Brani Grosso

Mercoledì 19 marzo 2014
1534 - 1541
Il Giudizio Finale
Selezione di brani a cura di Marsel Grosso, letti da Claudia Gambino e
Federico Meccoli, allievi attori della Scuola del Piccolo Teatro di Milano
1. Sebastiano del Piombo, da Roma, a Michelangelo, a Firenze, 17 luglio 1533:
«Nostro Signore me ha hordenato che io ve debbia scriver per parte de Sua Sanctità che l’à molto
ben lecto et rilecto et considerato el penultimo capitolo de la vostra littera, quale vi risponde che
state de bona voglia, che ha deliberato, inanti che tornate a Roma, lavorar tanto per vui quanto
havete facto et farete per Sua Santità, et farvi contrato de tal cossa che non ve lo sogniasti mai.
Queste parolle non sonno rasonamenti che sia stati tra nui. Sua Sanctità me ha comesso che ve lo
debia scriver da parte sua; et si notate bene, sonno parolle che importano assai. Et sapete come papa
Clemente si guarda del prometer di questa maniera. Adesso possete esser chiaro e star col vostro
animo in reposso. E viva papa Clemente! E possino esser destrutti tutti quelli che con malignio
animo interpretrano le opere sue et fano comenti a la riversa contro a Sua Sanctità!».
Il carteggio di Michelangelo, ed. postuma di P. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, IV, p. 18, n. CMX.
2. Da Ascanio Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti, 1553:
«Egli son già trenta anni ch’io ho questa voglia, e ora che son papa non me la posso cavare? Dove è
questo contratto? Io lo voglio stracciare».
A.Condivi, Vita di Michelagnolo Buonarroti [1553], a cura di G. Nencioni, Firenze 1998, p. 46.
3. Contratto per il Giudizio Finale, 1 settembre 1535:
«Itaque te supremum Architectum, Sculptorem et Pictorem eiusdem Palatii nostri apostolici
auctoritate apostolica deputamus, ac nostrum famigliarem cum omnibus et singulis gratiis,
prerogativis, honoribus, oneribus et antelationibus [...] Et insuper, cum Nos tibi pro depingendo a te
pariete altaris Cappellae nostrae pictura et historia Ultimi Judicii ad laborem et virtutem tuam in hoc
et caeteris operibus in Palatio nostro a te, si opus fuerit, faciendis, remunerandos et satisfaciendos
introitum et redditum mille et ducentorum scutorum auri annuatim ad vitam tuam promiserimus,
prout etiam promittimus per presentes».
I contratti di Michelangelo, a cura di L. Bardeschi Ciulich, Firenze 2005, pp. 211-212, n. LXXXIX.
4. Da Giorgio Vasari, Vita di Michelagnolo Buonarruoti, 1550:
«Ritornato all’opera, e in quella di continuo lavorando, in pochi mesi a ultima fine la ridusse, dando
tanta forza alle pitture di tal opera, che ha verificato il detto di Dante: “morti li morti e i vivi parean
vivi”; e quivi si conosce la miseria dei dannati e l’allegrezza de’ beati.
Onde, scoperto questo Giudizio, mostrò non solo essere vincitore de’ primi artefici che lavorato vi
avevano, ma ancora nella volta, ch’egli tanto celebrata avea fatta, volse vincere sé stesso; et in
quella di gran lunga passatosi, superò sé medesimo, avendosi egli immaginato il terrore di que’
giorni, dove egli fa rappresentare, per più pena di chi non è ben vissuto, tutta la sua Passione,
faccendo portare in aria da diverse figure ignude la croce, la colonna, la lancia, la spugna, i chiodi e
la corona, con diverse e varie attitudini, molto difficilmente condotte a fine nella facilità loro».
G. Vasari, La vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568 [1550 e 1568], a cura di P. Barocchi, I-V,
Milano-Napoli, I, p. 76.
5. Pietro Aretino, da Venezia, a Michelangelo, a Roma, 16 settembre 1537:
«Ma io sento che con il Fin de l’universo che al presente dipignete, pensate di superare il Principio
del mondo che già dipigneste, a ciò che le vostre pitture, vinte da le pitture istesse, vi dieno il
triompho di voi medesimo. Ma chi non ispaventarebbe nel porre il pennello nel terribil suggetto? Io
veggo in mezzo de le turbe Antichristo con una sembianza sol pensata da voi. Veggo lo spavento ne
la fronte dei viventi. Veggo i cenni che di spegnersi fa il sole, la luna e le stelle. Veggo quasi esalar
lo spirto al fuoco, a l’aria, a la terra et a l’acqua. Veggo là in disparte la Natura esterrefatta,
sterilmente raccolta ne la sua età decrepita. Veggo il Tempo asciutto e tremante, che per esser
giunto al suo termine siede sopra un tronco secco. E mentre sento da le trombe degli angeli scuotere
i cori di tutti i petti, veggo la Vita e la Morte oppresse da spaventosa confusione, perché quella
s'affatica di rilevare i morti e questa si provede di abattere i vivi».
Il carteggio di Michelangelo, ed. postuma di P. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, IV, pp. 83-84, n. CMLII.
6. Dal Libro del Profeta Ezechiele, 37,4-6:
«Ossa inaridite udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio
entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di
voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore».
La Sacra Bibbia, a cura della Conferenza episcopale italiana, I, Città del Vaticano 2008.
7. Dante, Inferno, III, vv. 109-120
Charon dimonio, chon occhi di bragia
loro accennando tutti gli raccoglie;
batte chol remo qualunche s’adagia.
Chome d’autunno si lievan le foglie
L’una appresso dell’altra, fin che ’l ramo
vede la terra tutte le sue spoglie,
Similemente el mal seme d’Adamo
gittasi di quel lito ad una ad una,
per cenni chome augel per suo richiamo.
Chosì sen vanno su per l’onda bruna,
et avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s’aduna.
Dante, Inferno, III, vv. 109-120, in C. Landino, Comento sopra la Comedia, a cura di P. Procaccioli, [Edizione
Nazionale dei Commenti Danteschi], I, Roma 2001, pp. 398-400.
8. Da Giorgio Vasari, Vita di Michelagnolo Buonarruoti, 1550:
«Né si può imaginare quanto di varietà sia nelle teste di que’ Diavoli, mostri veramente d’inferno.
[…] e nel vero la moltitudine delle figure, la terribilità e grandezza dell’opera è tale che non si può
descrivere, essendo piena di tutti i possibili umani affetti et avendogli tutti maravigliosamente
espressi […] Talché chi giudicioso e nella pittura intendente si trova, vede la terribilità dell’arte, et
in quelle figure scorge i pensieri e gli affetti, i quali mai per altro che per lui non furono dipinti così;
vede ancora quivi come si fa il variare delle tante attitudini negli strani e diversi gesti di giovani,
vecchi, maschi, femmine: nei quali a chi non si mostra il terrore dell’arte, insieme con quella grazia
che egli aveva da la natura, perché fa scuotere i cuori di tutti quegli che non son saputi, come di
quegli che sanno in tal mestiero.
Vi sono gli scorti che paiono di rilievo, e con la unione, la morbidezza e la finezza nelle parti delle
dolcezze da lui dipinte, mostrano veramente come hanno da essere le pitture fatte da’ buoni e veri
pittori; e vedesi nei contorni delle cose, girate da lui per una via che da altri che da lui non
potrebbono esser fatte, il vero giudizio e la vera dannazione e ressurressione».
G. Vasari, La vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568 [1550 e 1568], a cura di P. Barocchi, I-V,
Milano-Napoli, I, pp. 79-81.
9. Nino Sernini, da Roma, a Ercole Gonzaga, a Mantova 19 novembre 1541:
«Io non trovo nissuno a cui basta l’animo di ritirare così in furia quello che nuovamente ha dipinto
Michelangelo, per essere opera grande e difficile, essendovi più di cinquecento figure e di sorte che
a ritrarne solamente una credo metta pensiero agli dipintori. Ancor che l’opera fosse di quella
bellezza che pò pensare V. Ill.S., non manca in ogni modo chi la danna; gli r.mi Chietini sono gli
primi che dicon non star bene gli inudi in simil luogo, che mostrano le cose loro, benché ancora a
questo ha avuto grand.ma consideratione, che a pena a dieci di tanto numero si vede disonestà. Altri
dicono che ha fatto Christo senza barba et troppo giovane et che non ha in se quella maestà che gli
si conviene, et così in somma non manca chi dica, ma il r.mo Cornaro, che è stato lungamente a
vederla, ha detto bene, dicendo che, se Michelangnolo gli vuol dare in quadro solamente dipinta una
di quelle figure, gli la vuol pagare quello ch’esso gli dimanderà, et ha ragione, per esser a creder
mio cose che non si possono veder altrove [...] con tutto questo vedrò d’havere almeno uno schizzo
acciò che V. S. Ill. possa vedere il compartimento che ha fatto […] et sarà opera, quando la vedrà,
assai diversa da quello che essa si pensa, perché si conosce che tutto il suo sforzo ha messo in fare
figure bizzarre et in atti diversi».
L. Barone von Pastor, Storia dei papi […], V, Roma 1942, pp. 807-808, n. 44.
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