Brani Battezzati

Mercoledì 7 maggio 2014
1562 - 1564
L’ultimo Michelangelo: la Pietà Rondanini, la fine
Selezione di brani a cura di Chiara Battezzati, letti da Claudia Gambino e Nicolò Parodi,
allievi attori della Scuola del Piccolo Teatro di Milano
1. Michelangelo, da Roma, a Leonardo Buonarroti, a Firenze, 28 dicembre 1563:
«Lionardo, ebbi la tua ultima con dodici marzolini begli e buoni: te ne ringratio, rallegrandomi del vostro
buon essere, e ‘l simile è di me. E avendo ricevuto pel passato più tua, e non avendo risposto, è mancato
perché la mano non mi serve; però da ora inanzi farò scrivere altri e io soctoscriverò. Altro non m’achade».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, V, Firenze 1983, p. 311,
n. MCCCXCI.
2. Tiberio Calcagni, da Roma, a Leonardo Buonarroti, a Firenze, 14 febbraio 1564:
«Molto magnifico m. Lionardo, io non vi ho mai scritto per non mi si esser porta la occasione, e la che mi si
porge ora non è però di molta importanza. Pure non ho voluto manchare di avisarlavi. Questo è perché,
andando per Roma oggi, mi è stato detto da molti che messer Michelang(nio)lo stava male. Sono ito subbito
da lui; et con tutto che piovessi, lo ho trovato fuori di casa a piede. Qual[e] visto, li dissi che non mi pareva a
proposito andar lui, a questi tempi, fuori. “Che vòi tu ch'io facci? Io sto male e non trovo quiete in luogo
alcuno”. E mai più, con lo svariar delle parole e con la cera, mi ha fatto temer della sua vita, se non hora; e
ne dubito forte che la non manchi fra poco. Però non si deve dispera[r] della grati a divina, la quale per Sua
pietà ce lo conceda ancor per qualche poco. E di qui incorrerei in conforti quali più tosto si convengono di
voi verso di me, che di più età e sapere siate che io non sono. Basta che mi sarà carissimo altra modo che
questa mia non sia imbasciatrice di mala novella. […] E con questo resto vos(trissi)mo, confortandola a
ralegrarsi et allo haver pacienzia secondo quello seguirà. […] Tutto vostro Tiberio Calcagni scultore».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, V, Firenze 1983, p. 313,
n. MCCCXCII, nota 2; Il carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi, K. Loach Bramanti e R. Ristori, II,
Firenze 1995, pp. 169-170, n. 365.
3. Diomede Leoni, da Roma, a Leonardo Buonarroti, a Firenze, 14 febbraio 1564:
«Magnifico m. L[e]onardo honorando, io ho pigliata cura di indirizarvi questa alligata lettera, scritta da m.
Daniello Ricciarelli da Volterra et sottoscritta da m. Michelangelo vostro zio, per la quale intenderete la sua
indispositione, che cominciò hiermattina, et la sua volontà che voi veniate a Roma. Dove io vi essorto a
venire subito, ma tanto consideratamente che non mettiate voi medesimo in pericolo per voler correre le
poste per così cattive strade et fuori del solito vostro, per esser simile moto di correre a chi non è usato non
solamente violento ma pericoloso; et tanto più dovete ingegnarvi di condurvi sano et maturamente, quanto
potete esser certo che m. Tomaso del Cavaliere, m. Daniello et io non siamo per mancare in assentia vostra
di ogni offitio possibile per honore et utile vostro. Oltre che Antonio, vecchio servitore et fedele di Messere,
è per rendere buon conto di sé in quale si voglia occasione che piacerà a Dio di mandare. […] Di nuovo vi
essorto a non usar diligentia troppa straordinaria nel venire, ma sì bene che vi partiate subito, perché se il
male di Messere sarà di pericolo, che Dio nol voglia, voi non sareste a tempo di trovarlo vivo, quando anche
usaste più diligentia nel venire che non è possibile usare, perciò che la sorte del male et la sua straordinaria
età non lo possono condurre in lungo. Vi ho scritto sinceramente la mia opinione, rimettendo poi il resto a la
vostra prudentia. […]
Ma per rendervi un poco di conto de lo stato di Messere fino a questa hora, che è la terza di notte, vi dico che
poco fa lo lassai levato, con buon sentimento et conoscimento ma molto gravato da una continua sonnolentia;
la quale per voler cacciar via, hoggi fra le 22 et 23 volle far prova di cavalcare, secondo il suo solito di ogni
sera quando fa buon tempo; ma il freddo de la stagione et la sua debolezza di testa et di gambe lo
impedirono, et così se ne ritornò al foco, assentato in una sedia, dove sta molto più volentieri che in letto.
Tutti preghiamo Dio che ce lo conservi anchora qualche anno et che vi conduciate salvo voi, al quale mi
raccomando strettissimamente. Di Roma, lì 15 di febraro 1564, su le 3 di notte. Paratissimo per servirvi
sempre Diomede Leoni».
Il carteggio di Michelangelo, edizione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e R. Ristori, V, Firenze 1983, pp. 314315, n. MCCCXCII; Il carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi, K. Loach Bramanti e R. Ristori, II,
Firenze 1995, pp. 172-173, n. 358.
4. Dall’inventario dei beni post mortem, 19 febbraio 1564:
«In una stantia a basso, coperta a tetto: un’altra statua principiata per uno Christo con un’altra figura di
sopra, attaccate insieme, sbozzate et non finite».
A.M. Corbo, Documenti romani su Michelangelo, in «Commentari», N.S., 16, 1965, pp. 128-129, n. 70.
5. Anonimo fiorentino descrizione dell’arrivo della salma a Firenze, 10 marzo 1564:
«X Marzo 1564, venerdì a ore 20, arrivò in Firenze il cadavere di M. Buonarroti, trafugato di Roma da
Lionardo, suo nipote, in una balla di mercanzia. Fu ritrovato incorrotto in una cassa di legname soppannata
di piombo, ed era vestito con un robone di damasco nero, e cogli stivali e gli sproni in gamba, ed in capo un
cappello di seta all’antica col pelo lungo di felpa nera. Fu portato a S.ta Croce».
J.W. Gaye, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, II, Firenze 1840, p. 133.
6. Daniele da Volterra, da Roma, a Leonardo Buonarroti, a Firenze, 11 giugno 1564:
«Molto magnifico et honorando m. Lionardo, per m. Diomede Leoni nostro affe(tionatissi)mo ho receuto la
vostra delli 3 del presente, per la quale intendo la buona accoglie[n]za che m. Giorgio fece della mia che gli
portaste; e non essendo di più inportanzia che tanto l'averne risposta, li potrete dire che io l'ò già assoluto di
questo peccato. Mi increscie bene assai della sua indisposizione. Io non mi ricordo se in tutto quello scritto io
messi chome Michelagnolo lavorò tutto il sabbato della domenicha di carnovale, e llavorò in piedi,
subbiando sopra quel corpo della Pietà. Se io non l'avessi messo, gli ricorderete che non manchi metterlo,
facendo lui l'aggiunta alla sua vita. […] Circha alla sipoltura, mi piace che non si corra a furia, perché
considerandola con te[m]po e consultandone con m. Giorgio, so' certo che si farà chosa che starà bene.
Quanto a e ritratti di metallo, fino a qui io ne ho formata una cera. Si va facendo quanto si può in tal caso e
non si mancherà con la debita diligenzia condurli a fine con quella più presteza che serà possibile. […]
Questi del Papa hanno fatto gran forza d'aver la casa. Io la ho difesa in modo che non credo ci penseranno
più; e acciò che si vegga la casa più abitata, ho messo Iacopo con le sue donne in le stanze che abitavano le
donne d'Antonio. E io non mancho di dormir del continuo nella torre con un de' miei. State sano. Che Dio vi
feliciti. […] Vostro affettionatissimo amico et ser[vito]re Daniele Ricciarelli.»
Il carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Barocchi, K. Loach Bramanti e R. Ristori, II, Firenze 1995, pp. 198200, n. 370
7. Anonimo fiorentino, resoconto delle esequie, dopo il 14 luglio 1564:
«io mi metto a scriverti la presente per farti parte delle bellissime exequie del divinissimo Buonarruoto […].
Nel mezzo della chiesa, quasi dirimpetto al’organo, era fabbricata una machina quadra, la quale faceva tre
gradi, e poi nel mezzo nasceva una pirramide […] alta circha 14 braccia. Et in sul primo grado da piè v’era
dua fiumi in figura d’huomini, grandi fuor dal naturale, a diacere, e sotto il braccio havevano l’urna, che uno
era Arno, il quale mostrava che gli dolessi in modo la morte di tanto e si ecc.mo figlio, che più non versava
acqua, et haveva allato un fierissimo leone; l’altro era il Tevere, tutto maninconico e tristo, pur non tanto che
al solito suo non versasse l’acque, et haveva acanto la lupa con i dua putti, come a l’ordinario si dipingne
l’insegna di Roma. Nel secondo grado erano quattro figure ritte, che n’havevano altre quattro sotto e piedi,
che una era la Virtù, che ha sotto il Vitio, la 2a era l’Arte in forma de Pallade, che ha sotto l’Invidia, la 3a era
lo Studio, che ha sotto la Pigritia, la 4a era il Iuditio, che ha sotto la Ingnoranza. E sopra a queste, nel terzo
grado, erano a sedere in atto che pianghino, la Pittura, la Scultura e la Poesia, e sopra la palla della pirramide
era la Fama […].
Era dipoi questo catafalco o vero pirramide adorna e ripiena di belli[ssi]mi quadri, tutti dipinti in bianco o
scuro, e il primo […] dove si vedeva il magnifico Lorenzo de’ Medici che riceveva Michelagniolo […] e lo
metteva nel suo giardino. Al pari di questo ne seguiva uno altro […], dove era quando Michelagniolo […] fa
fortificare il poggio di S.to Miniato. […] pur al medesimo pari, n’era un altro quando Michelagniolo presenta
a Papa Clemente 7° i disegni della libreria, sagrestia e facciata di S.to Lorenzo. Doppo questo […] era un
epitaffio latino […]. Sopra questi già detti quadri n’era altri quattro che accompagnavono le quattro figure
ritte, cioè Pittura, Scultura, Architettura e Poesia. Per la Scultura v’erano dipinte le fi[g]ure di marmo della
sagrestia di S.to Lorenzo […]; per l’Architettura v’era la fabbrica di S.to Pietro di Roma […]; per la Pittura
v’era la Cappella del Giuditio di Roma […]; per la poesia era ritratto Michelagniolo a sedere, che scrive et ha
Apollo dinanzi che gli mette una corona in testa e le Muse tutte intorno […]. E nel principio della pirramide
[…] in dua tondi, v’era il ritratto naturale di Michelagniolo […]. Era rigirata tutta la chiesa di rovesci neri
doppi, in su’ quali erano diversi quadri bellissimi […] tutti erano ripieni di diverse sorti e gran quantità di
fi[g]ure in diverse e mirabile attitudine […]. L’ufficio divino e la messa furon solennissimamente celebrati
con musica, organo, voce su l’organo e nuove musiche. L’oratione fu celebrata dal Varchi, la quale io non
possetti finire d’udire per la gran calcha, sperando d’haverla a leggere con più agio che quivi non l’ascoltavo.
Il principio mi parve bellissimo, però io spero e credo che la sarà bella e piacevole, e subite che io la possa
havere te la manderò».
The Divine Michelangelo. The Florentine Academy’s Homage on His Death in 1564. A facsimile Edition of Esequie del
Divino Michelagnolo Buonarroti Florence 1564, a cura di R. e M. Wittkower, London 1964, pp. 144-145.
8. Da Giorgio Vasari, Vita di Michelagnolo Buonarruoti, 1568:
«[…] la complessione di quest’uomo fu molto sana, perché era asciutta e bene annodata di nerbi; e se bene fu
da fanciullo cagionevole e da uomo ebbe dua malattie d’importanza, sopportò sempre ogni fatica e non ebbe
difetto; salvo nella sua vecchiezza patì dello orinare e di renella, che s’era finalmente convertita in pietra;
[…]. Fu di statura mediocre, nelle spalle largo, ma ben proporzionato con tutto il resto del corpo. […] La
faccia era ritonda, la fronte quadrata e spaziosa con sette linee diritte, e le tempie sportavano in fuori più
delle orecchie assai; le quali orecchie erano più presto alquanto grandi e fuor delle guance. Il corpo era a
proporzione della faccia e più tosto grande; il naso alquanto stiacciato, come si disse nella Vita del
Torrigiano, che gliene ruppe con un pugno. Gli occhi più tosto piccoli che no, di color corneo, mac[c]hiati di
scintille giallette azzurricine; le ciglia con pochi peli, le labra sottili, e quel di sotto più grossetto ed alquanto
infuori; il mento ben composto alla proporzione del resto; la barba e’ capegli neri, sparsa con molti peli
canuti, lunga non molto e biforcata, e non molto folta.
Certamente fu al mondo la sua venuta, come dissi nel principio, uno esemplo mandato da Dio agli uomini
dell’arte nostra, perché s’imparassi da lui nella vita sua i costumi, e nelle opere come avevano a essere i veri
e ottimi artefici. Et io, che ho da lodare Dio d’infinite felicità, che raro suole accadere negli uomini della
professione nostra, annovero fra le maggiori una: essere nato in tempo che Michelagnolo sia stato vivo, e sia
stato degno che io l’abbia avuto per padrone, e che egli mi sia stato famigliare et amico quanto sa ognuno, e
le lettere sue scrittemi ne fanno testimonio apresso di me. E per la verità e l’obligo che io ho alla sua
amorevolezza ho potuto scrivere di lui molte cose, e tutte vere, che molti altri non hanno potuto fare.»
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini,
commento secolare a cura di P. Barocchi, VI, Firenze, S.p.e.s., 1987, pp. 121-122.
Aiutiamo il FAI e l’ambiente: è possibile scaricare e stampare abstract e letture sul sito del FAI www.fondoambiente.it
a partire dal giorno prima della lezione.