realizzazione grafica: Luca Romanelli- Ufficio Stampa Rai A TESTA ALTA La storia di cinque giovani Carabinieri che a Fiesole nell’estate del 1944, si trovarono a fronteggiare le prepotenze dei tedeschi. Tre di loro, per salvare una decina di civili presi in ostaggio dai nazisti, sacrificarono la loro vita. Un atto eroico che diviene, in un’Italia confusa e martoriata dalla guerra, simbolo del ruolo dell’Arma e della fedeltà alla propria missione. Un film per la tv, per la regia di Maurizio Zaccaro, in onda in prima visione su Rai1, lunedì 2 giugno alle 21.10. PRESENTAZIONE A TESTA ALTA La storia del martirio di tre giovani Carabinieri che a Fiesole, nel 1944, si consegnarono ai tedeschi per salvare la vita di dieci civili innocenti. Il film tv “A testa alta” racconta le gesta eroiche di un piccolo gruppo di militi che, negli anni bui della seconda guerra mondiale, aiutarono i partigiani a liberare l’Italia dai nazisti. Un film per celebrare il coraggio, la dedizione alla propria missione e l’amore per la Patria di uomini che con il loro sacrificio hanno contribuito a scrivere una pagina importante della nostra storia e a rendere grande e gloriosa la divisa della “Benemerita”. Una produzione Rai Fiction realizzata da Sergio Giussani per Ocean Production, per la regia di Maurizio Zaccaro. Con Giorgio Pasotti, Ettore Bassi, Johannes Brandrup, Andrea Bosca, Giovanni Scifoni e con la partecipazione di Nicole Grimaudo, David Coco e Raffaella Rea. Completano il cast Marco Cocci, Alessandro Sperduti, il piccolo Filippo Agnelli, Vittoria Piancastelli, Lavinia Guglielman, Timothy Martin e Maurizio Marchetti. Il soggetto è di Leone Pompucci e Giovanna Mori, che firmano anche la sceneggiatura insieme ad Alessandro Pondi e Paolo Logli. In onda su Rai1, in prima serata lunedì 2 giugno, proprio il giorno della Festa della Repubblica e nell’anno in cui l’Arma festeggia il Bicentenario anni dalla sua fondazione. Fiesole, 1944. La guerra è al suo culmine. Mentre le forze alleate puntano a liberare Firenze, sulle colline, a ridosso del capoluogo toscano, i nazisti si organizzano per contrastarne l’avanzata. In una piccola caserma di campagna, cinque carabinieri, guidati dal vicebrigadiere Giuseppe Amico, il più alto in grado, aiutano come possono i partigiani. I tedeschi, comandati dal tenente Hiesserich, riescono però a scoprire il collegamento tra la caserma dei Carabinieri e la Resistenza. Tendono così un agguato ad una staffetta di collegamento dei partigiani. In quell’occasione uno dei militi, Sebastiano Pandolfo e un giovanissimo partigiano vengono catturati e fucilati. Gli altri Carabinieri riescono a darsi alla macchia e a sfuggire al rastrellamento. Fuggono verso l’Appennino nell’intento di unirsi alle forze della Resistenza per liberare Firenze. Ma i nazisti, fedeli alla stessa logica che li ha animati nel sanguinoso episodio delle Fosse Ardeatine, come ritorsione prendono in ostaggio dieci civili innocenti e minacciano di giustiziarli. In cambio della loro libertà vogliono che i militi scampati all’agguato si consegnino spontaneamente al comando della Wehrmacht. I tre giovani Carabinieri, Alberto La Rocca, Fulvio Sbarretti e Vittorio Marandola vengono raggiunti dalla notizia dell’imminente fucilazione dei civili proprio quando sono vicini a ricongiungersi alle forze di Liberazione della città di Firenze, e sono quindi a un passo dalla salvezza. I tre si trovano in quel momento a dover scegliere tra il loro futuro di libertà e il loro ruolo di simbolo della legalità e della giustizia in una Italia che di simboli non ne ha altri. E scelgono quest’ultimo, consegnandosi ai tedeschi, certi di andare incontro alla morte, ma salvando in questo modo la vita di dieci innocenti e affidando alla storia un esempio di eroismo e di fedeltà alla propria missione. NOTE DI REGIA Nato da un’idea di Leone Pompucci e del produttore Sergio Giussani, ”A TESTA ALTA – I MARTIRI DI FIESOLE”, racconta la storia di un eroico sacrificio, ormai quasi dimenticato. La storia di tre carabinieri della stazione di Fiesole: Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti, che nella torrida estate del 1944 sacrificarono le loro vite consegnandosi ai tedeschi per salvare dieci ostaggi. Personalmente era una vicenda che non conoscevo, ma durante le varie stesure della sceneggiatura e documentandomi a mia volta sui fatti, mi sono appassionato al progetto al punto di riviverlo in prima persona, dall’angolazione non solo “privata” dei tre carabinieri ma anche, e soprattutto, nel contesto storico nel quale si stava compiendo il loro destino. Ho letto nella vicenda di questi tre giovanissimi eroi qualcosa di archetipico dove pensieri, sentimenti, sensazioni e intuizioni, variamente dominanti da individuo a individuo, si fondono in un’unica parola quanto mai decisiva per il futuro delle nuove generazioni: la dignità. Avevano poco più di vent’anni questi tre ragazzi italiani quando il mondo crollò loro addosso, erano figli di un’altra epoca certo, di altri valori, ed è appunto per questo che oggi il loro esempio e appunto la loro dignità assumono un carattere universale, perché riguardano tutti, soprattutto i giovani di oggi che, prima o poi, saranno chiamati a governare questo paese. E’ sulla base di questo pensiero, che mi sono appassionato visceralmente a questi tre carabinieri cercando di dare loro la massima autenticità, strettamente legata all’epoca in cui vivevano, dove gesti e parole erano profondamente diversi dai nostri. In questo ho avuto complici splendidi, di rara professionalità e bravura fra i quali Giorgio Pasotti, Ettore Bassi, Marco Cocci, Andrea Bosca, Giovanni Scifoni e il giovanissimo Alessandro Sperduti che avevo già avuto, ancora bambino, sull’innevato e gelido set di “Cristallo di rocca”. Durante le riprese ho cercato di dare loro il massimo spazio possibile, cercando di capire insieme le varie possibilità che offre una scena per renderla credibile agli occhi dello spettatore, non “finta” o, peggio ancora, “inutile”. Questo è uno dei principali motivi per i quali preferisco girare personalmente con la macchina a mano: per sentirmi libero, ma anche per dare ai miei attori la stessa libertà d’espressione e di movimento. Senza questa libertà e autenticità tutto resta superficiale, poco credibile, e l’attore stesso rischia di diventare solo un’ombra o il “riflesso” di quello che dovrebbe essere. Un film, insomma, che abbiamo cercato di realizzare, tutti insieme, “a testa alta”. Maurizio Zaccaro Rai Fiction Presenta “A TESTA ALTA” Film Tv Regia MAURIZIO ZACCARO Soggetto LEONE POMPUCCI -GIOVANNA MORI Sceneggiatura ALESSANDRO PONDI - PAOLO LOGLI - LEONE POMPUCCI - GIOVANNA MORI UNA PRODUZIONE RAI FICTION realizzata da Sergio Giussani per Ocean Production PERSONAGGI INTERPRETI Giuseppe Amico Giorgio Pasotti Sebastiano Pandolfo Ettore Bassi Tenente Hiesserich Johannes Brandrup Pasquale Ciofini Andrea Bosca Fulvio Sbarretti Giovanni Scifoni e con la partecipazione di Rosa Taranto Nicole Grimaudo Nino Ricci David Coco Bianca Cardinali Raffaella Rea e con Alberto La Rocca Marco Cocci Vittorio Marandola Alessandro Sperduti Pietro il piccolo Filippo Agnelli Levatrice Vittoria Piancastelli Lisetta Lavinia Guglielman Paracadutista Americano Timothy Martin Monsignor Turini Maurizio Marchetti CAST TECNICO Soggetto Leone Pompucci -Giovanna Mori Sceneggiatura Alessandro Pondi -Paolo Logli Leone Pompucci Giovanna Mori RegiaMaurizio Zaccaro Aiuto RegistaLorenzo Molossi FotografiaFabio Olmi CostumiPaola Marchesin ScenografiaPaolo Innocenzi MontaggioDario Indelicato FonicoBenito Alchimede Organizzatore Generale Patrich Giannetti CastingMaurizio Quagliana Musiche Andrea Alessi Produttore Rai Fiction Fabrizio Zappi ProduttoreEsecutivo Emanuele Giussani ProduttoreSergio Giussani per Ocean Productions S.r.l Una produzione Rai Fiction SCENOGRAFIA E ARREDAMENTO La preparazione di ogni film, soprattutto di ambientazione storica, inizia sempre secondo le stesse modalità, con ricerche iconografiche, visite in biblioteche musei e archivi, indagini presso collezionisti, richieste di collaborazione a storici ed esperti, per poi proseguire con acquisti e noleggi di oggetti e mobili. Il percorso però prende ogni volta un indirizzo sorprendentemente diverso, e le soluzioni da affrontare e risolvere si concretizzano a volte improvvisamente come frutto di approfondimenti ed anche di fortuna. Abbiamo dunque iniziato a preparare il TV movie “A testa alta” che racconta del sacrificio di tre carabinieri giustiziati dall’esercito tedesco, nel 1944 a Fiesole, perché si erano offerti al posto di alcuni ostaggi civili, chiedendo la collaborazione agli storici dell’Arma dei Carabinieri, che ci hanno dato tutta la disponibilità per l’accesso al loro museo ed archivio di piazza Risorgimento a Roma. Avendo la necessità di ricostruire l’esterno e l’interno della loro stazione di Fiesole negli anni ’40, servivano fotografie per capire come fosse l’insegna che riportava oltre allo stemma sabaudo anche il fascio littorio, le intestazioni dei fogli e dei documenti di servizio, le schede segnaletiche, i fogli di via, e non ultimo, eventuali immagini di loro uffici. Ci sembrò un piccolo successo quando fra le quantità di ritratti singoli e di gruppo, trovammo quello di un ufficiale carabiniere seduto ad un tavolo militare pieghevole da campo, in missione di guerra, in un ufficio provvisorio e chiaramente riadattato, caratterizzato da una grande mappa attaccata sul muro ed un groviglio di fili elettrici a treccia attaccati a delle prese di bachelite alte, per alimentare lampade, ventilatore, radio e chissà che altro: è stata la base di partenza per l’arredamento dell’ufficio del nostro protagonista, vicebrigadiere Giuseppe Amico. Nel 1944 l’esercito tedesco aveva occupato a Fiesole l’albergo Aurora per utilizzarlo come comando operativo della zona. Nella nostra ricostruzione abbiamo iniziato chiedendo la collaborazione alla responsabile dell’Archivio Storico di Fiesole per avere informazioni, documentazioni e se possibile fotografie originale diell’epoca. Quando Maurizio Zaccaro ci chiese una intestazione filologicamente precisa per riprodurre l’ordine di arresto del vicebrigadiere Amico da parte dei tedeschi, siamo riusciti a trovare il nome del comando della Wehrmacht proprio grazie a questo percorso. Apparentemente piccole conquiste in una grande quantità di necessità, molto più appariscenti per la ricostruzione di un ambiente: mobili e accessori che assemblati insieme devono ricreare l’atmosfera di quell’epoca e caratterizzare per lo scopo finale, cioè raccontare chi vive in quell’ambiente. Il nostro Albergo Aurora è stato ricostruito scenograficamente per intero, secondo le necessità dettate dal copione, e arredato caratterizzando proprio l’occupazione militare con l’installazione di una postazione operativa con radio funzionante, telefoni da campo e non, telegrafo e tante mappe militari delle zone limitrofe, ed una postazione per l’ufficiale responsabile di quel comando appassionato di vino italiano e cioccolata fondente. È stata una piccola sorpresa trovare fra la tanta documentazione proprio quella relativa all’affitto dell’albergo al comando della Wehrmacht che pagava 9.800 lire giornaliere. Nel 1945 il proprietario fece una richiesta per un saldo di un affitto non pagato relativo agli ultimi due mesi di occupazione, 65.000 lire, ed un rimborso per danni causati dall’impianto degli uffici, dall’installazione di telefoni e altoparlanti, dalla caldaia per i termosifoni e da una pista da ballo, per un totale di 105.000 lire, a cui aggiungere materiali mancanti per altre 40.695 lire. Ricostruire gli ambienti poveri e quindi meno appariscenti, comportava un altro tipo di lavoro, e cioè trovare piccole soluzioni per differenziarli. Una di queste ipotesi di caratterizzazioni è stato motivo di uno scambio di idee piuttosto acceso fra noi ed il produttore Sergio Giussani, se rendere un poco più moderna o meno una casa modesta di Fiesole. La proposta consisteva nell’inserire una cucina di lamiera smaltata bianca con fornelli a gas alimentati da una bombola, oggetto un po’ costoso per l’epoca, ma già in uso. Per contro, in quegli anni era ancora molto usata la cucina economica in muratura, oltre ovviamente al camino ed al focolare. La decisione finale fu dunque di non usarla, proprio a favore di una più domestica cucina economica. Il nostro produttore Sergio Giussani è stato sempre presente nella costruzione del film, interlocutore e suggeritore attento ai dettagli per trovare le soluzioni migliori. La scena della devastazione della caserma da parte dei soldati tedeschi era particolarmente delicata per noi, preoccupati dalla presenza di tanti oggetti vecchi e di valore. Ma la soluzione fu trovata dal regista Zaccaro. Lavorammo perciò secondo le sue indicazioni non immaginando ancora quanto saremmo rimasti impressionati osservando le scene da un monitor durante le riprese. Tranquillizzammo Sergio Giussani circa il fatto che tutta la scena di violenza era programmata ed era stato fatto un lavoro di coordinamento fra i soldati armati di vere mazze di ferro pesantissime. Ma il momento dell’azione fu veramente terribile! Vetri spaccati, mobili sfondati, tutto volava in terra e veniva calpestato con brutalità! Raggelati davanti ai monitor ci siamo fatti trascinare da quella crudeltà inutile di danni al nostro piccolo antiquariato, pur sapendo che c’era un trucco nascosto in una soluzione scenografica. Scenografia Paolo Innocenzi Arredatrice Livia Del Priore COSTUMI Nell’affrontare la sceneggiatura di un fatto storico, accaduto peraltro in un periodo importantissimo per l’Italia, mi sono messa a disposizione della storia. Volendo ricreare un’immagine quasi documentaristica, ho cercato la semplicità realistica ispirandomi al Grande Cinema del Neorealismo Italiano: Roma città aperta, Sciuscià, Ladri di biciclette, tutti film che documentano una realtà drammatica nell’Italia di fine guerra. Ho iniziato a documentarmi sui Carabinieri protagonisti del film: non di tutti esiste in rete una documentazione. Mi ha fatto da guida un bel libro biografico/ fotografico pubblicato dal Comune di Sora sulla vita di Alberto La Rocca, arruolatosi come volontario nell’Arma nel 1942, a 18 anni. Il 15 giugno 1943 venne assegnato alla Legione dei Carabinieri di Firenze e il giorno seguente trasferito alla Stazione CC di Fiesole. Un anno dopo sarà fucilato dai tedeschi assieme ad altri due commilitoni, come narra il film. Con la completa collaborazione del Comando Generale dell’Arma e le ricerche effettuate presso l’Archivio Fotografico Storico dei Carabinieri, mi sono resa conto che negli anni tra il 1940 e il 1944, di cui esiste una scarsa documentazione fotografica a causa della guerra in corso, le divise sono simili tra quelle precedenti il 1940 e quelle fornite dallo Stato dopo il ‘44. Le divise estive, più leggere, ispirate alle sahariane usate in Libia e Eritrea ancora non erano state introdotte nell’ordinamento dell’Arma in Italia. Ne abbiamo i primi esempi nel 1946. A meno che il Carabiniere fosse di grado Ufficiali e potesse permettersi di farle confezionare da un sarto personale, scegliendo una stoffa leggera. Quindi l’unica Divisa, per il Carabiniere semplice, quasi una seconda pelle, era quella di panno per tutto l’anno e la persona che la indossava ne aveva cura come se fosse una sua seconda pelle, ma non tanto per importanza, quanto per identità. Per il reperimento degli abiti civili abbiamo cercato di individuare abiti autentici d’epoca, o quantomeno rifatti secondo una logica il più possibile “archeologica”. Ho trovato tutto questo tra vari magazzini di costumi privati e la Sartoria Tirelli. Concordate con la Regia le linee guida, si è proceduto poi alla selezione dei corpi e dei volti che avrebbero dovuto indossare i costumi. Nella società attuale è difficile reperire la fisicità di quegli anni di fame, perché la supernutrizione ha fatto alzare l’italiano medio di almeno 10 o 20 centimetri. Quindi è stata fatta un’attenta selezione delle figurazioni, possedendo per lo più abiti d’epoca originali, abbiamo scelto persone con caratteristiche fisiche adeguate, cioè non alti, magri, con capelli non tinti, insomma, il più possibile naturali. Rispetto alla fisiognomica, le difficoltà maggiori sono stati i volti e fisicità dei soldati tedeschi e girando a Roma non è stato facile avere i colori teutonici: occhi chiari e capelli biondi. Rispetto al bambino Pietro, c’è un chiaro riferimento a “Sciuscià”… le scarpe allora erano un lusso, il suo pantaloncino è stato ricavato da uno del padre, i capelli sono rasati, contro i pidocchi. I colori saturi e sbiaditi degli abiti, sono stati ottenuti con ulteriori trattamenti di “invecchiamento e sporcatura” rendendoli credibili in una Italia di stenti e macerie. Il lavoro della Fotografia ha fatto il resto. Paola Marchesin
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