Brani Brodini

Mercoledì 16 aprile 2014
1546 - 1557
Le architetture per Paolo III: Palazzo Farnese e San Pietro
Selezione di brani a cura di Alessandro Brodini, letti da Federico Meccoli,
allievo attore della Scuola del Piccolo Teatro di Milano
1. Lettera di Prospero Mochi a Pier Luigi Farnese, 2 marzo 1547:
«Per darli trastullo, le do nove del suo palazzo. Quantunque penso quella ne abbia più ragguagli,
però, per far parte di mio debito, mi godo di andarlo a veder spesso per mio contento. La facciata di
avante è quasi in alto per finita sino alli ultimi finestrati, sol vi manca il cornicion, qual ha da far
gronda e finimento, del qual ne è stato messo un pezzo per pruova verso il canton di San Girolamo
per satisfare Sua Beatitudine».
G. Vasari, La vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568 [1550 e 1568], a cura di P. Barocchi, MilanoNapoli 1962, IV, p. 1530.
2. Giovanni Francesco Ughi, da Firenze, a Michelangelo, a Roma, dopo 14 maggio 1547:
«Michellagnolo carissimo, salutem ecc. Per il passato non v’ho scripto per non mi essere acaduto;
né manco hora v’arei scritto, se non che qua è venuto Iacopo del Conte con la mogl[i]e di Nanni di
Baccio Bigio, et dice […] infinite cose contro allo honore vostro et alla bona fama vostra; et infra
l’altre cose che lui dice, che voi avete facto un modello d’una cornice al palazo di Farnese tanto
grande, che anchora sia di legno, s’è avuto a puntellare la faciata; che spera che a ogni modo voi
haviate a far rovinare decto palazzo, et ve ne habbia a sequire qualche ruina; et così va dicendo
mille pazzie di voi».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, Firenze 1965-1983, pp.
267-268, n. MLXXXIII.
3. Michelangelo, da Roma, al nipote Leonardo, a Firenze, 2 maggio 1548:
«Lionardo, io ebbi il [c]aratello delle pere, che furono octanta sei, manda’ne trenta tre al Papa:
parvo’gli belle e ebele molto care […] Io sono stato a questi dì molto male per non potere orinare,
perché ne son forte difectoso; pure adesso sto meglio: io te lo scrivo, perché qualche cicalone non ti
scriva mille bugie per farti saltare. Al prete dì che no mi scriva più ‘a Michelagniolo scultore’,
perché io non ci son conosciuto se non per Michelagniolo Buonarroti, e che se un cictadino
fiorentino vuol fare dipigniere una tavola da altare, che bisognia che e’ truovi un dipintore: ché io
non fu’ mai pictore né scultore come chi ne fa boctega. Sempre me ne son guardato per l’onore di
mie padre e de’ mia frategli, ben io abbi servito tre papi, che è stato forza».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, Firenze 1965-1983, p.
299, n. MCIX.
4. Michelangelo, da Roma, a Giorgio Vasari, a Firenze, 1 agosto 1550:
«Messer Giorgio amico caro […] circa le vostre tre ricievute, io non ò penna da rispondere a tante
altezze, ma se avessi caro di essere in qualche parte quello che mi fate, non l’arei caro per altro se
non perché voi avessi un servidore che valessi qualche cosa. Ma io non mi meraviglio, sendo voi
risucitatore d’uomini morti, che voi allunghiate vita a’ vivi, o vero che i mal vivi furiate per infinito
tempo alla morte».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, Firenze 1965-1983, pp.
346-347, n. MCXLVIII.
5. Verbale del Consiglio Capitolino, Michelangelo incaricato dei lavori a Ponte Rotto, 6 agosto
1548:
«Maturamente s’intenderà a questa instaurazione del ponte […] Et per venire alla conclusione
devemo considerare et provedere chel denaro si spenda bene et onorevolmente con l’occio del
sapiente che in ciò soprastìa, come pensiamo in Messer Michael Angelo Buonarrota huomo
singolarissimo la cui virtù n’è stata commendata da Sua Santità et ne l’ha proposto, il quale, como
si crede, per compiacere a Sua Beatitudine et per far cosa grata a questo Popolo non mancharà de
pigliare questa fatiga con l’altre che fa nelle nostre fabriche publiche come buono cittadino romano
et affettionato di questa patria».
A. Bedon, Il Campidoglio, Milano 2008, p. 87.
6. Lettera di due Deputati al terzo Deputato della Fabbrica di San Pietro, 2 dicembre 1546:
«L’altro giorno Michelangnelo, andando in Santo Pietro, essendo stato nel modello, disse che era
bene che si intertenesse il murare per bon rispetti. Et da poi el detto M[esser] Michelangnolo
chiamò maestro Giovanni nostro et Antonio Labaccho, et li disse a tutti doi insieme che si
trovassero recapito, che non gli voleva più in Santo Pietro, perché voleva mettere homini soi».
L. Bardeschi Ciulich, Documenti inediti su Michelangelo e l’incarico di San Pietro, in «Rinascimento. Rivista
dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento», XVII, 1977, p. 243.
7. Parole di Michelangelo riportate in una lettera dei Deputati, 26 febbraio 1547:
«Da poi che Sua Santità me ha dato carico della fabrica di Santo Pietro, io dico che non voglio che
altri se ne impaccia si non io […] et non voglio che si gli habbino da fare nella fabrica tanti inganni
et robbarie, che intendo che il medesmo che è venditore di tevertine, è quello che fa il patto; et non
voglio che si muri con altra calcia, pretre et puzolana che quella mi piacie a me».
L. Bardeschi Ciulich, Documenti inediti su Michelangelo e l’incarico di San Pietro, in «Rinascimento. Rivista
dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento», XVII, 1977, p. 258.
8. Lettera dei Deputati della Fabbrica al papa Paolo III, Roma, 4 settembre 1548:
«Beatissimo Pater,
Nell’architettura di Santo Pietro, secondo l’ordine di Vostra Santità, non si preterisce ponto di
quanto vuol M[esser] Michelangelo. Vero è che dalli ministri nelle opere et materiali dubitiamo
d’esser ingannati, perciò […] havemo deputato uno soprastante molto discreto, intelligente, et da
bene, e che altro non facesse salvo aprir gli occhi et referir a noi. Al quale li detti ministri, deputati
da Messer Michelangelo, prima lo ripresero del suo stare presente, secondariamente lo licentiorno,
tertio lo minorno, et tutto questo secondo la nostra instructione esso lo patì modestamente, quarto
l’insultorno con bastoni. Et esso Messer Michelangelo li menò per darli un buffetto, lo quale esso
commissario lo reparò con una mane. Dall’altro canto Urbino lo prese per li bracci stretto dicendoli
ch’era stato uno tristo et uno g[h]iotto […] et disse queste parolle: “Si tu torni, più tu non te ne
partirai”».
I contratti di Michelangelo, a cura di L. Bardeschi Ciulich, Firenze 2005, pp. 272-273, n. CXV.
9. Lettera del card. Marcello Crescenzi ai Deputati della Fabbrica, Roma, 13 marzo 1550:
«Nostro S[ignore] mi commise hieri caldamente […] che io facesse intendere a Vostre S[ignorie]
che debbano restituire et reconsignare le chiave di quella Fabrica a M[esser] Michelangelo
Bonaroti, che era solito tenerle pel passato. Però saran contente fargliele dare subito et lassare
lavorare secondo l’ordine suo, come solito farsi a tempo della buona et santa memoria di Paulo, che
così è mente di Sua Beatitudine, con queste parole di più, che quando esso M[esser] Michelangelo
non potrà attendere più, bisognerà per sua virtù imbalsamarlo».
I contratti di Michelangelo, a cura di L. Bardeschi Ciulich, Firenze 2005, p. 284, n. CXXII.
10. Michelangelo a un Bartolomeo, Roma, fine 1546 o inizio 1547:
«[Sangallo] con quel circulo che e’ fa di fuori, la prima cosa toglie tucti i lumi a la pianta di
Bramante; e non solo questo, ma per sé non ha ancora lume nessuno; e tanti nascondigli fra di sopra
e di socto, scuri, che fanno comodità grande a nfinite ribalderie: come tener segretamente
sbanditi, far monete false, impregniar monache e altre ribalderie».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, Firenze 1965-1983, IV,
pp. 251-252, n. MLXXI.
11. Michelangelo, da Roma, a Giorgio Vasari, a Firenze, 1 luglio 1557:
«La céntina segniata di rosso la prese il capo maestro in sul corpo di tucta la volta; dipoi, come si
cominciò a pressare al mezzo tondo, che è nel colmo di decta volta, s’achorse dell’errore che facea
decta centina […]. Con questo errore è ita la volta tanto inanzi, che e’ s’ha a disfare un gran numero
di pietre, perché in decta volta non ci va nulla di muro ma tucto traverti[no]. […] Questo errore,
avendo il modello facto a punto com’io fo d’ogni cosa; ma è stato per non vi potere andare spesso
per la vechieza, e dove io credecti che ora fussi finita decta volta, non sarà finita in tuctucto questo
verno; e se si potessi morire di verg[og]nia e dolore, io non sarei vivo».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, I-V, Firenze 1965-1983,
V, pp. 113-114, n. MCCLXI.
12. Michelangelo, da Roma, al nipote Leonardo, a Firenze, dopo il 15 settembre 1557:
«Le cose mia di qua vanno non troppo bene: io dico circa la fabrica di Santo Pietro, perché non
basta ordinare le cose bene, ch’e’ capo mae[s]tri, o per ignioranza o per malitia, fanno sempre il
contrario, e a me tocha la passione dell’er[ror] mio».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, I-V, Firenze 1965-1983,
V, p. 119, n. MCCLXIV.
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