'INTERESSE.
Eppure successe e quell'adulterare,
o falsificare, o ingannare qualcuno
facendogli credere un'altra cosa, divenne
l'astutamente falso modo del “Potere” di
supportare l’INTERESSE.
Ora, non si starà qui a disquisire
sull'episodio e sulle sue fonti, se il fatto è
avvenuto o solo inventato, se vero o solo
verosimile; il fatto sta che fu formato un
gruppo armato e chi aveva denaro fornì le
armi, alcune di scarsa qualità, e chi non lo
aveva contribuì con ciò che aveva: il
proprio corpo se in età da battaglia, e con i
A presto, ciao da parte di un tale,
tanto il cognome non vale.
8
Poesie del Laboratorio
Che cosa sei
Si fa presto
a dire donna
se non basta
aver la gonna
senza
predisposizione
non si è donna
per Simone
E la vita
non fa sconti
se i capelli
sono lunghi
anche i sogni
sono stanchi
perché sono
sempre quelli
Per sfuggire
il destino
il passato
nel cestino
poi si prende
la valigia
può sembrare
anche una fuga
per qualcosa
da cercare
che è difficile
trovare.
Tommaso Colonnello
Antichi soldati romani sterminarono sabini
Ma cosa spinge giovani cervi a battersi a colpi di corna?
E giovani lupi a sfidare il capobranco?
Subalterne scimmie divengono aggressive
e si accoppiano di nascosto, in silenzio
Una regina appena nasce corre a distruggere
tutte le altre celle
In un pollaio ci puoi tenere solo un gallo.
Forse non sembra, ma anche tutto questo è amore
Per la vita.
Alessandro Bacchi
Formazione sociale
Ti riconosci nella nespola umiliata dal tempo
e dal buio della paglia dove matura o rovina.
Metafora che annulla ogni pensiero, illude nel
bozzolo ogni speranza che si spegne nell'attesa.
Quelle ali che riescono a volare, sono nutrite di
quell'amore capace di generare mostri di rivalsa.
Sono distinte, conformi quanto basta e vivono nel
ricordo oscuro di quella umiltà pesata sulla loro
schiena, in attesa delle nuove larve da formare.
È scomodo cambiare
Giampietro Calotti
9
Poesie del Laboratorio
Presagio
Se potessi
Nella selva di ramificati intrighi
un cavaliere col vello d’agnello
avanza con lacchè e vassalli proni
pronti ad esaudire ogni suo volere
Ha bardato la sua cavalcatura
con icone narcisistiche sbiadite
e impettito da velleitario eroe
si crede d’essere l’imperatore
Si attornia di consiglieri discussi
già giudicati in nome del popolo
accumula beni senza misura
nell’etere si muove disinvolto.
Per la brama giurò sul grosso masso
sul quale poggiava la segreta loggia
gestita da occulti maestri in nero
fanatici dell’autocrate potere:
guastatori dell’ordine sovrano.
Va verso l’Alto Colle lancia in resta
sull’asta sbatte nel vento il vessillo
della megalomania infantile
che è presagio di già nefasti eventi.
Appari come una notte serena
nel seducente stellato splendore
eppur c’eri già, come il cielo terso
ed io, distratto e cieco nell’animo,
non mi avvedevo di tanta bellezza
poi, destatomi, alzando gli occhi
son rimasto pienamente estasiato.
Come attratto da una luce vivida
dal tuo fascino mi sento ammaliato.
Sei schietta come l’acqua di sorgente.
Crescenzo Guadagno
Quando il mio pensarti arde di passione
con spasimo in petto muto ti chiamo
il tuo viso mi appare per un istante
ma ahimè, non lenisce il mio patire,
se potessi baciare le tue labbra!
Mi consumo nella vana speranza,
dissimulo i miei confusi ardori
perché tu, mio respiro, non veda.
Non è certo un mendace desiderio
è amore sincero che non si placa.
Potessi, per te sguarnirei il cielo
ti vestirei con un velo di stelle
di luna ornerei la chioma bruna
negli occhi vividi mi specchierei,
a te darei tutto l'intenso amore!
Vorrei amarti, amarti e ancora amarti
purtroppo tutto ciò mi è impossibile:
anni e vincoli che ci dividono
m'impediscono di rivelarmi a te
mi fa male averti solo per amica!
Non esterno ciò che vorrei dirti:
ho timore di perderti per sempre,
ti avrò costante nei miei pensieri
giacché nessuno potrà distruggerli.
Ma tu non sai, mia ignara dolce “amica”
di avere scosso in me, come folgore,
l’ardore intenso che accende l’amore
che non è solo della giovinezza:
esso non ha età, è moto dell’anima
è senza tempo, come l’Universo.
Crescenzo Guadagno
10
Scheda di lettura a cura di Anna Maselli
La notte, il sogno
Non ci sono, non ci sono per nessuno
sono ancora altrove su un tiepido piano
steso su un fianco, e molto lontano.
Sono qui per ritrovare
un cavallo tronfio con cui parlare.
E’ alto e bello con il lungo collo
non mangia fieno ma a milioni
fogli antichi e sconosciuti tomi
anche Dante rilegato in pergamena
gli è gradito per una sfarzosa cena.
Che Narciso quel cavallo strano!
lì nella notte a trottar disteso
nei tempi passati e negli incerti domani
sui luoghi vicini e su quelli lontani.
Oscar De Pauli
E’ una composizione in versi di varia
lunghezza legati in prevalenza da rime
baciate; questo rende il ritmo molto particolare. Si apre con una nota di impazienza nella ripetizione
(Non ci sono, non ci sono per nessuno),
poi si addolcisce nei due versi successivi
a rima baciata dove le sillabe piane a
vocali aperte stemperano il suono che si
distende accompagnando efficacemente
l’immagine. Anche i due versi successivi sono a rima baciata, ma il ritmo cambia totalmente, per la diversa lunghezza
e soprattutto per il “peso” della parola
“tronfio” che cade come un macigno a
metà del secondo verso introducendo
una nota discordante. Segue l’immagine
del cavallo, armoniosa in apertura, poi
un po’ ostica nel ritmo e nel linguaggio
( fogli antichi e sconosciuti tomi/ anche
Dante rilegato in pergamena/ gli è gradito per una sfarzosa cena.) E così,
l’immagine tutta armonia, introdotta con
una nota irridente (tronfio), si chiude
con la citazione autoironica e conciliante
di Narciso. Tutta la parte centrale della
poesia esprime uno stato d’animo di
contrasti, difficoltà, scontento che si
placa negli ultimi versi dove si raggiunge di nuovo un ritmo disteso, aperto,
un’accettazione sorridente delle proprie
difficoltà e inquietudini a conciliare giovinezza e maturità. Il linguaggio è molto
personale, spesso forte e sincero quasi
come in una seduta di analisi, ma da
poeta, ricco di immagini e fantasia. Il
ritmo procede a onde lente con molte
variazioni. Oscar si guarda dentro e tende verso una conciliazione interiore, è
una persona che si fa molte domande,
cerca un senso alla vita e alle sue contraddizioni e sente forte il bisogno di
comunicare con i compagni di viaggio.
E’ una poesia che coglie l’essenza della
vita in un percorso di autocoscienza. Il
cavallo è l’uomo che non si piace del
tutto, poi si accetta anche con le sue
contraddizioni e nell’immagine conclusiva si contempla sorridendo pacificato
con se stesso e quasi orgoglioso del percorso compiuto.
Anna Maselli
11
Poesie del Laboratorio
Quando le primavere erano poche e il futuro seducente
Quando per la pasquetta si andava a Firenze,
in treno, con la mamma e con il babbo.
A mio padre, con gratitudine.
Misuro il tempo che dista
il giardino di Boboli
dal mio esserci e sapere
di Lunedì dell’Angelo
passati.
Il mio passo – verso dove?
scommetteva forti somme
e sfiorava
il presentimento buono
dei bordi del cappotto
di mio padre.
Svettavo di sicurezza
per primavere ripetute
e non ancora scrutate,
per il monumento che lui era
più magnifico
delle porte del Battistero.
Misuro la distanza
di quell’avventura
dal tempo dei suoi mezzi toscani
poveri e sornioni.
Anna Zucchini
Donna
Con i capelli sugli occhi, mossi
dal soffio delle sue verità
e dei suoi desideri l’archetipo donna
dalle unghie come artigli
fa e rifà a mano la sua anima
che richiede sempre lavori:
nei mattoni cotti al sole
per allargare spazi, alzare muri,
modulare forme, per aumentare
la sua forza e divenire la Custode.
Anna Maria Boriani
12
Poesie del Laboratorio
Se ancora la penna...
Tra le dita la penna vola
e s’acquieta e pensa.
Poi rammenta, soffre
arranca, cerca, tenta,
si rallegra, si esalta,
scorre sul foglio bianco
una folla la sospinge.
Le parole.
Escono le parole alla rinfusa
metterle in riga si prefigge
corretto sia lo scritto
pur se l'affanno svia
Vola la penna,
segue trepida le dita
che ancor rapide la guida
d’essere l'ultimo pensiero
d’accompagnare confida
Maria Luisa Marisaldi
Breast Milk
Sono io quella donna cresciuta a latte intero
di una ragazza orfana di madre.
Attaccata a seni vergini, mi nutrivo
di un concentrato di pascoli e lava
vulcanica che scendeva dentro la mia culla
di metallo nella camerata della Maternità.
La nostra relazione, non sempre lineare.
Entrambe inconsapevoli e forti
nel superare le perdite con l’orgoglio
del riscatto.
Ho camminato sulla strada della sua vita.
Quello che sto facendo è come ricordare
la forma del suo corpo, una matassa
intricata di fili. I piedi piccoli, non toccavano
il pavimento quando sedeva, ancora belli
nonostante le corse su campi minati.
Riccioli sempre scuri nel viso dove
il tempo è passato lieve.
E’ come restituire la sua figura ancora
vicina a un mondo che fagocita la memoria.
Anna Maria Boriani
13
Poesie del laboratorio la
Volto di nonna
sul tuo viso
più che in uno specchio
-geografia della vitagole rocciose, aride
verdi altipiani tiepidi
restituiscono il tempo
-Si specchia all’alba
la luna nello stagno
ma al tramonto
chiaroscuri accesi
l’accompagnano alla notte-
Il respiro flebile
per farmi dormire
tenera mi rivedo
darti la mano e mi fido.
Ora dammela tu
per partire
Valeria Bragaglia
Oggetti buttati lì, per terra, senza logica ragione
e tracce di colore alle pareti, circoscritte
di sale in sale, ignari ospiti
commistione di idee prodotte
che riempiono pamphlet molto curati
recensite, omaggiate, dai soliti esperti
che ne traggono motivazioni astruse
neanche immaginate dagli autori
ed io [...] dubbioso
della mia capacità di comprensione
mi fermo, e mi desto da questa ipnosi
contesto, non mi piacciono
nessuna emozione smuove i miei sensi
una moderna traversata, senza stupore
che m’ha fatto dubitare della mia intelligenza [...]
il bello io lo conosco e sa affascinarmi
conosco l'incanto che toglie la parola
fremo all'entusiasmo che mi fa partecipe
e ho l'età che mi permette di scegliere
anche gli stessi insegnanti[...]
per questo [...] ora esco.
Carlo Boari
14
Notizie dal Laboratorio
Il giorno 14/3/2014 a Roma, al
Campidoglio nella Sala della
Protomoteca, il nostro Socio
Silvano Notari ha ritirato il sesto
premio del concorso nazionale di poesia
- sezione libri - organizzato da Albero
Andronico con il patrocinato dalla
Regione Lazio, dalla Provincia e dal
Comune di Roma. Il libro è
“Un uomo ridicolo” Edizioni Pendragon
Bologna 2012.
A Silvano le congratulazioni della
redazione.
Ti dipingerò
Ti dipingerò dentro
gli spazi minuscoli
di un rigo musicale
dove la tua bellezza
è arpeggio e armonia.
Ti dipingerò passionario
su uno spicchio di luna
dove l’oro dei tuoi capelli
è già presente sulla tela
di uno spazio cosmico.
Ti dipingerò in un futuro
dove le nostre anime
si terranno per mano
lungo il cammino terso
di eterni amori platonici.
L’autore, qui a fianco, propone due poesie dal
libro premiato
Un uomo ridicolo
I disillusi amori virtuali
riversi in fiumi di parole
muoiono derisi nell’etere
soffocati dal loro respiro.
Sangue rosa lungo le vene
il fuoco di grandi passioni
travolto da altrui seduzioni
mi sento
un uomo ridicolo.
.
15
La poetica narrativa di Marina Sangiorgi
Marina Cvetaeva
Autrice di “opere
immense e
tempestose”,
come scrisse
Pasternak, Marina
Cvetaeva nasce a
Mosca nel 1892.
Nel 1910
pubblica il primo libro di versi.
Nel 1912 sposa Sergej Efron, nascono
le figlie Ariadna e Irina. Dopo la
rivoluzione Efron si schiera con i
Bianchi, e in seguito alla vittoria
bolscevica ripara all’estero. Nel
febbraio del 1920 muore Irina, di due
anni.
Nel 1922 Marina raggiunge Sergej a
Praga con Ariadna. Nasce il figlio
Georgij, detto Mur. Marina comincia
intensi e interessanti carteggi con
Pasternak e Rilke. Efron nel 1924 fonda
un’unione del ritorno in patria tra i russi
emigrati, e diventa un agente segreto
sovietico. Nel 1925 vanno a Parigi. Nel
1937 Efron commette un omicidio
politico, fugge in Urss. Nello stesso
anno anche Ariadna si trasferisce in
Urss. Nel giugno del 1939 Marina torna
in Russia con Mur; la famiglia va a
vivere vicino a Mosca, in una dacia
degli organi di sicurezza. Nell’agosto
arrestano Ariadna, nell’ottobre Sergej,
in seguito giustiziato.
Marina si uccise il 31 agosto 1941; del
figlio Mur si perdono le tracce, e non si
conosce nulla di preciso del suo
destino. Ariadna rimase in prigione fino
al 1947, poi fu di nuovo incarcerata dal
1949 al 1955. Riabilitata dopo la morte
di Stalin, scrisse un libro su sua madre e
raccolse la sua opera; è morta nel 1975.
Marina Cvetaeva ha pubblicato undici
raccolte di poesie in vita.
Vi propongo la lettura di due testi.
I versi crescono, come le stelle e come le rose,
come la bellezza - inutile in famiglia.
E, alle corone e alle apoteosi
una sola risposta: “Di dove questo mi viene?”
Noi dormiamo, ed ecco, oltre le lastre di pietra,
il celeste ospite, di quattro petali.
Mondo, cerca di capire! Il poeta - nel sonno - scopre
la legge della stella e la formula del fiore.
14 agosto 1918
Mi pare una delle più efficaci
definizione della poesia che abbia mai
letto.
Il poeta dorme e riceve questa bellezza,
che è come quella delle stelle, delle
rose, un dono da scoprire, una
rivelazione di un angelo che annuncia la
legge e la formula (di cui parla anche
Montale).
Il mondo dovrebbe cercare di capire
l’evento misterioso che capita al poeta,
ma non sempre ci riesce.
continua a pag. 17>>
16
La poetica narrativa di Marina Sangiorgi
Dal ciclo “Versi per la figlia”
E vaghiamo in due per le chiese
grandi - e piccole, le pievi.
E vaghiamo in due per le case
povere - e illustri, dei signori.
Una volta hai detto: “Compramele!”
con un brillar d’occhio alle torri del Cremlino.
Il Cremlino è tuo dalla nascita. Dormi,
mia primogenita chiara e terribile.
E come sotto la terra l’erba
Fa amicizia col minerale di ferro tutto vedono due chiarissime
frane nell’abisso celeste.
Sibilla! Perché per la mia
bambina - un destino come questo?
Una sorte russa. per lei …
E il suo secolo: la Russia, il sorbo …
24 agosto 1918
Marina e la figlia vagano per le chiese e
le case, sono erranti, abbandonate (il
marito e padre è al fronte): eppure il
Cremlino appartiene alla bambina di
diritto. Perché questo destino, questa
difficile sorte per i russi di inizio
secolo?
La giovane Marina e sua figlia sono due
chiarissime frane precipitate dall’abisso
del cielo fino a questa terra, su cui
possono convivere il ferro (simbolo di
guerra) e l’erba (simbolo di vita).
Marina Sangiorgi
17
Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea
I geriatrén
I geriatrini
Zirudèle sanza fén
par i nùstar geriatrén
che ai n’ère al dé dla fire
là in piàze sanze dintìre.
‘Na storiella senza fini
per i nostri geriatrini
che c’erano per la fiera
là in piazza senza dentiera.
On l’ère lé con la badante
cla ridéve a crepe panze
e al la fève a piò non pôs
parché al s ére caghè adôs
pò d arpiàt in d’un cantòn
la i cambiève al panulòn.
Uno lì con la badante
con il riso in abbondanza
che rideva a più non posso
lui se l’era fatta addosso,
lei di nascosto in un cantone
gli cambiava il pannolone.
Mo l’an sa da maravièr
i én cos chi polan capitèr
spezialmant al dé dla fire
a un geriatrèn sanze dintìre.
Non c’è da meravigliare
cose che possono capitare
specie il giorno della Fiera
a un geriatrino senza dentiera.
Con al féss che pò ai é stè
a s’é pérs longhe la strè
on di nuster geriatrén
l ère prôpi cal nunén,
sanze un sôld, in bulàte,
imbarièg come ‘na ciàpe.
Con la ressa che c’è stata
si è perduto per la strada,
il nostro caro geriatrino
era proprio quel nonnino
senza un soldo da non dire
molto brillo da stupire.
A s’é vést lé pôc luntàn
ón ch ai vlève dèr ‘na màn,
ai à arspòst: “ Lasum ban qué,
an son megga imbambiné!
a sòn sòul un geriatrén
ch’l à bvó un bichîr ad vén.”
Si è poi visto, poco lontano,
un che gli voleva dar ‘na mano
gli ha risposto: “Stò nel sito,
non son mica rimbambito!
Sono solo un geriatrino
che ha bevuto un po’ di vino.”
Tótt cuntént sàtte Nadèl
a sàn qué donc a festegèr
i nustar brèv e bî nunén
chi én pò sampar geriatrén.
Noi contenti, sotto Natale,
siamo qui per festeggiare
i nostri bravi nonnini
che son sempre i geriatrini
E pò ai fàn un auguròn
ch’i dâgan tôtt pió rasòn
parché la vétta la sia bèle
tocc e dài la zirudèle.
ai quali faremo l’augurone
che gli dian sempre ragione
perché la vita sia bella
per finire la storiella.
Gustatt
Augusto Mazzacurati
18
Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea
r
A se stesso
Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Ormai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l’infinità vanità del tutto.
Giacomo Leopardi
A sé stass
Adèsa et rechierè par sänper,
mî côr stóff. Al muré l ûltum inbròi,
che mé a cardêva etêren. Al muré. A sént pulîd
che in nuèter d iluśiån,
brîśa såul la speranza, anc la vójja l’é śmurzè.
Arpòśa par sänper. Dimónndi
et tanpléss. Inción quèl al vèl
i tû bâtit, né ed suspîr l’é daggna
la tèra. Amèr e nójja
la vétta, èter mâi gnînta; e sói l é al månnd.
Chiétet ormâi. Dspéra
par l’ûltma vôlta. Al nòster gèner al destén
an dé che al murîr. Ormâi disprèza
té stass, la natûra, la catîva
fôrza che, arpiatè, a dân ed tótt la guérna,
e l’inutilitè sänza fén ed tótt i quî.
Traduziån dla Nóccia d Bastèl
19
Pâgina dal dialàtt a cura di Viviana Santandrea
Vérs l’oriżånt
Verso l’orizzonte
T a t î livè só
e lasè al nôster źardén
t é sbraghè cal mûr.
Apugè al tô bastån
t î andè vérs punànt
såura la strè bianca
atravérs i órt
dóvv ai finéss la periferî.
Int la gran pianûra t a t î pérs
insàmm a la tô strè
int la lòźa infiné dl oriźånt
dóvv la lûś dal dé la câla
vérs la spîre dla nôt
e al dśmôrza, inapelàbil,
al tô pensîr, al tô tänp.
Ti sei alzato
e lasciato il nostro giardino
hai infranto quel muro.
Appoggiato al tuo bastone
sei andato verso ponente
sulla strada bianca
attraverso gli orti
dove finisce la periferia.
Nella grande pianura ti sei perso
assieme alla tua strada
nell’infinita loggia dell’orizzonte
dove la luce del giorno declina
verso le spire della notte
ed estingue, inappellabile,
il tuo pensiero, il tuo tempo.
Elio Manini
20
Poesie del Laboratorio
La casa
La casa
Bajo la luna naranja
enlazàbamos las manos
y reiamos felices
cuales niñas inocentes
Nel plenilunio arancione
ci prendevamo per mano
e ridevamo felici
quali fanciulli innocenti
La casa escuchaba curiosa
nuestras voces argentinas
y nos cubrìa amorosa
presintiendo la despedida
La casa ascoltava curiosa
le nostre voci argentine
e ci avvolgeva amorosa:
presentiva il nostro partire
Ahora està llena de voces
y de recuerdos perdidos
y de alegrìas pasadas
y de penas ya vividas
Adesso è piena di voci
e di ricordi perduti
e di gioie già passate
e di pene già vissute
Y de aquella joven
(que soñaba)
no ha quedado
màs nada.
e di quella ragazza
sognante
non è rimasto
che niente.
Graziella Pisani
Percorsi
Autostrade di ordine
e possesso
come avere – tutto sotto controllo
come trovare – forbici e chiavi e ore
sempre nel posto giusto – Quello che
conosco – e che non dà sorprese.
Ma là, nel caos, vive la
fantasia – tra mucchi
di pensieri affollati di parole
di immagini di suoni
ed un profumo ruvido,
di piperita.
Abbandonarsi al denso
mormorio del sogno
vagando
sull’altra faccia della Luna – cercando
Angela Falcucci
21
Poesie del Laboratorio
Sarà quest’onda che ricade su se stessa
che va e torna, va e torna
sarà questo sentirsi sempre al punto di partenza
che ci fa ignari
di quello che arriva da distanze smisurate
da sommovimenti di un altrove sconosciuto
e si insinua furtivo
e silenzioso cambia la natura dell’acqua
finché sorprende come un estraneo
che appare all’improvviso alla tua porta.
Allora sai d’aver camminato a tentoni, coperto d’ombra.
Rosalba Casetti
Gatto
Le pagine del diario dormivano
sotto la polvere dell’abitudine
del solito vivere monocolore
Rigiravo con la solita noia
di ogni giorno una clessidra
a contare granelli di sabbia
Mi ha risvegliata dal tepore
una brezza leggera entrata
da una finestra socchiusa
Sei entrato tu gatto di bosco
Pagine bianche si aprono
le nostre mani insieme
per scrivere ancora
una favola nuova.
steso sulla neve un
maglione smarrito tende le braccia al
ramo del tiglio dove
oscilla lieve un hula hop rosso
scagliato una sera d’estate da
un ragazzo troppo felice.
all’angolo
le palline del Natale mandano ancora
bagliori d’oro sul
baracchino del fiorista pachistano.
Zara Finzi
Livia Corradi
22
Poesie del Laboratorio
-1Piango come se fosse procedere
Come se una lacrima fosse un passo.
È un fluire
Un inoltrarmi
In un qualche territorio.
A sentire l’impotenza
Della mia fragile
Volontà davanti
A sua maestà l’innamorata
Se è così che va ogni volta
Che lascio o vengo lasciata
Resto nella mia incapacità
E piango come ultima risorsa
Come unico e solo andare.
Appoggiata ai bastoncini da trekking
Con tutti due i palmi
Mi sostengo mentre
Una pressione alle orecchie
Mi assorda e mi frastorna.
Le gambe inchiodate fisse
Immobili non percepiscono
L’impulso del cervello
Che sta dicendo di andare
Che mi vede risalire il pendio.
Perdio! Se il garbuglio
Di emozioni trattenute ora è
Esploso e mi inchioda qua
Se non voglio camminare
Nei luoghi che ci hanno
Visti assieme
Se il senso di te mi toglie
A me e alla natura
Mi addensa la malinconia
Sulla pelle nelle ossa nei nervi
Se riempie il mondo di un nome
Che è il tuo e tu sei il bosco
Sei la nebbia del pomeriggio
Sei la distanza che non so percorrere
Perché tutto è già nei miei occhi
Tutto ricama la parola fine
La parola assente
La parola distanza.
Se il pensiero di te
Si è fatto bruma e respiro del tempo
Se si è così sparso dentro e attorno
Se ha preso tutto lo spazio
Fino ad annientarmi e mi getta
Nel baratro degli abbandonati
E resto qua fissa a capo chino
Alessandra Generali
Il nostro tempo.
Lo specchio ci spia
tra le mura di una stanza,
tu, ed io, con la vita giochiamo,
mentre il tempo
ci rincorre senza pausa.
Un cristallo di luce illumina i
corpi distesi su un letto
d’infinite verità.
L'ultimo minuto
muore nella notte,
come un sogno
di un verso poetico.
Divagando con la fantasia vado via,
mi porto dietro solo i ricordi
che non svaniscono mai […]
Luigi Cuoco
23
Poesie del Laboratorio
L'impossibile fuga
Non farmi male.
Quando tornava da zuccherificio
-Quanto mi pesa mamma il pendolare
ora ho fatto domanda ad alto ufficio
a Beirut per la pace voglio andare [...]-
Non farmi male
con le tue mani
che dovrebbero
amarmi.
Ogni colpo
è come una bomba
che distrugge tutto.
Chi sei?
Mi sembra
di non esistere più.
Posso solo
cercare di salvarmi.
Ma le tue mani
adesso si chiudono
sul mio respiro
e stringono furiose.
Chi sei
Non m’importa più,
perché penso
che forse
sto morendo,
perché non ho visto
prima
in te
tutto questo buio.
Eppure c’era già.
Sono in bilico
sul tuo folle abisso,
ora lo so,
le tue mani
non possono
amarmi,
possono solo
farmi male.
E ancora male.
Ti guardo
cosi doloroso
come sei
e non ho più paura.
Me ne vado
dal tuo abisso nero
per sempre.
Io voglio la luce.
Bianca la mamma cercò sotterfugio
senza verso trovar l'idea a cambiare.
Sempre smarrito sconsolato micio
rispose alla chiamata militare.
Scrisse da Beirut l'orgoglioso amico
-La vita val la pena di rischiare
il tiepido di casa importa un fico [...]In bicicletta cadde in un incrocio
pur da strettoie varie il suo scappare
non ebbe a rialzarsi da quel buco.
Da: Claudio in morte
Maria Iattoni
Dove le mimose si rinnovano
Sotto questo cielo
dove le mimose si rinnovano nell’infinito
sempre più luminose, caldo sole
che a grappoli come uva accattivante gronda
anch’io ho bisogno di cieli diversi
di albe che m’invitano tenere
a sfogliare equilibri sani
di rivoltarmi, salire la corrente
scolpire quella roccia in me e incoronarla
di qualche rara stella alpina
non voglio avere paura di sognare
di aprire lo scrigno
dove è nascosta l’ultima primavera
quella luce che mi riempie le rughe
che tinge le guance ancora
come tutte le donne che guerriere
affrontano goccia dopo goccia
come ambra sul ciliegio sposo.
Piera Grosso
Rosy Giglio
24
Poesie del Laboratorio
Da “Le mille finestre della poesia”
La finestra
Chiude la notte alle stelle
e svanisce sopra l’albero
che svetta nel cortile di fronte.
La strada e stiletti affilati di luce,
intrusi nel buio falciato.
Un’auto rincasa, sbatte una portiera,
di nuovo il silenzio avvolge le cose.
Mattino, una persiana aperta adagio,
lieve una mano scosta una tendina
un viso antico, il suo doppio nel vetro
a sbirciare la strada, la luce fioca
sfuma da lampioni custodi
impotenti nel bene e nel male.
Scruta la vecchia e parla
a nessuno o alla finestra
compagna di ore infinite.
Le mani strette in grembo
nel giorno che ritorna,
aspetta la bicicletta che passa
il motorino impertinente
l’auto che ha fretta.
Parla alla finestra e racconta
senza sapere se lei ascolta.
Lo sguardo
Camminando
lo sguardo si sofferma.
Ammiro questo paese
che è anche mio diventato
e mi hanno adottato.
Attraverso la strada
angoli a me sconosciuti.
Giorno dopo giorno
mi prendono sempre più.
Cammino piano piano
arrivo sul castello
che domina Cassacco.
Sei grande
mi sei vicino
nei miei pensieri
per abbracciarmi.
Fosca Andraghetti
Chiara Pinghini
25
Poesie del Laboratorio
Un attimo santo
Le cicale sperperano trame
nel chiaro scuro del campo.
Non sanno che il loro destino
è coprire il silenzio
nell’ordito composto.
La mente è un controcampo
arreso all’ascolto.
Poi irrompe l’inatteso silenzio.
E ti scopri ad aspettare il frinire
l’alterno e rapido segno
che scorre sul foglio
Se stai immobile e attento
le senti a folate
e poi sempre più chiare
le cicale d’inverno
che fresano mute.
Guardi nel vuoto: risplendi
È lì che ti accendi, di gioia
Il tuo è il volto più bello
Che vedo tra i mille
Che cerco, che ammiro
Nel mio mondo leggero
Poi, se pian piano io giro
Se io mi faccio vicino
A contattare i tuo occhi
Rompo una cosa serena
Cos’è che vedi lontano?
Perché quell’aria felice
All’improvviso, lì, tace
Non dai segnale di vita
Quando una voce ti chiama?
O, è la mia voce soltanto […]
E il viso, il tuo viso
è mietitura di corpo
e di canto.
Allora mi accuso
Allora mi scuso
Di averti rubato
Un attimo santo
Nadia Minarelli
Arnaldo Morelli
Linguaggio di città
nella stanza sola si muovono le lancette
e accompagnano l’ingresso della giornata
dove la pioggia si fa lentezza musicale
e la città riprende il suo linguaggio
Luna
Coccolìo mormorato
sordo a un lamento
che esalta l’utopia.
Sono sagome i desideri
avvolgo il mio pensiero
in un’amazzonia d’albe
che mi separa dall’emisfero.
Inanelli aloni sensuali
che si perdono nel vuoto
mentre fuggo da me stesso
soffocato dall’immaginazione.
c’è ancora un segno della notte
sulla fronte, sul cuscino che respira ancora
sui piedi nudi di pavimento.
Filtra dalle finestre il concerto delle strade
le voci bisbigliano si alzano, traboccano
in un coro vivente che le brucia
le asciuga le rende lucide di frenesia
un po’ pazze di febbre d’amore distratto
Gabriella Penzo
Silvano Notari
26
Poesie del Laboratorio
Una rosa non si chiama
partire alla ricerca delle parole nuove
e trovare solo quelle disperse nell’aria
dove una rosa non si chiama, ma si volta
la tristezza non piange, ma si fa gioco.
Nel sonno l’alfabeto si scompone, si aggrega
in suoni di vetro metallo, di carta violino poi
tutti ricomposti formano una danza
insolgente, inparlante, incrudele […]
parole nuove inventate tra acqua e ghiaccio
Gabriella Penzo
Che bella notte
mi riempie dal nulla
e ardita vado ravvolta
nel manto stellare, ma
la luna sta scappando
la osservo è tonda come una mela
la sto raggiungendo, ma se sto e
m’abbaglia, vorrei farmi incantare
e ricevere uno squillo telefonico
come avverrà tale contatto? Miracolo?
E io spero di adagiarmi tra chi mi saprà
accettare, sarò buona […] ora sono un po’ stanca […]
Emelina Pellizzari
27
Poesie del Laboratorio
Gioia
S. Valentino
Difficile e incauto
provare a descriver la gioia
tu punti la penna sul foglio
e già il sentimento svanisce
ti pare banale […] annoia
perfino te stesso o il casuale lettore
eppure […]
eppure mi accade di essere invasa
da ondate di gioia
come da adolescente
per uno sbadiglio del gatto
per cose da niente, così
o quando davanti al TV
se russi e mi fingo arrabbiata
mi dici “ero sveglio!”
poi ti riaddormenti lì per lì.
Hai posato tre rose
rosse, sapientemente avvolte
da una nuvola bianca
un presagio nuziale.
O ancora mi accade gioire
per questo annuncio di estate
colore di fucsia
per questa camelia
che sola fra i tanti bocciòli
ha osato fiorire;
per questo progetto di vita (mio, tuo)
da bere a piccoli sorsi
coscienti che non è infinita
e allora provare pudore
quasi quasi […] a gioire.
Viviana Santandrea
Ora abbracciami
non temere di chiedere amore,
nel profumo dei fiori
era implicita la tua domanda
col colore sanguigno
si suggella la nostra promessa
di una vita che pure sfumando
si rinnova.
Queste ore d’insonnia
popolate dapprima di ombre
fan fiorire stagioni invitanti
quasi adolescenziali frenesie
e un “Carpe diem” tutto da inventare.
Viviana Santandrea
Verso
Regalatemi un verso
che sia un guizzo, diverso
con parole bizzarre
che non resti disperso
tra mille frasi anonime
magari un po’ perverso
che importa se poi suscita
imbarazzo o sgomento
al bigotto universo
regalatemi un verso
simpatico, geniale
anche molto estroverso
dal sapore piccante
dal senso controverso
purché non sia banale
che si salvi attraverso
i secoli dei secoli
regalatemi insomma
uno schianto di verso
Viviana Santandrea
28
Poesie del Laboratorio
La zingara
Malinconia sgangherata dal circo clarini fantasticano con i violini
Una bambina smorta cera rosa e le labbra
Apri il cielo e la strada questo vento forte ruota la terra
Questo sogno di alberi bianchi qual pianura la neve foglie morte
Agghiaccia i corpi e i laghi fiume e i capelli
Bevon ancor la tua acqua torbida di rimando assonato
Mercè la vita filo di perle il collo
Avvolto in un lenzuolo pidocchi qual l'amore angolo tenerezza e profumo
Ho tentato ancora la primavera il cerchione e spiegarti inutilmente il rancore
Occhi compassati un pagliaccetto rosso bevevo l'elisir di lunga vita
Occhi dolorosi altri guardavan felici non so quale felice colpa erano
Quando la notte cala guardo il cielo focolare e lacrime stelle quale amor la luna
Lustrini similmente mi stringono il cuore pagliaccetto rosso l'anima piange
Qual santo il melodramma io non la sgrido e non la piango che sono la sua mamma
Amleto Tarroni
Marzo
Silenzio
mite
pazzerello emisfero boreale
sei un motore di folate
cambi sette cappelli al giorno
spazzati dal vento
a destra e a manca
bevi la pioggia
a breve
esci dal tempo turbinoso
con un compenso
di luce, preso dal sole
colori i tetti delle aurore
e dipingi gesticolando
come un prezioso mimo
non ti stanchi di guarnire
di rinverdire alberi e nidi
Spuntano fiori rosa al pruno
e occhi alle finestre
di primule e margherite
rivestite di terra grassa
e di te, caro marzo
che sai di primavera.
C’è l’immensità emanata dal silenzio
nell’identità di un fiore
che vive di volute
dentro il suo profumo […]
lì, cade una cascata della voce
l’eterno battito terracqueo
in un tornante di pensieri
stretti lungo il canyon della gola
prima di temporali dubbiosi
ci sono riflessi e tormenti silenziosi
che spiccano come saette
nell’aria taciturna.
Aurelia Tieghi
Aurelia Tieghi
29
Incontri, a cura di Angela Falcucci
Riquadro 133-Cappella 3
Sarcofago N. 77 Cimitero Verano Roma
Francesco
(Checco)
Durante
In treno
L’arberi che te passeno vicini
pareno regazzini
che sotto ar sole d’oro
stanno giocanno a buzzico fra loro.
Un quadretto in movimento, un acquarello, uno stile fresco e semplice, come
l’autore. Nato a Roma in via dei Salumi
a Trastevere nel 1893, Checco Durante
entra nella compagnia teatrale di Ettore
Petrolini. Con lui recita e viaggia per
dieci anni, dal 1918 al 1928, quando decide di realizzare il suo sogno, diventare
capocomico con una sua compagnia, la
Primaria Compagnia della Commedia
Romanesca.
Scrive l’autore:
“Dar vita ad un teatro divertente, semplice, senza complicazioni cerebrali che assolva la missione per cui, secondo me,
nacque il teatro: servire da ricreazione a
chi, dopo una giornata di lavoro, […]
cerca due ore di passatempo per distendere i nervi e riposare lo spirito.”
Nato nel suo cuore di romano de Roma,
(ce vonno armeno tre generazioni), il suo
teatro vuole rappresentare il popolo nella
sua autentica espressione.
Scrive ancora:
“…Ringrazio i critici che mi hanno onorato di un loro giudizio,saluto senza rancore quelli che non me ne hanno ritenuto
degno ed invio un grazie […] al mio
pubblico che mi segue con la stessa cor-
dialità e con lo stesso entusiasmo con cui
recito per lui.”
“…E’ un attore popolare, tutto realismo,
che pare messo al mondo per smentire
una volta di più la leggenda del cinismo
romano…”
Roma – “La Tribuna” Silvio d’Amico
“…qui sta l’arte: nella bravura di costruire con i più vari accorgimenti di voce, di palpiti, di ombre e luci, di tempeste e sereno, la stupefacente marionetta
del personaggio umano.”
“Dramma” Vito Pandolfi
Il 15 aprile 1953, Durante riceve dal
Sindaco una medaglia d’oro in ricordo
del 25° anno della sua carriera di capocomico.
“…Che cosa rimarrebbe se non vi fosse
Checco Durante a tenere in piedi nel suo
piccolo Rossini di P. Santa Chiara la tradizione e la memoria del Teatro Dialettale Romanesco?
…” Roma- “Il Messaggero” G. Ceroni
Accanto a critici che ignorano il teatro
del Durante, ritenendolo poco impegnato, tanta critica valorizza l’autore- attore
per la sua mimica, la sua perfetta dizione, la sua simpatia arguta e bonaria, apprezzandolo proprio per la sua immediatezza, scevra da sofismi.
Nella sua poesia ritroviamo la stessa atmosfera, descrive personaggi e cose quasi dipingendone le caratteristiche, spesso
facendoli “recitare” sul palcoscenico di
una Roma popolana, una Roma della
quale interpreta l’anima.
Non troviamo il pessimismo del Belli, né
l’ardore di Pascarella, e neppure l’ironia
moraleggiante di Trilussa, piuttosto “…il
ricordo del buon pane casalingo di una
volta,fragrante e sostanzioso…”
continua a pag. 31
30
Incontri, a cura di Angela Falcucci
A. Rovinelli Durante osserva e registra discussioni e frasi, come in queste
scenette dove descrive l’andirivieni di
aspiranti attori in cerca di un “cascé”,
(comparse e generici cinematografici),
nell’antico Caffè Giuliani, soprannominato dai giornalisti il “Caffè del cece tosto”.
- A che ora avete detto sor Cinquini?/
-A le otto se gira…ma lo tenghi/ un
ber fracche moderno e li scarpini?/ Me fa specie!...Ciò un fracche
d’Ottolenghi…/ ste cose a me nun so
da dimandamme…/(A Totarè, ciai un
fracche da prestamme?)[…]
Le sestine si inseguono nel via-vai di
attori, comparse, giornalisti e segretari
di produzione in cerca di elementi per
i film in lavorazione. Era il 1919, epoca d’oro per il cinema muto italiano.
Na piena ar cinematografo
-Presto,signori, venghino a vedere/ il
più grande spettacolo del giorno,
con sei baiocchi posti da sedere…
A regazzì te levi da qua attorno!...
-Scusateme che fanno giovanotto?
-C’è scritto: Scerlocomme er pulizzotto. […]
Ed ecco una folla che si ammassa
all’entrata, dentro sono spinte: “…Porca paletta che testata ar muro./ Oh, finalmente se mettemo a sede…”,
proteste: “…A lanternone!
Ma che te credi d’esse trasparente!”,
meraviglia: “Guarda ch’è proprio bella st’invenzione./ Ancora nun riesco a
capì er modo/ de come fanno smove le
persone.[…].
Un altro posto caratteristico di Roma:
Isola Tiberina
Ne st’isola ce trovi tutto quanto:/ la
Chiesa, l’ospedale e l’osteria,/ ce trovi
la tristezza e l’allegria,/ ce trovi un
po’ de riso e un po’ de pianto.// Ma è
tanto bella: si la guardi pare/ ‘na gran
barca che vada alla deriva/ che cià
per meta er mare/ ma da secoli core…e nun ariva./ Loggette e finestrelle/ la profumano tutta de viole[…]
Nel 1937 scrive una poesia a Ponte
Milvio, dato per spacciato dai giornalisti, causa la forte piena del Tevere.
Una personificazione che dedica
all’amico Galdieri.
Ponte Mollo
No…no…se so’ sbajati…cascà nun me
se vede…/ come pe’ tanti secoli, io resto dritto in piede./ Co’ tutto che c’è
l’acqua che m’è arivata ar collo,/ li
romani ciavranno ancora Ponte Mollo/ a cavallo der Tevere che, co’ la luna, pare/ che canti ‘na canzona corenno verso il mare.[…]
Anch’egli attraversa le due guerre, e nel
1943 scrive: La guerra
Senti, sarò ignorante, nun contesto/ ma,
scuseme, vié qua, famme capace,
seconno te la guera cià er pretesto
che s’ha da fa p’assicurà la pace.
Insomma, pe sta in pace su la tera,
nun c’è che un modo: s’ha da fa la guera […]
Partecipa a numerosi programmi radiofonici, dagli anni sessanta è in televisione con la RAI, che trasmette alcune sue
commedie; recita con Rita Pavone ne “Il
giornalino di Gian Burrasca”.
Ancora vengono recitate le sue poesie,
come La preghiera a San Giuseppe
Solo- San Giuseppe Frittellaro,
Coro- tanto bono e tanto caro[…]
Si possono ascoltare su Youtube e ne
vale la pena.
Muore a Roma nel 1976.
Ricordo la festa di San Giuseppe nel
quartiere Prati, dove sono nata, che si
celebrava per le strade dove i frittellari
friggevano le profumate zeppole.
Ciao a tutti da Angela
31
Poesie del Laboratorio
In viale Aldini
All'inizio d'estate viale Aldini
somiglia a un viottolo di campagna.
Ombra d'un fitto portico verde
e autobus carichi di bambini
che se ne vanno ai campi solari.
Ma l'istituto di oncologia
spunta severo tra quelle fronde.
Lotta la vita nella corsia [...]
ferve ed esplode appena fuori.
Tu hai studiato storia e italiano?
Io non ricordo la geografia [...]
facciam le squadre! Ora giochiamo!
Vigilatori preoccupati [...]
Stefano, Alberto, siete sudati!
E l'istituto di oncologia
è già lontano, dimenticato.
Stenta la vita nella corsia [...]
trionfa fuori su un grande prato.
Patrizia Tomba
La donna guarda il verde per ripigliarsi l’anima
che il corpo nello specchio ora sogghigna
e in mano il nulla
Ma il maggio che rispunta dentro la terra scura
ridona
zucchero di frutti e ancora
il suo destino
è gioco
è vita
è tentazione.
Paola Tosi
32
Poesie del laboratorio
A Orvieto (*)
I fanciulli gridando
sulla piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto rumore:
e intanto
la faccia splendente della chiesa
chinata con amore su di loro
pare inseguirli
che bellezza e felicità
sono sorelle.
Mirella Gresleri
(*) Errata corrige della stessa poesia pubblicata sul n° 1/2014
L’ombrellifera
Io sono prudente
e rifuggo dal vuoto:
ogni gruppo florale
è ancorato a uno stelo
più alti all’esterno
e sempre più corti
procedendo all’interno,
ed ecco ho formato
un piano perfetto
un tappeto di fiori
che facilita il compito
alle api operaie.
Nei prati dove abbondo
nessuno mi raccoglie
nessuno mi odora
e nessuno per me
spenderebbe due lire.
Sono buona soltanto
a dar sapore all’erba
destinata alle mucche.
Ma osservatemi bene,
ficcate lo sguardo
sulle mie meraviglie.
Io non sono un fiore
sono una galassia
di fiori, riuniti
come fossero stelle
in sistemi floreali,
ma disposti all’inverso
del sistema solare.
Ho messo all’esterno
le stelle più grandi
e al centro, protette
le stelle piccine.
Mirella Gresleri
33
Poesie del Laboratorio
Resto ancora ad aspettare
L’amore ci accomuna
e gli occhi parlano
fin quando le mani si toccano
ci avvicina una poesia
detta da una voce che ci unisce
nel silenzio dell’ascolto
così un concerto per violino
che da anni lontani
arriva a noi
per portare un brivido
o la vetrata di una chiesa gotica
ci fa esigere un’imminenza
dimenticata
e l’uomo è al centro di tutto
superando la quarta dimensione
del tempo
ignorando in quel momento
il razzo che fa strage
perché
in una fuggevole passione
cerchiamo la tregua
e vogliamo vivere fra noi
cercando ancora di capire il mondo.
Franco Lipari
Il cielo di cristallo
La volta si infranse
i pezzi di cristallo caddero (tutti)
sulla terra
E anche se erano piccoli la notte (bastarda) ne approffitò offuscandone i riflessi
Ma uno di loro con un pò di coraggio (con quel telo sulla testa)
si ribellò e (con la sua azione)
incise
Nella vela del pirata nero procurò un piccolo foro
(Evento imprevvedibile)
Quel pezzo di cielo di cristallo rimanendo sotto il telo
s’era fatto trapassare da un lumen
(uno solo) ma quello passato di là (oltre lo scuro)
Rischiarò
tutto quello che c’era
Tale Giovanni
34
Poesie del Laboratorio
Ori
Non ho mai apprezzato le decorazioni
solo oggi per stanchezza mi sono disteso
tra gli ori cinesi e le omelie perentorie
per un tranquillo dormire. Luci fino
a un altare indistinto e voci confuse.
L’altare come un ombrello dorato
trascina lo sguardo oltre le pareti
di suono. Il canto sotto la luce
esteso a un’assemblea refrattaria
a qualsiasi sentire che non sia
il rigido, codificato rituale
che vezzeggia superbi e straccioni.
Oggi faccio parte del rito che
consola gli oppressi degli anni,
dai bersagli mancanti. Galleggio
sulla consolazione di cerimonie
estranee, sotto una cupola fin
troppo bella che mi rende devoto
fino al silenzio dei riflessi dorati.
Andrea Venzi
Pasqua 2014
Se sei risorto Tu mio Buon Signore
e hai detto a tutti noi – cari figliuoli
a testa bassa accettate il dolore
ovunque son con voi non siete soli –
Un poco io ti credo […] Senz’il corpo
l’anima miagola al cielo torna al Padre?!
E’ qui il duro percorso senza un porto […]
Pure col nome di tua Santa Madre
E […] Alati vidi sani portatori
da Gozzadini anch’io ne vidi il volo […]
Le lacrime asciugai ai genitori
Addivenuti a dir – Dio lo vuole Crediamo nella tua Ressurezione
Se dai coraggio pane e sole […]
Umili ti preghiamo:
- Pur fuor di Chiesa in ogni situazione
accresci la fede e la ragione!BUONA PASQUA!!!
Maria Iattoni
35
Poesie del Laboratorio
“Io contro io”
“Fermaci”
a pensare,
è calata la notte
il buio dentro me
tutto è immerso nel silenzio
Mi scoppia l’anima
di tristezza,
di solitudine
non vedo la verità
la voglia di vita […]
I miei primi venti anni
Paola Mattioli
Vivere
Quanti giorni a contemplare
il telefono muto nel silenzio
ridondante del salotto
ordinato e ben tenuto.
Mi mancava l’inganno
delle illusioni, le scoprivo,
ma mi aiutavano nell’attimo
in cui le inventavo per consolarmi
di quell’ombrosa solitudine.
All’improvviso m’invade la pace
interiore, lascio tutto sospeso
nel fremito di una carezza
sfiorata negli occhi socchiusi
ad immaginare.
Amo la solitudine, temo le catene,
in libertà canto stonata e decido
il volume.
Mi piace vivere, e credo che sia questo
il segreto della gioia. Vivere.
Luciana Tinarelli
36
L’opinione di Cinzia Demi
Continua da n. 1 / 2014
Contro
la
violenza sulle
donne.
Voci
dall’Ateneo di
Bologna.
(di
Cinzia
Demi)
Ed ecco che
nascono,
da
queste penne
diverse
e
sodali, pagine che urlano, sussurrano,
indagano, svelano – con tensioni
narrative a volte davvero sconcertanti e
riuscite - episodi ed emozioni a cui non
è
possibile
non
dare
spazio
nell’inconscio di lettore. I testi, di cui
farò qualche esempio, mettono davanti
agli occhi l’accadimento nudo e crudo
da cui ha avuto spunto l’idea narrante, e
ne tracciano delle linee spesso talmente
distinte da chiedersi se sia possibile
aver, comunque, pensato a costruire un
fatto immaginario o se l’origine non sia
un deja vu che non si fa certo fatica a
rintracciare nel quotidiano.
Come lettrice e critica di poesia trovo i
passaggi presenti in questa forma nel
libro forse meno riusciti rispetto alla
prosa che invece, specie in alcuni
racconti, si presenta sinuosa e
accattivante
come
l’idea
della
seduzione che vuol dimostrare o, altre
volte, decisa e feroce come la brutalità
che tende a smascherare. La violenza ha
mille facce, mille maschere ed è giusto
provare a dettagliarne almeno alcune:
trovo che molti racconti abbiano
percorso un buon cammino di
svelamento come ad esempio il primo,
Blanche.
Blanche – bianco – è il colore metafora
che l’autore usa per rappresentare il
modus vivendi del protagonista del
racconto. Un uomo che identifica il suo
sentire, il suo essere in perfetta sintonia
con la natura attraverso la ricostruzione
asettica di un ambiente di lavoro dove
tutto è rigorosamente bianco e candido.
La perfezione maniacale di cui si
circonda è perfettamente descritta in
questo passaggio:
«[…] Quando Monsieur ripose il
ricevitore, il sole risplendeva proprio
come un diamante, dentro l’ufficio,
smembrandosi in migliaia di particelle
scintillanti che si posavano ovunque:
sul portacenere di porcellana bianca, sul
braccio della lampada al neon, laccato
bianco, sullo stipite bianco della porta,
sulla copertina di plastica morbida
dell’agenda, anch’essa di colore bianco.
Era tutto uno spazio di bellezza asettica
e bianca, riflettente un’idea di lucidità,
di nettezza, di leggerezza e insieme di
rigore, che dava a Monsieur Auguste un
delizioso capogiro, seduto al centro di
quel puro universo […]»
A questa perfezione, che rasenta la
lucida follia di avvicinarsi al colore di
Dio, non corrisponde però il
comportamento osceno e crudele
dell’uomo che cambia continuamente le
sue giovani segretarie costringendole,
per mantenere il proprio posto di
lavoro, a prestazioni sessuali, e che non
si scompone più di tanto quando uccide
l’ultima dopo averla messa incinta, più
preoccupato della macchia di sangue
sul pavimento, del rosso che non si
combina, che stona col resto del bianco
che della sua morte.
continua a pag. 38>>
37
L’opinione di Cinzia Demi
Racconto ben scritto non solo da un
punta di vista letterario ma anche per
l’azzeccata
introspezione
del
personaggio, che si manifesta nel
ritratto della spietatezza tipica di un
animo volto al male, pieno solo di un
narcisistico e orrorifico se stesso.
Il secondo racconto di cui voglio
parlare è quello dedicato ad un
personaggio del 1673: Elisabetta
Pasquini. Sconvolge sempre l’idea che
nel passato la vita delle donne fosse
sottoposta a giudizi, costretta a
situazioni, vanificata nella propria
essenza da moralismi e consuetudini
rigide e speculari alla mentalità
collettiva che non accettava, in fondo,
una
partecipazione
del
genere
femminile alla vita intera, una sua
presenza come essere umano nel
mondo. Elisabetta è la solita vittima di
una violenza annunciata, la solita storia
della ragazza ingenua che crede
nell’amore e “si concede” all’uomo che
ha promesso di sposarla, prima del
matrimonio. Elisabetta è anche malata e
il suo male, rimasta incinta, la porta alla
morte dopo aver perso il bambino ma
senza essersi sposata con l’uomo che ha
“disonorato lei e la famiglia” e che non
l’ha più voluta. La sorella prova a
denunciare il fatto al Vicario e parroco
del luogo, il quale le rende giustizia e il
“reo confesso” stupratore viene
condannato a corrispondere una cifra
risarcitoria alla famiglia della ragazza.
Ma il passaggio che colpisce al di là
della vicenda, reale e documentata
nell’Archivio Generale Arcivescovile di
Bologna, è il tipo di preoccupazione e
la conclusione a cui si arriva, che
affiorano nelle pagine del processo, e
che vengono descritte dal narratore in
questi passaggi:
«Nell’interrogatorio
di
Rubea
successivo alla morte di Elisabetta, la
donna commentò la morte della sorella
come un evento che “ci ha lasciati con
questa vergogna e dishonore”, ma
aveva aggiunto “che del resto se
sopravviveva la suddetta Elisabetta,
volevo fare istanza fosse sposa sì come
gli haveva più volte promesso il
suddetto Pietro Masina, ma già che è
morta bisogna havere pazienza, non
resto però che io non desideri che detto
Pietro sia castigato dalla Giustizia.”
La pazienza di cui parla Rubea sembra
riferirsi al mancato matrimonio che
avrebbe ripristinato l’onore della
famiglia, piuttosto che alla perdita della
sorella. [mentre il Vicario che pure
riuscirà a far condannare Pietro al
risarcimento, giustifica le difficoltà a
precede nello sviluppo delle indagini]
“…la Giustificazione del quale delitto
si rendeva molto difficile per la
mancanza del corpo del delitto…” […]
corpo del delitto che altro non era che il
vero corpo oramai senza vita di
Elisabetta, o forse ancora di più, quello
della creatura morta nel ventre.»
Racconto questo dunque, ripreso dalle
cronache del tempo, che ci porta a
riflettere sulla storicità del problema
della violenza, sull’educazione che da
sempre è stata portata avanti rispetto a
queste tematiche, che spesso sembrano
sminuire i fatti o addirittura riportarli su
piani diversi rispetto a quello reale della
cultura della violenza di genere, in
fondo e tristemente sempre praticata.
continua al prossimo numero: 3 / 2014
38
Un tema, una discussione a cura di Oscar De Pauli
Tramite la parola si evidenzia il quoziente intellettivo di chi la pronuncia.
Importante è l'apprendimento giacché
sin dai primissimi anni di vita il cervello umano assorbe come una “spugna”
quindi, a mio modesto parere, occorre
adoperare gli strumenti idonei per accompagnare lo sviluppo culturale con
una qualità maggiore. Spetta allo Stato
democratico l'obbligo dell'insegnamento generale (escluse le altre culture di
libero pensiero) e provvedere che i propri cittadini abbiano la possibilità di
partire alla pari senza alcuna discriminazione. Soltanto così, credo, gli individui potranno formare un insieme, una
collettività che possa fare scelte oculate
e libere, e quindi dare valore alle parole.
Pur non essendo io contro la tecnologia, poiché è importante per la continuità dell'evoluzione, temo, però, che la
generazione contemporanea con l'uso
del “linguaggio bit”, delle icone e dei
segni, toglierà alla Parola il sentimento,
l’espressione e il piacere dell'ascolto,
cioè il senso, col rischio di tornare all'era dei geroglifici.
Oscar, forse è vero, le parole possono
pesare come pietre! Credo che se le pietre fossero ben squadrate si potrebbe
edificare una Società meno aspra, più
amante della propria cultura. Importante è la malta, cioè l'insieme dei singoli,
giacché deve tenere legata l'intera struttura che possa avere le fondamenta
poggiate, in primis, sull'etica e la morale.
Concordo con Gabriella: nel dialogo
multi parere c'è l'arricchimento della
conoscenza, purché l'ascolto dell'altro e
il rispetto reciproco siano fondamentali
nella conversazione.
Può la poesia dare maggiore significato
alla Parola? Certamente sì, a maggior
ragione quella con la “P” maiuscola.
Purtroppo nel nostro Paese la poesia è
in una fase difficile, è poco considerata
ed è ancora la cenerentola della cultura.
Anche nell’insegnamento scolastico, di
ogni ordine e grado, si dà poco importanza. La poesia in questo momento è
in una situazione negativa: scarseggiano le collane a essa dedicate perché non
danno buoni risultati editoriali e quindi
pochi guadagni per gli editori.
A ritmare e rimare le emozioni è rimasto soltanto il “pop” e il “rap”, giacché
il rapporto della poesia con la metrica è
diventata problematica, il metro tradizionale è stato ricusato; la lingua della
poesia sembra non avere più alcuna rilevanza.
Come dicevo all’inizio, ho letto Coniare il mondo scritto da Francesco, che
mi è piaciuto, in modo particolare l'ultimo capoverso. Francesco, con molta
modestia faccio presente che ho “coniato” un’onomatopea, la troverai nell'antologia del nostro ventennale. Pensa al
transitare del treno sui binari. Poi
dall'aggettivo lucente ho pensato: “lucere” dedicato al pianeta Venere nella
nascente alba.
Ho letto la mia composizione di versi
nella riunione di giovedì del nostro
gruppo, i presenti sono rimasti in sospensione, per capire. Non ho spiegato
allora ciò che adesso scrivo. Ho ritenuto
che luccicare, brillare o lucente non davano libertà alla sensazione che era in
me, lucere, invece, mi è sembrato che
desse maggiore pregnanza (mentre la
notte partoriva il giorno) ai versi “…Ho
visto / Venere lucere nel mio...” eccetera eccetera.
Crescenzo Guadagno
39
Poesie del Laboratorio
ARTISTA FINITO
Non è che lui non volesse dirti
come li produceva quelli
stramaledetti versi se
poi se ne andava
di fretta col vento
chè anche lui il
muratore
taceva
di sé
e
sempre
pensava
calce acqua
rossi mattoni
cemento nativo
nella riserva a nord
il segreto svelato a
contratto, legna in cambio
di case, emozione che si fa
arte e lavoro di solitari
artigiani oscura la bottega
priva di adepti di sera
e di giorno alle ore
che si fanno tristi
senza un motivo
dove hai visto
imparato
traffici
forse
si
di
navi
nell’acqua
nel cielo
ti guardo
dentro intimità
non poi criptate
più di tanto per vendite
rese necessarie dalla
sopravvivenza contrattuale
artista finito
Paolo Senni G. M., SPE Sonetti preghiere elegie, Pendragon 2007, pag. 35
40
Poesie del Laboratorio
Forse è così, che ti vedrò partire
Rispetterò la veglia per la salma
col cuore affranto, smarrito e spaventato
attenderò che si alzi al cielo in volo
l’essenza pura della tua anima provata
che si comprima a terra spoglia
l’assenza tracimante che mi lasci.
Ma tu diventerai leggero
già libero del tempo che si è spento
sospeso su nell’aria
insieme alle correnti naturali
io ne accetterò il verdetto
e lo farò come farebbe un uomo
che continua ad amare la sua patria
da lontano, nel castigo crudele dell’esilio
lacrimerò discreto
comprimendo nei pugni tremolanti
tutta l’angoscia delirante
che deriva dalla perdita di un padre
lascerò l’invisibile dolore
implodere nell’angolo più buio del suo male
lungo la scia nervosa di memorie
madide di amore e di tempeste
mi getterò nel vuoto soffocante del silenzio
che stringe forte al collo la sua presa
affianco al suo immenso e vaneggiante dilagare
senza più alcuna voce familiare di speranza
proverò ad arginare in qualche modo
il flusso aggressivo dei pensieri
che ad oggi ancora, non afferra il senso
di una vita esuberante, che scompare.
Bologna, 10 Febbraio 2014 - Addio papà … il tuo Piero
Piero Saguatti
41
Addio papà, oggi mi lasci un
po’ più povero dentro.
Qualche anno fa, se non erro
nel 2006, ti dedicai questa mia
poesia scritta già immaginando
la tua perdita; te la lessi, non
commentasti.
Credo però che tu avessi compreso bene, tutto l’amore che
esprimeva, preferendo il nobile
silenzio a qualsiasi commento
inopportuno.
Ora che la rileggo per pubblicarla, mi rendo conto che non
sbagliai nell’anticipare la prostrazione emotiva che ne sarebbe scaturita, quella che proprio oggi 10 Febbraio 2014 mi
ha devastato l’anima… irrimediabilmente.
Il racconto a cura di Valeria Bragaglia
A nanna
l’aveva semplicemente battezzata e a
secondo del momento e delle necessità
affettive dava una intonazione più o
meno tenera, arrivando ad abbracciarla
e con tono sognante a dire “aaa nannaaa”! E’ ancora oggi compagna inseparabile nel sonno; assieme a Juan Carlos nel lettino va sempre lei, così come
è la prima cosa, scusate, il primo personaggio che viene preparato negli spostamenti. Via via che il tempo passava
essa prendeva più confidenza e da compagna di letto diventava anche compagna di giochi. Come Linus, anche Juan
Carlos girava e gira trascinandosi la copertina. Non c’è centimetro quadrato
del pavimento della nostra casa e di tutti i luoghi dove siamo stati che non sia
stato spolverato dalla nanna. C’era stato
un periodo in cui Juan Carlos passava
un angolino della nanna sotto il naso e,
magnanimamente, invitava le persone
care a fare altrettanto. Anche la nanna,
come tante dive, ha le sue manie e le
sue bizze. La più evidente è che non
ama acqua e sapone. In tre anni o poco
più di vita ha visto questi elementi pochissime volte e sempre contro la volontà sua e del suo protetto. C’è un rifiuto preventivo a che sia lavata, e
quando ciò accade deve avvenire in una
giornata che garantisca una rapida
asciugatura, talvolta aiutata con
l’asciugacapelli. E l’attesa è vissuta
sempre con la preoccupazione che oltre
allo sporco, col lavaggio venga via parte del prestigio, del fluido benefico che
la nanna possiede.
La nanna è una copertina di lana fatta ai
ferri da mia moglie per il figlio che tanto abbiamo aspettato e che abbiamo
adottato in Perù. Ha origini nobili essendo figlia di una giacca disfatta e la
lana, rinvigorita con i vapori dell’acqua
che bolliva in un pentolino, è stata raccolta in gomitoli. Sono così nate due
nuove creature, figlie di una stessa madre, ma non gemelle. Una è, appunto, la
nanna, sua sorella è un golfino. Nel
viaggio in Perù, l’avevamo portata, a
Cusco, per il bimbo a cui eravamo stati
abbinati. La nanna era un oggetto utile
a scaldare Juan Carlos quando lo portavamo fuori sul passeggino o in braccio;
se il piccolo dormiva nella culla era coperto dalle lenzuola e dalle copertine
della casa che ci ospitava, mentre la
nanna veniva messa sulla sponda del
lettino. Juan Carlos, quando si svegliava, la vedeva per prima e la ritrovava e
ne veniva a contatto ogni volta che andavamo fuori, venendosi così a creare
una sorta di tenera complicità fra i due:
la nanna dava calore a Juan Carlos e gli
faceva sentire la sua morbidezza di copertina e lui la gratificava mostrandole
compiacimento e gratitudine. Nel viaggio di ritorno in aereo dal Perù in Italia
la nanna non era stata chiusa in una valigia, ma adagiata in un sedile e talvolta
sopra Juan Carlos per confermargli il
suo affetto e la sua devozione. A Bologna la nanna aveva rivendicato il suo
posto d’onore come guardiano del sonno di Juan Carlos. Così di notte o nei
riposini del giorno essa stava sempre a
cavallo di una sponda del lettino, ma un
bel giorno era scivolata dentro la culla e
lì era rimasta. Quando Juan Carlos aveva cominciato a
parlare la copertina che serviva per fare
la nanna aveva preso questo nome. Lui
Nunzio Sipione
42
Giochi, indovinelli ed altro di Sandro Sermenghi ed altri
FÔLA DLA FURMÎGA
PAR SAN MARTÉIN
Laboriåusa furmighéina
ch'la zarchèva na granléina
da purtèr ai sû fradî,
vagabånda la s truvé,
da un udåur calamitè,
dàntr a cla pastizarî,
zå stra él schèrp di luvigión
ch'sursegièven tè ai limón
con di crâfen pén éd cramma.
Mänter svélta la bdalèva
brîsl in tèra la biasèva
sanza avair inciónna tamma:
cum l'é bôna la vanégglia,
la pensèva in sguzuvégglia,
e la pâna... che savåur!
Mo inpruvîs e inprevedébbil
un scarpån cme un dirizébbil
ai stianché ahi! che dulåur
zanp ed anc sänza cuntrôl,
pî, antànn, ucèl e dént
e dla bici i muvimént!
FAVOLA DELLA FORMICA
PER SAN MARTINO
Laboriosa formichina
che cercava una granellina
da portare ai suoi fratelli,
vagabonda si trovò,
da un odor calamitata,
dentro quella pasticceria,
giù fra le scarpe dei ghiottoni
che sorbivan tè ai limoni
con dei krapfen pieni di crema.
Mentre svelta pedalava
briciole in terra lei masticava
senza aver nessuna tema:
com'è buona la vaniglia,
lei pensava in gozzoviglia,
e la panna... che sapore!
Ma improvviso e imprevedibile
uno scarpone qual dirigibile
le spezzò ahi! che dolore
zampe ed anche senza controllo,
piedi, antenne, occhiali e denti,
e della bici i movimenti!
Lî la tgnèva sänpr al côl
par furtóuna al celulèr
ch'al s'inpié par psair ciamèr
Lei teneva sempre al collo
per fortuna il cellulare
che si accese per chiamare
Prånt Sucåurs/TAC dal 118
che a Vigåurs tótt int un bòt
al la fé ricoverèr:
Pronto Soccorso/TAC del 118
che a Vigorso tutto in un botto
la fece ricoverare:
lé i fénn pió d na puntûra,
pò una sèna medgadûra
e ala fén la muradûra.
lì le fecer più d'una puntura,
poi una sana medicatura
e alla fin l'ingessatura.
La murèl l'é quassta qué::
mâi fidèrs ed zért udûr
ch'i én såul turlupinadûr,
La morale è questa qui:
mai fidarsi di certi odori
che son sol turlupinature,
méi na mécca ed pan stinté
con na gåzza d'âcua pûra
che un bignè... con la fratûra!
meglio una mica di pane stantìo
con una goccia d'acqua pura
che un bignè... con la frattura!
Sandro Sermenghi
43
Cognome e nome
Andraghetti Fosca
Bacchi Alessandro
Bastelli Anna
Boari Carlo
Boriani Anna Maria
Bragaglia Valeria
Calotti Gian Pietro
Caruso Maurizio
Casetti Rosalba
Colonnello Tommaso
Corradi Livia
Cuoco Luigi
Cvetaeva Marina
Demi Cinzia
De Pauli Oscar
Durante Francesco
Fabbi Floriano
Falcucci Angela
Finzi Zara
Generali Alessandra
Giglio Rosy
Gresleri Mirella
Grosso Piera
Guadagno Crescenzo
Iattoni Maria
Leopardi Giacomo
Lipari Franco
Manini Elio
Marisaldi Maria Luisa
Masala Alberto
Maselli Anna
Mattioli Paola
Mazzacurati Augusto
Minarelli Nadia
Morelli Arnaldo
Notari Silvano
Pellizzari Emelina
Indice
N° di pag.
25
9
4, 19
14
12, 13
4, 14, 42
5, 9, 15
1 di cop.
2, 3, 5, 22
9
22,
23,
16, 17
37, 38
1, 4, 7, 11, 39.
30, 31
1
4, 21, 30, 31
22
23
24,
33
24,
7, 10, 39
1, 4, 24, 35
19
34
Cognome e nome
Penzo Gabriella
Pinghini Chiara
Pisani Graziella
Saguatti Piero
Sangiorgi Marina
Santandrea Viviana
Sermenghi Sandro
Senni Paolo
Sipione Nunzio
Tarroni Amleto
Tieghi Aurelia
Tinarelli Luciana
Tomba Patrizia
Tosi Paola
Vannini Giovanni
Venzi Andrea
Verdoya Malena
Villani Maggi Maria S.
Zucchini Anna
4, 20, 4 di cop.
13
2, 3
11
36
18
26
26
4, 15, 26
27
44
N° di pag.
4, 26, 27
25
5, 21
4, 41
16, 17
20, 28
43
40
42
29
4, 29
36
32
1, 6, 32
8, 34
35
4
5
4, 12
Movimento Difesa del Cittadino (MDC) è un’associazione dei Consumatori
senza scopo di lucro, nata a Roma nel 1987, che opera a livello nazionale
ed è indipendente da partiti e sindacati. MDC è membro del Consiglio
Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU) costituito presso il
Ministero dello Sviluppo Economico, di Consumers’ Forum ed è anche
Associazione di Promozione Sociale riconosciuta dal Ministero del Lavoro
e delle Politiche sociali. Inoltre collabora con Legambiente e le principali
associazioni nazionali di tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori.
MDC
Promuove la Tutela dei Diritti dei Cittadini, informandoli e dotandoli di
strumenti giuridici di autodifesa, prestando Assistenza e Consulenza
Legale su problematiche collettive ed individuali.
Porta avanti una serie di iniziative per rendere i cittadini sempre più
informati su come contrastare le Insidie del Mercato, anche attraverso
Azioni Legali per la Difesa degli Interessi Collettivi e Diffusi.
I cittadini che hanno bisogno di un consiglio e
assistenza legale in tema di famiglia, lavoro, proprietà
e locazione di immobili (liti condominiali), consumo e
commercio, infortunistica stradale e multe, viaggi e
turismo, possono usufruire previo tesseramento della consulenza
GRATUITA di un esperto.
SI RICEVE TUTTI I MARTEDì SOLO SU APPUNTAMENTO
DALLE 17:00 ALLE 20:00
E TUTTI I GIOVEDÌ ANCHE SENZAAPPUNTAMENTO
DALLE 17:00 ALLE 20:00
PRESSO LA SEDE DEL CIRCOLO LA FATTORIA
Per maggiori informazioni: tel. 051505117, E-mail [email protected]
I pittori del Laboratorio di Parole
Elio Manini “Orto urbano” olio su tela cm. 70 x 70 Bologna 2013
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